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Sommario del 31/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: fratellanza in Europa possibile solo se aperti a Dio

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In Europa ci può essere fratellanza solo se ci si apre a Dio: è quanto afferma Papa Francesco in un messaggio, in occasione della solenne celebrazione eucaristica per il 1400° anniversario della morte di San Colombano, svoltasi ieri a Bobbio, in provincia di Piacenza, presenti le comunità colombaniane di diversi Paesi europei. Ce ne parla Sergio Centofanti

Fratelli solo se aperti a Dio 
“Nel cuore dell’Europa ci può essere fratellanza tra i popoli solo se esiste una civiltà aperta a Dio”: così il Papa in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin inviato al vescovo di Piacenza- Bobbio, mons. Gianni Ambrosio, ricordando il grande evangelizzatore irlandese, San Colombano, morto 1400 anni fa a Bobbio il 23 novembre 615. “Colombano – si legge nel messaggio – ha sempre nutrito un’idea ‘europea’ del suo impegno ecclesiale” facendo “riferimento al compito di tutti i cristiani di collaborare affinché le diverse genti del continente” potessero vivere “nella pace e nell’unità”. “La sua vita di preghiera, di ascesi e di studio” non “lo ha mai reso lontano o disattento rispetto alle vicende religiose e politiche dell’epoca, nelle quali anzi è intervenuto più volte, con toni decisi, evocando la figura severa di san Giovanni Battista”.

Evangelizzatore non con l'imposizione ma con la testimonianza
Dopo trent’anni di permanenza in monastero – si legge ancora nel messaggio - “Colombano fa proprio l’ideale ascetico tipico delle comunità irlandesi, quello della peregrinatio pro Christo, e si fa pellegrino nell’Europa continentale, con l’intento di far riscoprire la luce del Vangelo in alcune regioni europee già scristianizzate dopo l’immigrazione di popoli dal Nord-Est”. Approda sulla costa bretone con un gruppo di monaci e, “con la benevola accoglienza del re dei Franchi”, dà inizio “a una grande opera di evangelizzazione dell’Europa, non attraverso l’imposizione del Credo, ma mediante l’attrazione che esercitava lo stile di vita dei monaci: la testimonianza di uomini che pregavano, lavoravano la terra, studiavano, e conducevano una vita sobria, basata sulle cose spirituali e materiali essenziali, e rigorosa sul piano morale”.

Apostolo della Confessione
San Colombano – ricorda il Papa – è stato “un canale privilegiato della grazia di Dio, attraendo fiumi di pellegrini e penitenti, e accogliendo nei tanti nuovi monasteri moltissimi giovani, che abbracciavano la sua Regula monachorum. Convinto com’era che la grazia è l’aiuto specifico che la Provvidenza dona ad ogni creatura umana che con fede accoglie l’amore di Dio nella propria esistenza”, è stato “diffusore intrepido della Confessione, Sacramento di natura personale, da ripetere nella esistenza di ognuno, quale mezzo insostituibile per un serio cammino di conversione”.

Monasteri, centri di irradiazione spirituale, intellettuale e sociale
I suoi monasteri “divennero fari di irradiazione spirituale, intellettuale e sociale”: Bangor in Irlanda, Annegrey e Luxeuil in Francia, Sankt Gallen in Svizzera, la regione di Bregen in Germania. Tappa finale dell’itinerario del santo Abate è stata Bobbio: “il monastero dove visse gli ultimi anni, fino alla morte, divenne un centro di cultura del livello di Montecassino ed oggi custodisce le sue spoglie mortali”. Anche nell’ultima fase della sua missione, ha promosso “l’unità spirituale dei popoli europei lottando per superare le lacerazioni dovute alla presenza nel Nord Italia dell’eresia ariana, che aveva rotto la comunione tra i Longobardi e il Vescovo di Roma”.

Attingere a Cristo
Come ha affermato Benedetto XVI, San Colombano può essere realmente considerato uno dei “Padri dell’Europa”: “la sua grande cultura, la sua energia spirituale e il suo stile morale ci mostrano chiaramente – afferma il messaggio - dove attingere perché anche nel nostro tempo tale civiltà possa ravvivarsi nel continente europeo”.

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Il dolore del Papa per le vittime dell'uragano Erika sui Caraibi

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Profondo dolore è stato espresso da Papa Francesco per la perdita di vita umane e per la distruzione causata dal passaggio dell’uragano Erika sui Caraibi. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e indirizzato a mons. Gabriel Malzaire, vescovo di Roseau, nella Dominica, il Pontefice ha assicurato le sue preghiere per le vittime e per coloro che sono impegnati nelle operazioni di salvataggio. Nel raccomandare i defunti alla misericordia amorevole di Dio, il Santo Padre ha invocato speranza e pace per le famiglie e per chi è stato colpito da questa catastrofe.

Erika ha provocato nel suo passaggio nei Caraibi almeno 20 morti, una vittima sull’isola di Haiti. Intanto l’uragano, giunto a Cuba, con il passare dei giorni ha perso di intensità anche se resta alta l’allerta in Florida in previsione del suo arrivo. Più colpita da Erika è stata la Dominica, nei Caraibi orientali, qui ancora si stanno cercando i dispersi dopo le pesanti piogge e i venti che hanno spazzato via case, strade e ponti. Secondo il primo ministro dell’isola, Roosevelt Skerrit, “l’entità della devastazione è monumentale”, si rischia di cancellare venti anni di sviluppo: una vera catastrofe per i 72mila abitanti di Dominica.

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Francesco: Giornata di preghiera per il Creato, urgente ecologia umana

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Una Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato: è quella istituita da Papa Francesco lo scorso 6 agosto e che si celebrerà domani per la prima volta. Alle 17, in Basilica Vaticana, il Santo Padre presiederà la Liturgia della Parola. Il servizio di Giada Aquilino

La Giornata mondiale di preghiera, dimensione ecumenica
Vivere la vocazione di essere “custodi” dell’opera di Dio è “parte essenziale” della vita di ogni cristiano, chiamato ad una vera e propria “conversione ecologica”. Con la Lettera di inizio agosto ai cardinali Peter Turkson e Kurt Koch, presidenti – rispettivamente – dei Pontifici Consigli “Giustizia e pace” e “Unità dei cristiani”, Papa Francesco ha istituto la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, il primo settembre di ogni anno, lo stesso giorno in cui viene celebrata anche dalla Chiesa Ortodossa. 

Il contesto della "Laudato si'"
Un carattere quindi prettamente ecumenico, sottolineato con il riferimento nella missiva ai contributi del Patriarca Bartolomeo e del Metropolita Ioannis alla “Laudato si’”. Ma anche una volontà precisa, quella del Pontefice, che si inserisce nel contesto dell’ultima Enciclica, ribadendo che la salvaguardia “della nostra casa comune” non ha soltanto una dimensione legata all’ambiente, bensì include una vera ecologia integrale per un nuovo paradigma di giustizia, in cui risultano inscindibili dalla preoccupazione per la natura l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, ma pure la gioia e la pace interiore.

L'urgenza di un'ecologia umana
Temi cari a Francesco, più volte trattati nei suoi interventi, come quando – nell’udienza generale del 5 giugno 2013 – nota come si stia “vivendo un momento di crisi”:

“Lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia”.

Vita non tutelata
Ciò che domina, osserva il Papa, sono “le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica”, perché a comandare oggi “non è l'uomo”, bensì i soldi. Eppure, aggiunge, Dio “ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne”, che sono però sacrificati “agli idoli del profitto e del consumo” dalla “cultura dello scarto”:

“La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora, come il nascituro, o non serve più, come l’anziano”.

Dialogo sul futuro del pianeta
L’invito del Pontefice è allora a prendere “sul serio” l’impegno a “rispettare e custodire il Creato”, promuovendo “una cultura della solidarietà e dell’incontro”. Concetto ripreso e ampliato nella “Laudato si’”, con la preoccupazione di “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”, attraverso un “dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta”, con la certezza “che le cose possono cambiare”: il Creatore – ribadisce Francesco – “non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato”. Proprio in vista “dell’assunzione di stili di vita coerenti”, il Papa ha dunque indetto la Giornata per la cura del Creato. All’udienza generale della scorsa settimana ha ricordato che in tutto il mondo le varie realtà ecclesiali locali hanno programmato iniziative di preghiera e di riflessione, perché la celebrazione sia un “momento forte”:

“In comunione di preghiera con i nostri fratelli ortodossi e con tutte le persone di buone volontà, vogliamo offrire il nostro contributo al superamento della crisi ecologica che l’umanità sta vivendo”.

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Giornata Creato. Gennadios: ordodossi uniti al Papa nella preghiera

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La Chiesa cattolica celebra il primo settembre la prima Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, istituita da Francesco in comunione con la Chiesa ortodossa, che vive questa iniziativa nella stessa data. Quali reazioni dai fratelli ortodossi a questa invito alla preghiera comune per la protezione dell’ambiente naturale? Roberta Gisotti ha intervistato l'arcivescovo Gennadios, metropolita ortodosso d’Italia e Malta: 

R. – Come sapete, da molti anni, Sua Santità, il Patriarca ecumenico Bartolomeo si interessa molto ai problemi ecologici. Adesso siamo felici che il Papa esorti tutto il popolo di Dio a pregare per il Creato, perché l’uomo deve avere la responsabilità di rispettare, amare il Creato, l’ambiente e l’uomo che vive in esso. Il Patriarca Bartolomeo e Papa Francesco sono due uomini spinti dalla grazia di Dio e hanno sentito questa grande responsabilità: il Creato non è una conquista dell’uomo, ma è un dono che Dio fa all’uomo. La Chiesa si preoccupa sempre di ogni cosa e vuole che questo preziosissimo dono di Dio sia sempre rispettato in modo particolare, come ha detto Papa Francesco, attraverso la preghiera; il Patriarca Bartolomeo fa la stessa esortazione da tanti anni. Come sappiamo, la Chiesa ortodossa in Italia festeggia questo 1° settembre la solennità nella cattedrale patriarcale di San Giorgio a Venezia, con la celebrazione del Te Deum. Questa è un’occasione per pregare insieme con il popolo ortodosso, con tutti i fedeli, per il Creato che deve essere di pace, di serenità, rispettato e dare speranza a tutti i cristiani ma anche ad ogni uomo di buona volontà. Questo è un grande appello all’unità, un invito alla preghiera. Come dice Papa Francesco la celebrazione della Giornata sarà un’occasione proficua per testimoniare la crescente comunione con i fratelli ortodossi.

D. - Sua Santità Bartolomeo, chiamato “il Patriarca verde”, ha spianato la strada per questa presa di coscienza che ora trova ulteriore spinta e compimento nell’Enciclica  Laudato si'. Come valuta il grande interesse che sta suscitando questo testo anche a livello popolare?

R. - Sono veramente due fratelli. Credo che questa responsabilità abbia unito il Papa e il Patriarca. Prima di scrivere questa preziosissima Enciclica, il Papa ha detto: “Ho scritto questa Enciclica dopo aver letto tante tante cose sul tema del creato. Il patriarca Bartolomeo - mio fratello -  ha lavorato tanti anni attraverso  convegni, congressi...”. In questo modo il popolo di Dio è messo in guardia davanti a questo grande problema che non deve rimanere solo ai vertici; deve essere un problema sentito anche da noi: il popolo di Dio, tutti i laici, i sacerdoti, i religiosi, i fedeli dobbiamo pregare rispettare e imparare questa grande arte cristiana di rispettare il Creato.

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Udienze

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve; il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze; mons. Piero Pioppo, arcivescovo tit. di Torcello, nunzio apostolico in Camerun e in Guinea Equatoriale; mons. Rino Passigato, arcivescovo tit. di Nova di Cesare, nunzio apostolico in Portogallo; mons. Ettore Balestrero, arcivescovo tit. di Vittoriana, nunzio apostolico in Colombia; mons. Giacinto Berloco, arcivescovo tit. di Fidene, nunzio apostolico in Belgio e in Lussemburgo; il rev.do Pascal Burri, cappellano del Corpo della Guardia Svizzera, in visita di congedo.

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Benedetto XVI: la malattia del cuore porta alla corruzione

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“Verità, amore e bontà, che vengono da Dio, rendono l’uomo puro, esse si incontrano nella Parola che libera dalla ‘smemoratezza’ di un mondo che non pensa più a Dio”. È il cuore dell’omelia, pronunciata in tedesco dal Papa emerito Benedetto XVI, nella Messa celebrata ieri mattina presso la chiesa del Campo Santo Teutonico in Vaticano. Alla funzione hanno preso parte i membri dello Schülerkreis (il Circolo degli ex allievi di Ratzinger) e del Nuovo Schülerkreis, riunitesi nei giorni scorsi a Castel Gandolfo per riflettere sul tema: “Come parlare oggi di Dio”. Nella sua riflessione, Benedetto XVI ha ricordato la malattia del cuore, quella interiore, che “porta alla corruzione” e all’egoismo. "E’ solo la Parola – ha suggerito il Pontefice emerito - che permette di arrivare a pulire il cuore, nella Verità che viene da Dio". Nella preghiera dei fedeli, si è pregato tra l’altro per Papa Francesco, perché il Signore lo assista nella sua opera, specialmente per l’Anno Santo della Misericordia.

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Mons. Pastore: il ricordo di padre Cabasés al suo fianco alla Radio Vaticana

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“Prezioso e competente collaboratore della Radio Vaticana, consigliere apprezzato e grande indimenticabile amico, sacerdote di profonda sensibilità e attenzione pastorale e spirituale”: così la direzione e il personale della nostra emittente ricordano mons. Pierfranco Pastore, scomparso ieri a Roma all’età di 88 anni. Domani mattina sono previsti i funerali nella chiesa della Casa Assistenti dell'Azione Cattolica, dove il presule, originario della provincia di Novara, risiedeva da molti anni. Già segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, nel 1974 alla Radio Vaticana ideò un programma in lingue diverse dal titolo: “Speciale Anno Santo”, una trasmissione di servizio per i pellegrini del Giubileo del 1975. Insieme a lui c’era anche il padre gesuita Félix Juan Cabasés che, al microfono di Benedetta Capelli, ricorda così mons. Pastore: 

R. – Confesso di essere commosso per la morte di mons. Pierfranco Pastore. Era stato il mio direttore nel programma “Speciale Anno Santo” poi trasformato in “Quattrovoci”. Quello che ammiravo in lui era soprattutto la sua capacità di creare un tale ambiente nel lavoro che poi noi amavamo trovarci anche fuori dal lavoro. Credo che questo dia una testimonianza della sua qualità umana e io spero che il Signore lo stia già premiando.

D. - Come era nata quella prima trasmissione del programma “Speciale Anno Santo”?

R: - Io lavoravo al programma spagnolo e sono stato chiamato ad occuparmi della voce spagnola, in quanto nel programma si dovevano integrare quattro diverse voci. Sono venuti a mancare anche Henry McConnachie, Benedetto Nardacci; ho l’impressione di avere più amici dall’altra parte che da questa. Ho un ricordo stupendo. Nel programma “Quattrovoci” noi integravamo un notiziario di notizie, non solo religiose, come servizio per i pellegrini dell’Anno Santo. Credo che questa scelta sia stata una porta attraverso la quale un'informazione più generale si è introdotta anche nell’ambito della Radio Vaticana.

D. - Una vita spesa nell’ambito della comunicazione. Secondo lei qual è il segno che lascerà mons. Pastore?

R. - Credo quella capacità di vicinanza anche ai professionisti della comunicazione sociale, perché noi tutti abbiamo rapporti famigliari, ma spesso non è tanto facile relazionarsi verso i compagni di lavoro, con i colleghi che, in fin dei conti, a volte consideriamo se non estranei anche rivali.

D. - Come ricorderà mons. Pierfranco Pastore?

R. - Io ricorderò quello che faceva tra la prima trasmissione della mattina e quella di mezzogiorno: preparava una prima colazione per coloro che lavoravano nel programma o partecipava alla sua realizzazione e spesso ci faceva degli scherzi.

D. - Quindi una persona di spiccata intelligenza?

R. - Sì e anche spiccato senso dell’humor perché ci sono persone molto intelligenti, ma seriose, invece lui era un uomo sempre sorridente, quindi diciamo che è una perdita non personale ma direi quasi sociale.

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Oggi in Primo Piano



Save the children: bambini migranti, dramma nel dramma

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C’è grande attesa per la riunione d’emergenza dell’Unione europea fissata per il 14 settembre prossimo. Intanto la Commissione Ue auspica nuove regole comuni sulle richieste d’asilo e l’accelerazione delle procedure di registrazione e ammonisce l’Ungheria: “Le barriere non mandano il messaggio giusto”. In un’intervista al quotidiano Il Mattino ha parlato anche il card. Francesco Montenegro, presidente di Caritas italiana: “Le responsabilità delle stragi sono di tutti – ha detto – dell’Europa e dell’Onu, il grande assente”. Sul dramma dei migranti e in particolare dei bambini non accompagnati, Roberta Barbi ha intervistato il portavoce di Save the children, Michele Prosperi: 

R. – I bambini sono senz’altro, più che mai, il simbolo dell’emergenza di questi giorni. Sappiamo che sono una presenza costante negli arrivi; se guardiamo i dati dall’inizio dell’anno al 27 agosto, i bambini rappresentano circa il 10% di tutti i migranti arrivati in Italia. I 2/3 sono minori non accompagnati - quindi ragazzi di 16, 17anni, ma anche di 11, 12, 13, e qualche volta persino di 9 o 10 anni – minori che affrontano da soli il loro viaggio per raggiungere l’Europa. È una realtà che si ripete identica anche negli arrivi in Grecia, che ormai hanno superato quelli in Italia. I migranti che arrivano in Grecia provengono soprattutto dalla Siria, l’Iraq e l’Afghanistan; e sappiamo che sono gruppi familiari, quindi anche lì con la presenza di tantissimi bambini. Ad esempio sappiamo che in questo momento, in Serbia, di tutti i migranti che stanno attraversando il Paese – il 25% – sono bambini, secondo le stime di Save the Children.

D. – È di questi giorni la notizia della fuga dei tre bambini siriani ricoverati in un ospedale in Austria, che sono scappati assieme alle loro famiglie per raggiungere la Germania. È talmente forte la disperazione di queste persone da rischiare anche la salute dei propri figli?

R. – Noi dobbiamo pensare che questi migranti hanno affrontato viaggi lunghissimi e terribili nelle mani dei trafficanti, rischiando più volte la vita. Io ho parlato in diverse occasioni con i padri, le madri – con i familiari siriani – e loro non parlano di altro che dei loro figli e del loro futuro… Per loro l’unica cosa che conta è arrivare in un posto sicuro dove i loro figli possano andare a scuola e darsi un futuro.

D. – Save the Children ha denunciato anche le morti dei migranti nel deserto prima di arrivare a imbarcarsi, e le violenze che sono costretti a subire donne e bambini dai trafficanti…

R. – Oggi vogliamo ricordare le parole del segretario generale dell’Onu, Ban-ki-moon, che ha lanciato un appello fortissimo ai Paesi, chiedendo di trovare soluzioni “complessive”, che partano e tengano conto delle cause che, nelle aree di crisi, determinano questi grandi flussi di partenze, queste fughe di massa dalle guerre e dalle situazioni di assoluta povertà o di fame, di violenza, e dai regimi autoritari. La diplomazia internazionale, la comunità internazionale, i Paesi europei nel loro insieme, devono assolutamente affrontare la situazione tenendo conto di tutto, e del fatto che centinaia di migliaia di migranti – tra essi molti vulnerabili, come le donne, le donne incinte, i bambini piccoli – ogni giorno si mettono nelle mani di trafficanti che non hanno alcuno scrupolo, e sono interessati soltanto ai soldi che questi migranti sono in grado di pagare. Per loro la vita non ha nessun valore al di là di questo.

D. – Il 14 settembre l’Unione Europea si riunirà sull’emergenza immigrazione: qual è l’auspicio?

R. – L’auspicio è, intanto, che la diplomazia europea si adoperi per spingere anche l’Onu a cercare una soluzione. Pensiamo, ad esempio, alla Siria: centinaia di migliaia di persone sono sotto assedio all’interno del territorio e non possono essere raggiunte con gli aiuti. Questo aumenta, naturalmente, il terrore nelle persone, la volontà di fuga, di abbandono del Paese, e la ricerca di un altro luogo dove trovare pace e opportunità. Però chiediamo anche all’Europa di aumentare le quote di ricollocamento dei migranti in arrivo in Italia e in Grecia, perché sono quote assolutamente insufficienti; così come di espandere i programmi di reinsediamento: quei programmi che consentirebbero ai rifugiati e ai richiedenti asilo di raggiungere i territori sicuri dei Paesi di destinazione direttamente dalle aree di crisi, senza dover rischiare la vita più volte nelle mani dei trafficanti.

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Siria: Is vicino Damasco. Colpito tempio di Bel a Palmira

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Il sedicente Stato Islamico sarebbe a pochi chilometri dal centro di Damasco. L’allarme è stato lanciato su twitter dagli attivisti dell'Osservatorio siriano, che riferiscono di combattimenti tra jihadisti dell'Is e ribelli islamisti nei sobborghi meridionali della città. Sempre secondo la stessa fonte, i miliziani del califfato hanno lanciato un ultimatum di 48 ore agli abitanti di alcune aree della provincia di Dayr az-Zor, nella Siria orientale, imponendo loro di lasciare le proprie case. E nell’ovest iracheno 200 civili sono stati arrestati dopo una manifestazione di protesta contro lo Stato Islamico. Infine, è incertezza sulla sorte del tempio di Bel a Palmira: i jihadisti hanno annunciato la sua distruzione, mentre il capo dell'autorità che sovrintende ai beni archeologici in Siria parla solo di un parziale danneggiamento. Marco Guerra ne ha parlato con Claudio Strinati storico dell’arte ed ex direttore del polo museale romano: 

R. – In assoluto, è uno dei grandi snodi storico-geografici proprio della civiltà occidentale e orientale, perché Palmira è un luogo che incomincia a vivere in un’epoca antichissima: è sostanzialmente nominata già nella Bibbia. Dopo di ché, a mano a mano, arriva la conquista romana per cui è uno di quei posti in cui il contatto oriente-occidente si vede in una maniera memorabile. Questo principio per cui Roma è stato un po’ il grande snodo di tutta l’antichità, quasi quasi si vede meglio a Palmira che a Roma stessa …

D. – Possiamo affermare che la vita delle persone viene prima di tutto; ma gli integralisti del califfato stanno cercando di uccidere la memoria e la cultura di un popolo. Si sta cercando quindi anche di ricreare una sorta di “uomo nuovo”, di riscrivere appunto anche l’identità stessa delle persone che abitano quei luoghi?

R. – Sì, sicuramente. Ma oltre che di quelli che abitano quei luoghi, in generale. Sembra che l’intento sia quello che ha detto lei, cioè cancellare un’epoca, una cultura che è considerata totalmente negativa e quindi degna soltanto di essere dimenticata. Certo, è un punto di vista che certamente non è quello maturato invece nella nostra storia, quella in cui si pensa che comunque quello che il passato ci ha consegnato sia degno di memoria. E’ un approccio ideologico: e tutti gli approcci ideologici tendono, se esasperati, ad annientare il nemico.

D. – La distruzione da parte dei jihadisti a Palmira costituisce un crimine di guerra, ha detto Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco. Può essere, appunto, annoverato tra i crimini di guerra la distruzione del patrimonio culturale e artistico?

R. – Può esserlo sicuramente. Mi meraviglio, però, allora, proprio del comportamento dell’Unesco: cioè, se l’Unesco considera crimine di guerra questo atto – come deve considerare, perché l’Unesco appunto individua i siti in tutto il mondo che debbono essere protetti  - poi però che cosa fa, per proteggere il patrimonio culturale, in concreto? Ho l’impressione che faccia troppo poco. In pratica, noi assistiamo impotenti alla distruzione di opere d’arte e di siti archeologici che abbiamo proclamato degni di essere difesi, anzi, indispensabili all’umanità. E come li difendiamo, con le parole? Le persone, come le difendiamo, se vengono attaccate con le armi? O con le armi stesse o con una diplomazia che riesca a frenare il conflitto. Per il patrimonio artistico vale la stessa cosa: se mi limito a dire: “Ah, che peccato, hanno distrutto questa cosa che è patrimonio dell’umanità”, bè, io dico che allora bisogna elaborare qualche strumento in più!

D. – Tra le varie barbarie si annovera anche l’uccisione di Khaled al Assad, uno dei massimi esperti di antichità, appunto direttore del sito di Palmira. Quindi, oggi è diventato pericoloso anche semplicemente difendere il patrimonio culturale in alcune aree del mondo, in particolare nel cosiddetto Stato Islamico?

R. – L’idea è che chi si oppone a me, dev’essere ucciso: non allontanato, emarginato, al limite anche condannato, ma ucciso. I nostri archeologici, i nostri tutori del patrimonio artistico operano con una mentalità completamente diversa: cioè, non sono degli ideologi che si oppongono ad altri ideologi; sono servitori dello Stato. In effetti, chi difende il patrimonio culturale certo può facilmente entrare in rotta di collisione con chi magari detiene un forte potere politico e ha tutt’altri interessi. Purtroppo, difendere un patrimonio vuol dire lottare.

D. – Per un uomo di cultura come lei, che effetto fa vedere utilizzato il sito di Palmira come cornice di esecuzioni di massa e altri orrori?

R. – Penso esclusivamente all’essere umano e non al luogo in cui ciò accade. Poi è un valore aggiunto negativo: se io compio un orrore in un luogo che promana invece da sé bontà, bellezza, memoria storica e quindi nutrimento morale per l’essere umano, bè, certo che il sentimento di orrore che si prova è veramente notevole. Io personalmente non riesco nemmeno a guardarle, le immagini, perché veramente mi dà un senso di costernazione tremendo …

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Libano: a Beirut e altre città protesta contro la corruzione

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In Libano aumentano le pressioni sul governo, all’indomani della  grande manifestazione organizzata dal movimento popolare “You Stink”. Nata come protesta per la mancata raccolta dei rifiuti a Beirut, l’iniziativa è diventata una contestazione alla corruzione e allo stallo istituzionale nel Paese. Sui motivi della situazione che il Libano sta vivendo, Giancarlo La Vella ha intervistato Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut: 

R. – Innanzitutto, c’è un’insofferenza di ampi strati della popolazione per un problema che è scoppiato in estate legato alla mancata raccolta delle immondizie per le strade di Beirut e della regione della capitale. Ma questa è solo la punta di un iceberg. L’insofferenza popolare va ricercata in altre questioni, sempre relative alla mancanza di servizi essenziali per la popolazione: parlo di elettricità razionata anche nelle zone più ricche di Beirut, spesso durante l’estate anche l’acqua è razionata e quindi bisogna in qualche modo affidarsi a cisterne private… Quando sono venuti a mancare gli elementi fondamentali per la vita quotidiana, come l’acqua, la luce, la raccolta delle immondizie, un’ampia fascia di cittadini libanesi sono scesi in piazza per dire “basta”: basta a questo sistema della politica e delle istituzioni, quindi anche dei servizi ai cittadini gestiti in maniera clientelare, mafiosa, corrotta.

D. – Sullo sfondo anche il panorama di un Paese che sta scricchiolando istituzionalmente da due anni senza Presidente. Questo quanto influisce sulla stabilità sociale?

R.  – Le istituzioni in Libano, come in gran parte dei Paesi del Medio Oriente, sono spesso un orpello, che è utile all’Occidente per immaginarsi questi Paesi molto simili a noi, ma poi di fatto i veri poteri spesso sono fuori dalle istituzioni. L’assenza del Presidente della Repubblica, l’assenza di un governo non hanno contribuito a creare maggiore instabilità più di quanto non abbiano contribuito a creare instabilità e violenze la loro presenza. Di fondo i veri problemi, le vere questioni cruciali del Paese si risolvono fuori dalle istituzioni, che noi invece in Italia e in Europa possiamo considerare come i veri poteri.

D.  – Il Libano di oggi che cosa rischia nel contesto mediorientale?

R.  – Il Libano continuerà a essere il Paese più stabile e sicuro del Medio Oriente, nonostante la sua storia legata sempre all’instabilità, alle violenze e ad alcune guerre. Proprio perché circondato da guerre, in particolare le guerre in Siria, con alcuni elementi libanesi profondamente invischiati, gli attori regionali e gli attori locali, quelli che in qualche modo traducono in Libano le spinte regionali, da una parte l’Iran, dall’altra l’Arabia Saudita, ma anche altri attori europei, come la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Russia, che in qualche modo hanno il potere di influenzare sia le questioni mediorientali ma anche le questioni libanesi, tutti questi non hanno interesse a far sì che il Libano esploda e in qualche modo possa diventare una nuova piazza della guerra veramente combattuta, come avviene in Siria o come avviene in Iraq.

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L'Eni scopre in Egitto uno dei più grandi giacimenti di gas

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Scoperta di gas di "rilevanza mondiale" nell'offshore egiziano del Mar Mediterraneo da parte dell'Eni. Si parla di un giacimento che può avere un potenziale fino a 850 miliardi di metri cubi di gas e può soddisfare la domanda egiziana di gas per decenni. Ma per capire le possibili implicazioni economiche e geopolitiche della scoperta, Fausta Speranza ha intervistato Matteo Càroli, docente di Economia e gestione delle imprese all’Università Luiss: 

R. – L’elemento fondamentale – la cosa molto positiva – è che, se ci saranno poi le condizioni geopolitiche per sfruttare al meglio questo giacimento, ciò aumenterà l’indipendenza dell’Egitto, in particolare dalla Russia, uno dei maggiori fornitori di gas per l’Europa. Ovviamente, la scoperta rende ancora più importante il raggiungimento di un equilibrio politico e militare nella sponda settentrionale dell’Africa: nei Paesi dell’Africa mediterranea.

D. – Leggiamo che si tratta di un permesso detenuto dall’Eni al 100%: questo cosa significa?

R. – I meccanismi di sviluppo dei giacimenti di gas, come di quelli del petrolio, prevedono che i grandi gruppi internazionali, e tra questi l’Eni, possano fare delle rilevazioni – delle ricerche – in diversi Paesi. E quindi, in questo caso, l’Egitto ha autorizzato a suo tempo l’Eni a fare queste ricerche, e ora l’Eni ha il diritto di utilizzare e di sfruttare questo giacimento secondo le leggi del Paese ospitante. Dall’altra parte, questa scoperta avrà un impatto molto positivo per l’economia locale egiziana, poiché una parte del valore economico che deriverà dallo sfruttamento di questo giacimento andrà direttamente allo Stato egiziano e coinvolgerà anche le autorità locali.

D. – Dal punto di vista ambientalistico, può essere rischiosa un’operazione di questo genere?

R. – Ormai l’attenzione all’ottimizzazione dell’impatto ambientale nelle produzioni energetiche è altissima: peraltro i giacimenti di gas non sono come quelli petroliferi, ma hanno un impatto ambientale più lieve. E inoltre, molto dipende anche dalle normative del Paese dove il giacimento è collocato, in questo caso l’Egitto. Teniamo però conto che la normativa italiana, in qualche modo, obbliga le nostre imprese, anche in materia ambientale, ad avere comportamenti corretti anche in Paesi esteri.

D. – Si parla di un potenziale fino a 850 miliardi di metri cubi di gas: ci dà un senso della proporzione?

R. – Ciò è abbastanza difficile, nel senso che – innanzitutto – sarei un po’ prudente: si parla di “potenziale” e questi sono ancora i primi rilievi. Dopodiché, bisognerà vedere quanto di questo potenziale vorrà effettivamente essere utilizzato: ciò dipende da molti fattori, tra cui quelli ambientali che citavamo prima. E non dimentichiamo anche che siamo in una fase in cui, complessivamente, tende ad esserci un eccesso di produzione e di offerta di energia. Quindi, non è detto che poi tutto questo potenziale sarà sfruttato, e immediatamente.

D. – Ci spiega meglio questo?

R. – Lo si può spiegare con il fatto che, ad esempio, siamo in una fase in cui un numero consistente di centrali di produzione di elettricità sono in fase di chiusura, un po’ perché si tratta di centrali non efficienti, e un po’ perché l’offerta di energia – in particolare derivante da fonti rinnovabili – è cresciuta molto e continua ad aumentare. Il gas ha utilizzazioni molto ampie; c’è un fabbisogno di gas, ma le dimensioni di quest’ultimo dipenderanno anche dall’evoluzione delle tecnologie, e da quanto la domanda continuerà a crescere nei prossimi anni. Su questo, gli scenari non sono così chiari e netti, nel senso di prevedere sicuramente un aumento consistente di domanda.

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Al via ad Assisi il Congresso nazionale dei teologi italiani

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Al via da oggi, fino al 4 settembre, il Congresso nazionale dell’Associazione teologica italiana (Ati), in programma ad Assisi, dove centinaia di teologi e teologhe da tutt’Italia si incontrano per riflettere sul tema della salvezza. “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!’ (Lc 3,6). Sulla soteriologia cristiana” è il titolo del congresso: don Roberto Repole, presidente dell’Ati, al microfono di Maria Caterina Bombarda, spiega l’importanza di riaffrontare il tema della salvezza nel contesto culturale e religioso del nostro tempo: 

R. – Partiamo da alcune problematiche che riteniamo profondamente attuali nel mondo e nella cultura di oggi, cioè il fatto che uno dei temi centrali del cristianesimo - cioè che Gesù Cristo ci offre la salvezza e che lui stesso è la salvezza dell’umanità - chiede di essere ripensato per diversi motivi; da una parte perché, per esempio, si pensa oggi, in una società secolarizzata, che la finitudine sia l’unico orizzonte esistente e dall’altra parte il fatto che sempre più ci si rende conto che dietro la crisi economica che stiamo vivendo in maniera anche molto forte, c’è una crisi antropologica e tutto questo in qualche modo pone la domanda se ci sia redenzione e possibilità di salvezza per gli uomini.

D. - Da quali esperienze concrete partire per esprimere ciò che comunemente chiamiamo salvezza?

R. - Penso che una delle esperienze concrete da cui partire continui ad essere quella della relazione, della prossimità e anche dell’amore. In fondo noi cogliamo che la nostra vita ha un valore ed è degna di essere vissuta fino al punto di essere addirittura degna dell’eternità, fino a quando siamo amati.

D. - Ma nonostante la secolarizzazione l’uomo nel suo intimo ha ancora sete di Dio. Come poter ravvivare allora questo anelito?

R. - Mi sembra che per certi aspetti la secolarizzazione dà l’impressione di aver annullato il bisogno di salvezza. Ma, per altri aspetti, gli effetti di questo sviluppo tecnico e di una certa mentalità economica rendono ancora più urgente il bisogno di salvezza, soprattutto di molte persone. Forse una delle cose da fare oggi è riprendere a  pensare, non a partire dai primi, ma dagli ultimi.

D. - L’intera mattinata di mercoledì 2 settembre sarà dedicata al dialogo con il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer. In cosa consisterà?

R. - Questa sarà una giornata interessante per due motivi: il primo è che il padre Ladaria  si è occupato come teologo della questione della salvezza. Allora vorremmo chiedergli una sorta di testimonianza del lavoro teologico svolto, perché può essere significativo per gli oltre cento teologi che saranno presenti al nostro congresso.

D. - Cosa vi aspettate da questo convegno?

R. - Avrei un auspicio molto semplice ma credo molto profondo, cioè che attraverso questo congresso possiamo, come teologi italiani, dare un contributo al cammino della Chiesa italiana e di tutta la Chiesa perché il nostro è un servizio teologico, soprattutto perché se noi riusciamo a ripensare a categorie, modelli, che siano plausibili se pensati, con cui dire che Gesù Cristo è la salvezza dell’umanità per l’uomo di oggi, ritengo che facciamo attraverso il nostro servizio teologico anche un servizio ecclesiale.

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Lourdes: oltre 7.000 le guarigioni riconosciute "inspiegabili"

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Era il 1905 quando Papa Pio X chiese di «sottomettere a un processo regolare» le guarigioni inspiegabili che avvenivano nel Santuario di Notre-Dame di Lourdes, in Francia, dove nel 1858 la Vergine Maria apparve a Benardette per diciotto volte. Da questa richiesta nacque il "Bureau des Constatations Médicales". Da allora numerosi sono i casi di risanamenti improvvisi che vengono verificati in questo luogo, l’ultimo è stato riconosciuto nel 2013: si tratta di una donna italiana, Danila Castelli, guarita da un ipertensione molto grave. Sul Bureau ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro

D. - Sono oltre 7.000 le guarigioni inspiegabili riconosciute a Lourdes dal 1862, ma sono solo 62 quelle dichiarate miracolose dalla Chiesa. Qual è la procedura quando avviene un caso di un risanamento improvviso ed inspiegabile? Ascoltiamo Alessandro De Franciscis, medico permanente e presidente del "Bureau des Constatations Médicales":

R. - Una persona si presenta o scrive al Bureau ed è ricevuta e vista dal medico permanente. Ormai io sono il quindicesimo di una serie ininterrotta - il primo non francese - e valuto, mi rendo conto, leggo, ascolto, posso anche visitare ed esaminare. E mi rendo conto se sono o meno di fronte ad una storia di guarigione verosimilmente importante ed inspiegata. In questo caso, posso prendere nota dei dettagli della storia che mi viene raccontata, con gli elementi medici che eventualmente la persona mi dà; e questo avviene mediamente dalle trenta alle quaranta volte l’anno. All’esito di questo primo incontro inizia un percorso, invece, che è teso a cercare di costruire una cartella clinica. Il collegio che deve giudicare si chiama “Bureau”. Il “Bureau” è un insieme di medici e di professionisti della salute presenti a Lourdes: nel giorno della convocazione, si apre una discussione medica, come si fa negli ospedali quando si discute del caso clinico. All’esito di una prima, seconda, terza discussione, si può arrivare a dire che una storia di guarigione era vera, completa, durevole per sempre ed inspiegata secondo le conoscenze mediche. Questa storia, che ormai può aver preso venti-venticinque anni, è presentata dal medico permanente alla Commissione Medica Internazionale di Lourdes, che è una seconda istanza. Se anche la Commissione conferma, a questo punto la guarigione è stata giudicata e confermata essere una guarigione inspiegata.

D. - Tra le tante storie quella di Camilla, una giovane donna francese non credente e sola al mondo, che si ammala di un gravissimo tumore al cervello. Dopo una difficile operazione si reca a Lourdes invitata da un amica e - reticente - fa il bagno nelle piscine. Lì avviene la conversione del cuore. Camilla sente di essere una persona nuova capace di amare. Oggi dopo dieci anni dalla prima diagnosi che le lasciava solo un mese di vita, questa donna conduce una vita normale ed è diventata madre di tre bambini. Ascoltiamo ancora il professor De Franciscis:

R. - Camilla non era malata soprattutto nel corpo: era malata nel cuore. L’esperienza di Lourdes l’ha cambiata: lei ha scoperto l’amore, ha scoperto di essere capace di dare e di ricevere. Questo credo sia il miracolo di Camilla: il fatto che lei sia viva dieci anni dopo una diagnosi così terribile, capace di amare e di essere amata, credo sia la testimonianza di come, indipendentemente dalla guarigione fisica, Lourdes, e la sua grotta, siano il posto dove per ciascuno di noi - se lo vogliamo trovare - ci sia il miracolo.

D. - Cosa vuol dire per lei lavorare a Lourdes?

R. - Sono una persona che vive la ricerca della verità, il lavoro di medico, il servizio ai malati e soprattutto la ricerca della verità nelle storie di guarigione. Ma sono consapevole di essere come affacciato ad una finestra che guarda sul mistero: non lo so spiegare, ma so che c'è. Ed ho imparato a Lourdes a capire la bellezza di sapere, di tanto in tanto, alzare le mani per dire: "questo non lo capisco".

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi europei: diventare autentici custodi del Creato

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Un invito alle Conferenze episcopali d’Europa perché si uniscano all'iniziativa di Papa Francesco di celebrare domani, 1° settembre, una Giornata mondiale di preghiera per la Cura del Creato insieme con i fratelli Ortodossi e perché la preghiera sia occasione per diventare “autentici custodi” di ciò che Dio ha affidato agli uomini. A lanciarlo in un messaggio diffuso oggi e ripreso dall'agenzia Sir, è il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), attraverso la sezione “Salvaguardia del Creato” della sua Commissione Caritas in Veritate. “Il desiderio di condividere l’attenzione alla cura del Creato insieme con la Chiesa ortodossa in Europa - ricordano i vescovi europei - è stato e rimane un tema centrale nei rapporti ecumenici del continente che il Ccee favorisce. 

L’impegno dei cristiani europei per la salvaguardia del creato
Già con le prime due Assemblee ecumeniche europee (Basilea, 1989 e Graz, 1997) il Ccee e la Kek (la Conferenza delle Chiese europee) si davano il compito di esprimere l’impegno dei cristiani europei per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato. Tale desiderio era stato poi ripreso nella Terza Assemblea ecumenica europea (Sibiu, settembre 2007), in occasione della quale i partecipanti raccomandavano che “il periodo che va dal 1° settembre al 4 ottobre venga dedicato a pregare per la salvaguardia del creato e alla promozione di stili di vita sostenibili per contribuire a invertire la tendenza del cambiamento climatico”. 

Il riferimento all'enciclica Laudato si di Papa Francesco
​Nel messaggio, il Ccee fa riferimento alla enciclica Laudato si’ in cui Papa Francesco scrive: “La creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca a una comunione universale’”. Da qui l’invito dei vescovi europei ad “accogliere questo tempo di preghiera come un’occasione per rispondere alla responsabilità a cui il Signore chiama insieme tutti gli uomini, per diventare autentici custodi di ciò che Lui ha affidato loro”. La Sezione “Salvaguardia del Creato” è guidata da mons. André-Joseph Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles e presidente della Conferenza episcopale del Belgio. Ne è segretario il padre Bernard Sorel. (R.P.)

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Libano: spostato ad altra data summit cristiano-islamico

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Il summit islamo-cristiano in programma oggi, presso la sede patriarcale maronita di Bkerkè, è stato rinviato a data da destinarsi. Lo riferiscono le agenzie ufficiali libanesi, citate dall’agenzia Fides, aggiungendo che, invece, anche oggi presso la sede patriarcale di Bkerkè, sono proseguiti gli incontri di personalità e rappresentanti politici ed ecclesiastici cristiani. Al momento non sono state comunicate ufficialmente le ragioni che hanno portato al rinvio del summit islamo-cristiano, ma secondo i media libanesi la riunione sarebbe stata rinviata per la mancata partecipazione di alcuni leader musulmani.

Il dramma dei rifugiati siriani nel Paese
Il summit doveva essere l’occasione per esprimere la comune preoccupazione dei leader delle diverse comunità religiose, cristiane e musulmane, per la paralisi istituzionale che immobilizza il Paese dei Cedri, dove la carica di Presidente della Repubblica, riservata dal sistema a un cristiano maronita, risulta vacante ormai dal maggio 2014. Una situazione drammatica, resa ormai insostenibile dall'enorme afflusso in territorio libanese di rifugiati siriani e dall'esplodere delle proteste sociali - iniziate come proteste spontanee per la mancata raccolta di rifiuti - che stanno scuotendo il Paese, e esprimono ormai i sentimenti popolari di totale e generale sfiducia verso una classe politica considerata incapace di rispondere alle emergenze nazionali e regionali che minacciano l'esistenza stessa della nazione.

I colloqui del patriarca Bechara Rai
Nei giorni scorsi, nel tentativo di verificare tutte le vie praticabili per una soluzione della crisi istituzionale, il patriarca maronita Boutros Bechara Rai aveva già incontrato, uno per uno, i leader politici libanesi, per lunghi e intensi colloqui, a cui non è seguita la pubblicazione di alcun resoconto o comunicato ufficiale. (G.V.)

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Siria: rinviato pellegrinaggio statua Madonna di Fatima

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È stato rinviato per motivi di sicurezza il pellegrinaggio della statua della Madonna di Fatima che doveva tenersi a Damasco il prossimo 7 settembre. A darne l’annuncio è stato il rettore del santuario mariano portoghese, padre Carlos Cabecinhas, dopo aver ricevuto una comunicazione dal patriarca siriano greco-cattolico di Antiochia, Gregorio III Laham: “Essendosi aggravata molto la situazione a Damasco – scrive il patriarca - non è opportuno compiere il pellegrinaggio, tanto desiderato, della Madonna pellegrina di Fatima”. Gregorio III Laham chiede comunque di rimandare l’avvenimento ad un momento “più favorevole” e di non dimenticare i cristiani siriani nelle preghiere dei fedeli.

Non dimenticare vittime del fondamentalismo
Annunciato all’inizio di agosto, il pellegrinaggio mariano in Siria aveva l’obiettivo di manifestare solidarietà e vicinanza ai cristiani in Medio Oriente, uccisi o costretti a fuggire dai militanti del così detto Stato Islamico. In particolare, il vescovo di Leiria-Fatima, mons. António Augusto dos Santos Marto aveva invitato i fedeli a ricordare le vittime “dell’intolleranza e del fondamentalismo”, ribadendo che la Siria “vive una dramma che reclama una solidarietà urgente, concreta, efficace a livello internazionale”, sia da parte dell’Onu che dell’Ue.

Un conflitto che prosegue da 4 anni. Incalcolabili i morti
Esploso a marzo 2011 tra le forze governative e quelle dell’opposizione, il conflitto siriano prosegue da oltre quattro anni. Difficile calcolare le innumerevoli vittime; tuttavia, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Londra, i morti sarebbero circa 210mila. (A cura di Isabella Piro)

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Chiesa Iraq: dossier su abusi subiti dai cristiani di Baghdad

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Sono 14 i casi di espropriazioni abusive dei beni immobiliari dei cristiani di Baghdad documentati nel primo dossier che il patriarcato caldeo ha consegnato ieri ai responsabili del comitato recentemente istituito dalle autorità politiche irachene, con il compito specifico di raccogliere informazioni e disporre misure concrete in merito alle violenze subite dai cristiani nella capitale irachena. 

Nel dossier nomi dei cristiani sequestrati e vittime di estorsioni
La consegna del dossier, avvenuta ieri - riferisce l'agenzia Fides - rappresenta la prima, solerte risposta del patriarcato caldeo alle richieste del comitato ad hoc, che aveva sollecitato da parte della compagine ecclesiale un aiuto nella raccolta di informazioni sui casi di espropri, rapimenti, estorsioni e soprusi che negli ultimi mesi hanno avuto come bersaglio mirato soprattutto i cristiani di Baghdad. Nel dossier, oltre ai casi riguardanti le espropriazioni immobiliari illegali, si riportano anche i nomi dei cristiani sequestrati e fatti vittime di estorsioni.

Il comitato istituito dal Primo Ministro Haydar al-Abadi
Il comitato ad hoc delle forze di polizia per combattere l'escalation di sequestri di persona e di espropriazioni abusive della case e dei terreni subite negli ultimi mesi dai cristiani della capitale irachena era stato istituito nei giorni scorsi su disposizione del Primo Ministro Haydar al-Abadi. I responsabili del comitato, in un incontro con il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, avevano chiesto alla compagine ecclesiale di fornire tutti gli aiuti opportuni per favorire le operazioni di censimento dei beni immobiliari sottratti abusivamente ai nuclei familiari cristiani, raccogliendo i titoli di proprietà e indicando i singoli, i gruppi e gli enti collettivi che adesso usufruiscono degli immobili espropriati illegalmente.

Il fenomeno degli espropri grazie a connivenze e coperture di funzionari corrotti
Negli ultimi mesi sia a Baghdad che in altre città irachene, si erano moltiplicati i casi di abitazioni e terreni sottratti illegalmente ai legittimi possessori cristiani attraverso la produzione di falsi documenti legali, che rendevano di fatto impossibile il loro recupero da parte dei proprietari. Il fenomeno ha potuto prendere piede anche grazie a connivenze e coperture di funzionari corrotti e disonesti. Lo scorso 13 luglio, il patriarca Louis Raphael I aveva rivolto un appello pubblico alle autorità politiche e istituzionali del Paese, chiedendo al governo maggiore protezione contro le bande di delinquenti che attentano ai beni e alle persone. (G.V.)

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India: in Orissa Giornata per le vittime dei pogrom anticristiani

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Si tiene oggi, 31 agosto, in Orissa, la “Giornata della momoria” in cui vengono commemorate le vittime dei massacri anticristiani avvenuti nel distretto di Khandamal nel 2008. Come riferito all'agenzia Fides da fonti della Chiesa locale, alla celebrazione partecipano l’arcivescovo di Cuttack- Bhubaneswar, mons. John Barwa, numerosi preti ed esponenti della Chiesa locale, intellettuali ed attivisti, personalità civili e leader di organizzazioni sociali giunti anche da altri Stati della Federazione. Spiegando lo spirito della Giornata, l’arcivescovo rimarca che “ricordando quegli eventi dolorosi, ci riuniamo in preghiera per le vittime, ribadendo, tutti uniti, il nostro comune impegno a promuovere la pace, la giustizia e la speranza. La fede dei cristiani in Orissa è divenuta più forte di fronte alle persecuzioni”.

Una pagina buia per la storia della democrazia indiana
Sette anni fa, nell'agosto 2008, circa 100 cristiani furono uccisi da una folla di estremisti indù che chiedevano loro di convertirsi. Circa 300 chiese e 6.000 case di cristiani furono saccheggiate, causando 56.000 cristiani senza tetto. La commemorazione delle vittime per quella che viene definita “una pagina buia per la storia della democrazia indiana” si è tenuta anche a Bangalore, nello Stato di Karnataka, il 29 agosto. Scopo delle manifestazioni, afferma un comunicato, è “esprimere solidarietà alle vittime della violenza di Kandhamal, coinvolgendo persone di tutte le classi sociali, religione, sesso e nazionalità, per infondere un raggio di speranza, soprattutto a dalit e tribali cristiani”

A Kandhamal solo 2 dei 27 processi per omicidio sono giunti a conclusione 
“La celebrazione è occasione per riflettere sul tema della crescente intolleranza orchestrata dai gruppi estremisti indù in tutto il Paese, e come tali idee si siano infiltrate nella amministrazione, nella polizia e nei tribunali, erodendo i valori di giustizia, equità, laicità e cittadinanza sanciti dalla Costituzione dell'India” dichiara a Fides Jagadish G Chandra, attivista per i diritti umani. La violenza in Kandhamal è “una questione di giustizia, dato che solo 2 dei 27 processi per omicidio sono giunti a conclusione, e solo 3mila, su oltre 11.300 persone denunciate, sono state condotte in giudizio” conclude Chandra. (S.D.- P.A.)

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Brasile: appello dei vescovi contro la corruzione

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Promuovere il dialogo e combattere la corruzione per preservare la democrazia: questa la “ricetta” indicata dalla Conferenza dei vescovi del Brasile, in una nota diffusa al termine del Consiglio episcopale, svoltosi a Brasilia il 25 e 26 agosto. In quest’ultimo periodo, infatti, il Paese sta vedendo diverse manifestazioni di protesta della popolazione, esasperata dalla crisi economia e da una lunga serie di casi di corruzione che hanno coinvolto persone vicine al presidente, Dilma Rousseff, di cui si richiedono le dimissioni.     

La popolazione paga a caro prezzo la mancanza di riforme
“Coloro che vogliono arricchirsi – scrivono i vescovi nella loro nota, citando la prima Lettera di San Paolo a Timoteo - cadono nella tentazione, e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione”. Di qui, il richiamo alle difficoltà che vive la gente comune a causa di disoccupazione, inflazione e povertà. Si tratta “di un alto prezzo da pagare – notano i presuli – dovuto alla mancanza di volontà politica di fare riforme urgenti e necessari, in grado di collocare il Brasile sulla via dello sviluppo e della giustizia sociale”.

Corruzione, metastasi che uccide il tessuto sociale
In particolare, la Chiesa locale chiede riforme “politiche, tributarie, agrarie, urbane, previdenziali e del sistema giudiziario”. Non solo: i vescovi ribadiscono come la spesa dovuta al debito pubblico ed al risanamento fiscale “comprometta la qualità dell’educazione, renda impossibile la sicurezza ed impedisca importanti conquiste sociali”. “La corruzione – tuonano i presuli – è una metastasi che porta alla morte non solo i poteri costituiti, ma anche il mondo imprenditoriale ed il tessuto sociale e sfida la politica nel perseguimento del bene comune”; per questo, “combatterla in modo intransigente presuppone la garanzia di indagini giuste su tutte le denunce presentate, con la conseguente punizione dei corrotti e dei corruttori”.

Garantire Stato democratico è imperativo etico
Anche perché, ribadisce la Chiesa brasiliana, “la corruzione, generata dalla mancanza di etica ed incentivata dall’impunità, non può essere tollerata”. Richiamando, poi, le numerose esortazioni di Papa Francesco contro questa piaga, i vescovi lanciano un appello affinché sia rafforzata “una cultura inclusiva e democratica”, perché “è inaccettabile che gli interessi pubblici e collettivi vengano sottomessi agli interessi individuali, corporativi e partitici”. “Garantire uno stato di diritto democratico – continuano i presuli – è un imperativo etico e politico dei brasiliani” perché il bene del Paese “esige un radicale cambiamento della pratica politica”. La nota si conclude con la sottolineatura dell’importanza del dialogo, al quale devono prendere parte sia “i poteri costituiti” sia “la società civile organizzata” per “il bene comune del popolo brasiliano”. (I.P.)

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Terra Santa: ospitalità della Chiesa ai richiedenti asilo di Holot

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Dopo l’appello lanciato da padre David Neuhaus, coordinatore della pastorale dei migranti del vicariato di San Giacomo, a Gerusalemme, diverse comunità religiose della Terra Santa hanno offerto ospitalità ai richiedenti asilo eritrei e sudanesi liberati nel campo di detenzione di Holot. Hanno risposto all’appello anche conventi e monasteri di Betlemme, Beit Shemesh ed Haïfa. Una comunità si è offerta di pagare l’affitto per un mese per alcuni richiedenti asilo, un’altra coprirà le spese di alloggio nelle strutture che hanno aperto le loro porte. Dal portale del vicariato di San Giacomo giunge il grazie alla Chiesa di Gerusalemme, che ha risposto generosamente all’appello per gli eritrei e i sudanesi in difficoltà, e l’invito a pregare per “tutti i nostri fratelli e sorelle sofferenti”. (T.C.)

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Restaurato asilo della parrocchia di Gaza

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A un anno esatto dal cessate il fuoco che ha posto fine all'ultima campagna militare condotta nella Striscia di Gaza dall'esercito israeliano contro i guerriglieri palestinesi di Hamas – denominata “Margine di protezione - due nuovi progetti realizzati per sostenere la popolazione civile della zona sono stati inaugurati martedì scorso nel compound della parrocchia latina di Gaza City, dedicata alla Sacra Famiglia, situata nella zona di al-Zeitun. 

Ristrutturata scuola materna e istallato generatore elettrico
Il primo progetto – riferiscono fonti del patriarcato latino di Gerusalemme riprese dall'agenzia Fides – è stato finanziato dal Catholic Relief Service, e consiste nella ristrutturazione completa della scuola materna che la mattina del 29 luglio 2014 era stata devastata dalle bombe degli aerei israeliani. Il secondo progetto, finanziato dalla Ong World Vision, ha consentito di installare un nuovo generatore elettrico a servizio delle attività della parrocchia. Il nuovo dispositivo per generare energia elettrica funziona senza emettere rumore, in modo da non disturbare le attività della scuola collegata alla parrocchia, frequentata da circa 300 ragazzi e ragazze di Gaza.

La parrocchia cattolica latina di Gaza è attualmente guidata da padre Mario da Silva, missionario dell'Istituto del Verbo Incarnato. (G.V.)

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Estonia: 800° della consacrazione del Paese alla Madonna

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800 anni fa, nel 1215, Papa Innocenzo III approvava la consacrazione della Livonia (oggi Estonia e Lettonia) alla Vergine Maria. Nella storia della Chiesa, si trattava di una delle prime consacrazioni di una nazione alla Vergine Maria. Da allora, l’Estonia è conosciuta anche con il nome di “Terra Mariana”. In occasione di questo importante anniversario, il 6 settembre l’amministratore apostolico del Paese, mons. Philippe Jourdan e l’arcivescovo di Riga, in Lettonia, mons. Zbignevs Stankevičs, rinnoveranno la consacrazione dell’Estonia alla Madre di Dio.

Il 6 settembre, Messa di consacrazione nella cattedrale di Tallin
La Messa di consacrazione si terrà alle ore 12.00, nella cattedrale dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a Tallinn. Le celebrazioni proseguiranno poi nella piazza antistante la chiesa. Da ricordare che le commemorazione dell’800.mo anniversario mariano sono state avviate un anno fa, il 7 settembre 2014, con la recita dei Vespri nel monastero di Pirita. Poi, nel corso del 2015, si sono susseguiti altri numerosi eventi celebrativi.

Un Paese che conta 6mila cattolici
La Chiesa cattolica in Estonia è stata costituita in amministrazione apostolica nel 1924 da Papa Pio XI. Oggi è la più vecchia amministrazione apostolica del mondo e conta 9 parrocchie. Il primo vescovo d’Estonia, dopo la Riforma protestante, fu un gesuita tedesco, il vescovo Edward Profittlich nominato nel 1936 ed il cui processo di canonizzazione è attualmente in corso. Poi, fino alla nomina di mons. Jourdan, non vi è più stato un vescovo cattolico residente in Estonia. Attualmente, il Paese conta circa 6mila cattolici ed è, secondo le statistiche, uno dei Paesi meno religiosi del mondo. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 243

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.