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Sommario del 04/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco alla Via Crucis: cristiani uccisi, silenzio complice

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Tutti i nostri peccati, gli strazi dei cristiani perseguitati e il dolore di quanti sono abbandonati e sfigurati dalla nostra indifferenza sono in Cristo crocifisso. E’ una lunga preghiera quella in cui Papa Francesco ha condensato al termine della Via Crucis al Colosseo il senso del percorso di Gesù verso il Calvario. Una preghiera con la quale il Pontefice, evidenziando la crudeltà dell’uomo e le iniquità del mondo, ha voluto sottolineare che l’infinita misericordia di Dio può convertire la nostra vita. Il servizio di Tiziana Campisi

In Cristo sfigurato e straziato ci sono le crudeltà del nostro cuore, il suo patire lungo la Via della Passione è anche quello di quanti sono abbandonati dai familiari e dalla società, “sfigurati dalla nostra negligenza e dalla nostra indifferenza”. Non sono state parole di un discorso quelle di Papa Francesco, che sul Colle Palatino - con a fronte l’anfiteatro Flavio - ha ascoltato in profondo raccoglimento le meditazioni della Via Crucis. Sono state preghiera a Cristo, che in se porta anche il dolore di oggi:

“In Te, Divino Amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice”.

Ma è a Gesù stesso che il Papa esorta a chiedere un cambiamento di vita:

"Portaci a pentirci per i nostri peccati che ti hanno crocifisso. Portaci a trasformare la nostra conversione fatta di parole, in conversione di vita e di opere ... Ravviva in noi la speranza che non si smarrisca seguendo le seduzioni del mondo. Custodisci in noi la carità che non si lasci ingannare dalla corruzione e dalla mondanità”.

E allora la Croce, via verso la Resurrezione, insegna che il Venerdì Santo è strada verso la Pasqua della luce, che “Dio non dimentica mai nessuno dei suoi figli e non si stanca mai di perdonarci e di abbracciarci con la sua infinita misericordia”. E le ultime parole del Papa sono state ancora preghiera, quella dell’Anima Christi; una preghiera che è invocazione a Gesù crocifisso:

“Corpo di Cristo, salvaci.
Sangue di Cristo, inebriaci.
Acqua del costato di Cristo, lavaci.
Passione di Cristo, confortaci.
O buon Gesù, esaudiscici.
Dentro le tue piaghe nascondici”.

I testi della Via Crucis - cui hanno dato toccante e intensa voce Orazio Coclite, Francesca Fialdini e Simona De Santis - hanno proposto un percorso di fede che ha condotto i credenti nella notte più buia di Cristo, ma hanno anche voluto mostrare che, proprio nella Via della Croce - con preghiera, vigilanza, sincerità e verità - questa fede cresce. Nel far rivivere la Passione di Gesù, le riflessioni di mons. Renato Corti hanno voluto anche ricordare quanti quella Passione l’hanno rivissuta o la rivivono seguendo le orme di Cristo. Così, nella II stazione, con Gesù caricato della croce ci sono uomini e donne “imprigionati, condannati o addirittura trucidati” perché credenti o impegnati in favore della giustizia e della pace e tra questi Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze che di se ha scritto:

(Voce di Orazio Coclite)
"Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita".

Lungo la strada che conduce al Calvario ci sono poi i drammi delle famiglie, le anime ferite dalla solitudine, dall’abbandono, dall’indifferenza e dalla malattia, e c’è ancora il traffico di esseri umani, la condizione dei bambini soldato, il lavoro che diventa schiavitù e l’adolescenza violata. Ma guardare Cristo patire per amore induce anche ad un profondo esame di coscienza:

(Voce di Simona De Santis)
IX stazione
"
Gesù cade per la terza volta".

(Voce di Francesca Fialdini)
"Gesù, di fronte all’amore tuo e del Padre ci domandiamo se non stiamo rischiando di lasciarci ammaliare dal mondo per il quale la tua passione e morte è «stoltezza e scandalo», mentre è «potenza e sapienza di Dio»? Non siamo forse dei cristiani tiepidi, mentre il tuo amore è un mistero di fuoco?".

Si, è un mistero l’amore di Dio, un amore che sconvolge nell’estremo sacrificio in croce di Cristo. Ma proprio dal quel legno che sgomenta, Gesù chiama chi lo segue ad essere Chiesa della misericordia, Chiesa povera e amica dei poveri. E se sulla croce la morte di Cristo ha seminato paure e interrogativi, non senza risposta Dio ha lasciato gli uomini squarciando la storia con la Resurrezione.

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Mons. Zuppi: violenze anticristiane, non si può stare a guardare

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Il Papa, dunque, alla Via Crucis al Colosseo, ha denunciato il “silenzio complice” di fronte alle persecuzioni che stanno subendo i cristiani nel mondo. Cosa ci dice questa affermazione? Ascoltiamo mons. Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, al microfono di Antonella Palermo

R. – Ci aiuta a capire che di fronte alla Passione, come di fronte a queste notizie, si deve stare da una parte: non si può stare a guardare, non si può essere spettatori, vediamo tutto e non facciamo niente! Questo è complice. Ma poi, Papa Francesco continuamente parla, ci ricorda, proprio per evitare complicità, ci ricorda la sofferenza di tanti cristiani: lo aveva fatto l’ultima volta mercoledì – forse in molti si ricordano – citando un altro martire, peraltro a noi molto caro, qui a Roma, che è don Andrea Santoro; ha proprio citato sue parole, quando diceva che “si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato, il dolore va condiviso assorbendolo nella propria carne fino in fondo, come ha fatto Gesù”. E questo è quello che ha fatto don Andrea Santoro ed è quello che ci chiede Papa Francesco per non rimanere indifferenti – e quindi complici.

D. – Che cosa fare per loro, oltre che pregare, ovviamente?

R. – Credo che ci sia una pressione da esercitare: c’è una responsabilità internazionale e una pressione da esercitare sui vari Stati, perché poi è una violenza che raggiunge i nostri fratelli in situazioni diversissime: dal Pakistan a quell’ultimo, terribile evento in Kenya che in realtà è legato alla situazione della Somalia. E quindi, in realtà, bisognerebbe avere un’attenzione, esercitare una pressione perché siano più protetti, anzitutto, e poi perché si percorrano tutte le vie possibili per porre fine ai conflitti.

D. – Perché come ci rivela un dossier curato da “Aiuto alla Chiesa che soffre”, ci sono ogni mese 322 vittime: i cristiani sono i più perseguitati in un mondo intollerante. Insomma ci si chiede, anche tra gli stessi cattolici, in che modo oggi parlare di dialogo, di dialogo con l’islam …

R. – Purtroppo, ho l’impressione che ancora si pensi che il dialogo sia “cedevolezza”: cioè, ho paura che ancora sia questo. Papa Francesco l’ha scritto nella “Evangelii Gaudium”, San Giovanni Paolo II nel 1986 iniziò quello straordinario evento di Assisi con l’incontro tra tutte le religioni per la pace, di cui si capisce oggi quanto sia stato profetico, con quello “spirito di Assisi” che la Comunità di Sant’Egidio ha portato avanti in questi anni nella convinzione che l’unico modo per affrontare il problema sia il dialogo, che è esattamente quello che invece i terroristi – o qualunque fondamentalismo di qualunque parte – non vuole, aborre, perché – appunto – vuole il nemico, cerca il nemico. Noi non dobbiamo cadere in questa tentazione. Certamente questa è un’altra cosa che tutti possiamo fare: costruire ponti e non alzare muri. Questo possiamo farlo tutti a tanti livelli. E’ un modo comunque per dissociarci dalla tentazione di rispondere alla violenza con la violenza. Per questo credo che la riflessione sul dialogo non sia affatto scontata: ho l’impressione che ancora debba essere molto assimilata da noi, dalle nostre comunità perché la tentazione, invece, è quella di credere che il dialogo significhi quasi fare entrare il nemico in casa, sostanzialmente. E questo, purtroppo, è proprio quello che cerca chi vuole soltanto lo scontro.

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Padre Cantalamessa: non lasciamo soli i tanti perseguitati di oggi

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“Ecce homo”, “Ecco l’uomo”: le parole di Pilato che indica Gesù martirizzato, sono state al centro della predica di padre Raniero Cantalamessa per la Celebrazione della Passione del Signore nella Basilica di San Pietro, alla presenza di Papa Francesco. Quanti “Ecce homo” oggi nel mondo, ha affermato il predicatore della Casa pontificia, non bisogna dormire, non bisogna lasciarli soli”. Il servizio di Adriana Masotti

Gesú è in agonia fino alla fine del mondo in ogni persona oppressa
Ecce homo!  Numerosissime le opere che hanno ritratto Gesù in quelle condizioni. Padre Cantalamessa sceglie il dipinto di un pittore  fiammingo del secolo XVI, Jan Mostaert, per richiamare alla mente dei presenti quella immagine: Gesù ha in capo una corona di spine da cui scendono gocce di sangue. Ha la bocca semiaperta, come chi fa fatica a respirare. Sulle spalle gli è posto un mantello pesante. Ha i polsi legati, in una mano tiene una canna a modo di scettro e nell’altra un fascio di verghe: è l’uomo ridotto all’impotenza più totale, il prototipo di tutti gli ammanettati della storia e dice:

“Meditando sulla Passione, il filosofo Blaise Pascal scrisse un giorno queste parole: 'Cristo è in agonia fino alla fine del mondo: non bisogna dormire durante questo tempo' (…  ) Gesú è in agonia fino alla fine del mondo in ogni uomo o donna sottoposti agli stessi suoi tormenti. 'L’avete fatto a me!', questa sua parola, egli non l’ha detta solo dei credenti in lui; l’ha detta di ogni uomo e di ogni donna affamati, nudi, maltrattati, carcerati”.

Non bisogna lasciare soli i perseguitati
Per una volta non pensiamo alle piaghe sociali, continua il predicatore della Casa pontificia: la fame, la povertà, l’ingiustizia, lo sfruttamento dei deboli. Pensiamo alle sofferenze dei singoli, delle persone con un nome e un’identità precise; alle torture decise a sangue freddo e inflitte volontariamente, in questo stesso momento, da esseri umani a un altri esseri umani, perfino a dei bambini.

“Quanti 'Ecce homo' nel mondo! Mio Dio, quanti 'Ecce homo!'. Quanti prigionieri che si trovano nelle stesse condizioni di Gesù nel pretorio di Pilato: soli, ammanettati, torturati, in balia di militari rozzi e pieni di odio, che si abbandonano a ogni sorta di crudeltà fisica e psicologica, divertendosi a veder soffrire. Non bisogna dormire, non bisogna lasciarli soli!”.

Cristiani perseguitati
Ma l’esclamazione “Ecce homo!", afferma padre Cantalamessa, non si applica solo alle vittime, ma anche ai carnefici. Vuole dire: ecco di che cosa è capace l’uomo! E ricorda i tanti cristiani perseguitati oggi come quei cristiani trucidati dalla furia dei jihadisti somali in un campus universitario del Kenya:

"Gesù disse un giorno ai suoi discepoli: 'Viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio'. Mai forse queste parole hanno trovato, nella storia, un compimento così puntuale come oggi”.

Il perdono cristiano
Ma come ai tempi delle persecuzioni dell’antica Roma la comunità cristiana ha sempre continuato a celebrare la Pasqua così, dice padre Cantalamessa, sarà per molti cristiani anche la Pasqua di questo anno, il 2015 dopo Cristo. E sottolinea: Gesú morì gridando: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” : il suo esempio propone ai discepoli una generosità infinita, commenta padre Cantalamessa che continua: ci verrebbe da dire: 'Signore, ci chiedi l’impossibile!' . Allora ci risponderebbe: Io non ho lasciato al mondo solo un insegnamento sulla misericordia, come hanno fatto tanti altri. Io sono anche Dio e ho fatto scaturire per voi dalla mia morte fiumi di misericordia. Da essi potete attingere a piene mani nell’anno giubilare della misericordia che vi sta davanti”. Cristo ha vinto il mondo, vincendo il male del mondo. Gesù ha vinto la violenza non opponendo ad essa una violenza più grande, ma inaugurando un nuovo genere di vittoria. Sant’Agostino l’ha definito: “Vincitore perché vittima”. In Gesù sulla croce si realizza il piano originario del Padre che ha comandato di “non uccidere”:

“Sul Calvario egli pronuncia un definitivo 'No!' alla violenza, opponendo ad essa, non semplicemente la non-violenza, ma, di più, il perdono, la mitezza e l’amore. Se ci sarà ancora violenza, essa non potrà più, neppure remotamente, richiamarsi a Dio e ammantarsi della sua autorità. Farlo significa far regredire l’idea di Dio a stadi primitivi e grossolani, superati dalla coscienza religiosa e civile dell’umanità”.

Pregare per tutti gli "Ecce homo" di oggi, cristiani e non cristiani
Padre Cantalamessa ricorda infine i martiri di Cristo come i 21 cristiani copti  di recente uccisi dall'Is in Libia, morti mormorando il nome di Gesú, per concludere con una preghiera:

“Signore Gesù Cristo, ti preghiamo per i nostri fratelli di fede perseguitati, e per tutti gli 'Ecce homo' che ci sono, in questo momento, sulla faccia della terra, cristiani e non cristiani. Maria, sotto la croce tu ti sei unita al Figlio e hai mormorato dietro di lui: 'Padre, perdona loro!': aiutaci a vincere il male con il bene, non solo sullo scenario grande del mondo, ma anche nella vita quotidiana, dentro le stesse mura di casa nostra”.

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Alla Veglia pasquale, preghiera per i cristiani perseguitati

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La benedizione del fuoco nell’atrio della Basilica vaticana e l’ingresso in processione col cero pasquale, mentre il coro intona l’“Exsultet”: saranno i modi di una liturgia antica a scandire come ogni anno i tempi della Veglia pasquale, che stasera Papa Francesco presiederà a partire dalle 20.30. Domani, poi, il Papa presiederà la Messa del giorno di Pasqua alle 10.30 in Piazza San Pietro e la concluderà impartendo la benedizione “Urbi et Orbi” dalla Loggia centrale della Basilica. Il servizio di Alessandro De Carolis

È l’esodo del buio verso un giorno che non avrà un’altra oscurità, la Madre di tutte le Veglie. È una tomba senza senso, un telo funebre abbandonato, una pietra sepolcrale che non trattiene più nessuno. È il prodigio di una via di salvezza che si apre in mezzo al mare e un popolo schiavo si ritrova e libero.

Dieci catecumeni
Tutto questo celebra ogni anno la liturgia nella notte di Pasqua, densa di simboli di purificazione e rinascita, fuoco e acqua. La notte per eccellenza del Battesimo e della Cresima, Sacramenti che Francesco impartirà a dieci catecumeni adulti, uomini e donne, per metà italiani e altri provenienti da Cambogia, Albania, Portogallo.

Forza a chi è perseguitato
Una Veglia al di là del tempo, solenne in ogni suo attimo, in cui il canto esprime la gioia della Chiesa ed esulta con il coro degli angeli, ma che non dimenticherà nemmeno in questa circostanza i drammi della terra, quelli lontani di chi avrà una notte di Pasqua di paura o di sacrificio. Scenari che Francesco richiama ormai senza pause e che in San Pietro costituiranno l’ossatura della Preghiera universale. “Rinvigorisci la fede nei cristiani perseguitati”, reciterà una delle intenzioni. E ancora, “benedici i governanti che cercano la pace” e “converti i cuori dei seminatori di odio”.

Settemila lumini
E a dare in certo modo calore alla speranza di queste preghiere, oltre a rendere tangibile l’evento centrale della fede cristiana, saranno i settemila lumini preparati per le persone che saranno con Francesco in Basilica a ripetere con le parole di Mosè – prestandole a chi non potrà farlo: “Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza”.

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Il card. Filoni celebra la Veglia di Pasqua tra gli sfollati iracheni

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Il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, celebra oggi la Veglia Pasquale in una tenda in un campo profughi ad Erbil, nel Kurdistan iracheno. Domani, per la Messa del giorno, si sposterà nella città di Sulejmanija. Grande è la partecipazione degli sfollati cristiani ai riti pasquali presieduti dal porporato. Lo segue in questa missione, mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq. Al microfono di Sergio Centofanti, il presule così racconta la gratitudine delle persone che incontrano l’inviato del Papa: 

R. - C’è grande riconoscenza, espressa da tanta gente, per questa visita proprio in questo momento in cui anche viviamo la settimana santa. Il cardinale incoraggia tutti a unire le loro sofferenze a quella di Cristo, dando anche un valore, facendo capire a tanti che non vanno perse. E’ stato bello, poi, quando una persona ha detto: “Noi non abbiamo nulla da dare in cambio per tutto quello che riceviamo, però possiamo dirvi grazie”. Questa era una bella testimonianza.

D. – Quali sono oggi le speranze dei cristiani in Iraq?

R. – Beh, ovviamente, qui tutti sperano di tornare a casa il più presto possibile. Stamattina siamo stati a vedere il presidente della regione del Kurdistan, il quale ha assicurato che stanno facendo il possibile anche per accelerare la possibilità del ritorno a casa. Il cardinale ha espresso anche la gratitudine per quello che si sta facendo sia a livello umanitario sia a livello politico per trovare una soluzione a questa tragedia.

D. - I jihadisti dell’Is stanno indietreggiando…

R. - Sembra che si siano ridimensionati un po’, in Iraq almeno.

D. – Com’è possibile che non si riesca a fare qualcosa di concreto, di forte per fermarli?

R. - Questa è una domanda che sorpassa le mie conoscenze, le mie competenze... Certo, è una domanda seria che molti si pongono ma a cui purtroppo non so dare una risposta.

D. - Come vede oggi l’Iraq lei che è nunzio apostolico?

R. - Lo vedo senz’altro in un momento molto delicato, direi anche molto importante. E credo che questa crisi abbia messo in luce problemi come la divisione settaria, che devono essere risolti se si vuole avere un futuro di pace per tutti.

D. - Ieri avete celebrato la Via Crucis, sempre tra i profughi cristiani in Kurdistan: l’Iraq sta continuando a vivere questa Via Crucis…

R. – Eh, infatti, sì. Il cardinale Filoni, infatti, incontrando soprattutto le autorità, dice che lui non ha fatto il tour dei rifugiati, ma ha fatto un pellegrinaggio: era per noi vivere queste tappe della Via Crucis e stare con questi fratelli che si identificano col Cristo sofferente.

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L'Ora della Madre. Padre Toniolo: Cristo riposa in Maria

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Oggi, Sabato Santo, alle 10.30, nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, si è svolta — come da più di 25 anni — «L'Ora della Madre»: una speciale cele­brazione mariana che intende proporre e far rivi­vere il dolore e la fede di Maria nell'attesa della Risurrezione del Signore. A presiedere il rito, il cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete della Basilica papale. Sul significato di questa preghiera mariana e del Sabato Santo, Michele Raviart ha intervistato padre Ermanno Toniolo dell’Ordine dei Servi di Maria, tra gli organizzatori dell’evento: 

R. - Questo è il cardine di tutti i sabati, perché è il sabato non tanto del dolore - è anche questo - ma della fede della Vergine, la fede indubitata. Mentre accanto a lei, dopo la morte di Gesù e la sua sepoltura, la fede era scomparsa o almeno sepolta, nel cuore della Madre – invece - si alzava sempre più alta, tanto che i nostri antichi autori latini potevano dire che “Cristo riposava in Maria”. Tutta la Chiesa stette in quel giorno in Maria perché, nel grande sabato quando Gesù giaceva nel sepolcro, forte unicamente della fede della speranza e sola fra tutti i discepoli, Maria, la Madre, attese vigile la Resurrezione del Signore.

D. - Sabato Santo è il giorno dell’assenza fisica di Gesù; è il giorno del silenzio …

R. – Io penso che sia importantissimo immergerci nel cuore della Madonna perché è lei che ha atteso; e mentre le altre donne potevano chiacchierare mentre preparavano e pestavano i profumi per imbalsamare il corpo del Signore, lei si era raccolta in un silenzio profondo. È un sabato - per così dire - non di silenzi inutili, ma un sabato che ci sprofonda nel Mistero dei Misteri. Quindi il Sabato Santo è - possiamo dire - un costitutivo altissimo della fede cristiana e tutti ci raccogliamo nel cuore della Madre: la Madre della nostra  fede, non di una fede qualunque. La Madre della fede in Colui che da lei è nato, per noi è morto, per noi sta per risorgere. Lei sola ne è certa. E lo attende indubitata.

D. – In Maria c’è la fede di tutta la Chiesa, in lei si raccolgono tutte le speranze del mondo. Quali sono queste speranze oggi?

R. – Se noi guardiamo, in un momento tragico, in cui i cristiani vengono perseguitati e uccisi, in cui il mondo si allontana dal Signore, ecco che noi abbiamo bisogno di raccoglierci con Maria in una certezza di speranza. Perché nessuna speranza può essere data al mondo se non quella di Colui che è morto e risorto e quella della Chiesa, che nasce dal suo costato aperto, ma non senza il pianto e la preghiera della Madre.

D. – L’Ora della Madre si celebra a Santa Maria Maggiore, una chiesa molto cara a Papa Francesco …

R. – Sì! Papa Francesco parla molto della tenerezza della Madonna, si immerge molto nel suo dolore. Ne ha parlato nell’Evangelii Gaudium, ne ha parlato in tante sue omelie … É teneramente legato alla Vergine Maria e a Santa Maria Maggiore, dove si reca sempre prima e dopo qualunque suo pellegrinaggio impegnativo. Ecco, allora Santa Maria Maggiore diventa quasi un punto di raccolta o, se vogliamo, un appuntamento. Magari venisse anche il Papa per dare quasi l’immagine visiva a tutta la chiesa cattolica di questa tenerezza d’amore che non soltanto è nostra, filiale, ma che è della Madre per tutti e per ciascuno di noi, soprattutto per i più sofferenti, i più perseguitati, i più bisognosi.

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Nel Venerdì Santo il dono del Papa ai poveri di Roma

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Per il secondo anno consecutivo, ieri sera, negli stessi momenti in cui si stava svolgendo la Via Crucis, l’elemosiniere del Papa, mons. Konrad Krajewski e il capo ufficio, mons. Diego Ravelli, hanno portato ai poveri di Roma un segno di vicinanza da parte del Santo Padre. Ce ne parla Benedetta Capelli: 

Gli occhi del mondo sono sul Colosseo, sulla Croce illuminata dalle fiaccole, per la Via Crucis nel Venerdì Santo del Signore. Ma a Roma c’è anche il buio delle sue stazioni, rifugi e dormitori di tanti poveri soli. Papa Francesco lo sa e infatti non li dimentica. Come l’anno scorso, nella stessa ora in cui si ricorda la Passione del Signore, mons. Krajewski e mons. Ravelli portano a circa 300 uomini e donne il pensiero del Santo Padre. “Una piccola carezza”: dicono, consegnando le buste nelle quali c’è un biglietto di auguri pasquali, l’immagine del Papa e una somma di denaro. La gioia è fatta di sorpresa, di commozione, di euforia. In molti baciano la foto di Francesco, chiedono di ringraziarlo personalmente, altri sono stupiti del suo pensiero e corrono da chi non ha ancora ricevuto il dono per informarli del regalo del Papa. Altri ancora nascondono la somma sotto la camicia, per custodire il prezioso tesoro. In tutte le più grandi stazioni di Roma e vicino San Pietro la stessa scena fino a mezzanotte e mezza quando l’auto dell’Elemosinerie rientra in Vaticano. “Seguendo Cristo sulla via della carità noi seminiamo speranza”: mai le parole di Papa Francesco, in questa notte, risuonano così vere.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Silenzio complice: al termine della Via crucis al Colosseo il Papa prega per i cristiani perseguitati sotto gli occhi indifferenti del mondo.

I più perseguitati: stampa internazionale ed eccidio dei cristiani.

Come nel giardino del Cantico dei cantici: Marida Nicolaci sul dialogo tra Gesù e la Maddalena davanti al sepolcro vuoto.

L'ultimo ritorno: Marco Beck sulla croce di Odisseo.

Prodigi della staticità: Emilio Ranzato ricorda il regista portoghese Manoel De Oliveira, scomparso all'età di 106 anni.

Trafitto il velo della notte: l'ambasciatore di Romania presso la Santa Sede, Bogdan Tataru-Cazaban, sulla Resurrezione secondo Matthias Grunewald.

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Oggi in Primo Piano



Al Shabaab minaccia il Kenya. Pozzi: popolazione sconcertata

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Dopo l’arresto di cinque persone per la strage all’università di Garissa, in Kenya, condannata anche da Papa Francesco, i miliziani somali di al Shabaab tornano oggi a minacciare il Paese di un nuovo “bagno di sangue”. Intanto, l'ulitmo bilancio dell’attacco di giovedì scorso è di 148 morti, una settantina di feriti e circa 300 studenti dispersi. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, promette che visiterà il Kenya il prossimo luglio. Per parlare del clima nel Paese alla vigilia di Pasqua, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente a Nairobi Anna Pozzi, giornalista di "Mondo e missione": 

R. – Qui, a Nairobi, tutti parlano dell’orribile strage di Garissa, anche se Nairobi è molto lontana non solo geograficamente da Garissa, ma è proprio un mondo a sé rispetto al resto del Kenya. Però, chiaramente tutti i giornali, le televisioni non parlano d’altro, anche la gente. Da un lato c’è molto sconcerto e dall’altro la difficoltà a capire quello che è successo, perché è tutto troppo orribile. Poi, arrivano le testimonianze dei ragazzi sopravvissuti: ieri sono arrivati i corpi di quelli che sono morti… Anche se la città sembra che vada avanti alla velocità della luce, comunque tutto ciò sta permeando anche questa vigilia di Pasqua.

D. – Oggi, i miliziani di al Shabaab sono tornati a minacciare il Kenya. Come sta vivendo questi momenti la comunità cristiana locale?

R. – Ieri, alla Via Crucis c’era moltissima gente. Io sono stata a una di quelle che si sono svolte in un quartiere periferico e popolare di Nairobi e non c’era nessun segno d’insicurezza, di paura. C’era veramente tantissima partecipazione, una voglia di normalità e di poter vivere questo Triduo pasquale nonostante tutto.

D. – Da più parti è stato detto che l’attacco non giungeva inaspettato, molte erano state le minacce. Si poteva fare qualcosa di più sul fronte sicurezza?

R. – Molti sono estremamente polemici con il governo, perché c’erano state delle minacce e minacce specifiche su Garissa. Il presidente proprio pochi giorni fa si era scagliato contro il provvedimento del governo britannico di sconsigliare ai propri cittadini di venire in Kenya. La gente pensa che il governo non stia facendo abbastanza e soprattutto molti sono convinti che questo sia la conseguenza dell’impegno dei militari keniani in Somalia.

D. – La comunità musulmana del Kenya ha condannato fortemente l’attentato…

R. – Certamente questa presa di posizione è importante, perché quello che è successo nei giorni scorsi, e quello che era già successo in passato, non deve diventare anche il pretesto per approfondire le divisioni tra le comunità religiose o creare delle occasioni di odio e di scontro. Ieri mattina sono andata nella seconda più grande moschea di Nairobi e la persona che ci ha fatto entrare e che ci ha accompagnato durante la visita quando ho accennato agli eventi di Garissa era molto rattristata e quasi si scusava e diceva: “Ma quella non è la nostra religione. Noi non siamo terroristi, la nostra è una religione di pace”. Era molto provata da questo evento così drammatico in cui non si riconosceva assolutamente.

D. – Il bilancio dell’attacco a Garissa è di 148 morti, ma ci sono anche 300 studenti di cui non si hanno più notizie…

R. – Non so se ci siano altri morti o se ci siano altre notizie. Per il momento, mi sembra che questi siano i dati ufficiali che vengono comunicati anche qui. C’è uno sconcerto incredibile per questa strage, la gente fa davvero fatica a capire se abbia un senso uccidere degli studenti, degli innocenti… E' davvero una cosa che ha colpito molto.

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Al Qaeda scioglie cellule locali. l'Is alle porte di Damasco

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Sciogliere al Qaeda entro un anno e consentire alle cellule locali di confluire nelle altre organizzazioni jihadiste, compreso il cosiddetto Stato slamico (Is). Secondo alcune fonti del quotidiano panarabo Al Hayat, sarebbero queste le intensioni di al Zawahri, erede di Bin Laden e attuale leader della rete del terrore. Intanto, al Qaeda avanza in alcune province dello Yemen, mentre jihadisti dell’Is e del Fronte al Nusra hanno preso il controllo del campo profughi di Yarmouk, alla periferia di Damasco. Il servizio di Marco Guerra

Un ex membro di al Qaeda ha detto di aver sentito da un gruppo jihadista siriano che il capo della rete terrorista fondata da Bin Laden, l'egiziano Ayman al Zawahri, lascerebbe libere le branche in ogni Paese, compreso il Fronte al Nusra in Siria, di slegarsi dall'organizzazione e “fondersi con altri movimenti jihadisti”. Sempre secondo la stessa fonte, sentita dal quotidiano panarabo con sede a Londra, Al Hayat, "vi sarebbe un piano che può portare allo scioglimento di Al Qaeda entro quest'anno", in concomitanza con il ritiro al Zawahri. Se confermata, la notizia avrebbe un grande impatto sugli assetti mondiali del terrorismo islamico, in un momento in cui il mondo arabo è scosso da diverse guerre di matrice settaria e religiosa. Al Qaeda è un movimento islamista sunnita di ispirazione wahabita, nato nel 1989 alla fine della guerra in Afghanistan e divenuto tristemente noto a seguito degli attacchi dell’11settembre 2001. Molto più giovane è il sedicente Stato islamico, nato nel 2006 in Iraq e consolidatosi dopo il 2011 in Siria, nella guerra contro Bashar al-Assad. Fra i motivi della decisione di al Zawahri potrebbe esserci la proclamazione del "califfato" tra Iraq e Siria e la capillare diffusione dell’Is in Libia, Nigeria, Yemen, Sudan ed  Egitto. E intanto è ancora allarme per i 'foreign fighter' reclutati dallo Stato Islamico in Occidente. Sarebbero addirittura circa duemila quelli britannici.

Ma quali scenario potrebbe aprirsi con la confluenza delle due maggiori sigle del terrorismo islamico? Sentiamo Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto affari internazionali: 

R. – Io prima di tutto prenderei queste voci con le molle, perché la fonte non è del tutto attendibile e perché finora le indicazioni di al Qaeda erano piuttosto di segno opposto. Tuttavia, se questo dovesse avvenire ciò significherebbe evidentemente un successo per l’Is, che potrebbe essere rafforzato in un momento non buonissimo, in cui sta piuttosto arretrando, e quindi dare un certo incoraggiamento ai terroristi. Sul campo non dovrebbe cambiare molto, perché comunque sia i gruppi qaedisti che i gruppi dell’Is sono entrambi impegnati contro i nostri interessi.

D. – In questi anni, lo Stato islamico ha scalzato al Qaeda sia sul terreno che dall’immaginario collettivo della opinione pubblica internazionale. Perché?

R. – Ha lanciato questa offensiva sul terreno e quindi, come tale, ha attirato molta più gente. Al Qaeda è un gruppo molto ristretto, in un certo senso più elitario, e ha un obiettivo diverso da quello dell’Is: ritiene che i suoi nemici siano essenzialmente in Occidente, mentre l’Is punta in primo luogo a destabilizzare i governi locali e a tentare di prendere il potere in loco. E’ chiaro, quindi, che è più facile per l’Is allearsi con interessi locali di quanto non sia per al Qaeda. Questa è praticamente, secondo me, la ragione principale del successo.

D. – Prima Bin Laden, poi al-Zawahiri: ora, se volessimo individuare un leader del terrorismo di matrice islamica, chi potremmo indicare? Il califfo al Baghdadi?

R. – Sì, lui è sicuramente un leader, ma ne esistono molti altri. La realtà è che questo movimento non è un movimento unitario. Anche quando parliamo di cellule dell’Is, di gente che si riconosce nell’Is, continuiamo a parlare di un mondo estremamente frammentario, in cui i leader sono leader nazionali in ognuno dei diversi Paesi o delle diverse situazioni. Per cui, per quanto al Baghdadi tenti di presentarsi come il califfo, e quindi il comandante supremo delle forze islamiche, non mi pare che faccia altro che accettare e sostenere iniziative che sono decise autonomamente da quelli che dovrebbero essere i suoi luogotenenti. Non credo che abbiamo in questo momento una vera e propria leadership.

D. – Al Qaeda, però, in questi giorni avanza nello Yemen. L’organizzazione fondata da Bin Laden ha ancora qualche agibilità in alcuni Paesi arabi…

R. – Sì, sì, certamente. Esiste ancora in moltissimi Paesi: in Siria, in Yemen, in quasi tutti. Molto spesso noi abbiamo assistito a queste creazioni di cellule Is perché si sono spaccati dei gruppi ex al Qaeda e hanno stabilito due gruppi separati. E’ una lotta per il potere all’interno del mondo terroristico o all’interno dei vari raggruppamenti.

D. – Possiamo dire che forse è quasi un’evoluzione del terrorismo di matrice islamica questo passaggio tra al Qaeda e Stato islamico...

R. – E’ uno dei possibili sviluppi. Diciamo che lo Stato islamico porta il terrorismo sul campo e quindi, come tale, cerca di fissarlo sul terreno, di conquistare città, Paesi e così via, e in un certo senso lo rende molto più vulnerabile, ma non solo: lo schiera contro altri interessi, forze islamiche anch’esse, anche se non terroristiche. Quindi, questa era la grande critica di al Qaeda: questo tipo di azione spacca il mondo musulmano, non il mondo nemico dei musulmani. Quindi, come tale, è un indebolimento nel complesso del mondo musulmano e non un suo rafforzamento. Nella sostanza, queste due posizioni, sia che al Qaeda rimanga in vita sia che si sciolga, resteranno sicuramente sul campo.

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Onu: Giornata contro le mine, servono sostegno politico e fondi

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“Sostegno politico e contributi finanziari” da parte di tutti gli Stati membri. Li chiede il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nel messaggio in occasione dell’odierna Giornata internazionale per la sensibilizzazione sulle mine e l’assistenza nell’azione contro tali ordigni. Secondo il ‘Landmines & Cluster Munition Monitor’, nel 2013 il numero delle vittime causate da mine, cluster bomb e altri ordigni inesplosi ha raggiunto il livello più basso dal 1999, grazie anche all’effetto positivo del Trattato di Ottawa, siglato due anni prima. Lo conferma Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell‘Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, intervistato da Giada Aquilino

R. – Un miglioramento della situazione internazionale c’è stato. Intanto, stanno nel tempo aderendo al Trattato di Ottawa, firmato ormai da oltre 15 anni, numerosi Paesi: oggi siamo arrivati a 162 Stati aderenti. E quelli che ancora non hanno aderito comunque hanno firmato moratorie in materia di esportazione di mine antiuomo. Questi Paesi sono Cina, Corea del Sud, Stati Uniti, India, Israele, Kazakhstan, Pakistan, Russa, Singapore, che comunque hanno preso una posizione significativa. Praticamente oggi possiamo dire che la produzione di mine antiuomo rimane solamente presso quattro Paesi: Corea del Sud, India, Myanmar e Pakistan. Un altro elemento significativo è che anche le vittime delle mine antiuomo – che, ricordiamo, sono armi che continuano a uccidere pure decenni dopo la conclusione di un conflitto perché rimangono lì, nascoste, seppellite sotto terra o tra l’erba – secondo gli ultimi dati del 2013 sono notevolmente in riduzione: poco più di 3.300 vittime rispetto alle 4.300 del 2012. Teniamo presente che poi la maggior parte delle vittime sono civili: ad oggi i dati ci dicono che praticamente 4/5 sono vittime civili, di cui i minori sono quasi la metà. Rimangono ancora alcune situazioni in cui queste armi vengono usate: si hanno notizie riguardanti Siria e Myanmar, Ucraina - anche da parte delle forze separatiste filorusse, non solo quelle governative – e poi gruppi ribelli le hanno usate in Afghanistan, in Colombia, in Libia, in Pakistan, in Yemen.

D. – L’Onu, in occasione della Giornata, sottolinea come oggi la natura dei conflitti sia in un certo senso cambiata: cioè, c’è un maggiore ruolo di attori non statali che rende più complessa e pericolosa la situazione. Il riferimento può essere appunto ai vari gruppi jihadisti in azione in questo momento in Medio Oriente e non solo?

R. – Sicuramente. Queste armi vengono usate nella maggior parte dei casi proprio da gruppi irregolari, gruppi ribelli in varie aree, proprio all’interno di una logica di guerra basata sul terrorismo vero e proprio, sul conflitto di tipo non tradizionale che è oggi la caratteristica dell’instabilità di molte aree. Bisogna anche ricordare che nel 2013 sono stati distrutti ben 48 milioni di mine antiuomo e altri 9 milioni ancora devono essere distrutti in alcuni Paesi che hanno firmato il Trattato.

D. – In questo quadro, ci si chiede anche che canali si usino e che traffici illegali siano ancora in piedi…

R. – Da un lato, si tratta di armi che sono ancora prodotte da pochi Paesi, ma in altri casi molte di queste mine antiuomo sono, in realtà, ordigni artigianali. E per il fatto di essere artigianali non sono meno pericolosi di quelli fabbricati industrialmente. Addirittura, sappiamo che purtroppo tramite internet si possono ottenere informazioni e istruzioni per la realizzazione di tutti questi tipi di armi.

D. – Qual è l’impegno per i prossimi anni?

R. – Purtroppo, siamo ancora lontani dal riuscire ad arrivare a uno sminamento a livello zero. Però stiamo facendo passi notevoli, da questo punto di vista: in tale ambito, possiamo guardare positivamente al futuro.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo di Pasqua

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Nel Vangelo del giorno di Pasqua, Pietro e Giovanni, avvertiti da Maria di Magdala, corrono verso il sepolcro dove non c’è più il corpo di Gesù. Pietro entra per primo e osserva i teli posati e il sudario, che era stato sul suo capo, avvolto in un luogo a parte. Poi entra anche Giovanni: vede e crede:

“Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.

Sulla Pasqua di Risurrezione ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti: 

Bisognerebbe avere cuore e voce possente di profeta per accostarsi al vangelo di oggi e dire la forza irrompente dell’evento che ha cambiato la storia dell’uomo: “Cristo è risorto! È veramente risorto”. “Presto, andate a dire ai suoi discepoli: ‘È risorto dai morti…!’”, dice l’angelo alle donne. Ed esse “corrono”. E da allora è la Chiesa tutta che corre per il mondo a portare questa notizia così radicale per l’uomo. «Dio non si “rassegna” alla morte dell’uomo. Cristo è venuto nel mondo per convincerlo di questo – ci ha detto S. Giovanni Paolo II –, Cristo è morto sulla croce ed è stato deposto nel sepolcro, per rendere testimonianza proprio a questo fatto; Dio non si “rassegna” alla morte dell’uomo! …In Cristo la morte è stata sfidata. Cristo con la sua morte ha vinto la morte. Ecco il giorno fatto dal Signore. Questo è il giorno della grande riscossa di Dio: della riscossa contro la morte. L’uomo si rassegna alla morte? O è invece disposto a farsi partecipe della grande riscossa di Dio? L’uomo si rassegna alla morte, quando aspira soltanto alle cose della terra… L’uomo si rassegna purtroppo alla morte e non soltanto l’accetta, ma anche l’infligge… L’uomo non solo si rassegna alla morte, ma ha fatto di essa non di rado il metodo della sua esistenza sulla terra… – E il Papa concludeva chiedendosi: È disposto l’uomo d’oggi a farsi partecipe della grande riscossa di Dio contro la morte?» (S. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Pasqua del 1986). E tu, che oggi ascolti questo vangelo, perché sei rassegnato e cerchi Gesù tra i morti, in una religiosità che non può dare la vita? È vivo il Signore, invoca il suo nome, ti risponderà, non sarai deluso.

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Nella Chiesa e nel mondo



Asia Bibi: chiedo a Francesco preghiera per la pace e per me

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Asia Bibi, la giovane donna pakistana condannata a morte per presunta blasfemia, ha affidato a suo marito e al suo avvocato un messaggio in occasione della Pasqua, riportato da  "Vatican Insider". “Nella Pasqua, Gesù Cristo ci dà un esempio di pace e di perdono. Tutti dobbiamo imparare dall'insegnamento e dal sacrificio del Cristo, messo in croce per noi e che – ha detto – ha perdonato tutti coloro che gli hanno fatto del male. In questo giorno speciale, chiedo ai cristiani in Pakistan di vivere e pregare per la pace”.

"Una preghiera per il mondo e per me"
Mostrando preoccupazione per gli attentanti contro la Chiesa, Asia Bibi ha anche rivolto un pensiero a Papa Francesco: “Chiedo al Papa di fare una preghiera speciale per la pace nel mondo e per me”. Intanto, la mobilitazione internazionale sul suo caso continua: a Parigi, il consiglio municipale ha votato all'unanimità la proposta del sindaco, Anne Hidalgo, di conferire alla mamma pakistana la cittadinanza parigina onoraria.

Parigi, petizione on line per Asia Bibi
Un grande ritratto di Asia campeggia oggi sulla facciata della Mairie centrale, il Municipio parigino e resterà lì fino al momento della auspicata liberazione. Ha superato poi il mezzo milione di firme la petizione on-line promossa da una studentessa universitaria inglese per salvare Asia Bibi e indirizzata al Primo Ministro britannico David Cameron. La petizione, che si trova sul sito web www.change.org, ha registrato un boom di adesioni in pochi mesi. La condanna a morte per Asia Bibi è stata confermata il 16 ottobre 2014 dall’Alta Corte di Lahore. Il suo caso è divenuto un simbolo della lotta contro la controversa legge sulla blasfemia in Pakistan, usata spesso per vendette personali e per colpire le minoranze religiose. Attualmente, in Pakistan vi sono circa ottomila detenuti nel braccio della morte, in attesa di esecuzione. Per circa mille di questi il presidente del Pakistan ha già respinto la domanda di grazia, ultimo passo prima della morte. (B.C.) 

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Negli Usa appello dei vescovi dell’Indiana per la libertà religiosa

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I vescovi cattolici dello Stato dell’Indiana, negli Stati Uniti, invocano dialogo e buon senso in merito alle polemiche scaturite dal "Religious Freedom Restoration Act": la legge prima approvata dal Congresso e poi rinviata dal governatore Mike Pence per alcuni emendamenti. La norma che intende regolare la libertà religiosa nello Stato – riferisce l’Osservatore Romano – è stata contestata da diverse associazioni a difesa degli omosessuali perché ritenuta discriminatoria

Un diritto "tra i più cari"
Nel documento dei presuli si mette in luce come l’approvazione abbia diviso le persone, da qui l’appello per un dialogo rispettoso in modo che “nessuno in Indiana debba affrontare la discriminazione, per l’orientamento sessuale o perché vive una fede religiosa”. I vescovi ricordano che ogni uomo è immagine di Dio e pertanto merita di essere trattato con rispetto e dignità anche in ambiti come il lavoro, l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Si ricorda anche che “la libertà religiosa è uno dei diritti più cari nella Costituzione degli Stati Uniti” e i diritti di uno non devono essere usati per negare quelli degli altri.

No a un indebito peso
In conclusione, i vescovi dell’Indiana affermano di volere sostenere “gli sforzi per difendere la dignità che Dio ha dato a tutto il popolo dello Stato, salvaguardando i diritti delle persone di tutte le fedi a praticare la loro religione senza indebito peso da parte del governo”. Nel frattempo, di fronte alle polemiche e soprattutto all’alzata di scudi di alcune aziende che si sono schierate pubblicamente con i contestatari, il governatore dell’Indiana ha corretto il tiro rigettando la legge così come formulata e rimandandola al Congresso affinché venga corretta. (B.C.)

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La preghiera di Pasqua del card. Rivera Carrera

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Allontanarsi dai falsi idoli come la violenza, la corruzione e la sete di potere. E’ la preghiera che il cardinale Norberto Rivera Carrera, arcivescovo di Città del Messico, ha levato nel corso dell’omelia della messa dello scorso Giovedì Santo in cui ha chiesto ai fedeli, e in particolare ai sacerdoti, di unirsi in preghiera per rispondere “alle gravi sfide che presenta una società sempre più frammentata e relativista”.

Messico e schiavitù
Come riporta l’Osservatore Romano, il porporato è tornato a denunciare la grave situazione sociale del Paese, in cui vaste aree si trovano a subire la schiavitù del crimine organizzato in zone povere. “Ci sono migliaia di persone — ha detto — che muoiono a seguito della violenza più folle e diabolica, tante famiglie spezzate, tanto disprezzo per la dignità della persona umana. E tutto ciò a causa della smisurata ambizione di ricchezza e di potere”. Il cardinale Rivera Carrera ha ricordato che la corruzione è la schiavitù più insidiosa.

In difesa della famiglia
Poi, pensando al prossimo Sinodo sulla famiglia, ha affermato che bisogna “offrire proposte concrete” per difenderla dalle sfide più grandi come l’aborto o le unioni di persone dello stesso sesso. Infine, un pensiero per i cristiani perseguitati, “la cui unica colpa è quella di credere in Gesù e non rinnegarlo”. (B.C) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 94

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.