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Sommario del 14/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: Chiesa non accumuli ricchezze, ma le gestisca con generosità

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Una comunità rinata nello Spirito Santo cerca l’armonia ed è paziente nelle sofferenze. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre avvertito che i cristiani non devono accumulare ricchezze, ma metterle a servizio di chi ha bisogno, come faceva la prima comunità guidata dagli Apostoli. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Quali frutti porta lo Spirito Santo in una comunità? Papa Francesco si è soffermato nella sua omelia sul passo degli Atti degli Apostoli che descrive la vita della prima comunità dei cristiani.

Armonia e bene comune, segni di una comunità rinata
Ci sono, sottolinea, due segni di “rinascita in una comunità”. Il primo segno è l’armonia:

“La comunità rinata o di quelli che rinascono nello Spirito ha questa grazia dell’unità, dell’armonia. L’unico che può darci l’armonia è lo Spirito Santo, perché lui anche è l’armonia fra il Padre e il Figlio, è il dono che fa l’armonia. Il secondo segno è il bene comune, cioè: ‘Nessuno infatti tra loro era bisognoso, nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva’, era al servizio della comunità. Sì, alcuni erano ricchi ma al servizio. Questi sono due segni di una comunità che vive nello Spirito”.

Il dono della pazienza nelle difficoltà
Questo, annota il Papa, è un passo “curioso”, perché “subito dopo incominciano” dei problemi in seno alla comunità, per esempio l’ingresso di Anania e Saffira che cercano di “truffare la comunità”:

“Questi sono i padroni dei benefattori che si avvicinano alla Chiesa, entrano per aiutarla e usare la Chiesa per i propri affari, no? Poi ci sono le persecuzioni che sono state annunciate da Gesù. L’ultima delle beatitudini di Matteo: ‘Beati quando vi insulteranno, vi perseguiteranno a causa di me… Rallegratevi’. E si leggono tante persecuzioni di questa comunità così. Gesù promette questo, promette tante cose belle, la pace, l’abbondanza: ‘Avrete cento volte in più con le persecuzioni’”.

Nella “prima comunità rinata dallo Spirito Santo – rammenta Francesco – c’è questo: la povertà, il bene comune ma anche i problemi, dentro e fuori”. Problemi dentro, come “quella coppia di affaristi, e fuori, le persecuzioni”. Pietro però dice alla comunità di non meravigliarsi di queste persecuzioni, perché è “il fuoco che purifica l’oro”. E la comunità rinata dallo Spirito Santo viene purificata proprio “in mezzo alle difficoltà, alle persecuzioni”. C’è dunque un terzo segno di una comunità rinata: “la pazienza nel sopportare: sopportare i problemi, sopportare le difficoltà, sopportare le maldicenze, le calunnie, sopportare le malattie, sopportare il dolore” della perdita di un proprio caro.

Non accumulare le ricchezze, ma gestirle per il bene comune
La comunità cristiana, afferma ancora, “fa vedere che è rinata nello Spirito Santo, quando è una comunità che cerca l’armonia”, non la divisione interna; “quando cerca la povertà”, “non l’accumulo di ricchezze per sé, perché le ricchezze sono per il servizio”. E quando “non si arrabbia subito davanti alle difficoltà e si sente offesa”, ma è paziente come Gesù:

“In questa seconda settimana di Pasqua, durante la quale celebriamo i misteri pasquali, ci farà bene pensare alle nostre comunità, siano esse diocesane, parrocchiali, famigliari o tante altre, e chiedere la grazia dell’armonia che è più dell’unità - l’unità armonica, l’armonia, che è il dono dello Spirito - di chiedere la grazia della povertà – non della miseria, della povertà: cosa significa? Che se io ho quello che ho e devo gestirlo bene per il bene comune e con generosità - e chiedere la grazia della pazienza, della pazienza”.

Il Signore, conclude, “ci faccia capire a tutti noi che non soltanto ognuno di noi ha ricevuto questa grazia nel Battesimo di rinascere nello Spirito ma anche le nostre comunità”.

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Francesco: vocazione è un "esodo" da sé verso Dio e i poveri

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L’azione missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa è al centro del Messaggio scritto da Papa Francesco per la 52.ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. La vocazione cristiana – scrive Francesco – è caratterizzata dall’esperienza dell’esodo. Di qui l’invito rivolto in particolare ai giovani a non aver paura di uscire da sé stessi e a mettersi in cammino, sempre con lo sguardo rivolto ai più bisognosi. Il servizio di Stefano Leszczynski

“L’esodo, esperienza fondamentale della vocazione” è il significativo titolo scelto da Papa Francesco per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che viene celebrata quest’anno il 26 aprile ed è giunta alla sua 52.ma edizione. In una Chiesa missionaria – scrive il Papa – “la vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione” e questo è possibile solo se si è capaci di uscire da sé stessi, compiendo un vero e proprio “esodo”, paragonabile all’Esodo biblico che il popolo di Dio compie affrancandosi dalla schiavitù per trovare vita nuova in Cristo. Un passaggio che per il Papa rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza e della dinamica della fede cristiana.

Alla radice di ogni vocazione cristiana – spiega Francesco – c’è proprio l’uscita “dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo”. Un’uscita che non rappresenta però “un disprezzo della propria vita del proprio sentire e della propria umanità”, anzi. La vocazione – spiega Francesco citando la “Deus Caritas est” di Benedetto XVI – è una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, innescando “un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé”.

Questa dinamica dell’esodo – scrive il Papa – non riguarda solo il singolo chiamato, ma l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa: una Chiesa “in uscita”, “capace di andare incontro ai figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite”. “La Chiesa che evangelizza – scrive Francesco – esce incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri ed i bisognosi”. La vocazione cristiana rappresenta un impegno concreto al servizio della costruzione del Regno di Dio sulla terra e spinge necessariamente all’impegno solidale , soprattutto verso i più poveri.

Ai più giovani il Papa dedica un accorato appello a non temere le incertezze e delle incognite della quotidianità che rischiano di frenare i loro sogni. Francesco li incita a non avere paura di uscire da sé stessi e di mettersi in cammino sulle orme di Gesù, come già fece la Vergine Maria, modello di ogni vocazione, che non ha temuto di pronunciare il proprio “fiat” alla chiamata del Signore.

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La visita di Francesco a Sarajevo, un viaggio di pace

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E’ stato presentato stamane a Sarajevo il programma ufficiale della visita di Papa Francesco nella capitale della Bosnia ed Erzegovina, previsto il 6 giugno. Presenti all’incontro con i giornalisti, il cardinale arcivescovo della città Vinko Pulijc, il nunzio aposostolico Luigi Pezzuto, oltre al Comitato organizzatore e rappresentanti istituzionali. Il servizio di Roberta Gisotti

Sarà l'ottavo viaggio internazionale di Papa Francesco in due anni di Pontificato. Una giornata, a Sarajevo, densa di appuntamenti, che sarà suggellata dalla Messa nello stadio cittadino e da cinque incontri all’insegna del motto “La pace sia con voi”.

Benvenuto e Messa allo stadio
Il Papa partirà alla 7.30 dall’aeroporto Roma Fiumicino e arriverà nella capitale della Bosnia ed Erzegovina alle 9. Mezz’ora dopo, avrà luogo la cerimonia di benvenuto nel piazzale antistante il Palazzo presidenziale, a cui seguirà la visita di cortesia al presidenza della Repubblica e l’incontro con le autorità. Qui Francesco pronuncerà il suo primo discorso. Quindi, alle 11 il Papa celebrerà la Messa nella Stadio Kosevo, dove si riuniranno i fedeli giunti da tutto il Paese.

Religiosi, giovani e incontro ecumenico
Nel pomeriggio, dopo l’incontro e il pranzo con i vescovi e con il seguito della Nunziatura apostolica, Francesco si recherà alle 16.20 nella Cattedrale dove parlerà a sacerdoti, religiose e religiosi e seminaristi. Poi, alle 17.30, l’incontro ecumenico e interreligioso nel Centro internazionale studentesco francescano. Un’ora dopo, alle 18.30, ad attendere Francesco saranno i giovani nel centro diocesano “Giovanni Paolo II”. Alle 19.45 la cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale, con partenza da Sarajevo alle 20 ed arrivo a Roma alle 21.20.

Un viaggio annunciato a sorpresa da Papa Francesco, durante l’Angelus del primo febbraio scorso, chiedendo preghiere perché questa visita possa suscitare “fermenti di bene” e contribuire a consolidare la “fraternità” e la “pace”, il “dialogo interreligioso” e l’“amicizia”.

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Pubblicato calendario eventi del Papa fino a giugno

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Il maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, mons. Guido Marini, ha pubblicato oggi il calendario delle celebrazioni presiedute da Papa Francesco fino a giugno. Il 26 aprile, il Pontefice presiederà la Messa con le ordinazioni presbiteriali, nella Basilica Vaticana alle ore 9.30. Il 3 maggio, Francesco compirà una visita pastorale alla parrocchia “Santa Maria Regina Pacis” di Ostia, a partire dalle ore 16. Martedì 12 maggio, celebrerà una Messa, alle ore 17.30, per l’apertura dell’assemblea generale della Caritas Internationalis.

Domenica 17 maggio, il Pontefice presiederà in Piazza San Pietro, alle ore 10, la Messa con la Canonizzazione delle Beate Giovanna Emilia De Villeneuve, Maria Cristina dell’Immacolata Concezione Brando, Maria Alfonsina Danil Ghattas, Maria di Gesù Crocifisso Baouardy. Il 24 maggio, Domenica di Pentecoste, il Papa celebrerà la Messa nella Basilica di San Pietro alle 10.

Il 4 giugno, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, in Piazza San Giovanni in Laterano: Santa Messa e processione a Santa Maria Maggiore e Benedizione eucaristica. Sabato 6 giugno, il Papa sarà impegnato nel viaggio apostolico a Sarajevo, mentre il 21 e 22 giugno il Pontefice sarà in visita pastorale a Torino. Sabato 27 si terrà il Concistoro per alcune Cause di Canonizzazione. Il 29 giugno, infine, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, Francesco celebrerà la Santa Messa, alle ore 9.30, con la benedizione dei Palli per i nuovi metropoliti.

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Nomine di Papa Francesco

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Il Papa ha nominato segretario della Sezione Amministrativa della Segreteria per l'Economia mons. Luigi Mistò, finora Segretario dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. In pari tempo, il Papa ha nominato segretario della medesima Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica mons. Mauro Rivella.

In Giordania, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'Arcieparchia di Petra e Filadelfia, presentata da Mons. Yasser Ayyash, in conformità al can. 210§1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

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Tweet del Papa: il Signore non si stanca mai di perdonarci. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono

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“Il Signore non si stanca mai di perdonarci. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex, che proprio in questi giorni ha superato i 20 milioni di follower.

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La Santa Sede all'Expo: presenza di riflessione e di proposta

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Conferenza stampa presso la Sala Stampa vaticana, stamattina, per la presentazione del Padiglione della Santa Sede a Expo 2015. Tra gli interventi, quello del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Domenico Pompili, sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, e mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale nella Diocesi di Milano. Il Padiglione della Santa Sede, è stato precisato, avrà un carattere sobrio, sarà uno dei più piccoli dell’esposizione, e avrà costi contenuti: non più dei 3 milioni di euro già stanziati. Adriana Masotti

Con la sua partecipazione all’Expo di Milano, la Santa Sede conferma l’importanza dell’essere presente e di prendere parte ai dibattiti sulle questioni cruciali relative alle modalità di abitare il pianeta e di custodirne il futuro. Così il cardinale Ravasi spiega, in conferenza stampa, il perché del Padiglione realizzato in collaborazione con la Cei e la diocesi di Milano. Avrà come titolo due citazioni bibliche: “Non di solo pane” e “ Dacci oggi il nostro pane”. Il card. Gianfranco Ravasi:

“Queste due frasi, in pratica, riescono a presentare i due volti fondamentali di questo simbolo, che è un simbolo universale, il simbolo del cibo. Un simbolo universale perché appartiene a tutte le culture e non semplicemente perché l’uomo è ciò che mangia, ma anche per l'aspetto metaforico. E c’è poi l’altro volto, quello spirituale: “Non di solo pane…".

Il padiglione  della Santa Sede offrirà un percorso espositivo fatto di una mostra fotografica, due importanti opere d’arte, una parete cinematografica e una serie di eventi su temi specifici. Quattro le dimensioni evidenziate nell’allestimento: un giardino da custodire, un cibo da condividere, un pasto che educa, un pane che rende Dio presente nel mondo. Mons. Domenico Pompili sottolinea l’utilità di far conoscere quello che le chiese che sono in Italia già fanno per garantire l’alimentazione a chi ne è privo. E offre alcuni dati:

“Circa quattro milioni sono le persone stimate al di sotto della soglia alimentare, di cui il 70% cittadini italiani, e sono circa 15 mila le strutture caritative sul territorio che, attraverso i banchi alimentari, le mense o altre forme di intervento più innovative, offrono aiuto a chi ne ha bisogno”.

Mons. Pompili parla dell’impegno ecclesiale attivo sul piano culturale, su quello della sensibilizzazione ed educazione al corretto uso del cibo e sul piano più strettamente operativo. Oltre mille le iniziative diocesane anticrisi in corso dal nord al sud della penisola.

Per la diocesi di Milano interviene mons. Luca Bressan, che afferma: “Come Diocesi ci sentiamo impegnati a dare forza al messaggio che la Chiesa intende portare ad Expo, “Non di solo pane”, moltiplicandolo e distribuendolo per le vie della città, dove la gente vive e lavora, in quegli spazi che i turisti e visitatori di Expo attraverseranno”. Quattro in particolare i momenti forti:

“Partiremo il 18 maggio con questo grande evento in Piazza Duomo, che ricorda il motivo per cui la Chiesa in Expo è presente e cioè per dare a pensare questo grande evento che vuole far riflettere sulle grandi iniquità, come Papa Francesco spesso ricorda, e su come sia un obbligo per la Chiesa lavorare per chiedere il diritto al cibo”.

Particolare attenzione, poi, sarà data alla celebrazione della festa del Corpus Domini, “occasione per testimoniare al mondo che il nutrimento e il futuro dell’uomo e del creato sono custoditi e generati dal pane che in realtà è il corpo e il sangue di Gesù Cristo morto per noi e risorto, amore di Dio fatto carne”. Prevista una Festa del Creato, particolarmente cara alla Chiesa ortodossa, “per dire che non si può non essere ecologici proprio perché cristiani”, e infine il 27 ottobre, data che ricorda la Giornata di preghiera per la pace voluta da Papa Giovanni Paolo II ad Assisi, un incontro di dialogo e di ascolto, di digiuno e di ascesi assieme a tutte le grandi tradizioni religiose, per ricordare l’importanza di promuovere la giustizia e la solidarietà.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In cerca della via d'uscita: il Papa ricorda che la vocazione cristiana è un esodo da se stessi.

In prima pagina, un editoriale di Zouhir Louassini dal titolo "Quei bambini di Tangeri".

L'America vista da sud: Silvia Guidi ricorda lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano.

Il buio oltre il digitale: Mauro Milita esamina rischi e falle legati ai sistemi di memorizzazione.

Chi tradì Anne Frank?: Anna Foa su nuovi spunti per un giallo mai risolto.

Quella scala silenziosa: Alfredo Tradigo sul "Compianto sul Cristo morto" del Beato Angelico esposto a Torino.

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Oggi in Primo Piano



Il card. Nichols tra i cristiani iracheni profughi a Erbil

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Un viaggio nella terra del dramma e di una speranza che resiste nonostante tutto. È quello che l’arcivescovo di Westminster, il cardinale Vincent Nichols, ha compiuto in questi giorni a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, dove vivono i profughi cristiani costretti nei mesi scorsi alla fuga dall’avanzata del cosiddetto Stato islamico. Oltre 120 mila uomini, donne e bambini, inizialmente ospitati in campi di fortuna e ora in alloggi un po’ più stabili. Il card. Nichols, presidente dei vescovi di Inghilterra e Galles, racconta le impressioni sulla visita al microfono di Philippa Hitchen

R. – I came to Erbil on Saturday afternoon and since…
Sono arrivato a Erbil sabato pomeriggio e da quando siamo arrivati abbiamo cercato di capire in particolar modo come le Chiese si siano impegnate a far fronte all’incredibile emergenza dalla quale sono state travolte a metà agosto dell’anno scorso – quando 120 mila rifugiati, sostanzialmente sfollati interni, sono arrivati da un giorno all’altro – e il lavoro che hanno fatto con l’aiuto di donatori del Kurdistan e di Baghdad per dare a queste persone una stabilità almeno temporanea.

D. – Quali sono al momento le urgenze prioritarie? Come possiamo aiutare questi rifugiati?

R. – Well, I think one of the greatest characteristics…
Una delle cose che ho imparato è che l’aiuto deve essere dato in modo tale da non ferire la dignità delle persone sfollate. Quindi, lo scopo dell’aiuto non è quello di rendere queste persone “dipendenti”, quanto piuttosto quello di aiutarle a superare esperienze traumatiche – soprattutto gli uomini, i padri di famiglia che dicono: “Cosa possiamo fare, noi? Qual è il nostro ruolo, oggi, senza lavoro?”. E’ necessario incoraggiarli ad assumere nuove responsabilità e riprendere a programmare il futuro.

D. – Quale tipo disperanza si può dare loro? Potranno mai tornare a casa? Perché è questo, quello che loro vogliono…
R. – This is a very complicated question, and it’s not going…

Questa è una questione molto complicata, perché non sarà facile. Ovviamente, molti di loro vengono dai villaggi della Piana di Ninive che prima di tutto deve essere liberata dal controllo dell’Is. Poi, i villaggi e parte del territorio intorno a Mosul e la città stessa devono essere messi in sicurezza, perché a quanto abbiamo saputo sono stati disseminati di mine antiuomo e quindi non si può semplicemente “tornare”. Poi, è necessario istituire quegli elementi che rendono una società “stabile”, come riportare uno stato di diritto e un modello di giustizia in cui la gente può avere fiducia. Il quarto elemento è la coesione sociale: dare alle persone una possibilità di tornare a “vivere insieme”, come avevano fatto in passato. Ora, però, devono intanto superare la pena e il terrore di quanto è avvenuto in questi eventi traumatizzanti. Loro sanno che è un’opera lunga, ma la gente con cui ho parlato è determinata e speranzosa e crede che, con il tempo, questi risultati possano essere raggiunti.

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Missili di Mosca a Teheran: da Usa preoccupazione per accordo

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Dopo la decisione di Mosca di fornire sistemi anti-aerei S-300 all’Iran, Teheran fa sapere che ritirera' la sua richiesta di risarcimento danni di 4 miliardi di dollari, presentata ad una Corte di arbitrato internazionale contro la Russia. E arriva una prima reazione dagli Stati Uniti: un portavoce della Casa Bianca parla di possibili difficoltà sulle previste cancellazioni di sanzioni per Teheran nell'ambito dell’accordo finale. Di rapporti e equilibri dell’Iran in questa particolare fase di accordo con il gruppo dei 5+1, Fausta Speranza ha parlato con Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università di Milano: 

R. - La scelta di Mosca - dal punto di vista russo naturalmente -  mira a liberare la Russia dal timore di un isolamento internazionale: la Russia sta cercando in questo momento tutte le sponde possibile di carattere diplomatico e militare sia in Europa che fuori. Dal punto di vista dell’Iran, piuttosto potremmo dire che questo è il suggello di un rovesciamento della posizione diplomatica dell’Iran avvenuta negli ultimi mesi: l’Iran è passato dal massimo dell’isolamento internazionale degli anni scorsi, ad essere probabilmente il Paese più corteggiato oggi dal punto di vista diplomatico dello scacchiere internazionale. Questo è un clamoroso successo naturalmente per l’Iran ed è anche la dimostrazione di tutti i fallimenti delle politiche degli Stati Uniti soprattutto, ma anche di altri Paesi nell’area mediorientale.

D. - In questa fase c’entra anche il coinvolgimento dell’Iran in Yemen?

R. - L’Iran naturalmente sta approfittando di questo insperato, fino a qualche anno fa, recupero di influenza di potere; ne sta approfittando per conservare il proprio peso nella partita siriana e più recentemente naturalmente nel caso dello Yemen. È una doppia partita potremmo dire: una partita regionale che vede l’Iran nel ruolo di protagonista e una partita globale che vede in questo momento l’Iran nel ruolo del soggetto più appetito da parte delle grandi potenze esterne.

D. - Da qui a giugno, alla fase finale dell’accordo, che mosse ipotizzare?

R. - Da parte dell’Iran credo che da qui a giugno è ipotizzabile una sorta di fuoco di sbarramento da parte di tutti coloro che non vogliono questo accordo. E sono moltissimi, sia all’interno dell’Iran che nel mondo politico americano, per restare nelle relazioni internazionali nella regione mediorientale; naturalmente non c’è soltanto Israele ad opporsi al riavvicinamento tra Stati Uniti ed Iran, ma ci sono anche tutti i Paesi arabi tradizionali alleati degli Stati Uniti, a cominciare dall’Arabia saudita. Quindi, quello che c’è da attendersi nei prossimi mesi è il moltiplicarsi delle iniziative da parte di questi attori per far deragliare il negoziato.

D. - E tra Stati Uniti e Russia, vista la presa di posizione da parte della Casa Bianca su questa decisione di Mosca di fornire missili, che cosa possiamo pensare? Sarà un braccio di ferro?

R. - Il braccio di ferro continuerà perché gli Stati Uniti non possono pensare di avere a che fare soltanto con dei competitori che – diciamo così - le prendono senza darle. Quindi, in questo momento la Federazione Russa è inevitabilmente orientata a creare problemi agli Stati Uniti in quanto subisce una serie di problemi maggiori per effetto dell’embargo e per effetto di quello che è seguito all’iniziativa militare russa in Ucraina. Quindi, è immaginabile un’ulteriore tornata di tensioni tra Stati Uniti e Russia, senza dimenticare che in realtà tutte le tensioni  - anche se in questo momento sono relative all’Iran - sono ancora le stesse della crisi ucraina. Nei confronti della Russia, il problema resta quello e la Russia fa sostanzialmente un’incursione in Medio Oriente in modo di rafforzare la propria posizione in Europa.

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Chibok. La Nigeria ricorda le vittime di Boko Haram

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La Nigeria ricorda oggi con manifestazioni e messaggi di solidarietà il primo anniversario del rapimento, da parte degli integralisti islamici di Boko Haram, di quasi 276 ragazze di un liceo di Chibok, nello stato del Borno. L’impegno sarà massimo ma “non possiamo promettere" che le rapite saranno ritrovate, ha detto in un comunicato il nuovo presidente, Muhammadu Buhari. Amnesty International invoca l’intervento della comunità internazionale e parla di rischio per milioni di persone. Massimiliano Menichetti ha intervistato Riccardo Noury, portavoce in Italia dell’organizzazione: 

R. – E’ un conflitto certamente molto lontano da noi, nel quale vengono sacrificate vite di civili. Ora, la speranza è che il governo nigeriano faccia diversamente e che non solo non risponda in maniera fiacca, e tra l’altro con violazione dei diritti umani, ma risponda in maniera efficace, aiutato anche dalla comunità internazionale. Ci sono milioni di persone che sono in pericolo nel nordest della Nigeria, e non solo. Dall’inizio del 2014, negli ultimi 16 mesi sono stati almeno 5.500 i civili uccisi da Boko Haram in decine e decine di attacchi e 2.000 è il numero stimato delle donne e delle bambine rapite, sempre dall’inizio del 2014. Di tempo ne è già passato tanto. Ora bisogna veramente fare qualcosa di concreto.

D. – Centro di queste violenze è lo Stato del Borno. Anche Niger e Ciad sono impegnate nella repressione di questa realtà. Eppure, questo non sembra bastare…

R. – Intanto, servirebbe che chi combatte contro Boko Haram desse il buon esempio. Per mesi e mesi, abbiamo assistito all’inefficacia e all’inefficienza della reazione militare nigeriana, che non solo non ha impedito che si compissero raid ed attacchi – quando c’era il tempo per impedirli e quando addirittura Boko Haram aveva dato un preavviso – ma si è basata, questa riposta, anche su violazioni dei diritti umani: torture, sparizioni, esecuzioni extragiudiziali... Si è basata sulla strategia miope e infelice di dare le armi alla popolazione. Una soluzione, che si trovi presto, deve basarsi sul rispetto dei diritti umani e non sulla loro violazione.

D. – Quale sarà la strategia di Muhammadu Buhari, il nuovo presidente che ha sostituito Goodluck Jonathan?

R. – La strategia vincente deve essere anzitutto basata sulla credibilità e sulla protezione dei civili. Deve evitare che politiche basate sulla discriminazione e sullo scontro etnico e religioso finiscano per alimentare ulteriormente Boko Haram, che ha già 15 mila combattenti. Ultima questione: c’è un tema di corruzione, di mancata chiarezza nella linea di comando, nell’obbedienza agli ordini militari, nel pattugliare il territorio, che chiama in causa le Forze armate nigeriane compromesse talvolta con Boko Haram e niente affatto desiderose di proteggere la popolazione, specialmente se sono donne o minoranze religiose. Questo è un tema che il nuovo presidente dovrà affrontare molto presto.

D. – Si ha un po’ l’impressione che lo Stato del Borno sia lasciato un po’ a se stesso, con Boko Haram che continua a minacciare di voler islamizzare tutto il Paese…

R. – Certamente, è stato lasciato a se stesso nel corso degli ultimi anni, perché è lì che Boko Haram si è alimentato, si è rafforzato. E' lì che ha messo le sue basi, i suoi centri di addestramento, di prigionia, di indottrinamento... E’ uno Stato nel quale comunità – cristiana e musulmana – che vivevano più o meno armoniosamente, si sono messe una contro l’altra e ne hanno fatto le spese certamente più i primi che i secondi, in termini di vite umane… Quindi, chissà se il presidente neoeletto, che è musulmano, stavolta penserà di proteggere quella parte del Paese che gli ha dato tanti voti. E’ ovvio che nel farlo non dovrà discriminare. La protezione va assicurata a tutti quanti, specialmente alle donne, specialmente alle minoranze religiose, specialmente a coloro he sono più vulnerabili.

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Libia: al via i colloqui per un governo di unità nazionale

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E’ ripartito questa settimana il negoziato Onu per garantire il cessate-ilfuoco incondizionato in Libia, puntando a un governo di unità nazionale tra filoislamici di Tripoli e esecutivo di Tobruk. L’appuntamento è per domani in Marocco, ma già nelle ultime ore sono iniziati ad Algeri gli incontri tra diversi esponenti politici libici. “L’auspicio è che si vada fino in fondo per evitare che il Paese si sgretoli del tutto”, così al microfono di Gabriella Ceraso, Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto di Studi di politica internazionale: 

R. – Io dubito che ci siano le condizioni in questo momento per trovare un accordo tra le parti che non sono due, ma sono molto più numerose. Ci sono attori internazionali che sono sempre più presenti: mi riferisco all’Egitto, ad esempio, o alle potenze del Golfo e, come forza esterna, all’Is.Inoltre, noi avvaloriamo un governo che è quello di Tobruk di legittimità, ma in realtà è poco legittimo, e stiamo complicando gli accordi perché quelli di Tobruk sentendosi forti del fatto di essere legittimi, partecipano poco convintamente.

D. – I jihadisti affiliati all’Is sono, come altri, quelli che giocano allo sfascio in questa situazione e che ci guadagnano in questa spaccatura. Se si contrastassero loro, si potrebbe ristabilire un equilibrio…

R. – In realtà, se la comunità internazionale fosse in grado di imporre un’agenda anti-Is, questo sicuramente spaccherebbe il fronte di Tripoli: Misurata, farebbe breccia all’interno di questa coalizione variegata e quindi obbligherebbe le parti più moderate a venire incontro all’altro governo e a trovare una sorta di accordo. Ma le pressioni vanno fatte da entrambe le parti. Insieme a tutto questo, bisogna ricostruire un Paese dalla base. C’è un grosso impegno insomma in Libia. In ogni caso, la prospettiva è quella di avere un Paese instabile per il prossimo decennio.

D. – Quindi, lei non vede sotto buoni auspici questi colloqui?

R. – Secondo me, bisogna assolutamente andare fino infondo e percorrere questa strada. Però, non possono neanche essere accordi infiniti: bisogna essere capaci, come comunità internazionale, di mettere dei "paletti", che possono essere delle sanzioni ad hoc su singole persone, su capi milizia… Ci sono diversi strumenti, bisogna però essere molto determinati a obbligare le persone a stringersi la mano. E bisogna anche in qualche maniera, pensare a dei possibili "piani B".

D. – Comunque, l’Onu ha dato un’indicazione: ha parlato di un governo di unità nazionale, ma così come stanno le cose sembra impossibile...

R. – Sembra molto difficile, poi tutte le formule diplomatiche sono molto spesso volutamente ambigue. Certamente, il governo di unità nazionale vedrebbe un primo ministro espressione più del governo di Tobruk che del governo di Tripoli con delle salvaguardie, con delle vicepresidenze I due parlamenti potrebbero continuare a esistere e si creerebbero delle formule ancora volutamene ambigue, per le quali le assemblee avrebbero funzioni molti diverse, non chiare. Quindi, tutto quello che esce dall’opera di mediazione naturalmente è un sistema certamente e inevitabilmente poco chiaro. Non può che essere così in questa fase. Per cui, attendiamo il risultato di questo round negoziale. Temo che non si chiuda in questa settimana, ma che dovremmo attendere altro tempo.

D. – Comunque, è auspicabile, come diceva lei, che si vada fino in fondo e si forzi anche la mano, perché ad esempio oggi il governo libico ha detto: "Questo negoziato è importante ma non è sufficiente”. Pensano ancora all’opzione militare, hanno stretto anche contatti con la Russia per aumentare la potenza militare della Libia…

R. – Questo è un gioco che il governo di Tobruk potrebbe fare all’infinito e se le cose non si risolvono loro avranno sempre maggior forza contrattuale per chiedere un intervento non neutrale – quello che stiamo facendo ora – ma un intervento a loro favore. Quindi, bisognerebbe essere molto convincenti anche con loro, lavorando con i partner che loro sentono vicini – l’Egitto, i Paesi del Golfo – altrimenti non ne usciremo mai e quello che si profilerà è una lunga guerra civile, perché nessuno dei due governi ha in questo momento un peso preponderante dal punto di vista politico e militare tale da poter conquistare tutto il territorio nazionale in breve tempo.

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Sostegno politico alla Tunisia: una delegazione in Italia

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Una delegazione di esponenti della società civile tunisina è in questi giorni in Italia, incontrerà rappresentanti del parlamento, del governo e della società, per chiedere sostegno politico italiano ed europeo nella delicata transizione democratica tunisina. La visita è coordinata dalla "Rete Euromediterranea dei diritti umani". Il servizio di Elvira Ragosta

Quattro le tematiche su cui i rappresentanti della società civile tunisina chiedono sostegno: la transizione politica in atto nel Paese che nel 2011 ha inaugurato le "primavere arabe", la sicurezza dopo l’attentato terroristico al Museo del Bardo, la politica sulle migrazioni da e verso la Tunisia e i diritti economici e sociali sui quali influirebbe il Trattato di libero scambio Aleca, che l’Unione Europea ha cominciato a negoziare sulla Tunisia. Su quest’ultimo aspetto, si sofferma Lilia Rebai, responsabile del progetto Ue-Tunisia della Rete Euromeditteranea dei diritti umani:

“Comment un petit agriculteur tunisien qui a des problèmes…
Come può un agricoltore tunisino, che ha un problema serio di acqua e che non ha formazione e non ha servizi, concorrere con le grandi multinazionali europee e internazionali? La stessa cosa per la questione dei servizi: come si può pretendere che, ad esempio, un imprenditore tunisino che guadagna un appalto possa portare i suoi lavoratori tunisini in Europa, sapendo che non ci sono legislazioni di accesso al territorio? Maggiore trasparenza quindi per questi trattati e soprattutto una dimensione di principio: non si può parlare della libertà di movimento dei beni, se non si parla della libertà di circolazione degli esseri umani”.

Messaoud Romdani, vicepresidente del Forum Tunisino per i diritti economici e sociali, lancia l’ipotesi di una Commissione mista, composta da rappresentanti dei governi tunisino e italiano e delle società civili dei due Paesi per far luce sui casi dei tantissimi tunisini scomparsi nei naufragi del Mediterraneo Sulla questione, abbiamo ascoltato Raffaella Bolini, della Rete Euromediterranea dei diritti umani:

“Verità e giustizia rispetto a quegli scomparsi non è solo un dovere nei confronti delle famiglie che li hanno persi, ma anche il modo per cercare di togliere acqua al mulino di chi vuole costruire sentimenti e rancori antieuropei e antioccidentali, cosa questa che aiuta la produzione di terrorismo. Ci vuole un piano globale e coerente per la Tunisia: questo è quello che proveremo a fare in questi giorni, cercando di istituire un meccanismo di raccordo permanente con la società civile tunisina, che nel suo Paese attualmente conta molto e può influenzare le politiche, come sta già facendo, del parlamento e delle istituzioni”.

La visita della delegazione tunisina è coordinata dalla Rete Euromediterranea dei diritti umani - un network composto da 80 organizzazioni, istituzioni e personalità di 30 Paesi della regione - che sta portando avanti un progetto pilota di 18 mesi in Tunisia, per mobilitare la società civile nel quadro delle relazioni tra Tunisia e Ue.

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Immigrazione. Accoglienza al collasso. Cri: Ue faccia di più

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Proseguono gli sbarchi di immigrati in Sicilia. In 1.169, soccorsi ieri dalla Guardia Costiera, provenienti da Siria, Eritrea e Somalia sono arrivati all’alba al porto di Palermo. Fermato a Pozzallo un presunto scafista della Guinea: avrebbe gettato in mare il corpo di un migrante, poi dilaniato dagli squali. Ieri l'allerta del Viminale: è boom di arrivi, servono nuove strutture. Impegnata nei soccorsi la Croce Rossa Italiana che oggi a Roma ha organizzato un  workshop sui diritti dei migranti. Sentiamo il presidente Francesco Rocca al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Sono troppi anni che continuiamo a chiamare “emergenza” quello che dovrebbe essere ormai trattato come “ordinaria amministrazione”: non stiamo facendo abbastanza per dare risposte in termini umanitari e di diritti fondamentali dell’essere umano.

D. – Sono oltre 6.000, forse 7.000 i migranti soccorsi negli ultimi quattro giorni, più di 500 – secondo l’Onu – le vittime del Mediterraneo dall’inizio dell’anno. Si stima che possano arrivare presto tra i 500 MILA  e un milione di profughi, già pronti a partire dalla Libia. Voi come Croce Rossa siete impegnati nella gestione dei soccorsi sulle coste italiane: qual è lo stato di salute delle persone che arrivano sulle nostre coste?

R. – Prevalentemente, sono quelle di chi ha fatto una lunga traversata, quindi disidratazione e i problemi legati all’insolazione, all’esposizione a temperture difficili. Sicuramente sono le donne, gli anziani e i bambini a subire le conseguenze di tutto questo.

D. – Nell’ultimo sbarco, quello avvenuto all’alba nel porto di Palermo con 1.169 profughi provenienti da Siria, Eritrea e Somalia, c’erano 55 bambini e circa 300 donne, alcune in gravidanza…

R. – Quest’ultimo sbarco mi dà l’occasione per ricordare a chi si permette di trattare questi esseri umani come clandestini o come non aventi diritto che proprio quei tre Paesi che lei ha ricordato sono tre Paesi dimenticati dalla comunità internazionale, e i provenienti da quei Paesi hanno diritto alla protezione umanitaria. Quindi, si smetta di raccontare che arrivano persone che non hanno diritti o che sono soltanto migranti economici. Chi si mette sulle barche e cerca salvezza, nell’80-90% dei casi sono persone che scappano da situazioni di disperazione e hanno diritto alla protezione umanitaria. Il problema è: come Italia non possiamo essere lasciati soli e l’Unione Europea deve fare qualcosa di più. Quei 500 morti degli ultimi mesi che cercavano una vita migliore e una fuga dalla disperazione, di nuovo pesano su di noi perché, peraltro, abbiamo sostituito una missione importante e fondamentale come era “Mare Nostrum” con “Triton” che in realtà non ha le stesse funzioni di andare a cercare gli esseri umani per salvarli in mezzo al mare. Questa missione è sia numericamente sia qualitativamente riduttiva rispetto alle esigenze dei nostri mari.

D. – E il sistema, ci dice il Ministero degli interni, rischia il collasso visto l’arrivo massiccio di questi ultimi giorni. Come Croce Rossa quale appello vi sentite di lanciare?

R. – Al sistema-Italia, rispetto a quello che già si sta facendo, probabilmente è difficile chiedere di più. Quello che ci sentiamo di chiedere, e stiamo facendo con forza, è all’Unione Europea di fare qualcosina di più. L’Italia, la Grecia, la Spagna sono Paesi che sono stati lasciati soli ad affrontare questo tema delle migrazioni. L’Italia in particolare, come "porta" d’Europa. Non può essere lasciato a chi gestisce la porta di casa il compito di farsi carico da solo di questo.

D. – L’Unione Europea fa ancora troppo poco…

R. – L’Unione Europea fa pochissimo: fa soltanto dichiarazioni di principio, a volte le piace bacchettare anche il nostro sistema d’accoglienza… Ne abbiamo abbastanza! Si faccia di più in tema di diritti umani, si faccia di più in tema concreto, per avere un’organizzazione di accoglienza a livello europeo. L’Italia, da sola, non è in condizione di sopportare questi numeri. E questo non deve essere un alibi per razzisti e xenofobi. E’ il sistema che deve fare di più.

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Milano. Il card. Scola celebra la Festa del Perdono

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Una Festa plurisecolare quella “del Perdono”, che si celebra a Milano nella chiesa del Policlinico di Milano dedicata a Santa Maria Annunciata. “Parroco” della chiesa è il cardinale arcivescovo della città ambrosiana, Angelo Scola, che ha vi celebrato la Messa alla presenza delle autorità dell’ospedale. La cronaca da Milano nel servizio di Fabio Brenna

Al Policlinico di Milano, si realizza quella collaborazione fra istituzioni civili e istituzioni religiose che è fondamentale per dare risposte ai bisogni costitutivi di ogni cittadino. Nonostante tale rapporto venga “maldestramente messo in discussione, resta di fondamentale importanza anche per i corpi intermedi e la realtà che viviamo”, ha osservato il cardinale Scola nell’omelia della Messa celebrata in quanto anche parroco della chiesa interna al Policlinico, S. Maria Annunciata.

La Festa del Perdono, antica ricorrenza dell’Ospedale Maggiore di Milano, serve per ricordare i benefattori e tutti coloro che hanno sostenuto giorno per giorno tutte le attività di cura e di ricerca di quella che oggi è la Fondazione Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in cui si realizza una forma di gestione condivisa fra pubblico e privato e nel cui consiglio d’amministrazione figura anche un rappresentante della chiesa locale.

Il tema scelto per questa 277.ma edizione della Festa è “La salute è un diritto o un dono?”, tema del confronto pubblico che si è sviluppato fra il cardinale Scola e l’editorialista del Corriere della Sera, Massimo Franco.

Parlando dell’indulgenza legata alla festa, l’arcivescovo di Milano ha ricordato come questi gesti servano ed invitino a cambiare il cuore. Una riappropriazione di senso, un recupero della distanza fra vita e fede che appaiono indispensabili, ha detto il porporato, di fronte ad una tragedia come quella che si è consumata al Tribunale di Milano giovedì scorso, o quando – rivolgendosi ai medici – bisogna comunicare notizie difficili sullo stato di salute di una persona. Il cardinale Scola ha quindi richiamato la Bolla di indizione dell’Anno Santo voluto da Papa Francesco: un invito a riscoprire la misericordia di Dio per adottare uno stile di vita che sappia rispondere alle sfide dell’oggi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vicario di Aleppo: bombe sui quartieri cristiani

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La situazione ad Aleppo “è peggiorata”, in città si assiste “a una progressiva escalation militare” a fronte di una popolazione civile, cristiani e musulmani, che “è stanca della guerra, è stanca di questi atti terribili di violenza”. Tuttavia, potenze e interessi “regionali e internazionali” mantengono vivo il conflitto, inviando “armi e munizioni sempre più potenti e letali”. È quanto denuncia all'agenzia AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui la città, un tempo motore economico della Siria, rischia di essere distrutta dalla follia di una guerra che non risparmia case, chiese, scuole e organizzazioni umanitarie. Decine le vittime cristiane negli attacchi degli ultimi giorni e il numero, come conferma il prelato, potrebbe aumentare perché vi sono ancora diversi cadaveri “intrappolati fra le macerie degli edifici crollati a causa dei bombardamenti”. 

Due giovani fratelli animatori salesiani morti insieme alla madre
I salesiani del Medio Oriente denunciano la morte di due fratelli cristiani di 21 e 17 anni, Anwar Samaan e Misho Samaan, insieme alla loro madre, causata da un missile che ha centrato la loro abitazione lo scorso 10 aprile. Due giorni più tardi, il 12, un raid aerei dell’aviazione siriana ha centrato una scuola in un quartiere di Aleppo nelle mani dei ribelli, uccidendo cinque bambini, tre insegnanti donne e un uomo. In risposta, nei quartieri controllati dai ribelli 135 istituti educativi e i mercati rionali resteranno chiusi per tutta la settimana. Testimoni locali riferiscono che le persone sono “più spaventate” del solito e dozzine di famiglie hanno lasciato le loro case in cerca di rifugio nei campi profughi in Turchia o sono sfollati interni nella stessa Aleppo.

Bombardamenti con armi pesanti sui quartieri cristiani
L’escalation del conflitto ha coinvolto anche i quartieri cristiani, che registrano numerose vittime e feriti gravi. “Nella notte fra venerdì e sabato scorso, al culmine della Pasqua ortodossa - racconta il vicario di Aleppo - i quartieri cristiani sono stati bombardati con armi pesanti, missili mai visti prima d’ora, razzi lunghi fino a tre metri”. Per il prelato è “una cosa nuova, dall’enorme potenza distruttiva” mentre sinora “eravamo abituati a pallottole e colpi di mortaio. Abbiamo visto palazzi di cinque piani sventrati, edifici rasi al suolo, gente che aveva paura ad uscire per strada ed è rimasta intrappolata… mai visto nulla del genere”. 

Per la Pasqua colpite chiese e scuole
Gli attacchi sono continuati anche nei giorni successivi. “La scorsa notte - continua mons. Georges - abbiamo vissuto momenti terribili vicino al vescovado, miliziani ed esercito regolare che combattevano fra loro. Ma non sappiamo perché ora abbiano preso di mira anche i civili”. Nei giorni scorsi sono state colpite anche chiese e scuole, chiuse per le festività della Pasqua. “Ora hanno riaperto - aggiunge il prelato - ma il pericolo di nuovi attacchi resta” e anche gli istituti educativi ora sono obiettivi sensibili. 

Le potenze straniere alimentano il conflitto e forniscono armi
I vescovi cattolici hanno lanciato un appello alla comunità internazionale, perché intervenga a fermare il conflitto. Tuttavia, aggiunge il vicario di Aleppo, è proprio la comunità internazionale, sono le potenze in campo (Stati Uniti, Arabi Saudita, Turchia, Francia che forniscono armi, combattenti, addestramento militare e ideologico) che “soffiano sul conflitto e forniscono armi sempre più pesanti e letali ai combattenti”. “Abbiamo pianto nel vedere le sofferenze negli occhi della gente - racconta mons. Georges - i molti corpi sotto le macerie delle case crollate. Solo nella parte cristiana abbiamo già seppellito 12 persone, di cui quattro della stessa famiglia. Ma ci sono ancora diversi corpi sotto le macerie, oltre che diversi feriti gravi e temiamo che il bilancio si possa aggravare nelle prossime ore”.  

E' in atto un 'progetto mirato' per sradicare i cristiani dalla Siria
“Siamo stanchi della guerra, non mandate più armi” è l’appello del prelato, secondo cui è in atto “un progetto mirato” per “sradicare i cristiani” dalla Siria, dall’Iraq, dal Medio Oriente. “Bombe e missili - aggiunge - non sono fatti per stuzzicare, ma per uccidere” e per far crollare il mosaico di convivenza e sentimenti comuni che era la Siria prima della guerra, dove cristiani e musulmani “vivevano uniti e senza tensioni di natura confessionale”. 

La Chiesa in aiuti della popolazione sia cristiana che musulmana
Ringraziando papa Francesco per gli appelli a favore dei cristiani perseguitati in Medio oriente, il vicario apostolico racconta che ad Aleppo la Chiesa continua i progetti di accoglienza e aiuto alle vittime della guerra, cristiani e musulmani, in condizioni che si fanno sempre più difficili. “In passato abbiamo distribuito cibo, vestiario. Ora stiamo allestendo Centri di accoglienza nelle parrocchie - afferma mons. Georges - perché vogliamo trovare un riparo per quanti hanno abbandonato le loro abitazioni, colpite dai missili. Le porte sono aperte a cristiani e musulmani, come è sempre avvenuto anche in passato. Questa è la bellezza della Siria, il dialogo e l’accoglienza fra persone di religione diversa, che i combattenti provenienti dall’estero e imbevuti di ideologia vogliono distruggere”. (D.S.)

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Nigeria. Mons. Kaigama: il ricordo delle ragazze di Chibok

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“Il nostro pensiero va alle ragazze e alla loro famiglie” dice all’agenzia Fides mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, ad un anno dal rapimento delle studentesse del liceo di Chibok, nel nord della Nigeria. “Ad un anno dal loro rapimento non si conosce dove siano le ragazze. È una pena profonda per le famiglie, le cui figlie sono scomparse all’improvviso senza lasciare traccia. Posso immaginare la loro angoscia. Ma non sono sole, perché tutta la comunità e le famiglie nigeriane sono con loro” sottolinea mons. Kaigama.

Non si conosce neppure la sorte delle studentesse rapite
Il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria rimarca però come sia “preoccupante constatare come ad un anno di distanza, nonostante gli impegni presi dal nostro governo e dalla comunità internazionale, si sia ottenuto veramente poco: non solo le ragazze non sono state liberate ma non si conosce nemmeno la loro sorte”.

Mons. Kaigama chiede la liberazione delle persone rapite
​“D’altro canto siamo grati per i progressi fatti negli ultimi mesi in termini di ripresa del controllo del territorio a Boko Haram, le cui attività sono ora limitate” afferma l’arcivescovo. “Quello che è importante ora è intensificare gli sforzi per rintracciare le ragazze. Il nuovo governo ha promesso di fare di più. Il Presidente eletto, Muhammadu Buhari, è un ex alto ufficiale che conosce le problematiche militari e di intelligence. Speriamo sia in grado di delineare una strategia per sconfiggere Boko Haram e portare a case le persone rapite” conclude mons. Kaigama. (L.M.)

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Pakistan: leader religiosi e politici uniti contro il terrorismo

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Una speciale giornata di preghiera per la pace in Pakistan, con la partecipazione di leader religiosi, politici e sociali, e di intellettuali: è l’iniziativa organizzata nei giorni scorsi dal Consiglio per il Dialogo interreligioso di Lahore, gruppo fondato dal frate cappuccino padre Francis Nadeem in Punjab. “Abbiamo pregato chiedendo a Dio di fermare la crescente ondata di terrorismo, che porta uccisioni, tensioni politiche, odio settario e pregiudizi religiosi in Pakistan” spiega a Fides padre Nadeem, che ha presieduto l’incontro con il leader musulmano sufi Shafaat Rasool, presidente del Consiglio per il Dialogo interreligioso.

Richiesto al governo di promuovere la pace e l'armonia interreligiosa
Secondo i leader delle diverse religioni presenti, “la Giornata è stata l’occasione per una accorata forte invocazione per la pace in Pakistan e in altri Paesi del mondo”. I leader hanno chiesto al governo di “prendere le misure necessarie per proteggere la vita dei cittadini”; ribadendo l’impegno a “promuovere la pace e l'armonia interreligiosa attraverso il dialogo”. I partecipanti hanno espresso profonde condoglianze alle famiglie di tutte le vittime degli ultimi attacchi, commemorando quanti hanno perso la vita in attentati suicidi, esplosioni e a causa del terrorismo negli ultimi mesi in diverse parti del paese, come a Karachi, Lahore e Rawalpindi. “E’ essenziale continuare a diffondere messaggi e parole di pace in Pakistan” ha chiosato padre Francis Nadeem, rimarcando che “c’è bisogno di armonia interreligiosa in ogni angolo del Paese”. “Urge unire le mani e le braccia, ignorando differenze e pregiudizi, per il bene, la pace, la riconciliazione”. (P.A.)

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Pace e giustizia in Asia: le sfide della riconciliazione

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“Riaffermiamo il nostro impegno a lavorare per l'uguaglianza degli esseri umani e per i diritti dei gruppi emarginati come donne, minoranze, tribali, popolazioni indigene. Sentiamo il dovere di promuovere i valori universali della giustizia e della pace e di applicarli nel contesto sociale dell’Asia contemporanea”. Lo affermano i delegati delle Commissioni “Giustizia e Pace” dei vescovi asiatici, riunitisi a Bangkok per l’incontro “Pace e riconciliazione nel contesto asiatico”, organizzato dalla Federazione delle conferenze episcopali (Fabc) dell’Asia dal 7 all’11 aprile. L’incontro, promosso dall’Ufficio per lo Sviluppo Umano della Fabc, ha riunito sacerdoti, religiosi e laici da Giappone, Hong Kong, Macao, Filippine, Singapore, Indonesia, Malesia, Thailandia, Myanmar, Bangladesh, India, Nepal, Sri Lanka e Pakistan.

Paradosso Asia: dalla crescita del Pil alla povertà estrema e malnutrizione
Nel documento finale, ripreso dall'agenzia Fides, i partecipanti notano “il bisogno di una risposta collettiva ai problemi e alle sfide della riconciliazione in Asia”, basandola su “principi fondamentali come l’inviolabile dignità umana e l'integrità del creato”. “L’Asia di oggi presenta tendenze paradossali” nota il Documento finale. Da un lato “la crescita del Pil, il miglioramento nell’alfabetizzazione e il progresso tecnico”. Dall’altro “povertà estrema, malnutrizione, militarizzazione su vasta scala, mancanza dello Stato di diritto e di governance democratica”. “Una pace sostenibile è subordinata alla giustizia economica e sociale”, mentre la riconciliazione politica tra le parti in conflitto non può prescindere dal “conoscere la verità e riconoscere le gravi violazioni dei diritti umani”, si afferma.

Il nazionalismo minaccia la libertà religiosa
“L'aumento del nazionalismo nei Paesi asiatici a scapito di gruppi etnici, linguistici e religiosi più piccoli è un fatto inquietante. Riteniamo che tale nazionalismo costituisca una minaccia alla libertà di religione e di credo. Il pluralismo a livello sociale, culturale e religioso è la bellezza dell’Asia, pertanto qualsiasi ideologia che porti divisione e conflitto dovrebbe essere scoraggiata da tutti”, notano i delegati della Fabc.

Difesa del creato e rischi per le terre in affitto
Altro tema importante è la custodia del creato: “L’Asia è soggetta a calamità dovute ai cambiamenti climatici. Come Commissioni Giustizia e Pace in Asia ci impegniamo a rafforzare la nostra risposta a questa minaccia crescente”. I partecipanti hanno rilevato con preoccupazione che “il land grabbing (terre in affitto) e lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali hanno portato a un aumento della povertà, dei conflitti e a diverse forme di violazione dei diritti umani”.

I frutti della visita in Asia di Papa Francesco
“La recente visita di Papa Francesco nei Paesi asiatici – conclude il testo – ha incoraggiato la solidarietà verso le popolazioni emarginate, l'impegno interreligioso per la pace e la riconciliazione, la costruzione di una Chiesa inclusiva”. (P.A.)

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Kenya: a Garissa continua dialogo tra cristiani e musulmani

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Nonostante quanto accaduto il 2 aprile nel campus dell’Università di Garissa, i rapporti tra le comunità musulmane e cristiane locali erano e continuano ad essere improntati alla collaborazione. Ad affermarlo all’agenzia di informazione cattolica africana Canaa è mons. Joseph Alessandro, vescovo  coadiutore della città teatro della strage perpetrata undici giorni fa dal gruppo islamista  somalo al-Shabaab nel campus dell'università.

A Garissa cristiani e musulmani uniti per promuovere il dialogo
Le cronache di questi ultimi anni parlano di crescenti tensioni tra musulmani e cristiani nel Paese, legate al diffondersi del fondamentalismo religioso. Secondo mons. Alessandro questo non è il caso di Garissa, dove da tempo si promuovono iniziative di dialogo interreligioso. “Le scuole cattoliche sono aperte alle famiglie musulmane e l’assistenza umanitaria fornita dalla Chiesa è aperta a tutti”,  ha detto il presule, riferendo che pochi giorni dopo l’attentato i leader del Consiglio Supremo dei musulmani del Kenya (Supkem), organismo che riunisce tutte le organizzazioni musulmane del Paese, hanno compiuto una visita al vescovado per esprimere solidarietà alla Chiesa e per dissociarsi dal sanguinoso attacco compiuto dai miliziani di  al-Shabaab.

I leader delle Chiese keniane: cristiani nel mirino 
Resta comunque viva tra i cristiani in Kenya la sensazione di essere nel mirino dei fondamentalisti islamici. E’ quanto denunciano i leader delle Chiese keniane in una dichiarazione congiunta diffusa in questi giorni. La strage di Garissa, si legge nel testo, “è l’ennesimo caso di keniani presi di mira per la loro religione. Per diversi mesi abbiamo visto con orrore il nostro gregge attaccato nei luoghi di culto — cittadini keniani innocenti trucidati perché credono in Cristo — e a tentativi deliberati di cacciarli da alcune regioni del Paese. Il massacro di cristiani in Kenya deve finire e devono finire gli insulti contro le altre religioni”, afferma con forza la dichiarazione. “Dobbiamo imparare a tollerarci quale che sia la nostra affiliazione religiosa o provenienza”.

Vigilare sui giovani e non predicare l’odio religioso
Dopo avere chiamato in causa le responsabilità del Governo di Nairobi, oggetto di dure critiche per non avere saputo evitare l’attacco,  i leader cristiani esortano quindi tutte le famiglie keniane a vigilare sull’educazione dei giovani affinché non vengano attirati dalle sirene del fanatismo religioso.  Infine, l’appello a tutti i leader religiosi a “desistere da ogni insegnamento, predicazione e propaganda dell’odio confessionale”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Allarme dei vescovi nigeriani per i metodi contro la vita

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“Il continuo spargimento di sangue causato da omicidi gratuiti, terrorismo, conflitti etnici, uccisioni rituali, incidenti stradali e suicidi in Nigeria mette seriamente in questione la nostra identità di africani e la nostra civiltà di nazione” affermano i vescovi della Provincia ecclesiastica di Ibadan, nel sud della Nigeria, presentando la Conferenza internazionale dedicata alla famiglia e alla vita, che si è aperta ieri a Ibadan e che si concluderà domani.

Proteggere la vita dal concepimento fino alla morte naturale
Nel documento - riferisce l’agenzia Fides - si ricorda che la vita è un dono di Dio, e che “inizia al momento del concepimento, e deve essere protetta fino alla morte naturale”. “I nigeriani - sottolineano i vescovi - amano la vita, accolgono i figli come doni preziosi, celebrano la maternità e sostengono il matrimonio come un’unione tra uomo e donna. Ogni bambino merita una casa e l’amore e le cure di un padre e di una madre”.

Condanna per aborto, contraccezione, traffico di esseri umani e manipolazioni genetiche
​, Per questo, i vescovi “condannano l’incessante promozione, da parte di alcune organizzazioni internazionali, dei ‘diritti sessuali e riproduttivi’, secondo l’espressione occidentale, un eufemismo per aborto, pianificazione familiare artificiale e contraccezione, come ingannevoli e inaccettabili”. Si ricorda infine che “l’intera persona umana appartiene a Dio. Questo significa che né la persona né parti del suo corpo possono essere ridotti ad una mercanzia per scopi commerciali. Di conseguenza, condanniamo con forza il traffico di esseri umani, il commercio sessuale, il traffico di ovuli umani, le manipolazioni embrionali e la raccolta illegale di organi umani”. (L.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 104

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.