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Sommario del 22/08/2015
- Il saluto del Papa ai giovani missionari sulle spiagge di Riccione
- Papa Francesco tra i fedeli in San Pietro nella memoria di San Pio X
- Mons. Tomasi: Occidente indifferente alle sofferenze dei cristiani
- Congressi eucaristici. nomine del Papa in Rep. Ceca e Bolivia
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Preoccupa la "crisi" cinese: borse internazionali nel panico
- Barconi nel Mediterraneo. Macedonia, ancora frontiere chiuse
- Funerali boss, Sabella: Roma non è mafiosa ma serve più controllo
- Riaperta al pubblico la Latomia dei Cappuccini a Siracusa
- Pio XII, il Papa che "incoronò" Regina la Madre di Dio
- Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
- Guatemala: marcia dei leader religiosi contro la corruzione
- Portogallo. Vescovo di Fatima: politica lavori al bene comune
- Docenti della Cattolica in Terra Santa: solidarietà con i cristiani
- Angola. Appello Caritas: aiutare popolazioni colpite da siccità
- Benin: migliaia di pellegrini al Santuario di Nostra Signora di Arigbo
Il saluto del Papa ai giovani missionari sulle spiagge di Riccione
Papa Francesco saluta e benedice i giovani missionari che in questi giorni stanno portando il Vangelo sulle spiagge di Riccione e gli hanno scritto una “bella lettera” – come lui la definisce – raccontandogli l’esperienza di gioia e di fede che stanno vivendo incontrando i loro coetanei, di giorno e di notte, tra gli ombrelloni e nelle discoteche o lungo le strade. In un messaggio a firma del cerimoniere pontificio, mons. Guillermo Karcher, il Papa esprime la sua gratitudine ai ragazzi “che in questi giorni di agosto hanno dedicato con generosità il loro tempo” a questa missione di evangelizzazione, intitolata “Chi ha sete venga a me”, e li affida “alla protezione della tenera Madre di Dio e Madre dei giovani”. Sul saluto del Papa, ascoltiamo il commento di uno dei promotori di questa missione, don Franco Mastrolonardo, parroco a Riccione. L’intervista è di Sergio Centofanti:
R. – Siamo stati molto contenti e anche molto sorpresi, perché abbiamo provato a scrivere una lettera così, dicendo: “Proviamoci, dai! Risponde a tutti!”, ma l’abbiamo buttata un po’ sullo scherzo … Invece è arrivata la risposta, l’abbiamo letta ai missionari, prima, e poi l’abbiamo letta ieri sera in chiesa: c’è stato un grande applauso e un urlo – “Francesco! Francesco!” – che ha mostrato i nostri sentimenti di gratitudine.
D. – Quanto vi sta ispirando, Papa Francesco, in questa uscita missionaria sulle spiagge?
R.- Diciamo così: che Papa Francesco ci sta confermando – magari è un pizzico di orgoglio, il nostro, ma è dal 2003 che noi abbiamo lanciato questa esperienza di andare nelle periferie di Riccione: io sono parroco qui dal 2002 e mi chiedevo come fare ad arrivare a tutti questi giovani che veramente arrivano qua a migliaia, dentro Riccone, e noi non potevamo fare niente. Avendo un tipo di pastorale ordinaria, infatti, non riuscivamo a fare entrare i ragazzi in chiesa o comunque a passare loro il messaggio di Gesù. Invece questa è stata veramente l’iniziativa che ha stravolto la nostra pastorale e ci ha dato la possibilità di arrivare a tanti giovani. Per un parroco, vedere tutte le notti ragazzi che vengono in chiesa, che si inginocchiano davanti a Gesù, che si confessano è un miracolo: è un miracolo, di questi tempi!
D. – Il Papa ringrazia per la “bella lettera”, come dice lui. Che cosa avete scritto in questa lettera?
R. – Semplicemente abbiamo scritto quello che facciamo. L’abbiamo messo in un linguaggio abbastanza giovanile, però fondamentalmente gli abbiamo raccontato quello che facciamo, cioè che andiamo sulle strade, sulle spiagge, che incontriamo cuori assetati di Gesù … Quindi in qualche modo gli abbiamo detto cose a cui lui crede profondamente. Per questo motivo io penso che il Papa sia rimasto contento, perché sono le cose che lui dice, che comunica, in cui crede … Quindi, trovarle in uno specchio, in una lettera semplice penso l’abbia colpito …
D. – Com’è andata l’esperienza di quest’anno?
R. – L’esperienza di quest’anno si va sempre più assestando: noi facciamo questa missione dal 2003. Nel 2003-2004 è stata esplosiva, avevamo tantissimi missionari: 200 missionari, il primo anno, 150 il secondo … Poi ci siamo detti: per poter essere fedeli dobbiamo fare una cosa più equilibrata, più ottimizzata. Sempre fuori dall’ordinario, certamente, ma anche con delle regole, con degli schemi. Per cui noi prendiamo esattamente 80 missionari e non di più, li formiamo, abbiamo un rapporto personale, in questa settimana, con ciascuno di loro … non è spersonalizzante, la missione, perché prima di tutto fa bene ai missionari: sono loro che crescono nella fede e in umanità, perché la fede si vive soltanto quando la comunichi, altrimenti è un intimismo che non serve a niente. E quindi è andata bene: è andata come ci aspettavamo, con tutti i piccoli-grandi miracoli degli incontri avvenuti in questi giorni.
D. – I giovani rispondono?
R. – I giovani rispondono, sì: i giovani rispondono. Penso che non siano più arrabbiati, i giovani, come magari lo erano negli anni Settanta-Ottanta nei confronti della Chiesa; i giovani hanno bisogno di qualcuno che li raccolga e che li ascolti. Se c’è qualcuno, vengono: hanno bisogno, di questo. Durante le notti vedo questi giovani missionari – perché avranno 20, 22, 25 anni al massimo – che si mettono lì, sulle panche, insieme a questi ragazzi che hanno incontrato per strada e iniziano discussioni sul senso della vita … mi sembrano piccoli preti o piccole suore che confessano, in maniera più laica, ma che ascoltano i problemi dei ragazzi, e i ragazzi lasciano fare …
Papa Francesco tra i fedeli in San Pietro nella memoria di San Pio X
Grande sorpresa ieri mattina nella Basilica di San Pietro. In occasione della memoria di San Pio X, tra i fedeli che hanno partecipato alla Messa delle 7.00 nella Cappella dedicata a Papa Sarto, c’era anche Papa Francesco. A presiedere la celebrazione, mons. Lucio Bonora, trevigiano, officiale della Segreteria di Stato. Sergio Centofanti lo ha intervistato:
R. – Appena hanno aperto la Basilica, lui si è infilato dalla Porta della Preghiera che guarda appunto Santa Marta, ed è sceso in Basilica all’altare di San Pio X. Quando io sono uscito con altri due sacerdoti per andare all’altare a celebrare la Messa delle 7, la Gendarmeria e i Sampietrini mi sono venuti incontro dicendomi: “C’è il Santo Padre all’altare di San Pio X che sta pregando”. Dico: “Che faccio io, torno indietro?”. E mi dicono: “No, monsignore, vada”, e io sono andato. E là lui mi ha visto e mi ha detto che era venuto per una preghiera perché aveva celebrato già la Messa presto, quando si era alzato a Santa Marta, e che però voleva fare questo omaggio a San Pio X. Quando ha visto che io entravo per celebrare la Messa ha voluto restare, fermarsi là con i fedeli e partecipare alla Messa e pregare.
D. – Poi alla fine ha salutato anche i fedeli…
R. - Certamente, ha dato l’abbraccio di pace, lo scambio di pace alle persone che stavano dietro al banco suo. E quando io sono sceso per dare l’abbraccio di pace al Papa e lui è uscito dal banco per venirmi incontro, aveva finito i 3, 4, 5 fedeli che stavano dietro a lui, aveva scambiato la mano… E’ stata una cosa molto commovente, intanto per me, ma anche per tutti i fedeli che hanno visto il Papa come un umile fedele che va a pregare alla tomba di San Pio X. Quindi a me dice molto questo: dice proprio della cura personale nei confronti dei santi di cui siamo devoti e questa sintonia nel giorno della loro festa, nel giorno del dies natalis di questi santi. Siamo in buona compagnia e quindi anche il Papa ha cercato la compagnia di San Pio X nel giorno della festa di San Pio X proprio per il suo ministero e per le responsabilità che ha nei confronti della Chiesa e del mondo. Quindi è bello vedere che non è andato come Papa - tanto è vero che è entrato da solo senza tanti apparati! - ma dice proprio la sua devozione e il suo attaccamento alla persona di San Pio X. Poi mi ha detto che lui ha pregato particolarmente per i catechisti perché quando era arcivescovo di Buenos Aires, il giorno di San Pio X era la giornata dei catechisti poiché Pio X è considerato il Papa del catechismo e quindi lui faceva l’incontro con i catechisti della sua diocesi proprio in nome di San Pio X. Credo che questo sia molto bello perché lo riportano anche le sue biografie…
D. – Che lui è devoto di San Pio X…
R. – Sì, me lo aveva già detto due anni fa quando gli ho detto che ero di Treviso e mi ha detto che era molto devoto di San Pio X. Questa è una sua devozione personale che coltivava da tanto, da tempo, proprio per la figura di questo Papa. E naturalmente in Argentina, nella festa di San Pio X, i catechisti si ritrovavano con lui ma ci sono anche dei suoi discorsi fatti ai catechisti a Buenos Aires, come arcivescovo della città.
Mons. Tomasi: Occidente indifferente alle sofferenze dei cristiani
Al Meeting di Rimini è intervenuto oggi mons. Silvano Maria Tomasi. L’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, ha parlato delle attuali crisi mondiali a partire dal dramma delle migrazioni. Ascoltiamolo al microfono del nostro inviato Luca Collodi:
R. – C’è una volontà politica che continua a mantenere le disuguaglianze tra Paesi, che provocano questi disagi, spingono le persone a cercare altrove soluzioni, o perché i loro diritti umani sono violati o perché la guerra non permette di vivere una vita normale. E poi, un altro aspetto importante è quello economico. Le grandi multinazionali, le relazioni commerciali tra Stati che funzionano, normalmente, a beneficio dei Paesi più forti, lasciano sempre un po’ indietro i Paesi più deboli economicamente .
D. – I migranti sono il frutto di una destabilizzazione dei Paesi più forti, dei Paesi più sviluppati?
R. – E’ una realtà, è un dato concreto che dall’invasione dell’Iraq del 2003 a oggi, la situazione nel Medio Oriente è andata sempre peggiorando. Dobbiamo confrontarci con una situazione nuova. Per esempio, le Nazioni Unite erano state fondate alla fine della Seconda Guerra mondiale per portare pace tra gli Stati. Ora la questione è come portare la pace dentro gli Stati. Le conseguenze delle azioni che Paesi occidentali hanno posto, sono quelle che vediamo oggi.
D. – I valori cristiani e l’integrazione dei migranti, quanto sono compatibili?
R. – Come cristiani abbiamo il dovere dell’accoglienza. L’accoglienza è una responsabilità verso le necessità del resto della famiglia umana. Però, il bene comune anche domanda che teniamo un equilibrio. Anzitutto, direi che bisogna affrontare il problema alle radici e vedere le cause per cui queste persone si muovono, e se noi siamo responsabili in qualche modo di questo movimento dobbiamo tirarne le conseguenze. C’è il dovere di accogliere ma c’è forse, credo, il diritto di mantenere la propria identità. E la propria identità in questo caso soprattutto mi pare l’identità cristiana. Davanti a una presenza di immigrati musulmani che hanno una difficoltà particolare da affrontare, che è quella di non accettare la separazione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato – diremmo nel nostro linguaggio –, questo ha una conseguenza diretta sul processo di integrazione. E come facciamo? Dobbiamo anche dire che ci sono dei valori fondamentali che devono essere accettati. Tra questi valori fondamentali c’è il rispetto del pluralismo nella società, la separazione tra politica e religione, l’accettazione di un processo democratico normale, in modo che sia possibile la convivenza serena, costruttiva di tutte le persone che vengono a costituire la comunità arricchita di queste presenze.
D. – Intanto, il fondamentalismo religioso sta distruggendo simboli cristiani in Medio Oriente, ma questa cosa passa non dico inosservata, ma comunque con una certa normalità nelle opinioni pubbliche internazionali …
R. – I cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato nel mondo. L’Occidente è indifferente alla sofferenza dei cristiani. Ci sono espressioni di simpatia, ma al di là della voce di Papa Francesco, che ricorda il dovere di solidarietà con questi nostri fratelli perseguitati, da un punto di vista della grande politica globale il fatto religioso è messo da parte, non conta. Come se i diritti umani dei cristiani non avessero lo stesso valore dei diritti umani di altre persone. Questo mi pare sia una situazione non accettabile e sui cui dobbiamo continuamente insistere per creare un’opinione pubblica che finalmente possa spingere ad agire e a trovare una soluzione politica.
D. – Un possibile intervento militare a guida italiana sotto le bandiere delle Nazioni Unite in Libia, secondo lei può essere l’inizio di un cammino per riprendere il controllo di quell’area in Medio Oriente?
R. – La strada per trovare una rappacificazione, un tentativo di normalizzare la vita sociale e politica in Libia è quella del dialogo. Bisogna portare i gruppi, i rappresentanti delle varie tribù che costituiscono la Libia, assieme, attorno al tavolo; che si mettano d’accordo, che trovino una strada per uscire dalla violenza in cui sono insabbiati in questo momento. Una volta che c’è questo accordo, la presenza di forze militari internazionali per fare attuare l’accordo raggiunto dai libici, allora sì che è utile che ci sia una presenza militare!
D. – La prossima presenza del Papa alle Nazioni Unite potrà rilanciare la tanto richiesta riforma dell’Onu?
R. – La riforma dell’Onu è un dibattito di 30 anni e più: siamo passati da un senso di responsabilità comunitario, di solidarietà verso il resto della famiglia umana che aveva spinto, alla fine della Seconda Guerra mondiale, queste istituzioni, a un individualismo assoluto nel quale c’è un concetto di libertà senza responsabilità che di fatto sta bloccando l’azione globale che è necessaria per risolvere i problemi di oggi. Quello che il Santo Padre può dire e incoraggiare è questo senso di vera solidarietà, quella fraternità che del resto è il Vangelo che ce lo comanda, che è quella che permette un’azione globale efficace.
Congressi eucaristici. nomine del Papa in Rep. Ceca e Bolivia
Papa Francesco ha nominato il cardinale Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio Consiglio "Cor Unum", suo inviato speciale alla celebrazione conclusiva del primo Congresso eucaristico nazionale della Repubblica Ceca, che avrà luogo a Brno il 17 ottobre 2015.
Il Papa ha nominato il cardinale Daniel Fernando Sturla Berhouet, salesiano, arcivescovo di Montevideo, in Uruguay, suo inviato speciale al quinto Congresso eucaristico nazionale di Bolivia, che sarà celebrato a Tarija dal 16 al 20 settembre 2015.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Il Papa del catechsimo: Francesco in basilica partecipa alla messa per la memoria liturgica di san Pio X.
In prima pagina, un editoriale di Manuel Nin dal titolo "Fino a quando, Signore?": la croce di Crsto abbattuta ma mai sradicata.
Antoine Guggenheim sul dilemma di Blaise Pascal: spunti di riflessione nati dal dialogo tra un professore cristiano e i suoi studenti cinesi.
Giù le mani dai film capolavoro: Emilio Ranzato sui difetti dei tanti remake che costellano la storia del cinema.
Segnali di pioggia: Cristian Martini Grimaldi sulla città inglese di Whitby fra Dracula e i pirati.
La scandalo di un funerale: il Vangelo di fronte alla malavita.
Preoccupa la "crisi" cinese: borse internazionali nel panico
Crisi cinese e listini del Giappone, degli Stati Uniti e dell’Ue in rosso: la crisi cinese continua a preoccupare. Negli Stati Uniti si parla di "panic selling", le vendite incontrollate che segnano una brusca inversione di tendenza dei listini, ovviamente al ribasso. A spiegare la fase di contrazione, con le azioni globali che hanno perso oltre 2.000 miliardi di dollari in pochi giorni, c'è il rallentamento dell'economia cinese, accompagnato dallo scoppio della bolla azionaria e le improvvise svalutazioni dello yuan. Per capire le dinamiche in atto e le possibili implicazioni mondiali, Fausta Speranza ha intervistato Carlo Altomonte, docente di politiche economiche alla Bocconi:
R. – Da un lato, bisogna considerare il rallentamento dell’economia cinese, che evidentemente incide sulle prospettive di crescita dell’economia, e sulla capacità quindi di esportare da parte delle economie occidentali. Poi, la politica monetaria americana: il fatto cioè che i tassi americani potrebbero risalire. E infine, la crisi che ciò comporterebbe sulle valute delle economie emergenti.
D. – Per capire come siamo arrivati a questo punto, è giusto riandare con la memoria alla crisi, al crack Lehman Brothers, come fanno alcuni?
R. – Mi sembra un’associazione un po’ troppo azzardata… Nel senso che la parte che riguarda la politica monetaria americana – e quindi il fatto che i tassi americani, che erano scesi con il crack di Lehman Brothers, per la prima volta dal 2008 inizieranno a risalire – sicuramente ha un impatto. Ma questo è l’unico legame che vedo,oltre al fatto che stiamo ancora capendo come gestire l’eredità di quel crack in Occidente. È altrettanto vero che poi questa salita dei tassi Usa potrebbe portare a un rafforzamento del dollaro, e a un problema di indebitamento delle economie emergenti. Però la dinamica cinese, di cui parlavamo prima, è del tutto autonoma.
D. – La crescita dell’economia cinese rallentata e i crolli di borsa sono legati evidentemente, ma sono anche due fenomeni che vanno paralleli?
R. – Che l’economia cinese debba rallentare è nei fatti – lo sapevamo tutti e avevamo già rivisto la crescita cinese, dall’8% o oltre degli anni scorsi a circa il 7% in questi anni, per poi arrivare nei prossimi anni a stime intorno al 6-5%. Proprio perché l’economia cinese sta perdendo sempre di più le caratteristiche di economia emergente e sta diventando una economia avanzata, quindi supportata dalla crescita dei consumi interni e quindi da tassi di crescita non sostenibili ai livelli del 7-8%. Questo evidentemente ha un impatto sulle economie occidentali, in quanto gran parte di queste ha avuto un crollo dei consumi con la crisi e una dinamica degli investimenti molto fiacca, e sono state tirate su sostanzialmente grazie alle esportazioni verso la Cina che cresceva. E ciò ha evidentemente un impatto sugli utili delle aziende occidentali e quindi sulle Borse. Però non drammatizzerei, nel senso che una Cina che cresce meno, potenzialmente, se nel breve periodo rappresenta un fattore di destabilizzazione, nel lungo periodo diventa invece un fattore di stabilità. La crescita vuol dire che centinaia di milioni di persone iniziano a consumare su livelli che prima non avevano. Se questo accade in modo più graduale, e dunque opportunatamente gestito, diventa un fattore potenziale di stabilità nei prossimi anni per la crescita globale.
D. – E invece la crisi delle Borse? Come nasce in questo momento? Non è solo il prodotto del rallentamento della crescita, ha anche altre dinamiche...
R. – In parte la dinamica cinese, da un lato, e la svalutazione, sia pure marginale fino a questo momento, della valuta, fa rallentare le prospettive di export delle aziende occidentali, comprimendone quindi gli utili. C’è poi un dato di crescita interna che preoccupa in Europa, e anch’esso ha depresso le borse. E infine si aggiunge la possibilità che salgano i tassi americani e che questa salita possa comprimere, almeno nel breve periodo, anche la crescita degli Stati Uniti. Vediamo di conseguenza tre aree del mondo – Cina, Europa e Stati Uniti – che, seppure per ragioni e dinamiche diverse, in questa fase stanno dando segnali di crescita potenzialmente inferiori alla media e questo evidentemente fa sì che le Borse ritraccino, però dopo un anno – perché fino adesso è andata molto bene. Quindi c’è anche l’idea che molti stanno chiudendo le posizioni per portarsi a casa gli utili guadagnati da gennaio fino ad oggi.
Barconi nel Mediterraneo. Macedonia, ancora frontiere chiuse
Decine di imbarcazioni alla deriva nel Mediterraneo hanno lanciato l'allarme chiedendo l'intervento dei mezzi di soccorso italiani ed europei. Intanto, tra Grecia e Macedonia restano bloccati di migranti provenienti dalla Siria. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Un numero imprecisato di gommoni e barconi sono alla deriva partiti dalle coste della Libia. Hanno lanciato ripetute richieste di aiuto. La centrale operativa della Guardia Costiera italiana, che coordina gli interventi, parla di almeno 18 richieste di soccorso. Si stimano tra le duemila e le tremila persone da salvare. Non si sa nulla delle loro condizioni di salute, quanti siano i bambini, le donne, gli anziani e malati a bordo dei natanti. E mentre si lotta contro il tempo in mare, è emergenza al confine tra Grecia e Macedonia. A Gevgelija, piccolo paesino di frontiera, Skopje ha decretato lo “stato di emergenza”, chiuso il passaggio e schierato l’esercito che ieri ha lanciato lacrimogeni contro i migranti. Tremila sono rimasti bloccati fino alla serata di ieri, quando circa in 300 sono stati fatti passare oltre confine: per lo più donne bambini e malati. Gli altri hanno passato la notte al freddo e sotto la pioggia. Questa mattina, altri piccoli gruppi di persone sono stati autorizzati al transito, ma in migliaia restano in una zona senza tempo e diritti. Tutte le agenzie umanitarie si sono mobilitate per i migranti, per lo più siriani, che per arrivare in Europa sono giunti in Grecia e dalla Macedonia cercano di andare in Serbia e poi Ungheria porta per l’Ue. In questo scenario, la portavoce dell'Alto rappresentante europea, Federica Mogherini, ribadisce che la Commissione Ue "sta seguendo da vicino gli sviluppi" in Macedonia ed è "pronta ad aiutare" il Paese a fronteggiare i flussi.
Funerali boss, Sabella: Roma non è mafiosa ma serve più controllo
E’ pronta la relazione del prefetto di Roma Franco Gabrielli sui funerali di Vittorio Casamonica, svoltisi giovedì nella chiesa di Don Bosco a Roma. Intanto emerge che Carabinieri e Polizia sapevano delle esequie. I particolari da Alessandro Guarasci:
Ministero dell’Interno e Comune di Roma stanno lavorando per capire come prevenire scene simili a quelle che si sono viste al funerale del boss Vittorio Casamonica. Il prefetto Gabrielli diche che la prossima settimana ci sarà un comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica dedicato alla vicenda. Poi, il ministro Alfano deciderà cosa fare.
Per l’assessore alla Legalità del Comune Alfonso Sabella ci sono state sicuramente sottovalutazioni:
R. – A Roma, probabilmente non c’era l’abitudine fino a questo momento a coordinarsi su certi eventi perché sono eventi assolutamente anomali, che nessuno in qualche modo si aspettava che si verificassero anche a Roma capitale. In qualche modo, c’è stata qualche valutazione a monte della possibilità che anche Roma fosse territorio di manifestazioni spettacolari come quella del funerale di Vittorio Casamonica.
D. – Come Comune, come state pensando di agire per le prossime ore, per i prossimi giorni anche?
R. – Certamente, cercheremo di creare un meccanismo affinché in occasione di funerali o eventi analoghi di questo tipo, le informazioni siano fatte circolare nella maniera più adeguata, in maniera tale che tutti gli organi che in questo caso possono intervenire, a cominciare dalla Questura, dalle forze di Polizia, dalla Magistratura, siano messi in condizione di conoscere l’evento e quindi di prevenire.
D. – Serve anche un migliore coordinamento col Vicariato, con le parrocchie, secondo lei?
R. – Quello sarebbe auspicabile. Nessuno può mettere in dubbio l’impegno nel sociale che la Chiesa cattolica ha nel territorio italiano, la sua forte vocazione antimafia. Proprio per questo, occorre anche ci sia un dialogo tra la Chiesa e le altre istituzioni dello Stato, affinché episodi come quelli che si sono verificati a Roma due giorni fa non si verifichino più.
D. – Quello che è emerso è anche il messaggio che si è voluto dare con questo funerale. Ma secondo lei, il corpo della città è sano, ha gli anticorpi per reagire a questi messaggi perversi?
R. – Roma certamente non è una città mafiosa, non c’è quella condizione di assoggettamento e omertà che riguarda tutta la popolazione. Purtroppo, però – e finalmente qualcuno ne ha preso atto – a Roma esistono organizzazioni di tipo mafioso che si atteggiano e si muovono analogamente alle più famigerate organizzazioni mafiose del Sud Italia. Quindi, Roma ha la possibilità di farcela tranquillamente, perché basta che i cittadini romani prendano coscienza di non essere mafiosi ma che si possono trovare di fronte a fenomeni mafiosi nella loro città.
D. – Per quanto riguarda gli appalti, c’è bisogno di fare chiarezza anche e soprattutto in vista del Giubileo?
R. – A maggior ragione, perché ovviamente noi in questo momento stiamo partendo con tutta una serie di gare di appalto. Abbiamo già messo in atto diverse procedure di trasparenza, non discriminazione, concorrenza a rotazione, che dovrebbero tenere fuori gli appetiti illeciti – mi riferisco al controllo in corso d’opera dell’esecuzione degli appalti. Quindi, c’è tutta una serie di procedure che abbiamo già messo in atto e che sicuramente renderanno più difficile la vita a chi vorrà turbare la macchina amministrativa, a chi vorrà dirottare le pubbliche risorse per soddisfare esigenze private.
Riaperta al pubblico la Latomia dei Cappuccini a Siracusa
Una passeggiata in una cava circondata da pareti calcaree di 40 metri d’altezza e all’interno alberi secolari, fiori e piante rare arrivate da tutto il mondo. E’ la Latomia dei Cappuccini a Siracusa, aperta in questi giorni nuovamente al pubblico dopo molti anni di chiusura. Il complesso archeologico-naturalistico sarà visitabile dal venerdì alla domenica fino al prossimo 27 settembre. Marina Tomarro ha intervistato Salvo Sparatore, della Società Erga, che si occupa della conservazione della Latomia:
R. – La Latomia dei Cappuccini, che prende il nome dal convento situato proprio sopra di essa, è sicuramente la più antica e la più bella delle latomie siracusane. Non ci sono notizie riguardanti l’inizio della sua utilizzazione. Tuttavia, si sa con sicurezza che essa era già in uso orientativamente intorno al VI secolo A.C., perché alcuni autori, tra cui ad esempio Tucidide, ne parlano. La Latomia era una cava da cui veniva estratto il materiale che poi serviva per le costruzioni. E nel corso dei secoli la latomia ha svolto diversi ruoli: per esempio è stata protagonista del periodo del “Grand Tour”. I Cappuccini stessi utilizzavano questo luogo come giardino e vi crearono un orto. Ora, anche d’accordo con i Frati cappuccini, stiamo cercando di rivedere, dal punto di vista storico, dove sorgeva l’orto dei frati e come lo si potrebbe in qualche modo far rinascere e rivalorizzare. Oggi, la Latomia è una proprietà comunale e il nostro ruolo è quello di rivalorizzare un patrimonio straordinario sotto vari punti di vista.
D. – La Latomia cosa offre al visitatore?
R. – Uno squarcio di un giardino all’interno di un canyon in pieno centro cittadino. Quando si scende la scalinata della Latomia si perde la condizione del tempo, perché sembra si stia entrando all’interno di una riserva naturale: si visita una selva all’interno del tessuto cittadino. Con la calura tipica delle estati siracusane, visitare la Latomia dei Cappuccini permette di ritrovarsi in una vera e propria oasi in cui ci si può rinfrescare. Ovviamente, poi, stiamo cercando di valorizzare anche i temi legati alla riflessione e alla spiritualità: la nostra idea è infatti quella di far vivere questo spazio anche come un luogo di spiritualità.
D. – La Latomia è stata chiusa per molti anni: la sua apertura è anche un’occasione, secondo lei, per creare nuovi posti di lavoro per i giovani siciliani?
R. – Sicuramente. Uno dei motivi per cui siamo veramente felici di poter far rifiorire la Latomia è perché si creano immediatamente dei posti di lavoro: ci sarà chi si occuperà delle visite guidate, chi della biglietteria, chi dell’accoglienza. Tutto questo sempre tenendo in considerazione l’aspetto della sostenibilità. Sicuramente, grazie a questo progetto si creano posti di lavoro e c’è una ricaduta sul territorio. La zona intorno alla quale insiste la Latomia viene infatti rivitalizzata, dal momento che questa si trova anche un po’ fuori dal percorso classico che il turista fa quando viene a Siracusa, e che è più legato alla zona archeologica e all’isolotto di Ortigia. In contemporanea, è stata anche riaperta dopo circa 50 anni la fruizione culturale del Teatro comunale di Siracusa, i giardini di Villa Reimann e l’Artemision: un tempio greco che insiste sotto il Palazzo comunale.
Pio XII, il Papa che "incoronò" Regina la Madre di Dio
Fu Pio XII a compendiare nell’Enciclica “Ad Coeli Reginam”, nel 1954, venti secoli di devozione che dalle origini del cristianesimo avevano colto nella Madre di Cristo i tratti di una divina regalità. Grazie in particolare a Papa Pacelli, dunque, la Chiesa celebra e venera ogni anno Maria col titolo di “Regina”, inizialmente il 31 maggio e, dopo la riforma del calendario liturgico, il 22 agosto, otto giorni dopo l’Annunciazione, a significare uno stretto legame tra la regalità mariana e la sua Assunzione. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La vita di fede è come un viaggio del quale si conosce la geografia iniziale – luoghi, vette, gole tortuose – ma non si sa nulla in anticipo della geografia che si scoprirà lungo il cammino. La storia della devozione mariana somiglia a questo itinerario. I mille titoli con i quali oggi si venera la Madre di Dio possono apparire ovvi e doverosi, e invece sono in maggioranza frutto di un lungo – non di rado tortuoso, per l’appunto – percorso di spiritualità e intelletto. Proprio la maternità divina di Maria per esempio fu definita ufficialmente nel 431 durante il Concilio di Efeso, dopo un’acre disputa con Nestorio che la riconosceva madre del Cristo Uomo, ma non del Cristo Dio.
Regina da sempre
Teologicamente meno problematico fu lo sviluppo della comprensione di Maria come Regina. Sin dall'alba cristiana, la Madonna prima ancora che descritta viene ritratta – nelle catacombe di Priscilla, ad esempio – come una Imperatrice. E Sant’Efrem, alla fine del quarto secolo, è il primo Padre della Chiesa a conferirle questo titolo regale. Esattamente come un territorio via via ritratto nei dettagli da un esploratore cartografo, secoli di alto magistero e di devozione di popolo si coagulano nel Novecento e il paesaggio della regalità di Maria appare definito in tutte le direzioni.
Pio XII e l’“Ad Caeli Reginam”
A farsi carico di dare compiutezza a questa visione che vede la Madre di Dio compresa come Regina è Pio XII, che già nel 1942 consacra l’Umanità al cuore immacolato di “Maria regina dell’Universo”. Ma è soprattutto l’11 ottobre 1954 che questo antichissimo viaggio di fede trova l’approdo definitivo. Papa Pacelli promulga la “Ad Caeli Reginam”, l’Enciclica sulla dignità regale della Vergine, autentico compendio di duemila anni di storia sul tema. Citando all’inizio il Vangelo dell’Annunciazione, in cui l’arcangelo Gabriele predice il regno eterno del Figlio di Maria, e poi la scena dell’incontro con Elisabetta, che s'inchina davanti a lei, chiamandola “Madre del mio Signore”, si comprende “facilmente, scrive Pio XII, perché “già gli antichi scrittori della Chiesa” abbiano, “denominando Maria ‘madre del Re’ e ‘madre del Signore’, voluto significare che dalla regalità del Figlio dovesse derivare alla Madre una certa elevatezza e preminenza”.
Il Papa e la Regina
E appena un mese dopo la pubblicazione dell’Enciclica, Papa Pacelli pronuncia in San Pietro un infervorato discorso in onore di Maria Regina. Distillando le sue parole dall’enfasi tipica dell’epoca, le parole di Pio XII sono un’affettuosa preghiera con cui, viene da dire, il Papa incorona la Vergine a nome della Chiesa universale, dedicandole alla fine una lunga e intensa preghiera:
“Lungi dall'essere fondato sulle esigenze dei suoi diritti e la volontà di un altero dominio, il regno di Maria non conosce che un'aspirazione: il pieno dono di sé nella sua più alta e totale generosità (…) Regnate, o Madre e Signora, (…) sugl'individui e sulle famiglie, come sulle società e le nazioni; sulle assemblee dei potenti, sui consigli dei savi, come sulle semplici aspirazioni degli umili (...) e accogliete la pia preghiera di quanti sanno che il vostro è regno di misericordia, ove ogni supplica trova ascolto, ogni dolore conforto, ogni sventura sollievo, ogni infermità salute, e dove, quasi al cenno delle vostre soavissime mani, dalla stessa morte risorge sorridente la vita”. (Pio XII, primo novembre 1954)
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
Nella 21.Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù, dopo le parole sul pane disceso dal cielo che hanno scandalizzato molti, dice ai discepoli se anche loro vogliano andare via. Pietro risponde:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti:
Ed eccoci giunti all’ultimo passo del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni. Gesù ha compiuto il segno della moltiplicazione dei pani e ha dato una parola profetica sul pane di vita che il Padre ha mandato dal cielo per portare a compimento il nuovo esodo verso la casa del Padre. Per questo ha chiesto di accogliere l’opera di Dio, cioè di “credere in Colui che egli ha mandato”, di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue per avere la vita eterna. Ma la parola scomoda del Signore ha suscitato dapprima mormorazione, poi “aspra discussione”. Ed ora il dramma si chiude e diventa rifiuto: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Questa parola non è per noi. Molti discepoli si tirano indietro e non vanno più col Signore. Un’immagine reale di quanto sta accadendo a tanti cristiani oggi: davanti alle sfide del mondo odierno, davanti ai contrasti che la vocazione cristiana suscita nella società, davanti allo scandalo della croce – e spesso, acriticamente, solo portati via dalle mode, da ciò che pensano gli altri, dagli interessi – si è pronti a rinnegare la propria fede, a fare le scelte che fanno tutti (nel matrimonio, nell’etica sessuale, nell’educazione dei figli, nell’economia…). La domanda di Gesù ai suoi discepoli ci tocca tutti direttamente oggi: “Volete andarvene anche voi”? L’incontro con i fratelli, l’ascolto della parola di Dio, la celebrazione dell’Eucaristia ci aiutino oggi a fare nostra con coraggio la risposta di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
Guatemala: marcia dei leader religiosi contro la corruzione
Su iniziativa del Consiglio ecumenico cristiano del Guatemala, circa cinquanta rappresentanti di diverse religioni hanno compiuto, ieri, nella capitale del Paese, una marcia per protestare contro la corruzione politica e richiedere una riforma elettorale. Ad appena due settimane dalle elezioni generali, in programma il 6 settembre, il Guatemala è, infatti, immerso in una grave crisi politica scoppiata con la pubblicazione del rapporto della Commissione Internazionale contro l’impunità nel Paese e del Ministero Pubblico: il documento indica che, dallo scorso aprile, sono stati identificati 13 casi di corruzione che hanno coinvolto circa 60 funzionari pubblici dei tre poteri dello Stato, provocando le dimissioni della vicepresidente Roxana Baldetti e mettendo a rischio il capo dello Stato, Otto Pérez Molina, al quale diversi organismi della società civile chiedono venga ritirata l’immunità.
Uniti contro la corruzione
I membri della Conferenza di religiosi e religiose, del Consiglio ecumenico cristiano, della Casa Tibet, del Centro culturale islamico, della Comunità Baha’i, della Comunità spirituale maya e rappresentanti di altre confessioni religiose del Paese hanno, quindi, organizzato la marcia di protesta che si somma alle innumerevoli manifestazioni di dissenso già messe in atto dalla società civile contro il Congresso, la Corte Costituzionale, la Corte suprema di giustizia e il Tribunale supremo elettorale. L’obiettivo è di tali iniziative è comune: sollecitare l’ascolto delle richieste della cittadinanza, affinché lo Stato faccia le riforme necessarie al vero progresso del Paese. Il “pellegrinaggio dell’indignazione” - come è stata chiamata l’iniziativa - è partito dalla Cattedrale metropolitana di Guatemala e dopo diverse soste, tra cui quelle davanti al Tribunale supremo elettorale ed al monumento del difensore dei diritti umani, mons. Juan Gerardi, si è concluso con una processione ‘aux flambeaux’, seguita da una celebrazione ecumenica e interreligiosa nella Basilica di Esquipulas, famosa per custodire l’immagine del “Cristo Negro” venerato da milioni di fedeli in tutto il Centro America.
Mons. Vian: i politici prima o poi pagheranno il conto dei loro privilegi
La marcia è iniziata con la benedizione dell’arcivescovo locale, Óscar Julio Vian Morales, che ha esortato i partecipanti a “camminare con fede, a pregare Dio perché il Guatemala abbia un futuro migliore e perché tanta gente non viva più nella povertà e nella miseria”. Mons. Vian ha affermato che questo tipo di proteste, cosi come tutte quelle portate avanti in questi mesi dalla società civile, sono positive perché fanno comprendere, soprattutto ai legislatori, che occorrono cambiamenti, “senza paura di perdere quei privilegi per i quali, prima o poi, pagheranno il conto”.
Necessaria riforma della legge elettorale
L’arcivescovo metropolitano ha sottolineato che la riforma della legge elettorale e della legge sui partiti è necessaria; tuttavia ha esortato la cittadinanza a “meditare profondamente sulla scelta di votare e sui candidati da eleggere”. Infine, il presule ha evidenziato che, a causa della crisi politica e istituzionale di questi mesi, qualunque sia il vincitore delle prossime elezioni, si avrà comunque “un governo debole, perché nato senza aver compiutoi cambiamenti che la popolazione aveva chiesto per esprimere con trasparenza e fiducia la propria scelta”.
Costruire un Paese migliore con l’impegno sociale della popolazione
Dal canto loro, i leader religiosi hanno affermato che la nazione è ancora in tempo per costruire un futuro migliore attraverso l’impegno sociale dei guatemaltechi. A conclusione dell’evento, i rappresentati religiosi hanno pregato per la pace, la giustizia e, in particolare, perché le elezioni del prossimo 6 settembre si realizzino all’insegna della serenità e della trasparenza. (A. Tufani)
Portogallo. Vescovo di Fatima: politica lavori al bene comune
La politica lavori sempre più alla “ricerca concreta del bene comune”: questa l’esortazione lanciata dal vescovo di Leiria-Fatima e vicepresidente della Conferenza episcopale portoghese (Cep), mons. Antonio Marto, incontrando la stampa a margine del Pellegrinaggio internazionale svoltosi nei giorni scorsi presso il Santuario mariano della città.
Occorrono progetti concreti per il Paese. No a demagogia
In particolare, in vista delle elezioni legislative previste in Portogallo il prossimo autunno, il presule ha invitato i candidati a presentare “progetti e proposte concreti, comprensibili a tutta la popolazione”. “I portoghesi – ha detto il presule – hanno bisogno di leader capaci di promuovere una politica dell’eccellenza, una politica che non scada nel populismo demagogico e che non sia prigioniera della denigrazione dell’avversario, che è la cosa più facile da fare”.
Promuovere il bene comune
Di qui, il richiamo al fatto che “se la classe politica desidera il rispetto del popolo, anche il popolo merita il rispetto della classe politica”, un principio che implica la promozione del bene comune. Inoltre, mons. Marto ha invitato tutte le comunità cattoliche del Paese ad “essere consapevoli dei propri diritti e doveri di cittadini”, così da assumersi la responsabilità della “scelta da fare” in cabina elettorale.
Allarme per i numerosi incendi. Appello alla salvaguardia del Creato
Infine, il presule non ha mancato di fare riferimento ai gravi incendi che stanno funestando l’estate portoghese: migliaia gli ettari di vegetazione già andati un fumo a causa dei roghi che stanno flagellando il grande parco nazionale situato al centro del gruppo montuoso della Serra da Estrela. Esprimendo “solidarietà ai vigili del fuoco ed a tutte le persone impegnate nel combattere la piaga degli incendi”, il vicepresidente della Cep ha quindi esortato la popolazione ad avere “una maggiore attenzione alla cura ed alla salvaguardia dell’ambiente”. (I.P.)
Docenti della Cattolica in Terra Santa: solidarietà con i cristiani
“In cammino sulle vie della Sapienza” è il tema del Pellegrinaggio in Terra Santa, in corso fino al 30 agosto, compiuto da un gruppo di docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, guidato dall’Assistente ecclesiastico generale, Mons. Claudio Giuliodori. Si tratta di “un’esperienza in cui la fede e la ragione, la spiritualità e la cultura si incontrano – spiega il presule - per rendere sempre più forte e matura la sequela del Signore Gesù”. Il pellegrinaggio, inoltre, aggiunge mons. Giuliodori, ha l’obiettivo di “illuminare il lavoro accademico con la luce della verità evangelica”.
Previsti incontro con le realtà ecclesiali locali
Il percorso avrà inizio in Giordania: da qui, i pellegrini entreranno in Galilea e poi si recheranno a Gerusalemme. Previsti anche incontri con le realtà ecclesiali locali, con visite al Patriarcato, alla Custodia di Terra Santa ed all’Università Cattolica di Betlemme.
Un segno di vicinanza e solidarietà con i cristiani del Medio Oriente
“Il Pellegrinaggio dei docenti della Cattolica – spiega una nota - vuole essere anche un gesto concreto di vicinanza ai cristiani della Terra Santa che si trovano a vivere oggi in situazioni molto difficili ed anche un segno di speranza e di incoraggiamento per tutti coloro che nel martoriato Medio Oriente si adoperano per la pace e la concordia tra i popoli”. (I.P.)
Angola. Appello Caritas: aiutare popolazioni colpite da siccità
Incoraggiare progetti di aiuto alle popolazioni colpite da siccità, mettere in atto misure di prevenzione adeguate e creare le condizioni per lo sviluppo post-siccità: queste le raccomandazioni principali del 35.mo Consiglio direttivo di Caritas Angola, conclusosi ieri a Luanda. Nel comunicato finale dei lavori, si ricorda che la questione della siccità “è al centro delle preoccupazioni di almeno tre Province del Paese” e che quindi occorre aiutare le popolazioni che si trovano ad affrontare “questa grande sfida” per la sopravvivenza.
Povertà e analfabetismo distruggono le famiglie. Rilanciare solidarietà
Di fronte, poi, a numerosi problemi riscontrati sul territorio, come “la povertà associata all’alcolismo che distrugge le famiglie e decima le vite dei giovani”, “l’analfabetismo che aggrava l’indigenza e rallenta lo sviluppo”, “la deforestazione e gli incendi che mettono a rischio il futuro delle comunità”, l’organismo caritativo invoca un rafforzamento delle strutture di assistenza a livello parrocchiale, così da andare incontro, in modo capillare, alle esigenze della popolazione locale. Non solo: l’appello della Caritas è anche a “rilanciare le campagne di solidarietà, nei tempi forti dell’Anno Liturgico, come Avvento e Quaresima, così da aiutare i più poveri con generosità”.
Tutelare l’ambiente da deforestazione e incendi
Altro punto essenziale – sottolinea la nota – riguarda il rafforzamento dell’assistenza alle famiglie contadine, in modo che possano legalizzare le proprie terre di fronte alle autorità competenti; allo stesso tempo, spiega la Caritas angolana, esse vanno aiutate nella diversificazione della produzione agricola. Nell’ottica della promozione della salvaguardia del Creato, inoltre, la Caritas angolana chiede la creazione di “un sistema di monitoraggio dell’abbattimento degli alberi, così da evitare la deforestazione e la conseguente desertificazione del Paese”. Per questo, si esorta a “sensibilizzare le popolazioni sulle conseguente nefaste degli incendi sull’ambiente e sull’economia nazionale”.
Il “contagio positivo” delle opere di carità
L’ultima raccomandazione del Consiglio direttivo della Caritas di Angola riguarda “l’intensificazione del flusso delle comunicazioni tra le diocesi, affinché, con una sorta di ‘contagio positivo’, si moltiplichino i progetti caritativi con esito positivo”. Svoltasi dal 18 al 20 agosto, la riunione della Caritas angolana ha visto la presenza dei delegati di tutte le diocesi ed arcidiocesi del Paese. A dare l’avvio ai lavori è stata una celebrazione eucaristica presieduta da mons. Tirso Blanco, presidente del Consiglio direttivo. All’incontro hanno preso parte anche rappresentanti di altri organismi caritativi operanti in Angola, come il Catholic Relief Service e il Jesuit Refugee Service. (I.P.)
Benin: migliaia di pellegrini al Santuario di Nostra Signora di Arigbo
Migliaia di pellegrini da diversi Paesi dell’Africa occidentale e centrale, ma anche dall’Europa, sono radunati dal 21 al 23 agosto a Dassa Zoumé, in Benin, per il 61.mo pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Arigbo. Il pellegrinaggio si svolge ogni anno dal 1954 ed è uno dei più importanti appuntamenti religiosi dell'Africa Occidentale.
Il card. Robert Sarah invitato al pellegrinaggio
Ad animare questa edizione - ha annunciato il presidente della Conferenze episcopale del Benin, mons. Antoine Ganyé - è il card. Robert Sarah. Il Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti presiederà una solenne messa per invocare la pace in tutti i Paesi africani e del mondo insanguinati dalla violenza e al terrorismo.
Il santuario costruito nel 1954 per volontà di mons. Parisot
Il Santuario di Nostra Signora di Arigbo ospita una riproduzione della grotta di Lourdes. La sua costruzione era stata voluta all’allora arcivescovo di Cotonou. Mons. Louis Parisot che aveva chiesto di creare un sito mariano per tutti i fedeli impossibilitati ad andare a venerare la Vergine Roma o a Lourdes. (L.Z.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 234