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Sommario del 05/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Urbi et Orbi, abbiamo il coraggio del perdono e della pace

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Con Gesù Cristo che è risorto “l’amore ha sconfitto l’odio, la vita ha vinto la morte, la luce ha scacciato le tenebre”: per questo, in un mondo che “propone di imporsi a tutti costi”, cerchiamo di “non cedere all’orgoglio” che alimenta violenza e guerre, ma di avere il “coraggio umile” del perdono e della pace. Questo il messaggio di Pasqua di Papa Francesco che dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana ha impartito la benedizione Urbi et Orbi, subito dopo aver presieduto in Piazza San Pietro la Santa Messa ed aver compiuto un giro sulla papamobile per salutare i fedeli e augurare loro buona Pasqua. Il servizio di Giada Aquilino

Il coraggio umile di Cristo
Dal Signore risorto imploriamo la grazia di “non cedere all’orgoglio che alimenta la violenza e le guerre”, ma di avere il “coraggio umile” del perdono e della pace. Così Papa Francesco, dopo che una pioggia quasi incessante aveva accompagnato la Santa Messa di Pasqua in Piazza San Pietro, ha pregato e benedetto la città di cui è vescovo, Roma, e il mondo.

Cristiani perseguitati
Immediato il riferimento a quanti perseguitati:

“A Gesù vittorioso domandiamo di alleviare le sofferenze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso. Ne sono tante”.

I Paesi sconvolti dai conflitti
Quindi il pensiero del Papa è andato alle tante realtà di guerra e sofferenza, come in Siria e Iraq:

“Cessi il fragore delle armi e si ristabilisca la buona convivenza tra i diversi gruppi che compongono questi amati Paesi. La comunità internazionale non rimanga inerte di fronte alla immensa tragedia umanitaria all’interno di questi Paesi e al dramma dei numerosi rifugiati”.

Implorata la pace per tutti gli abitanti della Terra Santa:

“Possa crescere tra Israeliani e Palestinesi la cultura dell’incontro e riprendere il processo di pace così da porre fine ad anni di sofferenze e divisioni”.

La preghiera di Francesco si è estesa alla Libia, affinché - ha detto - “si fermi l’assurdo spargimento di sangue in corso e ogni barbara violenza” e ci si adoperi “per favorire la riconciliazione e per edificare una società fraterna che rispetti la dignità della persona”. Poi allo Yemen, perché “prevalga una comune volontà di pacificazione per il bene di tutta la popolazione”. Con “speranza” ha affidato al Signore misericordioso “l’intesa raggiunta in questi giorni a Losanna” sul nucleare iraniano, affinché - ha auspicato - “sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno”. Il dono della pace è stato implorato dal Pontefice pure per la Nigeria, il Sud Sudan, il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo:

“Una preghiera incessante salga da tutti gli uomini di buona volontà per coloro che hanno perso la vita – uccisi giovedì scorso nell’Università di Garissa, in Kenia –, per quanti sono stati rapiti, per chi ha dovuto abbandonare la propria casa ed i propri affetti”.

La Risurrezione del Signore porti luce inoltre all’amata Ucraina, ha proseguito il Pontefice, non dimenticando “ quanti hanno subito le violenze del conflitto degli ultimi mesi”:

“Possa il Paese ritrovare pace e speranza grazie all’impegno di tutte le parti interessate”.

Le nuove e vecchie schiavitù
Il Papa ha chiesto pace e libertà per i tanti uomini e donne “soggetti - ha sottolineato - a nuove e vecchie forme di schiavitù da parte di persone e organizzazioni criminali”:

“Pace e libertà per le vittime dei trafficanti di droga, tante volte alleati con i poteri che dovrebbero difendere la pace e l’armonia nella famiglia umana. E pace chiediamo per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi, che guadagnano col sangue degli uomini e delle donne”.

Gesù rimane sempre con i sofferenti
La voce del Signore Gesù che dona pace e assicura di rimanere “sempre” con noi - ha affermato Francesco - giunga dunque agli emarginati, ai carcerati, ai poveri e ai migranti “che tanto spesso sono rifiutati, maltrattati e scartati”, ai malati e ai sofferenti, ai bambini e specialmente a quelli che, ha aggiunto, “subiscono violenza”, a quanti “sono nel lutto” e agli uomini e alle donne “di buona volontà”. A tutti, ha spiegato il Papa, Gesù con la sua morte e risurrezione indica “la via della vita e della felicità”: la via è “l’umiltà, che comporta l’umiliazione” della morte sulla croce. Solo chi si umilia può andare “verso Dio”, perché “l’orgoglioso guarda dall’alto in basso, l’umile guarda dal basso in alto”.

Chinarsi nel mistero pasquale
D’altra parte, il mattino di Pasqua, Pietro e Giovanni - avvertiti dalle donne - corsero al sepolcro e lo trovarono aperto e vuoto; si avvicinarono e si “chinarono” per entrare nel sepolcro. Per entrare nel mistero, ha ricordato il Papa, bisogna “chinarsi, abbassarsi. Solo chi si abbassa - ha aggiunto - comprende la glorificazione di Gesù e può seguirlo sulla sua strada”:

“Il mondo propone di imporsi a tutti costi, di competere, di farsi valere… Ma i cristiani, per la grazia di Cristo morto e risorto, sono i germogli di un’altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi”.

Auguri in una giornata tanto bella ma anche tanto brutta per la pioggia
Augurando buona Pasqua ai presenti in Piazza San Pietro e a quanti collegati attraverso i mezzi di comunicazione sociale, il Papa ha pure ringraziato per il dono dei fiori dai Paesi Bassi che, ha detto, “in una giornata tanto bella” ma anche “tanto brutta per la pioggia”, hanno fatto da cornice alla celebrazione. Infine un auspicio:

“Portate nelle vostre case e a quanti incontrate il gioioso annuncio che è risorto il Signore della vita, recando con sé amore, giustizia, rispetto e perdono”.

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Tweet del Papa a Pasqua: Cristo è risorto, cammina con noi

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“Cristo è risorto! Cristo è vivo e cammina con noi”! E’ il tweet di Papa Francesco lanciato nel giorno di Pasqua dall’account @Pontifex.

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Francesco. Vegliare per entrare nel Mistero che porta dalla morte alla vita

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“Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero”, “senza adorare”. Così Papa Francesco, in San Pietro, per la Veglia del Sabato Santo. Nella sua omelia ha sottolineato la necessità di andare oltre le proprie “sicurezze”, l’egoismo, “l’indifferenza”, la “pigrizia” per poter “vegliare” e ascoltare, “in silenzio”, la voce di Dio che con il suo amore ha fatto “passare il popolo attraverso il Mar Rosso” e “Gesù attraverso l’abisso della morte e degli inferi”. Massimiliano Menichetti: 

“Siamo qui per entrare nel Mistero che Dio ha compiuto con la sua veglia d’amore”. Così il Papa in una Basilica immersa nella solennità dell'antico canto "Exsultet" che annuncia la Pasqua, avvolta dal profumo dell'incenso e scaldata dalla fiamma del cero pasquale. Una “notte di veglia” ha rimarcato il Pontefice, di attesa, nella certezza che il “Signore” custodisce il suo popolo. Notte che vissero i discepoli e le discepole di Gesù provando “dolore” e “angoscia”. Il Papa ha indicato proprio le donne che all’alba andarono al Sepolcro e per prime videro Gesù una volta entrate.

“Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero. Non è un fatto intellettuale, non è solo conoscere, leggere… E’ di più, è molto di più! 'Entrare nel mistero' significa capacità di stupore, di contemplazione; capacità di ascoltare il silenzio e sentire il sussurro di un filo di silenzio sonoro in cui Dio ci parla”.

“Entrare nel mistero - ha detto - ci chiede di non avere paura della realtà: non chiudersi in sé stessi, non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo, non chiudere gli occhi davanti ai problemi, non negarli, non eliminare gli interrogativi…”.

“Entrare nel mistero significa andare oltre le proprie comode sicurezze, oltre la pigrizia e l’indifferenza che ci frenano, e mettersi alla ricerca della verità, della bellezza e dell’amore, cercare un senso non scontato, una risposta non banale alle domande che mettono in crisi la nostra fede, la nostra fedeltà e la nostra ragione”.

“Per entrare nel mistero - ha poi aggiunto - ci vuole umiltà”.

“L’umiltà di abbassarsi, di scendere dal piedestallo del nostro io tanto orgoglioso, della nostra presunzione; l’umiltà di ridimensionarsi, riconoscendo quello che effettivamente siamo: delle creature, con pregi e difetti, dei peccatori bisognosi di perdono. Per entrare nel mistero ci vuole questo abbassamento che è impotenza, svuotamento delle proprie idolatrie… adorazione. Senza adorare non si può entrare nel mistero”.

Le discepole di Gesù – ha proseguito – “vegliarono” con “la Vergine Madre”, le aiutò a non perdere “la fede e la speranza”. Impariamo da loro - ha concluso - “a vegliare con Dio e con Maria, nostra Madre, per entrare nel Mistero che ci fa passare dalla morte alla vita”.

Vita riflessa e affermata in tutta la liturgia in San Pietro, densa di simboli di purificazione e rinascita come fuoco e acqua. Notte in cui Francesco ha battezzato e cresimato dieci catecumeni adulti, uomini e donne, per metà italiani e altri provenienti da Cambogia, Albania, Portogallo e Kenya. Notte in cui si è lavata con forza la Preghiera universale per i perseguitati e per quanti lavorano per la pace.

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Oggi in Primo Piano



Iraq: il card. Filoni tra i cristiani, è Pasqua di speranza

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In Iraq, dove migliaia sono i cristiani rifugiati vittime della violenza del sedicente Stato Islamico (Is), il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha celebrato oggi la Messa del giorno di Pasqua nella città di Suleijmanija, nel Kurdistan iracheno, portando loro la vicinanza di Papa Francesco. Ieri la Veglia Pasquale in una tenda in un campo profughi ad ErbilI. Lo segue nella missione mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq. Michele Raviart ha raggiunto telefonicamente il porporato per un commento su questa giornata di festa, in una delle situazioni più difficili per i cristiani: 

R. – La celebrazione questa notte è stata molto bella, in una tenda, con oltre un migliaio di persone; la liturgia è stata in lingua caldea. Da parte mia, ho detto che non eravamo soli in questo momento così importante della nostra fede, così importante da un punto di vista spirituale per tutti coloro che si trovano in difficoltà. Questa mattina ho celebrato in Sulejmanija, dicendo queste stesse parole e naturalmente incoraggiando le oltre 400 famiglie che si trovano qui, rifugiate nella zona.

D. – Che situazione ha trovato lì a Sulejmanija ?

R. – C’è una situazione distesa. Le autorità che ho incontrato sono molto cooperative. Naturalmente i cristiani oggi sono in grande festa e credo anche che loro vivano questa Pasqua in modo unico. Mai prima d’ora, c’era stata per loro una celebrazione fuori dal proprio villaggio, fuori dalla propria terra. C’è anche la speranza che la prossima Pasqua possa essere celebrata di nuovo a casa e nei propri villaggi.

D. – Ieri invece nella tendopoli di Erbil come stavano i cristiani?

R. -  I cristiani che ho incontrato, soprattutto ad Erbil, nel campo che ho visitato, erano in una situazione abbastanza penosa. Vivono, infatti, in una struttura dove purtroppo i servizi e l’ambiente non sono proprio dei migliori. Abbiamo, però, ricevuto la certezza da parte delle autorità che subito dopo Pasqua saranno tutti trasferiti in un centro, dove vi sono delle roulotte, dei container adibiti a piccole case, dove credo, sotto tutti i punti di vista, la loro dignità, la loro collocazione, il loro ambiente sarà migliore. Certo, in queste strutture “rimediate” e in simili forme di convivenza, le malattie aumentano soprattutto per gli anziani. Le malattie hanno afflitto e affliggono ancora la popolazione.

D. – Papa Francesco ha chiesto nell’Urbi et Orbi pace per la Siria e per l’Iraq, perché cessi il fragore delle armi e si ristabilisca la buona convivenza fra i gruppi. C’è stato anche un appello alla comunità internazionale perché aiuti in questo momento di crisi, soprattutto per i rifugiati…

R. – Naturalmente la tragedia non riguarda solamente i cristiani, i cristiani sono solo una parte. Per esempio, a Sulejmanija, il governatore mi diceva che hanno oltre 220 mila rifugiati: ci sono persone che vengono dalla Siria, che vengono anche dalla zona di Falluja e che vengono dal nord. Non si tratta solo di cristiani naturalmente, ma anche di musulmani, che sono la grande maggioranza. E’ chiaro, quindi, che l’aiuto internazionale, che comunque finora non è mancato - ma si può sempre migliorare - è auspicabile, soprattutto nella speranza che il Paese, una volta liberato, possa permettere a tutta questa gente di ritrovare la propria vita nei luoghi, nei villaggi, nelle terre da cui proviene ed è originaria. 

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Pasqua in Terra Santa. Padre Pizzaballa: cristiani a rischio

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La Terra Santa, per i cui abitanti il Papa nel messaggio Urbi et Orbi ha implorato la pace, vive anche questa Pasqua tra speranze e sofferenze. Lo ha ricordato pure il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, nell’omelia pasquale. "Ogni giorno in Medio Oriente - ha detto - siamo testimoni dei tragici eventi che ci fanno anche contemporanei del Calvario". La piccola comunità cattolica ha già cantato ieri mattina l'Alleluja pasquale, per le norme sullo “statu quo” che stabiliscono i turni per le tre comunità cristiane (greco ortodossi, latini e armeni) che condividono la Basilica del Santo Sepolcro. Sul significato di questa Pasqua, ascoltiamo il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, al microfono di Amedeo Lomonaco: 

R. - Il significato della Pasqua è sempre lo stesso. Ma le circostanze lo rendono sempre un qualcosa di nuovo. Le difficoltà, purtroppo, in Terra Santa ma nel Medio Oriente in generale, le conosciamo. La presenza cristiana è sempre messa più a rischio in Medio Oriente - e penso a Siria e Iraq - da persecuzioni drammatiche e ingiustificabili e qui, in Terra Santa, da un assottigliarsi sempre maggiore della presenza del numero di cristiani.

D. - Cosa significa essere presenti in Terra Santa e vivere la Santa Pasqua proprio nella Terra di Gesù?

R. - Innanzitutto gli eventi pasquali, le celebrazioni vengono fatte nei luoghi che storicamente, secondo la tradizione, sono stati i luoghi che hanno vissuto la Pasqua originaria. Questo è già un aspetto molto importante che lega l’evento con il luogo e, quindi, con qualcosa di concreto che possiamo toccare. Detto questo, poi, non sono soltanto i luoghi ma, soprattutto, le comunità a fare Pasqua. E fare Pasqua significa per noi cristiani dare questa testimonianza: nonostante le paure e i tanti segni di morte, noi continuiamo, anche se siamo piccoli, fragili, con tanti limiti, divisi, a voler dare a tutti i costi una testimonianza di vita e di speranza.

D. - Qual è oggi la speranza più forte in Terra Santa?

R. - La speranza è già nello stare qui, è nelle piccole cose di tutti i giorni. Non è il momento per i grandi eventi, è il momento del chicco di grano che fa frutto ma senza fare chiasso e poco alla volta, lentamente. Le comunità cristiane in Terra Santa sono molto piccole - siamo non di più dell’uno per cento della popolazione -  ma molto attive, nelle scuole e nelle diverse attività. La speranza, la vita, la risurrezione è proprio in questo continuare caparbiamente a costruire le relazioni nelle comunità e anche con le altre, nonostante le tante difficoltà.

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Pasqua in Siria, mons. Zenari: il Paese vive ancora la Via Crucis

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In Siria la Pasqua coincide con il quinto anno di guerra. Ieri i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) e i miliziani del fronte Al-Nusra, legati ad Al-Qaeda, hanno preso il controllo della maggior parte del campo profughi palestinese di Yarmuk, nei pressi di Damasco. Il sito è stato bombardato nella notte dall'esercito di Assad. Almeno 13 i morti, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Intanto 2 mila civili hanno evacuato questa mattina il campo. Alcune centinaia di palestinesi hanno manifestato nella Striscia di Gaza, per solidarietà contro l'occupazione di Yarmuk e hanno chiesto alla comunità internazionale di aiutare i civili. Intanto, le comunità cristiane, anche loro vittime della violenza dello Stato Islamico, vivono nella fede questo tempo di speranza. Ma qual è l’attuale situazione della Siria, sempre presente nei pensieri di Papa Francesco, e in particolare dei cristiani? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco: 

R. – Come si sa, la Siria è entrata – purtroppo – nel quinto anno di guerra civile e si sta vivendo una Via Crucis. Ora quello che pesa più di tutto è sapere a che punto siamo di questa Via Crucis: siamo all’ultima stazione, quella che precede la schiarita della Resurrezione, o siamo ancora magari alla quinta stazione della Via Crucis? C’è quest'aria che pesa e che ancora non fa intravedere la fine di questa Via Crucis.

D. – In questa situazione è possibile mantenere viva la speranza nella Resurrezione, ovvero in una pace che rappresenta ora il bene primario che porterebbe con sé – tra l’altro – una spinta per la soluzione di tutti gli altri problemi?

R. – I fedeli, qua, rinnovano la loro fede e, anche se diversi cristiani hanno preso la via dell’emigrazione, quelli che rimangono però dimostrano una fede forte: frequentano le chiese, frequentano in questi giorni le liturgie della Settimana Santa per invocare dal Signore il dono della pace, il dono della riconciliazione… Direi che la fede è sempre un grande conforto per i nostri fedeli e anche per il resto del Paese.

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I cattolici iraniani festeggiano la Pasqua nella serenità

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In Asia alcune comunità cristiane, come in Pakistan e India, celebrano la Santa Pasqua nel timore di attacchi e di attentati. In altri Stati, tra cui l’Iran, non è la sicurezza ad essere messa in discussione ma la libertà di evangelizzare, come sottolinea al microfono di Emanuela Campanile il direttore di AsiaNews, padre Bernardo Cervellera: 

R. - I cristiani in Iran vivono nella sicurezza. Non c’è terrorismo, non ci sono attacchi. Nelle loro chiese possono fare i loro riti. L’unico problema è che non hanno la libertà di evangelizzare. Diciamo che questo è il vero grande difetto e questo è il vero soffocamento di queste comunità. Però, devo dire che in confronto ad altri Paesi islamici dove i cristiani allo stesso modo non possono evangelizzare, però sono insicuri nelle loro chiese, la situazione iraniana non è così grave.

D. - Si registrano anche nuove aperture verso le comunità cristiane da parte del governo iraniano…

R. - Queste aperture e questa dialogicità con il cristianesimo da parte dell’islam sciita sta emergendo sempre di più adesso con Rohani. Ci sono stati periodi, invece, molto più difficili e molto più soffocanti. Tempi soffocanti non solo per i cristiani ma per tutta la popolazione iraniana.

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La Nigeria vive la Pasqua con la paura degli attentati

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Il tempo di Pasqua è segnato, in Africa, da situazioni profondamente diverse. In molti Paesi, il Continente africano offre esempi di convivenza pacifica che caratterizzano le diverse componenti della società. In altri Stati, tra cui - come ha ricordato il Papa nel messaggio Urbi et Urbi - la Nigeria, il Sudan, il Sud-Sudan e la Repubblica Democratica del Congo, la violenza sconvolge l’intero tessuto sociale, non solo le comunità cristiane. Ieri in Nigeria almeno quattro persone sono state uccise dai terroristi di Boko Haram in un villaggio vicino ai Maiduguri, nel nord-est del Paese. Ma come è vissuta la Pasqua in Nigeria e nel resto del Continente?  Emanuela Campanile  lo ha chiesto al direttore delle riviste delle Pontificie Opere Missionarie, padre Giulio Albanese: 

R. - In Nigeria non è in atto una persecuzione contri i cristiani, anche perché i Boko Haram, numericamente parlando, hanno ucciso più musulmani che cristiani. I cristiani vengono colpiti in Nigeria, soprattutto nel nord est, ma anche in regioni più centrali come lo Stato del Plateau. Per quale motivo? Perché i Boko Haram sanno che quando colpiscono i cristiani è come se 'bucassero' lo schermo: quella notizia viene comunque ripresa dalle testate internazionali.

D. – C’è un'Africa che è di esempio o che ancora riesce a mantenere vive, con rispetto, minoranze religiose e cristiani?

R. – Ma c’è la stragrande maggioranza dei Paesi africani che, da questo punto di vista, ha la pagella in ordine. Io penso alla Tanzania, al Sudafrica, all'Angola, alla Sierra Leone, alla Liberia, alla Repubblica Democratica del Congo, nonostante le violenze in alcune zone. La lista è lunga. Devo dire che in Africa, da questo punto di vista almeno sul piano formale, non vi sono problemi di sorta. Certo, ci sono dei Paesi che sono purtroppo oggi target degli estremisti. Questo succede soprattutto nelle aree di crisi. Pensiamo alla regione settentrionale del Mali, l’Azawad, ma anche al Sudan e alla regione del Darfur, per non parlare della Repubblica Centrafricana, dove un certo jihadismo purtroppo ha seminato morte e distruzione.

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America Latina: Pasqua è tempo di gioia per celebrare la vita

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In America Latina la Pasqua è anche l’occasione per riflettere sull’autentico significato della vita, sempre più minacciata da diverse forme di violenza. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il giornalista cileno della nostra emittente, Luis Badilla: 

R. – E’ una festa vissuta con grande allegria tant'è vero che nella tradizione nostra si dice che è la festa dell’allegria non solo perché è legata al Risorto ma perché è legata soprattutto al senso della vita. In America Latina, da tempo, da molti secoli, la festa di Pasqua di Risurrezione è vissuta appunto come la festa della vita, della vita che trionfa. E questo ha un grande significato perché un problema dell’America Latina negli ultimi decenni è che spesso il valore più offeso, per motivi diversi, è stata la vita, o per la tortura o per l’aborto, o per la fame…

D. – E quella di quest’anno è una Pasqua particolare soprattutto a Cuba…

R. – Quello che c’è di nuovo, di radicalmente diverso, è il clima che vive il Paese, dopo gli accordi fra il governo degli Stati Uniti e quello di Cuba in gran parte, per l’intervento di Papa Francesco. Accordi che hanno riaperto, con concretezza, molte speranze immediate e future, che consentiranno al Paese di cambiare soprattutto in meglio, lì dove i cubani negli ultimi anni hanno sofferto moltissimo. Parlo dell’economia, dei rapporti sociali interni, parlo in definitiva di un Paese, che nonostante Giovanni Paolo II aveva chiesto che si aprisse al mondo e che il mondo si aprisse a questo Paese, non era riuscito in concreto a trovare il cammino. Il cammino è stato trovato. Sono questi accordi e in questi accordi - che tanto voleva Giovanni Paolo II - è rilevante Papa Francesco.

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Nella Chiesa e nel mondo



Kenya: fedeli pregano per le vittime della strage di Garissa

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Pasqua di dolore in Kenya, nel primo dei tre giorni di lutto nazionale per la strage di Garissa, dove giovedì scorso, come ha ricordato anche Papa Francesco nel messaggio Urbi et Orbi, i jihadisti di al Shabaab hanno ucciso 148 studenti, principalmente cristiani. Massima allerta in tutte le chiese del Paese, protette dalla polizia o da squadre di sicurezza private. La cattedrale della Santa Famiglia di Nairobi è difesa dai poliziotti  e sono stati installati dei metal detector. A Garissa la Pasqua è stata celebrata nella chiesa della Madonna della Consolazione, che era già stata colpita dai terroristi tre anni fa, quando morirono 17 persone. Centinaia i fedeli che hanno affollato la celebrazione, cantando e piangendo in ricordo di quanti hanno perso la vita. “Uniamo le sofferenze delle vittime e dei loro parenti alle sofferenze di Gesù. Le vittime risorgeranno con Cristo”, ha detto il vescovo coadiutore di Garissa Joseph Alessandro. “Non sappiamo chi sono i terroristi, potrebbero essere anche i nostri vicini”, ha commentato il presule. Un appello alle famiglie dei terroristi a collaborare con il governo per identificarli è arrivato ieri anche dal presidente kenyota Uhuru Kenyatta. In un messaggio rivolto alla Nazione, il presidente ha condannato il massacro di Garissa definendolo “un attacco contro l’umanità” e ha annunciato una caccia ai responsabili “non solo in Kenya, ma anche in Somalia”. Cinque gli arresti finora, mentre uno terroristi sarebbe figlio di un funzionario del governo. Al Shabaab ha fatto poi sapere su internet che “la guerra sarà lunga e terribile e i kenyoti saranno le prime vittime”. La strage, hanno detto i jihadisti legati ad al Qaeda, è stata un atto di ritorsione per i raid compiuti dalle truppe kenyane dell’Unione Africana in Somalia. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha confermato il viaggio in Kenya per il prossimo luglio, mentre solidarietà è arrivata anche dal primo ministro britannico David Cameron. “E’ assurdo che nel 2015 ci siano ancora cristiani minacciati, torturati e perfino uccisi per la loro fede”, ha detto in un messaggio. (M.R.)

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Kenya e Somalia: programmi di Aiuto alla Chiesa che Soffre

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Investire nell’educazione, nella comunicazione e nel dialogo per combattere l’estremismo in Paesi come il Kenya, reduce dal grave attentato terroristico di giovedì scorso, e la Somalia. Sono le linee guida dell’intervento di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) , che sta lavorando per “ricomporre i conflitti che dividono questi due Paesi confinanti”. In un comunicato, Acs riferisce che in Kenya sono previsti programmi umanitari e educativi per chi vive costantemente sotto minaccia. “Nel 2012 è stata lanciata Radio Akicha, emittente che trasmette dalla diocesi keniota di Lodwar e che si rivolge ai Turkana, tribù keniota di fede cristiana”. Si realizza anche un programma educativo e pastorale, che prevede programmi di stampo religioso, notizie e musica. Anche “i musulmani ascoltano con interesse le trasmissioni - racconta ad Acs padre Avelino Bassols, della locale comunità missionaria di San Paolo Apostolo - al punto che alcuni di loro hanno comprato una Bibbia per approfondire i testi sacri ascoltati in radio”. Tra l’altro la presenza di questa emittente favorisce la diffusione di informazioni riguardanti l’Aids, fino al sostegno pastorale per i fedeli. “In Kenya - riferisce ancora Acs - la popolazione è a quasi totale maggioranza cristiana, l’84,4%, seguono i musulmani, ma il Paese africano ha subito, in questi ultimi anni, le terribili incursioni terroristiche di al Shabaab”. “In Somalia il 99,8% della popolazione è di fede musulmana. La libertà religiosa è del tutto inesistente per la piccola minoranza cristiana, pesantemente perseguitata dagli estremisti”. (B.C.)

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Yemen: Russia chiede all'Onu la sospensione dei raid

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In Yemen i ribelli sciiti Houti hanno occupato la sede dell’amministrazione provinciale di Aden, roccaforte del presidente Hadi, ora in esilio. Continua intanto l’offensiva militare della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Bombardata la capitale Sana’a, nelle mani degli Houti da gennaio e basi militari al confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita. Sul fronte diplomatico il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sta valutando la richiesta della Russia di interrompere momentaneamente i raid per una tregua umanitaria e permettere di salvare gli stranieri bloccati dal conflitto. Intanto l’Iran, alleato della Russia e sostenitore degli Houti, ha chiesto aiuto al sultanato dell’Oman per fermare gli attacchi della coalizione internazionale. (M.R.)

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Risorgerà la pace: così a Pasqua l’Ordinario Militare

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“La pace risorgerà dal sangue di chi per la pace muore, dalla vita di chi la pace serve, dall’impegno di chi la pace difende, dalla fede di chi per la pace prega”. E’ uno dei passaggi del messaggio di Pasqua dell’Ordinario Militare per l'Italia, l'arcivescovo Santo Marcianò. Nel testo, il presule ricorda che la battaglia da fare è quella contro “la cultura dell’indifferenza e dello scarto, la discriminazione razziale o religiosa, il disprezzo della vita e della dignità umana, quale che sia la ragione che li motiva”. “Un combattimento – aggiunge – che può richiedere ai militari l’uso prudente e bilanciato delle armi” ma ci sono altre armi che si possono usare come l’aiuto che i militari portano ai fratelli lontani, ricostruendo le rovine dei loro Paesi ma anche sostenendo la crescita dei popoli “tenuti all’oscuro dalla conoscenza del mondo e oscurati alla conoscenza del mondo”. “Anche se gravemente violata - conclude mons. Marcianò - la pace può risorgere, come risultato di un processo di trasformazione lenta, operata da chi cerca di sgretolare la violenza nel suo pericoloso imporsi quotidiano e lo fa in maniera silenziosa, senza proclami pacifisti e senza lotte ideologiche, ma con la cura, la difesa, la protezione, con le armi della vicinanza e del servizio, del dialogo e della condivisione. (B.C.)

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Nepal, cattolici pregano per la nuova Costituzione

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In occasione della Settimana Santa, la comunità cattolica nepalese ha pregato per la buona riuscita dei lavori dell’Assemblea costituente impegnata da oltre un anno nella stesura di una Costituzione laica che garantisca libertà religiosa e il diritto dei cittadini e dei “gruppi” di manifestare la propria fede. A partire dalla Domenica delle Palme - riferisce l’agenzia Asianews - i fedeli, candele alla mano, hanno iniziato a visitare la cattedrale dell’Assunzione di Lalitpur e le altre chiese del Paese.

Il sostegno all’iniziativa anche da persone di altre fedi
Il vicario apostolico del Nepal, mons. Paul Simick, ha suggerito questa speciale intenzione di preghiera: “Il nostro Paese sta scrivendo una nuova Costituzione laica ma i leader stanno ancora faticando a trovare una soluzione ai vari contenziosi. Quindi, mentre celebriamo la Pasqua di quest’anno, preghiamo per la nuova Costituzione laica e per la pace nel Paese”. Nonostante la comunità cattolica nel Paese sia poco numerosa (appena lo 0,5% della popolazione, in netta maggioranza indù), l’iniziativa ha raccolto il consenso di numerose persone appartenenti a religioni diverse.

L’approvazione della nuova Costituzione rinviata diverse volte
La nuova Costituzione doveva essere approvata dall’Assemblea costituente entro il 2010. Questa è stata tuttavia sciolta nel 2012 a causa di disaccordi su temi quali il federalismo, il sistema elettorale e giudiziario, la forma di governo. Dal novembre 2013 una seconda Assemblea sta discutendo una nuova bozza, ma lo scorso gennaio non è riuscita a raggiungere un accordo. L’instabilità politica ed economica degli ultimi anni ha intanto rafforzato i movimenti indù filo-monarchici, che stanno cercando in tutti i modi di impedire le conversioni ad altre religioni verificatesi dopo la fine della monarchia.

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Usa: il 25 e il 26 aprile Colletta per le missioni interne

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Si terrà il 25 e il 26 aprile la "Catholic Home Missions" 2015, l’annuale Colletta per le missioni interne degli Stati Uniti, ovvero a sostegno della pastorale delle aree considerate di frontiera per le difficili condizioni sociali e ambientali. Realtà dove soprattutto la carenza di clero e di religiosi si scontra con il diffuso bisogno educativo della popolazione. Ad annunciarlo - secondo quanto riportato dall'Osservatore Romano - è il sito dell’episcopato statunitense che, pubblicando l’annuale appello, spiega anche il senso dell’iniziativa volta a sostenere l’evangelizzazione, la catechesi, la formazione dei seminaristi e quella dei laici. 

Nove milioni di dollari in borse di studio
"Per alcuni può essere sorprendente sentire parlare del grande bisogno di molte delle nostre diocesi qui negli Stati Uniti. Per coloro che non hanno mai fatto esperienza di una diocesi di missione può essere difficile immaginare di non avere a disposizione un sacerdote o materiali di base per insegnare la fede", ha dichiarato il vescovo di Boise City, Peter F. Christensen, presidente della sottocommissione episcopale "Catholic Home Missions". L’anno passato la sottocommissione - rende noto il sito dell’episcopato - ha approvato per il 2015 lo stanziamento di 9 milioni di dollari in borse di studio. La colletta costituisce la principale fonte di finanziamento dei progetti promossi in favore di circa il 45 per cento delle diocesi statunitensi. Tra i beneficiari, la diocesi di Tucson, in Arizona, che sta utilizzando fondi provenienti dalla colletta "Catholic Home Missions" per la catechesi ai cattolici di lingua spagnola e per sostenere l’opera di sacerdoti impegnati nella missione tra i 24.000 abitanti di quattro riserve di nativi americani.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 95

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