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Sommario del 29/08/2015
- Beatificazione mons. Melki. Younan: consolazione per i cristiani perseguitati
- Francesco riceve il cardinale Ouellet
- Card. Parolin sull'immigrazione: stop a polemiche, uniamo le forze
- Santa Sede accetta qualsiasi decisione Onu su questione bandiere
- Wesołowski: confermata causa naturale della morte
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Migranti: aumentano vittime naufragi, l'Onu annuncia vertice
- Libia: fazioni vicine a un accordo con la mediazione Onu
- Siria, l'Is usa armi chimiche? Cnr: indizi più che prove
- Manifestazioni Malaysia, opposizione chiede dimissioni Razak
- Bagnasco: bene l'Onu su immigrati, è un "esodo terrificante"
- Ddl Cirinnà, Simoncini: equipara matrimonio e unioni civili
- Perdonanza. Mons. Petrocchi: è festa di misericordia
- Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
- Libano: summit islamo-cristiano per superare crisi istituzionale
- Vescovi filippini: legalizzazione divorzio banalizza matrimonio
- Intesa Chiese africane-Ua per lo sviluppo del continente
- Senegal: incontro studenti cattolici su tolleranza e solidarietà
- Francescani in India: un’ora di Adorazione per la Giornata del Creato
- Bulgaria: tutela del Creato a Festival internazionale di musica cristiana
Beatificazione mons. Melki. Younan: consolazione per i cristiani perseguitati
Oggi pomeriggio ad Harissa, in Libano, viene proclamato Beato il vescovo siro cattolico Flavien Michel Melki, martirizzato cento anni fa, il 29 agosto 1915, durante le persecuzioni dell'Impero Ottomano. Il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato, presente al rito, ha affermato che è desiderio del Papa che questa Beatificazione sia un messaggio di speranza e incoraggiamento per tutti i cristiani che oggi sono umiliati e oppressi. Presiede la solenne liturgia, il patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan. Ascoltiamolo al microfono di Sergio Centofanti:
R. – È una consolazione che non si può descrivere, perché in questi tempi così difficili - per le sofferenze che patiamo, per le stragi che hanno luogo in Iraq e in Siria, per le violazioni dei diritti dell’uomo che vengono compiute, di fronte ai tanti cristiani che sono dovuti fuggire o sono stati rapiti - per noi questo è un segno di speranza e una grazia che ci è stata data dal Signore!
D. – Qual è per voi, oggi, il messaggio di mons. Melki?
R. – Per noi è una testimonianza: per dire ai nostri fratelli di restare saldi nella fede e nella speranza. Noi abbiamo bisogno della sua intercessione.
D. – Oggi qual è la situazione della Chiesa siro-cattolica?
R. – È una situazione che non si può descrivere, è devastante! Siamo abbandonati, perché non abbiamo né il petrolio né le armi… E quindi siamo stati abbandonati! Chiediamo al Signore che ci aiuti a conservare la fede e la speranza, malgrado tutto!
D. – Come può essere sconfitto il sedicente Stato Islamico?
R. – Si può, se si vuole. In Occidente, purtroppo, i Paesi non hanno ancora trovato un accordo sulla strategia da seguire e quindi lasciano che le cose vadano avanti in questo modo … Vediamo anche il problema dei migranti: perché l’Unione Europea - e tutto l’Occidente - non trovano il coraggio di dire chiaramente il motivo per il quale queste migliaia di migranti arrivano con così tanti rischi, perché ci sono tanti morti? Perché non prendono una decisione comune a livello internazionale? I Paesi arabi, che sono a maggioranza musulmana, hanno vasti territori e miliardi di dollari … Allora perché non dare a questi poveri una sistemazione in qualche regione mediorientale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, e poi aiutarli a ritornare nelle proprie case una volta che la situazione sarà migliorata? E invece nessuno ne parla: questi popoli hanno affinità di lingua, di religione e di cultura. Purtroppo, però, i governanti non sono in grado di far fronte a questo problema…
D. – In occasione di questa Beatificazione, qual è il suo messaggio?
R. – Ringraziamo con tutto il cuore il Santo Padre, Papa Francesco, che è molto vicino a noi e alle nostre sofferenze e che ha voluto che mons. Melki fosse dichiarato “Beato” nel giorno stesso del suo martirio, 100 anni fa. Il Papa ha inviato il suo delegato, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il messaggio è di nuovo quello di rinnovare la nostra speranza, affinché Dio susciti delle buone volontà e buone intenzioni e ci aiuti a rimanere nelle nostre terre, malgrado tutta la sofferenza e tutta l’assurdità delle persecuzioni. Noi abbiamo bisogno dell’aiuto divino, ma questo aiuto verrà tramite i Paesi occidentali, che possono fare qualcosa, perché hanno i mezzi…
Francesco riceve il cardinale Ouellet
Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.
Card. Parolin sull'immigrazione: stop a polemiche, uniamo le forze
Sull'immigrazione "le polemiche non servono a risolvere i problemi, anzi acuiscono le difficoltà ed inaspriscono gli animi”. Lo ha detto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, a margine di una Messa al Policlinico Gemelli di Roma. Nell’omelia, il cardinale, in sostanza, ha chiesto di non considerare la sanità solo un costo. Alessandro Guarasci:
Le tragedie dell’immigrazione nel Mediterraneo e nel resto d’Europa oramai sono quotidiane. Una vera emergenza umanitaria, di fronte a cui non bisogna dividersi dice il cardinale Pietro Parolin:
“Il mio vorrebbe essere, davvero, un appello a tutti a fare il loro dovere. E se qualcuno non lo fa, pensi a qual è la sua responsabilità. Veramente, uniamo le forze per cercare di rispondere a questa emergenza. È un problema mondiale, un problema che esige una risposta ai diversi livelli, con diverse responsabilità, ma che deve vederci tutti coinvolti”.
Insomma, lo scaricabarile delle responsabilità non serve, anzi, inasprisce gli animi, e allontana lo soluzioni. Guardiamo alla Siria: per il cardinale "bisogna richiamare l'attenzione su questo dramma e soprattutto cercare di attivare tutto quanto sia possibile anche da un punto di vista diplomatico”. E a chi accusa la Chiesa di ingerenza quando parla di immigrazione, il cardinale risponde così:
“Io credo che la Chiesa deve parlare e deve parlare anche su questo tema dell’immigrazione, soprattutto nel senso di chiedere a tutti uno spirito e un’apertura all’accoglienza, a non avere paura dell’altro, e a cercare di integrare le differenze per costruire un mondo più giusto e solidale”.
Nell’omelia di fronte ai malati e al personale del Gemelli, il segretario di Stato vaticano ha detto che “la centralità del malato ha una valenza anche sociale ed economica e richiede che si investano risorse per perseguire i valori riassunti nel comandamento dell’amore del prossimo”. Dunque, "niente può rivelarsi tanto disastroso per la fede e per la cultura sanitaria e medica, quanto il perdere di vista la totalità della persona”. Poi, ha ricordato che il 27 giugno dell’anno scorso, il Papa doveva venire in visita al Gemelli, ma l’incontro saltò per un’indisposizione di Francesco. Il cardinale quindi ha detto di sperare ”che questo incontro, prima o dopo, possa” esserci.
Dopo la Messa, Parolin ha visitato il centro dove sono assisti i malati di Sclerosi laterale amiotrofica e di Atrofia muscolare spinale, oltre ai reparti di Ostetrica e Neonatologia.
Santa Sede accetta qualsiasi decisione Onu su questione bandiere
La Santa Sede “non fa obiezioni” alla richiesta che le bandiere di Palestina e Vaticano possano sventolare all’Onu accanto a quelle degli Stati membri, pur essendo consapevole che la tradizione non lo preveda. La precisazione della Santa Sede fa seguito alla bozza di risoluzione presentata dalla Missione palestinese all'Assemblea generale, nella quale si chiede che – in vista del consueto appuntamento di settembre al Palazzo di Vetro dei capi di Stato e di governo e nell'imminenza della visita di Papa Francesco all’Onu – possano essere innalzate accanto alle 193 bandiere dei Paesi membri delle Nazioni Unite anche quelle degli "Stati osservatori non membri", ovvero Palestina e Vaticano.
“In accordo con le regole dell’Assemblea Generale – afferma una nota ufficiale vaticana – nessuno Stato membro o Osservatore ha il diritto di opporsi alla presentazione di una bozza di risoluzione da parte di uno Stato membro” e per questo motivo “la Santa Sede non fa obiezioni alla presentazione di una bozza di risoluzione concernente l’innalzamento delle bandiere degli Stati Osservatori nella sede e negli uffici delle Nazioni Unite”.
Tuttavia, sottolinea la nota, la Santa Sede “prende nota della prassi da tempo stabilita e della tradizione dell’Onu, sin dal 1945, secondo la quale soltanto le bandiere degli Stati membri sono dispiegate nella sede e negli uffici dell’Onu” e dunque, conclude, “accetterà qualsiasi decisione che l’Onu vorrà prendere al riguardo nel futuro”.
Wesołowski: confermata causa naturale della morte
“Dalle prime conclusioni tratte dall’esame macroscopico, risulta confermata la causa naturale del decesso, riferibile ad evento cardiaco”, dell’ex nunzio polacco Józef Wesołowski: è quanto rende noto un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede in riferimento all’esame autoptico, effettuato ieri pomeriggio da una Commissione peritale di tre esperti, coordinata dal prof. Giovanni Arcudi, docente di Medicina Legale nell’Università di Roma “Tor Vergata”, nominata dall’Ufficio del Promotore di Giustizia vaticano. Nei prossimi giorni, tale Ufficio “acquisirà le ulteriori risultanze degli usuali esami di laboratorio effettuati” dalla Commissione.
L’ex nunzio era stato trovato morto nelle prime ore di venerdì mattina, nella sua abitazione in Vaticano. Wesołowski era accusato di atti di pedofilia e detenzione di materiale pedopornografico, reati per i quali era stato rinviato a giudizio presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ed era stato condannato in prima istanza alla dimissione dallo stato clericale.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Cosa conta più dei dati sul pil: in prima pagina, il vicedirettore sull'economia brasiliana in recessione.
Dall'idolatria al disincanto: l'arcivescovo Bruno Forte sull'Apocalisse e sulla domanda sul senso della vita e del dolore.
La rivelazione in quell'abbraccio: Francesca Romana De' Angelis su "Scrivere di sacro", una raccolta di saggi di Maria Luisa Doglio.
Non solo Gomorra: Silvia Guidi recensisce la mostra "La luce vince l'ombra. Gli Uffizi a Casal di Principe" allestita nella Casa don Peppe Diana.
Il grido dei cristiani invoca solidarietà: appello del cardinale Angelo Amato alla beatificazione del vescovo Melki.
Migranti: aumentano vittime naufragi, l'Onu annuncia vertice
Si aggrava il bilancio dell’ultimo naufragio di migranti al largo della Libia, mentre dalla comunità internazionale arrivano appelli a coordinare gli sforzi per evitare nuove tragedie e l’Onu annuncia un vertice straordinario a settembre. Il servizio di Davide Maggiore:
È cresciuto ad almeno 111 vittime il bilancio del naufragio avvenuto giovedì di fronte alle coste della Libia e varie decine di persone risultano ancora disperse. Proprio a questa vicenda sembrano legati i tre arresti effettuati dalle autorità locali a Zuwara, la città al largo della quale i due barconi erano naufragati. E mentre continuano le operazioni di soccorso in mare, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ha esortando gli Stati a “fare molto di più” per i migranti. Quella che stiamo attraversando, ha chiarito Ban, “è una crisi di solidarietà, non di numeri”. Per affrontarla, i leader mondiali si riuniranno al palazzo di vetro il prossimo 30 settembre, in coincidenza con l’apertura dell’Assemblea generale. E un appello all’Europa ad agire “con energia ed efficacia” contro i trafficanti è arrivato anche dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
E nell’assistenza a migranti e profughi arrivati in Italia in questi mesi sono attive anche molte realtà della Chiesa, come le missionarie scalabriniane della comunità di Siracusa. Suor Teresinha Santin è una di loro. Questa è la sua testimonianza:
R. – Noi viviamo tanta sofferenza, vediamo tante tragedie, ma allo stesso tempo abbiamo capito anche la speranza che i migranti portano con sé: quando vediamo il loro sorriso nel momento dello sbarco, quando alzano le braccia al cielo e dicono: “Grazie, perché siamo vivi; perché abbiamo speranza che la vita continui”. Abbiamo visto anche il loro cuore speranzoso, quando ci dicono “Mamma, sono senza dolore, penso che fra poco tempo starò bene, potrò lavorare, completare essere pieno di la mia gioia”. Questo per noi è il segno che loro hanno davvero forte, la speranza di vivere e di costruire un mondo, una famiglia, uno spazio di gioia e di libertà.
D. – In questo senso, cosa possiamo fare noi per far sì che questa gioia non vada perduta?
R. – La cosa più grande, la prima cosa, è stare loro accanto: dare il proprio tempo, dare il proprio sapere e dare la propria gioia. Non fa niente se in questo momento non capiscono la lingua, noi possiamo stare loro vicino e con questo alimentare la speranza, aiutarli anche a pensare che hanno dei diritti e che prima di essere migranti sono esseri umani.
D. – In questo senso, anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha detto: “Questa non è una crisi che riguarda i numeri”. Quindi, bisognerebbe veramente cominciare innanzitutto a non vedere più solo i numeri, ma anche i volti e le storie delle persone…
R. – I numeri sono veramente relativi, perché penso che si debba andare alla radice delle situazioni e aprire le braccia della solidarietà, guardare la vita umana. Per noi una persona, nel senso dell’essere umano, è tutto.
D. – Lei ha accennato alle attività della Chiesa di Siracusa a favore dei migranti…
R. – Questa diocesi è molto attenta, molto accogliente. Molto spesso, durante la celebrazione della Messa, parlano e richiamano l’attenzione alla solidarietà e alla vita. Tante chiese danno da mangiare ai migranti. Parlo di Chiesa, intendendo anche i cittadini, i battezzati, che si mettono seduti in piazza, dove sono i migranti, per stare loro vicino, che li portano in ospedale quando hanno bisogno. Per me, tutto questo è segno visibile dell’amore di Dio attraverso la Chiesa.
Libia: fazioni vicine a un accordo con la mediazione Onu
Il dialogo mediato dalle Nazioni Unite per la soluzione della crisi libica dovrebbe far giungere a un accordo "nelle prossime due settimane". Lo ha detto l'inviato Onu per la Libia, Bernardino Leon, a margine dei nuovo round negoziale tra le fazioni libiche che si è chiuso ieri a Skhirat, in Marocco. Le parti si rivedranno giovedì a venerdì prossimi a Ginevra, in Svizzera, dove le delegazioni presenteranno le loro candidature sul futuro primo ministro e i due vicepremier del nuovo governo di Unità nazionale. Leon ha quindi esortato il governo di Tripoli a partecipare al tavolo. Per un’analisi dello stato delle trattative, Marco Guerra ha intervistato Antonio Morone, ricercatore in Storia dell'Africa presso l'Università di Pavia:
R. – Questo ovviamente non è il primo accordo che si costituisce per una pace in Libia, ma fa seguito anche a una serie di round diplomatici che si sono susseguiti negli ultimi mesi. Quello che in realtà fa ben sperare per quest’ultimo accordo non sono tanto i cambiamenti o le novità sul fronte diplomatico, quanto invece quelli sul campo, in Libia. Le trattative diplomatiche, spesso e volentieri, riflettono la situazione sul campo. La differenza fondamentale è che, dall’inizio del Ramadan – all’inizio di luglio – l’attività militare in Libia è consistentemente diminuita e soprattutto è venuta meno quell’iniziativa del governo di Tripoli, che l’Occidente non riconosce, intesa a occupare le posizioni di Zintan, i maggiori alleati in Tripolitania del generale Haftar, e i migliori alleati dell’Occidente. La rinuncia di Tripoli a una iniziativa militare contro Zintan, e contro le ultime sue posizioni, è stata maturata a seguito di due fenomeni in contemporanea: da un lato, un sostanziale auto-esaurimento di entrambi i fronti, nei quali nessuno dei due è riuscito a prevalere, e dall’altro lato l’irruzione sulla scena della nuova fazione costituita dal sedicente Stato islamico.
D. – Quindi, è possibile riportare al tavolo negoziale il governo di Tripoli non riconosciuto dalla comunità internazionale?
R. – Questo sarà possibile se lo stesso Occidente deciderà di avere un atteggiamento molto più flessibile e possibilista verso quello che in realtà è il governo, o comunque l’insieme di istituzioni che controllano una parte importantissima della Libia. L’Occidente ha continuato, e continua tuttora, a riconoscere il governo e il parlamento di Tobruk, ma in realtà le istituzioni di Tobruk sono sempre più una sorta di governo quasi “in esilio”, di fatto confinato al margine stesso della Libia, dove la comunità internazionale finisce a sostenere un governo e delle istituzioni che valgono solo nel rapporto con l’esterno e non hanno praticamente nessuna capacità di governare sul Paese.
D. – In questo caos, si sono inseriti i miliziani dello Stato islamico che controllano importanti città, come Sirte. Questa è un’altra sfida difficilissima per le varie fazioni libiche…
R. – L’Is non è arrivato in Libia, ma in qualche modo ha una sua genesi autonoma: sin dal 2011, non a Sirte ma a Derna c’è stato un movimento molto importante di jihadismo ed estremismo islamico, che a quel tempo era stato immediatamente associato al Califfato. E quindi, in effetti, la natura dell’Is in Libia ha una genesi autonoma che però si è andata sempre più internazionalizzando. Qui, sicuramente si dimostra l’importanza del governo di Tripoli – che di fatto è una gemmazione delle logiche rivoluzionarie di Misurata – la sua grande importanza, perché, proprio nel combattere l’Is, le milizie di Misurata, che non sono diverse da quelle di Tripoli, hanno e stanno dimostrando una importanza assolutamente non secondaria. Però, almeno da questo punto di vista, sul campo la situazione non è per niente favorevole alle trattative internazionali. Come dicevo prima, se nell’ovest del Paese si è per il momento entrati in una fase di tregua, nel centro invece – nel golfo, e in particolare nel cielo di Sirte – i combattimenti hanno dimostrato invece una grande recrudescenza e almeno per il momento non ci sono indicazioni che fanno sperare per la prevalenza di una forza o dell’altra. Anzi, in realtà l’Is in Libia ha dimostrato una crescente capacità di operare, e anche al di fuori di Derna e Sirte, secondo una logica di progressiva espansione.
Siria, l'Is usa armi chimiche? Cnr: indizi più che prove
Il sedicente Stato islamico potrebbe aver usato armi chimiche in Siria, oltre che in Iraq. L’eventuale utilizzo del cosiddetto gas mostarda, sarebbe avvenuto la settimana scorsa nei pressi di Aleppo. A scriverlo è stato il sito del quotidiano britannico “The Guardian”, che cita medici ed esperti e la loro denuncia di sintomi su pazienti compatibili con l’esposizione a un agente chimico. Crescono dunque i timori circa la possibilità da parte dell’Is di reperire gas tossici e condurre una guerra chimica. Francesca Sabatinelli ha raccolto il parere del chimico Matteo Guidotti, dell’Istituto di scienze e tecnologie molecolari del Cnr di Milano:
R. – Sicuramente queste indicazioni possono risultare essere un indizio più che una prova, si è dimostrato anche in passato, proprio in Siria, con le operazioni dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, l’Opac, con sede all’Aja. L’unica prova provata, e dimostrata, dell’utilizzo o meno di quali agenti tossici possono essere stati utilizzati è con campionamenti ‘in situ’, ossia nelle zone degli eventuali attacchi, bombardamenti o utilizzi, laddove, dal punto di vista chimico, rimangono impronte digitali, molecole, che vengono utilizzate, e che possono essere individuabili, ma dopo analisi non assolutamente poco semplici, poco veloci e che richiedono più settimane per essere confermate o smentite, e quindi per poter dire che sono stati utilizzati questi agenti, o questi altri agenti, oppure non è stato ritrovato nulla.
D. – Quante volte gli allarmi lanciati sull’utilizzo delle armi chimiche sono stati poi comprovati nella storia degli ultimi decenni?
R. – Si deve fare un principale distinguo dal punto di vista dell’utilizzo deliberato tra eserciti di Stati sovrani, per esempio il caso della guerra Iran-Iraq degli anni ’80, e l’uso terroristico dove spesso, anche in piccoli laboratori clandestini, relativamente artigianali, di piccola scala, c’è la possibilità di produrre piccole quantità per utilizzi in ambienti chiusi, come è stato per la metropolitana di Tokyo (1995 attentato con il sarin che uccise 12 persone e ne intossicò oltre seimila ndr). Fatto questo distinguo, sicuramente il grosso utilizzo, dopo la seconda guerra mondiale, c’è stato negli anni 80 nella guerra, come si diceva prima, Iran-Iraq, mentre nelle due guerre del Golfo, dal punto di vista delle prove sperimentali, tecniche, seguite sul campo, circa l’utilizzo di armi chimiche ancora sussistono forti dubbi. Anche di fronte a eventuali patologie, come la sindrome dei militari che hanno partecipato alle operazioni nel Golfo, il rapporto causa-effetto con agenti chimici altamente tossici non permessi, quindi banditi a livello internazionale, sussistono ancora delle perplessità.
D. – Quanto sterminio viene fatto con l’arma chimica, rispetto alle centinaia di migliaia di morti ai quali stiamo assistendo negli ultimi anni?
R. – Dalla prima guerra mondiale ad oggi già il nome ‘arma chimica’ o ‘agenti chimici tossici’ produce sconforto e paura. In realtà, guardando dati che si sono accumulati dalla prima guerra mondiale, considerando anche gli studi durante la guerra fredda, soprattutto eseguiti egli anni ‘60-‘70 in Germania orientale, nella ex Ddr, l’efficacia e l’utilità dal punto di vista bellico e tattico di queste armi è relativamente limitata rispetto alle armi convenzionali, alle granate, all’esplosivo convenzionale che, purtroppo, tutti i giorni dell’anno, in tutto il mondo, viene utilizzato. Perché in realtà ci sono metodi relativamente efficaci di protezione, ammesso e non concesso di averli a disposizione, discorso diverso assolutamente è quando questi armamenti vengono impiegati contro la popolazione inerme, nel caso terroristico, o quando non ci si aspetta un attacco di questo tipo, a questo punto la letalità può essere maggiore. Ma spesso, dal punto di vista percentuale, non è così drammatica, si parla di percentuali quali il 5-10% di letalità, spesso paragonabile a quella degli armamenti del tutto convenzionali.
D. – Non si vuole sottovalutare la drammaticità o la gravità dell’utilizzo di armi chimiche, per le quali esistono convenzioni che le mettono al bando, è certo però che si dovrebbe evitarne anche l’utilizzo verbale come propaganda. C’è il rischio, a suo giudizio, che l’arma chimica venga usata come propaganda politica?
R. – Quello purtroppo sì. Un po’ per l’impatto psicologico che sull’opinione pubblica ha la parola ‘arma chimica’. Teniamo inoltre presente che l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha riscosso ormai la firma di quasi tutti gli Stati, ma non di tutti, mancano ancora, in modo particolare nell’area del Medio Oriente, Israele e Egitto, che non sono ancora firmatari, la stessa Siria fino ad un paio di anni fa non lo era, in questo caso non si deve obbligatoriamente sottostare a queste regolamentazioni a livello di diritto internazionale. Questo non vuole assolutamente giustificare la tragicità di questi eventi, stiamo sempre parlando di atti di guerra in cui c’è gente che muore, però spesso può diventare il casus belli, la motivazione per cui promuovere ed incoraggiare o spostare l’opinione pubblica verso un atteggiamento di intervento, spesso anche di forza, militare, in alcune aree dove comunque un conflitto già esiste, che provoca e ha provocato molti morti, e dove una situazione di tragicità e grande difficoltà è, o era, già presente.
Manifestazioni Malaysia, opposizione chiede dimissioni Razak
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza, oggi, in diverse città della Malaysia per chiedere le dimissioni del primo ministro, Najib Razak, accusato di corruzione e di appropriazione indebita di fondi statali per 700 milioni di dollari. Gli oppositori, riuniti nella coalizione Bersih, chiedono anche riforme strutturali per migliorare l’economia di un Paese che, pur florido, attraversa la peggiore situazione di crisi degli ultimi dieci anni. Della situazione in cui versa il Paese del Sudest asiatico, Roberta Barbi ha parlato con il prof. Francesco Montessoro, docente di Storia e istituzioni dell’Asia all’Università statale di Milano:
R. – La Malaysia è senz’altro un Paese prospero e in via di reale sviluppo: negli ultimi 15 anni, ha superato la crisi di fine Novecento, che fu una crisi drammatica, uscendone politicamente abbastanza stabile. La Malaysia è sempre la terza economia dell’Asia sudorientale: è un Paese dalle grandi potenzialità, ma si è avvitata in una crisi. Soprattutto c’è il ribasso dei prezzi dell’energia – del petrolio e del gas naturale – dell’ultimo anno. La Malaysia è il primo produttore energetico dell’Asia sudorientale e ha avuto da questa tendenza ripercussioni negative straordinarie.
D. – Il partito del primo ministro è ininterrottamente al potere dal 1957, anche se per governare alle elezioni del 2013 ha dovuto ricorrere a una coalizione. È possibile, dunque, che si arrivi a breve a una svolta politica, in Malaysia?
R. – Questo è difficile stabilirlo. La Malaysia si regge su un sistema politico abbastanza particolare: è una sorta di federazione di Stati diversi, retti da tante monarchie. Sono i residui del sistema lasciato in eredità dal dominio coloniale britannico. Dal punto di vista etnico, è un Paese che si divide in tre. Più del 50% è composto da malesi che esprimono sostanzialmente un partito, vi è poi un partito cinese e infine un partito che corrisponde alla minoranza indiana. Noi abbiamo una situazione politica che negli ultimi 15 anni è particolare: una grande capacità di mantenere stabile il Paese, esercitata dal partito di maggioranza – l’Umno (United Malays National Organisation), che è etnicamente malese – si è progressivamente indebolita. Questo attuale governo è un governo per certi aspetti fragile sotto il profilo politico. Inoltre – ed è questo l’elemento scatenante della crisi – l’attuale primo ministro, Najib Razak, è accusato di corruzione. Tra i grandi oppositori che chiedono le dimissioni del primo ministro, vi è un ex primo ministro che è stato il capo carismatico del partito malese, Mahatir Mohamad, che dunque appartiene allo stesso partito dell’attuale primo ministro.
D. – Il Paese ha subito un forte deprezzamento della moneta nazionale, il debito pubblico e quelli personali delle famiglie sono alle stelle e le esportazioni in forte calo. I manifestanti, infatti, chiedono anche riforme strutturali…
R. – In realtà, è difficile che si possano verificare a breve trasformazioni significative, anche perché il quadro internazionale è sfavorevole. E poi, bisogna considerare un secondo elemento: che l’opposizione non è affatto un’opposizione in buona salute. Il leader di riferimento dell’opposizione, Anwar Ibrahim, è attualmente in carcere, anche se riesce in qualche modo a fornire indicazioni di linea. Se si potrà effettuare un cambio al vertice con le dimissioni del primo ministro Najib Razak, difficilmente si potrà giungere a un governo diverso da quello attuale, o comunque un governo fondato ancora una volta sul partito malese di maggioranza relativa.
D. – Il governo ha anche oscurato il sito Internet del gruppo di opposizione Bersih. Si profila anche una grave limitazione della libertà d’espressione e d’opinione?
R. – Questa non è una novità: la Malaysia è un Paese a democrazia limitata. Il controllo sulla magistratura, il controllo esercitato sui mass media è da sempre un elemento fondamentale per la conservazione del potere da parte di questa inossidabile maggioranza politica.
Bagnasco: bene l'Onu su immigrati, è un "esodo terrificante"
Il fenomeno dell’’immigrazione è “un problema umanitario” al quale nessuno Stato europeo può voltare le spalle. Lo ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, che da ieri e per tutta la giornata di oggi sta vivendo con la città di Genova la tradizionale festa mariana che ha come epicentro il Santuario della Madonna della Guardia. Tra i temi toccati dal presidente dei vescovi italiani, anche la famiglia, le unioni civili, la crisi economica e il caporalato nel Sud Italia. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Finalmente. Un po’ tardivo”, ma “un bel segno” che “accogliamo con tanta speranza”. È un sollievo lievemente critico quello che esprime il cardinale Bagnasco quando gli giunge la notizia che il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha deciso di dare al tema dell’immigrazione la priorità nel vertice che a fine settembre riunirà capi di Stati e di governo al Palazzo di vetro di New York.
Migranti, responsabilità di tutti
Nella serata di ieri, l’arcivescovo di Genova aveva apprezzato anche l’apertura della cancelliera tedesca, Angela Merkel, ritenendola “un cambio di marcia” rispetto al dramma delle masse di migranti in movimento verso l’Europa, definite dal porporato un “esodo terrificante” dal quale “nessuno Stato europeo si può sentire esente”.
Famiglia: papà, mamma, figli
Le domande fioccano e il cardinale Bagnasco non si sottrae. Gli chiedono un parere sul riconoscimento delle unioni di fatto e il porporato ricorda che i “diritti individuali” sono “già in larga parte riconosciuti”. Sul rovescio della medaglia c’è la difesa della famiglia e il presidente della Cei ribadisce che “la posizione della Chiesa non è contro nessuno” e “crede nella famiglia come la Costituzione riconosce: un papà, una mamma, i bambini in un patto coniugale di amore basato sul matrimonio”. Ma anche, soggiunge, è “la base della società, del vivere insieme perché è il grembo della vita” nel quale i bambini naturalmente nascono, visto che i figli “sono da generare” e “non da produrre”. E all’omelia della Messa di stamattina la riflessione idealmente prosegue quando il cardinale Bagnasco indica la famiglia come “la grande inquisita e la Cenerentola”, falsamente dipinta come luogo di “ferite” e “situazioni insormontabili” da chi ha interesse a minarne la solidità.
Basta schiavi dei “caporali”
Un pensiero, il porporato lo dedica anche al “fenomeno tragico” del caporalato nel meridione italiano. “Di fronte a queste morti per sfruttamento da schiavi – dice – nessuno può girarsi dall‘altra parte o sentirsi disinteressato pensando ‘non mi riguarda‘". E ancora un’osservazione, anzi un auspicio sul tema della crisi: “Dobbiamo fare uno sforzo maggiore a livello di investimenti, senza aspettare fatalmente che vengano dall'estero”, è l’opinione del presidente della Cei. “Bisogna che in Italia tiriamo fuori, chi ha le possibilità, che ci sono e molte, degli investimenti per salvare le nostre aziende precedendo i capitali esteri”.
Ddl Cirinnà, Simoncini: equipara matrimonio e unioni civili
In tema di unioni civili è acceso il dibattito in Italia tra chi chiede di riscrivere completamente il ddl Cirinnà e chi vorrebbe modificarlo solo parzialmente. L’equiparazione al matrimonio potrebbe rendere incostituzionale il testo che mercoledì tornerà sul tavolo della commissione giustizia del Senato. Preoccupa il nodo adozioni che secondo gli oppositori al provvedimento rappresenterebbe una chiara apertura alla pratica dell’utero in affitto. Paolo Ondarza ha raccolto l’opinione di Andrea Simoncini, docente di diritto costituzionale all’Università di Firenze:
R. – Per fortuna, noi siamo dotati di una bussola fondamentale per risolvere queste questioni così delicate sul piano del pluralismo sociale, ideale, culturale che è la nostra Costituzione. Perciò, a me sembra che da un lato la necessità di dare una regolazione a queste nuove forme di unione, di relazione che emergono dalla società sia un’esigenza perfettamente compatibile con il nostro sistema costituzionale; dall’altra, la nostra Costituzione si fonda sul riconoscimento della specificità del ruolo della famiglia e del matrimonio.
D. – Proprio oggi il cardinale Bagnasco ha detto: “I diritti individuali sono già in larga parte riconosciuti e tutelati” …
R. – Il nostro sistema – fortunatamente – per 60 anni di Costituzione repubblicana, è un sistema che prevede una forma cospicua, numerosa, articolata di riconoscimento dei diritti individuali e quindi sicuramente la base per una discussione aperta, civile, trasparente deve partire dal riconoscimento di quello che già c’è; ovviamente se si deve intervenire, va fatto su quello che manca.
D. - ... tenendo presente che, secondo le raccomandazioni della Corte Costituzionale, oltre alla necessità di riconoscere le unioni civili, occorre evitare l’omologazione al matrimonio. Dal suo punto di vista, nel ddl Cirinnà matrimonio e unioni civili sono omologati?
R. – Intanto faccio una premessa a questa risposta. Il disegno di legge Cirinnà è una proposta di legge parlamentare che è diventato un po’ il simbolo di questa discussione. Ricordo a tutti che il procedimento legislativo si fonda sull’idea che ognuno sia disposto a modificare le proprie proposte proprio per arrivare ad un assetto più comprensivo e più pluralistico. Fatta questa premessa, dico che a me sembra che il disegno di legge Cirinnà in maniera chiara abbia presente in maniera chiara questa equiparazione o omologazione tra due forme che sono distinte e che la nostra Costituzione ci chiede di tenere distinte. Quindi penso che ci si debba lavorare.
D. – C’è poi il nodo delle adozioni. Secondo alcuni, affrontare la questione nella legge Cirinnà potrebbe essere inappropriato, e quindi si suggerisce di discuterne in una disciplina specifica della tutela dei minori e dell’adozione. Lei come la pensa?
R. – Io penso che questa linea sia condivisibile, nel senso che certe volte – come dire – per fare meglio, si perde anche il bene. A mio avviso non è bene inserire anche il tema “adozione”, che è un tema che – ricordo – ha una prospettiva molto differente da quella delle unioni civili: nelle unioni civili stiamo parlando dei diritti dei singoli, delle coppie; nell’adozione stiamo invece parlando essenzialmente dei minori! E’ una prospettiva che richiede attenzione, calma e soprattutto una omogeneità di disciplina. A mio avviso, mettere tutto insieme finirebbe – probabilmente – per non produrre l’assetto migliore. Io penso che il presupposto fondamentale per la discussione di questi temi sia cercare di distinguere il piano della battaglia ideologica dal piano tecnico di chi, usando ragione e natura, cerchi di individuare una soluzione possibile.
D. – “Ragione e natura”, diceva …
R. – Sono i punti cardinali con cui si deve entrare nel dibattito politico: lo ricorda Papa Benedetto XVI. Così come la Chiesa cattolica non ha mai preteso di desumere dai precetti morali il contenuto delle regole politiche-legislative, altrettanto occorrerebbe che chi partecipa in questa discussione, partendo da altri presupposti ideologici, abbia il coraggio di utilizzare “ragione”, “apertura” e “osservazione della realtà” – osservazione leale della realtà – come i punti su cui lavorare. Tutti dovremmo fare questo sforzo di seguire questo grande suggerimento di Papa Benedetto XVI.
Perdonanza. Mons. Petrocchi: è festa di misericordia
Quindicimila persone – tra le quali duemila figuranti in costumi storici – hanno partecipato e animato ieri a L’Aquila la processione verso la Basilica di Santa Maria di Collemaggio per l’apertura della Porta santa. Il rito, presieduto a nome del Papa dal cardinale Beniamino Stella, ha dato il via alle celebrazioni per la Perdonanza Celestiniana. Al microfono di Rosario Tronnolone, il vescovo del capoluogo abruzzese, mons. Giuseppe Petrocchi, mette in relazione l’antica indulgenza plenaria concessa da Celestino V con il prossimo Giubileo della Misericordia:
R. – Dobbiamo ricordare che questo evento di grazia, che continua una straordinaria intuizioni carattere teologico e pastorale, precede di sei anni l’indizione del primo Giubileo datato 1300. Dunque, abbiamo ragioni fondate per ritenere che Bonifacio VIII si sia largamente ispirato alla Bolla del Perdono che aveva emanato Celestino V. Questo fattore di carattere storico ha anche una sorprendente attualità, perché tra la Perdonanza Celestiniana e il Giubileo della Misericordia che prossimante verrà aperto a Roma esiste una linea diretta: la Porta santa che ieri è stata aperta nella Basilica di Collemaggio è una sorta di strada che conduce la comunità ecclesiale sociale aquilana, e non solo, verso la celebrazione che ha indetto Papa Francesco.
D. – Lei ha parlato della Bolla del Perdono, che tra l’altro viene esposta nella giornata del 29 agosto, portata ieri in un tradizionale corteo...
R. – Si, rivolgendomi alla folla dei fedeli che era riunita per l’apertura della Perdonanza, ho detto che esiste una spiritualità ed esiste anche una cultura della Perdonanza che, se assimilate, aiutano la città de L’Aquila a percorrere le vie della ricostruzione. La Perdonanza – che dura dai vespri del 28 agosto ai vespri del 29 agosto – viene vissuta in una dimensione di profonda interiorità, di volontà di conversione chiesta al Signore. In questo momento particolare, la confessione sacramentale viene praticata da moltissime persone che si avvicinano al Sacramento della riconciliazione. Quindi, è all’insegna di una grande sobrietà: c’è una sorta di silenzio raccolto che avvolge tutta la celebrazione, per poi diventare più festa anche partecipata, espressa attraverso i vari linguaggi dell’arte, dopo la celebrazione che avverrà stasera alle ore 18, a conclusione della Perdonanza.
D. – Quindi, è importante partecipare alla Perdonanza, rendersi conto che è un’occasione per sperimentare la misericordia divina…
R. – Certamente, perché in questo caso la rievocazione storica rappresenta una sorta di “involucro” che avvolge un tesoro. Io ricordo che gli ultimi Papi soprattutto hanno insistito molto sul fatto che il perdono è la via maestra che consente di praticare la giustizia. E la giustizia è la porta che consente di entrare nella pace, perché il perdono non è rassegnazione, non è rinvio perdente rispetto a una prepotenza o a un male subìto. Il perdono esprime invece il coraggio evangelico, la forza che ci viene dalla grazia. Il perdono è l’unica proposta che consenta di rendere credibile e fattiva la giustizia.
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
Nella 22.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù rimprovera i farisei, perché sono attenti ai riti esteriori di purificazione ma trascurano la purezza del cuore:
«Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini"».
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti:
E’ facile oggi, ascoltando la pagina del Vangelo di Marco che parla di “tradizioni antiche”, di leggi del tutto irrilevanti per noi, tirarsi fuori, pensando che questo non ci riguarda. Eppure la tentazione dei Farisei di tradurre tutta la Scrittura in un insieme di leggi – 613 precetti, con le quali concludere il nostro rapporto con Dio – è ben presente anche oggi. Scrive il Padre Cantalamessa: “Il fariseismo non è finito con i farisei, ma insidia anche oggi la vita religiosa degli uomini. Anche oggi c’è il rischio di ridurre la fede a certe pratiche religiose formalistiche e di credersi tanto più pii e a posto con Dio quanto più numerose sono le devozioni che coltiviamo, le candele che accendiamo, i rosari che recitiamo, i pellegrinaggi che facciamo e, dall'altra parte (cioè dalla parte del clero), tanto più sono le strutture e le associazioni che facciamo funzionare, le tradizioni degli antichi che manteniamo in piedi” magari facendo di esse un pretesto per rifiutare i segni dei tempi e opporci all’azione, sempre creatrice e innovatrice, che lo Spirito svolge nella Chiesa. Dio ha poco o nulla a che fare con questa osservanza esteriore di una legge che non converte il cuore. Dio è innamorato del cuore dell’uomo. Ed è proprio perché dal cuore dell’uomo, dove si è insediato il maligno, “escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”, che il Padre ha mandato il Figlio suo a ristabilire il suo Regno di giustizia e d’amore proprio nel cuore dell’uomo. Accogliamo oggi il suo dono.
Libano: summit islamo-cristiano per superare crisi istituzionale
Porre fine alla paralisi istituzionale che attanaglia il Libano: con questo scopo, il 31 agosto si terrà, presso la sede patriarcale maronita di Bkerkè, un summit religioso islamo-cristiano. Come riferisce l’agenzia Fides, l’auspicio è che l’incontro possa dimostrare e far pesare la convergenza tra i leader delle diverse comunità religiose cristiane e musulmane libanesi riguardo all’urgenza di far uscire il uscire il Paese dallo stallo politico.
Un Paese senza presidente da maggio 2014
Da ricordare che il Libano è senza Presidente dal 25 maggio 2014, da quando cioè è finito il mandato di Michel Sleiman. Da allora si sono tenute numerose sessioni parlamentari per l’elezione, ma il parlamento libanese non ha mai raggiunto il quorum necessario per il voto. In tutti questi mesi, sono stati numerosi gli appelli dei vescovi maroniti per cercare una soluzione alla crisi istituzionale.
L’appello dei vescovi maroniti
L’ultimo, in ordine di tempo, risale ai primi di agosto quando a Dimane si è tenuto l’incontro mensile con i superiori degli ordini religiosi maroniti: in quell’occasione, i presuli hanno sottolineato che “la paralisi politica e la crisi economica che ne deriva richiedono a tutti di mettere al primo posto l’interesse nazionale e di preservare l’unità nazionale, perché non è possibile per il Libano superare le sue crisi politiche se viene esposto a scosse che minacciano la sua unità”. Di qui, l’invito ai parlamentari apresentare i loro candidati definitivi alla presidenza della Repubblica e di partecipare all’elezione in maniera democratica e costituzionale”. (I.P.)
Vescovi filippini: legalizzazione divorzio banalizza matrimonio
Una “legge pericolosa” che prelude alla piena legalizzazione del divorzio nel Paese. È il giudizio espresso dai vescovi delle Filippine sulla proposta di emendamento del Codice di Famiglia che permetterebbe ai cittadini filippini, che hanno ottenuto un divorzio all’estero, di risposarsi.
Un tentativo di legalizzare il divorzio nelle Filippine
Il testo, approvato nei giorni scorsi in terza ed ultima lettura dalla Camera dei Rappresentanti, propone anche una semplificazione delle procedure burocratiche per il riconoscimento di una sentenza di divorzio ottenuta in un altro Stato da un cittadino straniero. Per mons. Ramon Arguelles, arcivescovo di Lipa, citato dall’agenzia Ucan, la modifica proposta è un tentativo di reintrodurre il divorzio, vietato nel Paese dal 1950. Il vescovo di Cubao Honesto Ongtioco ha ribadito, da parte sua, che la posizione della Chiesa non muta, “anche se alcuni invocano cambiamenti”.
Il dibattito sul divorzio nelle Filippine
La nuova proposta di legge, insieme ad un’altra analoga presentata al Senato, si inserisce nel vivace dibattito, in corso in questi anni nelle Filippine, sul divorzio. Nel Paese, infatti, cresce la pressione delle forze politiche, ma anche dell’opinione pubblica per reintrodurlo. A rafforzare il fronte divorzista ha contribuito anche la legalizzazione del divorzio a Malta, dopo il referendum del 2011.
La legalizzazione del divorzio banalizzerebbe il vincolo matrimoniale
Un sondaggio condotto nella scorsa primavera indica che il 60 per cento dei filippini sarebbe favorevole a consentire il divorzio per i matrimoni irrecuperabili. In questo senso si muove un altro progetto di legge presentato l’anno scorso dal Partito femminista "Gabriela". Tra gli argomenti dei fautori del sì, l’alto numero di domande di nullità matrimoniale presentate dal 1988 a oggi, in base all’art. 36 del Codice di Famiglia, ma anche la piaga delle violenze domestiche. In una dichiarazione diffusa a marzo, la Conferenza episcopale filippina ha ribadito ancora una volta il suo fermo no alla legalizzazione del divorzio, affermando che essa renderebbe la sacralità del vincolo matrimoniale una “presa in giro”. (L.Z.)
Intesa Chiese africane-Ua per lo sviluppo del continente
Il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) ha firmato un importante memorandum di intesa sul suo status di osservatore all’interno dell’Unione Africana (Ua). L’accordo è stato siglato dalla Commissaria per gli affari politici dell’Ua, Aisha L. Abdulahi, e da Berhanu Tamene Woldeyohannes, responsabile della Commissione Giustizia, pace e sviluppo del Secam e incaricato dell’Ufficio di collegamento del medesimo organismo presso l’Ua.
Contribuire allo sviluppo integrale del continente in collaborazione con l’Ua
Lo scopo dell’intesa è di intensificare i rapporti di collaborazione tra le Conferenze episcopali ed i governi africani al fine di contribuire allo sviluppo integrale e partecipativo del continente alla luce dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Africae Munus”. In particolare, esso permetterà di coordinare le iniziative sociali della Chiesa con l’Ua per l’implementazione della “Agenda 2063”, il progetto siglato dagli Stati membri dell’organizzazione nel 2013 in occasione del suo 50.mo anniversario allo scopo di sviluppare una strategia di crescita comune a lungo termine che armonizzi i vari piani nazionali, regionali e continentali di sviluppo.
Gli obiettivi dell’Agenda 2063
Gli obiettivi fissati dall’Agenda da realizzare entro il 2063, data del centenario dell’Ua, riguardano essenzialmente otto punti: l’identità e la rinascita africane; la lotta contro il colonialismo e il diritto all’autodeterminazione dei popoli tutt’ora sottoposti a regime coloniale; l’agenda dell’integrazione; l’agenda dello sviluppo sociale ed economico; la pace e la sicurezza; la democrazia; la determinazione dell’Africa a prendere in mano il proprio destino; il posto dell’Africa nello scenario mondiale. Per rendere l’Agenda più facilmente realizzabile, sono stati posti degli obiettivi temporali intermedi: di 25, 10 e 5 anni, più dei piani di azione a breve termine. La prima importante tappa di questo processo è stata avviata quest’anno con l’adozione da parte dei membri dell’Unione Africana del primo piano decennale.(L.Z.)
Senegal: incontro studenti cattolici su tolleranza e solidarietà
“Jéciste, sii artefice del cambiamento positivo attraverso la solidarietà, la fraternità e la tolleranza”: è questa il tema del 28.mo Consiglio nazionale della Gioventù studentesca cattolica - Jeunesse etudiante catholique (Jec, da cui deriva il termine “jéciste” riferito ai suoi appartenenti) che si è aperto oggi, 28 agosto, a Kolda in Senegal. Tra gli argomenti in esame, riferisce un comunicato, “la famiglia, la gestione inclusiva in ambito scolastico e universitario, e il fondamentalismo religioso”. Attenzione particolare verrà data anche al problema dei matrimoni precoci “che frenano la scolarizzazione delle ragazze, soprattutto nella zona di Kolda”.
Insegnare ai giovani importanza della famiglia e rischi del fondamentalismo
Inoltre, continua la nota, “la Jec intende contribuire alla promozione di un cambiamento nei comportamenti e nella mentalità” collettivi, in vista di “una società solidale, tollerante e fraterna”. Gli strumenti per raggiungere tali obiettivi, spiega ancora la Jec, sono: “Far comprendere agli studenti il ruolo fondamentale della famiglia nell’educazione dell’uomo; sensibilizzarli affinché si impegnino bene in ambito scolastico ed universitario e renderli consapevoli del pericolo del fondamentalismo religioso nella società”.
Gestione inclusiva a scuola e nelle università
Nel corso dei lavori, verranno organizzate anche tre tavole rotonde: la prima, intitolata “Le sfide della famiglia nel XXI secolo: quale posto per l’educazione dei giovani?”, vedrà gli interventi di un sacerdote cattolico, di un imam, di un sociologo e di un giurista; la seconda, dedicata al tema “La gestione inclusiva in ambito scolastico e universitario, è garanzia di stabilità?”, vedrà la partecipazione di un educatore, di un ispettore universitario e di un mediatore; infine la terza, intitolata “Il fondamentalismo religioso: quale atteggiamento negli alunni e negli studenti?”, sarà animata da un sacerdote cattolico, un imam e uno specialista in religioni. Il Consiglio nazionale della Jec concluderà la sua 28.ma riunione sabato 5 settembre. (I.P.)
Francescani in India: un’ora di Adorazione per la Giornata del Creato
Saranno oltre 50mila i frati, le suore ed i laici francescani, membri dell’Associazione delle famiglie francescane dell’India (Affi) – che riunisce gli ordini religiosi maschili e femminili e i laici dell’Ordine Francescano Secolare – che si fermeranno per un’ora di Adorazione Eucaristica nella Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, il 1° settembre, in comunione con Papa Francesco. Lo comunica all’Agenzia Fides una nota dell’Affi, presieduta dal frate cappuccino p. A.J. Mathew.
Chiedere perdono per l’uso improprio della natura
“La preghiera e l’Adorazione eucaristica – aggiunge dal suo canto il coordinatore dell’Affi, p. Nithiya Sagayam OFM.Ca - saranno l’alimento spirituale per rinsaldare il legame con la creazione Dio” e diffondere la responsabilità di “essere uniti con il Signore non solo simbolicamente, ma per generare un fermo impegno nella salvaguardia del Creato”. Tutti i centri di formazione, le comunità, seminari, conventi e parrocchie gestite da frati francescani in India, dunque, trascorreranno un’ora in Adorazione: “Vogliamo ringraziare il Signore per il dono della Madre terra, chiedere perdono per l'avidità e l'uso improprio della natura, invocare grazia del Signore per salvaguardare la creazione”.
Promuovere stili di vita compatibili con salvaguardia del Creato
Dalla preghiera – sottolinea la nota – deriva “un impegno collettivo dei francescani indiani ad essere accanto a Papa Francesco nel promuovere nuovi stili di vita e passi concreti per vivere in modo nuovo il rapporto con l'intero universo”. Infine, p. A.J. Mathew annuncia che l’Affi organizzerà un workshop speciale sull’enciclica Laudato si’, con “l'obiettivo di tracciare piani d'azione concreti per la tutela dell’ambiente in India”. (I.P.)
Bulgaria: tutela del Creato a Festival internazionale di musica cristiana
“Tra il cielo e la terra”: su questo tema si conclude oggi a Belozem, nella diocesi bulgara di Sofia-Plovdiv, il Festival internazionale di musica cristiana, promosso dalla Custodia dei frati cappuccini in Bulgaria. Il tradizionale appuntamento, apertosi il 24 agosto, quest’anno è dedicato alla tutela del Creato e ad rapporto tra l'uomo e la natura ed ai sacramenti come mezzo per avvicinarsi a Dio. "Nella gioventù si fanno le grandi scelte nella vita - spiega a Sir Europa il direttore del festival, fra Martin Grec - e in questi momenti i valori cristiani aiutano molto".
Iniziativa avviata 15 anni fa
"Con il Festival che si svolge ormai da 15 anni – continua fra Grec - i giovani cattolici, che in Bulgaria sono pochissimi, si conoscono meglio e trovano i coetanei che vivono la stessa fede". Oltre a conferenze tematiche accompagnate da diverse testimonianze, sono previsti workshop e momenti di sport per far emergere i talenti dei ragazzi. In programma anche concerti di artisti e gruppi di ispirazione cristiana provenienti da Croazia, Polonia e Spagna. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 241