Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 13/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Chiesa abbia il coraggio di parlare con franchezza

◊  

Il cammino della Chiesa è quello della “franchezza”, “dire le cose, con libertà”. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi ribadito che, come sperimentarono gli Apostoli dopo la Risurrezione di Gesù, solo lo Spirito Santo è capace di cambiare il nostro atteggiamento, la storia della nostra vita e darci coraggio. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, partendo da questa affermazione di Pietro e Giovanni, tratta dagli Atti degli Apostoli, nella Prima Lettura.

Parlare con franchezza, senza timore
Il Pontefice rammenta che Pietro e Giovanni, dopo aver compiuto un miracolo, erano stati messi in carcere e minacciati dai sacerdoti di non parlare più in nome di Gesù, ma loro vanno avanti e quando tornano dai fratelli li incoraggiano a proclamare la Parola di Dio “con franchezza”. E, chiedono al Signore di volgere “lo sguardo alle loro minacce” e concedere “ai suoi servi”, “non di fuggire”, “di proclamare con tutta franchezza” la Sua Parola:

“Anche oggi il messaggio della Chiesa è il messaggio del cammino della franchezza, del cammino del coraggio cristiano. Questi due, semplici – come dice la Bibbia – senza istruzione, hanno avuto il coraggio. Una parola che si può tradurre ‘coraggio’, ‘franchezza’, ‘libertà di parlare’, ‘non avere paura di dire le cose’ … E’ una parola che ha tanti significati, nell’originale. La parresìa, quella franchezza … E dal timore sono passati alla ‘franchezza’, a dire le cose con libertà”.

Francesco si è poi soffermato sul brano del Vangelo odierno che racconta il dialogo “un po’ misterioso fra Gesù e Nicodemo”, sulla “seconda nascita”, sull’“avere una nuova vita, diversa dalla prima”.

Annunciare Cristo, senza fare “pubblicità”
Il Papa sottolinea che anche in questa storia, “in questo itinerario della franchezza”, il “vero protagonista” è “proprio lo Spirito Santo”, “perché è Lui l’unico capace di darci questa grazia del coraggio di annunciare Gesù Cristo”:

“E questo coraggio dell’annuncio è quello che ci distingue dal semplice proselitismo. Noi non facciamo pubblicità, dice Gesù Cristo, per avere più ‘soci’ nella nostra ‘società spirituale’, no? Questo non serve. Non serve, non è cristiano. Quello che il cristiano fa è annunziare con coraggio e l’annuncio di Gesù Cristo provoca, mediante lo Spirito Santo, quello stupore che ci fa andare avanti”.

Il vero protagonista di tutto questo, ha ripreso, è lo Spirito Santo. Quando Gesù parla sul “nascere di nuovo”, ha detto, ci fa capire che è “lo Spirito che ci cambia, che viene da qualsiasi parte, come il vento: sentiamo la sua voce”. E, ha proseguito, “soltanto lo Spirito è capace di cambiarci l’atteggiamento”, di “cambiare la storia della nostra vita, cambiare la nostra appartenenza”.

Il coraggio, una grazia che viene dallo Spirito Santo
E’ lo Spirito, ha ripreso, “a dare questa forza a questi uomini semplici e senza istruzione” come Pietro e Giovanni, “questa forza di annunziare Gesù Cristo fino alla testimonianza finale: il martirio”:

“Il cammino del coraggio cristiano è una grazia che dà lo Spirito Santo. Ci sono tante strade che possiamo prendere, anche che ci danno un certo coraggio. ‘Ma guarda che coraggioso, la decisione che ha preso! E guarda questo, guarda come ha fatto bene questo piano, ha organizzato le cose, che bravo!’: questo aiuta, ma è strumento di un’altra cosa più grande: lo Spirito. Se non c’è lo Spirito, noi possiamo fare tante cose, tanto lavoro, ma non serve a niente”.

La Chiesa, ha soggiunto Francesco, dopo Pasqua “ci prepara a ricevere lo Spirito Santo”. Per questo, è stata la sua esortazione finale, adesso, “nella celebrazione del mistero della morte e della Risurrezione di Gesù, possiamo ricordare tutta la storia di Salvezza” e “chiedere la grazia di ricevere lo Spirito perché ci dia il vero coraggio per annunciare Gesù Cristo”.

inizio pagina

Nona riunione del Consiglio di Cardinali alla presenza del Papa

◊  

È iniziata questa mattina, alla presenza di Papa Francesco, la nona riunione del Consiglio di Cardinali. I lavori impegneranno i nove porporati membri dell’organismo fino a mercoledì prossimo. L’ultima riunione si è tenuta nel febbraio scorso e ha trattato, tra gli altri temi, la riforma della Curia e la riorganizzazione dei media vaticani.

inizio pagina

Parole su "genocidio" armeno: protesta dell'ambasciata turca

◊  

L'ambasciata della Turchia presso la Santa Sede definisce "inaccettabile" quanto detto dal Papa ieri nella Basilica di San Pietro in occasione della Messa per il centenario del “martirio” armeno. Papa Francesco, citando testualmente la Dichiarazione Comune di Giovanni Paolo II e Karekin II, risalente al 2001, aveva parlato del massacro degli armeni, iniziato nel 1915, come «il primo genocidio del XX secolo» durante il quale vennero “uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi”. Ankara ha richiamato l'ambasciatore presso la Santa Sede per consultazioni e ha convocato il nunzio apostolico in Turchia, mons. Antonio Lucibello, a cui ha manifestato il proprio disappunto.

inizio pagina

Udienze e nomine di Papa Francesco

◊  

Francesco ha ricevuto in udienza mons. Carlos José Ñáñez, Arcivescovo di Córdoba (Argentina)

Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Madagascar mons. Paolo Rocco Gualtieri, consigliere di nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Sagona, con dignità di arcivescovo.

Il Santo Padre ha nominato mons. François Eid, vescovo emerito del Cairo dei Maroniti e procuratore del Patriarca Maronita presso la Santa Sede, visitatore apostolico per i fedeli maroniti in Bulgaria, Grecia e Romania.

inizio pagina

Nomine di Papa Francesco nei dicasteri della Curia

◊  

Il Papa ha annoverato tra i Membri dei Dicasteri della Curia Romana i seguenti Eminentissimi Signori Cardinali, creati e pubblicati nel Concistoro del 14 febbraio 2015:

1)      nel Consiglio di Cardinali e Vescovi della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato l'Eminentissimo Signor Cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;

2)      nella Congregazione per la Dottrina della Fede l'Eminentissimo Signor Cardinale Ricardo Blázquez Pérez, Arcivescovo di Valladolid (Spagna);

3)      nella Congregazione per le Chiese Orientali gli Eminentissimi Signori Cardinali: Berhaneyesus Demerew Souraphiel, Arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia); Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona‑Osimo (Italia);

4)      nella Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l'Eminentissimo Signor Cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;

5)      nella Congregazione delle Cause dei Santi l'Eminentissimo Signor Cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;

6)      nella Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli gli Eminentissimi Signori Cardinali: John Atcherley Dew, Arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda); Pierre Nguyên Văn Nhon, Arcivescovo di Hà Nôi (Viêt Nam); Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, Arcivescovo di Bangkok (Thailandia); Arlindo Gomes Furtado, Vescovo di Santiago de Cabo Verde (Capo Verde); Soane Patita Paini Mafi, Vescovo di Tonga (Tonga);

7)      nella Congregazione per il Clero gli Eminentissimi Signori Cardinali: Manuel José Macário do Nascimento Clemente, Patriarca di Lisboa (Portogallo); Alberto Suárez Inda, Arcivescovo di Morelia (Messico);

8)      nella Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica gli Eminentissimi Signori Cardinali: Charles Maung Bo, Arcivescovo di Yangon (Myanmar); Daniel Fernando Sturla Berhouet, Arcivescovo di Montevideo (Uruguay);

9)      nella Congregazione per l'Educazione Cattolica l'Eminentissimo Signor Cardinale José Luis Lacunza Maestrojuán, Vescovo di David (Panamá);

10)    nel Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani l'Eminentissimo Signor Cardinale John Atcherley Dew, Arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda);

11)    nel Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace gli Eminentissimi Signori Cardinali: Pierre Nguyên Văn Nhon, Arcivescovo di Hà Nôi (Viêt Nam); Alberto Suárez Inda, Arcivescovo di Morelia (Messico);

12)    nel Pontificio Consiglio «Cor Unum» gli Eminentissimi Signori Cardinali: Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento (Italia); Arlindo Gomes Furtado, Vescovo di Santiago de Cabo Verde (Capo Verde); Soane Patita Paini Mafi, Vescovo di Tonga (Tonga);

13)    nel Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti gli Eminentissimi Signori Cardinali: Berhaneyesus Demerew Souraphiel, Arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia); Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento (Italia);

14)    nel Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari l'Eminentissimo Signor Cardinale Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona‑Osimo (Italia);

15)    nel Pontificio Consiglio della Cultura gli Eminentissimi Signori Cardinali: Charles Maung Bo, Arcivescovo di Yangon (Myanmar); Ricardo Blázquez Pérez, Arcivescovo di Valladolid (Spagna); José Luis Lacunza Maestrojuán, Vescovo di David (Panamá);

16)    nel Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali gli Eminentissimi Signori Cardinali: Manuel José Macário do Nascimento Clemente, Patriarca di Lisboa (Portogallo); Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, Arcivescovo di Bangkok (Thailandia);

17)    nel Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione l'Eminentissimo Signor Cardinale Daniel Fernando Sturla Berhouet , Arcivescovo di Montevideo (Uruguay).

inizio pagina

Il 3 maggio parte processo Beatificazione di mons. Câmara

◊  

La Chiesa brasiliana di Olinda e Recife aprirà il prossimo 3 maggio la fase diocesana del processo di Beatificazione di mons. Hélder Câmara, che fu a capo dell’arcidiocesi dal 1964 all’85 – e dove vi morì nel 1999. Mons. Câmara fu un pastore di straordinaria sobrietà personale e totalmente dedito al sostegno e al riscatto dei poveri, tratti che richiamano molto da vicino lo stile di Papa Francesco. Lo sottolinea il giornalista Gerolamo Fazzini, esperto di informazione religiosa, intervistato da Alessandro De Carolis

R. – Sicuramente, c’è questa forte analogia tra il Papa e Câmara. Tra l’altro, Câmara  andò in Argentina, quindi era ben conosciuto anche dall’ambiente ecclesiale argentino di cui lo stesso Bergoglio faceva parte. C’è sicuramente una forte assonanza sul tema dei poveri: Papa Bergoglio parla dei poveri come della “carne di Cristo” e Câmara parlava dei poveri come un fratello e una sorella in cui si incontra la presenza divina. Quindi, c’è veramente una fortissima assonanza. Il tema delle periferie è un altro argomento di stretta corrispondenza tra i due e, in generale, un po’ l’idea della Chiesa che ha uno sguardo di misericordia, di apertura a 360 gradi.

D. – Il messaggio “antimondano”, per così dire, di Papa Francesco colpisce a fondo la società odierna. In che modo quello di Dom Hélder Câmara aveva colpito quella del suo tempo e dei suoi luoghi?

R. – Câmara  fu uno dei primissimi a denunciare lo squilibrio esistente tra Nord e Sud del mondo. Ricordiamo che lui comincia a farsi largo, a livello di magistero, di notorietà internazionale, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. La denuncia della mondanità, quindi, sta nel fatto appunto che c’era una parte del mondo ricca che seguiva determinati miti del progresso, del benessere economico, lasciando alle spalle  le masse povere, escluse e così via. Ma questo sia a livello di denuncia sociale generale, sia all’interno della Chiesa. Durante il Concilio, Câmara  fu uno dei promotori del cosiddetto “Patto delle catacombe”, che si riprometteva di fare uscire dal Concilio una Chiesa profondissimamente rinnovata proprio nel segno della povertà, della spoliazione di simboli esteriori. Lui stesso aveva una croce pettorale di nessun valore dal punto di vista economico, perché voleva lanciare questo tipo di messaggi. Io stesso, che sono stato a visitare la sua camera, ho trovato questi ambienti estremamente spogli, poveri: c’era un’amaca dove lui dormiva, qualche mobiletto, una biblioteca molto, molto ridotta. Anche nella vita quotidiana, concreta – un po’ come il Papa adesso a Santa Marta – Câmara diede testimonianza di questo stile estremamente sobrio, antimondano.

D. – Lo hanno detto a Papa Francesco, come a suo tempo lo dissero anche a Dom Hélder Câmara: quello di essere un sacerdote “comunista” perché interessato al servizio dei poveri. Perché questo cliché non muore mai?

R. – Beh, perché storicamente ci sono stati episodi, e non uno solo, di scivolamento ideologico e anche pragmatico di alcune persone della Chiesa che, appunto, servendo i poveri poi sono finite nella militanza più politica, tradendo magari gli ideali evangelici. Ma questo non dà assolutamente a nessuno il diritto di appiccicare etichette antipatiche, come questa del vescovo “comunista”, a suo tempo a Câmara o al Papa adesso. Sono stereotipi che fanno fatica a morire, bisogna proprio scrollarceli di dosso. Se uno va a leggere le lettere spedite dal Concilio da Câmara, trova una persona di una spiritualità profondissima, una persona che pregava molto, che raccomandava la preghiera, che quindi che aveva un approccio alla situazione sociale che non partiva da teorizzazioni ideologiche o da schemi fatti a tavolino, ma partiva da un discernimento alla luce della Parola di Dio, quindi uno sguardo assolutamente di tipo spirituale, che poi certo chiedeva dei cambiamenti sociali, chiedeva una serie di scelte anche molto concrete. Il punto di partenza, però, era chiarissimo.

D. – Qual è l’eredità di Dom Hélder Câmara?

R. – Intanto, c’è un’eredità concreta a livello di magistero, perché in Brasile stanno uscendo a poco a poco – l’Istituto Hélder Câmara se ne sta occupando – gli scritti. E il fatto che a tanti anni di distanza – più che dalla sua morte, avvenuta in tempi recenti, del periodo più “caldo” del suo magistero – questi scritti siano attuali dimostra il fatto che lui aveva colto nel segno e che la lettura della sua situazione non era ancorata a qualcosa di contingente, ma andava molto in profondità. Poi, c’è un’eredità molto più profonda nello stile in cui la Chiesa brasiliana e, in generale, la Chiesa latinoamericana ha fatto sua l’opzione preferenziale dei poveri. Se la Chiesa brasiliana – e ripeto più in generale latinoamericana – ha fatto un certo cammino e ha tuttora, nonostante l’erosione dall’ambito protestante, un forte consenso a livello popolare è proprio perché è una Chiesa credibile, in quanto amica dei poveri, in quanto una Chiesa autenticamente evangelica. E questo lo deve anche a Câmara.

inizio pagina

Commissione Biblica. Müller: Dio non toglie libertà all’uomo

◊  

Al via oggi in Vaticano, alla Casa santa Marta, la Plenaria annuale della Pontificia Commissione biblica guidata dal presidente, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. I lavori della Commissione, che si concluderanno il 17 aprile, saranno incentrati sul documento “Ispirazione e verità della Bibbia. La parola che viene da Dio e parla di Dio per salvare il mondo” e su alcune tematiche di antropologia biblica. Nell’intervento introduttivo, il cardinale Müller ha sottolineato che quest’ultimo è un argomento che “riguarda non soltanto la fede e l’identità dei credenti, ma l’uomo come tale, il quale, nella mentalità odierna, è tentato di respingere ogni legge morale in nome di una falsa concezione di libertà e verità”.

“Il presunto conflitto tra libertà e legge – ha proseguito il porporato – si ripropone oggi con singolare forza in rapporto alla legge naturale”. I fautori della "morale laica affermano che l’uomo, come essere razionale, non solo può ma addirittura deve decidere liberamente il valore dei propri comportamenti”. La Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero della Chiesa, ha osservato, “ci dicono invece che la vocazione e la piena realizzazione dell’uomo non significano affatto il rifiuto della legge di Dio, ma la sua obbediente accoglienza”. La legge Dio, ha ribadito il cardinale Müller, “non attenua né tanto meno elimina la libertà dell’uomo, ma, al contrario, la garantisce e la promuove”. Pertanto, ha concluso il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, “per essere vera, la libertà ha bisogno di obbedire alla legge di Dio: questa è la sua più alta realizzazione”. (A cura di Alessandro Gisotti)

inizio pagina

Twitter, Papa Francesco supera i 20 milioni di follower

◊  

Papa Francesco supera i 20 milioni di follower sul suo account Twitter @Pontifex in nove lingue, inaugurato da Benedetto XVI nel dicembre 2012. La lingua più seguita è quella spagnola con 8 milioni e 536mila follower. Seguono l’inglese con 5 milioni e 875mila, l’italiano con 2 milioni e 684 mila, il portoghese (1 milione e 352mila), il polacco (407mila), il francese (364mila), il latino (340mila), il tedesco (257mila) e l’arabo (196mila).

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Senza memoria la ferita resta aperta: nel centenario dello sterminio degli armeni generalmente considerato "il primo genocidio del XX secolo" il Papa ricorda che anche oggi assistiamo a massacri sanguinosi.

Il coraggio della franchezza: Messa a Santa Marta.

Nel segno dei chiodi: al Regina caeli il Papa parla dell'incredulità di Tommaso.

La silenziosa tragedia dei bambini: alunni di una scuola di Mosul sequestrati dall'Is mentre ad Aleppo altri ragazzi sarebbero morti in un bombardamento.

Per voltare pagina: L'Avana e Washington sulla strada della riconciliazione dopo lo storico incontro tra Castro e Obama a Panamá.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Siria, Younan: ribelli vogliono prendere Aleppo per estendere Is

◊  

C’è choc in Siria e non solo per la devastazione in corso ad Aleppo, un tempo polmone economico del Paese. Secondo quanto afferma l'Osservatorio siriano per diritti umani è salito a 24 vittime, tra cui numerosi minori e donne, il bilancio provvisorio dei bombardamenti aerei del regime contro i quartieri orientali della città, nelle mani dei miliziani di varie fazioni. Quelli occidentali, invece, sono ancora sotto il controllo delle autorità siriane. Damasco nega di aver colpito obiettivi civili. Secondo fonti locali, nella scuola Jamil Qabbani, del quartiere di Ansari, colpita dai raid, sarebbero morte almeno 14 persone, tra cui cinque bambini. Nelle altre zone invece ad essere presi di mira sono i luoghi di culto cristiani. Della situazione ad Aleppo parla il patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan, al microfono di Giada Aquilino

R. – La notizia della scuola è davvero triste perché è molto triste che bambini siano uccisi. Sono stati i bombardamenti. Da giorni anche i quartieri di Aleppo ovest sono sotto bombardamento. I ribelli rivoluzionari, i quali non sappiamo da che parte stiano, hanno anche dei grandi missili che hanno distrutto molti edifici e sono caduti su civili innocenti.

D. – Questi bombardamenti da che parte arrivano? Cioè: chi bombarda?

R. – La verità è che ci sono dei ribelli islamici che stanno bombardando soprattutto quartieri cristiani, civili. Ho parlato con il vescovo ad Aleppo, che mi ha detto: “Noi non possiamo più rimanere qui, nella nostra casa vicino alla cattedrale”. Già tre cattedrali, la maronita, l’armena e la melkita, sono state bombardate.

D. – Prima della guerra, i cristiani ad Aleppo erano 150 mila: oggi quanti sono e come vivono?

R. – Non ne è rimasta nemmeno la metà. Vivono sempre assediati dai ribelli. Non hanno che una sola via verso Homs, al sud, e per arrivarci devono fare lunghi giri. E anche questa strada è stata attaccata. Non possono usare nemmeno l’aeroporto. Allora il problema è che questa grande città è assediata dai ribelli che vogliono prenderla per farne una parte del cosiddetto Stato Islamico.

D. – C’è il pericolo che anche Aleppo cada nelle mani dei jihadisti?

R. – Sicuramente. C’è sempre il pericolo! Però, come abbiamo sentito da molti ufficiali, non lasceranno che i ribelli islamici prendano la città. E per questo ci sono le battaglie in corso. In questa situazione, i cristiani stanno cercando di resistere e di rimanere attaccati alle loro città. Però, purtroppo, sono abbandonati: si sentono abbandonati.

D. – Allora qual è l’appello per Aleppo?

R. – L’appello per Aleppo e per tutta la Siria è: basta mandare armi ai ribelli! Molti milioni di siriani sono già fuori, scappati dal Paese e il popolo, in maggioranza, vuole la pace, vuole la riconciliazione. Basta con questa tragedia.

inizio pagina

Sudan: urne aperte per rieleggere il presidente uscente al Bashir

◊  

Urne aperte, da oggi a mercoledi, in Sudan per le elezioni presidenziali ma anche dei parlamenti e dei consigli legislativi dei 18 Stati che formano il Paese del Corno d’Africa, abitato da circa 13 milioni di persone. Unico candidato favorito il presidente uscente Omar al Bashir, al potere dal 1989, grazie ad un colpo di Stato, rieletto nel 2010 nonostante le accuse di crimini di guerra e contro l’umanità e di genocidio durante il conflitto nella regione del Darfur, formulate già nel 2009 dalla Corte penale internazionale. Roberta Gisotti ha intervistato Massimo Alberizzi, direttore del quotidiano on line “Africa Express”, già corrispondente dall’Africa del "Corriere della Sera": 

D. - Perché questo voto è scontato?

R. – Lo sarebbe anche se l’opposizione, che ha annunciato il boicottarlo, si presentasse alle elezioni, perché al Bashir è un dittatore da oltre 25 anni e quindi ha in mano praticamente tutto l’apparato dello Stato. In realtà ci sono altre 14 candidati minori che nessuno conosce, perché sono lì solo a dimostrare che le elezioni sono democratiche. Lui ha già vinto, ancor prima della pubblicazione dei risultati, previsti il 27 aprile.

D. – Quali riflessi avrà la rielezione di al Bashir nella regione, anzitutto per il Sud Sudan indipendente da soli quattro anni? E quali scenari potrebbero cambiare se al Bashir non fosse eletto, quindi quali interessi resteranno imbrigliati?

R. – Praticamente non cambia esattamente niente! E’ una continuità della sua politica, che vede ancora tre ribellioni molto forti: quella in Darfur, che tutti noi conosciamo, da dieci anni; quella del Sud Kordofan e quella del Blue Nile, che sono due Stati in contenzioso ancora con il Sud Sudan, perché in questi due Stati, in cui c’è la guerriglia che è continuata anche dopo l’accordo di pace e l’indipendenza del 2011 del Sud Sudan, si continua a combattere: erano stati abbandonati durante il negoziato e sono in contestazione tra il Sudan e il Sud Sudan. La guerriglia ovviamente è pro-sud sudanese mentre il governo vuole annetterli completamente. Qui il governo controlla solo le città e la guerriglia controlla le campagne intorno. Una realtà, questa, che già ti mette in guardia su che tipo di elezioni abbiamo: solo per legittimare un presidente golpista, che ha governato, anche con il pugno di ferro, per tutti questi anni. Lui che ha ricevuto anche delle critiche fortissime dalla parte più conservatrice del suo gruppo quando ha deciso di negoziare l’indipendenza del Sud Sudan, non può ora permettersi di perdere altre fette di territorio, che sono tra l’altro importantissime dal punto di vista economico: il Darfur è il maggior produttore di gomma arabica al mondo, con la quale si fanno chewing-gum e Coca Cola,  gli altri due Stati – il Sud Kordofan e il Blue Nile – sono ricchi di petrolio. Il contenzioso non è un puramente territoriale, ma è di tipo economico. Quindi il Paese è in grande fermento e al Bashir lo tiene insieme con il pugno di ferro; consideriamo che la Tv di Stato e tutti i canali privati sono pro-al Bashir: nessuno dice che forse chi boicotta queste elezioni ha ragione. Tra i boicottatori c’è Hassan al-Turabi, che è il capo dei Fratelli musulmani, che ha litigato con Bashir e si è posto su una posizione più progressista rispetto a quella di al-Bashir, il quale non credo abbia un grande rispetto dell’Islam e della religione, che viene utilizzata invece per motivi puramente economici, mentre Turabi chiede comunque il rispetto della religione, anche se ha preso grandissime distanze dai terroristi e dai terrorismi di vario tipo che operano in Medio Oriente.

D. – Purtroppo, quindi, uno scenario che resta cristallizzato in tutte le sue criticità e anche drammaticità…

R. – Certo, purtroppo sì! Si continua a morire, soprattutto con la rivolta e con la guerra in Sud Sudan i sudanesi questi ricevono molti meno aiuti: quelli di tipo umanitario sono veramente scarsissimi. C’è il rischio di catastrofe umanitaria, perché la gente non ha più niente da mangiare!

inizio pagina

Ancora morti in Yemen, combattimenti a Aden

◊  

E' di almeno 28 morti il bilancio degli scontri e dei raid aerei della coalizione a guida saudita sullo Yemen nelle ultime 24 ore. Il centro del Paese è stato colpito da bombardamenti, mentre nella città di Aden si registrano violenti scontri tra ribelli Houthi e forze fedeli al Presidente Mansur Hadi. Sul fronte politico, intanto, il capo di Stato yemenita ha nominato l’ex primo ministro Khaled Bahah, vice Presidente dello Yemen. Un portavoce dei ribelli ha criticato la nomina aggiungendo che gli houthi non riconosceranno alcuna decisione presa dal nuovo vice Presidente. Della situazione precipitata in Yemen Fausta Speranza  ha parlato con il direttore della rivista Oriente Moderno, Claudio Lo Jacono: 

R. – In un teatro di guerra aperta, come è lo Yemen, caratterizzato dall’intervento di forze regolari e contrastato da un misto di forze appena appena organizzate e molte di tipo guerrigliero, cioè un teatro di guerra asimmetrica, è ovvio che non ci sia una condotta delle azioni chiara e facilmente interpretabile.

D. – In Yemen si sta giocando una partita a scacchi di livello non locale?

R. – In questo caso sono proprio le politiche delle grande potenze regionali a scontrarsi. Non è tanto una guerra come quella che si sta conducendo in modo strano contro lo Stato Islamico, contro il cosiddetto Califfato. E’ un intervento che ripropone l’antichissimo tema del controllo dello Yemen, conteso dall’Arabia Saudita da quando è nato il Regno dell’Arabia Saudita; e dall’Iran, che ha sempre avuto nei confronti dello Yemen una sorta di interesse, che è addirittura precedente all’Islam. Tutto ciò si è accentuato per il fatto di avere - entrambi i Paesi - una maggioranza non sunnita, anche se sono due forme di sciismo diverse quella yemenita e quella iraniana.

D. – Ci sono poi a livello locale sicuramente delle situazioni socioeconomiche che hanno fatto maturare il tutto?

R. – Sì, certo! Queste noi le abbiamo viste negli anni, nei lunghi anni che hanno preceduto questo 2015. Un governo centrale, che è in mano ad una minoranza – quella sunnita – e una maggioranza del Paese che è stata espropriata del potere quando, tanti anni fa, all’epoca del presidente egiziano Nasser, si organizzò un colpo di Stato militare – filo-nasseriano  - per deporre l’imam zaidita dell’epoca. Ci fu una guerra civile che andò avanti a lungo, che non fu combattuta in modo aperto tra Egitto ed Arabia Saudita, ma di fatto erano loro gli attori importanti, e che si concluse poi con un accordo abbastanza spettacolare a margine della cerimonia del grande pellegrinaggio alla Mecca: ci fu un incontro tra Faishal, allora re dell’Arabia Saudita, e Gamal Abd el-Nasser, che era presidente dell’Egitto.

D. – I combattimenti, gli scontri sono proprio ad Aden: vogliamo ricordare la simbologia di questa città?

R. – Lo Yemen è il prodotto della fusione di due esperienze statali, che alla fine si sono poi unificate: la maggioranza del Paese è caratterizzato da montagne e da luoghi abbastanza aspri, mentre una parte dello Yemen si affaccia invece sull’importante Porto di Aden, sull’Oceano Indiano. Queste due zone si sono caratterizzate per due regimi profondamente diversi: l’uno è stato caratterizzato a lungo da un nazionalismo di tipo panarabo mentre l’altro, meridionale, è stato invece caratterizzato addirittura da una forza di marxismo. Queste due realtà non si sono mai unificate, come invece è accaduto a livello alto, superiore - oggi c’è un solo Yemen - sono rimaste profondamente divise ideologicamente: lo Yemen meridionale, oggi possiamo rappresentarlo in Aden, è quello che ha appoggiato maggiormente la minoranza sunnita, che poi è stata in qualche modo allontanata dal potere da un colpo di mano degli insorti houthi. Dobbiamo ricordare che questi insorti houthi rappresentano la maggioranza del Paese: sono zaiditi diversi dal punto di vista dell’approccio religioso all’Islam e costituiscono la maggioranza espropriata tanti anni fa dal potere. Non sono – voglio dire – dei golpisti: è una minoranza che, in qualche modo, reclama di ritornare a gestire in prima persona il proprio Paese.

inizio pagina

Qatar. Morte e sfruttamento tra gli operai dei Mondiali

◊  

In Qatar, sarebbero circa 1.200 gli operai morti negli ultimi due anni per la costruzione degli impianti per il Campionato del mondo di calcio del 2022. La denuncia è del Sindacato Europeo degli Edili che parla di "sostanziale schiavitù e sfruttamento" di persone per le condizioni di lavoro a cui sono costretti i lavoratori immigrati nell'emirato arabo. Per lo più provenienti da Paesi poveri dell'Asia. Alla denuncia, le Istituzioni sportive e politiche, internazionali e nazionali, hanno matenuto il silenzio sulla vicenda. Luca Collodi ne ha parlato con Domenico Pesenti, presidente della Federazione sindacale europea degli edili e segretario nazionale della Filca-Cisl in Italia: 

R. – Sono lavoratori che accettano qualsiasi lavoro perché vengono da Paesi poveri. Accettano un sistema di assunzione che prevede che consegnino i loro documenti di viaggio e, di fatto, da lavoratori diventano schiavi delle imprese per cui lavorano. E non hanno nessun diritto. Non c’è nessuna associazione che li rappresenti e questo permette alle imprese di sfruttarli. Ed è veramente tragico che per costruire degli stadi che si trasformeranno in una festa mondiale, ci siano persone schiavizzate nel lavoro.

D. – Come sindacato europeo degli edili, che cosa state cercando di fare per limitare questa situazione di sfruttamento di povertà?

R. – Noi abbiamo già fatto due visite in questi cantieri per cercare di sollecitare il governo locale, del Qatar, a intervenire per garantire libertà e soprattutto i diritti fondamentali sulla sicurezza del lavoro. Ma abbiamo anche scritto al nostro governo, abbiamo scritto alla Fgci, abbiamo scritto alla Federazione internazionale del calcio… Purtroppo, nessuno ci ha dato risposta. Per questo, domani noi faremo un presidio davanti alla Federazione gioco calcio italiana per sollevare questo problema, perché sembra veramente incredibile che tutti facciano orecchie da mercante rispetto a un problema così grave e tragico.

D. – In due anni di lavoro, 1.200 morti…

R. – Abbiamo trovato una situazione di persone chiuse dentro i cantieri o negli alloggi di fortuna…. Poi, ci sono alcune imprese che magari sono un po’ più attente, ma sono normalmente imprese europee, altre invece che sfruttano in pieno la possibilità data dalla legislazione locale. Noi riteniamo che in questi 1.200 morti, di cui si dice che tanti siano morti per infarto, siano dovuti alle condizioni di lavoro. Ma il rischio è che, prima della fine dei lavori, questi 1.200 diventino 4-5 mila persone, morte per fare un gioco…

D. – La Fifa è al corrente di questa situazione?

R. – La Fifa è al corrente. Sia il Sindacato internazionale sia noi abbiamo scritto lettere per segnalare queste condizioni. Ma anche lì, non abbiamo ricevuto risposte.

D. – Come vive un operaio che sta lavorando negli impianti dei Mondiali di calcio in Qatar?

R. – Lavorano chiusi nei loro cantieri, non possono uscire. Lavorano in queste baracche con i propri documenti in mano alle imprese, perciò sono veramente come in uno stato di prigionia.

D. – Quanto vengono pagati?

R. – Questo è difficile saperlo perché sono notizie che tengono riservate, ma vengono veramente pagati alla fine. Noi sappiamo anche di casi in cui al momento di riscuotere le loro retribuzioni, non vengono pagati e non possono ribellarsi perché non hanno documenti. Sono veramente in schiavitù.

inizio pagina

Naufragio al largo della Libia: morti 9 migranti, 144 i superstiti

◊  

Al largo delle coste della Libia si è capovolto un barcone carico di migranti diretto verso l'Italia. Si contano 9 morti e 144 superstiti, ancora in atto la ricerca dei dispersi.Claudia Minici ha sentito Filippo Marini, capitano di Vascello della Guardia Costiera: 

R. - Abbiamo registrato un soccorso particolarmente complesso, perché a 80 miglia a nord della Libia è stato individuato un barcone capovolto. Sul punto è intervenuta un’unità della Marina militare, tre rimorchiatori di altura - tre supply vessel - e due motovedette della Guardia costiera. Da questo barcone sono state tratte in salvo 144 persone e recuperati 9 cadaveri. In questo momento, le persone salvate si trovano a bordo dell’unità della Marina militare, otto dei cadaveri sono su una motovedetta della Guardia costiera; l’altro cadavere è rimasto sull’unità della Marina militare. Al più presto verranno tutti portati in Sicilia.

D. - È in atto la ricerca dei dispersi...

R. - Mentre vi parlo, sono in corso altre 14 operazioni di soccorso da questa mattina e stiamo seguendo con attenzione lo sviluppo della situazione.

D. - Vi è un incremento delle tratte di fuga?

R. - I migranti soccorsi tra venerdì, sabato e domenica sono 5629. Soltanto nella giornata di domenica 22 unità tra barconi e gommoni sono state soccorse dai mezzi che hanno operato: quattro unità navali della Guardia costiera, un aereo ATR 42 della Guardia costiera, un’unità navale della marina militare - nave Orione - e un pattugliatore islandese inserito nel dispositivo Triton insieme a due motovedette della Guardia di Finanza. Sono stati impiegati anche nove mercantili dirottati qui dal Centro nazionale di soccorso della Guardia costiera. Le condizioni meteorologiche particolarmente buone e il mare calmo avranno - ed hanno favorito  - le partenze dei migranti dalle coste del Nord Africa.

inizio pagina

"Narcomafie", inchiesta su bambini cresciuti in famiglie mafiose

◊  

L’infanzia negata dei bambini cresciuti in contesti familiari legati alla ‘ndrangheta. E’ questo uno dei temi al centro di un’interessante inchiesta pubblicata nell’ultimo numero di “Narcomafie”, rivista realizzata in collaborazione con l’Associazione “Libera”. Ma cosa significa - come si legge in uno degli articoli proposti - “crescere a pane e ‘ndrangheta”? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto alla giornalista che ha curato l’inchiesta, Michela Mancini: 

R. – Per un bambino crescere in una famiglia mafiosa significa non avere nessun altro tipo di opportunità nella vita. La mafia e in modo particolare la ‘ndrangheta, essendo un tipo di organizzazione criminale fondata sulla famiglia, è totalizzante. Questo vuol dire che un bambino che nasce e cresce in una famiglia mafiosa conosce soltanto quel tipo di ambiente.

D. – Qual è appunto la “pedagogia” delle famiglie mafiose?

R. – Prima di tutto servire la famiglia, che significa servire la famiglia di appartenenza e, di conseguenza, servire la famiglia criminale. Ci sono ragazzini che a 14-16 anni compiono estorsioni. Alcuni di loro camminano con le pistole in tasca e addirittura hanno tatuate sotto i piedi le facce dei carabinieri, perché camminando calpestano lo Stato. E’ una società chiusa e rigida, dove per la società civile e per lo Stato è difficile inserirsi.

D. – Cosa comporta rompere, rinnegare il legame con la ‘ndrangheta?

R. – Nei casi su cui io ho lavorato, nessuno dei ragazzini ha mai rinnegato la propria famiglia. Il lavoro che sta facendo il Tribunale dei minori di Reggio Calabria non consiste nel rinnegare la famiglia, perché si chiederebbe a un ragazzino qualcosa che lo snaturerebbe. Questi ragazzini vengono semplicemente allontanati per un periodo di tempo determinato, ma i contatti con la famiglia non vengono interrotti. Questo periodo termina e poi il ragazzino, la maggior parte delle volte, ritorna nella famiglia di origine. Per cui non è un vero e proprio rinnegare la propria famiglia. Ma c’è la possibilità di conoscere un mondo “altro”, con valori nuovi, e a quel punto il ragazzino può scegliere se continuare a vivere a “pane e ‘ndrangheta”, oppure secondo le regole dello Stato.

D. – Quando i bambini tornano nelle loro famiglie sono in parte trasformati?

R. – Trasformati è una parola grossa, perché purtroppo un anno è un tempo breve. Questo è il periodo che, generalmente, è il tempo medio di permanenza dei ragazzini fuori dalla Calabria, nelle comunità o nelle famiglie che le ospitano. E per questo il Tribunale dei minori, assieme ad altre associazioni, sta cercando di firmare un protocollo, sta cercando di realizzare un progetto affinché questi ragazzini possano poi essere seguiti dallo Stato anche alla fine della messa alla prova. La cosa fondamentale è il reinserimento lavorativo. Se il ragazzino, infatti, compie un percorso di rieducazione e viene allontanato dalla pedagogia mafiosa e poi ritorna nella famiglia di origine e continua a sottostare a determinate logiche, anche economiche e lavorative – che sono appunto quelle calabresi, dove c’è una scarsissima occupazione e in questo vuoto si inserisce la ‘ndrangheta – il ragazzino probabilmente risceglierà la mafia di nuovo. Se invece lo Stato riuscisse a reinserire il ragazzino nel tessuto economico sano, è probabile la scelta vera e propria di non appartenere più alle logiche mafiose.

D. – A proposito di scelta, in cosa consiste il progetto “Liberi di scegliere” che coinvolge tra l’altro volontari di Libera e della Caritas italiana?

R. – Il progetto “Liberi di scegliere” è la sistematizzazione dei provvedimenti del Tribunale dei minori di Reggio Calabria: consiste nel creare una vera e propria rete di associazionismo, quindi anche di famiglie, in modo che i ragazzini non vengano mandati nelle comunità, che sono effettivamente dei luoghi un po’ più freddi rispetto alle famiglie, ma vengano inseriti appunto nuclei familiari veri e propri che si possano prendere cura di loro. E possano far sentire il calore che non può dare loro una comunità. Inoltre, il progetto “Liberi di scegliere” mira all’inserimento lavorativo dei ragazzi nel tessuto sociale ed economico sano. E’ appunto la sistematizzazione di provvedimenti che adesso sono casi singoli. Sono circa 25 quelli che sono stati fatti finora dal 2011 e uno di questi è terminato con la storia di Riccardo, il ragazzino che lo scorso maggio ha scritto al “Corriere della Sera”, ringraziando lo Stato per quello che ha fatto per lui.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: ragazzo bruciato vivo perché cristiano, è grave

◊  

Un adolescente cristiano, Nauman Masih, 14 anni, è stato bruciato vivo da alcuni giovani musulmani che Nauman non conosceva. Il giovane ora è ricoverato in ospedale a Lahore, dove lotta tra la vita a la morte, con gravi ustioni su tutto il corpo. Come appreso dall'agenzia Fides, l’episodio è avvenuto venerdì scorso, quando i giovani musulmani che stavano recandosi in moschea hanno incontrato Nauman lungo la strada. Fermatolo, avendo saputo che era di religione cristiana, lo hanno picchiato, hanno gettato benzina su di lui e poi gli hanno dato fuoco, fuggendo. 

Aggredito solo perchè era cristiano
La polizia è stata avvertita e ha registrato una denuncia contro ignoti. Nauman ha dichiarato al sovrintendente di polizia: “I giovani che mi hanno aggredito erano dei perfetti sconosciuti. Hanno iniziato a percuotermi dopo che io ho detto di essere cristiano. Ho provato a scappare ma mi hanno inseguito e cosparso di benzina”. Nauman si è buttato su un mucchio di sabbia, mentre alcuni passanti lo hanno aiutato a spegnere il fuoco sul suo corpo e hanno chiamato un’ambulanza. “Condanniamo con forza il grave episodio di odio religioso. Abbiamo subito inviato un rapporto al Primo ministro del Punjab, Shahbaz Sharif” ha detto a Fides Sardar Mushtaq Gill, avvocato cristiano e difensore dei diritti umani.

L'odio contro i cristiani ha raggiunto un livello pericoloso
​In una nota inviata a Fides, Nasir Saeed, direttore dell’Ong Claas (“Center for legal aid assistance and settlement”) afferma: “Siamo in una situazione deplorevole. L'odio contro i cristiani ha raggiunto un livello davvero pericoloso se un innocente cristiano può essere bruciato vivo da estremisti islamici senza alcun motivo. I cristiani in Pakistan vivono sotto costante paura per la propria vita, nonostante le rassicurazioni del Primo ministro Nawaz Sharif”. (P.A.)

inizio pagina

Asia Bibi: marito e figlia a Roma per chiedere liberazione

◊  

Una conferenza stampa con il marito di Asia Bibi, Ashiq Masih, la figlia, Eisham Ashiq, e l’avvocato Joseph Nadeem, in questi giorni in Italia per chiedere l’intervento della comunità internazionale affinché la donna cristiana venga finalmente liberata: si terrà domani, 14 aprile a Roma (ore 13, sala stampa di Palazzo Montecitorio), su iniziativa del sen. Mario Mauro e del sottosegretario di Stato alla Difesa Domenico Rossi, assieme all’Associazione Pakistani Cristiani in Italia e all’associazione CitizenGO. Asia Noreen Bibi, pachistana cristiana madre di cinque figli - riferisce l'agenzia Sir - è stata arrestata nel 2009 con l’accusa di aver insultato il profeta Maometto e condannata nel 2010 alla pena capitale. 

Il 95% delle accuse per blasfemia sono false
Divenuta il simbolo dell’ingiustizia e dell’abuso della legge anti-blasfemia, la donna non ha mai smesso di proclamare la propria innocenza. In cella da più di 2000 giorni, dal carcere di Multan Asia Bibi continua a proclamare la propria innocenza. La vicenda di Asia mette in luce la facilità con cui si possa essere incriminati per blasfemia in Pakistan. Come nel caso di Asia, per essere arrestati per blasfemia è sufficiente un’accusa, il più delle volte infondata. Si ritiene infatti che circa il 95% delle accuse siano false. La norma non prevede l’onere della prova da parte dell’accusatore e sta quindi al presunto blasfemo provare la propria innocenza. È inoltre altissimo il numero di omicidi extragiudiziali legati ad accuse di blasfemia. (R.P.)

inizio pagina

Baghdad: il patriarca caldeo Sako incontra il premier

◊  

Lavorare per una “autentica riconciliazione” e per “ricostruire la fiducia” fra le varie forze politiche, i gruppi etnici e religiosi con l’obiettivo di “realizzare la sicurezza e la stabilità” in tutto il Paese. È questo l’invito lanciato dal patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako, durante l’incontro con il Primo ministro irakeno Haider Al-Abadi. Accompagnato sabato scorso dai vescovi ausiliari mons. Shlemon Warduni e mons. Basilio Yaldo, il patriarca ha visitato gli uffici del premier nella Zona Verde a Baghdad. I due leader - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno affrontato il tema della situazione in Iraq e dei passi da compiere per battere la minaccia terrorista e garantire l’unità della nazione. 

Dal premier, pieno apprezzamento per il ruolo dei cristiani iracheni
Accogliendo la delegazione caldea, il premier sciita al-Abadi ha voluto informarsi della situazione dei cristiani nella capitale e delle famiglie sfollate di Mosul e della piana di Ninive, che hanno trovato accoglienza nel Kurdistan irakeno. Il capo del governo ha manifestato pieno “apprezzamento” per il ruolo dei cristiani “nella cultura irakena” e in quella “regionale”. Egli ha infine incoraggiato la minoranza “a restare” nonostante “le difficoltà”, sottolineando che “non vi è un Iraq senza cristiani”. 

Appello del patriarca al governo, perché lavori per la riconciliazione
Da parte sua, il patriarca Sako ha ringraziato il Primo Ministro per gli auguri di Pasqua, sottolineando l’importanza di una “cultura aperta” e impegnata nella promozione “di una convivenza pacifica”. Egli ha inoltre rivolto un appello alle autorità di governo, perché lavorino per una autentica riconciliazione e per ricostruire la fiducia fra le varie forze politiche, perseguendo gli obiettivi di “sicurezza e stabilità”. 

Chiesto un aiuto “per le famiglie sfollate” la cui situazione “resta tragica”
Il patriarca caldeo ha dedicato una riflessione anche sui media, il cui “atteggiamento critico” si riflette in modo “negativo” sulla società; egli ha quindi esortato il governo a liberare quanti si trovano in carcere in precarie condizioni di salute e quanti sono in cella pur non essendo criminali. Passi che, secondo mar Sako, possono “rafforzare la riconciliazione”. Infine, il prelato ha parlato “dell’importanza della visita di Papa Francesco in Iraq”, fonte di “rinnovata speranza” e chiesto un aiuto “per le famiglie sfollate” la cui situazione “resta tragica”. Un appello raccolto dal premier, che ha espresso “piena comprensione” e solidarietà per le sofferenze di queste famiglie cristiane. (J.M.)

inizio pagina

Iraq: nasce Radio al Salam, al servizio dei rifugiati e della pace

◊  

Una emittente radiofonica al servizio dei rifugiati del nord Iraq, appartenenti a diversi gruppi etnici e religiosi - cristiani e musulmani, curdi, sciiti eyazidi - costretti ad abbandonare le proprie case davanti all'offensiva dei jihadisti del sedicente Stato Islamico. E con questo spirito - riferisce l'agenzia Fides - che ha iniziato le sue trasmissioni Radio al Salam, la radio della pace, inaugurata a Erbil il 5 aprile. 

Una radio per dare aiuto concreto alla vita quotidiana degli sfollati
“Questa emittente radio è per tutti quelli che sono stati cacciati dalle proprie case, per tutti i rifugiati” ha detto durante la trasmissione inaugurale padre Pascal Gollnisch dell'Ouvre d'Orient, l'organismo di Aiuto ai cristiani d'Oriente che sostiene l'iniziativa, insieme alla Fondation Raoul Follereau. “Come suggerisce il nome - ha aggiunto il sacerdote francese - si tratta di un'emittente radio per la pace, per dare aiuto concreto alla vita quotidiana degli sfollati”. 

Tra le iniziative anche un servizio di registrazione delle nuove nascite
​Radio al Salam trasmette da Ankawa, il sobborgo della capitale del Kurdistan iracheno abitato in maggioranza da cristiani e anch'esso riempitosi nel 2014 di insediamenti di rifugiati fuggiti dalla Piana di Ninive. Tra le iniziative già messe in cantiere dalla radio, un servizio di registrazione delle nuove nascite che si verificano in seno alla moltitudine di sfollati raccolti anche nei campi profughi. Si calcola che i rifugiati in Iraq dall'inizio del nuovo conflitto siano più di due milioni. (G.V.)

inizio pagina

Card. Braz de Aviz: priorità per i formatori alla Vita consacrata

◊  

Dodici "priorità" per i formatori degli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica: è l‘elenco redatto dal prefetto della competente Congregazione vaticana, card. João Braz de Aviz, unito al messaggio finale rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale che si è tenuto la scorsa settimana a Roma. Nell‘elenco - riferisce l'agenzia Sir - si sottolinea l‘importanza della "gioia di prestare questo servizio", di "dare attenzione alla formazione del cuore, non solo dei comportamenti", di "essere formatori a tempo pieno, dando il meglio di voi stessi", di "formare giovani dal cuore innamorato di Dio e appassionato per l‘uomo". 

Accompagnare il giovane e la giovane a scoprire se stessi e la propria verità
​Il card. de Aviz aggiunge di "dedicare il vostro tempo a incontri regolari, con il gruppo e soprattutto con i singoli", in quanto "è la relazione interpersonale tra formatore e formando lo strumento per eccellenza dell‘azione educativa". Si sottolinea anche che "l‘equipe formativa, specie nelle comunità educative numerose, esprima le varie competenze pedagogiche" e che al contempo si punti alla "formazione dei formatori" quale "precisa e inderogabile responsabilità dei superiori". Tra le ultime indicazioni, "accompagnare il giovane e la giovane a scoprire se stessi e la propria verità, con le proprie debolezze", rimanendo vicini anche "a coloro che per vari motivi abbandonano il cammino formativo". (R.P.)

inizio pagina

Congresso sulla pastorale universitaria in Europa

◊  

Circa 50 delegati delle Conferenze episcopali d’Europa tra responsabili degli uffici nazionali per la pastorale universitaria e cappellani universitari di 18 Paesi europei s’incontreranno insieme a gruppi di studenti provenienti da tutta la Polonia a Lodz, in Polonia, dal 16 al 19 aprile 2015 su invito dell’arcivescovo locale, mons. Marek Jedraszewski, presidente della Commissione Ccee per la catechesi, la scuola e l’università. Al centro della quattro giorni di lavoro, il tema della vita sarà declinato sotto varie prospettive da docenti ed esperti di pastorale universitaria.

Molti giovani sono in cammino alla ricerca del senso della vita
“Riteniamo essere un compito imprescindibile per quanti operano nella pastorale universitaria quello di aiutare gli studenti a scoprire e assumere responsabilità per la vita. Questo vuol dire aiutarli a vivere amando se stessi, gli altri e Dio”, afferma don Michel Remery, vice segretario generale del Ccee, co-responsabile dell’incontro. “Nella pastorale universitaria si vede quanto numerosi sono i giovani in cammino alla ricerca del senso della vita, e noi abbiamo il compito di aiutarli in questa ricerca, proponendo loro le vere ragioni della vita, ossia quelle cristiane. 

Altri giovani si smarriscono di fronte alle difficoltà e le sfide della vita
Allo stesso tempo ci sono tanti altri giovani che, di fronte alle difficoltà e le sfide della vita quotidiana, si smarriscono e non trovano più una ragione valida che dia senso al loro studio, al loro futuro, insomma alla loro vita. A Łódż intendiamo riflettere su questo tema e scambiare metodi ed esperienze che possano rivelarsi utili per lo studente e lo stesso cappellano universitario”.

Gli interventi del card. Grocholewski e dell'on. Volontè
​Tra i relatori: il card. Zenon Grocholewski, già prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica, che parteciperà all’incontro con un contributo su "La pastorale universitaria nella prospettiva del progresso dell’umanità" e quella dell’on. Luca Volonté, già presidente del Partito Popolare Europeo dell’Assemblea del Consiglio d’Europa che interverrà su "Essere e diventare responsabili nella vita". (R.P.)

inizio pagina

Lateranense: accordo a Qom con insegnanti religiosi sciiti

◊  

Il rettore della Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo, accompagnato dal nunzio apostolico in Iran, mons. Leo Boccardi, ha stretto sabato mattina in Iran un’intesa con il presidente cancelliere dell’Università degli studi di religioni e confessioni di Qom, Seyed Abolhassan Navvab. L’intesa prevede un evento accademico congiunto all’inizio del Giubileo della misericordia che si terrà presso l’Università del Papa: professori della Lateranense e professori dell’Università delle religioni di Qom s’incontreranno a Roma nel mese di dicembre per una riflessione comune sulla teologia della misericordia nel Cristianesimo e nell’Islam. 

Esperienza di condivisione tra gli studenti di entrambe le Università
L’accordo prevede, inoltre, sempre in occasione dell’Anno santo della misericordia, un’esperienza di condivisione tra gli studenti di entrambe le Università. Per mons. Dal Covolo questa intesa rappresenta un “passo fondamentale sulla via del dialogo interreligioso a livello accademico”: “Ringrazio il nunzio in Iran per l’impegno profuso ai fini di questo incontro. Sarò lieto di accogliere docenti, studenti e rappresentanti dell’Islam sciita nell’Università del Papa perché il Giubileo possa aprirsi nel segno del dialogo e della reciproca collaborazione”. 

Segno delle relazioni positive tra Santa Sede e Iran
“Questa visita è l’ultimo di una serie di eventi che hanno segnato positivamente in questi ultimi mesi le relazioni tra Santa Sede e Iran”. Lo ha dichiarato il nunzio apostolico in Iran, mons. Leo Boccardi, che questa mattina ha accompagnato il rettore della Lateranense, monsignor Enrico Dal Covolo, all’Università delle religioni di Qom. “A 60 anni dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Iran e la Santa Sede - ha detto Boccardi - credo che queste relazioni siano sensibilmente migliorate grazie anche allo spirito di dialogo costruttivo che stiamo portando avanti”. 

Confronto ad alto livello con il pensiero, la filosofia e la teologia islamica
​Secondo il nunzio, “la collaborazione con l’Università delle religioni di Qom e il Centro internazionale di studi islamici, prestigiosi istituzioni culturali dell’Islam sciita, offrono l’occasione al Laterano di un confronto ad alto livello con il pensiero, la filosofia e la teologia islamica che, sono certo, potrà essere di comune arricchimento e favorire una conoscenza reciproca sia a livello di docenti e alunni che a livello di pubblicazioni”. Per Boccardi, “l’accoglienza ricevuta e la simpatia con la quale siamo stati accolti oggi a Qom hanno dimostrato, per chi ancora avesse dei dubbi al riguardo, che il popolo iraniano vuole dialogare con la modernità ed è ben cosciente della sua antica cultura e civiltà”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 103

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.