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Sommario del 21/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Tweet del Papa: leggere ogni giorno il Vangelo per seguire Gesù

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Una lettura quotidiana del Vangelo ci aiuta a vincere il nostro egoismo e a seguire con decisione il Maestro, Gesù”. Spesso, Papa Francesco, durante questi ormai quasi 2 anni e mezzo di pontificato, ha esortato a leggere il Vangelo, facendone distrbuire migliaia di copie in Piazza San Pietro, anche aiutato dai senzatetto. Ce ne parla Sergio Centofanti

Portate il Vangelo “nella borsa, in tasca. Leggete un passo ogni giorno. Vi farà bene, fatelo!”. Lo abbiamo sentito tante volte Papa Francesco ripetere questa esortazione: “Quando sei triste, prendi la Parola di Dio, leggila” e ti darà consolazione e gioia. Nel Vangelo - spiega il Papa - Gesù “riaccende nei nostri cuori il calore della fede e della speranza”. Perché in quella Parola è “proprio Gesù” che “ci parla”. Non si tratta di una parola semplicemente “umana” o “filosofica”, magari convincente: “no, è un’altra cosa”. “La Parola di Dio è Gesù, Gesù stesso”: questa “è la forza della Parola di Dio: Gesù Cristo”.

Papa Francesco spiega come ricevere la Parola di Dio: non tanto per imparare, ma “per trovare Gesù”. Se c’è un vero ascolto della Parola, c’è un vero incontro con Gesù e questo incontro trasforma il cuore, cambia la vita. Occorre però ascoltare “con il cuore aperto, con il cuore umile” perché Gesù è venuto così, in umiltà, è venuto in povertà”.

C’è poi l’invito a non commettere un errore: ascoltare la Parola di Dio come “una cosa interessante”, far dipendere la propria fede dalla predicazione stimolante di qualche sacerdote. No, la fede, come dice San Paolo, se è vera, è fondata sulla potenza di Dio e non sulla sapienza umana: “anche noi – osserva il Papa – se vogliamo ascoltare e ricevere la Parola di Dio, dobbiamo pregare lo Spirito Santo” perché ci doni “un cuore come è il cuore delle Beatitudini” che ci fa trovare con semplicità in quella Parola  “Gesù vivo”. “Allora, il buon seme” porterà “frutto”.

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Tauran al Meeting di Rimini: guerre non sono di religione, ma politiche

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Il Meeting di Rimini si è aperto ieri all’insegna del dialogo interreligioso. Un cattolico, un ebreo e un musulmano hanno testimoniato che le religioni “sono per edificare l’uomo e non per la sua distruzione”. Se ne è parlato nell’incontro di apertura dal titolo: “Le religioni sono parte della soluzione, non il problema", con il cardinale Tauran, il gran rabbino di Francia Korsia e il rettore della moschea di Lione, Gaci. In un videomessaggio al Meeting, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha sottolineato come “il mondo di oggi sia segnato da conflitti e disuguaglianze, con persone, tuttavia, impegnate a rafforzare la speranza”. Ban Ki-moon ha annunciato per settembre, con la presenza del Papa a New York, una nuova Agenda per lo sviluppo sostenibile. Al microfono di Luca Collodi, il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso: 

R. – Oggi non c’è un conflitto che sia di natura religiosa. Tutti i conflitti che dobbiamo gestire, purtroppo, si devono a ragioni politiche. Ma quando si guarda il mondo di oggi, non lo si può capire senza la religione. Questo è il grande paradosso. Un secolo fa ci hanno detto “Dio è morto”, ma vediamo che non è morto, perché è molto presente. Quindi questo paradosso ci spinge a dialogare, perché Dio fa parte della vita dell’uomo di oggi. L’uomo è un “animale” religioso.

D. – Perché le religioni, però, sono spesso presenti all’interno dei conflitti?

R. – Prima di tutto non sono le religioni ad essere presenti, ma sono i seguaci delle religioni, che sono uomini e donne segnati dal peccato originale. Sappiamo, quindi - lo dice la Costituzione conciliare Gaudium et spes – che la violenza ci sarà fino alla fine del mondo. Dobbiamo, dunque, essere capaci di gestire questa violenza. Il male si vince con il bene.

D. – Molti governi “laici” per evitare conflitti abbassano le identità, anche religiose: questo secondo lei è un percorso giusto?

R. – No, perché nel dialogo interreligioso la prima cosa su cui soffermarsi - come di fatti ha ricordato il rettore della moschea di Lione - è l’identità: sapere chi sono, in cosa credo, quali sono i valori fondamentali che guidano la mia vita. Non c’è dialogo interreligioso, dunque, che riposi sull’ambiguità. Noi dobbiamo avere un’idea del contenuto della nostra fede.

D. – Religioni e democrazia: spesso non è un dialogo facile…

R. – … giustamente l’uomo è libero e molte volte il male si sovrappone al bene. Noi dobbiamo sempre fare in modo che la forza della legge prevalga sulla legge della forza.

D. – L’integralismo islamico che idea ha della religione? 

R. – L’integralismo islamico prima di tutto non è il vero islam. E’ una perversione. Si tratta di gruppi traviati, purtroppo, che godono dell’appoggio di alcuni settori, che non sono a favore della democrazia.

D. – La mancanza di pace oggi dipende anche da un’alleanza tra religione e potere?

R. – In certi casi sì. Le religioni, però, i credenti, sono una forza di bene e lo vediamo … E’ sempre importante che i mezzi di comunicazione insistano di più su questi aspetti positivi: per esempio,  una famiglia musulmana a Baghdad, che ospita da due anni una famiglia cristiana. Questo è un fatto molto bello. O i padri dominicani che due anni fa hanno fondato a Baghdad l’Accademia delle Scienze Sociali, dove hanno più di mille studenti, quasi tutti musulmani. Queste sono belle cose che portano luce nelle tenebre, di cui dobbiamo parlare.

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Giubileo: percorso pedonale ad hoc per pellegrini a S. Pietro

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In pellegrinaggio verso la Porta Santa della Basilica Vaticana, i fedeli seguiranno un percorso pedonale riservato: lo rende noto la Segreteria organizzativa del Giubileo straordinario della misericordia. Le registrazioni per il pellegrinaggio alla Porta Santa Vaticana saranno avviate nel mese di ottobre. Il servizio di Isabella Piro: 

Da Castel Sant’Angelo a via della Conciliazione, attraversando poi Piazza Pio XII e Piazza San Pietro: sarà questo il percorso pedonale riservato ai pellegrini che, durante il Giubileo della Misericordia, vorranno passare attraverso la Porta Santa della Basilica Vaticana. Un modo, spiega la Segreteria organizzativa dell’evento, per “consentire ai fedeli di compiere un breve pellegrinaggio”. Poiché, inoltre, si prevede un grande afflusso di persone, “è fortemente consigliabile” che i pellegrini rendano noti le date e gli orari in cui desiderano compiere il percorso.

Ad ottobre, al via registrazioni on line su www.im.va
“Il passaggio della Porta Santa contiene un flusso limitato di pellegrini – sottolineano ancora gli organizzatori – Per evitare inutili attese e per favorire l’accompagnamento spirituale, quindi, è importante che soprattutto i gruppi organizzati provvedano a mettersi in contatto con la Segreteria organizzativa tramite la sezione “Registrazione pellegrini” del sito web ufficiale del Giubileo (www.im.va), che sarà attiva dal mese di ottobre”. In questo modo, sarà possibile selezione la data e l’ora approssimativa del pellegrinaggio alla Porta Santa in San Pietro ed iscriversi ai Grandi eventi giubilari.

Ridurre i tempi di attesa e garantire clima di preghiera
Sarà poi la Segreteria organizzativa a confermare la richiesta dei fedeli – singoli, in gruppi o nuclei familiari – “indicando l’orario migliore in cui presentarsi all’inizio del percorso protetto”. “Questo sistema – affermano gli organizzatori - permetterà di ridurre al minimo le attese e contribuirà a garantire un clima di preghiera e di raccoglimento durante il pellegrinaggio a piedi verso la Porta Santa”.

A breve, attivo Centro accoglienza pellegrini
Inoltre, per tutti coloro che non si fossero registrati in anticipo tramite web, sarà disponibile il “Centro accoglienza pellegrini”, in via della Conciliazione 7, di prossima apertura, dove i volontari “aiuteranno i fedeli a mettersi in pellegrinaggio nel momento più favorevole”.

Per le Porte Sante delle altre Basiliche papali, non occorre registrarsi
Da ricordare che la registrazione è necessaria solo per il passaggio alla Porta Santa Vaticana, che verrà aperta l’8 dicembre. Per passare le Porte Sante delle altre Basiliche papali di Roma, ovvero San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura (che verranno aperte il 13 dicembre) e Santa Maria Maggiore (apertura il 1.mo gennaio 2016) non occorrerà registrarsi. 

Volontari a disposizione di malati e disabili
Infine, la Segreteria organizzativa sottolinea che “tutte le quattro Basiliche papali, oltre ad essere dotate di un posto medico di primo soccorso, saranno presidiate da volontari al servizio di tutti i pellegrini e preposti all’assistenza alle persone disabili. Per questo, “è utile che al momento della registrazione vengano segnalate anche eventuali necessità mediche specifiche”.

Papa Francesco: assumere misericordia come stile di vita
Indetto da Papa Francesco lo scorso 11 aprile, con la pubblicazione della Bolla “Misericordiae Vultus, il Giubileo straordinario della Misericordia ha per motto “Misericordiosi come il Padre”, espressione tratta dal Vangelo di Luca (6,36) e che, spiega il Pontefice, richiede la capacità di “porsi in ascolto della parola di Dio” in modo da “contemplare la sua misericordia” assumendola come stile di vita. L’Anno Santo si aprirà ufficialmente il prossimo 8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione, e concluderà il 20 novembre 2016, Festa di Cristo Re.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per spezzare milioni di catene: in prima pagina, il vicedirettore sulla lotta alla tratta inserita tra gli obiettivi del millennio.

Ferocia iconoclasta: l'Is distrugge un monastero cattolico siriano.

Medicina su misura: Carlo Petrini sulla ricerca di terapie adatte per tutti.

Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "Mani contro la rabbio": rileggendo l'autobiografia di Helen Keller.

Umore faceto e di lingua sciolta: Giovanni Preziosi racconta la fuga dai nazisti del futuro responsabile dell'Osservatore della Domenica.

Sotto le bombe leggendo il giornale del Papa: Matteo Coco sugli attacchi alleati su Foggia, l'agosto del 1943 nella testimonianza di un collaboratore del nostro quotidiano.

Gabriele Nicolò su Doris Lessing sorvegliata speciale.

Una voce profetica contro paure ed egoismi: intervista di Nicola Gori al cardinale Antonio Maria Vegliò sul tema della giornata del migrante e del rifugiato.

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Oggi in Primo Piano



Siria. P. Jihad : distruggono monasteri non la nostra fede

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La Siria è ancora nel caos. Alla frontiera sud è scontro a fuoco con Israele, con almeno cinque morti e una decina di feriti tra soldati e civili siriani, mentre nell’area centrale non lontano da Homs, i miliziani del sedicente Stato islamico continuano la devastazioni di siti cristiani. L'ultima ha riguardato il monastero cattolico di Mar Elian del V secolo d.C., raso al suolo nella città di Qaryqatayn, già bombardata dal regime negli scontri con i ribelli. Dopo l’arrivo dell’Is e il rapimento, nel maggio scorso, del priore del monastero, padre Jacques Mourad, la comunità si è spostata a Deir Mar Musa, altro insediamento monastico. E' da lì che, su quanto sta accadendo, giungono la testimonianza e l’appello di padre Youssef Jihad, raccolti da Gabriella Ceraso: 

R. – Dal 4 di agosto, quando è entrato il sedicente Stato islamico e ha preso possesso della città di Qaryatayn, noi non abbiamo nessuna notizia diretta dal monastero. Sappiamo che c’era un gruppo di laici che lavorava lì – musulmani e cristiani insieme – e quando è entrato l’Is li hanno mandati via. Hanno dato loro un’ora prima di uccidere tutti, quindi sono scappati. Le foto riportano la distruzione dell’area archeologica, della croce e del campanile, il piccolo campanile: è un’opera sistematica la loro. L’Is, che non sa niente di islam, secondo me, vuole eliminare la storia del Paese. La sua missione è quella di distruggere tutto quello che potrebbe essere buono e significativo. Tuttavia, non ci tolgono la fede, non ci tolgono la speranza. Loro possono distruggere il monasteri, le croci, ma innanzitutto distruggono e deformano il volto dell’islam, che noi amiamo e sosteniamo: cerchiamo di vivere insieme in pace, anche se in questi giorni queste mie parole potrebbero risuonare impossibili. Ma noi abbiamo creduto nella Risurrezione, che era impossibile…

D. – Il monastero distrutto era comunque un’oasi vera e propria di carità e di accoglienza, anche per tanti profughi...

R. – Sì, soprattutto per i musulmani della zona, e poi c’erano circa 47-48 famiglie cristiane con oltre 100 bambini e noi, come monaci, organizavamo programmi di intrattenimento per i piccoli…

D. – Era quindi un segno di speranza per tutta questa terra devastata?

R. – Sì. E secondo me è per questo che è stato tolto di mezzo padre Jacques, perché rappresentava un pericolo per la mente che vuole un conflitto perenne tra sunniti e sciiti e tra musulmani e cristiani.

D.- Di padre Jacques non sapete più nulla?

R.- Purtroppo, niente di sicuro...

D. – Padre Jacques mi riporta alla mente anche padre Dall’Oglio, del monastero da dove lei mi sta parlando, dalla comunità di Deir Mar Moussa. Lì, ora, quanti siete? E come si vive anche questa assenza di fratelli che sono scomparsi da tanti anni?

R. – Siamo quattro monaci e due monache con un gruppo di due o tre operai, musulmani e cristiani che viene saltuariamente per dei lavori. Come viviamo? Viviamo con la speranza di ritrovarli e di riabbracciarli vivi un giorno, se non qui sarà in Cielo.

D. – Ma non vi è rimasta anche un po’ di paura dopo questi episodi?

R. – La paura fa parte della vita e noi siamo umani. Abbiamo le nostre paure, ma continuiamo a sperare che il dialogo e la convivenza siano possibili.

D. – Ma lei ha mai avuto a che fare direttamente con questo, che è considerato, oggi,  il “nemico”, con l'Is?

R. – Quando ero a Qaryqatayn, tre mesi fa, lì ho visto qualche faccia del gruppo dell’Is, però era gente locale. Poi, piano piano con il passare dei giorni, si sono rafforzati e hanno portato anche altri elementi da fuori e hanno ribaltato la situazione.

D. – Che cos’è, però, che li rende così… lei ha usato il termine “cattivi”?

R. – Hanno una cattiva comprensione dell’islam e del nobile Corano e della vita del Profeta Maometto: loro vogliono un islam che controlli tutti, in primo luogo i musulmani stessi. Perciò, dico e sottolineo che le loro vittime più numerose e più dirette sono i musulmani stessi. Quando sono entrati in Palmira, hanno sgozzato tra 200 e 400 persone: tutti sunniti musulmani. Questo “nemico” è portato da una mente cattiva che non è necessariamente cristiana, nemmeno necessariamente orientale né araba: potrebbe essere anche internazionale, che vuole seminare terrore e odio e povertà in questa zona per ricontrollarla economicamente e politicamente. Poi, loro scavano sotto, trovano elementi adatti, gente che ha subito povertà, ignoranza e anche ingiustizia, allevati, educati all’odio verso gli altri e portano, creano, immaginano uno Stato islamico che non potrebbe mai stare in piedi.

D. – Ora lì, dove è lei, nella comunità di Deir el Mar Musa, quali sono i segni di resurrezione, di fraternità, di amore?

R. – L’amicizia e l’amore che vediamo negli occhi dei nostri parrocchiani cristiani e dei nostri amici musulmani che chiedono sempre la luce e la benedizione di Dio per quello che stiamo facendo. Però se la cosa rimane così, il Medio Oriente sarà svuotato piano piano dei cristiani, o saranno accantonati. Questo necessita di un grido, come fa il Santo Padre sempre. E io lo ringrazio personalmente, ma anche in nome di tutti i cristiani e di tutti i siriani. Bisogna però gridare al mondo ancora più forte e dire che chiedere ai cristiani di rimanere in questi Paesi, così, non ha senso. Per noi, il cristianesimo non è un’appartenenza vuota: il cristianesimo è una fede, un modo di vivere, è portare la croce, il sacrificio e l’amore per il prossimo, anche se è un nemico. Quindi, bisogna fare qualcosa di concreto per i cristiani che stanno in Medio Oriente: bisogna pensarci. Non basta dire a chi non può andar via, che rimanga. Bisogna renderlo capace di rimanere.

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Minacce al legale di Asia Bibi. Bhatti: penso sarà presto libera

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Ha ricevuto nuove minacce di morte in Pakistan l’avvocato che difende Asia Bibi, la donna accusata di blasfemia contro l’islam e condannata a morte. Khalil Tahir Sindhu, questo il nome del legale, ha dichiarato che le pressioni dei fondamentalisti non lo faranno desistere dal suo lavoro. Una scelta coraggiosa, costata nel recente passato la vita ad altre personalità cristiane, primo fra tutti Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze religiose, assassinato nel 2011. Suo fratello, Paul Bhatti, continua la sua opera come leader dell'Apma, All Pakistan Minorities Alliance. Alessandro De Carolis gli ha chiesto un parere sulla nuova ondata di minacce: 

R. – Questo ce lo aspettavamo più che altro, perché quel gruppo, con quell’ideologia contro Asia Bibi, è forte. Siccome loro hanno vinto due volte, nella Corte di primo e secondo grado, pensavano che forse fino all’ultimo grado, cioè alla Corte suprema, la decisione sarebbe stata la stessa. Invece, quando è cambiato tutto, questa è stata la loro reazione, che ci si aspettava. Questa però è una cosa spiacevole, perché la legge in Pakistan viene considerata superiore a tutto. Queste minacce penso debbano essere prese molto seriamente dal governo pakistano. In questo caso, direi che la Corte suprema debba prendere provvedimenti importanti immediatamente. Lo ribadisco perché l’avvocato, poveretto, fa questo lavoro ed è giusto che lo faccia.

D. – Lei prima ha accennato alla sentenza della Corte suprema, che circa un mese fa ha sospeso la condanna a morte contro Asia Bibi. Quali sviluppi si prevedono dell’iter giudiziario che la riguarda?

R. – Io penso che, essendo lei innocente, la Corte suprema non possa ignorarlo, come anche le prove in suo favore compresa la malizia che c’era dietro.

D. – Dove si trova adesso Asia Bibi e come sta?

R. – E’ ancora in prigione, ma secondo la sentenza della Corte suprema lei potrebbe uscire di prigione su cauzione. Questo probabilmente non è stato fatto, per motivi di sicurezza. Secondo le mie informazioni, adesso – sono tornato l’altro ieri dal Pakistan – ha buone probabilità di uscire.

D. – La vostra Associazione si batte da molti anni perché l’attuale legge sulla blasfemia in Pakistan – una legge che si presta spesso ad un uso anche discriminatorio – venga modificata. In cosa consiste il vostro lavoro?

R. – Il nostro lavoro è quello di aiutare tutti i soggetti che sono perseguitati per la loro fede. Possono essere cristiani, possono essere indù e possono anche essere musulmani. Attualmente, noi abbiamo aperto un ufficio a Lahore e a Islamabad che si occuperanno dell’assistenza legale immediata per tutti quelli che saranno accusati falsamente. Stiamo facendo vari seminari, vari incontri di dialogo interreligioso, per coinvolgere quelle persone che ingenuamente credono che i cristiani siano loro nemici per la fede, perché questa è la dottrina che alcune volte viene trasmessa ai bambini. Il nostro lavoro è che i bambini riescano a rispettare la fede di altre religioni e anche la piena convivenza tra le diverse fedi. Dovrebbe essere consentita in Pakistan e anche apprezzata. Questa è la prima cosa. Seconda cosa, faremo adesso una visita nelle principali prigioni del Pakistan, oltre agli accusati di blasfemia, anche a tutte le persone che sono accusate per reati minori, che non hanno assistenza legale e che da anni sono lì. Uno dei recenti casi che abbiamo visto, infatti, è quello di una persona  in prigione da cinque anni perché aveva rubato qualcosa come 100 euro. Lo abbiamo assistito ed è stato liberato dopo una settimana. Ci sono tantissime persone povere che non avendo avvocato, non avendo nessuno che gli sta dietro, stanno in prigione per anni. Questa è il lavoro che stiamo facendo adesso principalmente. Ma c’è anche un’altra serie di cose.

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Grecia: Tsipras si dimette. Meimarakis tenta governo di coalizione

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In Grecia, dopo le dimissioni del premier Tsipras, il leader di Nuova Democrazia, Evangelo Meimarakis, ha ricevuto oggi formalmente l'incarico per tentare di formare nuovo governo di coalizione. Le possibilità di successo sembrano remote mentre già si parla del 20 settembre come prima data disponibile per le elezioni anticipate. Intanto i governi europei sembrano aver accolto positivamente la scelta di Tsipras mentre l’ala radicale di Syriza è pronta a fondare un nuovo partito. Il servizio di Marco Guerra: 

"Ho l'obbligo morale di sottoporre quello che ho fatto al vostro giudizio, chiederò il voto del popolo greco per governare e proseguire il nostro programma di governo". I motivi delle dimissioni sono spiegati dallo stesso Tsipras nel discorso pronunciato ieri sera in diretta tv alla nazione, prima di presentarsi al capo dello Stato. “Io ho la coscienza a posto" ha poi affermato il leader di Syriza parlando del suo operato e in particolare dell’accordo raggiunto a luglio con i creditori che – ha spiegato – “non è quello che volevamo ma era il migliore che potessimo ottenere date le circostanze”. Quindi le elezioni anticipate servono a Tsipras per cercare un nuovo forte mandato dopo la spaccatura con l’ala sinistra di Syriza che stamane ha annunciato la formazione di un nuovo partito, Unità popolare, con 25 parlamentari ribelli. Con il voto a fine settembre mancherà il tempo di organizzarsi anche alle opposizioni, mentre il premier si affida ai sondaggi che vedono il 60% del popolo greco approvare il suo operato. Intanto, Meimarakis, leader di Nuova Democrazia, ha ricevuto il mandato per la formazione di un nuovo governo di coalizione. Compito destinato molto probabilmente a fallire visti i numeri in parlamento. Reazioni cautamente positive dalle cancellerie europee e dalla Commissione Ue che si dice “non  preoccupata”  per l’attuazione del programma. Per un commento sui possibili scenari sentiamo il giornalista esperto di Grecia Antonio Ferrari:

R. – Tsipras ormai ci ha abituato alle sorprese, ma questa è una sorpresa a metà, anzi non è una sorpresa. E’ impossibile, infatti, governare un Paese contro una parte del tuo governo, affidandosi ai voti dell’opposizione. E lui questo lo ha capito benissimo. E ha capito anche che all’interno della sinistra, del suo partito, c’è l’ala più radicale che avrebbe continuato a impedire di procedere senza gravi traumi a quello che è il suo impegno preso con i creditori e con il Paese. Detto questo, Tsipras ha la forza e il carisma. Oggi infatti non c’è un politico forte da opporre a Tsipras. Bisogna vedere se Syriza, spaccandosi, dividendosi, possa in qualche modo creargli dei problemi. Escludo un governo di Syriza con la sua componente estrema su un altro partito. Se Tsipras non ce la facesse a fare un governo da solo, è chiaro che dovrebbe affidarsi ad una coalizione.

D. – Ma cosa comporta la formazione di un partito a sinistra di Syriza? Il partito di Tsipras diventerà più moderato, diventerà di centro-sinistra?

R. – Per forza. Io credo che Tsipras ha dimostrato di essere più uomo di Stato, uomo di governo, che non leader di un solo partito radicale. Questo fa parte del passato. Esiste un passato di Tsipras ed esiste un presente di Tsipras. Vedremo come sarà il futuro. Perché fare il capo del governo, governando come leader dell’opposizione, come sognava Varoufakis, sarebbe stato impossibile.

D. – Che possibilità di successo ha il conferimento del mandato a formare un nuovo governo al leader di Nuova Democrazia Meimarakis?

R. – A parte il fatto che Meimarakis non è un personaggio molto noto in Grecia, io credo che le possibilità per lui di fare un governo adesso, subito, siano praticamente ridotte a zero. E quindi io credo che le elezioni siano inevitabili. L’unica cosa che mi lascia dubbioso è la data, perché la data del 20 è quella a cui pensa Syriza, ma se le consultazioni dovessero andare avanti, in qualche modo sarebbe difficile rispettare questa data e si dovrebbe pensare magari alla domenica successiva o addirittura alla prima domenica di ottobre. Comunque, credo che a questo punto non ci sia alcun dubbio che si vada alle elezioni.

D. – Le cancellerie europee sembrano avere accolto con una certa indifferenza, una certa freddezza, questa decisione di Tsipras. Ma si chiede solo il rispetto degli impegni?

R. – Io credo che l’Europa non abbia alcun problema. Non credo che ci possa essere un solo governo in Grecia che possa contraddire tutto quello che è stato deciso. Il problema è rafforzare questo in qualche modo, con tutte le forze che riconoscano che bisogna procedere su questo piano. Quindi credo che ci sia la sicurezza da parte dell’Europa - anche perché non si può ricominciare da capo - che gli impegni  verranno rispettati, in un modo o nell’altro: con Tsipras o senza Tsipras; con Tsipras e qualche altro in un governo di coalizione.

D. – Quindi quali passi dobbiamo immaginarci in un possibile nuovo governo di Tsipras?

R. – Tre possibilità: un governo solo Syriza, quasi improbabile, di Tsipras; un governo di coalizione; o, se la situazione – dipenderà dai risultati – fosse particolarmente difficile, un governo di unità nazionale, di larghe intese, che tenga insieme tutti coloro che stanno sostenendo il governo oggi, sia all’interno del governo - non tutta la maggioranza - sia all’opposizione, e rendere formale il fatto che non è più solo il governo di Syriza con Kammenos, ma è un governo allargato anche ad altre forze.

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Coree, Pyongyang prepara azione militare contro Seul

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La Corea del Nord ha completato i preparativi per l’eventuale “azione militare contro quella del Sud”, dopo aver dichiarato stamattina il “quasi-stato di guerra”. L’ordine è giunto dal leader Kim Jong-un, dopo una riunione d’emergenza della Commissione militare centrale del Partito dei Lavoratori. Da Seul, la risposta è arrivata dalla presidente, Park Geun-Hye, che promette reazioni “severe” in caso di provocazione. L’ennesimo braccio di ferro tra le due Coree è nato dopo la ripresa delle “propaganda” anti-Pyongyang messa in atto dalle autorità del Sud attraverso megafoni piazzati lungo il confine della zona demilitarizzata (Dmz) sorta di cuscinetto tra i due Paesi. La decisione di Seul è arrivata dopo il ferimento all’inizio di agosto di due suoi soldati da mine antiuomo piazzate lungo la Dmz, di cui il Sud accusa il Nord. Ieri c’è stato un intenso scambio di fuoco tra i due Paesi, terminato senza danni né feriti. E’ questo il picco più alto della tensione tra le due Coree da cinque anni a questa parte. Può davvero essere il preludio a un conflitto? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto alla professoressa Rossella Ideo, esperta di Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale: 

R. – Tutte le volte che ci sono provocazioni dall’una o dall’altra parte, sia a livello militare che a livello verbale, di guerra psicologica, c’è sempre il rischio che gli incidenti possano degenerare in una guerra, per il semplice fatto che le due Coree non hanno mai firmato la pace e tra loro vige ancora l’armistizio firmato alla fine delle guerra di Corea, nel 1953.

D. – Se però alla guerra non ci si arrivò cinque anni fa, quando la Corea del Nord affondò una corvetta provocando la morte 46 di soldati sudcoreani, allora viene da pensare che non sia questa la volontà…

R. – No, non c’è la volontà da parte né di una né dell’altra Corea. Direi che a monte dell’atteggiamento nordcoreano ci sono due fatti. Il primo è che c’è la ripresa delle manovre militari tra Stati Uniti e Corea del Sud: queste avvengono ogni anno e adesso a distanza abbastanza ravvicinata, in modo tale che i due alleati, Stati Uniti e Corea del Sud, si preparino per un’eventuale guerra nella penisola coreana. In questo fatto, c’è naturalmente una bella esibizione di forza. Il secondo fatto è che la ripresa della propaganda attraverso i megafoni situati lungo la linea smilitarizzata, che avviene dopo ben undici anni, perché nel 2004 in Corea del Sud erano ancora al potere i governi chiamiamoli così “democratici” – nel Paese li chiamano  giustamente “progressisti” – che avevano tentato in tutti modi, dal 1998 in avanti, di distendere le relazioni tra le due Coree e in un certo senso un avvicinamento c’era stato. Quindi, è ritornata questa “guerra psicologica”, come la chiama anche la Corea del Nord, di conseguenza siamo sempre di fronte a dei fatti che affondano le loro radici in questo stato di tensione molto forte, che è ricominciato una volta che sono arrivati al potere due governi conservatori, uno dopo l’altro. Parliamo di Seul, perché nel Nord siamo alla terza generazione della dinastia “rossa” Kim, dove ora abbiamo questo giovane che tiene ad esibire un atteggiamento “muscolare”, perché deve dimostrare di essere all’altezza del nonno e del padre.

D. – Quanto sono stati negli anni efficaci, dal punto di vista proprio della guerra psicologica, questi altoparlanti?

R. – Gli altoparlanti sono stati, sì, efficaci perché sono stati sentiti e i nord-coreani, che sono poi fuggiti al Sud, hanno detto di esserne stati influenzati. Quindi, si può dire che tutta la propaganda che la Corea del Sud ha ripreso ha irritato moltissimo Pyongyang. C’è sempre questa idea del Sud conservatore, com’è adesso il suo governo, di voler minare dall’interno il regime del Nord.

D. – I grandi alleati dell’uno e dell’altro, Cina e Stati Uniti, si muoveranno o per ora guardano?

R. – Naturalmente, sono state fatte dichiarazioni. Cina e Russia sono per smorzare la tensione, mentre gli Stati Uniti si sono detti estremamente preoccupati. Ma sono dichiarazioni nel copione di questa “Guerra fredda” che continua. Si vede benissimo che gli Stati Uniti, i quali hanno ottenuto ottimi risultati con gli altri due “paria” della comunità internazionale, Cuba e Iran, non hanno alcuna intenzione di perdere del tempo con la questione coreana. A loro, come anche ai vicini, va bene che la Corea sia divisa in due. Agli Usa fa comodo perché questo perenne stato di tensione al confine con la Cina è un qualcosa che fa gioco, in più permette loro di mantenere migliaia di truppe in Corea del Sud, cosa che non sarebbe giustificabile se ci fosse una distensione. E questo naturalmente riguarda il problema cinese degli Stati Uniti. La Cina, invece, non vuole vedersi gli Stati Uniti lungo il confine con la Corea del Nord, quindi è chiaro che preferisce avere uno Stato “comunista” – mettiamo  al riguardo tante virgolette – vicino alle sue frontiere, che non una penisola unificata sotto una Corea del Sud alleata strettissima degli Stati Uniti.

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Galantino: Chiesa chiamata a rinnovarsi per essere sempre più evangelica

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La Chiesa è sollecitata a rinnovarsi perché le nostre comunità possano essere autenticamente evangeliche e libere e sempre più chinate sugli ultimi: è quanto ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, intervenendo alla seconda giornata del Meeting di Rimini promosso da Comunione e Liberazione. Il presule ha osservato che "la diffusione del cristianesimo è l'evento che più ha rivoluzionato la storia del mondo". Il servizio del nostro inviato Luca Collodi

Al Meeting di Rimini, mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha parlato di ciò che sta alla radice della politica: la persona che anima lo Stato e la società. Ha risposto alla domanda del Meeting sulle mancanze dell’uomo con una riflessione sull’antropologia del limite, “che non si traduce in un elogio del limite stesso, ma in un’esaltazione dell’essere umano, capace di generare un ideale di perfezione che tenga conto del limite e lo traduca in storicità, concretezza, incarnazione”.  “La prima frontiera che, alla luce dell’antropologia del limite diviene possibile, ha spiegato mons. Galantino nel suo intervento sul tema “Persona e senso del limite”,  è quella di diventare più umani”. “Il limite è nell’uomo un fattore propulsivo, in quanto genera il desiderio, che è il motore della volontà. Se l’uomo possedesse tutto, non cercherebbe nulla; se al contrario si scopre mancante, è mosso alla ricerca di ciò che non ha. Proprio l’esperienza dell’indigenza, che nasce dal limite, porta al fascino delle frontiere”. “Il limite allora, ha sottolineato mons. Galantino, è una scuola capace di insegnarci quale sia il segreto della vita. Chi è appagato non cerca, né lo fa chi è disperato. Cerca invece chi è povero, cioè chi percepisce il limite e ne fa motivo di crescita”. Quanto più viene riconosciuto il limite, tanto più la persona entra nella condizione di responsabilità. “Una questione antropologica”, ha sottolineato Galantino, da sempre al centro del progetto culturale della Cei, avviato dal card. Camillo Ruini e ripreso “ripetutamente” dal card. Angelo Bagnasco come proposta attuale della Chiesa italiana.

“Una società che fa del limite una risorsa, ha continuato mons. Galantino, non considera i gruppi e gli Stati per quanto sanno produrre o per le risorse finanziarie di cui dispongono, ma tenta con i mezzi di cui dispone di risollevare i poveri, per non creare un mondo a due velocità”. “Lo fa con l’attenzione a tutti i poveri, a quelli che non hanno il lavoro o lo hanno perso, a quelli che provengono da zone più povere ed economicamente arretrate, a quelli che non sono in grado di difendersi perché attendono di nascere e godere della vita”.

“Anche la Chiesa è sollecitata, da un’antropologia del limite, a rinnovarsi nelle sue strutture, nelle dinamiche decisionali e nelle prassi concrete delle comunità”. “Le comunità ecclesiali e le associazioni - sottolinea il segretario generale della Cei - già sono, per il nostro tempo, un mirabile segno della presenza di Dio e della carità che da lui promana ... Tuttavia, ancora tanto dobbiamo fare nella via della testimonianza; tanto ancora dobbiamo crescere nel dar vita a dinamiche autenticamente evangeliche e libere, che manifestino in modo sempre più trasparente la carità da cui siamo stati raggiunti”. Dunque, conclude, una Chiesa che fa del limite una risorsa, assume lo stile missionario tanto invocato da Papa Francesco, divenendo sempre meno dispensatrice di servizi e sempre più “ospedale da campo”, chinata sugli ultimi, nei quali è presente lo stesso Signore, dai quali spera di essere accolta nel Regno di Dio”.

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Funerali del boss. Don Ciotti: atto di arroganza contro lo Stato

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Il feretro trasportato da una carrozza trainata da cavalli, la colonna sonora del film “Il Padrino”, una cascata di petali da un elicottero, manifesti e gigantografie. Questo e altro è accaduto ieri fuori dalla chiesa di Don Bosco a Roma in occasione dei funerali del boss Vittorio Casamonica. Ascoltiamo la riflessione di don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione "Libera", al microfono di Amedeo Lomonaco

R. – Io provo proprio molta sofferenza, perché ancora una volta è un atto di arroganza, di forza verso le istituzioni, verso lo Stato … Non possiamo dimenticarci la falsa religiosità dei mafiosi: una religiosità di facciata, interessata soprattutto agli aspetti formali ed esteriori della fede. E’ incompatibile la mafia con il Vangelo. Questa esibita religiosità di boss ferisce ancora una volta …

D. – Come ci si libera da queste pressioni, tenendo conto che una vicenda come quella di ieri dimostra che la Chiesa e la religione sono vittime proprio di una strumentalizzazione?

R. – C’è ancora oggi, devo dire, una conoscenza un po’ vaga, approssimativa, dei fenomeni mafiosi; c’è bisogno di una corretta conoscenza e di un’adeguata reazione. Siamo anche noi chiamati a fare di più, a conoscere per essere più consapevoli, più preparati. E’ stato un colpo di mano, quello che ieri è avvenuto lì, giocando proprio sull’onestà, sulla buona fede di quella parrocchia, di quel parroco, che è stato travolto da tutto questo. Quindi dobbiamo avere un senso di rispetto nei suoi riguardi. Papa Francesco ha sottolineato che chi segue la strada del male non è in comunione con Dio: ieri è stato compiuto un atto di forza, di violenza in questo senso. Mi chiedo quanti hanno assistito a tutto questo in silenzio. Non va condannata solo la persona criminale, ma anche quanti si rendono complici, chi lascia fare … Dobbiamo anche noi, come Chiesa, assumerci la nostra parte di responsabilità; ma ci tengo a sottolineare le grandi positività, le cose belle, importanti, positive, coraggiose che stanno avvenendo nel nostro territorio, nella nostra Chiesa. E non possono essere questi episodi ad andare a semplificare, a generalizzare il bene e il bello che già si sta con più forza realizzando.

D. – Quanto avvenuto ieri dimostra ancora una volta come la mafia sia penetrata nel tessuto romano …

R. – La mafia, oggi più che mai, è forte, è presente. In questo momento di grande crisi economica-finanziaria, le mafie nel nostro Paese riescono a gestire con forza il loro potere. Non dimentichiamo che corruzione e mafia, nel nostro Paese, sono veramente le due facce della stessa medaglia. E a Roma, grazie all’impegno delle forze di polizia, della magistratura, sono emerse situazioni nelle quali veramente si tocca con mano che c’è un livello di commistione mai raggiunto prima. Allora, diciamocelo ancora una volta: le mafie non sono un mondo a parte, sono una parte del nostro mondo, vivono tra noi e non hanno bisogno di una nuova definizione, come qualcuno dice, ma di una nuova comprensione perché cambiano sempre le mafie, restando sempre se stesse. Sanno adattarsi molto velocemente alle trasformazioni della società. Si nascondono tra di noi, ma ogni tanto vengono fuori queste espressioni che dimostrano che loro sono veramente presenti, che sono ancora forti … Le mafie sono sempre le stesse: cambiano pelle, vestito, facce, nomi, luoghi ma sono sempre quelle mafie protette da questo o da quel potere che permette loro di sopravvivere.

D. – Ieri la mafia è comunque riuscita a lanciare un messaggio. Quale messaggio, oggi, devono lanciare la Chiesa, la società, i cittadini?

R. – Continure a fare le cose con molta umiltà, con il coraggio della verità. Ieri abbiamo toccato con mano una verità ancora scomoda: c’è chi veramente si nasconde dietro Dio, che usa la fede come una foglia di fico … Dobbiamo prendere coscienza di questa falsa religiosità, per fare meno parole e più fatti, per spenderci in un orizzonte di normalità e di quotidianità, per prendere coscienza del fatto che abbiamo bisogno di verità, nel nostro Paese, ma anche di maggiore assunzione di responsabilità; che il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi, che noi siamo il cambiamento, e soprattutto che dobbiamo cercare di essere anche un segno di speranza, facendo delle cose, cercando di farle insieme: ognuno per la propria parte, chiedendo allo Stato, alle istituzioni, alle amministrazioni di fare la loro parte. Ma c’è una parte di responsabilità che ci chiama in causa come cittadini: non cittadini a intermittenza, a seconda delle circostanze, ma cittadini responsabili. E come Chiesa non dobbiamo dimenticare questo invito che il Signore ci ha fatto di vivere il Vangelo con più forza, con più coraggio, con più determinazione, per costruire percorsi che diano più dignità e speranza a tutte le persone.

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I giovani del Rinnovamento col Vangelo sulle spiagge di Pescara

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Sono oltre 700 i giovani arrivati da tutta Italia che in questi giorni stanno partecipando a Pescara all’iniziativa ”Estatevangelizzando”, promossa dal Rinnovamento nello Spirito Santo. I ragazzi alternano momenti di preghiera comunitaria all’esperienza di evangelizzazione nelle strade della cittadina abruzzese. Sull'evento, ascoltiamo il presidente del Rinnovamento, Salvatore Martinez, al microfono di Marina Tomarro

R. – E’ una risposta ad un bisogno del nostro tempo. Papa Francesco impone che la Chiesa ripensi la propria vita pastorale all’insegna dell’evangelizzazione, della missione, diremmo della creatività e della fantasia dello Spirito, che sempre ispira, muove. I giovani, lo scorso anno, allo Stadio Olimpico, furono sollecitati da Papa Francesco, che diceva di mettere in gioco la loro gioventù, di rischiare. E dai giovani impariamo quanto sia necessario oggi fidarsi di più di Dio. Talvolta aspettiamo che siano adulti, che siano maturi e invecchino sotto i nostri occhi, invecchi la loro fede, invecchi la loro capacità, il loro entusiasmo. Bisogna fidarsi di loro e allora saranno loro i veri protagonisti di quest’estate. “Estatevangelizzando” è il tema di questo incontro che abbina due tempi fondamentali: primo, la preparazione breve, immediata, essenziale; e poi l’invio, il loro andare tra la gente, soprattutto in spiaggia per rendere ragione della loro fede, della loro gioia; per mostrare che questo Gesù, quando viene nominato, non solo si rende presente, ma è capace ancora di portare a conversione i cuori più induriti e soprattutto di far sperimentare quell’amore invincibile che è l’amore di Dio.

D. – In che modo i giovani avvicinano i loro coetanei, magari quelli meno credenti, quelli che ancora non conoscono la bellezza della fede?

R. – Intanto, direi, con i linguaggi del nostro tempo. C’è una capacità di dialogare, di stabilire contatti. In questo i giovani sono estremamente capaci. Certo la musica, l’arte, la creatività sono tutte occasioni, mezzi attraverso i quali si può richiamare l’attenzione. Ma il metodo rimane quello di sempre, quello evangelico: è il “face to face”, il faccia a faccia. Allora l’accostare una persona, chiedere anche di pregare un momento insieme, è talvolta un metodo talmente rivoluzionario e imprevedibile per la gente che non solo suscita curiosità e interesse, ma regala poi immediatamente la possibilità di fare l’esperienza di Gesù, l’esperienza con qualcuno. Il giovane allora lì scompare e finalmente appare Cristo.

D. – Spesso Papa Francesco nei suoi appelli ai giovani chiede di valorizzare la loro vita, di non buttarla. Ecco, in che modo si può dare loro una mano?

R. – Ancora una volta direi responsabilizzando il giovane: va impegnato prima che sia troppo tardi. Talvolta assistiamo nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie a questa sorta di pensionamento dei giovani. Per esempio, dando loro l’opportunità di esprimersi pienamente, liberamente in una iniziativa che è complessa, come questa che stiamo realizzando a Pescara, perché ha all’interno tante fasi di preparazione, di realizzazione, di attuazione. E lì ci si accorge quanti talenti, quanti carismi talvolta sono inespressi. Ed è davvero una pena vedere come i giovani non soltanto disperdano questo patrimonio meraviglioso che è nel loro Battesimo. Bisogna creare, dunque, delle occasioni in cui tutto questo accade, perché non sia soltanto un grande discorso ideale. Quando questo accade non è solo una sorpresa, perché vediamo come le comunità si risveglino, soprattutto come si ripopolino. La nuova evangelizzazione infatti non fa bene soltanto al mondo, ma fa bene anche alla Chiesa.

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Nella Chiesa e nel mondo



Macedonia. scontri polizia-migranti provenienti dalla Grecia

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Almeno 8 persone sono rimaste ferite stamani durante scontri tra la polizia macedone ed i migranti che cercavano di attraversare il confine dalla Grecia: lo ha reso noto la polizia greca, secondo quanto riporta l'agenzia stampa Ap.  Un giovane è stato trovato sanguinante probabilmente a causa delle schegge di una granata stordente lanciata dalla polizia direttamente tra la folla. La polizia, con l'aiuto di veicoli blindati, ha coperto di filo spinato la linea ferroviaria utilizzata dai migranti per attraversare il confine a piedi ed entrare in Macedonia.

In Grecia sono arrivati 160mila migranti
Circa 3.000 migranti, molti con lattanti e bambini, hanno trascorso la notte in un campo senza cibo e con poca acqua. "Non so perché ci stanno facendo questo", ha detto Mohammad Wahid, un iracheno. "Non ho un passaporto, ne' documenti di identità. Non posso tornare e non so dove andare. Rimarrò qui fino alla fine", ha aggiunto.  La Grecia ha subito quest'anno un afflusso di migranti senza precedenti: finora ne sono arrivati oltre 160mila, gran parte dei quali provengono dalla vicina Turchia in maggioranza siriani e iracheni. 

L'Ue sta ricostruendo i fatti
"Abbiamo visto le informazioni" su quanto sta accadendo in Macedonia nei confronti dei migranti, e stiamo ancora ricostruendo i fatti". Cosi' una portavoce dell'Alto rappresentante Ue Federica Mogherini. "Siamo in contatto con le autorita' macedoni e con l'alto commissariato Onu per i rifugiati", ha detto all'agenzia Ansa, ricordando che l'Ue "sta gia' fornendo sostegno" a Skopje, mentre è in via di finalizzazione per settembre un programma con Turchia e Paesi balcanici per l'immigrazione. (R.P.)

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Cuba. Mons. Hernandez: costruttivi rapporti Stato-Chiesa

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Ci cono nuovi rapporti fra Chiesa e Stato nell'isola di Cuba: lo ha rimarcato mons. Juan de Dios Hernández Ruiz, vescovo ausiliare di L'Avana in una intervista a una agenzia di stampa internazionale sul tema dei preparativi della visita del Santo Padre a Cuba. Nel testo dell'intervista, inviata dalla Chiesa locale all'agenzia Fides, mons. Hernández ha voluto sottolineare che "la visita del Papa accade in momento nel quale il governo di Cuba comprende il ruolo della Chiesa cattolica, e quindi i dialoghi sono costruttivi". Aggiungendo: "E' vero che c'è dialogo, ma si può sempre fare di più".

Più spazi in molti campi per la pastorale della Chiesa
​Per illustrare questi sviluppi, il vescovo ausiliare ha menzionato il fatto che il governo cubano ha permesso di costruire nuove chiese e ha restituito alla Chiesa cattolica altre proprietà che erano state espropriate nei primi anni dopo il trionfo della rivoluzione del 1959. Mons. Hernandez ha inoltre informato che adesso si permette alle suore cattoliche di dare assistenza ai pazienti negli ospedali e si comincia ad aprire spazi perché la Chiesa possa assistere gli anziani, proprio mentre Cuba si trova ad affrontare la sfida di una popolazione che invecchia. Tra le altre questioni in sospeso resta la partecipazione della Chiesa cattolica nel settore educativo del Paese o la sua presenza "sistematica" nei media. (C.E.)

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Vescovi Australia: accoglienza per migranti e rifugiati

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Diffondere in tutto il mondo una cultura dell’accoglienza e della solidarietà: con questo auspicio, la Chiesa cattolica australiana si prepara a celebrare la 101.ma Giornata mondiale dei migranti e dei rifugiati. A livello nazionale, l’evento è stato ricordato il 18 gennaio scorso, seconda domenica dopo la solennità dell’Epifania, ma a livello locale i vescovi di Sydney celebreranno l’evento il prossimo 30 agosto, nell’ambito del mese dedicato alla sensibilizzazione sulla questione delle migrazioni.

“La Chiesa non abbia frontiere”
“Migranti e rifugiati sono nostri fratelli – scrive in una nota mons. Vincent Long Van Nguyen, originario del Vietnam e delegato della Chiesa australiana per i migranti ed i rifugiati – Essi necessitano delle nostre cure e delle nostre attenzioni”. Riprendendo, poi, il tema della Giornata proposto da Papa Francesco, “Chiesa senza frontiere, Madre di tutti”, il presule sottolinea: “Si tratta di un’importante occasione di solidarietà per accogliere le popolazioni perseguitate nella nostra casa, l’Australia”.

Speciale attenzione per i richiedenti asilo del Medio Oriente
Quindi, mons. Long richiama l’attenzione sul “conflitto in Medio Oriente e sul tema dei richiedenti asilo”: “Io e la mia famiglia – spiega – siamo rifugiati ed abbiamo trovato una risposta generosa in Australia”, in termini di “accoglienza e sicurezza”. Per questo, afferma il presule, “ora è ancora una volta il momento di dimostrare ai fratelli del Medio Oriente e dell’Asia la stessa generosità che gli australiani hanno dimostrato nei confronti dei rifugiati vietnamiti, quarant’anni fa”.

Uscire da se stessi per tendere la mano ai fratelli in difficoltà
Il vescovo sottolinea, poi, le tante, ma spesso “invisibili sfide e difficoltà” che i migranti devono affrontare nei Paesi di accoglienza, come il confronto con costumi, lingue e culture diversi, un fattore che può provocare “disagio ed ansia”. Ed è proprio qui, allora – è il richiamo del presule – che i cristiani sono chiamati ad uscire da se stessi e ad esprimere solidarietà a questi fratelli e sorelle, offrendo loro una mano, un saluto o un semplice sorriso”. È da queste cose, infatti, conclude mons. Long, che “iniziano l’incontro ed il cammino comune nella solidarietà”, perché se è vero che “molti di noi non potranno mai cambiare il mondo”, è altrettanto vero che tutti “possiamo cambiare il mondo intorno a noi”. (A cura di Isabella Piro)

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Madhya Pradesh: vescovi condannano violenze anticristiane

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Una condanna per le violenze anti-cristiane ed una richiesta di “tutele legali” per i fedeli del Madhya Pradesh, Stato governato da un partito pro-Hindu: questo, in sintesi, l’appello lanciato dal Consiglio dei vescovi indiani della regione, riunitisi nei giorni scorsi a Bhopal, per un incontro di due giorni sul tema “I pericoli dell’estremismo religioso nello Stato”.

Meno dell’1% i cattolici della regione
In Madhya Pradesh, infatti, i cattolici sono meno dell’uno per cento su un popolazione di 75 milioni di abitanti, affermano i presuli, e “vivono nella paura costante di attacchi contro le persone e le istituzioni cattoliche”. Tanto più che alcuni estremisti hanno accusato i cristiani di fare del proselitismo all’interno di uno Stato in cui le conversioni religiose senza nulla osta del governo sono ritenute illegali e punibili con il carcere.

Cristiani costantemente sotto attacco, vivono nella paura
“È deplorevole – affermano i vescovi – che i cristiani siano costantemente sotto attacco per presunti reati di conversione”. Anche perché, spiega mons. Gerald Almeida, vescovo di Jabalpur, “negli ultimi dieci anni la popolazione cristiana dell’India è costantemente diminuita. Se le accuse di conversioni forzate di massa fossero vere, invece, i cristiani dovrebbero essere aumentati”. Per questo, il presule parla di una vera e propria “persecuzione” dei cristiani: citando almeno 20 attacchi contro i fedeli dall’inizio del 2015, mons. Almeida punta il dito contro la mancanza di una volontà politica per “contenere gli elementi anti-cristiani dello Stato”.

I vescovi: non cederemo alle minacce e continueremo nostra missione
​Dal suo canto, padre Shaji Stanislaus, membro del Consiglio dei vescovi cattolici locali, ricorda che la Costituzione indiana garantisce la liberà “di credere, diffondere e convertire a qualsiasi tipo di religione”. Andare contro tale dettato costituzionale, quindi – nota il sacerdote – potrebbe essere contestato in Tribunale. Intanto, i presuli indiani riaffermano il loro impegno, soprattutto nel settore umanitario, a fianco dei più poveri e disagiati della regione: “Non cederemo – affermano – ad alcuna pressione o minaccia”. (I.P.)

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Jakarta. Card. Tagle: università cattolica strumento missionario

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Le università cattoliche “devono essere istituti missionari. Esse sono lo strumento evangelico della Chiesa”. Lo ha detto l’arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle, intervenendo a Jakarta al convegno “Ex Corde Ecclesiae Series. Riflessioni sull’istruzione cattolica superiore in Indonesia”, organizzato dall’Università cattolica Atma Jaya, in occasione dei 55 anni dalla fondazione dell’istituto. Tema del convegno - riferisce l'agenzia AsiaNews - la Costituzione apostolica Ex Corde Ecclesiae, promulgata da Giovanni Paolo II il 15 agosto 1990, che definisce il compito degli atenei cattolici.

Atenei cattolici devono evangelizzare a tutti i livelli la società
Il presidente di Caritas Internationalis è alla sua prima visita in Indonesia e il 19 agosto scorso ha incontrato i vescovi del Paese. Parlando delle opportunità e delle sfide degli istituti cattolici nel mondo, l’arcivescovo filippino ha sottolineato che essi devono portare la Buona novella a tutti i livelli della società e “non solo alle persone che possono permettersi i costi dell’educazione”.

I docenti devono condividere con i poveri sviluppo e crescita
Rivolgendosi al personale accademico, Tagle ha chiesto: “Qual è il modello di sviluppo che insegnate agli studenti? Che cos’è la crescita se essa non tocca i poveri? Come potete dire di preoccuparvi per i poveri se non condividete con loro lo sviluppo e la crescita?”. Lo stesso cardinale è stato professore universitario per 19 anni. Ai “colleghi” ha consigliato di cercare un incontro personale con gli studenti, di non curarsi solo dei risultati accademici ma anche del loro sviluppo culturale e psicologico.

L’arcivescovo ha ripreso alcuni elementi della Laudato sì
“Il grido della terra giunge insieme a quello dei poveri. Per cui – ha continuato – uno degli obblighi delle università cattoliche è prendersi cura dell’ambiente”. Il cardinale ha proposto come esempio di sobrietà il non gettare via strumenti ancora funzionanti. Indicando il suo orologio da polso, donatogli dal padre alla fine del liceo nel 1973, ha esortato a spezzare il concetto per cui “più cresci più butti via”.

Scienza e tecnologia devono essere umili per poter imparare dai poveri
​Per l’arcivescovo di Manila la scienza e tecnologia devono essere umili, in ascolto e in contemplazione, per poter imparare dai poveri e dalle popolazioni indigene. Il rapido sviluppo dell’informazione tecnologica, ha osservato, rende gli studenti nativi digitali, mentre i genitori e gli insegnanti sono “migranti digitali”, creando un fossato tra le generazioni. Per questo motivo, le università devono studiare il modo per fare appassionare i giovani al bene comune. (M.H.)

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India: Suore salesiane aprono nuovo convento in Orissa

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Le Suore salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice (Fma) hanno aperto una Casa nello Stato indiano di Orissa, in particolare nel distretto di Kandhamal, che si trova nell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar. Il distretto è stato tristemente noto per i massacri e le violenze anticristiane avvenute nell’agosto 2008, promosse da gruppi estremisti indù contro i fedeli. Come riferisce l'agenzia Fides, l’iniziativa della nuova Casa giunge dalle suore della Provincia religiosa di Calcutta, che ha risposto a un invito della Chiesa locale.

All'inaugurazione hanno preso parte 1.500 fedeli
Intervenendo all’inaugurazione del convento, l’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, mons. John Barwa ha rimarcato: “Le suore salesiane si uniscono al nostro cammino missionario. A nome dell'arcidiocesi, le accolgo con calore e auguro loro un fecondo ministero per l’edificazione del Regno di Dio”. Alla cerimonia hanno preso parte oltre 1.500 fedeli tra suore, sacerdoti, laici, ma anche funzionari civili locali, fedeli indù e di altre religioni.“Dio ci ha fatto un dono molto speciale in questo anno della celebrazione del Bicentenario della nascita (1815-2015) del nostro Padre e fondatore Don Bosco. Un sogno si realizza”, ha detto suor Rose Ezarath, Superiora provinciale delle Fma. 

Una missione per i giovani e per le famiglie povere
​La missione è iniziata ufficialmente il 16 agosto, il giorno di nascita di Don Bosco, con la presenza stabile di tre religiose che “saranno missionarie del Vangelo della gioia”, ha rimarcato suor Rose. Le Figlie di Maria Ausiliatrice si dedicheranno in particolare ai giovani e alle famiglie povere, promuovendo attività educative e di formazione professionale. (P.A.)

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Uganda: ciclo di seminari su matrimonio e famiglia

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Rafforzare il matrimonio e la vita familiare”: su questo tema, la Conferenza episcopale dell’Uganda (Uec) ha promosso un ciclo di seminari destinato ai fedeli laici. L’iniziativa - che si concluderà oggi - riguarda le cinque diocesi della Provincia ecclesiastica di Tororo (Kotido, Moroto, Soroti, Tororo e Jinja) ed è stata organizzata dal Dipartimento dell’apostolato laico dell’Uec. Nel corso dei lavori, si è riflettuto anche sul tema “L’educazione dei fedeli laici sulla missione e la vocazione della Chiesa”.

Tutelare matrimonio e famiglia da influenze negative della cultura contemporanea
“Questi seminari – spiega padre Stephen Candia, segretario generale del Dipartimento organizzatore – aiuteranno ad avvicinare i fedeli alla dottrina della Chiesa”. “Oggi, il matrimonio e la famiglia – aggiunge – si trovano davanti a numerose sfide: la questione della dote della sposa, la tradizione di cerimonie nuziali particolarmente dispendiose e l’influenza della cultura occidentale hanno tutte un’influenza negativa sulla vita familiare”. Padre Candia riscontra anche la presenza di “alcune barriere nei rapporti tra clero, religiosi e laici in certe zone del Paese” ed è per questo che i seminari risultano particolarmente utili, dato che offrono ai partecipanti “la possibilità di relazionarsi gli uni con gli altri”.

In cammino verso il Sinodo sulla famiglia
​Destinato ai coordinatori ed ai responsabili della Pastorale diocesana su matrimonio e famiglia, ai laici impegnati nel settore, ai cappellani della Pastorale giovanile, così come ai catechisti, il ciclo formativo si inserisce nel cammino di preparazione al 14.mo Sinodo generale ordinario che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre prossimi, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 233

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.