Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 10/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa presiede indizione Bolla Anno Santo: misericordia è essenza Vangelo

◊  

Sarà una cerimonia solenne, presieduta domani pomeriggio alle 17.30 da Papa Francesco, a fare da cornice alla pubblicazione della Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia. Dopo la lettura di alcuni brani della Bolla, dal titolo "Misericordiae vultus", davanti alla Porta Santa della Basilica Vaticana, Francesco presiederà la celebrazione dei Primi Vespri della Domenica della Divina Misericordia, durante la quale consegnerà a sei rappresentanti della Chiesa nel mondo una copia del docuemnto. La festa della Divina Misericordia è legata indissolubilmente a San Giovanni Paolo II, che la introdusse, e al carisma di Santa Faustina Kowalska, che ne fu l'apostola. Alessandro De Carolis ne ha parlato con mons. Jozef Bart, rettore del Santuario della Divina Misericordia di Roma: 

R. – La Divina Misericordia ha sempre acceso una straordinaria gioia nei cuori di tutti i fedeli, perché dalla Divina Misericordia scorrono grazie, grazie infinite. Ma quest’anno viviamo la festa della Divina Misericordia nell’annuncio da parte di Papa Francesco dell’indizione dell’Anno Santo e la gioia è ancora tanto più grande in quanto l’indizione dell’Anno Santo avviene proprio con i primi Vespri della Divina Misericordia.

D. – Che cosa l’ha colpita della decisione di Papa Francesco di indire un Anno della Misericordia?

R. – Quando Papa Francesco ha proclamato la decisione di aprire l’Anno Santo della Misericordia, io ho subito fatto riferimento al Pontificato di Giovanni Paolo II il quale ha fatto del suo pontificato l’immagine della misericordia, ma non solo: Giovanni Paolo II, proprio con la sua morte, con i primi Vespri della Divina Misericordia, ha dato un inizio al cammino di misericordia in questo terzo millennio. Giovanni Paolo II ci ha lasciato una grande eredità e questa eredità è racchiusa, contenuta nell’atto della consacrazione alla Divina Misericordia che Giovanni Paolo II ha compiuto il 17 agosto 2002 a Cracovia, nella capitale del culto della Divina Misericordia. In questo atto di consacrazione, Giovanni Paolo II chiede che tutta l’umanità, tutti gli abitanti della terra facciano l’esperienza di questa misericordia. Bene, la proclamazione di Papa Francesco dell’Anno della Misericordia è una risposta a questo atto di consacrazione, perché il Giubileo della Misericordia porterà a far giungere questo messaggio davvero a tutti gli uomini di buona volontà di questa terra.

D. – Lei da tanti anni è a servizio, in questo Santuario, del carisma di Santa Faustina Kowalska che Giovanni Paolo II volle far conoscere a tutto il mondo. Secondo lei, questo carisma in che modo ha arricchito la Chiesa, la vita dei fedeli?

R. – Giovanni Paolo II, nella “Dives in misericordia”, ha scritto che la Chiesa, la missione della Chiesa, in tutti i momenti della sua storia è quella di proclamare il messaggio della Divina Misericordia e di introdurre gli uomini in questa misericordia. Ora, questa misericordia è l’essenza del Vangelo. Papa Francesco dice che la misericordia è il meglio dell’insegnamento di Gesù, ma con Santa Faustina, con la canonizzazione di Santa Faustina, prima Santa del Grande Giubileo – il 30 aprile 2000 – questa Santa, questa mistica porta una nuova luce per la Chiesa, per l’annuncio della misericordia della Chiesa, per la celebrazione, per la pratica di questa misericordia. E sono le cinque forme del culto che suor Faustina ci consegna: si tratta della festa della misericordia, della coroncina della misericordia, dell’ora della misericordia, dell’immagine della misericordia e la diffusione di questo culto nel mondo, in mezzo alle persone che sono toccate da moltiformi miserie spirituali e materiali.

D. – Fare l’esperienza della misericordia di Dio, fare l’esperienza del Suo perdono significa anche riscoprire il Sacramento della Riconciliazione…

R. – Sì. La Misericordia apre il cuore dell’uomo al Sacramento della Riconciliazione. Questa Misericordia si può toccare con mano e ogni peccatore, ogni uomo emarginato, già condannato umanamente parlando, invece ha la possibilità di rimettersi in piedi e di diventare santo proprio perché la Misericordia di Dio perdona tutti i peccati. E’ bene dirlo che proprio nella Festa della Misericordia – ciò che avverrà poi durante il Giubileo – la Chiesa concede l’indulgenza, il perdono per i peccati, le pene per i peccati commessi, alle condizioni che richiede l’indulgenza della Chiesa.

inizio pagina

Papa Francesco a presidente Georgia: coprire i poveri

◊  

Papa Francesco ha ricevuto Giorgi Margvelashvili, presidente di Georgia, che poi ha incontrato mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati. “I cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - hanno permesso di apprezzare gli sviluppi delle relazioni bilaterali e di approfondire alcune tematiche di interesse comune, con particolare riferimento al positivo contributo della locale Comunità cattolica nell’ambito dell’attività caritativa e dell’educazione. Nel prosieguo della conversazione, ci si è soffermati con preoccupazione sulle tensioni che interessano la regione e, nel rilevare l’importanza del pieno rispetto della legalità internazionale, è stato espresso l’auspicio che ogni soluzione sia ricercata attraverso il negoziato pacifico tra le Parti interessate. Infine, non si è mancato di far cenno a quanto è stato recentemente compiuto dalla Georgia circa il proprio ruolo nel continente europeo”.

Il Papa ha regalato al presidente una medaglia con l'effige di San Martino che copre con il suo mantello un povero. E’ un dono – ha detto Papa Francesco - che ama fare ai capi di Stato perché sono chiamati come il Santo a coprire i poveri e difendere il proprio popolo.

inizio pagina

Altre udienze

◊  

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina: mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, arcivescovo tit. di Tibica, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede; il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio; mons. Robert Bezak, Arcivescovo emerito di Trnava (Repubblica Slovacca); la signora Marita Perceval; Kissag Mouradian, arcivescovo primate della Chiesa Apostolica Armena in Argentina, e seguito.

inizio pagina

Tweet: possiamo portare il Vangelo se permea la nostra vita

◊  

Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Possiamo portare il Vangelo agli altri se esso permea profondamente la nostra vita”.

inizio pagina

A Panama incontro Obama-Castro, Parolin porta a Vertice messaggio Papa

◊  

Il presidente americano Barack Obama e quello cubano Raul Castro si incontreranno oggi a Panama durante un summit continentale. Si tratta di un evento storico che segna il disgelo tra Washington e L’Avana dopo 53 anni di antagonismo. Intanto, l’atteso incontro è stato preceduto dal colloquio tra il segretario di Stato Usa, John Kerry, e l’omologo cubano, Bruno Rodriguez. Al Vertice partecipa anche una delegazione della Santa Sede, guidata dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin che porterà ai partecipanti un messaggio di Papa Francesco. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Una stretta di mano attesa da oltre mezzo secolo, un’immagine che chiuderà un capitolo della Guerra Fredda rimasto ancora inconcluso: in giornata il capo della Casa Bianca e il presidente di Cuba si incontreranno a Panama, in occasione del Vertice dell’Organizzazione degli Stati americani. All’incontro prendono parte 35 capi di Stato, ma ovviamente tutti gli occhi saranno puntati su Barack Obama e Raul Castro. L’incontro tra i due leader è stato preceduto, sempre a Panama, da un colloquio tra i responsabili della politica estera dei rispettivi Paesi, Kerry e Rodriguez. Dal canto suo, proprio alla vigilia dell’avvenimento, il Dipartimento di Stato americano ha chiesto al presidente e al Senato di cancellare Cuba dalla “lista nera” dei Paesi che sostengono il terrorismo internazionale.

Tra i segni concreti della normalizzazione dei rapporti: dal prossimo 8 luglio s’inaugurerà una tratta aerea giornaliera dalla Florida a Cuba. L’incontro di Panama è una tappa fondamentale dopo l’annuncio del “disgelo” tra Usa e Cuba dello scorso 17 dicembre. Una riconciliazione favorita, come dichiararono nell’occasione gli stessi Obama e Castro, dall’impegno di Papa Francesco e della diplomazia vaticana. Significativa, in tale contesto, la partecipazione al Summit del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Intanto, la segreteria generale della Conferenza dei vescovi di Cuba ha annunciato con un comunicato che il prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Beniamino Stella, visiterà Cuba dal 22 al 28 di aprile accogliendo un invito dei presuli dell'Isola caraibica.

Sull’importanza non solo per Usa e Cuba, ma per tutto il Continente americano, Alessandro Gisotti ha intervistato l’americanista Giuseppe Mammarella, docente emerito alla Stanford University: 

R. – Obama si rivolge non solo a Cuba, dove il processo di avvicinamento è già iniziato da un pezzo, ma si rivolge a tutto quanto il Sud America e l’occasione del Vertice è quella giusta. Lui incontrerà Maduro, incontrerà Dilma Roussef, incontrerà tutta quella classe politica che si è formata anche, se vogliamo, sotto l’influenza e nel rapporto con Cuba. Questa presa di posizione di Obama è nella continuazione di quell’annuncio politico che lui fece nel 2009, proprio all’inizio del suo primo mandato, in cui prometteva un “nuovo corso” nel rapporto con il Sud America.

D. – Come invece leggere la volontà di Cuba e in particolare del presidente Raul Castro di arrivare a questa svolta?

R. – Quello dei rapporti fra Stati Uniti e Cuba è uno dei capitoli più emotivi della politica estera americana nel senso che simpatie, antipatie, attrazioni, rimozioni, si sono alternate creando momenti di tensione nella storia fra i due Paesi. Il processo di normalizzazione è incominciato intanto nel 2006 quando Fidel Castro si dimette da tutti i suoi incarichi e lo sostituisce Raul che il fratello più giovane. Non c’è dubbio che se Fidel fosse rimasto al potere sarebbe stato brutto e difficile per l’America riprendere il rapporto con Cuba. Poi c’è stata la visita dei Papi, prima di Giovanni Paolo II nel 1998, poi la visita di Benedetto XVI nel 2012; e ancora la rinuncia da parte del governo cubano all’ateismo di Stato; e nel gennaio del 2013 - se ben ricordo - credo che il governo cubano abbia deciso la libertà di movimento all’estero.

D. – Al discorso politico si affianca evidentemente un discorso economico…

R. - Certo, perché uno dei motivi che spinse Cuba nelle braccia dell’Unione Sovietica - parlo del 1960 - fu l’embargo totale che anche nell’aprile 1961 gli Stati Uniti dichiarano nei confronti di Cuba. Da allora i rapporti economici e commerciali tra Cuba e gli Stati Uniti sono cessati. Adesso negli ultimi anni si sono ristabiliti, lentamente e, direi, anche silenziosamente per certi aspetti. Per cui non c’è dubbio che Cuba da questa nuova normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti si aspetta investimenti americani di cui Cuba ha grande necessità perché la situazione economica e anche il tenore di vita a Cuba è sempre abbastanza basso. E gli americani, a loro volta, vogliono recuperare il tempo perduto negli investimenti. Credo che ci saranno limitazioni e credo che questo rapporto seguirà canoni molto precisi che verranno stabiliti nel rapporto tra le due diplomazie.

inizio pagina

Convegno Vita Consacrata. Braz de Aviz: riscoprire vocazione

◊  

Si concluderà domani il Convegno organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e Società Apostolica sul tema della formazione dei religiosi. Vi hanno preso parte 1.300 formatori da 107 Paesi diversi e appartenenti a 400 carismi. Al microfono di Roberta Barbi, il prefetto della Congregazione, il cardinale João Braz de Aviz, spiega come s’inserisce questo appuntamento nell’Anno che il Papa ha voluto dedicare proprio alla Vita Consacrata: 

R. – Un po’ dappertutto c’è questo risveglio, questo voler camminare insieme. C’è soprattutto il desiderio di riprendere la vita consacrata come una forma molta vicina a quello che Gesù ha voluto per alcuni, seguendo questo modello delle tre realtà del Regno dei Cieli: la povertà, la castità e l’obbedienza, che non sono comandamenti, ma sono consigli evangelici. In quello che il Papa ci ha detto, ci sono tre punti – come diceva lui stesso – dei quali bisogna avere cura oggi: il discernimento vocazionale, cioè il numero, le necessità per le opere non devono affrettare il discernimento di una vocazione per un cammino così esigente e così bello com’è quello della vita consacrata. Il secondo punto è la questione della formazione: noi dobbiamo veramente curare bene la formazione, avendo come punto di partenza la persona di Cristo e il Vangelo. Riprendere la strada della "sequela Christi". Infine, la terza cosa: c’è bisogno, nella formazione, di tenere anche molto in conto il mistero della persona.

D. – Papa Francesco ha tracciato per l’Anno della Vita Consacrata tre obiettivi: guardare al passato con gratitudine, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza…

R. – Noi vogliamo non tanto guardare agli sbagli che sono stati fatti o alle difficoltà che abbiamo avuto: a noi interessa guardare soprattutto a questo carisma, che è stato un dono per la Chiesa  e che già ha fruttato tanto. Guardiamo anche indietro a questo ultimo tratto, dal Concilio a oggi: ha segnato un punto di partenza importantissimo con il dialogo con il mondo. Al futuro si deve guardare con speranza. Perché? Perché Dio è fedele, Dio non rompe la sua alleanza con il suo popolo. E invece, riguardo al presente, riprendere la strada della gioia di seguire Gesù, perché ci ha dato una vocazione, che è solo una delle vocazioni della Chiesa, però una vocazione molto bella e che ci permette di stare molto vicino a Lui.

D. – Nella sua relazione introduttiva, ha sottolineato che la formazione “tocca da vicino il mistero della persona umana nel suo rapporto con il Signore e con i fratelli”. Cosa significa?

R. – Se noi non ritroviamo la bellezza di quella prima chiamata, di quello sguardo di Gesù per noi, tutto il resto cade nell’ombra. Non sono le opere che ci sostengono, non sono le strutture che ci sostengono, non sono le case o i soldi che ci sostengono, ma sono questo sguardo di Gesù e questa chiamata di Gesù, che ognuno di noi sa dov’è situata dentro di noi. Noi dobbiamo, di nuovo, ritrovare questo rapporto con il Signore assieme ai fratelli.

D. – La sfida principale del mondo di oggi per la formazione e l’educazione è legata ai nuovi media e alle nuove forme di comunicazione digitale. Come viene affrontata dai religiosi questa sfida?

R. – È una delle sfide. Una sfida che indica che c’è un cambiamento forte. Bisogna però, io penso, prima trovare un rapporto molto positivo, perché i media hanno un grande valore, ma essendo strumenti riportano tutto quello che un mezzo di comunicazione può riportare. Non si può avere un contatto con i mezzi di comunicazione e con le persone di comunicazione attraverso una negatività, negando cioè la libertà di usarli. Dobbiamo ritrovare un cammino che sia quello della libertà, della capacità di discernimento e di usare questi mezzi per il bene dell’evangelizzazione. In questo Congresso vediamo quanto questi mezzi ci stanno servendo.

D. – Questo è un Congresso di respiro internazionale. La condivisione di esperienze tra formatori può costituire una base utile al dialogo interreligioso, altra sfida preminente della società odierna?

R. – Noi abbiamo fatto una tale esperienza… Abbiamo detto: “Perché l’abbiamo scoperta solo adesso?”. Prima di questo incontro, di questo Congresso, abbiamo fatto un colloquio ecumenico tra varie Chiese cristiane, monaci dell’Oriente e dell’ortodossia, monaci anche di altre Chiese, frati e suore della Chiesa anglicana, della Chiesa metodista. Abbiamo trovato che le fonti, il punto di riferimento, i fondatori praticamente sono tutti gli stessi. Ci hanno detto: “Che bello che Roma ci abbia chiamato a camminare più insieme!”. E noi adesso terremo conto di questa cosa. Lo stesso può avvenire riguardo alla questione del dialogo interreligioso, perché le grandi tradizioni del monachesimo hanno un senso di Dio così forte che tutto quello che non è contro il Vangelo è anche nostro: la fede con diversità, ma una fede che può dialogare. Noi pensiamo che anche in futuro questo si potrà sviluppare molto di più.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Stretta di mano tra Cuba e Stati: incontro tra Rodriguez e Kerry a margine del settimo vertice delle Americhe a Panamá.

La vita degli altri: Lucetta Scaraffia su Ian McEwan e la crisi della secolarizzazione.

Il potere delle lacrime: Rossella Fabiani sulla poesia mistica di Gregorio di Narek che domenica sarà proclamato dottore della Chiesa.

Tracce di storia: Gaetano Vallini recensisce la mostra, a Modena, del fotografo Hiroshi Sugimoto.

Fabrizio Bisconti sulla prova, nel faccia a faccia tra Gesù e Tommaso.

Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "In cinquanta tappe": una guida virtuale per scoprire tesori poco noti a Milano in occasione di Expo 2015.

Sette pilastri: intervista di Nicola Gori al cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Caritas Siria: pronti ad accogliere i profughi di Yarmouk

◊  

Importante marcia indietro dell’Olp, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, sul suo coinvolgimento negli scontri armati da tempo in corso nel campo profughi palestinese di Yarmouk, in Siria, ormai in mano al sedicente Stato Islamico. Ieri si era parlato di un appoggio di alcune fazioni all’esercito siriano in lotta con i jihadisti alleati con i qaedisti del Fronte al Nusra. Di oggi l’appello dell’Unione Europea perché si eviti un nuovo massacro. Benedetta Capelli ha raggiunto ad Aleppo, altra città siriana in pericolo, mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria: 

R. – Noi di Caritas Siria siamo pronti ad aiutare la gente; veramente, non ho comunicazione regolare con Damasco, non c’è internet ad Aleppo da almeno due settimane e più. Ho parlato con il direttore esecutivo di Caritas che si trova a Damasco, mi ha detto che la situazione è molto complicata. Ci sono tanti problemi. Noi come Caritas non abbiamo la possibilità di andare sul campo; la cosa che possiamo fare è accogliere le famiglie che arrivano: questa è la nostra politica. Non possiamo andare sul posto della guerra, con una situazione di guerra civile, di pericolo, di distruzione, di violenze … Anche la gente di Damasco non sa esattamente cosa succede a Yarmouk.

D. – Qual misure sarebbero necessarie per liberare il campo di Yarmouk?

R. – Il nostro appello come Chiesa e come cristiani e come Caritas è che a livello internazionale si collabori per fare la pace in Siria. Non bisogna mandare armi a questi estremisti e mantenere così la situazione di guerra: è necessario non vendere armi, non distruggere un Paese e il suo futuro.

D. – Lei è ad Aleppo dove, anche, la comunità cristiana è in pericolo. Ieri il Papa ha detto di pensare spesso a questa città, un tempo sicura e anche in grado di accogliere allora gli armeni. Oggi che città è Aleppo?

R. – Dopo quello che è successo a Idlib, nei pressi di Aleppo, dove questi estremisti del sedicente Stato Islamico hanno cacciato i cristiani, qui ad Aleppo abbiamo paura che succeda la stessa cosa. Questa è la terribile paura della gente e delle famiglie.

D. – Nei giorni scorsi, tra l’altro, è morto anche un operatore di Caritas Siria …

R. – Sì, sì: un amico, Safouh al-Mosleh. E’ morto perché il suo appartamento è stato colpito da una bomba che ha danneggiato anche tre cattedrali: la maronita, la greco-cattolica e la armeno-cattolica, tutte e tre molto colpite. E questo veramente trasmette un grande senso di paura.

D. – Vi arriva comunque la vicinanza di Papa Francesco...

R. – Lei me ne ha parlato adesso, io non lo avevo sentito: abbiamo grandi problemi con internet, di comunicazione … non c’è elettricità … non lo sapevo! Ma Papa Francesco ci porta nel suo cuore, nei suoi pensieri e fa tutto ciò che può per aiutarci. Preghiamo che ci sia una soluzione a questo problema, che ora è diventato internazionale con interessi economici, legati soprattutto alla vendita di armi e petrolio: questo è il problema! Non è un problema di libertà, di democrazia, di diritti umani come dice la propaganda, soprattutto in Europa …

inizio pagina

Yemen. Cri: chiediamo stop combattimenti per portare aiuti

◊  

Si rafforza la presenza dell’Egitto, mentre si tira indietro il Pakistan, nell’offensiva a guida saudita contro i ribelli sciiti nello Yemen, in corso da fine marzo, che ha già causato migliaia di vittime e di sfollati. Intanto, gli Houthi assediano il sud del Paese e avanzano verso Aden e la popolazione è sempre più stremata. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha chiesto una "pausa immediata" delle ostilita' a causa del disperato bisogno di aiuti umanitari. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Oltre alle navi, l'Egitto ha dunque schierato da oggi anche i suoi caccia nella coalizione di nove Paesi arabi a guida saudita in azione in Yemen, mentre uno stop fermo all’intervento militare è giunto dal parlamento di Islamabad che ha deciso per la neutralità che gli permetta di giocare un ruolo da mediatore, caldeggiando una soluzione pacifica. Continua invece il braccio di ferro duro tra sauditi e Iran che sostiene i ribelli" vittime", dice, di "un’aggressione perseguibile dai tribunali internazionali". Tra ieri e oggi, intensi bombardamenti si registrano al sud: colpite soprattutto Aden, seconda città del Paese, e Ateq, capitale della provincia di Shabwa, conquistata ieri dai ribelli. In tutto questo la popolazione è stremata. L’Onu teme che civili siano usati come scudi umani e punta a una pausa immediata umanitaria che permetta di far arrivare loro i soccorsi. Il coordinatore umanitario nel Paese ha chiesto di liberare lo spazio aereo per "almeno alcune ore al giorno". Solo oggi due cargo della Croce Rossa sono riusciti ad atterrare a Sana’a e una nave di Medici senza frontiere è approdata ad Aden. Atttiva anche l'Unicef, che porta decine di tonnellate di materiale medico e non solo. "Questi aiuti sono questione di vita o di morte " spiega, ai nostri microfoni, la portavoce dell’organizzazione nello Yemen, Marie-Claire Feghali: 

R. – On est très content parce-que notre premier avion d’assistance médicale et humanitaire est arrivé...
Siamo felici perché è arrivato il nostro primo aereo di assistenza medica e umanitaria, sufficiente appena per trattare da 700 a 1.000 persone con ferite di guerra come bruciature, ferite da arma da fuoco e da bombe. Aspettiamo per domani o per i prossimi giorni un altro aereo – speriamo che arrivi il più presto possibile. Il secondo aereo porterà anch’esso assistenza medica ma anche tende, generatori di corrente per poter ristabilire il sistema di fornitura di acqua intorno agli ospedali e nei villaggi più colpiti. La situazione umanitaria in Yemen rimane oggi molto critica. Non è che perché abbiamo ricevuto aiuti umanitari la situazione migliori: potremo salvare un numero maggiore di vite umane oppure – se così possiamo dire – perderemo un numero minore di vite. Ma questo non significa che la situazione vada migliorando. Il Paese è in guerra, è una guerra condotta da gruppi armati che girano nelle strade, è una guerra con bombardamenti aerei… 48 tonnellate di assistenza umanitaria non fermano una guerra. Possono appena bilanciare i danni, ma non è questo che ferma una guerra...

D. – Quante persone potrete aiutare?

R. – L’assistance médicale que nous avons, si nous recevons la totalité, elle est capable de traiter…
Se riusciamo a ricevere tutta l’assistenza umanitaria prevista, saremo in grado di trattare da mille a tremila persone ferite, secondo la gravità delle loro ferite. Non posso parlare di quello che fanno gli altri colleghi, ora per noi è importante sapere che la Croce Rossa ha una équipe chirurgica che in questo momento si trova ad Aden e che ha iniziato a operare nel tentativo di salvare delle vite.

D. – Qual è la situazione dei bambini, in particolare?

R. – Je ne peux pas faire la différence entre les enfants et les civils…
Non posso fare una differenza tra bambini e civili: si parla in termini generali di “civili”. E la situazione dei “civili” è molto triste, in alcune zone addirittura drammatica, perché molti sono intrappolati dai combattimenti, non possono uscire, non possono muoversi, non possono andare ad acquistare cibo né a cercare acqua. Quindi, la situazione è molto molto difficile. Ci sono famiglie che hanno i loro morti nelle strade da settimane, ormai, e che non possono recuperarli per seppellirli come si deve. Quindi, come vede la situazione è estremamente delicata. Sono comunque i civili, come in tutte le guerre, che pagano il prezzo più alto…

D. – Esiste la possibilità di una tregua umanitaria, come ha chiesto anche l’Onu?

R. – Je ne peux pas commenter sur les Onu, moi…
Non sono in grado di commentare le Nazioni Unite. Quello che posso dire è che anche noi abbiamo chiesto una interruzione umanitaria dei combattimenti perché le persone possano andarsene, perché possano riprendersi un po’ e perché gli aiuti umanitari possano raggiungere tutte le persone colpite. Ma questo non è ancora avvenuto.

inizio pagina

Migliaia di profughi africani intrappolati nello Yemen

◊  

La guerra nello Yemen non risparmia nessuno: da molti mesi, circa 4.200 eritrei ed etiopi e circa 5mila somali, registrati sotto responsabilità dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, sono abbandonati nella città di Sanaa, in balìa di criminali o di uomini armati che li rapiscono per arruolarli a forza nelle varie milizie. Molti i profughi che scompaiono nel nulla. Don Mussie Zerai, fondatore e presidente dell’agenzia Habeshia, ha lanciato un ennesimo appello al microfono di Gabriele Beltrami: 

R. – Un gruppo di profughi eritrei, etiopi e somali sono intrappolati in una zona di guerra nella città di Sanaa e chiedono di essere evacuati, di essere protetti perché in questo momento sono vittime di attacchi sia da parte di gruppi di criminali ma anche di milizie che li sequestrano, li portano contro la loro volontà ai combattimenti. Questa è la situazione che stanno vivendo. Sono profughi fuggiti dall’Eritrea, dall’Etiopia e dalla Somalia, che cercano una soluzione per la loro situazione attuale, essere intrappolati in una zona di guerra.

D.  – Cosa chiedete alla comunità internazionale?

R.  – Quello che noi stiamo chiedendo alla comunità internazionale è di trovare un Paese che possa dare accoglienza e protezione a queste persone: stiamo parlando di richiedenti asilo e rifugiati, cioè persone che non possono tornare nel loro Paese di origine, per cui serve un Paese che possa offrire accoglienza e protezione a queste persone. Io ho mandato all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati un appello per cercare di trovare soluzione a questa situazione e soprattutto di non abbandonarli, di evacuare queste persone insieme a tutti gli altri. In questi giorni, infatti, ogni nazione sta evacuando i propri cittadini ma i rifugiati rischiano di essere abbandonati a se stessi. Questo è il nostro appello e speriamo di ricevere una risposta positiva in temi rapidi, soprattutto per salvare la vita di queste persone.

D.  – Quale azione può mettere in campo la Chiesa cattolica in Paesi come lo Yemen?

R. – Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, nello Yemen, non abbiamo la presenza di un’organizzazione cattolica all’interno che possa intervenire per venire incontro a queste persone, ma nei Paesi vicini, come Gibuti ed Etiopia, ci sono organizzazioni cattoliche. Anche qui noi stiamo cercando di sensibilizzare le istituzioni internazionali e chiediamo anche alla Chiesa cattolica, qui, in Europa, di spingere e di sensibilizzare l’Unione Europea a rispondere positivamente, a trovare una soluzione e salvare la vita di questi profughi intrappolati in zone di guerra.

inizio pagina

Pietro Grasso: cristiani perseguitati, chi tace è colpevole

◊  

Continua a interrogare le coscienze la forte denuncia di Papa Francesco, alla Via Crucis al Colosseo, sul “silenzio complice” di fronte ai cristiani “perseguitati” sotto i nostri occhi, “decapitati e crocifissi per la loro fede”. Ascoltiamo in proposito la riflessione del presidente del Senato Pietro Grasso al microfono di Luca Collodi

R. – Certamente, è un dovere imperativo parlare e agire in favore di chi è perseguitato per la propria fede, in favore di chi è umiliato, decapitato, crocifisso, privato della propria umanità. Quindi, sotto questo profilo il silenzio fa parte di quella generale indifferenza che spesso l’umanità ha verso le cose più grandi, verso i problemi globali. Parlare e agire, oggi, è un imperativo categorico perché oggi chi tace è colpevole.

D. – Presidente Grasso, sembra tuttavia che le Istituzioni, sia sovrannazionali – penso all’Unione Europea – che nazionali non siano così attive nel rispondere alla preoccupazione del Papa …

R. – Beh, penso che in Italia si è sempre fatto dei diritti della minoranza, della tutela dei cristiani uno dei punti più qualificanti della politica estera. Certo, sul piano internazionale l’Italia dovrà farsi interprete di questo messaggio e promuovere nel consesso internazionale proprio la protezione e la promozione della libertà di religione, della manifestazione del pensiero … insomma, dei diritti fondamentali delle persone.

D. – Come si può favorire una riflessione concreta nelle Istituzioni, secondo lei?

R. – Tutelare i diritti attraverso azioni come, ad esempio, curare l’informazione nel mondo o la salute dei bambini o gli ospedali, creare luoghi d’incontro, di conoscenza e sostenere quindi la comunità cristiana dovunque sia nel mondo: tutte le minoranze che sono spesso, in tanti Paesi, obbligate a nascondere le propria fede per paura.

D. –Alcuni ipotizzano anche l’uso della forza a difesa delle minoranze cristiane e non …

R. – Penso che bisogna affrontare questa sfida di inciviltà che oggi viene manifestata soprattutto dallo Stato Islamico e dal terrorismo, affrontarla in una maniera identica a quella che viene diffusa attraverso la comunicazione. Per esempio, questi esponenti dello Stato Islamico si servono abilmente dei mezzi di comunicazione per generare paura in Occidente; lanciano tanti messaggi per attrarre giovani musulmani e incitandoli a reagire alle ingiustizie e alla miseria con l’odio, con la violenza, con l’uso distorto della religione. Bene: questo è un punto che diventa un punto di vista geopolitico, non è più soltanto una questione etica; è una questione importante sotto il profilo geopolitico. E quindi dobbiamo contrapporre un’informazione intelligente che cerchi di evitare che alzino la voce contro l’uso della propria religione per giustificare violenze, e anche posizioni di potere che nulla hanno a che fare con la fede. Quindi, dobbiamo difendere assolutamente la libertà di fede e di religione. E in questo ci deve aiutare proprio l’islam.

D. – Lei pensa che questa persecuzione dei cristiani sia solo un problema di libertà religiosa?

R. – Diciamo che nella prospettazione sembrerebbe questo; in realtà, dietro ci sono interessi economico-militari, di conquista del territorio … Diciamo che dobbiamo agire militarmente per fermare lo Stato Islamico – questo sì – e ogni forma di terrorismo; ma soprattutto bisogna agire politicamente: creare, lì dove magari c’è stato un vuoto di politica, creare delle istituzioni – soprattutto nel Medio Oriente – per aiutare a risolvere i problemi in Siria, in Iraq, in Libia … Insomma, bisogna riempire i vuoti geopolitici che noi occidentali stessi abbiamo forse contribuito a determinare. Per cui dobbiamo chiedere – per esempio – al Pakistan, all’Egitto, a ogni Paese del mondo dovei cristiani, i copti soffrono e rischiano la vita per la fede proprio a causa del terrorismo, dobbiamo chiedere a questi Paesi e a tutti i Paesi in cui ci sono questi problemi, di adoperarsi per rispettare e assicurare il diritto di professare la propria fede e di vivere in pace.

D. – La persecuzione dei cristiani, non crede che dipenda anche da scelte sbagliate di politica estera da parte degli Stati occidentali, e ancora oggi dalla mancanza di una chiara politica estera degli Stati nazionali?

R. – Sì. Dicevo proprio questo quando ho detto che ci sono dei vuoti politici. Cioè, non può l’Occidente pensare di imporre i propri schemi, le proprie tradizioni, le proprie leggi in contesti etico-sociali assolutamente diversi. Bisogna cercare di rispettare le tradizioni dei popoli, in maniera tale da adattare le novità alla situazione locale. Spesso abbiamo pensato che la democrazia potesse essere importata di un sol balzo in qualsiasi parte del mondo: si può fare ma occorre una maturazione etnica, sociale, economica delle popolazioni per ricevere alcune istituzioni democratiche e applicarle.

D. – Presidente Grasso, cosa risponde alla preoccupazione di Papa Francesco? Il Parlamento italiano può riflettere concretamente sui cristiani perseguitati?

R. – Vorrei ricordare le parole pronunciate dal Papa nel suo viaggio a Gerusalemme, quando ha lanciato un appello a rispettarci e ad amarci gli uni con gli altri come fratelli e sorelle, ripudiando senza appello la violenza strumentalizzata in nome di Dio: ecco, io credo che oggi di fronte al crescere di quest’odio, di questa violenza, l’impegno che chiede il Santo Padre ai governi e a ogni persona sia quello della costruzione di una società globale in cui ciascuno – ciascun Paese, ma anche ciascun cittadino – viene rispettato per il proprio modo di essere, per la sua identità religiosa. Il Parlamento italiano, da parte sua, può mettere in risalto attraverso una discussione nelle aule parlamentari, questi problemi che sono problemi del nostro Paese ma sono [anche] problemi internazionali.

inizio pagina

Terraingiusta: Rapporto Medu sulle condizioni dei braccianti

◊  

Cinque regioni dell’Italia centrale e meridionale sotto la lente di ingrandimento dei Medici per i diritti umani (Medu), che hanno verificato le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri in agricoltura. Undici mesi di indagine i cui risultati sono stati resi noti ieri con il Rapporto "Terraingiusta". Il servizio di Francesca Sabatinelli

Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria: seguendo il ciclo delle stagioni agricoli i medici di Medu si sono spostati in queste regioni mappando e visitando gli insediamenti abitativi dei lavoratori immigrati, quasi tutti, precisa Medu, in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Requisito che però non ha evitato a queste persone di sfuggire al lavoro nero, "grigio", e al sotto salario. Giulia Anita Bari, coordinatrice del progetto ci parla di due delle regioni sotto esame:

"Se in Calabria continua a essere rilevato questo triste primato dell’assenza di contratti di lavoro - nonostante la popolazione lavoratrice presa in esame sia sostanzialmente regolare nel territorio - in Basilicata abbiamo una percentuale più alta di contratti di lavoro ma si verifica tutta un’altra serie di irregolarità, legate molto di più alla questione del lavoro grigio. Quindi, le persone hanno un contratto di lavoro ma non sanno se dal datore di lavoro verranno versate poi effettivamente le giornate lavorate. E questo lo riscontriamo anche nei salari: in Calabria il salario medio è di 25 euro a giornata. La paga può essere concordata o a giornata o a cassetta, quindi il famoso 'cottimo'".

Dalla Piana di Gioia Tauro, alla Piana del Sele, dal Vulture Alto Bradano, all’Agro Pontino, alla Capitanata: problematiche socioeconomiche e culturali del territorio di lavoro - come scarso sviluppo, corruzione, inefficienza della pubblica amministrazione, ma anche infiltrazioni della criminalità organizzata - fanno da cornice non solo allo sfruttamento salariale e alla pervasiva pratica del caporalato, ma anche “all’inadeguata tutela della salute”. Ancora la Bari:

"Chiaramente, la questione della salute è da una parte collegata al fatto che queste persone soprattutto - stiamo parlando della popolazione stagionale in Calabria, in Basilicata - continuano, nonostante tutto, a vivere in condizioni chiaramente degradanti, cioè in strutture fatiscenti, abbandonate, senza acqua potabile, senza energia elettrica, senza la possibilità di accedere ai servizi igienici. Stiamo parlando, peraltro, di territori dove c’è un altissimo tasso di case sfitte, di case chiuse che potrebbero benissimo essere adibite a luoghi di accoglienza per lavoratori che probabilmente potrebbero anche pagare una quota di affitto. Stiamo trattando i lavoratori come se fossero dei profughi... Al di là del fatto che siano migranti, stiamo parlando della categoria dei lavoratori e quindi in quanto tali non si capisce perché debbano essere accolti nelle tendopoli".

Tra i 30 e i 39 anni: questa l’età dei lavoratori, prevalentemente uomini, provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana, e che al momento dell’arrivo in Italia normalmente presentano uno stato di salute “sostanzialmente integro”, scrive il Rapporto “senza patologie infettive da importazione”. Le dure condizioni di lavoro nei campi, però, intaccano presto i loro corpi:

"Le principali patologie rilevate sono quelle relative alle malattie osteo-muscolari, quindi legate alla tipologia del lavoro che queste persone svolgono: un lavoro fisico, nei campi, e spesso poi a casa le condizioni non aiutano il corpo a riprendersi dalla fatica svolta nei campi. Molto rilevanti sono anche le malattie dell’apparato digerente, connesse spesso allo stress, provocato anche qui dalle condizioni abitative, ma anche dal cibo che viene preparato in luoghi malsani, in cisterne di lamiera dove viene scaldata l’acqua che poi in parte viene utilizzata per il lavaggio e in parte per cucinare il cibo. Le altre malattie rilevate sono quelle relative all’apparato respiratorio, soprattutto in Calabria, quando la popolazione lavoratrice arriva nella regione d’inverno per la raccolta degli agrumi ed è costretta a vivere in situazioni molto precarie".

In tanti anni, fatti di tragedie e denunce, nulla è cambiato. Lo sfruttamento di questi lavoratori è rimasto di proporzioni ampie e l’attenzione delle istituzioni locali e nazionali è rimasta insufficiente. Medu chiede quindi l’adozione di provvedimenti urgenti “volti a migliorare fin dalla prossima stagione le condizioni di vita e di lavoro dei migranti impiegati in agricoltura”.

inizio pagina

Adolescenza, nel volontariato banco di prova per la crescita

◊  

“I volti dell’adolescenza tra vulnerabilità, fragilità e crisi necessarie”. Questi i temi del volume presentato ieri alla Pontificia Università della Santa Croce. Il testo, pubblicato dalle edizioni Pioda, raccoglie gli atti del primo Convegno internazionale di bioetica quotidiana che si è svolto lo scorso anno a Frascati. Un’occasione per discutere delle sfide contemporanee di un’età difficile. Il servizio di Michele Raviart

L’adolescenza è una situazione, una fase in cui si vive una dissociazione tra quello che si è e quello che si vuole apparire. Un’età che ormai non ha contorni ben definiti come in passato e che mette in discussione tanto i figli quanto i genitori. Mario Russo, della onlus “Girasolestudi”, tra gli organizzatori del convegno:

“Uno stesso adolescente nella sua fase di crescita non pone una sola esigenza, non pone una sola domanda: a ogni domanda corrisponde un suo volto. Alla mancata risposta corrispondono altrettanti volti e altrettante facce della delusione. Quella che invece noi molto spesso riusciamo a dare come risposta è il giudizio. Molto spesso noi non diamo quell’aiuto, quella risposta, un’indicazione a come venire fuori da determinate situazioni o quantomeno a far sentire la nostra presenza, la nostra vicinanza. Ed è un giudizio che troppo spesso è un giudizio di condanna”.

La tendenza riscontrata è quella di un’adolescenza in cui “non si sa più aspettare, in cui si pretende invece che chiedere e in cui non si sanno accettare le frustrazioni”. Il non affrontare le difficoltà reali genera insicurezza e il ragazzo rischia di sentirsi inutile in un mondo che non vuole capirlo, come ci spiega la senatrice Paola Binetti:

“Noi crediamo che la sfida migliore che si possa offrire oggi agli adolescenti, quella dove ancora l’adolescente regge in modo positivo, sia l’impegno reale in esperienze di volontariato, cioè in esperienze in cui lui scopre di essere indispensabile per qualcuno, si misura con qualcuno che ha più problemi di lui, che ha più difficoltà di lui. Questo lo aiuta a mobilitare risorse straordinarie di cuore, di intelligenza, di generosità, di tempo, anche di generosità economica. Tutte le volte che gli adolescenti possono misurarsi con un’avventura come quella di andare incontro ai bisogno degli altri, i genitori hanno vinto’”.

Gli adolescenti di oggi vivono in un contesto che rende ancora più complicata questa delicata fase della vita. Da un lato Internet e i social network, con i loro rischi di spersonalizzazione e i loro legami spesso solo virtuali, dall’altro la crisi della famiglia tradizionale. Ancora Paola Binetti:

“Ci troviamo davanti a famiglie che sono molto più sgretolate, che non sono più in grado di offrire una qualità di relazioni univoche, solide. Le famose famiglie allargate spesso rappresentano un’opportunità davanti a situazioni difficili, ma certamente comportano anche un indice di problematicità con cui l’adolescenza fatica a misurarsi”.

Anche la Chiesa ha un ruolo importante nell’educazione dei ragazzi, ingranaggi fondamentali della famiglia. Don Davide Cito, direttore dell’Istituto superiore di Scienze religiose alla Pontificia Università del Sacro Cuore:

“La Chiesa intende l’adolescente, anche dal punto di vista del diritto, come membro di una famiglia. Il figlio è colui che è dentro una Chiesa “domestica”, in cui è oggetto del dovere-diritto dei genitori di educarlo, ma non solo dei genitori, poi ci sono i nonni. In fondo, quello che sta facendo il Papa oggi nella catechesi della famiglia fa vedere come sono tutti soggetti relazionati uno con l’altro: cioè, la Chiesa mette in gioco tutti, l’adolescente, l’anziano come soggetti di un rapporto importante, gli uni per gli altri”.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Haiti: affonda barcone immigrati, almeno 20 morti

◊  

Almeno 20 immigrati sono morti al largo della costa haitiana in seguito all'affondamento del loro barcone. Lo ha reso noto la Protezione civile dell'isola caraibica. I migranti volevano raggiungere l'isola Providenciales, nell’arcipelago delle Turks and Caicos, una dipendenza d’oltremare del Regno Unito a circa 100 km da Haiti. Circa 20 persone risultano disperse. I sopravvissuti hanno detto di aver incontrato cattivo tempo cercando di tornare ad Haiti, ma la barca è affondata. Le famiglie di 10 vittime hanno potuto recuperare i corpi dei loro cari, mentre 11 migranti sono stati sepolti in una fossa comune perché nessuno li ha riconosciuti. Le Turks and Caicos sono una destinazione abituale per i migranti haitiani nonostante la pericolosità del viaggio.

inizio pagina

Vescovi Kenya: chi sa denunci terroristi, governo affronti falle sicurezza

◊  

“Speriamo che il governo vada a fondo nel problema del terrorismo per impedire che questi incidenti accadano di nuovo”: è quanto si legge nel messaggio di condoglianze per la strage di Garissa, firmato a nome di tutti i vescovi keniani, dal cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Conferenza Episcopale del Kenya, che ha anche ringraziato Papa Francesco per la sua forte condanna dell’attacco.

Elevando una preghiera per le 148 persone uccise dall’assalto degli Shabaab somali nell’Università di Garrissa, nel messaggio si invitano le istituzioni della Chiesa a prestare assistenza alle vittime e ai loro familiari. “Allo stesso tempo - scrive il cardinale Njue - chiediamo al governo di rafforzare le misure di sicurezza, specialmente nelle istituzioni educative del Paese, e di affrontare le evidenti falle nei servizi di sicurezza”.

Dalle indagini è emerso che l’assalto è stato commesso con la complicità di cittadini keniani, un fatto che viene rimarcato dal messaggio. “È triste che diversi giovani keniani si siano radicalizzati fino al punto di commettere atti di terrorismo contro i loro stessi concittadini. (…). È spiacevole che alcuni terroristi vivano tra noi e non vengano denunciati alle autorità competenti”.

“Se ci si aspetta dal governo che garantisca la sicurezza di ognuno in tutto il Paese, sottolineiamo che tutti noi abbiamo la responsabilità di aiutare il governo con la vigilanza e fornendo informazioni su persone e situazioni sospette nel nostro ambiente” afferma il messaggio.

I vescovi chiedono inoltre che il Ministero dell’Educazione vagli con attenzione il suo personale “per evitare che non venga impiegato per radicalizzare gli studenti per poi reclutarli in gruppi sovversivi”. Si richiamano infine i leader religiosi a non “insegnare e predicare l’odio nei confronti di coloro che non aderiscono alla loro religione ( …) Ognuno ha un inalienabile diritto alla vita e alle libertà fondamentali, specialmente quella religiosa”.

inizio pagina

Vescovi Usa: Obama fermi pratica detenzione famiglie immigrate

◊  

La pratica di detenere le famiglie immigrate in fuga dalla violenza dell'America centrale sarà una "macchia" nell'eredità del presidente Barack Obama e nell'immagine del Paese: lo hanno detto i leader religiosi che recentemente hanno visitato il centro di detenzione per le famiglie a Dilley, nel Texas. Kevin Appleby, direttore delle politiche migratorie della Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB), ha avvertito che la pratica della detenzione "ha il potenziale sufficiente per deteriorare l'eredità del presidente sulla questione dell'immigrazione. Con una mano si dà e con l'altra si toglie".

"Dopo questa visita, la mia domanda principale è: perché? Perché mettere in stato di detenzione a queste persone vulnerabili, madri giovani e traumatizzate che, con i loro figli, sono fuggite dalla persecuzione nei loro paesi di origine?". Lo ha detto mons. Garcia-Siller, vescovo di San Antonio (Texas). "Una grande nazione come la nostra non ha bisogno di imprigionare i più vulnerabili come forma di deterrenza. Il carattere morale di una società si giudica da come tratta i più vulnerabili. La nostra politica di detenzione delle famiglie è vergognosa e prego le istituzioni di porre fine a questa pratica", ha aggiunto.

Mons. Elizondo, presidente della commissione per le migrazioni della Conferenza dei vescovi degli Stati Uniti (USCCB), ha detto dopo la visita: "La detenzione delle famiglie non ha senso. Risulta particolarmente dannosa per i bambini, che subiscono danni emotivi e psicologici dopo l'arresto. Questa politica è una macchia nella storia dell'amministrazione americana sull'immigrazione".

Secondo mons. James Tamayo, vescovo di Laredo, in Texas, esistono alternative alla detenzione: azioni umanitarie che possono essere utilizzate in favore delle persone coinvolte. Dalla scorsa estate, il Dipartimento della Sicurezza Nazionale (DHS) ha arrestato centinaia di famiglie, conducendole nei centri di detenzione in New Mexico, Texas e Pennsylvania, come conseguenza delle nuova politica di detenzione rivolta a quanti fuggono dall'America centrale e attraversano illegalmente la frontiera con gli Stati Uniti. 

inizio pagina

Filippine. La Chiesa al presidente: urgente approvare riforma agraria

◊  

Approvare la Riforma agraria è una urgenza per il Paese. Con questa consapevolezza la Caritas delle Filippine ha lanciato un nuovo appello al presidente Benigno Aquino invitandolo a “mantenere la promessa fatta da sua madre, la presidente Corazon Aquino, di rendere giustizia agli agricoltori”.

In una nota inviata a Fides, l’arcivescovo di Caceres, mons. Rolando Tirona, direttore della Caritas, ricorda che “la distribuzione dei terreni agricoli ai contadini senza terra è un mandato costituzionale del governo che ha il dovere di far rispettare”. L’arcivescovo ha firmato con altri vescovi, religiosi e leader di Ong, una lettera al presidente, in cui si chiede di approvare due disegni di legge che delineano la riforma. “La Chiesa non può rimanere silenziosa udendo le grida dei contadini poveri” si legge nel messaggio.

La Caritas delle Filippine denuncia le ingiustizie subite da un milione di contadini ancora senza terra, che da trent’anni attendono l’approvazione del “Programma globale di riforma agraria” (Comprehensive Agrarian Reform Program-Carp). “Facciamo appello al senso di giustizia e alla compassione del presidente e del Congresso”.

La Chiesa filippina sta chiedendo da anni, ai vari presidenti succedutisi, una distribuzione più equa della terra, concentrata nelle mani di una èlite di latifondisti. Le riforme del 1988 e del 1998, fortemente osteggiate dai grandi proprietari, non sono state sufficienti. Dopo una vasta mobilitazione sociale, un primo risultato è stata l’estensione del Carp nel 2009, ma la redistribuzione delle terre procede a rilento.

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 100

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.