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Sommario del 16/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a vescovi Kenya: denunciare ogni forma di violenza

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Denunciare “ogni forma di violenza, in particolare quella commessa in nome di Dio” ed essere esempi di riconciliazione, giustizia e pace per tutto il Kenya. Questo il senso delle parole del Papa nel discorso consegnato ai vescovi del Paese africano, in visita ad Limina. Il servizio di Giada Aquilino

Impegno interreligioso per la pace
Lavorare “con i leader cristiani e non cristiani” per promuovere pace e giustizia in Kenya “attraverso il dialogo, la fraternità e l’amicizia”, in modo da offrire una “denuncia” unanime e coraggiosa “di ogni forma di violenza, in particolare quella commessa in nome di Dio”. Questo il mandato di Papa Francesco ai vescovi del Paese africano affinché la Chiesa locale rimanga “fedele alla propria missione” di essere strumento di riconciliazione, giustizia e pace.

La preghiera per le vittime dell’attacco a Garissa
Il Pontefice pensa ad un Paese sconvolto anche recentemente dalla violenza, con gli attacchi degli estremisti islamici di al Shabaab, e prega “per tutti coloro che sono stati uccisi da atti di terrore o di ostilità etniche o tribali” in Kenya e in altre aree del continente africano. La sua preghiera è in particolare per tutti gli uomini e le donne “uccisi al College universitario di Garissa” nella Settimana Santa: “possano le loro anime riposare in pace”, prosegue il Papa; i loro cari possano essere così “consolati”; e possano coloro che hanno commesso “tale brutalità” prenderne coscienza e “cercare misericordia”.

Bene comune, difesa dei poveri e lotta alla corruzione
Quindi, senza voler “interferire negli affari temporali”, l’auspicio del Papa è che la Chiesa in Kenya insista, soprattutto con coloro che “sono in posizioni di leadership o di potere” sui principi morali che promuovono “il bene comune e l’edificazione della società”. D’altra parte essa offre una “bella testimonianza” della “vita promessa da Cristo nel Vangelo”: la suo missione è dunque quella di “prendere una posizione profetica in difesa dei poveri e contro ogni corruzione e abuso di potere”, prima di tutto attraverso “l’esempio”.

Vescovi, guida per  seminaristi e Chiesa locale
Ai vescovi ricorda di non aver paura “di essere una voce profetica”, “di predicare con convinzione” diffondendo “la saggezza della Chiesa”. Li invita inoltre ad avere “cura paterna” per aiutare i giovani che rispondono alla chiamata del sacerdozio e che “vogliono dare tutto a Cristo attraverso il servizio alla Chiesa”: “i numerosi seminaristi” del Paese, prosegue, sono una “grande risorsa” e un “segno eloquente della bontà di Dio” per le diocesi del Kenya e per la Chiesa universale. Per “alimentare la crescita di tali vocazioni” - i cui germogli sono soprattutto “nel cuore della famiglia”, prim’ancora dei seminari - “è indispensabile” che la buona volontà dei giovani s’incontri con una formazione profonda, ricca e diversificata. I sacerdoti, poi, hanno bisogno di essere guidati “con chiarezza e forza, ma anche e specialmente con compassione e tenerezza”, sull’esempio di Gesù con gli Apostoli, affinché siano sempre “fedeli alle promesse fatte”. Il cuore del Papa è pure “vicino” ai religiosi e alle religiose del Kenya, soprattutto in questo Anno della Vita Consacrata. Apprezzamento per quanti impegnati negli istituti gestiti dalla Chiesa in tutto il Paese, portando “beneficio spirituale e materiale” a tante persone nel campo dell’educazione, della sanità, dell’assistenza sociale, dando “un contributo vitale per il benessere dell’intera Nazione”.

Famiglia e giovani
L’incoraggiamento di Francesco è anche per la “sollecitudine pastorale a favore della famiglia”, soprattutto in vista del prossimo Sinodo Ordinario ad essa dedicato e in particolare per quei nuclei “che stanno lottando” a causa di matrimoni falliti, infedeltà, violenze. La preghiera del Pontefice è anche per i giovani, affinché siano “capaci di assumere impegni” duraturi e permanenti nel matrimonio, come nel sacerdozio o nella vita religiosa. Infine uno sguardo al Giubileo della Misericordia, perché sia un “momento di grande perdono, guarigione, conversione e grazia” per tutta la Chiesa in Kenya e per tutti i fedeli in modo da essere quei “segni di riconciliazione, giustizia e pace” che Dio vuole per il Paese e per “tutta l’Africa”.

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Vescovo Garissa: contro estremisti più intelligence e dialogo

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Il pensiero del Papa, incontrando in Vaticano i vescovi del Kenya, è andato alle vittime dell’attacco al Shabaab al College universitario di Garissa, nella Settimana Santa. La testimonianza del vescovo coadiutore di Garissa, mons. Joseph Alessandro, intervistato da Festus Tarawalie

R. – La nostra area geografica ha sempre rappresentato una sfida, non soltanto per il clima ma anche per la gente e soprattutto per i conflitti tra i diversi clan. Recentemente, però, questa sfida ha assunto una nuova faccia: quella dell’estremismo islamico, in particolare di un gruppo terroristico che viene dalla Somalia, il gruppo al Shabaab. Negli ultimi quattro mesi, questo gruppo ha compiuto tre massacri nella nostra diocesi: due sono stati compiuti poco prima del Natale, nella zona di Mandera. Gli insegnanti e gli altri lavoratori stavano partendo per andare a trovare i loro cari in occasione delle feste natalizie. Il loro bus era partito molto presto al mattino, ma dopo soltanto qualche chilometro è stato fermato dagli al Shabaab. Hanno fatto scendere tutti i passeggeri, hanno separato i musulmani e i cristiani, hanno lasciato andare i musulmani, hanno fatto stendere, faccia a terra, i cristiani e hanno sparato loro in testa. Hanno ucciso 27 cristiani, cattolici e protestanti. Neanche due settimane dopo, in una cava di pietre lo stesso gruppo, molto presto al mattino, è entrato, ha separato i musulmani dai cristiani ed ha ucciso 38 cristiani. Sempre gli al Shabaab hanno attacco poi l’Università di Garissa. Dalla nostra casa abbiamo sentito gli spari, era presto, al mattino. Durante il giorno si è sparsa la notizia che gli al Shabaab avevano attaccato l’ateneo e lo tenevano sotto controllo. Sono entrati, hanno cominciato a sparare, hanno preso poi degli ostaggi e li hanno uccisi tutti.

D. – Il governo, come reazione, vuole chiudere il campo rifugiati a Dadaab, che ospitata circa 350 mila somali; vuole anche costruire un recinto di sicurezza. Che ne pensa?

R. – Anche se riuscissero ad attuare questi due progetti, non risolverebbero il problema.

D. – Ma allora cosa bisogna fare?

R. – Bisogna che il governo rafforzi la sua intelligence.

D. – In via preventiva?

R. – Sì, per prevenire eventuali attacchi.

D. – A livello di Chiesa, quali le iniziative intraprese dal punto di vista del dialogo interreligioso?

R. – Come Chiesa cattolica, già da un anno abbiamo lanciato un programma di dialogo interreligioso tra cristiani – non soltanto cattolici – e musulmani. Siamo riusciti a far incontrare, insieme, diversi gruppi di leader, di imam con i presbiteri delle Chiese protestanti e con i nostri sacerdoti. Abbiamo coinvolto anche gruppi di donne, che hanno molta influenza sulla comunità. Abbiamo cercato di coinvolgere i giovani, anche attraverso lo sport. Abbiamo cercato di farli incontrare, di farli stare insieme, di farli conoscere per dimostrare che si può vivere insieme, si può lavorare insieme, si può giocare insieme al di là delle diversità di fede e di religione.

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Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere

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Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio e vuole far tacere quanti predicano la novità di Dio: è quanto ha affermato il Papa nella Messa del mattino celebrata nella Cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Obbedire a Dio è il coraggio di cambiare strada
La liturgia del giorno ci parla dell’obbedienza. L’obbedienza – osserva il Papa – “tante volte ci porta per una strada che non è quella che io penso che deve essere, ce n’è un’altra”. Obbedire è “avere il coraggio di cambiare strada, quando il Signore ci chiede questo”. “Chi obbedisce ha la vita eterna”, mentre per “chi non obbedisce, l’ira di Dio rimane su di lui”. Così nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, i sacerdoti e i capi ordinano ai discepoli di Gesù di non predicare più il Vangelo al popolo: si infuriano, sono “pieni di gelosia” perché alla loro presenza avvengono miracoli, il popolo li segue “e il numero dei credenti cresceva”. Li mettono in carcere, ma di notte, l’Angelo di Dio li libera e tornano ad annunciare il Vangelo. Fermati e interrogati di nuovo, Pietro risponde alle minacce del sommo sacerdote: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. I sacerdoti non capivano:

“Ma questi erano dottori, avevano studiato la storia del popolo, avevano studiato le profezie, avevano studiato la legge, conoscevano così tutta la teologia del popolo di Israele, la rivelazione di Dio, sapevano tutto, erano dottori, e sono stati incapaci di riconoscere la salvezza di Dio. Ma come mai questa durezza di cuore? Perché non è durezza di testa, non è una semplice testardaggine. E’ qui la durezza… E si può domandare: come è il percorso di questa testardaggine, ma totale, di testa e di cuore?”.

Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio
“La storia di questa testardaggine, l’itinerario – sottolinea il Papa - è quello di chiudersi in se stessi, è quello di non dialogare, è la mancanza di dialogo”:

“Questi non sapevano dialogare, non sapevano dialogare con Dio, perché non sapevano pregare e sentire la voce del Signore, e non sapevano dialogare con gli altri. ‘Ma perché interpreti questo così?’. Soltanto interpretavano come era la legge per farla più precisa, ma erano chiusi ai segni di Dio nella storia, erano chiusi al suo popolo, al loro popolo. Erano chiusi, chiusi. E la mancanza di dialogo, questa chiusura del cuore, li ha portati a non obbedire a Dio. Questo è il dramma di questi dottori di Israele, di questi teologi del popolo di Dio: non sapevano ascoltare, non sapevano dialogare. Il dialogo si fa con Dio e con i fratelli”.

Chi non dialoga vuol far tacere quelli che predicano la novità di Dio
E il segno che rivela che una persona “non sa dialogare”, “non è aperta alla voce del Signore, ai segni che il Signore fa nel popolo” – afferma il Papa - è la “furia e la voglia di far tacere tutti quelli che predicano in questo caso la novità di Dio, cioè Gesù è risorto. Non hanno ragione, ma arrivano a questo. E’ un itinerario doloroso. Questi sono gli stessi che hanno pagato i custodi del sepolcro per dire che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù. Fanno di tutto per non aprirsi alla voce di Dio”:

“E in questa Messa preghiamo per i maestri, per i dottori, per quelli che insegnano al popolo di Dio, perché non si chiudano, perché dialoghino e così si salvino dall’ira di Dio che, se non cambiano atteggiamento, rimarrà su di loro”.

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Benedetto XVI compie 88 anni. Papa Francesco: auguri di gioia e felicità

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Benedetto XVI compie oggi 88 anni. Una felice ricorrenza che il Papa emerito trascorre nel monastero in Vaticano “Mater Ecclesiae” dove vive in preghiera dopo la rinuncia al ministero petrino. Tanti gli auguri che, anche attraverso i social network, stanno giungendo a Joseph Ratzinger. E stamani, Papa Francesco ha offerto la Messa mattutina a Casa Santa Marta proprio al suo predecessore, con parole di speciale augurio: 

"Vorrei ricordare che oggi è il compleanno del Papa Benedetto XVI. Ho offerto la Messa per lui e anche vi invito a pregare per lui, perché il Signore lo sostenga e gli dia tanta gioia e felicità".

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Mons. Xuereb: umile e profondo, Benedetto XVI è rimasto quello di sempre

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Da due anni Benedetto XVI ha rinunciato al ministero petrino e tuttavia, in questo giorno del suo 88.mo compleanno, in tantissimi stanno rivolgendo messaggi di auguri al Papa emerito. Un segno che l’affetto per Joseph Ratzinger non si affievolisce nonostante viva ora in preghiera “nascosto al mondo”. Per un augurio speciale al Papa emerito, Alessandro Gisotti ha intervistato il segretario generale della Segreteria per l’Economia, mons. Alfred Xuereb, che dal 2007 alla fine del Pontificato è stato segretario in seconda di Benedetto XVI: 

R. – L’affetto per Papa Benedetto è cresciuto ancora di più! Lo vedo un po’ di meno, prego per lui, lo penso quando lo intravedo nei Giardini Vaticani, mi saluta sempre molto volentieri. Anzi, recentemente ero in macchina, un pochettino più in giù dell’ingresso del monastero dove lui vive, in attesa che lui passasse per non disturbarlo dopo il Rosario. E lui, arrivato all’ingresso, ha chiesto al gendarme chi fosse dentro quella macchina e gli hanno spiegato che ero io. Allora lui mi ha chiamato e con una bella battuta di simpatia e di affetto mi ha detto: “Ma don Alfred, non vorrei che adesso lei abbia incominciato ad avere paura di me!”. E’ un po’ l’affetto suo che ha per me, per tutti noi. Anche oggi è un giorno speciale, di gioia… Io ricordo un compleanno particolare, il primo, da quando sono stato con lui, quindi nel 2008, celebrato nella Casa Bianca perché era durante il suo viaggio negli Stati Uniti e tutti quanti hanno intonato “Buon compleanno a te”: mi sembrava molto, molto contento Papa Benedetto di questa bella accoglienza. Sono bellissimi ricordi, questo, ma anche tutti gli altri che ho celebrato con lui nell’appartamento papale qui nella città del Vaticano.

D.  – Dall’aneddoto che ci ha raccontato si coglie anche uno spaccato della vita attuale di Papa Benedetto, la preghiera e quello humour delicato, gentile, profondo che sempre ha caratterizzato e continua a caratterizzare l’uomo Joseph Ratzinger…

R. – Sì, senz’altro, lui è rimasto uguale, cioè è rimasto con l’affetto di sempre. Lo vedo che sta bene, anche di salute, gracile, ma non abbattuto.

D. – Chi ha avuto la grazia di incontrarlo come lei, ha visto negli occhi di Papa Benedetto una serenità che veramente colpisce, una serenità anche nella scelta straordinaria che ha fatto due anni fa…

R.  – Indubbiamente, una grande serenità, una grande consapevolezza che ha fatto il passo giusto. Sì, è questo: una grande serenità perché era un atto di grande generosità verso la Chiesa!

D. – Quale augurio si sente di fare, magari anche di chiedere a chi ci ascolta, a Papa Benedetto oggi?

R. – Io sento molte persone che mi dicono: “Il nostro affetto e la nostra preghiera per Papa Benedetto continua a crescere”. E l’augurio mio è di riscoprire sempre di più la vera figura di Papa Benedetto, perché temo che non sia stata sempre ben capita, anzi, forse in alcuni settori è stata perfino travisata. Quindi l’augurio che io faccio è di scoprire la bella umanità di questo uomo, il contrasto tra la sua grande umiltà e dall’altra parte la sua immensa capacità di pensiero, di trasmetterci pensieri profondi.

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Superiore Usa in udienza dal Papa, rapporto congiunto con Cdf

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In udienza stamane dal Papa una delegazione della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), l’Associazione delle Superiore Maggiori negli Stati Uniti, che dal 2008 al 2012 è stata oggetto di un’indagine da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede. In questa occasione è stato presentato un rapporto congiunto - sottoscritto da rappresentanti della religiose americane e del Vaticano - sullo stato di realizzazione del documento di valutazione dottrinale, che era stato pubblicato tre anni fa dalla Congregazione per la Dottrina delle Fede. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Un rapporto finale firmato dai tre presuli americani Peter Sartain, Leonard Blair e Thomas Paprocki - incaricati dal Vaticano di seguire l’applicazione del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede - e da quattro suore dell’Associazione delle Superiore maggiori,  Sharon Holland, Marcia Allen, Carol Zinn e  Joan Marie Steadman. Tre anni di lavoro - scrive mons Sartain - in cui si è lavorato insieme sulla revisione dello Statuto dell’Associazione, delle pubblicazioni, sulla cura dei programmi e dei relatori delle Assemblee generali e sui criteri di scelta dei portavoce e si è dibattuto su un ampia gamma di argomenti. Il rapporto è stato presentato in occasione dell’incontro odierno tra rappresentanti delle religiose statunitensi e officiali della Congregazione per la Dottrina della Fede, presente il prefetto cardinale Gerhard Müller.

“Al termine di questo processo - ha dichiarato il porporato - la Congregazione è fiduciosa che l’associazione delle Superiore Maggiori degli Usa abbia chiara la sua missione per supportare gli Istituti membri, favorendo una visione di vita religiosa centrata sulla persona di Gesù Cristo e radicata nella tradizione della Chiesa”. “Siamo liete -  ha commentato suor Holland - del completamento del mandato, che ha comportato lunghi e impegnativi scambi sulla nostra visione e prospettiva riguardo  materie critiche di vita religiosa e sulla sua pratica. Attraverso questi scambi condotti sempre in spirito di preghiera e mutuo rispetto - ha spiegato suor Holland - siamo arrivate ad una più profonda comprensione delle reciproche esperienze, ruoli, responsabilità e speranze per la Chiesa e il popolo che serve. Abbiamo imparato - ha concluso - che ciò che abbiamo in comune  è molto più grande rispetto a qualsiasi nostra differenza”.

Ricordiamo che nel documento di Valutazione del Vaticano si riferiva di “problemi dottrinari seri” posti dall’Associazione delle Superiore Maggiori statunitensi e di posizioni non accettabili manifestate nelle Assemblee annuali e di posizioni di dissenso ad esempio in tema di ordinazione delle donne e di approccio pastorale all’omosessualità - o di affermazioni di femminismo radicale incompatibili con l’insegnamento cattolico. “Il fatto stesso di tale sostanziale dialogo tra vescovi  e religiose - conclude il Rapporto congiunto - è stata una benedizione che deve essere apprezzata e ulteriormente incoraggiata".

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Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay dal 6 al 12 luglio

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Accogliendo l’invito dei rispettivi capi di Stato e dei vescovi, Papa Francesco compirà un viaggio apostolico in Ecuador dal 6 all’8 luglio prossimi, in Bolivia, dall’8 al 10 luglio e in Paraguay dal 10 al 12 luglio. Il programma del viaggio sarà pubblicato prossimamente.

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Tarquinio e Gentili: Papa sul gender, silenzio della stampa

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Con la teoria del gender si rischia di fare un passo indietro. Così ieri il Papa all’Udienza generale. “Mi domando - ha detto - se questa teoria non sia espressione di frustrazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”. “La rimozione della differenza è il problema, non la soluzione”, ha concluso Francesco esortando gli intellettuali a non disertare questo tema. “Un messaggio di grandissimo significato per laici e credenti  spiega al microfono di Paolo Ondarza il direttore de “La Società” Claudio Gentili, autore con la moglie Laura del libro “L’eclissi della differenza”: 

R. – Il Papa dice: occorre evitare che il tema della differenza sessuale venga concepito come un tema di contrapposizione e subordinazione. Ecco, in questo mondo in cui la famiglia è destrutturata e cade a pezzi, quello del Pontefice è un messaggio di grandissimo significato proprio perché ci aiuta a non riaffermare certezze antiche con un’attenzione quasi maniacale, ma a riattualizzare la fondamentale idea del principio del maschile e del femminile e della differenza sessuale fatta non per contrapporre i generi, non per subordinare il femminile al maschile, ma per la libertà delle persone, per la dignità delle persone, per la generazione e il futuro dei figli.

D. – “La rimozione della differenza è il problema, non è la soluzione”, dice Papa Francesco …

R. – Il Papa esorta gli intellettuali a non disertare questo tema come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta. In fondo, il tema della differenza sessuale è un tema emancipatorio, è un tema di dignità delle persone, è un tema di diritti dei bambini ad avere un papà e una mamma, è un tema di differenti ruoli che ovviamente non significa riproposizione di quello che le femministe chiamano “fallologocentrismo”, cioè di ruoli stereotipati fondati su idee rigide; ma far diventare, come spesso accade, delle mamme fallocratiche e far diventare dei papà dei papà femminilizzati non aiuta la crescita del bambino. Quindi, ripeto, occorre veramente che quello che il Papa chiama “la rimozione della differenza” possa diventare oggetto non di contrapposizioni ideologiche, ma di una ricerca dialogante tra pensiero laico e pensiero cristiano in vista del bene delle persone.

D. – Va rilevato come forse questo tema, questa urgenza antropologica sia stata troppo spesso sottovalutata, anche in ambito cattolico …

R. – Sono assolutamente d’accordo. Questa dimensione fondativa dell’esperienza cristiana ha bisogno oggi non di riproporre antiche, granitiche certezze ideologiche, ma di dimostrare – come il Papa con sottile ironia dice – che questa teoria, espressa nelle forme, nelle modalità caricaturali che spesso vediamo anche nelle nostre scuole italiane, non sia proprio l’espressione di una frustrazione. Anche nelle parrocchie occorre ricominciare a educare al maschile e al femminile.

D. – A proposito di questa valorizzazione della differenza sessuale, arriva la raccomandazione del Papa: “Dobbiamo fare molto di più in favore della donna. Deve essere non solo ascoltata: deve avere un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta nella società e nella Chiesa”.

R. – Queste parole dovrebbero  rassicurare quelli che temono che parlare di differenza sessuale sia interrompere il processo emancipativo della donna. Il Papa dice giustamente che c’è ancora nella Chiesa, nella società troppo maschilismo; che c’è ancora nella Chiesa e nella società poca considerazione del ruolo e anche – usa una parola forte – dell’“autorevolezza” delle donne: questo riguarda anche scelte sia all’interno della Curia sia degli Uffici della Santa Sede. E questo è un problema oggettivo: cioè, in fondo il “gender” nasce da una esagerazione ideologica di un problema reale che è il ruolo della donna nella vita sociale. Ma per affermare la specificità femminile non occorre annichilire la differenza sessuale.

D. – Le parole del Papa, secondo lei, sono state ben recepite?

R. – Oggi ho notato che c’è stata una sorta di sordina messa a questo discorso del Papa. Ebbene, ho notato che in alcuni casi il Papa non viene criticato, ma su questi argomenti viene semplicemente censurato. E’ un’annotazione che voglio fare non per spirito di polemica ma perché questo Pontefice, che ha sviluppato una così forte simpatia con l’opinione pubblica, penso che abbia anche il diritto a non veder sottaciute alcune dimensioni fondamentali del suo annuncio, che è un annuncio veramente profetico.

 

Alle parole del Papa sul gender il quotidiano dei vescovi Avvenire ha dedicato l’apertura dell’edizione odierna. La catechesi di Francesco sulla complementarietà uomo-donna e la rimozione della differenza sessuale risulta invece assente dalle prime pagine dei principali giornali italiani o riportata in modo marginale e incompleto. Su questo si sofferma il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, sempre al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Bè, non è la prima volta che questo accade. Papa Francesco, che pure riesce a imporre all’attenzione dei distratti anche temi che normalmente vengono tenuti ai margini, quando tocca poi temi come questi, che si riferiscono a un fenomeno preciso (il gender) – anche qui, una sollecitazione di Papa Francesco: pensiero dominante che vuol farsi pensiero unico – ecco, quando si tocca questo tipo di tematiche, c’è una reazione che tende a silenziare gli argomenti forti messi a disposizione del dibattito pubblico. Questa è una cosa che mi spiace molto: mi spiace da cronista, mi spiace da cittadino di questo Paese, mi spiace da cristiano perché credo che abbiamo un contributo serio da dare, a un dibattito così importante.

D. – Quindi, non si può parlare di “svista” …

R. – No. Io non credo alle sviste. Non credo alle sviste su questo tema perché ne ho viste tante, in questi anni, in altri momenti. Basta tornare con la memoria a poco più di un anno fa quando qui in Italia un ufficio che dovrebbe occuparsi di discriminazioni razziali preparò una serie di testi per la scuola nei quali veniva dichiarato “sconveniente” parlare della genitorialità riferendosi a un padre e a una madre: in quel momento, soltanto “Avvenire” pose il problema, nella stampa nazionale, e ci ritrovammo assolutamente soli nell’affrontare la questione e messi anche un po’ sul banco degli imputati, perché avevamo toccato un tema che non andava affrontato: in realtà – è l’opinione comune - bisogna lasciar correre le cose … Io credo che non ci sia nulla da lasciar correre. Questo fa parte della cultura dell’indifferenza, che in senso etimologico porta a non considerare più le differenze che sono sostanziali e fondamentali, nella costruzione della nostra umanità. Mi ha colpito che oggi alcuni degli articoli che sono stati pubblicati, in riferimento alle parole di Papa Francesco – una parola molto chiara, molto bella, anche sul ruolo e lo spazio della donna – siano stati articoli che commentavano: “Papa Francesco ha ragione a dire certe cose”, ma cancellavano completamente il tema del gender concentrandosi soltanto sul tema della femminilità: “attenzione – è l’allarme di questi articoli -  perché il Papa verrà strumentalizzato da coloro che non vogliono dare alla donna il giusto spazio nella società e nella Chiesa”.

D. – “Da chi non vuole la parità dei sessi” si legge nell’articolo in questione …

R. – Sì: chi non vuole dare alla donna il giusto spazio nella Chiesa. Mi sembra una maniera un po’ capziosa di interpretare parole molto limpide che confermano quanto affermavo: non esistono sviste; esistono deliberate scelte e deliberati tagli: tagli della notizia che viene data, tagli nella notizia che non viene offerta. Soprattutto viene cancellata dalle prime pagine.

D. – E letture di questo tipo certo non aiutano la gente a comprendere la completezza del discorso, che era tutto centrato sulla complementarietà uomo-donna …

R. – La catechesi del Papa è stata il culmine di un percorso che Francesco ci sta proponendo da qualche settimana, di straordinaria intensità, sulle radici dell’umano, sul senso della famiglia, sulle figure e le realtà-chiave della condizione umana. Ecco, che questo tipo di riflessione messa a disposizione del mondo venga fatta a pezzetti, un po’ sbriciolata e ne vengano espunte le parti più significative, è pericoloso. Però, non vogliamo lamentarci, non siamo “quelli del lamento”: anche questo, Papa Francesco ce lo ricorda spesso, no? Prendiamo atto di una condizione; questo credo debba spingerci a parlare più chiaro e a fare eco in modo consapevole all’insegnamento e alla memoria che ci viene consegnata di ciò che è la realtà: perché tendiamo a essere smemorati anche su questioni fondamentali. Avvenire ha scelto, nel concerto della stampa italiana, di fare un titolo che era molto probabile che facessimo in solitudine; l’importante è che ci sia spazio per far sentire la nostra voce e per continuare a fare giustizia rispetto alla profondità della Parola del Papa.

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Crescono i cattolici nel mondo: sono 1 miliardo e 254 milioni

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Nel periodo che va dal 2005 al 2013 i cattolici battezzati nel mondo hanno registrato una rapida crescita, con un incremento percentuale di oltre il 12%, passando da quasi 1.115 a 1.254 milioni, con un aumento assoluto di 139 milioni di fedeli. Poiché nello stesso periodo la popolazione mondiale è passata da 6.463 a 7.094 milioni, l’incidenza dei cattolici a livello planetario è aumentata dal 17,3 al 17,7 per cento. E’ quanto emerge dall’Annuario Pontificio 2015, pubblicato oggi.

Europa: dati stazionari
Questi valori, però, esprimono la sintesi di situazioni molto diverse tra i vari continenti. Per l’Europa si registra una evidente stazionarietà da imputare sostanzialmente alla ben nota situazione demografica del vecchio continente, la cui popolazione, attualmente in fase di stabilizzazione, è prevista in netto declino per i prossimi decenni. Nel 2013 i fedeli battezzati, in lieve crescita rispetto all’anno precedente, ammontavano a 287 milioni e sono 6,5 milioni in più rispetto al 2005.

Africa: cattolici sono aumentati del 34%
Più dinamica risulta la realtà africana, dove i cattolici sono aumentati del 34%: nel 2005 erano 153 milioni e nel 2013 erano saliti a 206 milioni. Tale andamento, solo in parte imputabile a fattori puramente demografici, riflette un aumento effettivo della presenza dei fedeli battezzati: infatti, i cattolici, che erano il 17,1% della popolazione africana nel 2005, otto anni più tardi ne rappresentavano quasi il 19%.

America e Asia: cattolici in crescita
Situazioni intermedie tra le due sopra descritte sono quelle registrate in America e in Asia dove la crescita dei fedeli battezzati è stata importante (rispettivamente +10,5 e +17,4 per cento), ma del tutto spiegabile con lo sviluppo demografico registrato nello stesso periodo. In termini relativi, infatti, i cattolici americani rappresentavano stabilmente il 63% della popolazione mentre in Asia l’incidenza dei cattolici è passata dal 2,9 nel 2005 al 3,2 per cento nel 2013. Rimane stabile l’incidenza dei cattolici battezzati su 100 abitanti in Oceania, anche se su valori assoluti nettamente inferiori.

Forze apostolato in aumento
Le forze di apostolato, costituite da vescovi, sacerdoti, diaconi permanenti, religiosi non sacerdoti, religiose professe, membri di istituti secolari, missionari laici e catechisti, ammontavano a fine 2013 a 4.762.458 con una variazione positiva di poco meno di 300.000 unità rispetto alla stessa data del 2005. La ripartizione tra le diverse componenti che costituiscono le forze di apostolato è abbastanza difforme da continente a continente. Nella media mondiale il rapporto percentuale tra la somma dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi permanenti e il complesso di tutti gli operatori pastorali risultava alla fine del 2013 del 9,7%, con i valori inferiori in Africa  (8,1%) e nel Sud-Est asiatico (9,4%) mentre con i valori superiori in Europa (19%) e nel Nord America (12,5%): i territori di missione si caratterizzano così per un accentuato apostolato di tipo laicale.

Gerarchie locali sostituiscono vescovi missionari
Al 31 dicembre 2013 erano presenti in tutte le circoscrizioni ecclesiastiche 5.173 vescovi con un aumento, rispetto ad un anno prima, di 40 unità che è stato di poco inferiore alla media degli ultimi otto anni (+41,5 unità). Il confronto con il 31 dicembre 2012 mostra che nel Nord America e in Oceania si è registrato un calo (rispettivamente 6 e 5 unità) cui si contrappone un aumento nel resto del continente americano (+23 unità), in Africa (+5), in Asia (+14) e in Europa (+9). Tuttavia le modifiche intercorse tra il 2012 e il 2013 sono, in termini relativi, tutti di scarsa entità. Questo indica che la presenza più numerosa è in America e in Europa (dove vivono rispettivamente il 37,4 e il 31,4 per cento dei vescovi del pianeta), seguiti a lunga distanza da Asia (15,1%), da Africa (13,6%) e da Oceania (2,5%). Un aspetto che è interessante rilevare è quello del lento ma graduale processo di sostituzione dei vescovi missionari con le gerarchie locali. Considerando come indicatore di questo fenomeno il rapporto percentuale tra i vescovi non nativi nel continente e il loro totale, si ricava che nel periodo 2005-2013 il valore di questo indice è diminuito in Oceania, in Africa e in America, mentre è aumentato in Europa ed in Asia, seppure lievemente.

Sacerdoti in forte aumento in Africa e Asia
Il numero complessivo dei sacerdoti - secolari e religiosi - è stato alla fine del 2013 pari a 415.348. Rispetto all’anno precedente, quando il numero dei sacerdoti risultò di 414.313, vi è stato un aumento dello 0,3 per cento. L’incremento si è verificato in tutte le ripartizioni territoriali (ad eccezione del Nord America e dell’Europa in cui la consistenza dei sacerdoti si è ridotta nel giro di un anno rispettivamente dell’ 1,4 e dell’ 1,2 per cento): si passa, infatti, dagli incrementi dell’ 1,6% per l’America Centrale, dell’ 1,0% per il sud America e del 2,4% per il Sud-Est asiatico, all’aumento del 4,2% per l’Africa. Da un esame di più lungo periodo emerge in maniera netta l’evoluzione di questo fenomeno. Rispetto al 2005 i sacerdoti, nel loro complesso, sono aumentati del 2,2%. Le variazioni positive più alte si sono avute in Africa (+29,2%) ed in Asia (+22,8%) mentre in Europa si è registrato un calo di 7,1%. L’America ha ottenuto un incremento più basso di quello mondiale (+1,7%), ma questo valore risulta dalla media tra il +11,5% registrato nel Centro-Sud del continente e il -10,4% corrispondente alla variazione delle diocesi situate al Nord del continente. La distribuzione dei sacerdoti per area geografica mette in evidenza un’accentuata concentrazione. Così, ad esempio, il 44,3% dei sacerdoti è presente nel 2013 in Europa dove vivono poco meno del 23% di tutti i cattolici del mondo, il 29,6% dei sacerdoti è presente in America con il 49% dei cattolici, il 14,8% in Asia con il 10,9% dei cattolici, il 10,1% in Africa con il 16,4% e infine l’ 1,2% dei sacerdoti è presente in Oceania dove vivono invece appena lo 0,8% dei cattolici.

Diaconi permanenti in forte espansione
I diaconi permanenti, diocesani e religiosi, sono in forte espansione sia a livello mondiale sia nei singoli continenti, passando complessivamente da 33.391 unità nel 2005 a oltre 43 mila nel 2013, con un variazione positiva pari al 29%. Europa ed America registrano sia la consistenza numerica più significativa, sia il trend evolutivo più vivace. Il numero dei diaconi europei, infatti, poco meno di 11 mila unità nel 2005, erano a fine 2013 poco più di 14 mila, con un incremento del 30%. In America, la consistenza di oltre 21 mila unità all’inizio del periodo, sale fino a raggiungere quasi le 28 mila unità nel 2013. Questi due continenti, da soli, rappresentavano nel 2013 il 97,6% della consistenza mondiale, con la porzione rimanente suddivisa tra Africa, Asia e Oceania.

Religiosi non sacerdoti aumentati
Il gruppo dei religiosi professi non sacerdoti si è accresciuto dell’1% tra il 2005 e il 2013. Nel 2005 essi erano nel mondo 54.708 e si sono posizionati poi a poco più di 55 mila nel 2013. Il trend crescente è comune all’Africa ed all’Asia dove si osservano variazioni del +6% e del +30%, rispettivamente. Nel 2013 questi due continenti rappresentavano complessivamente una quota di oltre il 36% del totale (dal 31% nel 2005), All’opposto, il gruppo costituito da Europa (con variazione del -10,9%), America (-2,8%) e Oceania (-2%), si è ridotto di oltre il 5% nel corso dell’orizzonte campionario.

In diminuzione le religiose
Le religiose professe sono diminuite tra il 2012 e il 2013 dell’1,3%, valore che eguaglia la media annua tra il 2005 e il 2013. Nell’intero periodo esse sono passate da 760.529 nel 2005 a 693.575 unità nel 2013, con una variazione di -8,8%. Il declino, anche in questo caso, ha riguardato tre continenti (Europa, America e Oceania), con una variazione negativa anche di rilievo (-18,3% in Europa, -15,5% in America e -17,1% in Oceania). In Africa e in Asia, invece, l’incremento è stato decisamente sostenuto, superiore al 18% per Africa e al 10% per Asia. L’incidenza rispetto al totale mondiale nel 2005 e nel 2013 è praticamente la stessa in Oceania; il peso dell’Europa e dell’America è invece sceso dal 42,5 al 38,0 per cento per il primo continente, e dal 28,3 al 26,2 per cento per il secondo, mentre quello dell’Asia è salito dal 20,2 al 23,8 per cento e quello delle religiose africane dal 7,7 al 10,1 per cento.

Vocazioni sacerdotali in calo
Dopo un periodo di costante e sostenuto aumento del numero delle vocazioni sacerdotali, che ha avuto il momento di maggiore crescita nel 2011, si assiste nell’ultimo biennio ad una inversione di tendenza. Il numero complessivo degli iscritti ai corsi di filosofia e di teologia dei centri diocesani e religiosi di formazione al sacerdozio di tutto il mondo cattolico è stato nel 2013 di 118.251 contro i 120.616 nel 2011, con una flessione, quindi, del 2% nel corso di due anni. La diminuzione delle vocazioni sacerdotali nel 2013 è stata generale (con la sola eccezione dell’Africa dove si è registrato tra il 2011 e il 2013 un incremento dell’ 1,5%), ed ha interessato in misura diversa i singoli continenti. Nell’America del Nord ed in particolare negli Stati Uniti si è manifestato un andamento decrescente alquanto pronunciato con una riduzione del 5,2% dal 2011 al 2013. L’America centro-continentale ha mostrato una contrazione di 0,1%, mentre nel Sud America si è registrata nello stesso periodo una diminuzione di quasi il 7% ed è particolarmente evidente in Colombia (-10,5%), in Cile (-11,2%) e in Perú (-11,2%). Allineata alla media del sub-continente è la perdita del Brasile (-6,7%). Anche in Asia le vocazioni sacerdotali hanno subito nel biennio una flessione: nel 2013 esse erano inferiori dello 0,5% al valore del 2011. La tendenza si è riscontrata soprattutto in Indonesia, nella Repubblica di Corea e nelle Filippine, mentre è stata in controtendenza nell’India dove i seminaristi si sono accresciuti dello 0,5%. Nel continente Europeo si è verificato un calo del 3,6% nel biennio. Hanno contribuito a questo fenomeno soprattutto Polonia (-10,0%), Gran Bretagna (-11,5%), Germania (-7,7%), Repubblica Ceca (-13,0%), Austria (-10,9%), Francia (-3,5%) e Spagna (-1,8%). Sono, invece, aumentate le vocazioni sacerdotali in Italia (+0,3%), Ucraina (+4,5%) e Belgio (+7,5%). In una situazione di stazionarietà si trovano Ungheria e Bosnia ed Erzegovina. In Oceania, tra il 2011 e il 2013, i seminaristi si riducono del 5,1%.

La redazione dall’Annuario Pontificio è stata curata da mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa, dal prof. Enrico Nenna e dagli altri collaboratori.

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Nomine di Papa Francesco in Austria

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In Austria, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Ordinariato Militare per l’Austria, presentata da mons. Christian Werner, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Vescovo Ordinario Militare per l’Austria il rev.do mons. Werner Freistetter, del clero dell’arcidiocesi di Vienna, finora Vicario Episcopale nonché Direttore dell’Institut für Religion und Friede dell’Ordinariato Militare in Austria.

Sempre in Austria, il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Graz-Seckau mons. Wilhelm Krautwaschl, finora Rettore del Seminario vescovile di Graz e Responsabile della pastorale vocazionale e dell’accompagnamento dei sacerdoti.

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Maradiaga: Papa ci spinge a togliere ogni barriera con i poveri

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“L’azione sociale della Chiesa non è solo filantropia, ma una carezza d’amore, la carezza di Dio per i poveri”. Così il cardinale Oscar Maradiaga, intervenendo ieri sera, presso la sede dell’Azione Cattolica Italiana, alla presentazione del libro “Poveri”, edito da Ave. Il volume è il secondo di una collana che la casa editrice ha voluto dedicare alle parole di Papa Francesco; è dello scorso anni, infatti, “Misericordia”, mentre sono in lavorazione altri titoli dedicati ai discorsi del Pontefice sulla gioia, la famiglia e il popolo. Il servizio di Elvira Ragosta

Un’antologia delle parole che Papa Francesco ha dedicato ai poveri, nei suoi discorsi, nei tweet, nell’Evangelii Gaudium, occasioni in cui ha evidenziato il vincolo inseparabile tra la fede e i poveri. “Papa Francesco - sottolinea il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, che del libro ha curato la prefazione - ci spinge a togliere qualsiasi barriera si frapponga tra noi e i poveri e a condividere con loro non solo i nostri beni materiali, ma anche i loro dolori”. “Perché la povertà - ricorda il presidente di Caritas Internationalis - è sì un tema sociale, ma originariamente è evangelico”:

“Certamente! Siamo convinti di questo, perché il Signore Gesù Cristo, lo stesso che – citando il profeta Isaia – ci ha dato il criterio”.

E sull’importanza di questo tema in relazione al Giubileo straordinario indetto dal pontefice e dedicato alla Misericordia, il cardinale Rodriguez Maradiaga aggiunge:

“Dico che sono complementari: quello che riflette sulla misericordia, che vuole ricevere misericordia, non può ignorare i poveri”.

Il libro raccoglie anche le parole con cui il Pontefice aveva attirato l’attenzione sui poveri quando era arcivescovo di Buenos Aires, come ricorda padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica:

“C’è una profonda continuità di magistero tra il Bergoglio vescovo e cardinale, ma direi prima ancora anche gesuita, e poi il suo Magistero da Pontefice: lo vediamo nell’Evangelii Gaudium, dove porta a maturazione e a compimento pensieri, parole, idee e visioni maturate anche – per esempio – ad Aparecida. Vediamo allora come questo libro rappresenti una sintesi breve - e quindi efficace – di quella che è la visione di Francesco, che però non è mai una visione ideale o idealistica, tanto meno ideologica, ma sempre concreta e radicata nella storia. Per il Papa la parola è frutto del gesto: non è una parola vuota, ma si incarna sempre in gesti e in azioni e quindi è il frutto dell’azione. Questa collana mette in evidenza come le parole di Papa Francesco siano sempre incarnate e se non si tocca la povertà, non si può parlare di povertà. Quindi non è solo un libro di parole, ma è un libro di azione, un libro di gesti che spinge a vivere”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, “No alla violenza in nome di Dio”; Francesco con i vescovi del Kenya in visita ad limina ricorda la strage di Garissa. E a Santa Marta rivolge gli auguri a Benedetto XVI per il suo compleanno.

Di spalla, sempre in prima pagina, La misericordia, Cuore del Vangelo di Maurizio Gronchi

Sotto, “Critiche dell’Onu all’azione europea in Mediterraneo”; L’alto commissario per i rifugiati chiede di espandere e migliorare le capacità di ricerca e soccorso in mare.

 A pagina 4, “Segno di contraddizione; un museo su Jeanne d’Arc a Rouen” di Sylvie Barnay e “Come alberi lungo il fiume. I primi trent’anni del Carmelo di Capocolonna a Crotone” di Silvia Guidi. Sempre in cultura, a pagina 5, “Una lezione di bioetica. L’audizione di Jean Leonetti e Alain Claeys al Senato francese sulla legge sul fine vita” di Ferdinando Cancelli, “Reticenza o penne al veleno? «Our Sunday Visitor» sul  rapporto tra media e Chiesa cattolica” di Gabriele Nicolò e “Risposta al disordine internazionale nel  libro di Manlio Graziano” di Mario Benotti.

In ultima pagina, “Obbedire dialogando”; gli auguri di Francesco a Benedetto XVI nella messa a Santa Marta celebrata il giorno del suo compleanno.

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Oggi in Primo Piano



Per l'Ue il massacro degli armeni fu genocidio

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Il Parlamento europeo ha approvato ieri una risoluzione sul genocidio armeno per ricordare i 100 anni di quella tragedia. Forte anche l’esortazione alla Turchia di continuare i suoi sforzi per il riconoscimento del massacro, avvenuto tra il 1915 e il 1917, a conclusione dell’Impero Ottomano. Sulla pronuncia di Bruxelles, Giancarlo La Vella ha intervistato Valentina Scotti, ricercatrice di Diritto Pubblico Comparato alla Luiss, studiosa di questioni turche: 

R. – L’Unione Europea riconosce la tragedia armena come genocidio già dal 1987 e da tempo esorta la Turchia ad aprire gli archivi e ad avviare un percorso di chiarimento con la controparte armena. Quello di ieri è probabilmente un ulteriore tentativo di pressione da parte di Bruxelles nei confronti della Turchia, perché si metta fine a una questione veramente annosa e che meriterebbe di vedere una conclusione. Essa, però, giunge in un momento in cui Ankara è impegnata in una campagna elettorale particolarmente rilevante per il Paese e potrebbe essere strumentalizzata a fini propagandistici, per creare nuovamente un richiamo ai principi nazionalisti. E questo potrebbe creare anche dei problemi nel percorso di adesione all’Ue.

D.  – Quindi su questo aspetto non c’è il rischio che si guastino i rapporti tra Bruxelles e Ankara?

R.  – I rapporti, che non sono ottimi in questo periodo, non credo possano essere effettivamente guastati da questa risoluzione. E’ probabile che subentreranno dichiarazioni diplomaticamente ruvide nei confronti dell’Unione Europea, però credo che, se problemi ci devono essere tra la Turchia e l’Ue, non deriveranno da questa risoluzione, ma piuttosto dal fatto che la Turchia attende da tempo che Bruxelles ormai da tempo si pronunci in maniera definitiva su una possibilità di adesione o meno.

D.  – Qual è la posizione di Ankara su quanto avvenuto nei confronti degli armeni tra il 1915 e il 1917?

R.  – La posizione di Ankara storicamente è quella di ritenere che, se di genocidio si è trattato, comunque è stato perpetrato dagli ottomani, quindi non dall’attuale Repubblica turca. In generale, però, si tende a far prevalere una verità storica, per cui non si sia trattato di un vero e proprio genocidio, ma piuttosto di morti accidentali durante i duri spostamenti della popolazione armena. Mi sento, però, anche di ricordare che comunque è da tempo che Ankara si mostra propensa a ridiscutere questa visione delle cose. Nel 2001 si tentò anche di istituire una commissione congiunta per la verità storica con gli armeni. Il progetto non è andato a buon fine, però è stato seguito poi dalle condoglianze che Erdogan ha fatto lo scorso anno per le “morti” – si è spresso con questo termine generico – intervenute tra il 1915 e il 1917. Quindi, passi in avanti, sia pure di timida apertura, Ankara in qualche modo nel tempo li ha fatti.

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Colombia: governo riprende i bombardamenti contro le Farc

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Sale la tensione in Colombia tra guerriglieri e governo. In seguito all’uccisione, martedì scorso nel nord del Paese, di 11 soldati in un attacco delle Farc, il presidente Santos ha deciso di riprendere i bombardamenti interrompendo così la tregua iniziata a dicembre. In bilico i colloqui per un cessate il fuoco definitivo in corso a Cuba: anche la Chiesa colombiana ha espresso preoccupazione insieme all'auspicio a proseguire su un “percorso di vera disposizione per una pace duratura”. Per una valutazione di quanto accaduto Gabriella Ceraso ha sentito Loris Zanatta, docente di Storia e Istituzioni delle Americhe all’Università di Bologna: 

R. – Questo nuovo sanguinoso attentato delle Farc creerà dei grossi problemi politici al presidente Santos. Però ho l’impressione che siamo davanti a frange estreme che cercano, in qualche modo, di condizionare o addirittura boicottare i trattati di pace, che ritengo però siano abbastanza avanzati e godano di un contesto interno e internazionale sufficientemente buono per andare avanti. Inoltre l’esito del recente Vertice di Panama ha dimostrato che in tutto l’emisfero c’è un clima molto favorevole alla loro riuscita: non ci sono molte possibilità di tornare indietro, a questo punto sarebbe un fallimento, di cui porterebbero il peso politico e di prestigio, sia gli alleati del governo colombiano, sia gli alleati della guerriglia.

D. – Comunque l’opinione pubblica e i media colombiani non tutti sono a favore di questa trattativa: si dice “non perdiamo uomini in nome di una pace che non arriverà mai!”…

R. – Questo probabilmente è proprio l’umore di una parte dell’opinione pubblica - comprensibile dopo tanti anni di violenze – su cui cercheranno di far leva in particolare i seguaci politici del presidente Uribe, il quale ha sempre contestato la strategia negoziale. Per questo c’è da immaginare che coloro che vogliono boicottare - anche all’interno delle Farc - i negoziati di pace, compiano attentati per tornare ad una polarizzazione estrema. Però secondo me, il grosso dell’opinione pubblica, tutto sommato, continua a condividere gli obiettivi della pace. Certo, se questi attentati dovessero ripetersi e dovessero diventare una costante, allora l’umore potrebbe cambiare molto più in fretta.

D. – I negoziati stanno andando avanti, come lei ha detto: quali i tasselli che mancano ancora, quelli più importanti?

R. – Fino adesso i trattati di pace sono andati più speditamente di quanto si pensasse e hanno incontrato meno ostacoli di quelli che ci si potessero aspettare.Per esempio sul tema della riforma agraria, un vecchio totem della guerriglia, ci si aspettava chissà quale scontro ideologico; in realtà non c’è stato nulla di tale. Il vero nodo - e probabilmente quello più delicato - è sul futuro dei guerriglieri che lasciano le armi: la loro inclusione nella società e nell’ordine politico è quello più delicato e più complesso. i guerriglieri chiedono garanzie e il governo è in grado di offrirne fino a un certo punto. Penso che quello sarà l’ultimo e il più spinoso, perché in passato, in Colombia, i gruppi guerriglieri che si sono reintegrati nella vita politica hanno subito grosse e grosse – diciamo - ripercussioni negative e anche grandi violenze. Quindi si capisce che le Farc cerchino di tutelarsi. Il fatto stesso però che questo sia il tema principali indica che in fondo la via della pacificazione è oramai intrapresa.

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Yemen. Dimissioni inviato Onu: poco spazio per la mediazione

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La scelta del diplomatico marocchino Jamal Benomar di dimettersi dal suo incarico di inviato dell’Onu in Yemen è il segno di una fase che non da spazio alla mediazione. L'embargo sulle armi e le sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu hanno inoltre sollevato le proteste del movimento ribelle sciita degli Houthi. L’Oman sembra essere l’unico attore regionale in grado di riaprire il dialogo. Claudia Minici ha sentito Eleonora Ardemagni, analista delle relazioni internazionali del Medio Oriente presso l'Ispi. 

R. – Penso che fondamentalmente Benomar si sia dimesso per una perdita di fiducia delle parti nei suoi confronti. Benomar era in carica dal 2012, il blocco di potere legato all’ex presidente Alì Abdullah Saleh era più volte stato critico nei suoi confronti perché Benomar aveva criticato le continue interferenze di Saleh nel processo di transizione. Ma in queste ultime settimane l’Arabia Saudita in particolare è rimasta risentita nei confronti di Benomar perché il diplomatico marocchino ha proseguito nel suo compito di cercare una mediazione diplomatica con gli houthi, con le milizie sciite, nonostante questi stessero guadagnando militarmente spazio sul campo. Le dimissioni dell’inviato dell’Onu dimostrano che in questa fase purtroppo in Yemen lo spazio della mediazione è sempre più stretto e questa situazione viene ulteriormente complicata dalla crescita della tensione regionale fra Arabia Saudita e Iran.

D. – L’embargo sulle armi ai miliziani sciiti houthi imposto dalle Nazioni Unite ha buone possibilità di riuscita nel garantire maggiore stabilità al Paese?

R. – Penso che in realtà le armi in Yemen già abbondino. Quindi dal punto di vista della presenza di armi da parte dei miliziani houthi e anche dei tanti segmenti delle forze di sicurezza e dell’esercito che ancora rispondono all’ex presidente Saleh. Quindi penso che questa decisione non cambi molto gli equilibri sul campo. E poi sta creando ulteriore frizione a livello regionale perché l’altra parte - quella invece dei miliziani sunniti sostenuti dall’Arabia saudita e dei comitati popolari che appoggiano invece il governo riconosciuto dalla comunità internazionale del presidente Hadi - non è invece stata colpita da questo embargo. Inoltre il capo del partito Ansarullah, che è il partito degli houthi,  Abdul Malik Al Houthi e il figlio dell’ex presidente Saleh, Ahmed Saleh,  sono stati colpiti da sanzioni personali sempre da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Quindi penso che questa decisione del Consiglio di sicurezza non abbia ripercussioni di stabilizzazione sul campo.

D. – Le proteste popolari contro tale provvedimento potrebbero in qualche modo portare a dei compromessi?

R. – La strada della mediazione sembra in questa fase davvero stretta. L’Oman che è rimasto fuori dalla coalizione militare sunnita che ha deciso di intervenire in Yemen, avendo buoni rapporti sia con i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, che con l’Iran, potrebbe essere l’unico attore regionale in grado di ritrovare un filo del dialogo che sembra perduto.

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Immigrazione. Mons. Perego: necessario Europa affronti emegenza

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L’emergenza immigrazione “è la priorità delle priorità per la Commissione europea”. E’ quanto ha dichiarato il portavoce dell’organismo comunitario, Margaritis Schinas, aggiungendo che entro maggio verrà delineata una nuova strategia. In Italia, intanto, proseguono gli sbarchi di migranti provenienti dal Nord Africa. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Da gennaio oltre 21 mila migranti sbarcati in Italia 
E’ un’istantanea parziale, ma significativa, quella che emerge dai dati riferiti agli sbarchi avvenuti in Italia a partire da gennaio. Gli immigrati arrivati nel territorio italiano, dopo la traversata nel Mediterraneo, sono stati 21 mila e 300. Nello stesso periodo, nel 2014, erano stati meno di 21 mila. A partire da gennaio, oltre 17 mila persone sono sbarcate in Sicilia e, nella maggior parte dei casi, è stata la Libia il Paese di partenza. Gli immigrati arrivati in Italia, in questi ultimi mesi, sono soprattutto di nazionalità siriana (2.520), eritrea (2.067) e somala (1.561). Si tratta di flussi migratori rilevanti. L’Onu ha riconosciuto che l’Italia sta portando un fardello enorme per conto dell'Europa. Mons Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes: 

“Le migliaia di persone che sono sbarcate in questi giorni e che si sono aggiunte ai 170 mila dello scorso anno, vedono esattamente, anzitutto, l’Italia, come Paese d’arrivo. Non dimentichiamo, però, che lo scorso anno, due persone su tre hanno continuato il cammino verso Paesi europei. E’ vero che tra i 28 Paesi europei soltanto cinque, oggi, stanno facendo una politica molto forte di accoglienza, per quanto riguarda i richiedenti asilo: la Germania, l’Italia, la Svezia, la Danimarca e, in particolare, la Francia”. Sarebbe necessario che tutti i Paesi europei affrontassero questa emergenza e questa situazione di arrivo di persone che, come sappiamo, fuggono da situazione gravi di guerra e di persecuzioni. E’ quindi necessario che l’Europa riorganizzi, effettivamente, il trattato di Dublino cercando di fare in modo che maggiormente diventi una casa in grado di tutelare il diritto di asilo.

Accoglienza: ancora forti differenze sul territorio italiano
Per quanto riguarda l’accoglienza, in Italia si registrano profonde differenze tra le varie realtà territoriali: “L’affermazione dell’Onu di attenzione alla realtà italiana, di come sta affrontando l’accoglienza dei richiedenti asilo, non deve far venire meno e indebolire, o rendere discrezionale, in tutte le regioni italiane e in tutti i Comuni italiani l’attenzione alla tutela dei richiedenti asilo. Noi abbiamo delle situazioni in cui alcune regioni, come il Molise, accolgono cinque volte di più che non per esempio il Veneto. E’ molto importante che, effettivamente, attorno al tema della richiesta d’asilo, che è un diritto fondamentale, si ripensi anche al nostro welfare, al welfare delle nostre regioni: questa tutela sia strutturale al nostro sistema sociale, al nostro sistema di welfare, e non sia discrezionale come purtroppo sta avvenendo su basi, su ragioni tante volte politiche o ideologiche in alcune regioni e in alcuni Comuni”.

Giornata in memoria delle vittime dell'immigrazione
Da segnalare, infine, che la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge che istituisce il 3 ottobre la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. Sarà l’occasione per iniziative di sensibilizzazione, anche nelle scuole, sui temi dell’accoglienza e della solidarietà nei confronti dei migranti. Ancora mons. Perego“Questa iniziativa è importante come anche l’altra iniziativa, per la quale si sta arrivando ad una decisione nel contesto europeo: quella della celebrazione il 2 agosto anche del genocidio dei rom durante le leggi razziali. Sono due iniziative, soprattutto sul piano dell’informazione, sul piano culturale, ma anche sul piano dell’attenzione dei fenomeni, che possono essere importanti nel leggere la società di oggi. Sono molto importanti da sostenere. Si tratta effettivamente, attraverso queste giornate, di non fare semplicemente una celebrazione accademica, ma di riuscire veramente a rendere partecipi i giovani, i ragazzi, anzitutto nelle scuole, ma ogni cittadino, di un fenomeno (quello dell’immigrazione) che sta cambiando i luoghi fondamentali della nostra vita: la scuola, il mondo del lavoro, il mondo della società”.

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A Roma, preghiera di pace per i cristiani in Medio Oriente

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“Non sappiamo quando la via crucis dei cristiani in Medio oriente avrà fine”, così Ignace Youssef III Younan, patriarca della chiesa siro-cattolica durante la preghiera della pace che si è svolta nella parrocchia di Santa Maria ai Monti. Riunite insieme la comunità ucraina, quella siriaca e quelle degli altri Paesi tormentati dalla persecuzione e dalla guerra. L’iniziativa è stata promossa dal Centro per la cooperazione missionaria tra le chiese e l’Ufficio per la pastorale delle migrazioni della diocesi di Roma. Il servizio di Michele Raviart

“La pace sia con voi”. Le parole di Gesù agli Apostoli dopo la Pasqua guidano la preghiera per i cristiani perseguitati e le vittime della guerra. Iraq, Siria, ma anche Ucraina - rappresentata dalla folta comunità che si ritrova nel quartiere romano di Monti – Nigeria e Kenya. “Senza l’ossigeno della pace l’uomo muore e solo chi vive la pace dentro di sé può darla agli altri”, dice mons. Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, che spiega le iniziative della diocesi dell’Urbe in favore dei nuovi martiri cristiani:

"In questi mesi ci sono state due priorità. Una è stata la preghiera, per cui quasi mensilmente le chiese del centro si sono ritrovate con le comunità siriache e irachene per pregare per la pace e continuare quello che ci chiese il nostro vescovo. Tutti si ricordano la veglia che Papa Francesco organizzò a settembre di due anni fa proprio per la Siria. Poi, ci sono alcune iniziative di solidarietà. La diocesi di Roma ha mandato queste colombe per la pace che hanno coinvolto tutta la città. Abbiamo sostenuto alcune iniziative di accoglienza per i profughi. E so anche di altre iniziative molto concrete, per esempio dal mandare matite, quaderni… Non dobbiamo dimenticare che la preghiera protegge e che anche la solidarietà non è fatta mai soltanto di grandi cose ma di quei segnali che fanno sentire amati, ricordati, e chi è nel buio della guerra sa quanto questi messaggi hanno valore enorme".

In particolare è stata ricordata la tragedia di Aleppo, in Siria, devastata in questi giorni da nuovi bombardamenti. “Quello che è successo ad Aleppo nel periodo tra la Pasqua cristiana e la Pasqua ortodossa è stata una vera apocalisse”, ha affermato il vescovo armeno-cattolico della città, mons. Boutros Marayati, che aggiunge “mai abbiamo visto una guerra così sporca, la gente continua a scappare. Ci sentiamo abbandonati come Cristo sulla croce”. Il patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssef III Younan, lancia poi un appello alla pace rivolto ai Paesi dell’Occidente:

"Noi vogliamo ripetere ciò che diciamo già da molto tempo, già dall’inizio della crisi: per favore, cercate di convincere tutte le parti a un vero dialogo di riconciliazione e basta mandare le armi, perché tutte queste armi andranno a finire nelle mani di ciò che è chiamato 'Stato islamico', dei terroristi. Abbiamo bisogno di sforzi sinceri e onesti per la pace”.

“Da secoli siamo là e siamo perseguitati solo per essere fedeli alla nostra fede in Gesù Cristo”, ha concluso il patriarca.

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Giornata contro la schiavitù infantile: 21 milioni le vittime

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Il 16 aprile di dieci anni fa moriva Iqbal Masih, un bambino di 12 anni ucciso dalle mafie tessili del Pakistan perché ne aveva denunciato lo sfruttamento. La Giornata mondiale contro la schiavitù infantile ne ricorda l’anniversario.I dati più aggiornati sul lavoro forzato nel mondo risalgono al 2012 e ci parlano di circa 21 milioni di minori sfruttati. Ma quanto è stato fatto contro la schiavitù infantile e quanto rimane da fare? Federica Bertolucci lo ha chiesto a Carlotta Bellini, responsabile protezione "Save the children Italia": 

R. – C’è da fare tantissimo: in Italia, perché manca un piano nazionale contro la tratta di esseri umani e un piano che preveda anche delle misure di supporto per le vittime; e a livello internazionale, perché in questi giorni – e in particolare negli ultimi quattro giorni – sono più di 8 mila le persone che sono arrivate alla frontiera sud dell’Italia e dell’Europa e che hanno raccontato delle storie atroci. Persone che sono, a tutti gli effetti, trattate come schiave: sono bruciate vive, sono torturate e le si costringe a chiamare le famiglie per far sentire loro le urla di dolore; bambini che vengono imprigionati nel deserto, che diventano vittime di tratta… E una volta che sono in Italia o in Europa questo rischio lo corrono ancora.

D. – Non esiste solo la schiavitù nelle multinazionali o nei campi di lavoro: c’è anche lo sfruttamento sessuale e il fenomeno dei matrimoni precoci…

R. – Lo sfruttamento sessuale in Italia riguarda soprattutto il gruppo delle ragazze che provengono da Paesi dell’Est - e tra queste anche e soprattutto da Paesi dell’Unione Europea, come la Romania e la Bulgaria - e le ragazze nigeriane. Si tratta di minori ed adolescenti femmine che vengono reclutate nei loro Paesi di origine, con la promessa di lavori che potrebbero essere quello della parrucchiera – per le ragazze nigeriane è la promessa più ricorrente - oppure quello di babysitter: una volta che sono nel nostro Paese, invece, vengono controllate e sfruttate a tutti gli effetti. C’è poi il fenomeno dei matrimoni precoci: si tratta di un fenomeno che coinvolge soprattutto ragazze che provengono da Paesi dell’ex Jugoslavia, ma che coinvolge anche minori italiane: in questo caso si tratta di minori rom, che vengono vendute da una famiglia ad un’altra famiglia per essere date in sposa ad un uomo. Una volta che il matrimonio avviene, divengono delle schiave: vengono costrette a rubare oppure a compiere altre attività illegali.

D. – L’Italia è il Paese in Europa dove è stato segnalato il maggior numero di vittime accertate e presunte. I dati ci parlano di quasi 2.400 minori sfruttati nel 2010…

R. – Sicuramente il numero è sottostimato. Rimangono molte ragazze e anche molti minori maschi che sono coinvolti in attività di sfruttamento lavorativo o sfruttamento sessuale e che non vengono identificati. Quindi quella che noi conosciamo è veramente solo la punta di un iceberg. E’ fondamentale l’impegno da parte del governo italiano, attraverso l’adozione finalmente di un piano nazionale sulla tratta e sullo sfruttamento; a livello europeo attraverso una azione condivisa per l’accoglienza e per il supporto e la protezione; e a livello mondiale per affrontare fenomeni che non vengono assolutamente registrati come fenomeni di sfruttamento, abusi, violenze e di nuovo – purtroppo! – di schiavitù.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sud Corea. Card. Yeom: tragedia del Sewol ha distrutto i nostri valori

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Con l’affondamento del Sewol “non abbiamo perso soltanto delle persone care. Abbiamo perso i nostri valori migliori, la nostra considerazione per gli altri, il nostro orgoglio nazionale e – cosa più importante – la nostra fede nel prossimo e nella società. Dobbiamo riflettere su questi fallimenti e pentirci. Ma questo non vuol dire essere indulgenti nei confronti di coloro che hanno sbagliato”. Lo ha detto l’arcivescovo di Seoul, card. Andrea Yeom Soo-jung, nell’omelia pronunciata oggi in occasione del primo anniversario dell’affondamento del traghetto.

Non c'è ancora un'inchiesta ufficiale
Nella tragedia - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno perso la vita più di 300 persone, per la maggior parte giovani studenti liceali in gita scolastica. Nonostante le richieste della popolazione, il governo non ha ancora dato il via a un’inchiesta ufficiale sulle cause del disastro. Secondo diversi analisti e fonti di AsiaNews, dietro questa omissione vi è la paura di rivelare i rapporti economici e politici fra la ditta proprietaria del Sewol e l’esecutivo.

Il card. Yeom chiede di far luce sulla vicenda
Nel processo contro il capitano della nave e alcuni membri dell’equipaggio che si è svolto nel novembre 2014, la corte ha condannato i 15 imputati a pene che vanno dai 36 ai 20 anni di carcere. Tuttavia, nessun accenno è stato fatto alle cause e alle responsabilità della società proprietaria del Sewol. Su questo tema è intervenuto lo stesso cardinale: “Il governo deve lanciare un’inchiesta nazionale per identificare le cause che hanno portato alla tragedia e individuare il colpevole. Servono azioni politiche immediate per risolvere i problemi sorti e diradare la confusione attorno alla vicenda”.

Lo Stato deve ancora fare la sua parte
Anche la Commissione episcopale Giustizia e Pace, guidata da mons. Lazzaro You Heung-sik, ha chiesto verità sull’accaduto. In un messaggio inviato a tutte le diocesi e a tutti i fedeli, il vescovo di Daejeon scrive: “Serve un’indagine corretta su quello che è accaduto, perché senza questa non possiamo andare avanti su un cammino di vero perdono e riconciliazione. Lo Stato deve ancora fare la sua parte. Cresce la sfiducia nel governo, servono onestà e sincerità”.

Celebrazioni in ricordo della tragedia
Oggi tutto il Paese si è fermato per ricordare le vittime. Una struggente cerimonia si è svolta nel porto di Ansan, davanti al quale è affondato il traghetto: i genitori degli studenti hanno pronunciato il nome dei propri defunti lanciando per ogni nome una rosa in mare. A Seoul è stata scoperta una targa commemorativa, e la presidente Park Geun-hye ha pronunciato un discorso sottolineando che intende “quanto prima” recuperare il relitto per “iniziare un processo di risanamento”.

Le famiglie delle vittime avevano incontrato il Papa a Seoul
​Tuttavia, i gruppi di familiari riuniti nella piazza Gwanghwamun di Seoul, il cuore della capitale, hanno contestato la Presidente, chiedendo “al posto di risarcimenti e parole di facciata” una “vera opera di pulizia interna”. Proprio questi gruppi sono stati incontrati da papa Francesco prima della Messa di beatificazione dei 134 martiri coreani, che si è svolta proprio nella piazza lo scorso 16 agosto 2014. Concludendo la sua omelia, il card. Yeom ha detto: “Non c’è nulla di più triste che perdere le persone che amiamo di più. Oggi le nostre preghiere e i nostri pensieri sono con le vittime e con le loro famiglie. Possa il Signore dare loro la forza e il conforto necessari per affrontare il loro dolore”. (R.P.)

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Pakistan: non convince morte improvvisa del giovane cristiano

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“Siamo scioccati. La morte di Nauman Masih, il 14enne cristiano arso vivo da un gruppo di musulmani, è sorprendente. Due giorni fa i dottori dicevano che, nonostante le gravi ustioni, il ragazzo sarebbe sopravvissuto, in quanto non c’erano organi interni danneggiati. Poi la morte dopo un intervento di chirurgia plastica”. E’ quanto dichiara all’agenzia Fides l’avvocato cristiano Aneeqa Maria Anthony, coordinatrice della Ong “The Voice Society”, che riunisce un pool di legali impegnati per la difesa dei diritti umani. L’organizzazione ha seguito il caso fin dall’inizio, raccogliendo le dichiarazioni di Nauman Nasih e presentando la formale denuncia alla polizia. I membri della Ong sono rimasti al capezzale del ragazzo dalla sera del giorno dell’aggressione.

Aggredito dopo la sua professione di fede cristiana
Ieri alcune fonti hanno cercato di addurre motivazioni per l’aggressione diverse dal fattore religioso: secondo alcuni mass-media pakistani l’attacco a Nauman sarebbe stato frutto di una disputa intrafamiliare. L’avvocato Anthony smentisce categoricamente: “Abbiamo raccolto il racconto di Nauman e la sua spiegazione dei fatti era chiara. Lo hanno aggredito due sconosciuti solo dopo la sua professione della fede cristiana. Il resto sono voci infondate o depistaggi”. Secondo la donna, “all’85% delle probabilità si tratta di una rappresaglia per il linciaggi di due musulmani a Youhanabad”.

Con la sua morte gli aggressori rimarranno impuniti
Restano da chiarire le circostanze della morte. “Aspettiamo il referto del medico legale e l’autopsia. La sua morte improvvisa non convince. E’ necessaria una indagine approfondita. Nauman aveva detto di essere in grado di riconoscere i suoi aggressori, che ora resteranno impuniti” afferma. L’avvocato promette che la Ong “The Voice Society” continuerà a seguire il caso “per una questione di giustizia”. “Seguiremo l’operato della polizia e delle autorità civili. Ribadiamo alle istituzioni la richiesta di porre il massimo impegno per far luce su questa triste vicenda che vede un ragazzo innocente soccombere ingiustamente, solo a causa della sua fede”. (P.A.)

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India: ad Agra atti vandalici contro statue della Madonna

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Nelle prime ore di questa mattina persone non identificate hanno danneggiato quattro statue della Madonna nella chiesta di St. Mary ad Agra. I vandali hanno rimosso le sculture dalle teche e legato una catena per cani intorno al collo del busto raffigurante Maria con in braccio Gesù bambino. La chiesa si trova nel quartiere di Pratabpura, nella città nota in tutto il mondo per il Taj Mahal. Secondo il parroco padre Moon Lazarus “mettendo la catena per cani al collo della Madre Maria gli intrusi hanno voluto ferire i nostri sentimenti religiosi”. Il sacerdote ha sporto denuncia alla polizia locale. Più tardi, nella giornata di oggi, la comunità cristiana ha organizzato una marcia di protesta.

Profonda vergogna per l'atto vandalico
Sajan K. George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), esprime all'agenzia AsiaNews “profonda vergogna per l’atto vandalico su quattro statue della Madre Maria. È persino più volgare che a una di esse sia stata legata una catena per cani. Di recente Arun Jaitley, il ministro delle Finanze, ha detto che ci sono ‘prove che la maggior parte degli attacchi alle chiese non hanno motivi religiosi’. I media diranno ora la verità?”.

In aumento le violenze contro la minoranza cristiana
​“Simili ostilità contro la minoranza cristiana – sottolinea l’attivista – stanno solo aumentando, mentre il governo non fa nulla per fermarli e i radicali della destra indù continuano con le loro diatribe, come la recente richiesta di sterilizzazioni forzate per i cristiani. L’obiettivo delle brigate hindutva è ancora quello di creare un Hindu Rashtra, una nazione indù in cui le minoranze saranno cittadini di seconda classe”. (N.C.)

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Israele. Chiesa maronita: polizia inerte per attacchi ai cimiteri

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“Sono state danneggiate più di 19 fra tombe e lapidi, hanno rotto diverse croci. Il custode del cimitero ci ha subito informati di un attacco che ci ha sorpreso, anche se non è il primo”. È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Soussan Salim, vicario generale dell’arcieparchia di Haifa e Terra Santa dei Maroniti, commentando il nuovo attacco avvenuto ieri contro il cimitero maronita di Kufr Birim, villaggio nel nord di Israele, poco distante dai confini con il Libano. Nel Paese si verificano da tempo episodi di violenze contro chiese, cimiteri, conventi o edifici sacri, spesso perpetrati da fondamentalisti ebraici. “È la settima volta - aggiunge il leader della Chiesa maronita - che il cimitero è preso di mira, sei negli ultimi 10 anni. E la polizia non ha mai individuato i responsabili”.

Estremisti israeliani contro cristiani e musulmani
La polizia ha aperto un fascicolo di inchiesta contro ignoti, dopo aver ricevuto la denuncia di alcuni abitanti della zona che parlano di lapidi “spezzate e sparpagliate” in diversi punti. Kufr Birim è un villaggio palestinese i cui abitanti furono cacciati dalle forze israeliane nel 1948, sei mesi dopo la nascita dello Stato di Israele, e che da allora non hanno più potuto fare ritorno. Nel 1953 il villaggio è stati quasi in toto raso al suolo dall’esercito di occupazione. Dietro il raid vi potrebbero essere i coloni israeliani, che hanno colpito un nuovo luogo di culto cristiano - ma nel mirino vi sono anche moschee e luoghi di culto musulmani - secondo la logica del “price tag”. Il “prezzo da pagare” è un motto utilizzato dagli estremisti israeliani, che minacciano cristiani e musulmani per aver “sottratto loro la terra”. Un tempo il fenomeno era diffuso solo nelle aree al confine con la Cisgiordania e a Gerusalemme, ma oggi si è esteso in gran parte del territorio.

Ferma condanna dell'episcopato di Terra Santa
Sulla vicenda si è espressa anche la Conferenza episcopale di Terra Santa, con una ferma condanna per la profanazione del cimitero maronita. “Ieri si è tenuta una riunione di emergenza dei sacerdoti maroniti e il loro vescovo - racconta il leader cristiano - e come prima risposta si è deciso sabato 18 aprile di celebrare una messa per i morti del villaggio le cui tombe sono state profanate”. Vi sarà anche, aggiunge, “una fiaccolata che partirà dalla chiesa e si concluderà al cimitero”. Una forma di protesta ferma, ma pacifica “contro quanto è successo”. “Non è compito nostro - avverte mons. Salim - interpretare la vicenda e dire se vi sono elementi religiosi o politici”. Tuttavia, conclude, “siamo consapevoli che se l’autorità israeliana vuole scoprire i responsabili ha di certo i mezzi per farlo. Forse manca il desiderio o la volontà di farlo; e noi vogliamo giustizia”.  

La visita del patriarca maronita Beshara Rai
​In Israele vi sono circa 11.400 cattolici maroniti. Lo scorso anno il card. Bechara Rai, patriarca della Chiesa maronita, ha compiuto uno storico viaggio in Terra Santa, durante il quale ha visitato anche il villaggio di Kufr Birim; il porporato ha chiesto aiuto, perché gli abitanti originari del villaggio possano fare ritorno nella loro terra. Il 14 aprile scorso il Presidente israeliano Reuven Rivlin ha incontrato i vertici della Chiesa nella Città Vecchia, a Gerusalemme, assicurando il massimo impegno delle autorità nella lotta contro le violenze e i crimini a sfondo confessionale. (D.S.)

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Vanuatu: aiuti della Chiesa per i senzatetto del ciclone Pam

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La Chiesa cattolica dell’arcipelago delle Vanuatu, con il supporto delle Caritas Oceania, comprese Caritas Australia e Caritas Aotearoa New Zealand, ha distribuito tende, teloni e altri materiali di emergenza alle popolazioni colpite dal passaggio del ciclone Pam, un mese fa, che sono ancora senzatetto. Molta gente infatti vive all’aperto, senza cibo, medicine, e i residenti si trovano ad affrontare uno degli eventi più disastrosi che abbia mai colpito il loro arcipelago.

Gli sfollati potrebbero essere il 70% della popolazione
Con le reti della Caritas, la diocesi di Port Vila sta cercando di rispondere tempestivamente ai principali bisogni della popolazione. Circa il 70% rischia di essere sfollato. Quindicimila abitazioni sono andate completamente distrutte o danneggiate e 75 mila persone sono ancora senza un alloggio. Le condizioni di vita sono ancora molto difficili nonostante gli interventi , tra gli altri, della Croce Rossa di Vanatu, di Oxfam New Zealand grazie al quale la diocesi di Port Vila, attraverso il programma ‘Cash for Work’, sta distribuendo sussidi economici alle famiglie più bisognose. L’obiettivo è favorire il recupero delle comunità e delle famiglie e promuovere nel contempo la dignità delle comunità interessate.

Caritas prepara la popolazione ad eventuali disastri futuri
​La diocesi di Port Vila sta inoltre portando avanti il piano della rete cattolica focalizzato su come aiutare le comunità dell’arcipelago e delle isole esterne a ricostruire ripari e a fornire mezzi di sussistenza, oltre ad essere impegnata a migliorare la preparazione delle comunità nell’ipotesi di eventuali disastri futuri. La Caritas gestisce programmi di aiuto alle comunità a Vanuatu e in altri Paesi del Pacifico per identificare le persone più a rischio in caso di disastri, le tecniche per ridurne le vulnerabilità e preparare la popolazione alle catastrofi, insegnando come proteggere case, magazzini alimentari, forniture di emergenza e a sviluppare piani di evacuazione. (A.P.)

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Vaticano: simposio su cambiamenti climatici e religioni

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“Proteggere la Terra, nobilitare l’umanità. Le dimensioni morali dei cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile”. È questo il tema del Simposio che si svolgerà in Vaticano martedì 28 aprile, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze in collaborazione con “Religion for peace”. Ad aprire il simposio saranno il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della pace, card. Peter Kodwo Appiah Turkson, e il cancelliere della Pontificia Accademia mons. Marcelo Sánchez Sorondo. 

Simposio alla vigilia della nuova enciclica del Papa sull'ambiente
All’incontro - riporta l'agenzia Sir - parteciperanno 60 invitati come rappresentanti del mondo della scienza, della diplomazia, esperti di sviluppo accademici e 20 leader religiosi. Il simposio si svolge alla “vigilia” della pubblicazione della nuova enciclica di Papa Francesco sull’ambiente e del Summit sul cambiamento climatico di Parigi che, a dicembre, avrà il compito di mettere nero su bianco, in un documento, l’impegno di tutte le nazioni e potenze economiche nella lotta alle emissioni climalteranti e nel contenimento della temperatura globale entro gli ormai celebri due gradi di aumento. 

Dibattito mondiale sulle dimensioni morali per la tutela dell'ambiente
​Il simposio vaticano - si legge nella presentazione della Pontificia Accademia delle Scienze - mira a “sensibilizzare e creare un consenso sui valori dello sviluppo sostenibile in coerenza con i valori delle principali tradizioni religiose principali, con particolare attenzione per i più vulnerabili”. Scopo del simposio è anche quello di contribuire al dibattito mondiale sul tema indicando le “dimensioni morali” che sono alla base della tutela dell’ambiente prima dell’enciclica papale” e aiutando a “costruire un movimento globale in tutte le religioni per lo sviluppo sostenibile e il cambiamento climatico durante tutto il 2015 e oltre”. 

Rispetto per l'ambiente e per i poveri
Al termine del simposio sarà diffusa una dichiarazione congiunta sull’imperativo morale e religioso della sostenibilità, “mettendo in evidenza il legame intrinseco tra il rispetto per l’ambiente e il rispetto per le persone, specialmente i poveri, gli esclusi, le vittime della tratta e della schiavitù moderna, i bambini e le generazioni future”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 106

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.