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Sommario del 03/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa sulla strage in Kenya: atto brutale e insensato

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“Un atto di brutalità insensata”: così Papa Francesco definisce la strage compiuta ieri all’Università di Garissa, in Kenya: 147 finora i morti, barbaramente uccisi dai fondamentali somali al Shabaab. Il raid delle forze dell'ordine ha liberato 500 sequestrati ma mancano all'appello oltre 200 persone. Presi di mira in particolare gli studenti cristiani. Il Papa, esprimendo il suo profondo dolore per questa “immensa e tragica perdita di vite”, prega “per una conversione del cuore” degli attentatori e invita tutti a raddoppiare gli sforzi per porre fine alla violenza e accelerare l'alba di una nuova era di fratellanza, giustizia e pace”. Forte la condanna della comunità internazionale. Da più parti si chiede un intervento dell’Onu. Severe le misure di sicurezza adottate per evitare altri atti del genere. Sui motivi di quanto successo, Giancarlo La Vella ha intervistato padre Carmine Curci, direttore dell’agenzia missionaria internazionale Misna: 

R. – E’ dal 2011 che il Kenya è fortemente impegnato in Somalia per combattere gli al-Shabaab. In questi anni, di questi atti terroristici ne abbiamo visti tanti in Kenya, compiuti da questo gruppo…

D. – Dobbiamo considerare questo gruppo un movimento a sé stante oppure uno dei tanti aspetti del Califfato, che si sta muovendo in altre parti sia dell’Africa che del Medio Oriente?

R. – Ritengo che al-Shabaab – come Boko Haram, come lo Stato Islamico – porti avanti un’idea dell’Islam violento. Sappiamo già che ci sono contatti tra i vari gruppi ed è quindi evidente che esiste una strategia comune per creare grande tensione, soprattutto in determinate aree.

D. – Avete avuto contatti con la comunità cristiana di Garissa?

R. – Sì, abbiamo sentito il vescovo coadiutore di Garissa, mons. Joseph Alessandro, che ci ha detto che la situazione è effettivamente ancora di grande tensione. Ricordiamo che l’università ospita 800 studenti e in questo momento solo 560-570 risultano vivi: ne mancano quindi all’appello ancora circa 200-250. Fino a questa mattina i morti certi erano 147… Non escludono che si possa arrivare anche a 200-220. Perché l’università? Perché nell’università di Garissa la maggioranza degli studenti non è della zona, sono studenti che arrivano da varie parti del Kenya: quindi questo attacco sembra essere un messaggio a tutto il Kenya.

D. – C’è timore nella comunità cristiana locale?

R. – Sicuramente, soprattutto perché sono circolate delle voci – subito dopo – che sostenevano che i primi ad essere stati uccisi sono stati proprio i cristiani. La tensione si sta alzando e sta aumentando. I pastori e i  vescovi stanno chiedendo al governo di adottare delle misure in difesa non solo dei luoghi, ma anche della gente cristiana. La tensione continuerà, soprattutto nelle prossime settimane.

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Il Papa ai detenuti di Rebibbia: Gesù ci ama senza limiti

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E’ la forte commozione che ha segnato la Messa in Coena Domini, inizio del Triduo pasquale, che il Papa ha celebrato nel carcere romano di Rebibbia, dove ha lavato e baciato i piedi a 12 detenuti, sei uomini e sei donne, tra stranieri e italiani. Francesco si è inginocchiato davanti a loro, dopo aver parlato a braccio ai trecento presenti nella chiesa “Padre Nostro” della casa circondariale Nuovo Complesso, e dopo essere stato a lungo salutato da centinaia di persone che lo attendevano nel cortile. Servizio di Francesca Sabatinelli

“Gesù ci amò, Gesù ci ama, ma senza limite, fino alla fine, al punto di dare la vita per noi, per ognuno di noi”. Parla così Francesco, mentre i suoi  occhi scrutano la platea, incrociano lo sguardo di chi ha il volto segnato dalla sofferenza, ma anche dalla durezza, e che si illumina e si ammorbidisce, si commuove fino alle lacrime, alla vista del Papa e all’ascolto delle sue parole. A questi uomini e donne, la cui vita è circondata da sbarre, Francesco ricorda che l’amore di Gesù non delude mai:

"L’amore di Gesù per noi non ha limiti: sempre e di più, sempre e di più. Non si stanca di amare nessuno. Ama tutti noi, al punto di dare la vita per noi: sì, dare la vita per noi; sì, dare la vita per tutti noi, dare la vita per ognuno di noi e ognuno di noi può dire: 'Dare la vita per me', ognuno. Ha dato la vita per te, per te, per te, per me, per lui … per ognuno, con nome e cognome. E il suo amore è così: personale. L’amore di Gesù non delude mai, perché Lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci … Questa è la prima cosa che volevo dirvi: Gesù ci ha amato, ognuno di noi, fino alla fine".

E poi, in questo giovedì in cui Gesù è a tavola con i discepoli, fa ciò che loro non capiscono, lavare i piedi, un’abitudine a quel tempo per chi arrivava in una casa con i piedi sporchi della polvere, ma a farlo erano gli schiavi non i padroni di casa:

"…non c’erano i sampietrini, in quel tempo, no? Era la polvere del cammino. E all’entrata della casa, gli si lavavano i piedi. Ma questo non lo faceva il padrone di casa: lo facevano gli schiavi. Era lavoro di schiavi. E Gesù lava come schiavo i nostri piedi, i piedi dei discepoli, e per questo dice: 'Questo che io faccio, tu ora non lo capisci – dice a Pietro – lo capirai dopo'. Gesù, è tanto il suo amore che si è fatto schiavo per servirci, per guarirci, per pulirci. E oggi, in questa Messa, la Chiesa vuole che il sacerdote lavi i piedi di dodici persone, in memoria dei Dodici Apostoli. Ma nel cuore nostro, dobbiamo avere la certezza, dobbiamo essere sicuri che il Signore, quando ci lava i piedi, ci lava tutto, ci purifica, ci fa sentire un’altra volta il suo amore".

“Nella Bibbia - prosegue il Papa - c’è una frase, nel profeta Isaia, tanto bella: 'ma può una mamma dimenticarsi di un suo figlio? Se una mamma si dimenticasse del suo figlio, io mai mi dimenticherò di te'. Così è l'amore di Dio per noi". E prima di inginocchiarsi di fronte ai 12 detenuti per lavare loro i piedi, è Francesco a rivolgere una richiesta ai presenti:

"E io laverò, oggi, i piedi di dodici di voi, ma in questi fratelli e sorelle siete tutti voi: tutti, tutti. Tutti quelli che abitano qui. Voi rappresentate loro. Ma anche io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo pregate durante questa Messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù".

La commozione segna il viso di chi è tra i banchi, è visibile su quello di chi attende che Francesco inizi il rito, e poi il Papa si inginocchia, ai piedi di sei uomini e sei donne, di varie nazionalità, e lava e bacia loro i piedi, anche quelli di un bimbo in braccio alla sua mamma. Nel cortile sono in centinaia ad ascoltare la cerimonia, sono loro che hanno accolto per primi il Papa al suo arrivo,  detenuti, volontari, agenti penitenziari, impiegati, rimasti fuori dalla chiesa. Lo salutano, intrecciano le loro dita con le sue, lo baciano, e lui, Francesco, con il suo sorriso aperto e anche emozionato, li ricambia, ringraziandoli per “l’accoglienza tanto calorosa e sentita”, benedicendo  rosari e fotografie, anche di chi non c’è più, come il detenuto morto suicida solo pochi giorni fa, e che il cappellano del carcere don Sandro Spriano, ricorda durante la Messa. Alla fine della celebrazione, il forte abbraccio del Papa a tutti i presenti e il lungo applauso che lo accompagna sino all’uscita.

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I detenuti: Francesco tra di noi, segnale di speranza

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E’ ancora forte l'emozione per la visita di Papa Francesco a Rebibbia e gli ospiti della Casa di reclusione romana continuano a parlarne e a rievocare i momenti più belli. Il ringraziamento per quell’abbraccio che il Santo Padre ha voluto riservargli continua attraverso diverse forme e testimonianze. Il servizio di Davide Dionisi

“Io laverò oggi i piedi di dodici di voi, ma in questi fratelli e sorelle siete tutti voi. Tutti quelli che abitano qui”. Le parole e l’abbraccio di Papa Francesco agli ospiti del carcere di Rebibbia hanno suscitato grande commozione. Le sue parole di speranza hanno toccato il cuore e riportato l’attenzione sui valori della persona. Ma come è stato preparato questo straordinario evento? Ce lo ha spiegato uno dei cappellani dell’Istituto di pena romano,  padre Moreno Versolato:

“L’abbiamo preparato come si fa in ogni casa: quindi abbiamo fatto le ‘pulizie di primavera’. Abbiamo risistemato la chiesa, l’area antistante alla chiesa, e lo abbiamo fatto assieme ai detenuti, assieme anche agli agenti di Polizia Penitenziaria. Tutti si sono mobilitati per rendere più bella la ‘casa’, perché di fatto anche questa è una casa. Ci siamo impegnati anche con la predicazione e quindi preparando l’evento proprio nelle celebrazioni eucaristiche nei vari reparti e spiegando ai detenuti, che avrebbero partecipato all’Eucaristia, l’importanza di questo segno che il Papa sarebbe venuto a fare proprio nel Giovedì Santo, nel ricordo di quel grande momento in cui Gesù si è messo ai piedi dei suoi discepoli. Il Papa ci ricorda proprio che chi è più grande deve diventare più piccolo”.

Al termine della cerimonia la gioia di suor Lucia, delle Figlie della Croce, volontaria a Rebibbia:

R. - La presenza del Papa è stata grande. Mi sono resa conto come abbia toccato il cuore di tante persone, già in preparazione a questo incontro.

D. – Quali le emozioni provate, a questo punto?

R. - Emozioni grandi, grandi! Ma soprattutto io ho visto queste mamme, queste donne, che hanno voluto essere qui presenti. E mi sembra molto bello questo aver incontrato e portato qui al circondariale sia le donne che gli uomini, in questo abbraccio in fondo di comunione, perché l’Eucaristia che abbiamo celebrato è proprio il momento più grande della comunione con Dio Padre e con i fratelli. 

Una selezione di detenuti ha scelto di indossare il camice, per prestare servizio durante la liturgia presieduta dal Santo Padre. La loro testimonianza e la loro commozione:

R. – E’ un evento che abbiamo preparato da molto tempo. E’ una emozione indescrivibile, perché stare vicino ad una persona del genere non capita tutti i giorni… Quindi un magone allo stomaco indescrivibile…

R. – Pian piano, andando avanti nella Messa, ci siamo tranquillizzati un po’, ma all’inizio c’è stato un po’ di panico, sinceramente…. Ma panico interno, perché l’emozione era tanta! E’ stata tanta! Siamo veramente contenti di aver servito Messa al Papa. Non è una cosa da tutti i giorni…

D. – Cosa rappresenta la visita di un Papa all’interno di un carcere?

R. – E’ un segnale di speranza! Vuol dire che ancora qualcuno ci pensa… Qui ti senti un po’ abbandonato! Hai solo i valori della famiglia, la vicinanza della famiglia … e se ti viene a trovare il Papa, qualcosa vorrà dire!

R. – Papa Francesco pensa sempre molto ai detenuti. Ricorda sempre anche le difficoltà che ci sono qui dentro. Quindi fa piacere… Speriamo che sia un segno di speranza anche per il futuro, per la vivibilità del carcere, affinché sia migliore.

Tra i ministranti anche un detenuto che si è riavvicinato alla fede e ha ricominciato a vivere il Vangelo grazie al carcere:

R. – Tanta gioia, ti dico la verità! Tanta, tanta gioia! E poi l’emozione, perché è così semplice… E’ uno di noi! Ci abbiamo messo più di un mese per la preparare, per le autorizzazioni… Però c’è stata molto disponibilità sia da parte del comandante che di tutti gli agenti della Polizia Penitenziaria e del direttore. Vogliamo ringraziare tutti: Papa Francesco che ci è venuto e loro che ci hanno dato la possibilità di celebrare qui questa Santa Messa.

D. – Avrebbe mai immaginato di servire la Messa del Papa?

R. – Mai! Mai nella vita! Sono tre anni che ho riacquistato la fede… Ringrazio Dio! Il carcere serve e mi è servito soprattutto a riscoprire i valori della vita e la fede soprattutto.

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Papa: Croce non è una sconfitta. Stasera Via Crucis al Colosseo

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“La Croce di Cristo non è una sconfitta: la Croce è amore e misericordia”: il tweet pensato da Francesco per il Venerdì Santo introduce una giornata tradizionalmente densa di impegni per il Papa, che si concluderà come sempre stasera al Colosseo, quando alle 21.15 prenderà il via, in diretta televisiva mondovisione, il rito della Via Crucis. Guidata dalle meditazioni del vescovo emerito di Novara, Renato Corti, la folla seguirà il racconto della Passione, mentre famiglie e persone provenienti da molti dei Paesi più “caldi” del globo si alterneranno nel portare la croce. Il servizio di Alessandro De Carolis

Sono centinaia, migliaia ogni giorno a salire il Calvario, la croce che spezza le spalle e ha le sembianze di una tendopoli di stracci, perché un’orda di tagliagole ti ha costretto a scappare per via della tua fede in quella Croce. O somiglia al terrore di morire in una tomba liquida, perché il tuo calvario è un mare da attraversare su un guscio che galleggia a stento e la riva della speranza non ha un orizzonte. O è la croce di un lavoro a singhiozzo, perché la crisi che non finisce mai inchioda sul legno della precarietà te e i tuoi figli.

Famiglie e “cirenei”
La Croce che stasera passerà di mano in mano per 14 volte tra gli archi del Colosseo, su fino a raggiungere Francesco, ha queste storie incise idealmente sui suoi bracci. Quella della famiglia italiana della terza stazione, che la porterà con Rafaela e Vitor, i due figli adottati in Brasile. O del barelliere e della sorella dell’Unitalsi, i “cirenei” della quinta stazione, in compagnia di un’ammalata, persone – si udrà nella meditazione – che “portano la croce degli altri” e “lo fanno con perseveranza” perché “a motivarli è l’amore”.

La Via Crucis di Africa e Medio Oriente
Dalla sesta alla nona stazione, lo strazio di Gesù che aumenta metro dopo metro si rifletterà sui visi di due suore irachene – simbolo della pietà della Veronica – e poi di due siriani, due nigeriani, due egiziani e quindi Cristo che cade la seconda e la terza volta racconterà anche dei precipizi di violenza nei quali Medio Oriente e molta parte dell’Africa sono caduti dopo l’illusione di una nuova primavera. “Molti mi hanno ascoltato e seguito, diventando miei discepoli – si sentirà dire di sé Gesù – altri non mi hanno capito. Alcuni poi mi hanno combattuto e infine condannato. Ma in questo momento sono chiamato, più che mai, a rivelare l’amore di Dio per l’uomo”.

“Ha profumato la mia vita”
Tra le più forti della Via Crucis sono le parole scelte da mons. Renato Corti per la decima stazione, quando a sorreggere il Legno saranno due cinesi e le voci narranti evocheranno squarci di umanità orrendamente vilipesa – dai bambini soldato all’infanzia e all’adolescenza profanate – mentre si descrive di Gesù l’umiliazione del venire denudato. Fino al culmine della dodicesima stazione, con il grido dell’abbandono e il “Tutto è compiuto” e la Croce sorretta da due religiosi della Custodia di Terra Santa. Gesù ora tace e le ultime parole sono di Nicodemo, il discepolo nascosto che si è recato al sepolcro: “Ora sono qui – dice – a onorare le sue membra. Ho procurato volentieri una mistura di mirra e àloe. Ma la verità è che Egli ha fatto molto di più per me: ha profumato la mia vita”.

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Card. Filoni: gli iracheni aspettano il Papa

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Continua la visita in Iraq del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, inviato da Papa Francesco per far sentire la sua vicinanza alla popolazione irachena e in special modo ai rifugiati.  Il porporato in queste ore sta visitando tutte le diocesi del Kurdistan, dove ci sono accampamenti di profughi. Ieri sera nella cattedrale di Duhoc ha presieduto la celebrazione In Coena Domini. Ora è ad Erbil dove lo ha raggiunto telefonicamente Roberto Piermarini

R. – Ieri sera abbiamo celebrato la Messa con la comunità della diocesi di Duhoc, in una cattedrale colma di uomini e donne venuti per questa celebrazione. E’ stato un momento molto bello, perché abbiamo potuto così condividere con i rifugiati un momento di preghiera, e a dodici di loro io ho lavato i piedi. Ho illustrato proprio questo segno e i momenti dell’istituzione dell’eucaristia, del sacerdozio e del servizio alla Chiesa, e questo è stato molto bello. La gente era molto contenta e ha dato l’impressione anche di una partecipazione ad un antico rito caldeo, in aramaico, in cui sembrava quasi di sentire le stesse parole di Cristo, pronunciando le loro parole. Quindi, un momento molto bello.

D. – Si sente in Iraq, in questi giorni, con la sua presenza, la vicinanza di Papa Francesco? Che cosa dicono le persone che lei incontra?      

R. – Ovviamente le persone sanno che io vengo qui a nome di Papa Francesco. La gente più volte mi ha detto: “Siamo molto grati, perché il Papa ancora una volta ha mostrato di non essersi dimenticato di noi”. E’ una presenza, quindi, che percepiscono in questo modo. Anzi, più volte mi dicono: “Quando viene personalmente?” Questo segno, dunque, di affetto, di gratitudine, di riconoscenza. Naturalmente, anche le stesse autorità ci dicono: “Speriamo che un giorno il Papa venga”. Io ho assicurato che è nel cuore e nella mente del Papa. Quindi, questa vicinanza del Papa alle loro sofferenze, alla storia di questo momento del Paese - dell’Iraq, del Kurdistan - con la guerra, con le famiglie dei rifugiati, con i problemi che naturalmente in tutti i luoghi ci sono, e qui in modo particolare.

D. – Molti Paesi occidentali stanno facilitando le pratiche di immigrazione per le famiglie siriane ed irachene. Queste misure non rischiano di aggravare l’esodo dei cristiani della regione?

R. – Indubbiamente, questo aspetto contribuisce all’impoverimento della presenza cristiana, ma ovviamente non posso dire che sia solo questo. Io, ovunque sia andato, ho trovato rarissime persone - con le quali abbiamo avuto un dialogo - che abbiano detto che vorrebbero andar via. Sono veramente molto, molto rare. La maggior parte dice: “Noi vogliamo ritornare nei nostri villaggi; la nostra presenza qui è importante, è storica. L’unica cosa che chiediamo è di avere questa certezza di poter ritornare in sicurezza nelle nostre case”. Anche la pazienza che mostrano, dopo otto mesi, in cui sono stati cacciati via dalle loro case, questa pazienza non è legata alla speranza di andarsene, ma soprattutto alla speranza di rientrare nei loro villaggi e riprendere la loro vita. Quindi, vorrei dire che, da una parte, ovviamente, non si può non comprendere lo stato d’animo di chi forse si sente ormai stanco e non vede un futuro. Ma devo dire che la grande maggioranza, per non dire tutti quelli che ho incontrato, manifesta invece la certezza di voler rimanere qui. Da parte nostra io ho assicurato che fin quando un cristiano sarà in Iraq noi vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, staremo qui con loro. Questo naturalmente dà loro la sensazione di non essere dimenticati o comunque abbandonati e quindi di poter contare anche sulla presenza della Chiesa qui.

D. – Come celebrerà la Pasqua?

R. – Sto celebrando questi giorni nei vari villaggi e ho detto che sto facendo un pellegrinaggio tra di loro. Oggi e ieri, con loro, ho vissuto la parte del Giovedì Santo e questa sera sarò ad Erbil, dopo Duhoc. Celebrerò la notte di Pasqua nel campo dei rifugiati della diocesi di Erbil. La mattina di domenica, a mezzogiorno, celebrerò la Messa con le famiglie. La sera, rientrando, passerò per altri luoghi dove ci sono alcune famiglie di rifugiati. E’ una Pasqua, dunque, passata con loro, credo molto bella, unica e pienissima di esperienze. Devo dire, infatti, che da parte di questa gente ricevo una straordinaria testimonianza di fede ed anche di carità. Una Pasqua unica, dunque, particolare, molto bella.

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Colletta pro Terra Santa. P. Neuhaus: siamo contro ogni muro

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In tutte le parrocchie del mondo si raccoglie nel giorno del Venerdì Santo la “Colletta per la Terra Santa”, un prezioso sostegno non solo per le locali comunità cristiane. Nei Luoghi santi il tempo di Risurrezione è scandito dalla preghiera per la pace e per l’unità dei cristiani. Ed è animato dalla speranza che vengano abbattuti tutti i muri che separano i popoli. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme, padre David Neuhaus

R. - La Chiesa prega, come sempre. Oggi è Venerdì Santo e riflettiamo su nostro Signore sulla Croce. Noi vediamo che i cristiani in Terra Santa, specialmente intorno a noi, vivono questa croce in modo particolare. Preghiamo per la pace, per la giustizia e per la riconciliazione. Noi non vogliamo soffrire, ma la sofferenza è diventata parte della nostra vocazione. Soffrire con fede è anche soffrire con gioia perché siamo sul cammino del Signore.

D. - Quali eventi vissuti quest’anno in Terra Santa appartengono al cammino doloroso della Via Crucis e quali, invece, fanno scorgere il tempo della Risurrezione, il tempo della speranza?

R. - Cominciamo con la speranza. L’avvenimento più importante senza dubbio per i cristiani è stato la visita del Papa, venuto qui in una situazione di sofferenza, di guerra, di violenza. Ha lasciato chiarezza sulla nostra vocazione. Una vocazione che consiste nell’essere ponti tra i popoli. Noi siamo veramente grati al Papa. Sul cammino della Croce è sempre tanta la tentazione di perdere la speranza. Con tutta la violenza, le guerre, la continuazione dell’occupazione in Terra Santa, le prospettive di pace non sono molto buone per il futuro prossimo. Quindi, la tentazione c’è sempre. Credo che questa venga dal diavolo.

D. - Oggi, Venerdì Santo, in tutte le parrocchie del mondo si tiene la “Colletta per la Terra Santa”. Questa è l’occasione per rinsaldare il legame tra tutti i cristiani e i Luoghi santi…

R. - Noi siamo molto grati. Senza questo sostegno della Chiesa universale, noi cristiani della Terra Santa avremmo tante difficoltà per continuare la nostra missione. Forse, dobbiamo ricordare che questa Colletta non è soltanto per i cristiani, ma per la Chiesa, e la Chiesa serve tutti in Terra Santa. Quando noi pensiamo alle nostre istituzioni, gran parte dei malati che usano i nostri ospedali e dei bambini che frequentano le nostre scuole non sono cristiani, sono anche musulmani e ebrei. Quindi, la Chiesa serve tutti. Questa Colletta per la Terra Santa ha questa vocazione universale.

D. - Tra i momenti centrali di questo tempo, c’è anche la veglia pasquale che, secondo lo "status quo", a Gerusalemme si celebra sabato mattina…

R. - Secondo lo "status quo", celebriamo la Risurrezione già il sabato mattina. Questo accadrà fino a quando non si realizzerà il vero sogno del Papa: che i cristiani siano uno. E non ci sarà più bisogno di uno "status quo" perché saremo uniti dal cuore e non soltanto regolati da uno status quo.

D. - In questo tempo di Pasqua, si registra anche un’importante decisione dell’Alta corte israeliana che ha bloccato la costruzione di un tratto di muro progettato dal Ministero della difesa dello Stato ebraico nella valle di Cremisan, nei pressi di Betlemme…

R. - Giovedì Santo abbiamo ricevuto questa bellissima notizia. Dopo nove anni di battaglia legale, l’Alta corte israeliana ha accettato che questo muro crea molta più ingiustizia che sicurezza per lo Stato di Israele. Quindi, noi dobbiamo sperare che questa sia la fine di questa battaglia, che questi terreni non saranno confiscati. Questo non riguarda solo i Monasteri salesiani, ma anche i tanti cristiani che hanno proprietà in questa zona. Noi non siamo solo contro questo muro costruito lì, ma contro tutti i muri che separano i popoli. Quindi questa lotta continua, perché in questo Paese sono tanti i muri contro i quali dobbiamo lottare.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Insensata brutalità: dolore del Papa per la strage perpetrata in Kenya dai fondamentalisti islamici di Al Shabaab.

Con nome e cognome: ai detenuti di Rebibbia Papa Francesco ricorda che Gesù ha dato la vita per ogni uomo.

Un articolo di Manuel Nin dal titolo “Oggi è spremuto il grappolo venuto da Maria”: la crocefissione e la Pasqua negli inni di Efrem il Siro.

Per la redenzione dell’umanità: Abraham Skorka sull’ultima cena e l’equità sociale.

Il mendicante e il dono: José Tolentino Mendonca tesse l’elogio del silenzio.

Quel furto al salmo 31: Rossana Virgili sull’agonia di Gesù sul Golgota e il mistero dell’ora meridiana.

Alla scuola del dolore: stralci dall'introduzione al libro dell’arcivescovo Bruno Forte “La via della croce”.

Malgrado il califfo: Fabrizio Bisconti sulla Rotonda del Santo Sepolcro.

Un articolo di Matteo Coco dal titolo “Illuminata dalle fracchie”: in Puglia sulle note dello Stabat Mater.

Il predicatore della Casa Pontificia sui martiri perfetti: dall’“Ecce homo” ai cristiani perseguitati ancora oggi nel mondo.

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Oggi in Primo Piano



Nucleare iraniano, governo israeliano boccia l'accordo

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Il Consiglio di difesa israeliano ha respinto "in maniera compatta" l'intesa raggiunta ieri in Svizzera sul nucleare iraniano e che si definirà a giugno. Secondo quanto stabilito, la Repubblica islamica, che continua a festeggiare il risultato, garantisce all'Occidente in cambio del taglio delle sanzioni la riduzione delle centrifughe e delle strutture di arricchimento dell'uranio e l’apertura ai controlli. Gerusalemme però resta convinta che Teheran continuerà con la ricerca per arrivare all’atomica. Dunque, il mondo è davvero oggi più sicuro, come dicono gli Stati Uniti, o l’accordo è solo una soluzione temporanea?  Gabriella Ceraso ne ha parlato con Giorgio Alba, ricercatore ed esperto di nucleare: 

R. – Questo è un accordo politico, non è ancora un accordo tecnico e modifica completamente le prospettive future: indica una volontà politica, soprattutto da parte dell’Iran, di rinunciare ad avere un’opzione nucleare almeno per la durata dell’accordo.

D. – Guardando al programma e quindi alle centrifughe, alle modalità di arricchimento dell’uranio, sono fatti consistenti?

R. – I pericoli principali erano gli impianti segreti e le centrifughe che potevano essere costruite e attivate in strutture al di fuori dei controlli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Quindi, il limitare le centrifughe già note è un aspetto secondario rispetto all’altra parte dell’accordo che invece è molto più importante, cioè il fatto che nessun altro Paese al mondo nei prossimi dieci-quindici anni avrà un livello così elevato di ispezione. Questo significa che l’Iran per accettare un accordo di questo tipo ha messo completamente da parte gli eventuali sviluppi militari. Quindi, sarà necessario un dialogo costante negli anni e nel momento in cui gli ispettori vengono espulsi, l’Iran, in teoria, potrebbe sviluppare un programma militare come ha fatto la Corea del Nord.

D. – Secondo lei, nell’area mediorientale questo accordo quali ripercussioni avrà?

R. – Su alcune questioni, come l’Is in Iraq e in Siria, c’è uno spazio per un implicito aiuto. Su altre questioni, c’è un forte rischio di escalation. Penso al coinvolgimento dell’Arabia Saudita e dell’Egitto nella guerra civile in Yemen, che vede l’Iran supportare la fazione che attualmente è vincente.

D. – E invece sul fronte economico le sanzioni che si allenteranno nel tempo da parte di America e Unione Europea quali risvolti pratici avranno?

R. – Togliere le sanzioni all’Iran potrebbe produrre discreti benefici per le compagnie europee principalmente, che vedranno riaperti i canali di comunicazione e quindi potenziali contratti in Iran: penso a Airbus, ma anche alla Boing nel settore aereo e a società italiane nel settore petrolifero. Per quanto riguarda invece l’Iran, i vantaggi derivanti dalla rimozione delle sanzioni sono più economici e politici perché il basso prezzo del petrolio – quindi anche del gas naturale – non permette la possibilità di ottenere grandi entrate.

D. – Che cosa significa quando si dice che con questo accordo comunque l’Iran continuerà le sue ricerche la sua sperimentazione?

R. – L’Iran ha una serie di scienziati, di addetti ai lavori, che nel corso dei prossimi dieci-quindici anni non possono essere licenziati, perdere il lavoro e la propria capacità. Neanche gli Stati Uniti vogliono questo, perché altrimenti accadrebbe quello che è accaduto con lo scioglimento dell’Unione Sovietica: scienziati che perdono il lavoro e che vanno in altri Paesi a esportare le loro competenze sul nucleare. È utile che rimangano in Iran, è utile che si concentrino su alcuni progetti che la comunità internazionale, e in particolare quella scientifica, potrà seguire e valutare da un punto di vista scientifico.

D. – Quello che si è saputo su questo accordo, secondo lei, è effettivamente tutto quello che si sono detti, o c’è altro che noi non sapremo mai?

R. – C’è tanto che noi non sapremo mai. È chiaro che l’Iran sicuramente ha tentato di sviluppare delle tecnologie nucleari militari in passato. Gli Stati Uniti e gli altri Paesi accettano implicitamente di non fare troppe domande: l’importante è che da adesso in poi finisca quello che è stato fatto di sbagliato in passato.

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Furlan (Cisl): serve riforma fisco e politica industriale

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Sindacati preoccupati per l’aumento della pressione fiscale che ha toccato il 50.3%. Intanto, il governo fa gli ultimi ritocchi al Def, il Documento di economia e finanza, che approda martedì prossimo al Consiglio dei ministri con le ultime stime che l’esecutivo programma di realizzare per il prossimo triennio. Alessandro Guarasci ha sentito il segretario generale della Cisl, Anna Maria Furlan

R. – Una riforma di cui si ha davvero bisogno è proprio quella del fisco. Il fisco pesa troppo, in modo particolare sul lavoro, sulle famiglie e sulle pensioni. Si deve fare assolutamente il contrario. E visto che il governo non si muove in questa logica, la Cisl, la nostra organizzazione, sta promuovendo la raccolta di firme per una legge popolare che, di fatto, si traduca con un messaggio molto chiaro: mille euro all’anno in meno di fisco nelle tasche degli italiani sotto i 40 mila euro di reddito. Ce n’è davvero bisogno. Noi stiamo raccogliendo le firme e vogliamo rendere protagonisti i cittadini e le cittadine e speriamo davvero che questa proposta diventi poi legge per tutti.

D. – I consumi aumentano di uno zero virgola, vuol dire che il bonus degli 80 euro non ha avuto effetto?

R. – Purtroppo, i bonus degli 80 euro sono stati immediatamente assorbiti dai tanti aumenti di tasse locali.

D. – Il governo sembra puntare molto sul contratto a tutele crescenti per rilanciare l’occupazione. Non sarà che, però, in Italia manca una vera politica industriale?

R. – Assolutamente sì, purtroppo. Per le aziende, finalmente, prima volta nella storia, è più conveniente assumere con contratto a tempo indeterminato che con altre tipologie contrattuali, però questo non basta. I nuovi posti di lavoro innanzitutto bisogna crearli. E i nuovi posti di lavoro si fanno con una politica industriale, una politica di crescita e di sviluppo che oggi è assolutamente mancante.

D. – Se gli altri sindacati dovessero indire un referendum sul "jobs act", voi come risponderete?

R. – Intanto, il "jobs act" non è ancora terminato. Vi sono importanti, importantissimi decreti che devono ancora venire alla luce. Penso a quello sugli ammortizzatori sociali e ancora di più a quello sulle politiche attive del lavoro, e cioè l’accompagnamento reale da un posto di lavoro ad un altro, per un lavoratore che perde il lavoro o per un disoccupato che non riesce a trovarlo. Io non credo che oggi fare un referendum sia la risposta. Oggi, la risposta deve essere: essere presenti ai tavoli di contrattazione col ministro Poletti su questi argomenti importanti e fare sino in fondo la nostra parte.

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Manoel de Oliveira: l'occhio del poeta nel mistero dell'uomo

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Si è spento ieri all’età di 106 anni il regista portoghese, Manoel de Oliveira, che ha incarnato il sogno dell’immortalità del cinema nella sua lunghissima carriera costellata da numerosi capolavori in cui il visibile e l’invisibile, la realtà e la trascendenza diventano racconti di vita e di storia ispirati ad autentica poesia. L’ultimo lavoro, un cortometraggio, “Il vecchio di Restelo”, presentato lo scorso anno alla Mostra del Cinema di Venezia, ove ha vinto ben due Leoni d’oro alla carriera, nel 1985 e nel 2004. Il servizio di Luca Pellegrini

(voce del regista Manoel de Oliveira)

La voce emozionata di Manoel de Oliveira indirizza l’omaggio del mondo della cultura portoghese a Papa Benedetto nel corso della sua visita apostolica in Portogallo. Era il 12 maggio del 2010 a Lisbona. Ed era giusto che fosse il decano dei registi portoghesi e una delle figure più amate e longeve del mondo del cinema a evidenziare il legame tra arte, religione e cultura europea, ricordando come “l’etica, se non addirittura la stessa arte, derivano dalle religioni che cercano di dare una spiegazione dell’esistenza dell’essere umano rispetto alla sua presenza concreta nel cosmo”. Rispondeva Benedetto XVI con ammirazione, affetto e viva riconoscenza, perché le parole del regista lasciavano intravedere “le ansie e le disposizioni dell’anima portoghese in mezzo alle turbolenze della società di oggi”.

Gli esordi e la stima di Pirandello
E con quelle parole il Papa era come se avesse tracciato una sintesi dell’idea di cinema di de Oliveira, che ha cercato in tutta la sua filmografia di sondare il mistero dell’esistenza umana, delle sue cadute e delle sue illuminate conquiste nel campo del sapere. Una carriera iniziata nel 1931 con il documentario “Douro, lavoro fluviale” – lodato da Pirandello – e proseguita fino all’ultimo istante della sua lunghissima vita. Nato l'11 dicembre del 1908 a Oporto, de Oliveira ha solcato un intero secolo, ha attraversato un millennio, ora si adagia nel riposo.

“La vita non si spiega, si dispiega”
Alcuni dei suoi film sono indimenticabili, anche nei titoli richiamano misteriose trame, un confronto tra il visibile e l’invisibile, il terreno e il trascendente: “Inquietudine, Parola e Utopia, Specchio magico”. Mentre altri sono un tributo alla storia e alla letteratura lusitane: “Quinto Impero e Cristoforo Colombo - L'enigma”, del 2008, anno in cui ricevette a Cannes la Palma d'oro alla carriera, quattro anni prima il Leone d’oro a Venezia. Spesso l'anima è perturbata dal dubbio, afflitta dai casi di un destino avverso – “Un film parlato” – o dalla malvagità di una cattiva coscienza – “Gebo e l'ombra” – del quale lo stesso de Oliveira ci disse: “È vero che nei miei film sembra che non succeda niente, ma nel frattempo le cose fondamentali succedono! Come spiegare la vita? La vita non ha spiegazione, si dispiega".

La poesia del cinema
Un cinema nel quale, man mano che gli anni scorrono, diventa poesia. In cui de Oliveira riesce a fermarsi, con sguardo immobile, per contemplare un cielo grigio, un mare azzurro, una stanza poverissima o sontuosamente borghese, il bastione di un castello antico, una strada silenziosa cosparsa di verde e aperta verso un infinito sempre atteso, sempre invocato.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: nonostante la guerra, chiese gremite per la Pasqua

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“Sono giorni difficili, soprattutto dopo la caduta di Idlib” nelle mani dei movimenti islamisti; la città “non è lontana da Aleppo e la gente teme che succeda la stessa cosa qui. Nonostante i timori e le paure, i cristiani partecipano ai riti della Settimana Santa e le chiese sono sempre gremite”. È quanto afferma all'agenzia AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, il quale racconta che “in occasione della Domenica delle Palme era bella e commovente la presenza e il numero dei fedeli”. A dispetto dei colpi di mortaio “che cadono dappertutto”, aggiunge il prelato, “la gente non ha avuto paura e ha assistito alla Messa e alla processione con i propri bambini. Per i più piccoli è stata una festa speciale, erano loro a portare le candele ornate nella processione… la fede è stata davvero più forte della paura”.

Per i cristiani la fede è più forte della paura
Il vicario apostolico di Aleppo conferma la situazione di timore e difficoltà non solo dei cristiani, ma di tutta la popolazione locale preoccupata dal possibile arrivo delle milizie jihadiste. Nei giorni scorsi i fondamentalisti hanno conquistato la città di Idlib, nel nord-ovest del Paese, sequestrando un sacerdote greco-ortodosso. Ma nonostante questa realtà di guerra, persecuzioni e violenze, la comunità cristiana di Aleppo sta vivendo la Settimana Santa con partecipazione, raccoglimento ed entusiasmo perché - ripete il vicario apostolico - la fede è più forte della paura. “La loro testimonianza - spiega mons. mons. Georges Abou Khazen - è stata per noi pastori fonte di incoraggiamento, grazie alla loro fede e alla loro preghiera il Signore risorto ci libererà”. 

L'aiuto della Caritas senza distinzione di credo 
Dalla comunità musulmana, racconta ancora il vicario apostolico, “abbiamo ricevuto forti testimonianze di affetto, una bella prova di convivenza”. Del resto, spiega, la Chiesa “sta giocando un grande ruolo nell’assistenza ai profughi, cristiani e musulmani, e di questo loro ci sono grati”. “Aiutiamo i ragazzi, senza distinzioni di fede religiosa, attraverso Caritas Siria - continua il prelato - non solo con il cibo, ma anche donando loro scarpe, pantaloni, magliette. È bello vedere la gioia di questa gente, dei giovani e dei loro genitori, che capiscono che guardiamo loro con affetto, cercando il bene della persona. Anch’essi sono parte di questa famiglia e di questa festa”. 

I cristiani vivono questa Via Crucis alla luce della Resurrezione
A livello di pastorale “abbiamo promosso funzioni religiose, prediche e incontri in varie chiese, insistendo sulla penitenza e la conversione, legati alla situazione generale” afferma mons. Georges. Le vicende accadute a Idlib “fanno paura”, ma “nonostante questo noi viviamo con coraggio la nostra Via Crucis, lo facciamo alla luce della resurrezione e questo ci dà una grande speranza”. Egli ha inviato una lettera pastorale in cui ha sottolineato che “Cristo risorto non si è vendicato, ma ha mandato i suoi a predicare la Buona Novella insegnando amore e perdono. Questo - conclude - è il mio messaggio per la Pasqua e i fedeli hanno colto l’invito. Si sono formati gruppi di incontro, per meditare la lettera. Speriamo che il Signore ci usi come segno e testimonianza di pace”. (D.S.)

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India: Via Crucis per fermare le persecuzioni anticristiane

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Dopo gli attacchi alle chiese e lo stupro su un’anziana suora, alcune parrocchie di Mumbai hanno dedicato la Via Crucis di oggi alla crescente persecuzione anticristiana in India. Nei quartieri Santacruz e Vakola - riferisce l'agenzia AsiaNews - il Catholic Secular Forum (Csf) sono stati preparati una serie di manifesti che sono stati mostrati dai fedeli durante le 14 Stazioni del pellegrinaggio. I cartelloni riportano dati e informazioni riguardanti i vari casi accaduti negli ultimi mesi.

Agressioni pianificate contro i cristiani
Joseph Dias, presidente del Csf, ha dichiarato al quotidiano The Indian Express: “C’è un piano malvagio dietro questi attacchi, non si tratta di furti o dissacrazioni isolati. Lo schema dimostra che queste aggressioni sono pianificate. I cristiani sono considerati obiettivi facili. Se i luoghi santi delle altre religioni fossero stati attaccati in questo modo, il Paese sarebbe in subbuglio”. 

False accuse contro la Chiesa di conversioni forzate
La scorsa settimana la National Minorities Commission ha incontrato il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, e alcuni membri del clero cattolico latino e siro-malabarese, per discutere del senso di paura e insicurezza che attraversa la comunità cristiana dopo gli attacchi degli ultimi mesi. Presente al colloquio padre Anthony Charanghat, portavoce dell’arcidiocesi, ha riferito: “L’arcivescovo ha spiegato che la comunità era rattristata per la risposta tardiva delle autorità agli attacchi avvenuti nel Paese. Ci dispiace che alcuni segmenti rilascino dichiarazioni accusatorie contro i fedeli e il clero e ci accusino di conversioni forzate. Ci vuole un anno di corso e un affidavit per poter diventare cristiani, se non lo si è di nascita”. Tuttavia, ha aggiunto, “la commissione ha detto che presenteranno le nostre preoccupazioni al governo, ma che essa non può attuare alcun provvedimento in merito”. (R.P.)

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Francia. No dei vescovi a riforma sanitaria: banalizza l'aborto

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Desta preoccupazione nell’episcopato francese la proposta riforma del sistema sanitario nazionale presentata in questi giorni all’Assemblea nazionale. Nello specifico a preoccupare i vescovi d’Oltralpe sono quattro misure contenute nel testo . Esse riguardano l’abolizione del periodo di riflessione previsto dall’attuale legge sull’aborto in Francia (legale dal 1974) per potere interrompere una gravidanza; l’eliminazione dell’obbligo della consultazione dei familiari di una persona deceduta per la donazione di organi; l’introduzione in via sperimentale delle cosiddette camere del buco per tossicodipendenti e la liberalizzazione della contraccezione di emergenza per i minori.

Il rischio di banalizzare ancora di più l’aborto
Sulla prima misura, approvata dalla Commissione Affari Sociali, i vescovi francesi rilevano in una nota che l’abolizione del periodo di riflessione obbligatorio non fa che contribuire alla banalizzazione dell’aborto: esso infatti rafforzerebbe una concezione riduttiva della dignità umana” facendo del “bambino non nato un semplice oggetto di cui si può disporre liberamente e sottraendo alla donna in gravidanza gli strumenti per potere esercitare veramente la sua libertà di coscienza”.

La donazione di organi deve essere un gesto consapevole e volontario
Anche la riforma delle norme sulla donazione di organi rappresenta per i presuli un passo indietro. La legge attualmente in vigore in Francia prevede che, qualora una persona defunta non abbia espresso la sua volontà circa la donazione dei suoi organi dopo la morte, i medici debbano consultarsi con i familiari per ottenerne il consenso. L’abolizione di questa procedura per consentire più trapianti – afferma la nota – rappresenterebbe una “pura e semplice negazione della libertà ultima che spetta al defunto e alla sua famiglia” e, paradossalmente rischia di creare maggiore ostilità alla donazione di organi, un gesto nobile in quanto espressione della libera scelta dell’individuo. Se la donazione di organi rappresenta una priorità nazionale - osservano i presuli - è urgente piuttosto promuovere una campagna di informazione e sensibilizzazione per incoraggiare i cittadini a compiere questo gesto generoso. Altrimenti — affermano — il corpo umano rischia di essere ridotto a una mera riserva di organi.

No alle camere del buco
Forti perplessità suscita anche l’introduzione, sia pure in via sperimentale, delle cosiddette “camere del buco”. Il pericolo infatti – afferma la nota – è di banalizzare e incoraggiare, anziché contenere il consumo di stupefacenti. Il Governo, secondo i vescovi francesi, dovrebbe puntare piuttosto sulla prevenzione e sull’accompagnamento dei tossico-dipendenti.

No alla liberalizzazione della contraccezione di emergenza per i minori
Infine, la modifica alle norme sulla contraccezione di emergenza dei minori, che in pratica toglierebbe qualsiasi voce in capitolo agli adulti. Anche qui – annotano i vescovi – è evidente l’intento di “banalizzare” la contraccezione tra i giovani, ai quali viene trasmessa una falsa idea di libertà, deresponsabilizzando completamente il mondo adulto. (A cura di Lisa Zengarini)

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Ministro Frati Minori: Lettera sul cibo per Expò 2015

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“Il tema del cibo mette la Chiesa direttamente in rapporto al mondo e all’interno del mondo, nel senso che la Chiesa in uscita delineata da Papa Francesco deve abbandonare ogni autoreferenzialità per assumere il passo degli uomini e delle donne del nostro tempo”. Lo scrive fra Marco Tasca, Ministro generale dei Frati minori conventuali, nella lettera “Cibo che nutre. Per una vita sana e santa”, inviata, in vista di Expo 2015, agli oltre 4.000 frati dell’Ordine in 63 Paesi dei cinque continenti. 

Ripensare in modo creativo i nostri stili di vita
Il Ministro generale dei Frati minori conventuali - riferisce l'agenzia Sir - ricordando come la gente consideri “i francescani persone frugali, anche nella tavola, e soprattutto fratelli universali attenti alle necessità di tutti, in particolare dei poveri”, s’interroga: “Siamo noi all’altezza di questa fama? Possiamo in qualche modo ripensare in modo creativo i nostri stili di vita, di alimentazione, i criteri con cui usiamo dei beni della terra? L’idealità che ci spinge a voler cambiare il mondo comincia da gesti semplici e quotidiani, condivisi e fraterni, assunti come segni della benedizione che Dio riversa su di noi e attraverso di noi sul mondo intero”. Il cibo, osserva fra Tasca, “non nutre solo il corpo, ma consolida e custodisce le relazioni”. 

Spreco di cibo è uno degli scandali più drammatici del nostro tempo
“A partire dal cibo - prosegue fra Tasca - possono essere sollevati molti interrogativi, anche drammatici: quanta giustizia e quanta ingiustizia, quanta pace e quanta violenza, quanto lavoro e quanta rapina nel gesto naturale, spontaneo e necessario di nutrirsi?”. Parlare del cibo, che non è solo “carburante” per vivere ma “implica dimensioni relazionali a corto e lungo raggio”, significa, dunque, “parlare dei grandi problemi che attanagliano e preoccupano l’umanità, e spinge il nostro sguardo verso orizzonti più vasti e spesso trascurati”. C’è, infatti, un altro fronte: “Quello dello spreco di cibo è uno degli scandali più drammatici del nostro tempo”, evidenzia il ministro generale. 

Cibo nei rifiuti è un insulto per chi patisce la fame
​“Quello di non sprecare - chiarisce - dovrebbe essere per noi francescani una sorta di comandamento, perché ogni spreco di cibo (acqua, energia, suolo…) è spreco della creazione e rende la terra più povera e inospitale per le generazioni future. Se il cibo che finisce nei rifiuti mangia tante risorse ed è un insulto per chi patisce la fame, l’imperativo è far dimagrire, anche nelle nostre comunità, il bidone della spazzatura”. Fra Tasca chiede anche ai frati “nel tempo della Quaresima e nei sei mesi di durata di Expo 2015, di pregare e di far pregare il Padre nostro ponendo attenzione particolare all’invocazione del pane per tutti”. (R.P.)

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L'Ora della Madre a Santa Maria Maggiore

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Domani, Sabato Santo, dalle ore 10.30 alle ore 11.30, nella basilica papale di Santa Maria Maggiore in Roma, avrà luogo — come da più di 25 anni — una speciale cele­brazione mariana: «L'Ora della Madre»: una celebrazione che intende proporre e far rivi­vere il dolore e la fede suprema di Maria nell'attesa della risurrezione del Signore. Presiederà la celebrazione il card. Santos Abril y Castelló, arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore. Vi parteciperà il coro «Jubilate Deo» diretto da suor Dolores Aguirre.

E' la Madre della nostra fede
Il Sabato Santo infatti è davvero l'«Ora» della Madre, vertice del suo lungo cam­mino di fede: ai piedi della Croce Ella stette, quale nuova Eva, associandosi al sacrificio del Figlio e accogliendo come figli tutti gli uomini redenti dal suo Sangue divino. Quando poi i discepoli, la sera del Venerdì Santo, posero Gesù nel sepolcro, la sua fede non venne meno, né venne meno la sua indissolubile unione col Figlio Redentore. Anzi, solo in lei stette in quell'Ora la fede di tutta la Chiesa, in lei si raccolsero le speranze del mondo. Perciò è la Madre della nostra fede.

Una celebrazione che prepara la Veglia pasquale
​La celebrazione mariana che si compie a Santa Maria Maggiore, e in tante altre parti d'Italia e del mondo il mattino del Sabato Santo, trova ispirazione nella liturgia bizanti­na, che canta davanti all'icona di Cristo sepolto i lamenti della Madre sul Figlio ucciso e la sua ansia di vederlo ritornare vivo dai morti. Così, l' «Ora» della Madre, celebrata nel Sabato Santo, è la più adatta e significati­va preparazione a vivere la grande Veglia pasquale del Signore che risorge glorioso. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 93

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.