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Sommario del 09/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: massacro armeni, gesti di pace per risanare ogni ferita

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Solo con “gesti  concreti di riconciliazione e di pace” sarà possibile avere una “lettura” condivisa del massacro del popolo armeno avvenuto 100 anni fa. È la considerazione principale del discorso che Papa Francesco rivolto al Sinodo patriarcale della Chiesa Armeno-Cattolica, a tre giorni dalla Messa che domenica prossima, nella Basilica di San Pietro, il Papa presiederà per commemorare quella drammatica pagina di storia. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Metz Yeghern”, il “Grande Male”: è scarno il nome attribuito a un dolore devastante, piantato esattamente da 100 anni nel cuore di un popolo antichissimo, quello armeno. È l’epoca dell’Impero Ottomano quando la storia registra il massacro di un milione e mezzo di cristiani armeni, che si rifiutano di rinnegare la propria fede. Un dolore che Francesco intende condividere con i vescovi della Chiesa armeno-cattolica, un anticipo del momento più ampio e pubblico che vedrà il Papa sull’altare di Piazza San Pietro domenica prossima:

“Invocheremo la Divina Misericordia perché ci aiuti tutti, nell’amore per la verità e la giustizia, a risanare ogni ferita e ad affrettare gesti concreti di riconciliazione e di pace tra le Nazioni che ancora non riescono a giungere ad un ragionevole consenso sulla lettura di tali tristi vicende”:

Antiche diaspore e moderne insicurezze
La strage di un secolo fa innesca l’esodo e la diaspora di una Chiesa e di una popolazione oggi sparsa dagli Stati Uniti, alla Russia, dal Sudamerica all’Ucraina, passando per l’Europa. E le conseguenze del passato per la popolazione armena sono acuite oggi, specie nella “Madrepatria”, riconosce Francesco, dai rivolgimenti che stanno modificando gli assetti mediorientali:

“Penso con tristezza in particolare a quelle zone, come quella di Aleppo - il vescovo mi ha detto 'la città martire' - che cento anni fa furono approdo sicuro per i pochi sopravvissuti. Tali regioni, in questo ultimo periodo, hanno visto messa in pericolo la permanenza dei cristiani e non solo armeni”.

Forze oscure, Passione redentrice
Lo sguardo del Papa si appunta poi sulla sanguinosa pagina della storia armena. “È importante – afferma – chiedere a Dio il dono della sapienza del cuore: la commemorazione delle vittime di cento anni fa ci pone infatti dinanzi alle tenebre del ‘mysterium iniquitatis’. Non si capisce se non con questo”:

“Come dice il Vangelo, dall’intimo del cuore dell’uomo possono scatenarsi le forze più oscure, capaci di giungere a programmare sistematicamente l’annientamento del fratello, a considerarlo un nemico, un avversario, o addirittura individuo privo della stessa dignità umana. Ma per i credenti la domanda sul male compiuto dall’uomo introduce anche al mistero della partecipazione alla Passione redentrice”.

Fare memoria per testimoniare la carità
Francesco ricorda i martiri di 100 anni fa e lega la solidità della loro fede anzitutto alla storia bimillenaria degli armeni, i primi a convertirsi al cristianesimo nel 301. “Le pagine sofferte della storia del vostro popolo continuano, in certo senso, la passione di Gesù, ma in ciascuna di esse – sottolinea il Papa – è posto il germoglio della sua Resurrezione”:

“Non venga meno in voi Pastori l’impegno di educare i fedeli laici a saper leggere la realtà con occhi nuovi, per giungere a dire ogni giorno: il mio popolo non è soltanto quello dei sofferenti per Cristo, ma soprattutto dei risorti in Lui. Per questo è importante fare memoria del passato, ma per attingere da esso linfa nuova per alimentare il presente con l’annuncio gioioso del Vangelo e con la testimonianza della carità”.

Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa
Fu Benedetto XV a intervenire “presso il Sultano Mehmet V per far cessare i massacri degli armeni” e lo stesso Pontefice, rammenta ancora Francesco, volle iscrivere Sant’Efrem il Siro tra i Dottori della Chiesa Universale. Domenica prossima Francesco compirà un gesto analogo con San Gregorio di Narek e questa decisione “inaspettata” è stata salutata con gratitudine dal Cathlicos armeno, Nerses Bedros XIX. “Ve ne siamo immensamente riconoscenti”, ha detto. Gregorio di Narek, vissuto mille anni fa, è “il Santo armeno più amato e più letto”, il cui “Libro delle Lamentazioni” ha affermato il Patriarca degli armeni, era al “capezzale di ogni famiglia armena accanto al Santo Vangelo”.

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Il Papa riceve presidente slovacco: tutela persona e Medio Oriente in primo piano

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Papa Francesco ha ricevuto stamani il presidente della Repubblica Slovacca Andrej Kiska, che ha successivamente avuto un incontro con mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati. Durante i cordiali colloqui, svoltisi nella ricorrenza del 25.mo anniversario della ripresa delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’allora Repubblica Federativa Ceca e Slovacca, avvenuta il 19 aprile 1990 e seguita dal viaggio di San Giovanni Paolo II nel Paese, è stato espresso “vivo compiacimento per i buoni rapporti bilaterali, suggellati dagli Accordi in vigore e dal dialogo proficuo tra la Chiesa e le Autorità civili”. Nel prosieguo della conversazione, informa una nota della Sala Stampa Vaticana, “ci si è soffermati sull’attuale contesto internazionale, con particolare attenzione alle sfide che interessano alcune aree del mondo, specialmente il Medio Oriente, e all’importanza della tutela della dignità della persona umana”.

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Altre udienze

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia; il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve; mons. Adolfo Tito Yllana, arcivescovo tit. di Montecorvino, nunzio apostolico in Australia; mons. Giovanni Pietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.

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Tweet: Signore, donaci la grazia delle lacrime per ricevere il tuo perdono

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex in nove lingue: "Signore, donaci la grazia delle lacrime, per piangere i nostri peccati e ricevere il tuo perdono".

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Biennale Arte Venezia. Card. Ravasi: arte e fede sorelle

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Per la seconda volta la Santa Sede si presenta alla Biennale d’arte di Venezia. Tre gli artisti selezionati provenienti da Africa, America Latina ed Europa: si cimenteranno sul tema “In Principio, la parola si fece carne”. Questa mattina la presentazione del padiglione della Santa Sede nella Sala Stampa vaticana. L’ha seguita per noi Paolo Ondarza: 

Dalla Genesi al prologo del Vangelo di Giovanni, il tema del Padiglione della Santa Sede alla 56.ma Biennale d’Arte di Venezia attraversa la Bibbia stimolando i tre artisti selezionati: differenze generazionali e di linguaggio a confronto sulla doppia dimensione trascendente-immanente. L’installazione della colombiana Monica Bravo ispirata all’essenzialità della natura, della geometria e della Scrittura; la suggestiva tenda di tessuto della macedone Elpida Hadzi Vasileva e la fotografia, poetica, mai giornalistica, di Mario Macilau del Mozambico sul tema dei ragazzi di strada. La Chiesa crede nel fecondo rapporto arte fede frantumato nel secolo scorso come ribadisce il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e commissario del Padiglione della Santa Sede:

“Purtroppo, questo dialogo su arte e fede - sorelle tra di loro, profondamente unite - questo dialogo - come ben si sa - è stato per certi versi un po’ frantumato nel secolo scorso. E il nostro desiderio è proprio quello di riuscire a ritesserlo, in maniera particolare  attraverso questa espressione che è l’espressione dell’arte. E il mio desiderio - e lo facciamo, anche se in maniera più nascosta – è quello di ritesserlo anche per altre arti, come per esempio la musica”. A mio avviso questo impegno non è un impegno da principi rinascimentali, come erano i cardinali di allora, ma è un impegno – direi – dei nostri tempi, anche del Pontificato di Papa Francesco. Io continuo, infatti, ad affermare che la bellezza deve essere data pure ai poveri, non soltanto il cibo. C’è quel bel proverbio indiano che dice: 'Se tu hai due pani, uno lo dai al povero, l’altro lo vendi e acquisti un fiore di giacinto e lo dai al povero'. Il povero, cioè, ha il diritto non solo di avere il pane, ma anche di avere la bellezza”.

Andare oltre la realtà è elemento comune per arte e fede. Stretto il rapporto tra artista e creazione, evidenzia  Paolo Baratta, presidente della Biennale:

“C’è un conflitto permanente dell’artista tra ciò che 'ti ditta dentro' e  il linguaggio che devi usare per trasmetterlo e per comunicarlo. Questo è il logos del conflitto dell’artista”.   

400mila euro i costi del padiglione sostenuti dagli sponsor nella convinzione che riflettere sulla cultura vuol dire investire nel futuro. La curatrice del padiglione Micol Forti:

“Se questa Biennale in qualche modo agevolerà ad aprire il nostro vedere, ad aprire la nostra e la vostra curiosità, a dilatare gli orizzonti, ne sarà valsa la pena”.

Un account twitter e una app consentiranno di essere in contatto con la biennale anche tramite pc, tablet e smartphone.

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Preghiera per l'Europa: costruire continente sulle radici cristiane

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Una preghiera per l’Europa si è svolta ieri pomeriggio in Vaticano, presso la Chiesa di Santa Maria della Pietà in Campo Santo Teutonico, in occasione del 660° anniversario dell’incoronazione di Carlo IV a imperatore del Sacro Romano Impero. L’iniziativa, promossa dall’ambasciata della Repubblica Ceca presso la Santa Sede, è stata un’occasione per ricordare uno dei personaggi più famosi per i cechi e per riflettere sulle radici cristiane dell’Europa. Al termine della cerimonia sono state esposte le copie delle tre corone con cui Carlo IV fu incoronato durante la sua vita. Il servizio di Elvira Ragosta

Re boemo, e, con l’incoronazione a Roma nel 1355, imperatore del Sacro Romano Impero. Carlo IV, come ha ricordato l’arcivescovo emerito di Praga, il cardinale Vlk, era un uomo clemente e molto devoto a San Venceslao. In un’Europa allora divisa dal punto di vista politico, ma unita dalla comune fede cristiana, Carlo IV era elemento di unione spirituale. Sul messaggio che questa preghiera ha voluto rivolgere all’Europa odierna abbiamo raccolto il commento del cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio:

“Continuare nel progresso che è un gran dono di Dio e conquista dell’uomo, continuare nella cultura, nella collaborazione internazionale, però mantenendo quella unità che è stata grande nei secoli. L’Europa dello spirito deve prevalere sull’Europa della tecnica”.

E sulla necessità di conoscere le radici cristiane dell’Europa per poterne comprendere il presente, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, aggiunge:

“Userei proprio come espressione quella di Goethe che ha detto che la lingua materna dell’Europa è il cristianesimo. Noi abbiamo culture differenti ma la lingua di base, con la quale noi ci esprimiamo ha simboli, matrici, caratteristiche che sono cristiane e questo dobbiamo continuamente ribadirlo perché si tratta di un patrimonio glorioso, non soltanto religioso ma anche profondamente culturale in senso lato”.

La figura di Carlo IV viene ricordata anche per la sua attenzione al mondo dell’arte e della cultura e per lo slancio economico e soprattutto urbanistico, sia dal punto di vista civile che ecclesiastico, che diede alla città di Praga, dove peraltro fondò la prima Università dell’Europa centrale. E sull’attualità della figura dell’imperatore incoronato 660 anni fa, ascoltiamo l'arcivescovo emerito di Praga, il cardinale Miloslav Vlk:

“Carlo IV ha costruito il suo impero sui valori spirituali cristiani. Poi, lui ha collaborato strettamente con la Chiesa in questa sua visione. Questi sono valori o segni attuali oggi per l’Europa, perché l’unità, l’unione, si possono costruire solo sui valori fermi e sono valori spirituali. E questo è il significato attuale di questa personalità così grande, ceca ma anche europea, del passato”.

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Vita consacrata: convegno formatori alla scuola del Vangelo

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“Sentiamo oggi l’appello dei nuovi contesti geografici e culturali che si manifesta in modo intenso. I contesti sono cambiati e siamo spaesati nella nostra identità. Un nuovo impegno di approfondimento ci è richiesto”: lo ha detto ieri in Vaticano il card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica nel suo intervento di apertura al convegno dei formatori alla vita consacrata. 

Offrire un modello concreto di comunità
“In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze - ha affermato -, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni”. È attraverso la qualità delle relazioni che passa la profezia della vita consacrata. Per raggiungere questo obiettivo la formazione integrale deve essere attenta a tutte le dimensioni (intellettuale ed emotiva, individuale e comunitaria, personale e sociale, affettiva e sessuale).

Fare splendere nell’umano la vita divina come santità
“La vocazione è alla santità - ha detto Michelina Tenace, docente alla Pontificia Università Gregoriana -. La formazione non ha altro fondamento: fare splendere nell’umano la vita divina come santità, formazione allo stesso sentire di Cristo Gesù”.

Costruire la propria vita attorno a un centro vitale che è il mistero pasquale
Questa mattina Claudia Peña y Lillo, delle Figlie di San Paolo e docente presso l'università Diego Portales di Santiago, parlando della pedagogia della formazione ha detto che "è urgente una pedagogia formativa che consideri la formazione come un unico progetto che deve guidare la formazione iniziale e permanente, in cui nella prima formazione inizia a maturare la “docibilitas” per trovarci con un soggetto 'disponibile' a lasciarsi formare sempre, nella continuità di un processo di formazione iniziale e permanente". È fondamentale - ha sottolineato - acquisire la capacità di costruire e ricostruire la propria vita attorno ad un 'centro vitale' che, per il credente, "è il mistero pasquale, la croce del Figlio che, elevato da terra, attrae tutti a sé".

Fare esegesi della propria vita
Così sintetizza l'itinerario formativo padre Riccardo Volo, missionario clarettiano, docente presso la Pontificia Università Lateranense e l'Istituto di Teologia della Vita consacrata Claretianum in Roma. Leggere la vita in modo 'sapienziale', cercare di trarre profitto e insegnamento dalle esperienze del quotidiano per maturare come persone e figli di Dio. Imparare da Gesù-formatore, dalla sua pedagogia, dalla sua testimonianza: Gesù è modello di misericordia, si commuove davanti alle folle che non hanno cibo, si lascia interpellare dalle necessità dei poveri, li fa "uscire dalle loro sicurezze interne, dai loro pregiudizi, dalla loro ristrettezza di vedute, dalle loro intolleranze personali,  culturali e religiose... Nel modello di formazione impostato da Gesù, i poveri, nel contesto delle loro situazioni umane e spirituali, sono 'formatori' dei discepoli".

L'invito ai formatori a "ritornare in Galilea" per annunciare la Buona Notizia
Gesù ha un modo di formare diverso con ciascuno: segue il cammino di maturazione di Pietro, segnato da forti contrasti; fa una chiamata personale ai discepoli, li chiama a vivere con lui ed a partecipare alla sua missione. Quando il discepoli tornano, dialoga con loro, ascolta i dubbi, i malintesi, i timori e li aiuta a discernere la realtà, a comprenderla, a "contemplare la vita attraverso gli occhi della fede e della grazia". L'esegesi biblica - conclude Volo - deve diventare esegesi vitale. L'invito che il Risorto fa di "ritornare in Galilea" per annunciare la Buona Notizia è rivolto ai discepoli e a tutti i formatori. «È un invito a “camminare” con altri ... per riprendere il cammino, aiutando altri, consigliando, correggendo, esortando, insegnando... Ma soprattutto, istruendo con la testimonianza della loro vita. Rivelando la propria passione per colui che seguono, il Signore». (R.P.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina in apertura, “Dopo otto mesi passati nelle mani dei miliziani l’Is rilascia duecento yazidi. Nel gruppo ci sarebbero almeno quaranta bambini”.

Di spalla, sempre in prima pagina, l’udienza al sinodo patriarcale della Chiesa armeno-cattolica: “Una storia di fedeltà e di risurrezione”.

Sotto, “Navi militari iraniane nel Golfo di Aden. Nello Yemen proseguono i combattimenti e i raid della coalizione a guida saudita”.

A pagina 4, “In cerca della madre” di Alfredo Tradigo e “Il dilemma del paternalismo. Medici e consenso informato nel caso Montgomery” di Carlo Petrini.

Sempre in cultura, a pagina 5, “In viaggio tra le macerie dell’Uganda; l’abbraccio che salva” di Silvia Gusmano, e “Quanta Persia nel cuore di Roma. Un itinerario di ricerca tra biblioteche, archivi e toponomastica” di Maria Vittoria Fontana.

In ultima pagina, il discorso del Papa al sinodo patriarcale della Chiesa armeno-cattolica e “Vademecum quotidiano”; i lavori del congresso internazionale per i formatori alla vita consacrata.

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Oggi in Primo Piano



Kenya. Un missionario: c'è compostezza nonostante il dolore

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Il governo del Kenya ha ordinato la chiusura di una dozzina di agenzie per il trasferimento di denaro in Somalia. La misura è stata presa dopo il massacro al campus universitario di Garissa.  Il sospetto è che le operazioni di trasferimento denaro potessero finanziare attività degli estremisti islamici. Bloccati inoltre almeno 85 conti correnti di persone ed organizzazioni ritenuti sospetti. In ricordo delle 148 vittime dell'attacco di giovedi scorso, martedì cristiani e musulmani uniti hanno marciato contro il terrore jihadista. Almeno 2.500 gli studenti, di diverse fedi religiose. Ne parla padre Paolo Latorre, missionario comboniano in Kenya, al microfono di Fausta Speranza: 

R. – Questa è la cosa interessante in questo momento. Nei giorni precedenti c’era stata anche una manifestazione dei musulmani in un quartiere dove la predominanza musulmana e somala è altissima… Lì c’è stata questa manifestazione, che voleva essere di presa di distanza da quanto accaduto. In questa manifestazione, dove erano presenti per lo più giovani, tanti dicevano rivolgendosi ai ragazzi uccisi a Garissa: “Non vi dimenticheremo! Non vi dimentichiamo!”. Chi è stato lì in città, alla manifestazione, mi ha raccontato che è stata una marcia composta, ma si sentiva molta, molta rabbia. Si sentiva molta rabbia per tutto questo, perché è inaudito quello che questi al-Shabaab hanno fatto in passato, fanno e minacciano di fare. La rabbia è dovuta anche alla risposta che il governo del Kenya ha dato con molto ritardo… Chi ha partecipato mi ha anche detto che c’è stato anche qualche piccolo momento di  tensione, non tanta, fuori della caserma centrale della Polizia. In queste situazioni è facile… Siamo in un Paese in cui la miccia del tribalismo, della tendenza a  categorizzare, a generalizzare è forte. Se un somalo ha partecipato all’atto terroristico, adesso per qualcuno è facile prendersela con tutti i somali che sono qui in Kenya e che sono tanti. Questo è un Paese in cui questa miccia del tribalismo è molto forte e quindi la paura è proprio questa: che al-Shabaab possa riuscire a dividere questo Paese tra etnie e adesso anche tra religioni. Se questi sono i segni, c’è però la speranza che non si cada in questo tranello. Ma se ci si dovesse cadere, la situazione sarebbe veramente triste!

D. – In questo drammatico attacco, sono stati colpiti al cuore i giovani. E’ pensabile, padre, che proprio dai giovani venga una risposta diversa al rischio di tensioni sociali ulteriori?

R. – Questo non lo so dire. I giovani sono composti, malgrado la disoccupazione, malgrado le difficoltà che stanno affrontando. Che non stia succedendo nulla è già un grosso miracolo, perché la disoccupazione, la povertà, il divario sono gravi… Pensiamo che il Kenya, che è orientato verso il capitalismo, sta perdendo la classe media. Quindi, qui o sei poverissimo – e io ho lavorato negli anni scorsi e vado ancora a incontrare la gente e a dare l’Eucaristia a lavoratori poveri – oppure sei ricchissimo. Nonostante questo, c’è molta compostezza. Speriamo che questa rabbia possa essere vissuta e incanalata in maniera più proficua e non generare altra guerra.

D. – Quanto è importante che siano cristiani e musulmani insieme, come nella manifestazione contro il terrorismo, a dare risposte contrarie alla violenza?

R. – E’ molto importante! E’ molto importante perché qui la risposta deve essere univoca e deve prendere le distanze dalle dichiarazioni che la violenza viene fatta in nome di Dio. Questa è la risposta che si vuole dare. Per noi cristiani questo è molto più facile. per i musulmani è un qualcosa che deve prendere piede, che sta prendendo piede. I segni ci sono, ma per loro è molto più difficile. Però, la vicinanza in questo momento e il dichiararsi contro la violenza è già un passo in avanti.

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Sudan vota da lunedì: insicurezza sui Monti Nuba e in Darfur

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Bisognerà attendere la fine di aprile per conoscere i risultati delle elezioni che si terranno da lunedì a mercoledì prossimo in Sudan. Ma sulle consultazioni presidenziali, legislative e regionali, che chiameranno al voto oltre 13 milioni di sudanesi, pesa l’incognita dell’insicurezza. Nella regione dei Monti Nuba - nello Stato del Sud Kordofan - e in una zona del Darfur la Commissione elettorale ha infatti annunciato che non si voterà, sottolineando che il rinvio è dovuto a “ragioni di sicurezza”. In questo clima, per la massima carica dello Stato appare scontata la conferma di Omar Hassan al Bashir, al potere da oltre 25 anni: i candidati sono 15, ma i principali partiti di opposizione hanno annunciato il boicottaggio. Ce ne parla Anna Bono, africanista dell’Università degli Studi di Torino, intervistata da Giada Aquilino

R.  – Sulla riconferma esistono pochi dubbi: il presidente è sfidato da 14 candidati ma le probabilità che lui vinca sono elevatissime. E’ praticamente scontato, come già è stato in passato. Stiamo parlando di uno dei leader africani più longevi ormai in termini di potere, perché è dal 1989 che governa il Sudan. Negli ultimi anni, a partire dal 2011, nel Paese si è moltiplicata un’opposizione abbastanza decisa e motivata, anche se ciò non dovrebbe incidere sulle elezioni. Dico ‘abbastanza motivata’ soprattutto per il fatto che dal 2011, quando le regioni del Sud del Sudan si sono separate dal Paese, il Sudan - quel che ne resta - è entrato in una crisi economica che si è aggravata sempre di più. Infatti, almeno tre quarti dei pozzi petroliferi, dei giacimenti di petrolio, che fanno la ricchezza di questo Paese, sono nel nuovo Sudan, quello meridionale. E quindi le risorse di Khartoum sono crollate drasticamente.

D.  – Questi sono i problemi economici. Ma il Sudan è ancora un Paese sconvolto dalla violenza in almeno la metà dei suoi 18 Stati, tant’è che nella regione dei Monti Nuba e in alcune aree del Darfur non si voterà per motivi di sicurezza. Che zone sono?

R.  – Da un lato c’è appunto il Darfur, dove dal 2003 è iniziata una guerra che ha comportato perdite enormi in termini umani e che, nonostante una serie di accordi stipulati, in pratica continua. Nel Darfur lo scontro è ed è stato sempre tra le popolazioni di origine africana e quelle di origine araba, queste ultime sostenute dal governo e quindi con forze militari notevoli. Nel centro sud il conflitto è soprattutto nelle zone delle popolazioni Nuba, nel Kordofan. Qui un movimento antigovernativo sta combattendo e controlla ormai intere regioni. È una guerra vera e propria, con bombardamenti della popolazione, con stragi, con centinaia di migliaia di profughi e con, evidentemente, una situazione di insicurezza tale per cui è impossibile votare.

D. – Su questo quadro economico ma anche di sicurezza critico pesano le accuse da parte della Corte penale internazionale su al Bashir, accuse di crimini di guerra e contro l’umanità, compiuti proprio in Darfur. Queste accuse in patria che valore hanno?

R. – Evidentemente ne hanno molto poco. In effetti nel 2009 al Bashir è stato accusato, incriminato dalla Corte penale internazionale peri crimini di guerra e contro l’umanità. L’anno successivo, nel 2010, a queste accuse si è anche aggiunta quella di genocidio. Tuttavia nel 2010 si sono svolte le precedenti elezioni generali e, ciò nonostante, al Bashir è stato rieletto. Certamente all’interno del Paese ci sono forze sociali e politiche che usano anche questo fattore contro al Bashir, ma non sono affatto sufficienti a mettere in discussione la rielezione. Anzi, per certi aspetti, questa denuncia può rafforzare il presidente che si appella alla popolazione per reclamare il diritto del Paese ad autodeterminarsi e prima di tutto a non vedere il proprio capo dello Stato incriminato a livello internazionale.

D.  – Ma la popolazione sudanese oggi di cosa ha bisogno?

R.  – Sicuramente di stabilità e di sicurezza, per quel che riguarda soprattutto le zone di guerra dove sono in corso dei conflitti. Ma certo ha bisogno di una politica economica che risollevi le sorti del Paese.

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Yemen: Iran invia due navi, cresce tensione con Riad

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Cresce la tensione tra Iran e Arabia Saudita per lo Yemen. Teheran ha inviato due navi nel golfo di Aden. Una decisione letta come un sostegno ai ribelli sciiti houti che continuano ad avanzare. Riad, invece, appoggia con raid aerei il governo yemenita di matrice sunnita. La guida suprema iraniana, Ali Khamenei, ha detto che l'aggressione saudita contro i ribelli sciiti è un crimine e un genocidio che potrebbe essere perseguito dai tribunali internazionali. Sulla rivalità tra Iran e Arabia Saudita, Fausta Speranza ha sentito la professoressa Valeria Talbot, esperta dell'ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: 

R. – Senz’altro, vi è una forte rivalità tra Arabia Saudita e Iran nel contesto mediorientale, e quella dello Yemen da molti viene vista come l’ultima partita in cui si gioca, appunto, il confronto tra Riad e Teheran. Dal canto suo, però, l’Iran nega di armare i ribelli Houti: in sostanza, l’Iran propone un cessate-il-fuoco per permettere assistenza umanitaria nel Paese e per stabilire un dialogo quanto più ampio possibile tra le varie forze presenti nel Paese, che poi possa costituire la base per un governo ampio e rappresentativo. Allo stesso tempo, l’Iran preme perché il Pakistan non si unisca all’intervento militare guidato dall’Arabia Saudita.

D. – L'Iran è con Pakistan e Turchia a chiedere diplomazia e dialogo. Una sorta di nuova di alleanza nuova?

R. – Sarei cauta a parlare di “alleanze”; ma l’Iran, comunque, sta cercando di spendersi per un dialogo, forse anche sulla scia dell’accordo sul nucleare che è stato raggiunto la scorsa settimana. Ma nessuno ha interesse a un’ulteriore destabilizzazione del Medio Oriente, né l’Iran né la Turchia e, dal canto suo, neanche l’Arabia Saudita, perché le ricadute sarebbero innanzitutto sulla stessa Arabia Saudita che confina con lo Yemen, ma anche sull’intera regione.

D. – All’Onu è allo studio una Risoluzione sull’embargo di armi, ma la Russia preme perché non sia embargo solo per i ribelli sciiti ma per tutte le parti in causa. Che dire?

R. – In questo modo, l’embargo soltanto a una delle parti in causa non porterebbe a una soluzione condivisa da tutte le parti.

D. – Lei che è esperta della penisola arabica, ma un embargo di armi in quella zona è possibile?

R. – Le armi in quell’area vengono attraverso vari canali.

D. – Sicuramente non è facile fare rispettare un embargo, in quella zona …

R. – Sì, senz’altro non è facile, considerato appunto che le armi lì vengono da canali non ufficiali e poi consideriamo anche la presenza delle organizzazioni terroristiche: la presenza di al Qaeda che, anzi, sta traendo vantaggio da questa situazione di caos e di destabilizzazione nello Yemen.

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Religioni nel mondo: cristiani e musulmani quasi pari nel 2050

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Cambia la geografia delle fedi nel mondo. Da qui al 2050 la popolazione dell’intero pianeta sarà di 9 miliardi e 300 mila persone, aumentando del 35%, ma se i cristiani cresceranno nella stessa media, i musulmani saliranno di oltre il doppio, del 73%, avvicinandosi al sorpasso. Sono le stime del Pew Research Center contenute nel rapporto “Il futuro delle religioni”, basato su tassi di fertilità e mortalità, ma anche su flussi migratori e conversioni. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Una fotografia inedita di presenze religiose in movimento, ma con possibili errori di stima. Se oggi i cristiani sono 2,1 miliardi, tra 35 anni saranno 2,9 miliardi, sempre pari al 31% della popolazione mondiale, mentre i musulmani passeranno - grazie a tassi di fertilità più alti - da 1,6 a 2,7 miliardi, ovvero dal 23 al 29%. In aumento anche gli induisti da 1 a 1,4 miliardi (34%), e gli ebrei da 14 a 16,1 miliardi (16%) e tutte le altre religioni ad eccezione del Buddismo, stabile, salvo che in Cina molte chiese operano in clandestinità. In calo gli atei e gli agnostici, dal 16% al 13%, poiché le coppie non credenti hanno in media 1,7 figli contro i 2,6 di coppie credenti. Se si sconfessa l’avanzata  - paventata nei decenni scorsi - dei ‘senza Dio’, cade anche la prospettiva dell’Eurabia: i musulmani resteranno infatti una minoranza del 10% nel vecchio continente, che perderà però il primato numerico dei cristiani nel mondo, passando dal 26 al 16%, a vantaggio dell’Africa che salirà di 10 punti dal 19 al 29%. In leggero calo l’America Latina dal 24 al 22%; in lieve aumento l’Asia dal 17 al 20%. Già oggi solo la Germania è l’unico Paese europeo - al nono posto, tra i dieci con più cristiani, dopo Stati Uniti, Brasile, Messico, Russia, Filippine, Nigeria, Cina - che nel 2050 conterà 100 milioni di cristiani, il doppio rispetto all’Italia e Congo. Destinate ad entrare nella lista anche Tanzania, Etiopia e Uganda, mentre gli Usa si confermeranno la nazione cristiana più popolosa.

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Prostituzione. Comunità Giovanni XXIII: punire i clienti

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Oltre 70 mila prostitute, circa 9 milioni di clienti e un giro di affari annuo non inferiore ai tre miliardi di euro. Sono questi alcuni dati, diffusi dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio, legati alla prostituzione in Italia. Un fenomeno, questo, al centro di una proposta di legge "bipartisan2 presentata alla Camera. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Tasse sugli incassi, controlli sanitari, uso obbligatorio del preservativo, creazione di cosiddetti quartieri a luci rosse, contrasto alla tratta e reinserimento sociale. Sono alcune delle misure previste nella proposta di legge bipartisan per regolamentare il fenomeno della prostituzione e combattere il degrado di molte strade italiane. Ma la prostituzione può essere considerata come una qualsiasi attività lavorativa, da gestire con partita Iva in case provate o in aree specifiche? Risponde Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII:

R. – Se la donna è considerata un oggetto, sì. Ma se la donna è considerata persona, con una sua dignità – come è nel disegno di Dio ma come è anche secondo il buon senso di ogni cultura e di ogni religione – è assolutamente inaccettabile la compravendita del corpo della donna. Per sconfiggere lo sfruttamento della prostituzione non è assolutamente la via della regolarizzazione quella che risolverà il problema.

D. – Qual è allora la soluzione auspicabile per arginare questa piaga e riconoscere la piena dignità della persona?

R. – La soluzione è quella che diceva don Oreste Benzi: tolleranza zero, perché nessuna donna nasce prostituta. Se si legalizza la prostituzione come vogliono questi parlamentari si dà – permettetemi – la “pappa fatta” ai clienti e anche al racket, tra l’altro, agendo sulla cultura giovanile in un modo devastante: i nostri giovani riterranno che il corpo della donna sia una merce. Noi in questo campo siamo con Paesi laicissimi, che sono la Svezia e la Norvegia, che hanno capito che bisogna agire sulla domanda. Bisogna agire sul cliente, bisogna fare delle norme che impediscano di comprare il corpo della donna e di usare violenza sulla donna.

D. – Ricordiamo in breve questo modello nordico: quali sono queste norme?

R. – Il cliente viene punito con pene ovviamente amministrative, ma se c’è la recidiva del reato ci sono anche sanzioni penali e c’è anche un’informazione alla famiglia del reato compiuto dal coniuge, e questo è un deterrente.

D. – Queste norme quali risultati hanno prodotto?

R. – Una drastica riduzione della domanda, quasi inesistente. Questo noi lo abbiamo sperimentato in Italia: quando c’è un concorso di lavoro in rete, tra le forze di polizia, la Questura, la magistratura, le associazioni di volontariato, la domanda viene eliminata. Sul territorio riminese era stata eliminata. Il problema è che non tutti i Comuni agiscono con questa azione, anche necessaria, della punibilità del cliente.

La proposta di legge bipartisan, firmata da 70 parlamentari, intende superare la legge voluta dalla senatrice socialista Lina Merlin che nel 1958 abolisce la regolamentazione della prostituzione in Italia e, di conseguenza, porta alla chiusura delle “case chiuse”.

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60.mo morte Teilhard de Chardin. Il teologo Trianni: pensatore profetico

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Il 10 aprile di 60 anni fa moriva il gesuita Teilhard de Chardin, scienziato, pensatore originale che promosse in modo innovativo il dialogo tra fede e ragione, in particolare con la sua lettura teologica dell’evoluzione. Un tema, quest’ultimo, sviluppato soprattutto nel volume “Il fenomeno umano”. Per una riflessione sull’attualità dell’opera di Teilhard de Chardin, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Paolo Trianni, docente di teologia al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo e all’Urbaniana: 

R. – Teilhard de Chardin è sicuramente uno degli autori più importanti del ‘900. Mi viene in mente che una volta Henry Le Saux, che è uno studioso benedettino, scrisse che Teilhard de Chardin è l’unico “autore fondamentale per salvare il cristianesimo”. Lui intendeva con questo che, attraverso Teilhard, c’è tutto un modo nuovo di impostare il rapporto con la scienza, ma anche con le altre religioni per esempio o anche con temi attuali come la democrazia. Si parla di nuova evangelizzazione e Teilhard è un autore da “sfruttare” per una nuova evangelizzazione.

D. – Un innovatore geniale, dunque, ma non sempre compreso. Oggi, però, si comprende meglio, c’è un risveglio anche di interesse per l’opera di Teilhard de Chardin. Peraltro, Benedetto XVI nel 2009, parlando ad Aosta, si riferì a lui, in particolare alla sua “grande visione di una liturgia cosmica”…

R. – Forse, il termine più esatto, l’aggettivo più esatto per definirlo è “profetico”, perché Teilhard de Chardin ha profetizzato alcune novità che si realizzano anche adesso. Parlo appunto della “noosfera”, questo fatto che il mondo si stia unificando attraverso anche la tecnica, e quindi gli uomini si uniscono, le culture si uniscono e quindi il mondo diventa più giusto, più unito e si avvicina al Regno di Dio. Benedetto XVI è tornato su Teilhard in diverse occasioni, perché dopo il “Monitum” (del Sant’Uffizio ndr) che ci fu nel ’62, che fece cadere un po’ nell’oblio Teilhard, venne un poco messo all’indice, ma di fatto dopo c’è stato un recupero. Già Paolo VI, quando fece una visita ad un’industria farmaceutica, lo recuperò, almeno in parte. Ratzinger ne ha parlato in diverse occasioni: ne parlò nel ’68, in “Introduzione al cristianesimo”. In queste pagine, pur criticando un certo suo biologismo, ne sottolineava l’importanza. E poi, nell’85, nell’intervista a Messori, nella quale fu piuttosto critico, perché sottolineava di nuovo l’importanza del peccato originale. E siccome Teilhard ha, non dico contestato, ma avanzato la necessità che esso venisse ripensato dalla teologia contemporanea, Ratzinger rimetteva l’accento sul fatto che questo è un dogma fondamentale, che non si può mettere in discussione senza non demolire le basi del cristianesimo. Nel 2009 invece Benedetto XVI ha fatto questa bellissima rievocazione che rimanda a Teilhard: il mondo come un’ostia vivente; il mondo che è in evoluzione verso Dio e quindi sta entrando nella vita trinitaria di Dio, attraverso la sua evoluzione, che è al contempo una santificazione.

D. – Teilhard de Chardin era un gesuita e come Sant’Ignazio era convinto che “bisogna cercare di trovare Dio in tutte le cose”. In qualche modo il suo concetto di “noosfera” può essere anche una chiave di lettura, di interpretazione della globalizzazione, della unificazione sempre più spinta e, in fondo, anche di Internet, che ha molto a che vedere con questo…

R. – Teilhard in un suo libro, intitolato “L’ambiente divino”, spiegava come il mondo - che molte teologie, molte spiritualità leggono in termini negativi - potesse diventare invece un ambiente divino, perché dopo l’Incarnazione di Dio, dopo la Grazia, dopo lo Spirito che abita il mondo, il mondo può essere un luogo di santificazione. Quindi è un luogo nel quale gli uomini, anziché dividersi – oggi questo è un tema attualissimo – possono invece unirsi e andare verso un regno di giustizia, di pace e di amore. E noi vediamo oggi, al di là delle divisioni, che è ormai nato un processo di unificazione, che sta veramente portando all’unità il mondo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Kenya: appello del card. Njue a governo e leader religiosi

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Un accorato appello al governo perché garantisca una adeguata sicurezza in tutto il Paese, alle istituzioni educative perché siano vigilanti su possibili deviazioni terroristiche dei ragazzi e ai leader religiosi perché desistano da ogni tipo di insegnamento e predicazione dell’odio. A lanciarlo - riporta l'agenzia Sir - è il card. John Njue, presidente della Conferenza episcopale del Kenya, nel giorno in cui il Paese piange i 148 morti in seguito all’attentato all’Università di Garissa. Il cardinale prende la parola inviando ieri un “messaggio di solidarietà” al Paese e rivolgendosi in modo particolare ai familiari delle vittime e di quanti sono stati feriti nel corpo e nell’anima, assicurando la vicinanza e le preghiera della comunità cattolica. 

Invito al governo a rafforzare la sicurezza e di intelligence
“Condanniamo fermamente - scrive il cardinale - l’efferato attacco terroristico” e “auspichiamo che il governo vada a fondo al problema del terrorismo e della radicalizzazione perché tali episodi non si ripetano più. Allo stesso tempo, esortiamo il Governo a rafforzare la sicurezza, soprattutto in tutte le istituzioni educative del Paese e affronti anche l’ormai accertato fallimento nel sistema di sicurezza dell’intelligence”. “E’ triste - prosegue il cardinale - vedere quanti giovani del Kenya si stanno radicalizzando, pronti a commettere atti di terrorismo contro i loro concittadini”. Ed è ancor più un peccato “che i terroristi stanno vivendo in mezzo a noi e noi non li segnaliamo alle autorità competenti”. 

Appello alle istituzioni educative
L’appello del cardinale si rivolge a questo punto a tutte le istituzioni educative. “Mentre il governo dovrebbe garantire sicurezza a tutte le persone in tutte le parti del Paese, tutti noi abbiamo la responsabilità di sostenere il governo essendo vigili e fornendo informazioni su eventuali persone sospette”. L’appello si rivolge ai genitori, ai tutori e agli insegnanti chiedendo loro di “essere più attenti al comportamento dei loro ragazzi individuando eventuali tendenze insolite, negative, sospette o violente”. 

Leader religiosi evitino ogni insegnamento all'odio
​Il cardinale si rivolge infine anche ai leader religiosi. “I leader religiosi - scrive - dovrebbero desistere ad ogni insegnamento o predicazione dell’odio per le persone che non appartiene alle loro religioni e dottrine, riconoscendo che ogni essere umano è creato da un essere supremo”. (R.P.)

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Siria: operatore Caritas muore sotto le bombe ad Aleppo

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L'operatore di Caritas Siria, Safouh Al-Mosleh, è rimasto ucciso martedì scorso, nel bombardamento che ha centrato la sua casa, situata nella zona di piazza Farhat, dove sono concentrate le cattedrali greco-cattolica, armena e maronita. Il quartiere, caratterizzato da una forte presenza cristiana - riferisce l'agenzia Fides - di recente è stato colpito da pesanti bombardamenti da parte dei gruppi ribelli di matrice jihadista che continuano a combattere contro il regime di Assad. 

Era momentaneamente a casa per un controllo
​Secondo la ricostruzione fornita da Caritas Internationalis, la famiglia di Safouh Al Mosleh era stata già evacuata, e lui era tornato a casa per un controllo veloce quando l'abitazione è stata raggiunta dai colpi di artiglieria. Safouh aveva circa quarant'anni, apparteneva alla comunità greco-cattolica e aveva iniziato a lavorare per la Caritas da più di un anno.

Aleppo minacciata dalle due milizie jihadiste
Secondo informazioni fornite da Caritas Siria e pervenute a Fides, l'intensità del conflitto nel nord del Paese sta aumentando di giorno in giorno, dopo che le milizie jihadiste hanno conquistato la città di Idlib, situata non lontano dalla strada che unisce Aleppo a Damasco. Aleppo ora è minacciata sia dai jihadisti dello Stato Islamico che da quelli che fanno capo al Fronte Al Nusra, legato ad al-Qaida. Finora, in quella parte della Siria, le due entità jihadiste continuano a essere in lotta tra loro. Anche nella notte tra il 7 e l'8 aprile un attacco kamikaze compiuto da adepti dello Stato Islamico ha colpito postazioni quaidiste a nord di Aleppo, provocando decine di morti, compreso l'emiro Abu Maria, legato ad al Nusra. (G.V.)

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Pasqua ortodossa: Messaggio di Bartolomeo I

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“Il male viene vinto attraverso il bene e mai attraverso il male”. È il messaggio che il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, rivolge al mondo ortodosso. Con una settimana di differenza - riporta l'agenzia Sir - gli ortodossi celebrano la festa della Pasqua domenica 12 aprile, secondo il calendario giuliano. Il “pensiero” del patriarca va quest’anno alle tante situazioni di guerre e conflitti che si vivono nel mondo. “Mentre noi con gioia festeggiamo la Resurrezione del Signore, quale realtà di vita e di speranza - scrive Bartolomeo -, attorno a noi, nel mondo, sentiamo le grida e le minacce della morte, che lanciano da molti punti della terra, coloro i quali credono di poter risolvere le differenze degli uomini con l’uccisione degli avversari, fatto che costituisce anche la più grande dimostrazione della loro debolezza. 

Con la vendetta il mondo non migliora
Infatti, attraverso la provocazione della morte del prossimo, attraverso la vendetta contro l’altro, il diverso, il mondo non migliora, né si risolvono i problemi degli uomini”. “I problemi - incalza il patriarca - si risolvono in verità col riconoscere e l’onorare il valore della persona e col rispetto dei suoi diritti. Al contrario invece, i problemi di ogni sorta vengono provocati e inaspriti dal disprezzo della persona umana e dalla violazione dei suoi diritti, soprattutto del debole, il quale deve poter sentirsi sicuro ed il forte deve essere giusto perché ci sia pace”.

E' sempre presente colui che ha vinto la morte per sempre: Cristo
​“Ma Cristo è risorto dai morti”, scrive Bartolomeo pensando alla Pasqua, “e ha dimostrato in questo modo la impossibilità della morte di prevalere e di provocare un mutamento costante nel mondo. Le situazioni createsi con la morte sono controvertibili, poiché, malgrado gli eventi, sono momentanee, non hanno radice e linfa, mentre è sempre presente invisibilmente, colui che ha vinto la morte per sempre, Cristo”. E conclude: “Noi, che abbiamo la nostra speranza in Lui, crediamo che il diritto della vita appartenga a tutti gli uomini”. (R.P.)

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Vescovi Niger: Pasqua, festa di tutti gli operatori di pace

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“Nel giorno della festa della Risurrezione, come credenti, incoraggiamo gli uni e gli altri a lottare contro ogni forma di odio, di distruzione e di morte” scrivono i vescovi del Niger nel loro messaggio di Pasqua. “Che siamo cristiani, musulmani e altri, il desiderio di Dio è quello di vederci uniti, solidali, alla ricerca continua della pace che viene da Lui. Tutti coloro che contribuiscono in nome della loro fede alla ricerca della pace, della sicurezza, dell’amore del prossimo e del rispetto dell’altro, sono i benedetti da Dio” sottolinea il documento, inviato all’agenzia Fides.

Ricerca della pace per una Chiesa che ha subito assalti brutali
La ricerca della pace è tanto più necessaria in un Paese che ha visto la Chiesa subire a gennaio brutali assalti alle sue comunità, che hanno provocato la distruzione di gran parte delle strutture ecclesiastiche, da parte di gruppi organizzati con il pretesto di alcune vignette giudicate “blasfeme” pubblicata dal periodico francese Charlie Hebdo.

Una lode per chi lotta per la pace e la tolleranza
​Nel loro messaggio i vescovi sottolineano che intendono rivolgersi non solo ai cristiani ma anche “a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno legami privilegiati, familiari, lavorativi, di vicinato e di amicizia con i cristiani”. “La Pasqua - spiega il documento - unisce tutti i cristiani intorno alla stessa professione di fede nel Dio vincitore della morte. Questa festa unisce ugualmente coloro che, attraverso la loro religione, hanno posto tutta la loro fiducia nella potenza della vita che distrugge la morte”. Nel lodare tutti quelli che lottano per la pace e contro l’intolleranza, i vescovi concludono invocando la benedizione di Dio per gli sforzi effettuati “dagli uni e dagli altri, nella lotta contro il nemico comune di tutti i nigerini”. (L.M.)

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Uganda: comunicatori cattolici contro le violenze domestiche

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“I mass-media possono fare la differenza per ridurre l’ondata di violenze domestiche”: se ne è detta convinta Florence Kwesigabo, coordinatrice del programma nazionale per la prevenzione delle violenze domestiche in Uganda. Nei giorni scorsi, la Kwesigabo è intervenuta ad un seminario dedicato a questo tema, organizzato dai coordinatori delle Comunicazioni sociali di Kampala, insieme ai direttori della Radio Cattolica dell’Uganda. L’incontro, della durata di due giorni, ha avuto come titolo “Decisioni condivise, sviluppo condiviso, felicità condivisa” e si è posto l’obiettivo di accrescere, nei comunicatori pastorali, la capacità di parlare di violenza domestica e di creare adeguati sistemi di prevenzione.

Sensibilizzare la società sul dramma delle violenze domestiche
“Molti uomini – ha detto Florence Kwesigabo – usano il loro potere sulle donne, provocando in esse grandi sofferenze che, a volte, nessuno riesce a sanare”. In questo senso, i media possono fare la differenza “attraverso reportage costanti e campagne di sensibilizzazione contro il perpetrarsi di abusi sulle donne, sia giovani che anziane”. “Occupandosi in modo accurato dei casi di violenza domestica – ha aggiunto la coordinatrice – il comunicatore può aiutare in modo significativo le famiglie e le comunità a comprendere come tale dramma possa essere disastroso per la società”.

Rompere la cortina del silenzio e dire la verità
Dal suo canto, padre Edward Timothy Ssemogerere, segretario del Dipartimento per la Pastorale liturgica della Conferenza episcopale ugandese (Uec), ha espresso apprezzamento per il seminario, svoltosi “in un momento in cui le violenze domestiche rappresentano una minaccia per la società”. Incoraggiando, inoltre, i comunicatori a rompere “la cortina del silenzio” su tale dramma, padre Ssemogerere ha ribadito l’importanza di “dire la verità per rendere le persone capaci di ascoltare la voce delle vittime ed agire di conseguenza”.

Il ruolo dei nuovi media
Al seminario è intervenuto anche padre Phillip Odii, segretario del Dipartimento per le Comunicazioni sociali dell’Uec, il quale ha sottolineato l’importanza dei nuovi media, ed in particolare dei social network, per promuovere le campagne di sensibilizzazione contro gli abusi domestici. Allo stesso tempo, tuttavia, padre Odii ha messo in guardia dai rischi del “mondo virtuale”, soprattutto per quanto riguarda la privacy sui dati personali delle vittime. Il seminario si  è concluso con una celebrazione, presieduta da mons. John Baptist Kauta, segretario generale dell’Uec.

Terzo incontro, nel giro di pochi mesi
Quello di Kampala è stato il terzo convegno sulle violenze domestiche organizzato dalla Chiesa ugandese, in collaborazione con la Conferenza episcopale irlandese e il settore caritativo di quest’ultima, “Trocaire”. I precedenti incontri si sono tenuti a febbraio, nella diocesi di Lugazi, ed all’inizio di marzo a Lira. (I.P.)

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Ucciso in Messico un altro sacerdote

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L’arcivescovo di Morelia, nello Stato messicano di Michoacan, il card. Alberto Suárez Inda, ha annunciato la notizia dell’assassinio del sacerdote Francisco Javier Gutiérrez, parroco di Nuestra Señora del Rosario a Salvatierra, che lui stesso aveva ordinato sacerdote l’8 gennaio 1986. Padre Francisco Javier era originario di Arandas (Jalisco) e aveva 60 anni.

Aveva lasciato la parrocchia lunedì scorso
“Con profondo dolore annuncio la morte di padre Francisco Javier Gutiérrez Díaz, della Congregazione degli Operai del Regno di Cristo – è scritto nel comunicato del cardinale pervenuto all’agenzia Fides -. Dopo aver lasciato la sua parrocchia lunedi scorso, è stato ucciso e il suo corpo è stato trovato fuori da Salvatierra”. 

Sacerdote e pastore esemplare
​Il card. Suárez Inda presente le sue condoglianze a tutti i membri della Congregazione, ai familiari e alla comunità parrocchiale che padre Francisco Javier “ha servito con dedizione apostolica”. “Chiediamo al Signore – conclude il testo – che gli conceda il premio per il suo lavoro e perdoni chi ha causato questo grave crimine”. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un sacerdote esemplare, che aveva svolto il suo lavoro pastorale in diversi luoghi, con grande impegno e apprezzamento da parte di tutti. (S.L.)

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Messico: rimpatriati centinaia di migranti centroamericani

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Nei primi due mesi dell’anno, il Messico ha rimpatriato con la forza oltre 25.000 cittadini centroamericani che si trovavano sul suo territorio in maniera ‘illegale’: il dato presuppone una media di 424 migranti centroamericani rimpatriati ogni giorno. Il numero dei ‘deportados’ - riferisce l'agenzia Misna - è più del doppio di quello registrato nello stesso periodo del 2014, quando le autorità migratorie intercettarono 12.930 migranti provenienti dall’America Centrale.

Arrestati oltre 27mila migranti
Secondo la rivista ‘Proceso’, a gennaio e febbraio scorsi sono stati arrestati complessivamente 27.180 centroamericani, 25.069 dei quali rimpatriati: di questi, 3.289 erano minori. Dei rimpatriati, circa la metà 12.146, proveniva dal Guatemala, 8.300 dall’Honduras; nel 2014 i centroamericani intercettati erano stati prevalentemente honduregni. L’aumento degli arresti risponde al Programma Frontera Sur, il piano ‘anti-migranti’ in vigore dalla scorsa estate per impedire il passaggio attraverso il Messico a migliaia di centroamericani in cerca di una vita migliore negli Stati Uniti. Lo scorso novembre si sono contati 11.385 rimpatri di centroamericani, uno dei dati più alti degli ultimi anni.

Casi di maltrattamenti
​Gli ultimi numeri sui migranti sono stati diffusi dall’Istituto nazionale della migrazione (Inm) in concomitanza con una denuncia presentata da funzionari dello stesso organismo secondo i quali il personale interno di San Fernando, nello Stato occidentale di Tamaulipas, avrebbe costretto un gruppo di centroamericani a restare chiuso all’interno di un autobus senza cibo né acqua per 48 ore prima di procedere al loro rimpatrio. (F.B.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 99

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.