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Sommario del 23/08/2015
- Papa, appello per l'Ucraina. "Gesù ci sazia, non la mondanità"
- Papa a Sinodo valdese: camminiamo verso la piena comunione
- Pell: mettere in ordine le finanze, la Chiesa rischia attacchi
- Macedonia riapre confine. Msf: situazione critica
- Siria. Il parroco di Aleppo chiede aiuto: siamo senza acqua
- Campanini su "Islam e politica": Is offusca e tradisce l'Islam
- Giornata Onu contro la tratta, mercato dei nuovi schiavi
- Estate. Caritas Ambrosiana in prima linea tra i bisognosi
- Expo. Al padiglione di Don Bosco una proposta educativa
- M.O.. Abbas si dimette da Olp ma resta alla guida di Anp
- Francia, interrogato terrorista fermato su treno Thalys
- Coree, tensioni accompagnano ripresa negoziati
- Jihadi Jhon in un video: "Tornerò in Gb e ucciderò ancora"
- Siria. Consiglio Chiese, appello contro distruzione monastero
- Brasile: 7 settembre, 21.ma edizione Grido degli esclusi
- Colombia. “Dona Nobis”, campagna a sostegno della Chiesa
- Svizzera. Pellegrinaggio africano alla Madonna di Einsiedeln
Papa, appello per l'Ucraina. "Gesù ci sazia, non la mondanità"
Un appello di pace per l’Ucraina, il cui conflitto segue con “preoccupazione”, e una riflessione sul senso di fedeltà a Cristo, suggerita dal Vangelo domenicale: fedeltà messa in crisi dalla “mondanità” che talvolta anche nei cristiani vorrebbe annacquare lo spirito del Vangelo. Sono i due punti attorno al quale Papa Francesco ha sviluppato l’Angelus in Piazza San Pietro, di fronte a migliaia di persone. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Qualunque zona nel mondo in cui si fomenti una guerra è una periferia della civiltà, della casa comune, e il Papa delle periferie sceglie di affacciarsi alla finestra dell’Angelus per guardare lontano, all’Ucraina, a quella periferia est europea in cui si combatte un conflitto che i media mettono in prima pagina a singhiozzo ma che nelle ultime settimane, nota Francesco, si è inasprito al punto che, riportano le cronache, il presidente ucraino Poroshenko ha affermato durerà “decenni”. Per il Papa è invece sempre tempo di dialogo e di pace e la conclusione della sua preghiera mariana è un nuovo invito a non ritenere utopica questa speranza:
“Rinnovo il mio accorato appello affinché siano rispettati gli impegni presi per giungere alla pacificazione e con l’aiuto delle organizzazioni e delle persone di buona volontà, si risponda all’emergenza umanitaria nel Paese. Il Signore conceda la pace all’Ucraina, che si accinge a celebrare domani la festa nazionale”.
I delusi del Messia
Da una regione agitata dalle armi alle anime agitate dei primi discepoli di Cristo. C’è sullo sfondo del brano del Vangelo proposto dalla liturgia il malumore dei tanti rimasti abbagliati dal Messia che li ha sfamati miracolosamente a migliaia, moltiplicando pochi pani e pesci, sul quale però è impossibile fare sogni di gloria. Perché quel Messia, commenta Francesco, parla di sé come del “Pane disceso dal cielo” e arriva a predire la sua morte affermando “che avrebbe dato la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda”. Una prospettiva che alla folla osannante piace poco:
“Quelle parole suscitarono delusione nella gente, che le giudicò indegne del Messia, non ‘vincenti’. Così alcuni guardavano Gesù: come un Messia che doveva parlare e agire in modo che la sua missione avesse successo, subito. Ma proprio su questo si sbagliavano: sul modo di intendere la missione del Messia! Perfino i discepoli non riescono ad accettare quel linguaggio, linguaggio inquietante del Maestro”.
Parole che mettono in crisi
Non lo accettano, spiega il Papa, perché “in realtà” hanno capito “talmente bene” il discorso di Gesù “che non vogliono ascoltarlo” perché “mette in crisi la loro mentalità”, così come – soggiunge – le sue parole mettono in crisi noi “davanti allo spirito del mondo, alla mondanità”:
“Ma Gesù offre la chiave per superare la difficoltà; una chiave fatta di tre elementi. Primo, la sua origine divina: Egli è disceso dal cielo e salirà ‘là dov’era prima’. Secondo: le sue parole si possono comprendere solo attraverso l’azione dello Spirito Santo, Colui ‘che dà la vita’ (…) Terzo: la vera causa dell’incomprensione delle sue parole è la mancanza di fede: ‘Tra voi ci sono alcuni che non credono’, dice Gesù”.
Una questione di scelta
E Gesù, rimarca Francesco, non è che faccia sconti davanti allo sconcerto dei suoi, anzi li “costringe a fare una scelta precisa”: “Volete andarvene anche voi?”, domanda. Pietro risponde a nome di tutti – “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” – e il Papa attira l’attenzione su questa sua confessione di fede. “Non dice – osserva – ‘dove andremo?’, ma “da chi andremo?:
“Il problema di fondo non è andare e abbandonare l’opera intrapresa, ma è da chi andare. Da quell’interrogativo di Pietro, noi comprendiamo che la fedeltà a Dio è questione di fedeltà a una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme sulla stessa strada. E questa persona è Gesù. Tutto quello che abbiamo nel mondo non sazia la nostra fame d’infinito. Abbiamo bisogno di Gesù, di stare con Lui, di nutrirci alla sua mensa, alle sue parole di vita eterna!”.
“Chi è Gesù per me?”
“Cristo non è un elemento accessorio: è il ‘pane vivo’”, dice ancora Francesco, che invita a un istante di silenzio per un esame di coscienza da ravvivare, dice, anche durante la settimana, incentrato su quella che per un cristiano è la madre di tutte le domande:
“Chi è Gesù per me? E’ un nome? Un’idea? E’ un personaggio storico soltanto? O è veramente quella persona che mi ama, che ha dato la sua vita per me e cammina con me”. Per te chi è Gesù? Stai con Gesù? Cerchi di conoscerlo nella sua parola? Leggi il vangelo tutti i giorni, un passo del Vangelo per conoscere Gesù? Porti il piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, per leggerlo, ovunque? Perché più stiamo con Lui più cresce il desiderio di rimanere con Lui”.
Papa a Sinodo valdese: camminiamo verso la piena comunione
“Il Signore conceda a tutti i cristiani di camminare con sincerità di cuore verso la piena comunione”. L’auspicio è di Papa Francesco ed è diretto, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ai partecipanti al Sinodo della Chiesa valdese-metodista che si svolge a Torre Pellice, in provincia di Torino, da oggi al 28 agosto prossimo.
Il cammino verso la piena unità permetta, prosegue il Papa, di “testimoniare Gesù Cristo e il suo Vangelo, cooperando al servizio dell'umanità, in particolare in difesa della dignità della persona umana, nella promozione della giustizia e della pace e nel dare risposte comuni alla sofferenza che affligge tanta gente, specialmente i poveri e i più deboli”.
Pell: mettere in ordine le finanze, la Chiesa rischia attacchi
“Per la Chiesa è il momento di avere gli affari in ordine. La prossima ondata di attacchi potrebbe essere infatti portata per irregolarità finanziarie”. A parlare ieri sera al Meeting di Rimini su "Chiesa e denaro’ è stato il Prefetto della Segreteria per l’Economia, il cardinale George Pell, che ha sottolineato come per questo traguardo “tutti”, in Vaticano, “stiano lavorando sodo”. Da Rimini, il servizio dell’inviato Luca Collodi:
In Vaticano stiamo cercando di mettere in pratica gli insegnamenti cristiani sulla gestione di proprietà e ricchezze, in particolare, al servizio dei sofferenti e dei poveri. “I moderni metodi contabili sono buoni”, e ciò richiede anche competenze di esperti laici e l'adozione del principio di trasparenza finanziaria. “Il patrimonio della Chiesa deve essere utilizzato per finanziare le opere di bene della Chiesa. Sono certo - ha affermato il cardinale Pell - che è triste dover vendere proprietà della Chiesa, ma talora le necessità pastorali del popolo devono venire sempre prima". “Quando la Chiesa ha investimenti e proprietà, le autorità ecclesiastiche hanno l’obbligo morale di raggiungere livelli adeguati di ritorno finanziario”. Quando ciò non avviene, significa che altri ci guadagnano, a danno dei poveri. È poi importante che l'istituzione si distingua dalla gestione economica dei propri beni, in modo tale, ad esempio, che un parroco non consideri i beni della parrocchia come i suoi.
Il cardinale Pell ha poi citato il caso di un parroco in Australia che ha affittato locali a un amico per una cifra bassa. Affittare ad amici o amici degli amici a cifre inferiori al valore di mercato, ha sottolineato, è “moralmente sbagliato”. E’ pericoloso e “moralmente sbagliato” anche quando un vescovo, un parroco o un superiore religioso “si accontenta” nella gestione del denaro della Chiesa, rivendicando “di non avere capacità di gestione dei soldi". “Ciò - ha detto Pell - lascia il campo aperto a incompetenti”. Un responsabile della Chiesa “non ha bisogno di essere un esperto, ma deve essere in grado di riconoscere una cattiva gestione del denaro”.
Macedonia riapre confine. Msf: situazione critica
Migliaia di migranti hanno attraversato il confine tra Macedonia e Grecia, diretti verso l'Ungheria e la Germania, dopo che le autorità di Skopje hanno rimosso il blocco alla frontiera. Intanto, nel Mediterraneo è salito a oltre 4.000 il numero delle persone soccorse ieri. Il servizio di Elvira Ragosta:
Dopo gli incidenti e le tensioni di ieri al confine tra Grecia e Macedonia, la rimozione del blocco di frontiera ha consentito, dalla tarda serata di ieri, il passaggio in Macedonia degli oltre tremila migranti, per lo più siriani e afghani, ammassati da giorni nelle campagne tra i due Paesi. Dalla cittadina macedone di Gevgelija, i migranti sono giunti con autobus e treni in Serbia, dove sono stati rifocillati e dove la Polizia consente loro di salire su altri pullman diretti in Ungheria, che con la Germania è la tappa sognata dai profughi che scappano dai Paesi in guerra per ricostruirsi una nuova vita in Europa. Ma l’esodo verso la Macedonia dalle campagne greche non si ferma. Elisa Gallo, capo progetto di Medici senza frontiere per le attività in Grecia, racconta l’assistenza offerta dalla Ong nella zona:
R. – Le ultime notizie della mattinata sono che le persone sono riuscite a passare, ci sono veramente pochi rifugiati in questo momento al confine e le organizzazioni stanno dando assistenza quindi il confine è aperto.
D. – Che tipo di assistenza avete dato negli ultimi giorni, soprattutto nella giornata di ieri, nella nottata?
R. – Il team, che fa base al confine da marzo, in questi due giorni ha assistito veramente a un numero senza precedenti di persone che sono state bloccate nell’area. Il team medico ha dovuto soccorrere diverse persone che si sono sentite male per il caldo, la mancanza di cibo. E abbiamo avuto alcuni interventi di emergenza anche per portare queste persone all’ospedale: donne incinte, bambini molto piccoli, anche un neonato di poche settimane è stato trasportato all’ospedale, anche anziani e persone disabili sono bloccate in questa situazione caotica. La pioggia non ha ovviamente aiutato la situazione. Abbiamo provveduto anche a distribuire materiale di emergenza, cibo, kit di igiene. Nell’area abbiamo installato bagni e punti d’acqua da qualche mese, per assicurare questi servizi alle persone in transito verso il nord. Ci sono state anche di violenza da parte della polizia di confine, per cui feriti dovuti a questo e almeno otto persone sono state curate dal nostro team per conseguenze di violenza della polizia.
D. – Dopo il cambio di strategia da parte delle autorità macedoni, e quindi l’apertura delle frontiera, la maggior parte dei migranti è giunta in Serbia e sta giungendo ancora in queste ore in Serbia. Voi che siete lì presenti avuto modo di vedere come è organizzato il transito?
R . – Al passaggio in Macedonia, questo flusso enorme di persone poi sono in difficoltà nella cittadina al di là del confine, Gevgelija, dove si prende un treno per attraversare la Macedonia e arrivare al confine con la Serbia, per cui la coda che si accumula in questo momento a Gevgelija può essere un’altra situazione poco facile da gestire in questo momento. La chiusura del confine di questi ultimi due giorni da parte delle autorità macedoni è diretta conseguenza della chiusura al nord. Sappiamo che l’Ungheria sta ultimando il muro per chiudere il passggio e la Serbia reagisce anche rafforzando il controllo sul confine con la Macedonia e quindi vediamo una delle conseguenze al confine con la Grecia. C’è tutta una catena di rafforzamento del confine.
D. – Per quanto riguarda i numeri, le presenze, ora che il confine tra Grecia e macedonia e di nuovo accessibile, avete potuto riscontrare un aumento di presenze, cioè il fatto che la frontiera sia aperta determina un contesto di arrivo di persone dalla Grecia?
R. – Diciamo che questo è anche dovuto al fatto che nella stagione estiva, nel mese di agosto in particolare, tantissimi migranti arrivano ai punti di ingresso, quindi nel Dodecaneso, nelle isole del nord Egeo, e la maggior parte non vuole rimanere in Grecia per la situazione di crisi finanziaria che c’è e per il ridotto sistema di asilo politico che il Paese può garantire in una situazione critica come quella di adesso. Per cui, le persone che arrivano al confine con la Macedonia, l’aumento di questi arrivi, è dovuto all’aumento degli arrivi in generale in Grecia durante la stagione estiva.
Massiccio anche l’esodo di migranti salvati ieri nelle acque del Canale di Sicilia. Almeno 4.400 le persone soccorse a bordo di una ventina di imbarcazioni fatiscenti partite dalla Libia. Navi e motovedette italiane ed europee hanno tratto in salvo le migliaia di migranti.
Siria. Il parroco di Aleppo chiede aiuto: siamo senza acqua
In Siria, si aggrava il bilancio degli attacchi aerei del regime intorno a Damasco, dove si contano 34 vittime tra i civili, compresi 12 bambini e 8 donne. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, tra le vittime dei raid ci sono due intere famiglie, sepolte dalle macerie delle loro case. Difficile la situazione anche ad Aleppo, dove si registra un’emergenza dovuta alla mancanza di acqua, come testimonia in quest’intervista di Luca Collodi al meeting di Rimini, padre Ibrahim Alsabagh, parroco della comunità latina di Aleppo:
R. – Adesso, acqua, acqua, acqua! Il problema dell’acqua è molto difficile. I gruppi di milizie hanno chiuso le pompe dell’acqua nella città dove abitiamo e quindi soffriamo la sete, tutta la popolazione è sotto la minaccia di questa sete. Cerchiamo di aprire i nostri pozzi e cerchiamo di distribuirla, abbiamo lasciato tutto per concentrarci sulla distribuzione dell’acqua. Non sappiamo come finirà questa situazione ma, come si può immaginare, è un bisogno, una necessità enorme, una grande difficoltà, specialmente durante l’estate. Poi, c’è bisogno di cibo, di medicine, di assistenza dal punto di vista umano, non solo spirituale.
D. – C’è un rischio sanitario ad Aleppo?
R. – Sicuramente. All’inizio della crisi tanti bravi medici che erano in prima linea sono scappati dal Paese e tanti ospedali e cliniche private si trovano senza medicine e c’è tanta carenza di questi elementi essenziali.
D. – Voi avete un’idea di chi possano essere questi terroristi?
R. – Sappiamo che vengono da un’ottantina di Paesi, la maggioranza viene dal di fuori della Siria. Vengono per avidità di denaro o come mercenari o anche con l’idea del fondamentalismo puro e vengono a seminare la morte. Quello che possiamo cogliere di quello che stanno facendo è che non pensano di rimanere, perché uno che brucia tutto attorno non pensa a un futuro, non pensa di avere una famiglia lì. Chi distrugge le scuole e anche gli ospedali e le chiese, le moschee, sicuramente non pensa di continuare a vivere lì.
D. – Sono rimasti i cristiani ad Aleppo in Siria?
R. – Sì, sono rimasti. Noi abbiamo decine di migliaia di cristiani che sono rimasti in questa parte della città controllata dall’esercito regolare, o perché non hanno i soldi per scappare fuori, o perché credono che in questo momento c’è una grande missione per loro di testimoniare con questa difficoltà, con questa crisi, la loro fede.
D. – Che cosa fa lei come parroco?
R. – Ultimamente, dall’inizio della crisi, la Chiesa è tornata un po’ a coprire tantissimi uffici di tipo anche umano. Andiamo verso i bisogni umanitari prima di tutto. Dal mattino alla sera, mi trovo a lavorare nell’associazione della nostra Caritas parrocchiale. E poi anche ci occupiamo sicuramente della cosa essenziale, quella spirituale. Ma oggi la Chiesa è tornata ad occupare uno spazio enorme. Non possiamo coprire tutti i bisogni che lo Stato deve coprire, ma cerchiamo oggi – proprio perché siamo l’unico punto di riferimento della nostra gente – di coprire tante cose anche dal punto di vista della società.
D. – Ci sono segnali di speranza perché la situazione possa normalizzarsi?
R. – I segnali di speranza non li vediamo all’esterno. Cerchiamo di vederli dentro il cuore, con questa speranza noi viviamo.
D. – Cosa volete dire ai cristiani in Occidente?
R. – Voglio chiedere a loro di vivere la loro fede nella profondità, nella radicalità la loro vocazione cristiana. La nostra gente vive veramente con profondità e radicalità questo cammino di purificazione che ha fatto forse il buon ladrone: è una purificazione attraverso la sofferenza che apre il cuore e gli occhi. Quindi, forse quello che auguro e che chiedo ai cristiani di tutto il mondo è proprio di accogliere la nostra esperienza, viverla in modo spirituale nella comunione con noi e cercare di aprire il cuore a questa presenza sofferente di Gesù che soffre oggi nel suo corpo mistico in Siria.
Campanini su "Islam e politica": Is offusca e tradisce l'Islam
La strategia del sedicente Stato islamico è un tradimento dell’Islam. Così Massimo Campanini, professore di Islamistica e Storia dei Paesi islamici all'Università di Trento, autore del libro, edito da Il Mulino, “Islam e politica”, giunto alla terza edizione ampiamente aggiornata. Il testo presenta l’articolata realtà dell’Islam partendo dai quattro califfi seguiti alla morte di Maometto, fino alla terribile strategia del terrore dell’Is. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso Massimo Campanini:
R. – Ci sono due realtà possibili dell’islam, contro questa sfida violenta, distruttrice dell’Is. C’è l’islam degli "establishment" religiosi, che in qualche modo ancora controllano la partecipazione e la coscienza religiosa della grande massa delle popolazioni musulmane arabe, e c’è quel gruppo di intellettuali a vari livelli che hanno costituito l’alternativa islamica di un islam rivoluzionario che, fatti i conti con la modernità, è in grado di avanzare una sua proposta di rinnovamento, anche politico, della concezione islamica. Che poi si identifica con la “teologia islamica della liberazione”. Nei confronti di queste due declinazioni dell’islam, il cosiddetto Stato islamico costituisce inevitabilmente un tradimento: nei confronti dell’“establishment”, perché evidentemente l’Is porta avanti un discorso di disgregazione della comunità musulmana, va contro le strategie e i principi fondanti di questo tipo di lettura che è molto tradizionale. Per quanto riguarda l’alternativa islamica modernista-progressista-teologica della liberazione, cui si accennava prima, è chiaro che il messaggio, la strategia di Daesh va nella direzione della violenza, della negazione della potenziale capacità islamica di essere colloquiante, di essere tollerante… Quindi, la proposta dell’alternativa islamica, e cioè usare l’islam come strumento di rivoluzione, come strumento di modificazione della realtà e di ristrutturazione dello status quo, con l’Is diventa semplicemente una post-modernità distruttiva che probabilmente lascerà sul terreno soltanto macerie.
D. – Nel testo mette in discussione il presupposto che l’islam sia insieme religione e Stato: in che senso?
R. – Un elemento di fraintendimento che esiste nella percezione, nella comprensione dell’islam sta nella questione della relazione tra religione e politica. Il fatto che l’islam abbia delle ricadute politiche è sicuramente vero, ma nella storia islamica c’è stata prevalentemente una strumentalizzazione del religioso da parte del politico e non viceversa, tranne il caso l’Iran khomeinista che è oggettivamente una particolarità.
D. – Lei sottolinea con forza che l’Is contrasta con l’usuale tolleranza che la civiltà islamica ha avuto nel suo massimo splendore…
R. – La questione dell’espansione dell’islam è evidentemente una questione che ha motivazioni molto diverse. Però, se uno tiene conto del fatto che nei Paesi arabi del Medio Oriente l’islam è diventato maggioritario solo tre-quattro secoli dopo Maometto, è evidente che non c’è stata un’imposizione della religione con la spada. Poi, l’islam ha avuto una tradizione di assorbimento delle culture precedenti, che gli ha consentito di diventare, nella sua epoca classica che termina attorno al XIII-XIV secolo, una civiltà estremamente aperta agli influssi esterni e tendenzialmente tollerante. E’ chiaro che ci sono stati anche dei momenti o dei tentativi di chiusura…
D. – E come si arriva alla fase involutiva di oggi?
R. – C’è una richiusura su se stessi dopo il periodo del modernismo che è accaduto grossomodo tra il 1870 e il 1940: i primi movimenti di lotta armata sono degli anni Settanta. Quando si sono innescati i processi della decolonizzazione e le ideologie di tipo laico-secolare che erano state assorbite nei Paesi musulmani – parlo essenzialmente, come sempre, dei Paesi mediorientali – sono fallite, c’è stato un cercare di riguardare all’indietro per riprogettare il futuro. Questo, poi, ha acquisito dei caratteri estremisti, violenti in seguito a una serie di fattori che hanno interagito con questo processo, deviandolo e in qualche modo peggiorandolo.
D. – Alla fine del libro, lei lancia una sfida: parla di un islam tutto da ridisegnare…
R. – L’islam deve ridisegnarsi imparando – secondo la mia prospettiva – a confrontarsi con quella che si chiama “modernità”: concetto molto difficile ma che, comunque, nella maggior parte dei pensatori islamici, significa l’Occidente. Ma la cosa veramente importante è che questo deve accadere senza perdere la propria fisionomia, senza perdere la propria identità, perché se si perde questo risalire al Corano, alla Sunna, alle fonti, inevitabilmente la personalità si disgrega e allora può diventare una bomba ancora più pericolosa, che spara in giro chiodi senza sapere quale obiettivo ha di fronte.
Giornata Onu contro la tratta, mercato dei nuovi schiavi
Questa domenica viene celebrata la Giornata internazionale di Commemorazione della tratta degli schiavi e della sua abolizione istituita dall’Onu, per ricordare la rivolta avvenuta sull’isola di Santo Domingo la notte tra il 22 e il 23 agosto 1791, che portò all’abolizione della tratta transatlantica degli schiavi. Ma oggi questo fenomeno è ancora presente e coinvolge ancora milioni di persone nel mondo, non risparmiando neanche i bambini. Il servizio di Marina Tomarro:
Nel mondo, oltre 20 milioni di persone sono vittime di lavoro forzato, di cui il 55% donne. I settori maggiormente coinvolti sono l’agricoltura, il servizio domestico, le imprese di trasporto e la mendicità. Altissime anche le cifre per lo sfruttamento sessuale. Sono circa 500 mila l’anno le donne arrivate in Europa e costrette ad entrare nei giri della prostituzione. Ma tra le vittime della tratta anche i bambini. Secondo il dossier di Save the Children, in Italia dall’inizio di quest’anno anno sono arrivati via mare oltre 7.300 minori non accompagnati. Ma quali sono i rischi che corrono? Ascoltiamo il commento di Carlotta Bellini, responsabile protezione dell’organizzazione umanitaria:
R. - Nel dossier di quest’anno di Save the Children sulla tratta e sullo sfruttamento, abbiamo puntato la nostra attenzione in particolare sui minori non accompagnati, gran parte dei quali arrivano in Italia via mare attraversando il Mediterraneo. Si tratta di adolescenti che affrontano moltissimi pericoli e che purtroppo diventano vittime di violenza, di abusi e anche di tratte di sfruttamento già durante il loro viaggio. Poi, ci sono anche ragazze dell’Europa dell’est che entrano in Italia passando dalla frontiera nord. Si tratta in quest’ultimo caso - e anche nel caso delle giovani nigeriane che attraversano il Mediterraneo per entrare in Europa - di ragazze vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Un gruppo particolarmente a rischio di sfruttamento lavorativo è quello dei minori egiziani.
D. - In che modo vengono adescati?
R. - I ragazzi arrivano in Italia pagando degli scafisti, ma lo sfruttamento inizia in Italia. In questo caso, sono i ragazzini stessi che cercano “dei lavori” perché devono ripagare il debito che le famiglie hanno contratto permettere loro di viaggiare verso l’Italia. Pur di ottenere dei soldi sono disposti a tutto: lavorano soprattutto sia a Roma sia a Milano nelle frutterie, nei locali che fanno kebab e anche nei lavaggi delle macchine. Per quanto riguarda le minori nigeriane, purtroppo lo sfruttamento avviene già durante il viaggio: vengono costrette a prostituirsi anche in luoghi al chiuso come alberghi, guest house, e poi chiaramente questo sfruttamento continua in Italia dove vengono sfruttate su strada, assoggettate anche con riti vudu. In questo modo, gli sfruttatori esercitano un controllo nei loro confronti. Questa purtroppo è la triste sorte di giovani adolescenti, la loro è età è tra i 15 e i 17 anni...
D. - In che modo si possono aiutare questi ragazzi ad uscire da questa tremenda situazione?
R. - In Italia, è molto importante avere un piano contro la tratta e lo sfruttamento. Noi auspichiamo che il governo adotti rapidamente questo piano, un piano che in altre parole dovrebbe delineare quelle che sono le misure di prevenzione e di lotta contro questo terribile fenomeno e che allo stesso tempo dia indicazioni di coordinamento. Bisogna unire gli sforzi per combattere contro un fenomeno criminale purtroppo organizzato.
D. - A livello internazionale, le istituzioni che cosa possono fare?
R. - È sicuramente importante lavorare anche nei Paesi di origine per far sì che a questi giovani venga dato un futuro o un’alternativa, che spesso significa semplicemente andare a scuola, avere delle opportunità di studio, di lavoro, non essere costretti dalla miseria e dalla disperazione ad abbandonare il proprio Paese.
Estate. Caritas Ambrosiana in prima linea tra i bisognosi
“Siamo aperti per ferie”: questo il motto con cui la Caritas ambrosiana, durante i mesi estivi, porta avanti le sue iniziative a favore dei più disagiati. Un modo per aiutare i più bisognosi nel periodo dell’anno dedicato alle vacanze e in cui le emergenze sociali si fanno più acute e difficili da gestire. Ma quali sono, in concreto, le attività promosse dalla Caritas ambrosiana in agosto? Isabella Piro lo ha chiesto a don Roberto Davanzo, direttore dell’organismo:
R. – Abbiamo in atto alcune attività “storiche” della Caritas ambrosiana: ad esempio, la consegna dei pasti alle persone anziane, che magari non riescono a uscire di casa. Tra l’altro, negli ultimi anni, questo servizio si è trasformato, nel senso che non solo consegniamo i pasti a domicilio, ma offriamo anche a queste persone la possibilità di essere accompagnate a fare una visita medica o a passeggiare. Poi, non dimentichiamo che siamo nell’anno di Expo e quindi quest’anno abbiamo anche delle iniziative legate al tema del cibo. Ad esempio, abbiamo la cosiddetta “Cena sospesa”: presso una trentina di ristoranti di Milano è stata posizionata una teca trasparente in cui i clienti possono versare un’offerta che poi, alla fine del mese, si trasforma in una sorta di “buono-pasto” per le persone disagiate assistite dalla Caritas. Inoltre, abbiamo avviato il "Refettorio ambrosiano", segno di un’eredità che vogliamo che Expo lasci: si tratta di una mensa capace di mettere al centro il tema del recupero delle derrate alimentari che, altrimenti, finirebbero nella spazzatura. Questo refettorio, infatti, tutte le sere offre una cena agli assistiti dalla Caritas con questo tipo di derrate alimentari. Infine, abbiamo raccolto la disponibilità di circa 400 volontari che, a turno, tutti i giorni, si occupano dell’installazione della Caritas ambrosiana situata presso l’Expo e ci permettono, quindi, di operare anche in questo ambito.
D. – Quanto è difficile, oggi, insegnare il valore della gratuità in un mondo in cui tutto sembra avere un prezzo ed valore soltanto economico?
R. – Crediamo nel volontariato perché, appena riusciamo a mostrarne il valore umanizzante, troviamo una grande risposta anche da parte di persone che non necessariamente provengono da un’esperienza ecclesiale. E questo è importante, perché il volontariato diventa comunque un’occasione per incontrare la realtà ecclesiale e per entrare in contratto con le motivazioni evangeliche che ne sono alla base. Tutte le volte che siamo disposti a condividere qualcosa di nostro – innanzitutto il nostro tempo, prima ancora delle nostre risorse economiche – avviene miracolosamente una moltiplicazione: ossia, si moltiplica il beneficio che ne ricava chi mette in gioco un po’ di se stesso.
D. – Don Davanzo, il suo auspicio per quest’estate potrebbe essere allora quello di riscoprire il valore del servizio?
R. – Sì, tutte le volte che una persona scopre che si può essere più contenti quando ci si dona agli altri, che la vita può diventare più gioiosa e più serena non a partire dagli aspetti economici, ma innanzitutto quando si scopre che tutti – nonostante i nostri difetti – abbiamo la possibilità di rendere felice qualcun altro, di strappargli un sorriso, di asciugargli le lacrime, quello crediamo sia l’auspicio più bello che si possa fare a una persona.
Expo. Al padiglione di Don Bosco una proposta educativa
Sono oltre 130 - tra Nazioni, Organizzazioni Internazionali, Istituzioni in rappresentanza della società civile e aziende - le partecipazioni all'Esposizione Universale di Milano. Tra queste, nell'anno del Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco, c'è la Famiglia salesiana, che ha deciso di rilanciare il suo messaggio educativo e cristiano con una presenza speciale: la Casa Don Bosco. Dall'Expo di Milano, il servizio di Luca Pellegrini:
Tra il padiglione della Svizzera, che invita a riflettere in modo assai intelligente sulla condivisione dei beni della terra, e quello dell'Ecuador, che mostra in modo divertente le diverse, splendide aree climatiche che si incontrano nel Paese sudamericano recentemente visitato da Papa Francesco, si trova una bella casa di legno, acciaio e fibre naturali. Non fa riferimento a uno Stato, ma una famiglia religiosa e porta il nome di un Santo: Don Bosco. Molti visitatori di ogni età sono accolti al suo interno nel ricordo dei loro banchi di scuola, oppure semplicemente incuriositi dal tema che rimodula quello dell'Expo: "Educare i giovani, energia per la vita". Ercole Lucchini, coordinatore delle attività del padiglione, spiega perché proprio all'Esposizione Universale milanese è nata questa "casa".
R. - Perché l’Esposizione è un momento che ci invita alla riflessione sui comportamenti che gli uomini stanno avendo nei confronti del pianeta. E noi pensiamo che, perché le riflessioni siano giuste, occorre ci siano persone che abbiano avuto una formazione, un’educazione, che guarda l’uomo. I Salesiani si propongono educatori, magari in modo particolare nella formazione professionale, però non sono formatori di tecnici, sono formatori di uomini che hanno anche tecnologie. Quindi, quando un uomo dispone di tecnologie, ha gli strumenti di base per poter fare scelte coerenti con il presente e il futuro del pianeta.
D. - Che cosa si trova all'interno del padiglione salesiano?
R. - Diciamo che il visitatore trova elementi che caratterizzano il sistema educativo. Cioè, noi partendo già dall’ingresso abbiamo individuato con tre frasi di Don Bosco l’immagine e i principi conduttori: “Vuoi fare qualcosa di buono, educa la gioventù”, “In ogni giovane c’è un punto accessibile al bene”, “L’educazione è cosa di cuore”. Per cui, questo invito è che veramente l’educazione è una delle cose fondamentali per la nostra civiltà, quindi lo identifichiamo - ed era un invito di Don Bosco - con: “Vuoi fare qualcosa di buono? Dedicati all’educazione”.
D. - Come vengono interpretate queste tre citazioni nel padiglione?
R. - Le abbiamo riassunte intanto avendo elementi di riflessione, avendo volantini che possiamo distribuire e portare a casa. E poi ci siamo anche dilungati sugli elementi che danno credibilità a questa organizzazione della Famiglia salesiana, che sono elementi anche di tipo quantitativo, cioè la diffusione nel mondo, quanti studenti siedono nei banchi della scuole salesiane, e abbiamo valutato che sono oltre tre milioni e mezzo di studenti in 132 Paesi, le specializzazioni… Quindi, diamo anche un elemento di credibilità. Poi, puntiamo molto sugli eventi - ne organizziamo generalmente uno la settimana - che hanno proprio per scopo quello di far vedere concretamente la cultura e l’approccio del mondo salesiano al giovane e all’educazione del giovane.
D. - Casa Don Bosco non termina la sua vita all'Expo...
R. - No, la Casa Don Bosco nasce come un regalo che gli ex-allievi e chi è andato a scuola Don Bosco negli oratori fanno a Don Bosco per il suo compleanno. Quindi, questo regalo è una casa che verrà utilizzata come centro di accoglienza, scuola, oratorio - non sappiamo ancora in quale dettaglio - ma andrà in Ucraina a Vynnyky, questo è certo. E quindi è un dono che gli ex-allievi riconoscenti fanno a Don Bosco.
M.O.. Abbas si dimette da Olp ma resta alla guida di Anp
Mahmoud Abbas, anche noto con il nome di Abu Mazen, si sarebbe dimesso dalla carica di capo del Comitato esecutivo dell'Olp, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina), ma rimane alla guida dell'Autorità nazionale palestinese (Anp).Con lui avrebbero lasciato dall'esecutivo dell'Olp più della metà dei suoi 18 membri. Lo scrive Al Arabiya, annunciando nuove elezioni per un nuovo comitato esecutivo dell'Olp. A sostituire Abbas sarà il capo negoziatore dell'organizzazione nelle trattative con Israele, Saeb Erekat, che, intervistato da media palestinesi, ha dichirato che queste dimissioni sono al momento solo annunciate e che dovranno essere formalizzate nella seduta straordinaria del Consiglio straordinario dell'organizzazione, che si terrà entro 30 giorni. A questa riunione, ha spiegato Erekat, è possibile che siano invitate anche Hamas e la Jihad islamica. (E. R.)
Francia, interrogato terrorista fermato su treno Thalys
Gli investigatori dell'antiterrorismo francese hanno interrogato Ayob El Khazzani, il marocchino che venerdì scorso ha aperto il fuoco con un kalashnikov sul treno Thalys, tra Amsterdam e Parigi, ed è stato poi immobilizzato e neutralizzato da tre passeggeri americani. Khazzani, 25 anni, ha negato di essere un terrorista e ha sostenuto che voleva rapinare i viaggiatori. Una versione contraddetta, però, dal suo passato di vicinanza agli ambienti jiahidisti. Intanto, il governo belga ha annunciato controlli di sicurezza permanenti sui treni internazionali ad alta velocità. Secondo quanto annunciato dal primo ministro belga, Charles Michel, i viaggiatori dovranno identificarsi e il loro bagaglio verrà controllato. Tali misure sono già in vigore sull'Eurostar, il treno che raggiunge la Gran Bretagna passando nel tunnel sotto la Manica. Michel ha sottolineato che il suo Paese non può agire da solo, per questo ieri aveva chiesto un incontro fra i ministri dei Trasporti di Belgio, Francia, Olanda e Germania. (E.R.)
Coree, tensioni accompagnano ripresa negoziati
Tensioni accompagnano il secondo giorno di colloqui, oggi a Panmunjeom, tra Corea del Sud e Corea del Nord per allentare la delicata situazione che ha quasi portato al limite del possibile confronto militare. Secondo fonti militari di Seul, sono stati rilevati movimenti di truppe e sottomarini insoliti in Corea del Nord che indicherebbero da parte di Pyongyang l'intenzione di rafforzare la sua capacità militare per un possibile attacco.Le stesse fonti riferiscono che circa il 70% dei sottomarini del Nord ha lasciato le basi, rilevati dall'esercito sudcoreano, già da sabato, così come sono state raddoppiate le forze di artiglieria in prima linea fin dall'inizio dei colloqui. Quello che si attende oggi è il secondo giorno dell’ultimo round di colloqui iniziati dopo la scadenza dell'ultimatum - al momento senza conseguenze - fissato dalla Corea del Nord che chiedeva al Sud di interrompere la propaganda anti-Pyongyang fatta a colpi di altoparlante al confine, minacciando in caso contrario una spietata azione militare. (E.R.)
Jihadi Jhon in un video: "Tornerò in Gb e ucciderò ancora"
Appare per la prima volta a volto scoperto, in un video pubblicato dal Daily Mail, Jihadi Jhon, il ventisettenne londinese considerato uno dei boia dell’autoproclamato Stato islamico. Nel video il giovane, che afferma di chiamarsi Mohamed Emwazi, dice: “Tornerò presto in Gran Bretagna e continuerò a uccidere”. Le immagini diffuse dalla testata britannica sono state estratte da un video girato due mesi fa con un telefonino a Dei Ezzor in Siria. Soprannominato Jihadi Jhon, per il suo marcato accento britannico, il terrorista è apparso a volto coperto in diversi macabri video mentre decapitava almeno 7 ostaggi: due statunitensi, due britannici e un giapponese. Sulla testa di Emwazi pende una taglia posta dagli americani di 10 milioni di dollari. (E.R.)
Siria. Consiglio Chiese, appello contro distruzione monastero
“La distruzione del Monastero di Mar Elian a Qaryatain, è un’ulteriore manifestazione dell’agenda estremista del cosiddetto ‘Stato islamico’, volta non solo a eliminare gli appartenenti alle minoranze religiose, ma anche tutti i segni della loro presenza a il contributo da loro apportato alla storia e alla cultura della regione”. E’ quanto afferma il segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc),Olav Fykse Tveit, che in una nota invoca l’immediato intervento della comunità internazionale “a sostegno di un vero processo di pace in Siria per fermare queste tragedie che colpiscono popoli e culture”.
180 cristiani rapiti di recente
Prima della caduta nelle mani del Daesh, il 6 agosto, vivevano a Qaryata circa 1.800 cristiani. Di recente, in Siria l’Is ha rapito più di 180 cristiani tra i quali Jacques Mourad, catturato nel maggio 2015. I prigionieri sono stati trasferiti nell’area di Raqqa, la roccaforte del Daesh nel nord della Siria.
Fermare il processo che può portare alla sparizione dei cristiani nell’area
“Lo Stato islamico sta conducendo una guerra non solo ai cristiani, ma a qualsiasi persona e a qualsiasi cosa che non rientra nella loro ristretta visione estremista”, sottolinea il pastore Tveit. “Si attende da tempo che la comunità internazionale trovi la volontà politica e i mezzi di proteggere la diversità culturale e religiosa della Siria e dell’Iraq contro la depredazione dello ‘Stato Islamico’. Il futuro politico e sociale della regione dipende dalla diversità. È giunto il momento - conclude il segretario generale del Wcc - di fermare il processo che può portare alla sparizione dei cristiani e delle minoranze religiose dai loro luoghi di origine e dai loro luoghi santi”. (L.Z.)
Brasile: 7 settembre, 21.ma edizione Grido degli esclusi
“Che Paese è questo, che uccide la gente, in cui i mass media mentono e che ci consuma?”: questo il pressante interrogativo scelto come motto della 21.ma edizione del “Grido degli esclusi”, in Brasile. In programma ogni anno il 7 settembre, in concomitanza con la Festa nazionale dell’indipendenza, il “Grido degli esclusi” è una manifestazione popolare che conta sull’appoggio della Pastorale sociale della Conferenza episcopale brasiliana, del Consiglio delle Chiese cristiane del Brasile e di movimenti ed organizzazioni impegnate per l’uguaglianza, la giustizia e la vita.
Attenzione alle periferie ed agli esclusi dalla società
“Siamo partiti dalla domanda ‘Che Paese è questo?’ – spiega padre Gianfranco Graziola, vicecoordinatore nazionale della Pastorale carceraria – e la risposta è arrivata, di giorno in giorno, dalle periferie in cui vivono le famiglie povere, dai giovani che patiscono l’esclusione da una società elitaria e selettiva, dalle vittime della droga, dai detenuti dimenticati in un sistema carcerario perverso, dagli operai a cui, poco a poco, vengono sottratti i diritti, dagli anziani che chiedono di poter vivere con dignità gli ultimi anni della loro vita”.
Allarme per manipolazioni sociali dei media
Riguardo, poi, alla questione dei mass media, padre Graziola auspica che il “Grido degli esclusi” possa richiamare l’attenzione sul potere che hanno i mezzi di comunicazione sociale nella manipolazione della società. “Questa iniziativa non può tacere”, continua padre Graziola, perché dà voce a “coloro che non vogliono lasciarsi inghiottire dalla disperazione, dai venti di morte e distruzione che, attraverso i mass media, vogliono rubarci la speranza”. Ciò che occorre, spiega il vicecoordinatore nazionale della Pastorale carceraria, è “difendere i diritti fondamentali, smentire i mass media richiamando lo Stato alle sue responsabilità politiche e intraprendendo un cammino verso un nuovo Paese, un nuovo Brasile”.
Iniziativa avviata nel 1995
Avviato nel 1995, il “Grido degli esclusi” lotta da anni per una maggior trasparenza dei mezzi di comunicazione sociale in Brasile, per sensibilizzare la popolazione sul problema della violenza sociale, sviluppare la partecipazione politica dei lavoratori e sostenere l’ampliamento dei diritti dei cittadini, in un’ottica di inclusione sociale. (I.P.)
Colombia. “Dona Nobis”, campagna a sostegno della Chiesa
Un insieme di mani di mille colori, tutte sollevate verso l’alto, come a dire “Io ci sono!”: questo il poster che la Conferenza episcopale colombiana (Cec) ha diffuso in vista della campagna annuale “Dona Nobis”. In programma il 30 agosto prossimo, l’iniziativa mira a contribuire al sostentamento della missione evangelizzatrice della Chiesa Cattolica nel Paese.
Necessario migliorare condizioni di vita dei più bisognosi
In linea con l’immagine scelta per il manifesto informativo, il tema della campagna 2015 recita: “È il momento di alzare le mani ed aiutare la Chiesa!”. “Domenica 30 agosto – spiega la Cec – i fedeli cattolici sono invitati a lasciare un’offerta di mille pesos (pari a 30 centesimi di euro) nelle proprie parrocchie o tramite il conto corrente della Chiesa colombiana”. I fondi raccolti contribuiranno allo sviluppo dei numerosi progetti che i vescovi locali portano avanti “per migliorare le condizioni di vita dei più bisognosi”.
Operare per la pace e la riconciliazione nel Paese
In particolare, i presuli ricordano gli sforzi compiuti per sostenere “le vittime di abbandono e di indifferenza sociale”, per offrire a bambini e ragazzi “un’educazione ricca di conoscenza e di valori”, per “accompagnare seminaristi e sacerdoti con una formazione integrale” e “accogliere, consolare e sostenere le vittime di violenza, gli sfollati, i migranti ed i poveri”. Non solo: la Chiesa colombiana “incoraggia e invia missionari laici perché accompagnino, con la gioia del Vangelo, la vita e la fede delle comunità”. Infine, essa “opera costantemente per la riconciliazione e la pace, per superare gli squilibri sociali e migliorare le condizioni di vita della popolazione”. (I.P.)
Svizzera. Pellegrinaggio africano alla Madonna di Einsiedeln
Sono centinaia i pellegrini originari dell’Africa attesi sabato 29 agosto prossimo ad Einsiedeln, in Svizzera, per il tradizionale pellegrinaggio all’Abbazia dedicata alla “Madonna Nera”. Giunto alla quinta edizione, l’evento avrà per tema: “Il destino dei migranti e dei rifugiati africani”. Il pellegrinaggio inizierà alle ore 10.30 con l’incontro di tutti i pellegrini sul sagrato all’Abbazia. Da qui, si snoderà la Via Crucis, accompagnata da canti di diversi Paesi africani. Alle ore 12.30, poi, all’interno dell’Abbazia, si terrà la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Jean-Marie Lovey, vescovo di Sion e delegato della Conferenza episcopale svizzera (Ces) per la Pastorale dei Migranti. L’evento è promosso da “Migratio”, organizzazione che opera in Svizzera su incarico della Ces come suo organo di consulenza, direttivo ed esecutivo per tutte le questioni relative alla Pastorale per i migranti e gli itineranti e alle loro istanze a livello culturale e sociale.
In preghiera per le famiglie, l’Africa e la Svizzera
“Con questo pellegrinaggio – informa una nota dei presuli elvetici – gli africani residenti in Svizzera hanno la possibilità di esprimere la loro fede e di pregare tutti insieme in favore delle loro famiglie, dei Paesi d’origine e della loro patria di adozione”. Il pellegrinaggio, continua la nota, “mira anche a rendere più attivi, nella Chiesa svizzera, i cristiani provenienti dal continente africano, favorendo il loro incontro con la popolazione locale”.
San Meinrado, il fondatore del Monastero di Einsiedel
Situata nel cantone di Schwyz, la città di Einsiedeln ruota intorno al Santuario della Madonna Nera e al Monastero annesso, risalente all’eremita Meinrado. Cuore del monastero è la Cappella costruita proprio sulla cella di San Meinrado, nella quale si venera la statua della Vergine, donatagli dalla badessa Ildegarda di Zurigo. Davanti a questa statua, San Meinrado passava giorno e notte, in preghiera ed in meditazione. Purtroppo, la statua originaria della Vergine non è giunta fino a noi, perché è stata distrutta da un incendio scoppiato nella Cappella nel 1465. L’icona odierna, dunque, risale alla fine del ‘400: si tratta di una statua di stile tardo gotico, alta 119 cm, costruita in legno di tiglio. Annerita dal fumo delle candele e danneggiata durante la Rivoluzione francese, è stata in seguito dipinta di nero. Di qui, il nome di “Madonna nera”. Dalla fine del 1500, la si usa vestire con abiti di colore differenti, a seconda del tempo liturgico.
1984, la visita di Giovanni Paolo II
Il Santuario di Einsiedeln è stato visitato da San Giovanni Paolo II nel giugno 1984, nel corso del suo viaggio apostolico in Svizzera. In quell’occasione, il Pontefice celebrò la Santa Messa di consacrazione del nuovo altare del Santuario e, nella sua omelia, esortò i fedeli a guardare a Maria, Colei che “ci insegna l’unità fraterna tra di noi e la nostra responsabilità nei confronti della predicazione del Vangelo.”. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 235