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Sommario del 15/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: "gender" è passo indietro, uomo e donna hanno pari dignità

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La teoria del “gender” invece di essere una soluzione per i problemi di rapporto tra uomo e donna rischia di essere “un passo indietro”. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, davanti a circa 50 mila persone. Il Papa ha ribadito che uomo e donna sono stati pensati da Dio con caratteristiche complementari e dotati entrambi di identica dignità. Il servizio di Alessandro De Carolis

Maschio e femmina li creò e per Dio le due creature erano a Lui somiglianti e complementari fra loro. Erano, afferma Papa Francesco, il suo “capolavoro”, il “vertice della creazione divina”. I problemi sono nati dopo con l’uomo, quando lungo la storia ha inteso la diversità come contrapposizione, ha preferito la subordinazione alla reciprocità, fino ad arrivare ai nostri giorni, quelli dei diritti chiesti e magari imposti, che altrove nel mondo continuano a essere una parola semisconosciuta e calpestata.

Gender, “passo indietro”
Francesco parte proprio dalla “cultura moderna e contemporanea” per riaffermare – nello spazio tra i due Sinodi – la visione cristiana sulla coppia e il matrimonio. Parte dai “nuovi spazi” di libertà individuati nel rapporto uomo-donna che hanno finito per generare, come per la teoria del “gender”, “molti dubbi” e “molto scetticismo”:

“Io mi domando, ad esempio, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Eh! rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione”.

Reciprocità per capire la diversità
Francesco si rifà all’esperienza concreta e quotidiana, che “insegna” invece una realtà del tutto evidente:

“Per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze. Siamo fatti per ascoltarci e aiutarci a vicenda. Possiamo dire che senza l’arricchimento reciproco in questa relazione – nel pensiero e nell’azione, negli affetti e nel lavoro, anche nella fede – i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e donna”.

Volersi più bene
Uomo e donna, prosegue, Dio li ha creati a sua immagine non solo individualmente, ma anche “come coppia” e dunque la loro differenza va intesa come “comunione” e “generazione”. “Mi chiedo – osserva ancora Francesco – se la crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione all’incredulità e al cinismo, non sia anche connessa alla crisi dell’alleanza tra uomo e donna”.

“Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, e lo è per tutti, non solo per i credenti”.

Voce donna abbia peso reale nella società e nella Chiesa
Il Papa invita anche gli intellettuali “a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario – obietta – per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta”. E maggiore giustizia, ribadisce, vuol dire più impegno “in favore della donna”, prendendo a modello Gesù che – ricorda – l’ha considerata protagonista “in un contesto meno favorevole del nostro”:

“E’ necessario, infatti, che la donna non solo sia più ascoltata, ma che la sua voce abbia un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta, nella società e nella Chiesa (…) Ancora non abbiamo capito in profondità quali sono le cose che ci può dare il genio femminile, le cose che la donna può dare alla società e anche a noi, che sa vedere le cose con altri occhi che completano il pensiero degli uomini.  E’ una strada da percorrere con più creatività e audacia”.

Basta sorprusi contro le donne
La catechesi termina con un’appendice significativa quando Francesco riprende il concetto dell’uguaglianza e della pari “dignità” tra uomo e donna al momento dei saluti ai gruppi di lingua araba: “Lavoriamo, nella ‎Chiesa e nella società, affinché tale uguaglianza ‎venga rispettata, rifiutando – conclude – ogni ‎forma di‏ ‏sopruso o di ‎ingiustizia, in particolare contro le donne”.

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Francesco saluta i familiari di Asia Bibi, in prigione per blasfemia

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Al termine dell’udienza, Papa Francesco ha salutato alcuni dei familiari, marito e una figlia, di Asia Bibi, la donna cristiana pakistana accusata di blasfemia e per questo condannata a morte. Con il loro avvocato sono giunti ieri a Roma dal Pakistan, con l’aiuto dell’organizzazione CitizenGO, per chiedere all’Italia e all’Europa tutta di agire per la liberazione della donna. Il Papa ha assicurato le sue preghiere. Servizio di Francesca Sabatinelli

Da sei anni mia moglie è in prigione, ma è innocente, la situazione è brutta, chiedo aiuto all’Italia e all’Europa. La voce di Ashiq Masiq è bassa, a volte quasi un bisbiglio, ma ferma, quando parla delle sofferenze di sua moglie Asia Bibi, della sua famiglia, e di tutta la comunità cristiana pakistana martoriata dalla violenza. E’ a Roma con uno dei suoi cinque figli, la giovane Eisham, quindicenne, che commossa ripercorre i fatti che hanno portato all’arresto della madre, per aver avuto un diverbio con altre donne, un affronto che a lei, cristiana, non si poteva perdonare. Anche a Eisham non l’hanno perdonato, e anche lei, ad appena nove anni, fu picchiata assieme alla madre da chi voleva loro imporre la conversione all’islam. Ai figli manca l’amore della mamma, continua il padre, che incoraggia Eisham a parlare, nonostante le lacrime sul volto della ragazza. Occhi bassi, la giovane chiede di pregare per la madre, per la famiglia, per i cristiani del Pakistan, la cui vita è molto difficile, prosegue Ashiq, sottoposti alla rabbia di una parte dei musulmani, che colpisce anche se si viene liberati dalla prigione, spesso chi esce viene poi ucciso. Preghiamo e pregate perché Dio ci aiuti, conclude, raccontando che sua moglie rimane forte nella fede, così come nella salute.

R. – (parole in urdu)
E’ molto forte nella sua fede e mentalmente e psicologicamente sta bene. La sua speranza è in Dio, è la preghiera.

D. – Che cosa si aspetta dall’Europa?

R. – (parole in urdu)
L’Europa può fare tanto, se si impegna. Incomincia a mancare visibilità su Asia Bibi.

D. – In questo momento, che situazione state vivendo, voi cristiani? Lei, come sta vivendo?

R. – (parole in urdu)
Venerdì scorso un ragazzo è stato bruciato vivo, dopo quella coppia. Quindi, la situazione dei cristiani in Pakistan è di persecuzione.

Le pressioni sul governo pakistano sono l’ultima speranza per salvare la vita ad Asia Bibi, ripete l’avvocato della donna, Joseph Nadeem:

R. – We are expecting from Europe international pressure to the Pakistani government …
Ci aspettiamo una pressione internazionale, dall’Europa, sul governo pakistano, perché esiste una possibilità che Asia Bibi possa essere liberata perché ora il suo caso è alla Corte Suprema. E questa è la penultima occasione per salvare la vita di Asia Bibi; l’ultima possibilità è la grazia del presidente della Repubblica, ma la grazia del presidente potrebbe arrivare se i governi della comunità internazionale, insieme al governo italiano, eserciteranno pressione sul governo del Pakistan per chiedere la liberazione di Asia Bibi. Noi abbiamo presentato due richieste alla Corte Suprema per un appello in tempi brevi, ma i giudici supremi del Pakistan le hanno rigettate, ci hanno detto che dobbiamo aspettare il momento opportuno. E questo potrebbe essere fra un anno, due anni, tre anni, forse addirittura quattro anni.

D. – Lei è ottimista?

R. – Definitely, we are positive and we are struggling a lot for the freedom of Asia Bibi along with …
Decisamente siamo ottimisti; stiamo lottando strenuamente per la libertà di Asia Bibi, insieme alla comunità internazionale.

Una mozione per Asia Bibi dal Parlamento italiano è la richiesta espressa da esponenti politici di diversi schieramenti che hanno prospettato la possibilità di ricadute nei rapporti commerciali con il Pakistan nel caso il governo di Islamabad non dovesse esercitare pressioni per la liberazione della donna.

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Il cordoglio del Papa per la morte del card. Roberto Tucci

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Si è spento ieri sera a Roma il cardinale Roberto Tucci. Il 19 aprile avrebbe compiuto 94 anni. Gesuita, è stato direttore della Civiltà Cattolica e della Radio Vaticana, nonché organizzatore dei viaggi papali. Papa Francesco, in un messaggio di cordoglio inviato a padre Adolfo Nicolás, preposito generale della Compagnia di Gesù, ricorda con “animo grato” la “preziosa collaborazione” prestata per tanti decenni da questo “stimato” porporato alla Santa Sede. Ne rammenta quindi la sua “vita operosa e dinamica, spesa nell’adesione coerente e generosa alla propria vocazione quale religioso attento alle necessità degli altri e pastore fedele al Vangelo e alla Chiesa, sull’esempio di Sant’Ignazio”. I funerali del cardinale Tucci saranno celebrati venerdì 17 alle 15.30, nella Basilica Vaticana, dal cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio. Al termine, Papa Francesco presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio. Il servizio di Adriana Masotti

Napoletano, figlio di madre inglese di confessione anglicana, il card. Tucci dovette soffrire e faticare per farsi sacerdote e gesuita. Nonostante l’opposizione della famiglia a soli 15 anni entra nel noviziato della Compagnia di Gesù. Nel 1950 viene ordinato sacerdote. Chiamato nel 1956 a collaborare con la rivista dei Gesuiti, La Civiltà Cattolica, dopo tre anni ne assume la direzione. Durante i lavori del Concilio Vaticano II svolge un’intensa attività, sia nella fase preparatoria che nello svolgimento delle varie sessioni in veste di perito: rilevante il suo contributo alla stesura delle Costituzioni Gaudium et spes e Lumen gentium. Quotidiano era allora il suo contatto con i giornalisti di lingua italiana per informarli sui lavori conciliari. E’ poi consultore del segretariato per l’Unità dei cristiani, dal 1967 al ‘69 ricopre l’incarico di segretario generale della Provincia italiana della Compagnia di Gesù e in seguito quello di consigliere del padre generale, Pedro Arrupe. Paolo VI nel 1973 lo nomina direttore generale della Radio Vaticana. E come direttore dell’emittente pontificia, padre Tucci accompagna Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio, in Messico, nel 1979, a cui seguirono tutti gli altri di cui, dal 1982, diventa l’organizzatore principale. Papa Wojtyla lo crea cardinale alla soglia degli 80 anni, ma molti tra noi della Radio Vaticana, su sua esplicita richiesta, continuano a chiamarlo con l’appellativo di “padre” espressione dell’affetto maturato negli anni. E un rapporto di vicinanza e di profonda amicizia era quello che il card. Tucci ha vissuto con Giovanni Paolo II. Così il porporato ricordava Papa Wojtyla in un’ intervista di Alessandro Di Bussolo del Centro Televisivo Vaticano:

“Anzitutto, si tratta di un uomo di fede, una fede alimentata dalla preghiera. Si può dire che era in preghiera continua. Io lo vedevo pregare in macchina il Rosario oppure il breviario; lo vedevo in elicottero, in treno, in aereo: era una continua preghiera, anche quando entravamo in una chiesa ed eravamo in ritardo. (…) La tranquillità gli veniva sempre da questa grande unità col Signore. Io prego sempre il Signore che ne dia un pochino anche a me e mi rivolgo proprio a Giovanni Paolo II affinché mi aiuti. Certamente, mi ha fatto un grande favore: da ragazzo ero in una congregazione mariana - ed è lì che sono diventato cattolico e poi sono diventato anche gesuita - dove si recitava il Rosario. Durante la mia vita, lo avevo un poco trascurato, ma poi sentendo il Papa parlare dell’importanza del Rosario - che insieme con la Madonna permette di 'ripassare' l’intera vita di Gesù - posso dire che oggi è diventata la mia preghiera più cara: ogni giorno dico il Rosario e sento quanto sia importante la preghiera del Rosario, che prima consideravo una cosa noiosa, ripetitiva… Ora non la considero più tale e lo devo a lui”.

Alberto Gasbarri, attuale direttore amministrativo della Radio Vaticana, fu dal 1973 stretto collaboratore del card. Tucci nell’organizzazione dei viaggi papali e poi suo successore in questo incarico. Del porporato gesuita mette in evidenza due aspetti: la semplicità e l’umiltà. Ascoltiamo il dott. Gasbarri al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Padre Tucci per me è stato un maestro di vita e di lavoro. Ricordo la sua grande umiltà, la sua semplicità, l’amore per tutta la gente e il grande senso di carità che aveva. Era una persona di altissimo livello culturale, di grande preparazione teologica. Ricordo un episodio molto simpatico, quando Papa San Giovanni Paolo II scherzando, mentre tornavamo da un viaggio e gli illustravamo tutti i problemi logistici della preparazione del viaggio, lui – ridendo – gli disse: “Eh, caro padre Tucci, lei come è caduto in basso! Dalla teologia all’organizzazione!”. Naturalmente era una battuta, perché San Giovanni Paolo II lo apprezzava moltissimo per questo suo lavoro al servizio della Chiesa e della Santa Sede ...

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Padre Lombardi: il cardinale Tucci, religioso esemplare

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Il cardinale Roberto Tucci è stato sempre un esempio per i suoi confratelli gesuiti, come ricorda - al microfono di Roberto Piermarini - il direttore della nostra emittente, padre Federico Lombardi

R. - Devo dire che è stato un religioso esemplare nella sua vita di preghiera, nella celebrazione dell’Eucarestia, nell’inserimento della vita comunitaria. Dai suoi confratelli è sempre stato rispettato ed amato ed era perfettamente inserito nella vita del suo istituto religioso anche quando i suoi impegni – affidatigli dal Papa – lo chiamavano spesso a viaggiare e ad essere assente.

D. - Padre Tucci ha avuto un ruolo importantissimo nel Concilio Vaticano II …

R. - Sì, allora padre Tucci era il giovane direttore della Civiltà Cattolica. È stato chiamato ad essere uno degli esperti del Concilio ed ha collaborato ad alcuni dei documenti importanti; ricordiamo in particolare la Gaudium et spes. Ma ha avuto anche un ruolo molto importante nella comunicazione del Concilio, perché era una delle persone di collegamento, di fonte di informazione per i giornalisti che dovevano dare informazioni sul Concilio. Tucci ha svolto questo compito con grandissima intelligenza ed equilibrio e da questo punto di vista tutti i giornalisti che seguirono il Concilio Vaticano II lo ricordano con grandissima stima per il servizio che aveva saputo fare. Alla Civiltà Cattolica lui era un grande direttore, nel senso che non scriveva molti articoli, non teneva molte conferenze, non  faceva molte interviste; però aveva una cultura vastissima, leggeva molto e sapeva distribuire i compiti  e, soprattutto, dare spunti di riflessione, materiali di documentazione ai suoi collaboratori in un modo straordinario. Di questo, tutti i suoi collaboratori gli sono stati estremamente grati perché ha permesso loro di svolgere un lavoro molto intenso, ricco e informato. Ricordo in particolare l’equipe dei gesuiti, un po’ suoi coetanei, che venivano anch’essi dalla provincia napoletana della Compagnia di Gesù, padre de Rosa, padre Caprile - che ebbe un ruolo fondamentale nell’informazione sul Concilio proprio appoggiandosi a padre Tucci - e il padre Rulli, oltre agli altri membri del collegio della Civiltà Cattolica che conservano il ricordo di un grande direttore.

D. – In che modo padre Tucci viene ricordato come direttore della Radio Vaticana?

R. - Alla Radio Vaticana il suo servizio fu, in qualche  modo, limitato nel tempo, perché relativamente dopo pochi anni gli fu chiesto di essere l’organizzatore dei viaggi di Giovanni Paolo II e questo poi occupò la maggior parte del suo tempo e della sua attenzione pur continuando per tutto il tempo - anche durante il suo servizio come organizzatore dei viaggi - ad essere presente nell’ambiente della radio con grande discrezione, ma anche con una grandissima capacità di darci consigli con una presenza saggia e amata che ci ha accompagnato veramente per tantissimi anni e di cui siamo estremamente grati.

D. – Che cosa ha rappresentato per il Pontificato di San Giovanni Paolo II la collaborazione di padre Tucci per i viaggi apostolici?

R. - È stato un lavoro, un servizio di importanza primaria per il pontificato di Giovanni Paolo II. Sono stati un centinaio i viaggi all’estero organizzati da padre Tucci con la collaborazione di Gasbarri e di altri, ma fondamentalmente con la  responsabilità di padre Tucci. Quindi credo che per il pontificato di Giovanni Paolo II questo sia stato un servizio fatto con discrezione, con grande fedeltà, rispettava con grandissima attenzione ogni cenno di volontà, di desiderio di Giovanni Paolo II perché potesse essere realizzato. Nello stesso tempo, doveva in qualche modo proteggerlo dalla valanga di richieste -spesso anche non appropriate - che naturalmente giungevano da ogni parte quando si organizzavano i viaggi. Quindi ha saputo dimostrare con grandissima fedeltà, con semplicità, con grandissima intelligenza e con capacità di rapporti con i governi, con i nunzi, con le diverse componenti ecclesiali, la messa a punto di programmi di viaggi che sono rimasti storici e che hanno permesso  a Giovanni Paolo II di svolgere un aspetto fondamentale del suo ministero per la Chiesa in tutto il mondo e per i popoli di tutto il mondo. Per questo Giovanni Paolo II gli è stato certamente molto grato; anche il cardinalato è stata una sua maniera di manifestare questa gratitudine e questa stima per un uomo di grandissima cultura che, in fondo, aveva sacrificato la sua attività e la sua dimensione di carattere culturale e comunicativa ad un servizio di tipo organizzativo, però di estrema importanza e delicatezza.

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Consiglio di cardinali: si consolida nascita due nuovi dicasteri

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La riforma della Curia. E’ stato questo il tema al centro della riunione del Consiglio dei nove cardinali consiglieri, iniziata lunedì scorso. Ai lavori di questa sessione di incontri, che si concluderanno nel pomeriggio, ha partecipato Papa Francesco. Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha fatto il punto in un briefing. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Padre Federico Lombardi ha spiegato che la riforma della Curia romana vedrà la luce entro la fine del 2016, quando – ha precisato – se non sarà ancora completata la nuova Costituzione apostolica, saranno almeno definite le linee operative. Durante le riunioni di questi giorni – ha aggiunto padre Lombardi – è stata trattata in particolare la questione della creazione di due nuovi dicasteri:

“In linea di massima, si può dire che la linea della Costituzione di quei due dicasteri nuovi di cui si è parlato – che erano sostanzialmente Carità, giustizia, pace e Laici, famiglia, vita – è una linea che è sufficientemente consolidata”.

Riforma dei media vaticani 
Altro tema affrontato è stato quella della questione dei media vaticani a partire dal progetto già formulato. Una, in particolare, la richiesta rivolta al Papa: “Di nominare un gruppo, una commissione – diciamo pure – che abbia la responsabilità di studiare bene i passi per l’attuazione di questo schema nell’insieme approvato”.

Protezione dei minori
E un altro punto interessante, relativo alla protezione dei minori, è stato quello del tema della responsabilità della Chiesa, "cioè come affrontare – ha detto padre Lombardi – anche con quali procedure e con quali competenze, i casi che non sono tanto quelli dei crimini di abuso sessuale su persone – questi sono già in qualche modo regolati dalle norme esistenti – ma i casi di abuso di ufficio, di omissione di responsabilità, in particolare da parte di persone che abbiano delle responsabilità nella Chiesa, siano esse sacerdoti, vescovi, superiori religiosi o altri”.

Martirio armeno e "genocidio"
Rispondendo d una domanda di un giornalista sull’utilizzo domenica scorsa, da parte del Papa, del termine “genocidio” in occasione della Messa per il centenario del martirio armeno, padre Lombardi ha spiegato che le parole del Santo Padre si inseriscono in una "linea precisa e coerente, nel solco del dialogo”:

"Quello che ha detto il Papa mi sembra chiaro come il sole. Lo ha detto, lo ha articolato, ha fatto riferimento alla citazione della Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e di Karekin. Ha usato, quindi, il termine “genocidio” nell’ambito della citazione di questo, mettendosi in continuità con un uso già compiuto di quella definizione, di quella parola, che dice anche “generalmente ritenuto il primo del secolo”. Poi, c’era questa visione molto interessante del Papa, che a me sembra veramente geniale, questa contestualizzazione storica. Non ha detto: “Continuiamo a discutere del genocidio degli armeni. Attenzione, questo è uno e poi nel secolo scorso e così via sono successe tante altre cose orribili e ne stanno succedendo anche attualmente, quindi vediamo di prendere atto di ciò che è avvenuto nella storia, in modo tale che possiamo avere poi gli atteggiamenti adeguati per andare avanti in una storia migliore, in cui queste cose non si ripetano”. Questo discorso quindi era molto chiaro, per chi lo voleva cogliere, molto ricco e anche con questo riferimento positivo, alla fine, al desiderio di riconciliazione e di dialogo tra il popolo turco e il popolo armeno. Una prospettiva, quindi, positiva".

Padre Lombardi ha infine reso noto che le prossime riunioni del Consiglio dei cardinali sono in programma dall’8 al 10 giugno, dal 14 al 16 settembre e dal 10 al 12 dicembre.

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Rinunce e nomine

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Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Taubaté (Brasile), presentata da S.E. Mons. Carmo João Rhoden, S.C.I., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Taubaté (Brasile) S.E. Mons. Wilson Luís Angotti Filho, finora Vescovo titolare di Tabe ed Ausiliare dell’arcidiocesi di Belo Horizonte. S.E. Mons. Wilson Luís Angotti Filho è nato il 5 aprile 1958 nella città di Taquaritinga, Stato di São Paulo, nella diocesi di Jaboticabal. Dopo aver frequentato la scuola elementare e media a Taquaritinga (1965-1975), ha compiuto gli studi di Filosofia presso il Seminario diocesano di São Carlos (1976-1978) e quelli di Teologia presso il Centro di Studi dell’arcidiocesi di Ribeirão Preto, affiliato alla Pontifica Facoltà di Teologia Nossa Senhora da Assunção di São Paulo (1978-1982). Successivamente, ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma (1987-1988). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 19 dicembre 1982 e si è incardinato nella diocesi di Jaboticabal, nella quale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia São João Batista e Nossa Senhora Aparecida a Bebedouro (1982-1986), Coordinatore diocesano della Pastorale vocazionale (1982-1986), Membro dell’Equipe di formazione del Seminario diocesano (1982-1986), Coordinatore della Regione Pastorale di Bebedouro (1983-1986), Membro del Consiglio presbiterale e del Collegio dei Consultori (1983-1986; 1992-1997 e 2004-2007), Parroco della parrocchia São Judas Tadeu (1989-2007), Assessore diocesano della Catechesi (2002-2007), Coordinatore diocesano della Pastorale (2003-2007). Ha esercitato la docenza come Professore di Teologia presso il Centro di Studi dell’arcidiocesi di Ribeirão Preto (1990-1995) e presso la Facoltà di Teologia dell’arcidiocesi di Brasília (2008-2010). Inoltre è stato Assessore della Commissione per la Dottrina della Fede della CNBB a Brasília (2007-2010). Il 4 maggio 2011 è stato nominato Vescovo titolare di Tabe ed Ausiliare dell’arcidiocesi di Belo Horizonte e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 1° luglio successivo. Nell’ambito della Conferenza Episcopale Brasiliana è Membro della Commissione per la Dottrina della Fede.

Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Belo Horizonte (Brasile) il Rev.do Edson José Oriolo dos Santos, finora Parroco della Cattedrale di Pouso Alegre, assegnandogli la sede titolare di Segia. Il Rev.do Edson José Oriolo dos Santos è nato il 18 settembre 1964 a Itajubá, Stato di Minas Gerais, nell’arcidiocesi di Pouso Alegre. Dopo aver frequentato la scuola elementare a Itajubá e quella media a Pouso Alegre, ha compiuto gli studi di Filosofia presso il Seminario arcivescovile di Pouso Alegre (1983-1985) e quelli di Teologia presso l’Instituto Sagrado Coração de Jesus a Taubaté (1986-1989). Inoltre, ha ottenuto le Lauree in: Filosofia presso l’Università di Campinas (UNICAMP), in Marketing e in Gestione Strategica delle Persone presso l’Università Gama Filho di Rio de Janeiro. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 5 maggio 1990 ed è stato incardinato nell’arcidiocesi di Pouso Alegre, nella quale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia São Sebastião a São Sebastião da Bela Vista, Vicario parrocchiale della parrocchia São Francisco de Paula a Ouro Fino, Professore di Filosofia presso il Seminario arcidiocesano, Parroco della parrocchia Nossa Senhora do Carmo a Borda da Mata, Canonico cattedratico del Capitolo Metropolitano, Promotore di Giustizia del Tribunale ecclesistico di Pouso Alegre, Vicario Episcopale per l’amministrazione del Sacramento della Cresima.Attualmente è Parroco della Cattedrale di Pouso Alegre.

 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La differenza: all’udienza generale Papa Francesco parla della complementarità tra uomo e donna.

Il telegramma di cordoglio del Papa per la morte del cardinale Roberto Tucci.

Azione diplomatica di un operatore di pace: il segretario per i Rapporti con gli Stati - in occasione del venticinquesimo anniversario del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Ungheria - ricorda l'attività svolta dal cardinale Agostino Casaroli.

La porta del Rinascimento: il prefetto Cesare Pasini su manoscritti della Biblioteca vaticana in mostra a Tokyo.

Tra i monaci: Ferdinando Cancelli in ricordo del cardinale Charles Journet.

Una richiesta di tregua: Emilio Ranzato recensisce “Mia madre” di Nanni Moretti.

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Oggi in Primo Piano



Aleppo. Mons. Zenari: nuove armi allungano agonia della Siria

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“Basta con la distruzione e la desolazione. Basta essere un laboratorio per armi di una guerra devastante”. È il grido d’allarme del Consiglio dei capi delle confessioni cristiane ad Aleppo, in Siria, in un comunicato reso noto proprio mentre la città vive drammatici giorni di bombardamenti e scontri tra miliziani ed esercito siriano. Il servizio di Giada Aquilino

Corpi estratti dalle macerie, sangue mischiato alla polvere della devastazione. È uno scenario di distruzione, dolore e rabbia quello che i capi delle confessioni cristiane di Aleppo descrivono nel comunicato per dire che la città, una volta polmone economico del Paese, e i suoi abitanti hanno “sofferto un dolore intenso” unito ad “angoscia” e “sconforto”: a ridosso della Pasqua ortodossa, celebrata domenica scorsa, “sono stati presi di mira i quartieri civili della città con granate a razzo, con una capacità distruttiva” mai conosciuta. Alla comunità internazionale, chiedono di chiudere “le porte della vendita di armi” per salvare quella che definiscono ormai una “città martire”. L'escalation del conflitto coinvolge anche i quartieri cristiani, dove sono segnalati vittime e feriti gravi. La testimonianza dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco:

R. – Purtroppo, in questo periodo dopo Pasqua, ci sono state alcune zone, alcuni quartieri che sono stati colpiti da tipi di missili – una specie di bombe – che prima non si conoscevano, anche molto forti. Sono state danneggiate alcune cattedrali, come quella maronita, come quella melkita, come quella armena, che erano già state danneggiate in precedenza. Poi c’è una zona, una strada abitata dai cristiani in modo particolare, dove ci sono queste chiese e che si chiama Sulaymaniya, che è stata colpita. Non si sa come mai. Certo, ci sono scontri molto forti e crudeli tra le parti in lotta, che si sono accentuati in questi ultimi giorni. La gente è presa dal panico, in particolare i cristiani che hanno visto queste bombe cadere su case e chiese. Questa mattina ho sentito la notizia – che bisognerà magari controllare meglio – che circa 700 famiglie cristiane sono partite in questi ultimi giorni e hanno lasciato Aleppo. Ciò che fa male è questo panico che comincia a diffondersi tra la gente e anche tra i cristiani: chi può, cerca di scappare.

D. – Il Consiglio dei capi delle confessioni cristiane di Aleppo ha lanciato un grido di allarme: basta, si legge nel comunicato,l con la distruzione e la desolazione, si fermi la vendita di armi…

R. – Sì, è chiaro. La gente ha notato che si stanno usando alcuni tipi di armi che prima non si vedevano in giro. Questo prolungherà l’agonia del Paese: l’arrivo di nuove armi e, alcuni dicono, ma non si sa se è vero, l’arrivo anche dei combattenti. E’ una situazione molto, molto delicata, in particolare ad Aleppo, ma anche in altre zone della Siria. Questo tempo pasquale è stato purtroppo funestato dai bombardamenti, dai morti e la gente ha cercato di vivere la gioia pasquale, ma con il panico sempre alle porte.

D. – Perché ora c’è questa escalation di violenza contro i cristiani, ma anche contro scuole, contro organizzazioni umanitarie?

R. – E’ difficile sapere, ma quello che si coglie un po’ sulla bocca di tutti è “cosa sta succedendo?”, “dove sta andando la Siria”? Se si guarda ai passati quattro anni di conflitto, ci si accorge che tutti si sono sbagliati, le previsioni erano sbagliate e quindi anche questo aumenta la paura e il panico. Non si vede dove si stia andando. Purtroppo, da quel poco che si intuisce, non si va verso una soluzione a medio termine di questo sanguinoso conflitto, ma ci sono segnali di un accanimento del conflitto.

D. – Proprio i capi cristiani di Aleppo parlano di decine di martiri di ogni religione e confessione, di feriti e mutilati, di uomini e donne, di anziani e bambini…

R. – Questo conflitto crea una sofferenza trasversale, tutti ci sono dentro. La Siria ha cominciato quattro anni fa il cammino della Via Crucis e tutti stanno facendo questo cammino. E’ difficile dire chi porti di più il peso e chi lo porti di meno. Se guardiamo alle 220 mila vittime, ci sono dentro tutti: dai neonati ai bambini, agli adulti, agli anziani, ai credenti di ogni fede. Tutto, quindi, fa capire che purtroppo non siamo arrivati all’ultima stazione, alla XIV, quella che prelude alla Risurrezione, ma siamo ancora a metà cammino, non si sa.

D. –  E’ di questi giorni la notizia della morte di un operatore Caritas, ma anche di due ragazzi cristiani di cui hanno parlato i Salesiani di Aleppo. Un pensiero per loro, ma anche per tutta la Siria…

R. – Sì, ho ricevuto anch’io delle fotografie, che circolano pure su Internet. Purtroppo, alle volte ci si basa su delle cifre: si dice 220 mila vittime, ma dietro queste cifre c’è un bambino, c’è un ragazzo, c’è una ragazza, c’è una mamma. Queste fotografie dovrebbero fare breccia nel cuore soprattutto di chi ha in mano le sorti di questo conflitto e della comunità internazionale, per dire: “basta”.

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Card. Montenegro: chi chiude a immigrati è fuori dalla storia

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Il massiccio flusso migratorio che in questi giorni ha raggiunto le coste del Sud Italia è seguito con la massima attenzione da parte della Chiesa Italiana, come sempre in prima linea sul fronte dell’accoglienza. Ma sono tante le resistenze espresse dalle amministrazioni locali, che affermano di non poter fare ulteriori sforzi per accogliere i migranti. Marco Guerra ha raccolto il commento del cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione per le migrazioni della CEI e della Fondazione Migrantes: 

R. – Noi sapevamo che doveva continuare e che doveva accadere e sapevamo anche che, così come era stato impostato "Triton", non si sarebbe trovata una soluzione. E’ chiaro che non possiamo sperare che i flussi finiscano perché la realtà in terra africana è una realtà di grande sofferenza, di guerra, di persecuzione… E quindi la gente scappa, come siamo scappati noi quando la fame era diventata grande e quando non riuscivamo a sopravvivere. Ecco, noi continuiamo a commentare questi fatti e ci meravigliamo e ci scandalizziamo che succedano questi eventi tristi. Però, siamo anche un po’ responsabili perché se la politica italiana, e quella europea soprattutto, non sceglie di affrontare il problema come si deve, noi continueremo a piangere e a vedere continuare i morti, mentre saremo solo spettatori passivi.

D.  – Purtroppo, si registrano anche tante resistenze da parte di amministratori pubblici per quanto riguarda l’accoglienza di questi migranti che arrivano. Eminenza, lei che sta in Sicilia come sta osservando questo fenomeno?

R. – La Sicilia è la regione che ospita più immigrati e quindi siamo i primi in classifica. Pur avendo i nostri problemi, siamo quelli che accogliamo. E’ chiaro che la gente non batte le mani, davanti a certe situazioni chiede soluzioni possibili. Che alcuni amministratori vogliano chiudere, non vogliano permettere che questa gente sia ospitata… Io non so che concetto abbiano della storia queste persone. Come possiamo pretendere di chiudere porte, finestre e dire: “Andate via”? Questo è andare contro la storia e quindi farci male. O davvero apriamo gli occhi e prendiamo atto che siamo di fronte a un fatto nuovo – anche se ormai è diventato vecchio, non è più un’emergenza – e allora bisogna strutturarsi per affrontare questa realtà. Ma credo che dire “no” sia proprio il modo più sbagliato per risolvere il problema.

D.  – Nel recente passato tante volte si è detto: “Mai più”. Sono stati cambiati i nomi alle varie iniziative europee, però nel canale di Sicilia sembra cambiare molto poco. Su questo la Chiesa cosa dice?

R. – Che con le parole non si fermano gli eventi, i fatti, gli uomini… Le parole devono essere seguite dai fatti. La Chiesa chiede che a questa gente si dia quello che anche la nostra Costituzione prevede. Quindi non è solo un "pallino" della Chiesa: è un’esigenza dello Stato italiano. Allora, mettiamoci insieme e vediamo come affrontare questo problema. Ma se l’Europa non fa la sua parte l’Italia da sola non potrà affrontare questa emergenza. Questa gente che arriva qui non è gente che vuole restare qui, è gente che vuole andare in altre parti d’Europa. E allora tocca all’Europa. Io sono stato a Strasburgo, alcune settimane fa, a parlare di questa realtà ma se diventa soltanto motivo per fare accademie o altro, come possiamo dire: “Il problema è risolto”?  Questo è tempo di migrazioni, è un tempo in cui la storia sta cambiando, è un tempo, da quando è iniziata la globalizzazione, in cui stanno venendo fuori tutte queste storie che sono il risultato di questa globalizzazione che mette al centro la finanza, l’economia e non sa mettere al centro l’uomo. L’economia, per come la stiamo facendo sviluppare, serve a far diventare più ricchi i ricchi e a far diventare più poveri i poveri. Ma questa globalizzazione non doveva essere un modo per cui tutti ci potevamo sedere assieme allo stesso tavolo? La storia di Lazzaro che sta ai piedi del tavolo del ricco Epulone sta continuando e noi siamo i ricchi Epuloni ma nello stesso tempo siamo anche Lazzaro. Se ci ricordassimo di questo, forse cambierebbero i nostri atteggiamenti e non ci metteremmo a gridare “dagli all’untore”.

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Emergenza sbarchi. Caritas: mettere in campo tutte le forze

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Con il miglioramento delle condizioni meteo, non si ferma il massiccio afflusso di migranti sulle coste del Sud Italia. Oltre 400 quelli giunti stamani a Lampedusa ai quali si aggiungo i circa 10mila tratti in salvo nei giorni scorsi e approdati in diverse regioni. E ancora non si hanno riscontri sulle 400 vittime di un naufragio che sarebbe avvenuto nel Canale di Sicilia, secondo quanto riportano le testimonianze dei superstiti sbarcati in Calabria. Intanto sale il grido di allarme dei sindaci e degli amministratori locali italiani, dopo la circolare del ministero dell’Interno che chiede ai prefetti di individuare altre strutture di accoglienza,  per un totale di 6.500 posti letto, al fine di far fronte ai nuovi sbarchi. Per un punto della situazione sull’emergenza umanitaria Marco Guerra ha intervistato Olivero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana: 

R. – La situazione è molto grave. Sta accadendo quello che era stato previsto sia dal governo, ma anche dalle organizzazioni. Sapevamo che con l’arrivo della buona stagione sarebbero aumentati gli sbarchi sulle nostre coste, e questo in maniera assolutamente puntuale si sta verificando. I numeri, però, evidentemente sono anche più importanti rispetto a quelli dello scorso anno. Abbiamo un sistema di accoglienza che attualmente possiamo dire essere già pieno, perché abbiamo ancora le persone che sono giunte durante il 2014; abbiamo una procedura per il riconoscimento di una qualche forma di status ancora troppo lenta e quindi non in grado di svuotare questi Centri: le persone, infatti, devono giustamente rimanere finché non verrà loro riconosciuto un qualche status. Questo, quindi, comporta delle scelte, come sono state fatte dal governo solo nelle giornate di ieri e dell’altro ieri, di chiedere ulteriori posti. La questione, però, è che c’è evidentemente anche una capienza limitata che deve fare i conti, peraltro, con una mancata collaborazione – in molti casi – da parte di diversi Comuni che, a detta loro, non vogliono collaborare in questa operazione che ha un carattere squisitamente umanitario. Noi siamo consapevoli del fatto che la presenza sul territorio di numeri crescenti di persone, che hanno bisogno comunque di un sostegno, possa apparire di per sé come un grande vincolo; però c’è da dire che o questa grande sfida si affronta tutti insieme, o altrimenti il rischio aumenta prepotentemente. Mi riferisco in particolare alle regioni del Nord d'Italia che percentualmente stanno accogliendo in numeri sicuramente non paragonabili a quello che vediamo nel Sud del nostro Paese.

D. – Quindi, è giusto l’appello del Viminale ai prefetti e agli amministratori locali, affinché si trovino spazi per i profughi e i migranti che continuano ad arrivare sulle nostre coste?

R. – E’ evidente! Il Viminale deve e può muoversi attraverso chi lo rappresenta sul territorio, quindi i prefetti; però è chiaro che anche i prefetti hanno bisogno di una attiva collaborazione da parte dei Comuni perché – ripeto – poi, l’accoglienza avviene sul territorio e non si può immaginare che il terzo settore – penso alla Caritas, ma non solo – riesca o riuscirà a supplire a quello che invece è un bisogno che può essere affrontato solo da uno Stato in  quanto tale. Quindi, bisogna mettere in campo tutte le forze veramente in grado di garantire a queste persone un’accoglienza dignitosa.

D. – Prima dell’accoglienza c’è la fase del passaggio nel Canale di Sicilia che con il passaggio da “Mare Nostrum” a “Triton” sembra cambiato ben poco, e continua a essere una tomba, questo tratto di Mediterraneo …

R. – Diciamo che è cambiato molto e in peggio, come avevamo denunciato all’indomani della scelta di chiudere “Mare Nostrum”. Guardi, la questione è abbastanza semplice. “Mare Nostrum” è stato chiuso perché soprattutto da parte di alcuni Paesi europei era stata espressa la preoccupazione per il fatto che “Mare Nostrum” potesse costituire un fattore d’attrazione, cioè: sapendo che esisteva “Mare Nostrum”, i migranti si mettevano in mare. Si è passati per questo all’operazione “Triton” che evidentemente ha smentito questa sostanziale considerazione che è stata fatta, perché non solo gli arrivi in Italia stanno aumentando ma mancando il dispositivo di soccorso in mare così come previsto da “Mare Nostrum”, stanno aumentando in numero molto alto, in numero significativo anche i morti in mare. Quindi la richiesta è veramente di tornare a un dispositivo come “Mare Nostrum” che almeno dava maggiori garanzie per chi arrivava e quindi meno morti in mare.

D. – L’Europa non riesce ad attuare nessun’altra strategia se non quella del controllo delle coste; non può chiedere accordi con i Paesi da cui arrivano queste persone?

R. – La questione è molto complicata, anche perché come si fa a fare un accordo con Paesi nei quali mancano i requisiti minimi, spesso mancano anche proprio i governi con cui poter firmare un accordo? Quindi, ci troviamo in un contesto di grave conflitto da un lato e di forte instabilità sociale, economica, politica: questo è il dato di fatto che richiederebbe non solo un’attenta politica di gestione dei flussi migratori, ma ancor prima un’attenta politica internazionale che dovrebbe vedere l’Europa in prima linea nel definire tutte quelle strategie utili affinché le persone possano arrivare in Europa in sicurezza e – cosa che però fa parte, mi passi il termine, del mondo dei sogni – far sì che queste persone possano scegliere anche di non partire.

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Cooperazione italiana in Burkina Faso: lo studio del Focsiv

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"Verso una cooperazione del sistema Italia. Il caso del Burkina Faso": questo il tema del workshop tenutosi oggi presso la Pontificia Università Lateranense di Roma e organizzato dalla Federazione degli organismi cristiani del servizio internazionale di volontariato. Elvira Ragosta ha chiesto al presidente del Focsiv, Gianfranco Cattai, perchè l’esperienza della cooperazione italiana nel Paese africano può rappresentare un laboratorio di sistema: 

R. – Perché la cultura del Burkina Faso in questi ultimi 40 anni lo permette. I vari soggetti italiani della società civile, della cultura, del mondo delle amministrazioni l’hanno capito e infatti i numeri che si sono mossi in questi anni sono notevoli.

D. – Quanti sono i soggetti italiani che operano in Burkina Faso?

R. – I soggetti italiani che hanno contributi pubblici, per esempio del Ministero degli Affari Esteri, sono circa dieci. Invece, almeno 300 sono i soggetti italiani che si muovono in modo diretto e in modo indiretto in questo Paese. Ne abbiamo registrati 133 nella mappatura, ma abbiamo anche documentato che esistono tutta un’altra serie di soggetti – per esempio gli istituti missionari, i circoli dell’Arci e così via – che non si sono registrati, ma di cui conosciamo le esperienze dirette.

D. – Che tipo di supporto può dare la cooperazione allo sviluppo per la sicurezza e la pace sociale, in un Paese che ha recentemente vissuto momenti di instabilità sociale e politica, che hanno portato alle dimissioni del presidente?

R. – Investire in cooperazione significa investire in relazioni e, per dirla con le parole di Papa Francesco, “investire in globalizzazioni di fraternità”.

Sull’argomento abbiamo raccolto anche la dichiarazione di Antonino Cascio della Direzione generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri:

R. – Il Burkina Faso è un caso un po’ atipico per quanto riguarda la nostra presenza. Non abbiamo un’ambasciata nel Paese. Abidjan è accreditata per il Burkina. Da poco abbiamo aperto una sezione in loco a Ouagadougou. C’è, però, una forte presenza italiana che, in qualche modo, va sostenuta. Quindi, trovare forme nuove per armonizzare la presenza nazionale e fare sistema in quel Paese è senz’altro per noi una priorità e da questo Convegno possono uscire fuori delle idee interessanti su come organizzare e armonizzare tutto questo. 

Marco Alban, responsabile Paese per Lvia, opera in Burkina Faso dal 2007 in progetti di cooperazione. Ecco la sua testimonianza:

R. – Il Burkina richiede tempo. I processi sono lunghi ed è importante osservare questi processi su un certo arco di tempo. La possibilità, quindi, di seguire il lavoro degli ultimi dieci anni nel Paese della nostra organizzazione, della Focsiv, è un’esperienza interessante, un laboratorio di analisi molto interessante. Il Paese non è molto ricco dal punto di vista delle risorse e lo è molto meno di altri Paesi limitrofi. E’ un Paese che non ha un accesso al mare e quindi le economie sono veramente molto essenziali e di sussistenza. Bisogna trovare il livello giusto per intervenire. Ad esempio, noi lavoriamo molto per la promozione dell’agricoltura familiare, lavoriamo molto per la promozione della piccola impresa e delle dinamiche più locali, piuttosto che su grande scala. Sono interventi diversi da quelli che si possono promuovere in Paesi come il Senegal o il Mozambico.

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Presentato ddl per iscrizione all'anagrafe dei feti nati morti

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Dare dignità civile ai feti “nati morti” permettendone l’iscrizione all’anagrafe civile. E’ quanto si propone il disegno di legge presentato dai senatori Aldo di Biagio di Area popolare e Laura Puppato del Partito democratico. Il provvedimento, illustrato in una conferenza stampa al Senato e promosso dall'associazione "Pensiero celeste", ha l’obiettivo di fare ordine sulle leggi italiane, che sul tema della natimortalità sono spesso confuse e contradditorie. Il servizio di Michele Raviart

In Italia ogni anno 180.000 genitori perdono il loro figlio prima della fine naturale della gravidanza e per quelli “nati morti” prima della ventottesima settimana non c’è nessun diritto all’iscrizione all’anagrafe. Tutto è rimesso infatti alla discrezionalità delle autorità competenti, in un quadro legislativo per nulla univoco. La polizia mortuaria, ad esempio, prevede l’assenso della Usl per la sepoltura dei feti nati tra le 20 e le 28 settimane. Un assenso che molto spesso viene negato. Il congedo di maternità, invece, scatta anche per i figli nati morti a partire da 180 giorni di gestazione, mentre l’Istat fa partire le proprie rilevazioni a partire dalla venticinquesima settimana. La senatrice Laura Puppato è tra i promotori della legge:

"Stiamo cercando di recuperare dei gap che la legislazione italiana ha lasciato nel corso di questi anni, creando molta soggettività e una situazione di interpretazione che non aiuta i cittadini italiani. In generale dobbiamo avere certezze nel fatto di poter concedere, laddove i genitori lo vogliano, l’iscrizione all’anagrafe di questi che non possono essere definiti 'feti', ma devono essere definiti con il termine corretto: bambini”.

Il disegno di legge propone di garantire, ai genitori che ne sentano l’esigenza, l’iscrizione all’anagrafe civile di tutti i feti che superano i 500 grammi, a prescindere dalle settimane di gestazione. Una legge sul modello di quelle che ci sono in Francia e Germania e basata su un regolamento dell’Ue, che riceve i parametri di natimortalità dell’Organizzazione mondiale della sanità. I bambini iscritti all’anagrafe non saranno titolari di nessun diritto giuridico, mentre i loro genitori avranno il rispetto dovuto per la perdita di un figlio. Il senatore Aldo Di Biagio è uno dei due firmatari del disegno di legge:

"Le famiglie si aspettano che la società civile e la comunità in qualche maniera raccolga questo elemento di sensibilità personale, quindi noi in un certo senso abbiamo voluto colmare un vuoto normativo della legge. In un contesto dove organismi anche preposti hanno diverse opinioni noi abbiamo voluto un riconoscimento che va a un feto che è oltre i 500 grammi".

L’idea per questa proposta di legge parte dall’associazione “Pensiero celeste” di cui è presidente Antonio Napoli. Lui e la moglie hanno perso la loro bambina, Celeste, durante la ventisettesima settimana. Da quel momento Antonio ha combattuto la sua battaglia per ottenere il certificato di nascita della bimba, dapprima negatogli, culminata con due sentenze del tribunale di Padova in suo favore:

"E’ uno stravolgimento di quello che fino ad oggi si è visto, ovvero cominciare a rendersi conto che c’è stata una gravidanza, c’è stato un parto, c’è stato un lutto e di conseguenza non stiamo parlando di un qualche cosa che non esiste, ma di un bambino sotto tutti i punti di vista. Per noi, dico sempre, mia figlia è sempre esistita ed esisterà sempre. E’ giusto che anche gli altri comincino a capire questo. E’ proprio un cambio culturale in questo senso".

La petizione promossa da “Pensiero Celeste”, ha raccolto oltre mille firme, mentre si attende la discussione di questo progetto di legge in Senato.

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Nella Chiesa e nel mondo



Israele: presidente Rivlin in visita ai capi delle Chiese cristiane

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Il Presidente israeliano Reuven Rivlin si è recato ieri nella sede del patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, nel quartiere cristiano della Città Vecchia, per un incontro con i capi delle Chiese cristiane in Israele in occasione della Pasqua. Lo riferiscono fonti ufficiali israeliane con un comunicato ripreso dall'agenzia Fides. Il Presidente Rivlin è stato ricevuto cordialmente dal patriarca greco ortodosso Teofilo III, che ha presentato il Presidente ai capi della Chiese presenti, compreso il patriarca di Gerusalemme dei latini, Fouad Twal. Si è trattato della prima visita di un Presidente israeliano ai capi delle Chiese cristiane dopo quella compiuta dal Presidente Yitzhak Navon oltre 30 anni fa.

Il Presidente rinnova la condanna per gli attentati a luoghi religiosi
​Nel suo indirizzo di saluto, il patriarca Teofilo ha ringraziato il Presidente israeliano per le condanne da lui espresse contro gli attentati a luoghi religiosi anche cristiani perpetrati in Israele negli ultimi mesi. “Tali crimini - ha affermato il Presidente israeliano nella sua risposta - non devono aver luogo né sul Monte Sion, né sul monte degli Ulivi, né nelle sinagoghe, nelle moschee o nelle chiese”. Il Presidente Reuven Rivlin ha già annunciato l'intenzione di presenziare alla liturgia commemorativa per i cento anni del genocidio armeno che si terrà nella basilica gerosolimitana del Santo Sepolcro. (G.V.)

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Pakistan: morto ragazzo cristiano bruciato vivo da giovani musulmani

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Nauman Masih, il 14enne cristiano pakistano, che è stato dato alle fiamme da un gruppo di giovani musulmani sconosciuti alcuni giorni fa, è deceduto questa mattina nell’ospedale di Lahore. Lo riferisce l'agenzia Fides da fonti locali in Pakistan. Il ragazzo era stato fermato e aggredito dopo aver dichiarato di essere cristiano. I giovani lo hanno cosparso di benzina. Aveva riportato gravi ustioni sul 55% del corpo. Secondo alcuni osservatori, il gesto può essere una vendetta dopo il linciaggio di due musulmani avvenuto a Youhanabad – dichiarati innocenti – in seguito all’attentato alle due chiese del 15 marzo.

Opera di dialogo e di armonia tra credenti di religioni diverse
Dopo il linciaggio pubblico a Lahore la polizia ha perquisito molte abitazioni a Youhanabad e arrestato oltre 100 giovani cristiani per rintracciare i colpevoli. “I cristiani hanno condannato il linciaggio, dicendo apertamente che è un grande crimine. Tuttavia in numerosi casi in passato cristiani innocenti sono stati bruciati vivi: ricordiamo gli attacchi di massa al quartiere cristiano a Gojra, Shantinagar, o i due coniugi cristiani arsi vivi in una fornace di mattoni a novembre 2014”, nota a Fides padre James Channan, domenicano, direttore del “Peace Center” a Lahore, impegnato a promuovere iniziative, di pace, armonia, riconciliazione, dialogo interreligioso. “Questo episodio dimostra l'odio che circola nella società. Abbiamo bisogno di una grande opera di dialogo e di armonia tra credenti di religioni diverse” nota padre Channan.

Peggiore momento storico per la vita dei cristiani in Pakistan
Shahbaz Sharif, Primo ministro del Punjab, ha chiesto che i responsabili siano arrestati. Il direttore del “Peace Center” conclude: “Direi che oggi siamo nel periodo storico peggiore per la vita dei cristiani in Pakistan. Discriminazione, sofferenza, oppressione spesso diventano vera persecuzione. Oggi chiediamo al governo: dov’è la giustizia? Dove sono i colpevoli dei tanti episodi di violenza gratuita commessa sui cristiani?”.

Chiesta la fine della cultura dell'impunità e garanzie per le minoranze
​Mervyn Thomas, direttore dell’Ong “Christian Solidarity Worldwide” afferma in una nota inviata a Fides: “Preghiamo per il giovane e per la sua famiglia. Credere che si possa uccidere un ragazzo per una semplice professione di fede è profondamente preoccupante. La cultura dell'impunità deve finire, e alle minoranze religiose devono essere garantiti i diritti di tutti i cittadini in Pakistan”. (P.A.)

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Vescovi Sierra Leone: dopo Ebola, l'incertezza politica

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“Stiamo ancora vivendo nella paura per l’epidemia di ebola ed ora nell’incertezza per la situazione politica del nostro Paese” affermano i vescovi della Sierra Leone nel loro messaggio pasquale, giunto all’agenzia Fides. La Sierra Leone è uno dei tre Paesi africani maggiormente colpiti dall’epidemia di ebola, con almeno 12mila casi registrati e più di 2.900 morti. I vescovi, alla luce della Pasqua di Risurrezione, invitano i fedeli alla speranza, ma esprimono le loro preoccupazioni per gli sviluppi della situazione politica del Paese.

I vescovi invocano la difesa dei diritti democratici
“Siamo molto preoccupati per l’aumento della tensione politica” affermano nel loro messaggio. “Questo è inevitabile quando c’è la percezione che la giustizia e i diritti fondamentali non sono promossi e rispettati” sottolinea il documento. “La situazione deve essere affrontata con urgenza. Il destino della nazione è nelle nostre mani e dobbiamo rimanere vigili nel difendere i nostri diritti democratici. Lo scopo ultimo è il benessere della popolazione e il consolidamento di un potere stabile e democratico”.

Mantenere la pace e continuare a combattere il virus di ebola
​Dopo aver invitato i fedeli a “mantenere la pace e l’ordine agendo come cittadini responsabili” e a “rimanere saldi negli sforzi per eliminare il virus di ebola rispettando i divieti sanitari”, lanciano un appello a tutti i sierraleonesi a “rispettare la legge e a cercare la giustizia attraverso un giusto processo”. (L.M.)

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Messico: bloccata "Via Crucis del migrante"

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“I diritti umani sono al di sopra di qualsiasi legge”: il sacerdote messicano Alejandro Solalinde tenterà per la seconda volta oggi di far partire una marcia di migranti centroamericani da Ixtepec, nello Stato meridionale di Oaxaca, verso Città del Messico.

Una marcia per denunciare violenze e abusi contro i migranti 
L’iniziativa, conosciuta come la “Via Crucis del Migrante” - riferisce l'agenzia Misna - ha come obiettivo incontrare esponenti delle organizzazioni a difesa dei diritti umani per denunciare violenze e abusi contro i migranti che da sud attraversano le frontiere messicane nella speranza di raggiungere gli Stati Uniti. È previsto che vi partecipino almeno 200 dei circa 400 migranti centroamericani che padre Alejandro ospita nella sua casa-rifugio Hermanos en el Camino’ in attesa di una ‘regolarizzazione’, ma dalla settimana scorsa, la polizia e l’Istituto nazionale della migrazione (Inm) hanno allestito un’imponente operazione per impedirlo.

La polizia minaccia di arrestare tutti i migranti
“Siamo praticamente assediati” ha detto il sacerdote ai media locali, dopo che le forze dell’ordine hanno stabilito posti di blocco lungo le strade Transístmica e Panamericana. Giovedì scorso funzionari dell’Inm hanno inoltre minacciato di arrestare tutti i migranti che saranno trovati privi di documenti regolari nonché, per “traffico di persona”, i proprietari dei mezzi di trasporto noleggiati per portare i migranti centroamericani nella capitale. Se Inm e polizia impediranno anche oggi la partenza della “Via Crucis del Migrante”, “ciò costituirà una violazione dei loro diritti umani e degli accordi internazionali”, ha insistito padre Alejandro, annunciando che al suo arrivo chiederà un incontro con il ministro dell’Interno, Miguel Ángel Osorio Chong.

Padre Solalinde: i migranti vengono trattati da delinquenti
A più riprese padre Solalinde ha denunciato la violenta politica migratoria messicana nonché l’uso indebito di armi paralizzanti da parte dei funzionari dell’Inm contro i migranti: “Abbiamo visto che la polizia li tratta come criminali…la legge messicana non prevede che siano illegali. La legge dice che quando un migrante entra nel nostro Paese senza documenti è irregolare al livello amministrativo, non illegale. È la legge degli Stati Uniti che li definisce illegali, non quella del Messico, eppure li trattiamo da delinquenti” ha protestato il sacerdote, da tempo bersaglio di minacce di morte.

Amnesty condanna l'Istituto messicano delle migrazioni
Una delegazione di Amnesty International guidata dal responsabile dell’organizzazione in Messico, Perseo Quiroz, ha annunciato che incontrerà i migranti ospitati da padre Solalinde per verificarne le condizioni di sicurezza. In merito, Quiroz ha già condannato l’operato dell’Inm sostenendo che viola l’articolo 76 della stessa Legge nazionale sulla migrazione: “Non si possono fare verifiche migratorie in luoghi in cui si trovano persone migranti ospitate da organizzazioni della società civile o da cittadini che realizzino azioni umanitarie di assistenza o offrano a queste persone la loro protezione”. (F.B.)

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Chiesa in Brasile: in aumento gli omicidi in zone rurali

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La Commissione Pastorale per la Terra (Cpt) ha presentato la 30.ma edizione del suo rapporto annuale sul Conflitto rurale in Brasile, relativo al 2014, con le informazioni riguardanti assassini, minacce e violenze per le questioni della terra, dell’acqua e del lavoro. La conferenza stampa si è tenuta nella sede della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb).

La violenza non diminuisce
Dei 1.307 casi di conflitto con omicidio, solo 108 sono arrivati al processo, con la condanna di 86 persone e 28 mandanti. Per il vescovo di Balsas e presidente del Cpt, mons. Enemésio Angelo Lazzaris, dopo 30 anni di pubblicazione del rapporto, la violenza non diminuisce. Quando si confrontano gli anni 2013 e 2014, riferisce l'agenzia Fides, si vede che invece c'è stato un aumento del 6% degli omicidi. Mons. Enemésio denuncia l’"inefficacia" dei tribunali brasiliani in relazione al numero dei procedimenti giudiziari e delle condanne di esecutori e mandanti.

In aumento i tentativi di omicidio
I dati raccolti dal Centro di documentazione Dom Tomás Balduíno, che dipende dalla segreteria del Cpt, segnalano che il numero di omicidi è salito da 34 a 36 casi. Nella regione centro-occidentale del Brasile è cresciuto del 2,33%. Lo Stato del Pará è la zona che registra più morti con 9 casi. Il numero dei tentativi di omicidio in Brasile è aumentato, secondo il rapporto. Ci sono stati 56 casi nel 2014 contro i 15 nel 2013, con un incremento del 273%. Al contrario, le minacce di morte sono diminuite del 24%. L'osservazione del Cpt al riguardo è che prima c'era un gran numero di minacce di omicidio, adesso "non si minaccia più, ma si va diritti al fatto". (C.E.)

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Cile: Plenaria vescovi su vita e rapporto media-cultura

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Con il terzo seminario internazionale sulla comunicazione della Chiesa, intitolato “Comunicando dentro la cultura dell’incertezza”, si sono aperti i lavori della 109ma assemblea plenaria della Conferenza episcopale cilena, che proseguiranno fino a venerdì. All’inizio del seminario, promosso in collaborazione con la Pontificia Università Cattolica del Cile e l’Istituto Duoc, il card. Ricardo Ezzati, arcivescovo di Santiago del Cile, ha sottolineato l’importanza “della comunicazione nella missione della Chiesa”. 

Documento sulla legge che vuole depenalizzare l'aborto
In un incontro con i giornalisti cileni - riferisce l'agenzia Sir - il segretario generale della Conferenza episcopale, mons. Cristián Contreras, ha sottolineato che “la Chiesa intende portare il suo contributo per una convivenza più umana” nella società cilena, nonostante il Cile stia vivendo “tempi di sospetti e sfiducia”. Nella conferenza stampa sono state espresse ulteriori valutazioni riguardo alla legge sulle unioni civili, promulgata in via definitiva nei giorni scorsi, che secondo i vescovi “indebolisce il matrimonio”; ed è stato annunciato che a conclusione dell’Assemblea plenaria sarà reso noto un documento sulla legge, attualmente in discussione al Congresso, che prevede la depenalizzazione dell’aborto in tre casi eccezionali. Ha detto a questo proposito mons. Contreras: “Per noi il tema della tutela della vita è essenziale. Il mio parere personale è che non si dialoga con chi prevede che la vita sia scartata”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 105

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.