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Sommario del 20/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: misericordia per i migranti. Vegliò: Europa non ha fatto molto

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"Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia": è questo il tema scelto da Papa Francesco per la 102.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del prossimo 17 gennaio. Da un lato il dramma di uomini e donne costretti ad abbandonare le loro terre tra l’indifferenza e il cinismo, dall’altro la risposta del mondo e, in particolare, della Chiesa nel contesto dell’Anno giubilare. Ad illustrare il tema, una nota del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti che richiama anche le Chiese locali ad un coinvolgimento diretto. Il servizio di Gabriella Ceraso

“Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza, nel cinismo che distrugge: apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo”. La citazione della Bolla con cui il Papa ha convocato l’Anno della misericordia spiega il tema della prossima Giornata mondiale dedicata a migranti e itineranti, nella sua prima parte. ”Essi ci interpellano” dice il tema: sono cioè uomini e donne costretti a lasciare le loro terre feriti e provati nella dignità, il cui grido deve provocare. Ma a questo richiamo nel tema si collega, in modo esplicito, la risposta del mondo e in particolare della Chiesa. Il Papa invita durante il Giubileo a riflettere sulle opere di misericordia corporale e spirituale tra cui è l’accoglienza dei forestieri, quegli ultimi e più piccoli in cui è Cristo stesso. Alle Chiese locali in vista del 17 gennaio, anche data giubilare dedicata a migranti e rifugiati, la raccomandazione di programmare iniziative di coinvolgimento e sensibilizzazione sul tema e realizzare concreti segni di solidarietà che esprimano attenzione e vicinanza, approfittando anche dell’occasione dell’anno giubilare. Sul cinismo, la paura, ma anche l’urgente bisogno di dare risposta al problema delle migrazioni riflette - al microfono di Gabriella Ceraso - il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, il cardinale Antonio Maria Vegliò: 

R. – Uno dei difetti dell’uomo è quello di abituarsi purtroppo a tutto, anche alle cose più tragiche, come quelle che stanno avvenendo nel problema dei migranti. E’ un rischio, ma noi non dobbiamo accettare questo rischio, dobbiamo ricordare, rinnovare sempre il nostro impegno. E’ una cosa che ci deve interpellare.

D. – L’indifferenza, spiega il tema della Giornata, nasconde spesso l’egoismo e il cinismo, potremmo aggiungere anche la paura, di fronte ad un fenomeno che comunque è in crescita, come quello delle migrazioni. E’ ragionevole avere paura e come può rispondere la Chiesa a questo?

R. – Io credo che sia normale avere paura. Non sono di quelli che pensano che vada bene tutto, che tutti possano venire. E’ un reale problema per ogni nazione e non solo per l’Italia. E’ anche normale, nella natura umana, perché ognuno di noi vive la sua vita, vive nel suo castello dorato, e quando arriva questa gente ci condiziona, ci toglie la libertà, ci fa pensare a tutte le difficoltà che possiamo avere per vivere insieme. Non si possono, però, costruire muri, non è questo quello che la Chiesa vuole, quello che ognuno di noi vorrebbe. Le conseguenze estreme non vanno mai bene.

D. – Ecco, infatti, la paura alimenta soluzioni estreme: i muri dell’Ungheria, i controlli di polizia – per esempio sta succedendo nel braccio di mare che separa l’Inghilterra dalla Francia, a Calais – oppure le richieste di rivedere i trattati internazionali, come Schengen – lo ha chiesto la Germania. Ecco, una sua valutazione di queste soluzioni. L’alternativa qual è? Come farla?

R. – Questo è il grande problema. Che poi per difendersi uno passi anche agli estremi opposti, tipo bloccare tutti, mandare via tutti, rompere trattati internazionali, per difendere la propria identità nazionale, non è ragionevole. E la Chiesa come deve rispondere? La Chiesa in fondo ci aiuta a non dimenticare che Gesù è presente tra i più piccoli, tra i più sofferenti, tra quelli che hanno più bisogno degli altri. La Chiesa, essendo discepola di Gesù, è chiamata a liberare, ad annunziare la liberazione di quanti sono prigionieri delle schiavitù della società moderna.

D. – La Chiesa parla di accoglienza, ma non accoglienza generica unidirezionale. La Chiesa sollecita anche impegni ad organismi internazionali?

R. – La Chiesa sollecita – lo fa - le istituzioni internazionali e sollecita se stessa, per vedere cosa si può fare. Alle volte, fino adesso, io però ho avuto l’impressione che si corresse quando c’era l’emergenza, senza avere un programma già preparato. Questo è un fenomeno che risale al tempo di Gheddafi. Ricordo che lui minacciava di “buttare” sull’Europa almeno due milioni di migranti, se non lo si fosse aiutato finanziariamente. Ma l’Europa non è che abbia fatto molto. Adesso il problema esiste, lo viviamo. Ecco, si deve avere una politica. Non si può dire “accogliamo tutti”, ma non si può nemmeno dire “mettiamoli tutti fuori”. Non è facile, ma bisogna che l’Europa studi come vincere le cause di questi fenomeni. Ora lei lo sa, m’insegna, quali sono le cause di questi fenomeni: nei Paesi poveri, la povertà; la causa dei profughi, invece, dei rifugiati, è la guerra. Ora, le guerre si fanno con le armi. Quando mai noi abbiamo pensato che sarebbe bene anche un controllo della vendita delle armi. Noi protestiamo quando arrivano i rifugiati, ma chi sono quelli che vendono le armi? Sono in genere i Paesi ricchi. La Chiesa  in tutto questo deve essere testimone, deve fare quello che può – non può fare tutto – però deve almeno creare una coscienza di non essere mai tranquilli di fronte a questi fenomeni.

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Anno Misericordia. Il Papa: confessare come San Leopoldo Mandić

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Uno dei protettori dell'Anno Santo della Misericordia, che si aprirà il prossimo 8 dicembre, sarà San Leopoldo Mandić, cappuccino, un umile frate confessore, pioniere dell’ecumenismo che pregava per la piena unità fra la Chiesa d'Oriente e Occidente. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Un frate umile, piccolo di statura, povero e di salute cagionevole, ma forte nello spirito, capace di aprire le coscienze di molti alla grazia e alla conversione. Nato nel 1866 in Dalmazia, allora Impero austriaco, ha vissuto nel silenzio, nella riservatezza e nell’umiltà 52 anni di vita sacerdotale. Durante l’omelia per la sua canonizzazione, il 16 ottobre 1983, San Giovanni Paolo II aveva ricordato che padre Leopoldo era sempre “pronto e sorridente, prudente e modesto”. Un “confidente discreto”, un “maestro rispettoso” e un “consigliere spirituale comprensivo e paziente”. Le sue erano confessioni brevi. “La misericordia di Dio - diceva - è superiore ad ogni nostra aspettativa”. Confessa fino a poche ore prima della morte, avvenuta il 30 luglio del 1942. Il suo ministero è stato anche sempre animato da un desiderio ardente: l’unità di tutti i cristiani. E’ il Santo della riconciliazione e dell’ecumenismo spirituale, sottolinea fra Flaviano Giovanni Gusella, rettore del Santuario di San Leopoldo Mandić a Padova:

R. - Padre Leopoldo ha dedicato tutta la sua vita quasi esclusivamente al ministero della Confessione. E’ stato “il confessore”, come ha detto anche Giovanni Paolo II nel discorso di canonizzazione. E poi è stato anche il profeta dell’ecumenismo spirituale: per più di 50 anni lui ha sentito dentro il suo cuore questa chiamata forte che lo spingeva a donarsi, a consacrarsi, a pregare e ad operare per l’unità dei cristiani, in maniera particolare della Chiesa d’Oriente e della Chiesa d’Occidente, la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Tutta la sua vita, quindi, è stata vissuta all’interno dei conventi nella celletta confessionale di Padova, con questo anelito, con questa spinta forte a donarsi completamente per l’unità dei cristiani.

D. - L’Anno Santo della Misericordia sarà anche un’occasione per sperimentare la gioia del perdono e comprendere, ancora più profondamente, il ministero del confessore così caro a San Leopoldo Mandić…

R. - E’ stato ministro del Sacramento della Riconciliazione, icona della Divina Misericordia, ed ha esercitato questo ministero con uno stile profetico - come è stato profetico per l’ecumenismo spirituale - con una misericordia, con una bontà, con una capacità di accoglienza, con uno stile dove si specchia quello che Papa Francesco ha scritto nella “Misericordiae vultus”, indicendo l’Anno Santo della Misericordia. Ha esercitato il Sacramento della Riconciliazione in maniera profetica, facendo gustare a tutti quanto fosse bello riconciliarsi con Dio, con i fratelli, con se stessi, cambiando vita, esercitando quella disponibilità alla grazia che il Signore dona a tutti.

D. - E’ stato Papa Francesco ad annunciarle che San Leopoldo sarà uno dei protettori del prossimo Anno Santo della Misericordia…

R. - In maniera del tutto casuale e fortuita, ma anche provvidenziale posso aggiungere, ho avuto la fortuna di scambiare qualche parola con Papa Francesco nell’udienza pubblica dello scorso mercoledì 22 aprile. E quando gli ho mostrato una cartolina con l’immagine di padre Leopoldo, immediatamente mi ha detto: “Sarà uno dei protettori del prossimo Giubileo della Misericordia”. E poi ha aggiunto: “Ma tu devi confessare come lui!”. Io ho risposto, quasi intimorito, che cerco di farlo, anche se è difficile imitare un santo… E allora mi ha detto: “Devi dire ai confratelli che devono confessare come lui”. Ed è molto bello questo perché mi ha rivelato che Papa Francesco conosce padre Leopoldo e il suo stile, così proponendolo non soltanto a noi Frati cappuccini, ma anche a tutti i confessori del mondo.

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Parole Papa su famiglia e lavoro. Belletti: restituire il tempo alle persone

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Vasta eco hanno suscitato le parole del Papa sul rapporto tra famiglia e lavoro, ieri all’udienza generale. Il Pontefice ha detto che quando il lavoro “è in ostaggio della logica del solo profitto e disprezza gli affetti della vita”, allora “la vita civile si corrompe” e le conseguenze le pagano le famiglie, soprattutto quelle più povere. Ascoltiamo il commento di Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni familiari, al microfono di Sergio Centofanti

R. – Famiglia, lavoro, affetti e capacità di avere un reddito sono elementi forti di autonomia, per cui dentro la vita quotidiana delle famiglie si sperimenta proprio questo. Poi, uno lavora e fa famiglia proprio per avere dei figli, per avere un progetto di vita, quindi il tempo, la possibilità di tenere insieme un lavoro decoroso e il tempo per i propri cari è una priorità assoluta. Le parole di Papa Francesco sono un grande segnale e un grande conforto. D’altra parte nel 2012, proprio a Milano, avevamo fatto un incontro mondiale delle famiglie in cui era messo a tema proprio “Famiglia, lavoro, festa” e dice proprio che il tempo va restituito alle persone: il lavoro ci vuole ma non può mangiarsi tutta la vita.

D. – Il Papa ha detto che la moderna organizzazione della vita tende pericolosamente a considerare la famiglia un peso, un ingombro…

R. – Sì, questo concetto di ingombro mi è piaciuto molto perché descrive una percezione che tutti noi abbiamo: fai un figlio, ti trovi con dei figli di cui seguire il percorso scolastico, e nel mondo dell’azienda, del mondo del lavoro, sembra veramente che tu hai una difficoltà in più. Queste invece dovrebbero essere proprio le condizioni che rendono la vita più bella, anche sul lavoro. Tra l’altro su questo l’Italia è messa peggio degli altri Paesi europei perché in molti altri Paesi europei ci sono strumenti di conciliazione, di flessibilità, che aiutano le persone a tenere insieme famiglia e lavoro. Noi siamo molto indietro e abbiamo un lavoro “idolo” che si mangia un po’ tutto.

D. – Quando l’organizzazione del lavoro tiene in ostaggio la famiglia, ha affermato ancora il Papa, allora la società umana ha incominciato a lavorare contro se stessa…

R. – Sì, il problema è l’umanizzazione delle relazioni, l’umanizzazione dei tempi, l’umanizzazione anche degli ambiti lavorativi. Vivere in un contesto dove lavoro e famiglia sono alleati rende tutto più sereno, rende più efficace anche l’esperienza lavorativa. Per certi versi sarebbe quasi un valore aziendale: cioè, una persona che si sente tranquilla nel gestire la propria famiglia diventa anche più serena e più produttiva nel lavoro. Ci sono tantissimi esempi di aziende super moderne che vogliono tenere insieme famiglia e lavoro. Quindi le parole di Papa Francesco sono un grande segnale agli uffici del personale, ai grandi imprenditori e anche ai singoli genitori che lavorano, perché bisogna mettere le cose al posto giusto.

D. – Papa Francesco ha affermato che in questo difficile contesto le associazioni familiari sembrano essere come Davide contro Golia…

R.  – Diciamo che gli spazi di lavoro sono moltissimi. Secondo me il compito più importante delle associazioni è non far sentire le persone sole. Prima di tutto, mettere in cima le persone e farle sentire dentro un popolo che condivide gli stessi valori. Poi tra genitori ci si aiuta, si portano i figli a scuola insieme… E poi naturalmente l’associazione si rappresenta anche davanti al mondo del lavoro e davanti alla politica, quindi dà voce alle famiglie. Io credo che la famiglia abbia ancora un grande spazio di generatività, che sia una grande risorsa della società. Deve farsi sentire di più.

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Risposta di padre Benedettini su foto del Papa durante udienza generale

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Interpellato dai giornalisti, il vicedirettore della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini, è intervenuto sulla questione della foto apparsa su molti giornali in cui è ritratto il Papa con un cartello che invoca il dialogo tra Argentina e Regno Unito sulle Malvinas. Si tratta di una foto – ha detto – “scattata nel contesto di un’udienza generale (mercoledì 19 agosto) in cui molti fedeli porgono al Papa vari oggetti, spesso per farsi fotografare”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Col Vangelo della misericordia: annunciato il tema della giornata del migrante e del rifugiato 2016.

In prima pagina, Gualtiero Bassetti sull’enciclica sociale: dalla “Rerum novarum” alla “Laudato si’”.

Ecologici, perciò ecumenici: nell’intervista di Nicola Gori il cardinale Kurt Koch rilegge la “Laudato si’”.

Omaggio alla luce: Pablo d’Ors sul romanzo come forma per raccontare l’essere umano.

Quel vecchio Vangelo sul pavimento: Sergio Massironi sugli oratori di Giugliano e Scampia.

Cristian Martini Grimaldi sull’isola che c’è: una baia per secoli punto di raccordo tra il Giappone e l’Europa.

Divina alleanza: Athenagoras Peckstadt, metropolita ortodosso del Belgio, sul matrimonio cristiano.

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Oggi in Primo Piano



Attentato Is al Cairo. Vescovo Assiut: lotta contro terrorismo è dura

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Si allunga l’ombra del sedicente Stato Islamico sulle esplosioni che nelle prime ore del giorno hanno colpito la sede della Sicurezza nazionale egiziana a nord del Cairo, provocando almeno 29 feriti. In mattinata è stato diffuso un comunicato dell’Is che rivendica l’attentato e che minaccia nuovi attacchi. Solo due giorni fa in Egitto è stata approvata una legge che inasprisce le misure anti terrorismo, assegnando ancora maggiori poteri alla polizia. Mentre ieri il presidente egiziano al Sisi ha ricordato la responsabilità delle guide religiose nel contrasto all’estremismo. Marco Guerra ha intervistato il vescovo copto cattolico di Assiut, mons. Kyrillos William: 

R. – Si deve temere e fare più attenzione. Mi sembra comunque che la nostra sicurezza starà più attenta e forse questo episodio la risveglierà in modo particolare. Perché non solo non vogliamo lo Stato Islamico, ma adesso c’è una campagna popolare contro i partiti religiosi islamisti in corsa. Vogliono raccogliere 25 milioni di firme. L’Egitto è un Paese che non vuole questo sedicente Stato Islamico, vuole uno Stato civile, e tutti i discorsi del presidente condannano sempre questo islamismo.

D. – C’è una proposta per abolire tutti i partiti di radice islamista. Questo è un rischio o è un’opportunità?

R. – Se i salafiti arriveranno in Parlamento si comporteranno peggio dei Fratelli Musulmani. La questione è la separazione completa tra religioni e lo Stato. Siamo capaci di fare questo o no? Se non sarà fatto, ci sarà ancora un lungo periodo di caos. Noi sappiamo che la dura lotta al terrorismo durerà un po’ di anni, un po’ di tempo, però tutti sono schierati, specialmente la sicurezza, la polizia, i militari e anche la popolazione sostiene sempre le forze di sicurezza, le forze armate, contro questo fenomeno.

D. – Ci sono stati, però, il caso dell’ingegnere croato rapito, le violenze nel Sinai e quest’ultimo attentato. Questo significa che c’è una notevole agibilità da parte di questi terroristi sul territorio egiziano…

R. – Alcuni scrittori accusano le istituzioni islamiche di seminare queste idee estremiste del sedicente Stato Islamico in Egitto e reclamano un rinnovamento del discorso religioso, come lo reclama il presidente, spesso, nei suoi discorsi. Adesso, forse, ci si sentirà in pericolo dopo questi episodi degli ultimi giorni e si farà qualcosa di concreto per cambiare questo discorso, questo pensiero che si è inculcato presso alcuni.

D. – Lo stesso al-Sisi chiede ai leader religiosi musulmani di contribuire alla stabilizzazione del Paese…

R. – Devono fare lo sforzo di cambiare il tono del loro discorso. Abbiamo qui ad Assiut il vice ministro del Welfare, un amico, che mi ha parlato di una sua iniziativa, di un training per i predicatori, per cambiare il modo di fare i discorsi. Poi c’è l’idea di coinvolgere alcuni imam, predicatori musulmani e anche alcuni sacerdoti. E io gli ho detto: “Volentieri, facciamolo”. Da parte nostra non c’è problema. Se collaboriamo a questo, sentiranno che siamo uniti nella volontà di cambiare. Stiamo guardando veramente al futuro. La scorsa settimana siamo stati invitati all’inaugurazione del nuovo Canale di Suez e il presidente ha annunciato vari progetti nazionali per il bene del Paese. Questo fa invidia alle forze terroristiche e le spinge a fare qualcosa per dire “siamo ancora qui” e a voler ostacolare ogni progresso.

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Turchia: nuovi attacchi ai curdi. Il primo novembre elezioni

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Continuano gli attacchi aerei della Turchia contro i campi del Pkk curdo al confine turco-iracheno. Secondo fonti locali, si tratta di una reazione all'attentato, attribuito all’estremismo curdo, che ieri ha ucciso 8 militari di Ankara nella provincia sudorientale di Siirt. Intanto, sul fronte politico sembra ormai certa la decisione di svolgere elezioni anticipate il 1° novembre prossimo, dopo i fallimenti del partito Akp del Presidente Erdogan nella formazione di un governo di unità nazionale. Ma, a proposito della difficile situazione con i curdi, nonostante vi sia una tregua in corso, Giancarlo La Vella ha intervistato Bruna Soravìa, studiosa della realtà islamica: 

R. – Ritengo che la questione curda sia  sempre stata al primo posto nell’agenda del partito al potere di Erdogan. La tregua stabilita nel 2013 in realtà è sempre stata fragile e, sicuramente, la guerra in Siria ha dato il colpo finale a questa tregua molto precaria, al punto che oggi è molto difficile distinguere effettivamente cosa stia succedendo, tanto che si è detto che la Turchia in questo momento ha due obiettivi, quello di combattere contemporaneamente il sedicente Stato Islamico e il Pkk.

D.  – Non era questo, invece, un momento in cui si sarebbe potuto instaurare un dialogo con i curdi in funzione anti Stato Islamico?

R. – L’attuale governo turco ha rapporti ancora ottimi con i curdi iracheni, che sono abbastanza lontani da non minacciare i confini del Paese. Invece ha rapporti che peggiorano gradualmente con i curdi man mano che ci si avvicina ai confini dello Stato. Per cui il governo turco ha sempre avuto molta ostilità verso la provincia curda di Siria e, ovviamente, contro i curdi di casa propria.

D.  – Ankara in questo momento ha a che fare con un problema politico interno: si parla di elezioni anticipate per il 1° novembre prossimo a causa dell’impossibilità nel costituire un governo di unità nazionale…

R. – Certo, il partito di Erdogan ha vinto le elezioni di giugno con una percentuale enorme, ma che non è bastata a formare un governo in cui l’Akp avesse la maggioranza assoluta, quindi anche la maggioranza per decidere di questioni importanti come quelle strategiche. Quelli che sono falliti sono i colloqui con gli altri partiti e questo perché una delle formazioni principali dell’opposizione è il Partito curdo democratico, che Erdogan accusa di fiancheggiare di fatto il Pkk.

D. – Una Turchia con questi problemi, secondo lei, è più vicina o più lontana dall’Europa?

R. – In questo momento la Turchia è lontanissima, ma anche per colpa dell’Europa. Sarebbe stato probabilmente più lungimirante mantenerla nell’orbita europea anni fa. Questo non è stato fatto e la Turchia oggi ha preso un corso che ancora non sappiamo dove la porterà. Sicuramente Ankara è molto più interessata a essere oggi un attore nel Medio Oriente e nell’area arabo-iraniana che non a Occidente.

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Arcivescovo Bangui: insieme con imam e pastore per la pace in Centrafrica

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Un riconoscimento per l’impegno a promuovere la pace in Centrafrica: è il premio Sergio Vieira de Mello, ricevuto ieri a Ginevra da tre leader religiosi centrafricani, l’arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga, l’imam Oumar Kobine Layam e il pastore protestante Nicolas Guérékoyaméné-Gbangou. I tre leader stanno girando insieme il mondo per dire che la religione non c’entra con la guerra nel loro Paese ma si tratta solo di strumentalizzazione. Ascoltiamo l’arcivescovo di Bangui, al microfono di Catherine Fiankan-Bokonga

R. – Voir nos frères et nos sœurs souffrir et rester indifférents, n’était pas …
Vedere i nostri fratelli e le nostre sorelle soffrire e rimanere indifferenti, non era conciliabile con la fede che professiamo. Per questo ci siamo messi insieme, per essere vicini, intanto tra di noi: questo è un fatto nuovo nel nostro Paese. Certo, ci si incontrava, si scambiavano idee, ma mai avevamo messo l’uomo al centro, mai avevamo condotto un’azione come una sola persona. Al contrario: la crisi è diventata un’occasione per ritrovarci uniti. Noi abbiamo visto che la società centrafricana era minacciata nella sua stessa essenza ed ecco perché era necessario metterci insieme per salvare il popolo centrafricano che stava cadendo in un precipizio. Oggi abbiamo quella che si chiama “unità”. Questa unità stava per essere spazzata via e frantumata. Gesù ha predicato l’unità: “affinché siano uno”. Noi, in quanto leader religiosi, non possiamo fare finta di niente … Ecco perché ci siamo uniti e abbiamo chiesto ai nostri fedeli di mettersi insieme come noi, per pacificare i loro cuori, gli spiriti e unire tutti per dire: “Noi dobbiamo essere tutti fratelli”. Gesù è venuto ad annunciare la fratellanza universale per tutti: non soltanto i cattolici e i protestanti ma tutti, tutti gli uomini fanno parte di questa fratellanza. Ecco perché dobbiamo metterci insieme. Noi abbiamo teso la mano: l’imam è venuto da me, io sono andato dal pastore protestante e viceversa e siamo diventati fratelli e continuiamo a seminare questo messaggio di pace nel mondo e soprattutto nel nostro Paese.

Queste le parole dell’imam Oumar Kobine Layam:

R. – Ceux qui ont pris les armes, qu’on appelait à tort des milices musulmans …
Quelli che hanno preso le armi, quelli che a torto venivano chiamati “miliziani musulmani”, non hanno preso le armi per difendere il Corano, ma per difendere gli interessi dell’islam e dei musulmani, cioè interessi militari e politici. Quindi, noi siamo andati incontri a queste persone, ci siamo rivolti a loro per metterli in guardia davanti al pericolo che si correva, di quel che sarebbe potuto accadere. Nel momento della crisi acuta, il messaggio non era passato, ma poi hanno finito per comprenderlo e oggi stanno tornando alla ragione. Noi pensiamo che la comunità musulmana, che a sua volta era stata strumentalizzata dalle stesse persone che avevano preso le armi, stia tornando alla ragione, stia iniziando a riunirsi dietro ai loro capi, come me, per poter riportare la pace nel Paese.

Infine, la riflessione del pastore protestante Nicolas Guérékoyaméné-Gbangou:

R. – Avant la crise, on parlait tantôt des « protestants », tantôt des « évangéliques » …
Prima della crisi, si parlava a volte di “protestanti”, a volte di “evangelici”; grazie alla crisi, oggi si parla di “protestanti evangelici”: questo significa che tutti si sono messi insieme dietro ad un leader che si impegna per la pace al fianco dei suoi colleghi della comunità musulmana e della Chiesa cattolica. Tutti hanno capito che, per ottenere la pace non c’è altro prezzo da pagare se non quello di accettare di mettersi insieme, gli uni con gli altri, come “artigiani della pace” che vogliono ritrovare la riconciliazione. Per questo io sono grato e fiero di riconoscere oggi che la comunità protestante evangelica si è messa insieme dietro al suo leader e che insieme, ora, parliamo con una sola voce.

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Mons. Moraglia: "Il Papa sul gender, riferimento per tutti"

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Sulla questione gender “al di là delle opinioni, un cattolico ha un riferimento imprescindibile nelle reiterate prese di posizione del Papa” su cui non sarebbe onesto sorvolare solo perché non gradite. Così il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, dopo gli attacchi rivolti su internet dal cantante Elton John al sindaco Brugnaro, responsabile di aver ritirato dalle scuole i libretti gender che promuovono le cosiddette “famiglie gay arcobaleno”. Ascoltiamo il presule al microfono di Paolo Ondarza

R. – Intanto, già l’amministrazione precedente aveva ritirato la proposta relativa alla diffusione di questi libretti nelle scuole. Il sindaco attuale ha percorso questa strada, ritenendo che dovessero essere più coinvolte le famiglie, verificando anche il fatto che molti genitori erano all’oscuro dei contenuti della proposta “gender” nelle scuole.

D. – Al di là della polemica di questi giorni legata a Venezia, lei ricorda le reiterate prese di posizione del Papa sul tema “gender”, con parole chiare, che – dice – non lasciano spazi a fraintendimenti; parole sulle quali molti media, molti opinion leader sorvolano, enfatizzando invece altri pronunciamenti di Francesco, più “graditi” …

R. – Io ho voluto citare le parole che il Papa ripete frequentemente, in modo pacato, evitando contrapposizioni e, soprattutto, evitando atteggiamenti ideologici; soprattutto l’Enciclica “Laudato si’” nella quale invita l’uomo a riscoprire alcuni dati che gli appartengono strutturalmente: il Papa, al numero 155, parla della “legge morale iscritta nella natura” e dice che riconoscere la differenza tra uomo e donna è una ricchezza, è la sorgente della vita. Il Pontefice dice che la rimozione della differenza non è la soluzione, ma è il problema.

D. – Solo poche settimane fa, le famiglie – in modo massiccio, a Roma – hanno fatto sentire in piazza la loro voce, il loro “no” all’educazione “gender” nelle scuole. Eppure, chi ribadisce la bontà della differenza sessuale e si oppone a ogni colonizzazione ideologica, viene spesso bollato come “intollerante”, “retrogrado” …

R. – Fondamentale è guardare come stanno le cose. Le cose ci dicono che il matrimonio è una realtà importante, fondamentale per la società, è un servizio e ha qualcosa di specifico che nasce proprio dalla differenza dell’uomo e della donna, del maschio e della femmina. Questo non vuol dire non accogliere con benevolenza anche orientamenti diversi. Ma tenere fermo che questa realtà del matrimonio, che è al di là di una visione confessionale, è la sorgente, è il servizio che un uomo e una donna rendono alla società, è un investimento per il futuro. Noi, nel matrimonio non riconosciamo l’affettività in quanto tale, ma un impegno di due persone che, volendosi bene, amandosi, costituendo un’alleanza tra di loro, si orientano anche a un servizio, quello dei figli, quello dell’educazione; un servizio alla società. Quindi, credo che in questa visione non si tratti di penalizzare nessuno, ma si tratti – come dice il Papa – di non rimuovere la differenza perché questa rimozione non è la soluzione, ma costituisce il problema. Credo che tutte queste realtà possano e debbano essere guardate come ci insegna il Papa: senza contrapposizioni, senza emotività, senza atteggiamenti ideologici, proprio nell’ottica di un servizio all’uomo.

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Meeting di Rimini: nell'incontro, l'amicizia tra i popoli

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Al via oggi il Meeting per l’amicizia fra i popoli promosso a Rimini da Comunione e Liberazione. Ieri è arrivato il saluto del Papa che ha esortato gli organizzatori ad “andare incontro a tutti sostenuti dal desiderio di proporre con forza, bellezza e semplicità la buona notizia dell’amore di Dio”. Il tema è tratto da un verso di Mario Luzi: "Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto nei sei pieno?". Sugli obiettivi dell’appuntamento di quest’anno Emanuela Campanile ha sentito il portavoce del Meeting, Stefano Pichi

R. – La cosa che ci interessa sempre di più testimoniare, in un momento dove si vede una drammaticità, come la chiama Papa Francesco, una sorta di guerra mondiale combattuta a pezzi, sono le possibilità di amicizia tra i popoli. Quindi quale cosa migliore che far vedere che si possono incontrare personalità di qualunque Paese, di qualunque religione. E’ una cosa che il Meeting vuole proporre al mondo.

D. – Quindi questo è il valore aggiunto dell’edizione 2015, oltre all’obiettivo che sempre vi ha caratterizzato…

R. – Sì, esatto, tanto che già dal primo incontro dedicato alle tre grandi religioni, al dialogo interreligioso, vogliamo far vedere come il sentimento religioso non sia il problema, ma sia proprio il contrario, ciò che può essere una parte della soluzione, quindi ciò che può far nascere un’amicizia fra i popoli.

D. – Qualche altra sorpresa, perché questa edizione …

R. – Sì, il Meeting ha sicuramente un programma molto vasto. Anche quest’anno sono quasi 100 gli incontri e poi ci sono anche esposizioni e spettacoli. Come sempre, infatti, il Meeting fa cultura anche con le mostre e con gli spettacoli, oltre che gli incontri. Io cito solo alcuni nomi in programma: sicuramente il grande incontro tra il presidente della fraternità di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón, che dialogherà con il prof. ebreo Joseph Weiler, un amico del Meeting che viene da tanti anni, sulla situazione del mondo di oggi, partendo dalla figura di Abramo, che è la figura con cui si può dire che ci sia una rinascita, una riscoperta dell’io, biblicamente, fino al problema dei giorni nostri, passando naturalmente per il filo rosso del tema del Meeting di quest’anno, che è un verso del poeta fiorentino Mario Luzi: “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”. E vuole essere appunto una fotografia, una luce sulla situazione dell’umano, dell’uomo di oggi. Quindi prendere questa idea della mancanza non come un fattore negativo nel cuore dell’uomo - l’uomo, cioè, non è nato sbagliato - ma come ciò che lo fa muovere, che lo fa incontrare, ciò che gli permette di capire che l’altro non è un fattore di contrasto, ma è un bene innanzitutto per sé. Ci saranno molte testimonianze su questo. Ci sarà padre Charlie, che è uno dei sacerdoti della Villa 21-24 di Buenos Aires - uno dei sacerdoti di Papa Bergoglio - che porterà i suoi ragazzi. Ci sarà, quindi, sia un incontro che una mostra in cui i ragazzi racconteranno di come la loro vita, nell’incontro con padre Charlie, sia cambiata nelle Villas, quindi nelle favelas più povere. E poi ci saranno tanti altri incontri legati all’economia, all’impresa, alla politica. Questo perché? Perché il Meeting, come per tradizione, non vuole fare delle analisi al di sopra della società, ma vuole entrare nella società. E per questo tutti i temi sono trattati al Meeting e tutta la realtà interessa il Meeting.

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Alla Cittadella di Assisi una mostra sul Concilio Vaticano II e Paolo VI

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Un percorso artistico, fotografico e documentaristico attraverso il Concilio Vaticano II e Papa Paolo VI. E’ questo il contenuto della mostra “Il Concilio Vaticano II. Paolo VI. Arte e testimonianza ad Assisi” che è stata inaugurata ieri nella cittadina umbra, nella Galleria d’arte contemporanea dell’associazione Pro Civitate Christiana. L’esposizione, che si concluderà a dicembre, si va ad inserire tra gli eventi del 73.mo Corso di Studi Cristiani promosso dall’associazione, che si sta svolgendo in questi giorni nella Cittadella d’Assisi. Il servizio di Marina Tomarro

Una grande scultura bronzea di Papa Giovanni XXIII circondato dai cardinali partecipanti al Concilio Vaticano II. Tra loro anche il cardinal Montini, il  futuro Papa Paolo VI. E’ questa l’opera firmata dallo scultore Bodini che apre la mostra dedicata al Concilio e a Papa Montini. Un momento storico e un papato che vengono raccontati anche attraverso foto, documenti che testimoniano anche il rapporto di amicizia tra il Beato Paolo VI e don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana. Anna Nabot, direttrice della Galleria d’arte Contemporanea:

R. - Abbiamo pensato questa Mostra nel 50.mo del Concilio Vaticano II. L’anno scorso avevamo contemplato in particolare la figura di Papa Giovanni e di don Giovanni Rossi, perché sono stati tra l’altro anche grandi amici. Quest’anno abbiamo invece l’intenzione, appunto, di esaminare questa figura di Paolo VI, che ha portato avanti con grande impegno il Concilio. La Mostra che noi abbiamo preparato comprende una parte di arte e una parte di documentazione. E’ una mostra di arte e documentazione sia su questa presenza di Paolo VI e del Concilio Vaticano II e sia dei rapporti tra Paolo VI, in questo caso, e il nostro fondatore, don Giovanni Rossi. Quest’anno noi abbiamo in particolare fissato l’attenzione su due artisti che, tra l’altro, abbiamo presenti nella nostra galleria e di cui abbiamo diverse opere, che sono Bodini e Manfrini, che ha affrontato anche lui questa figura.

D. - E proprio l’artista Floriano Bodini aveva un rapporto speciale con la Cittadella di Assisi...

R. - Bodini è cresciuto in Cittadella. Lui ha partecipato quando aveva 19 anni ad un concorso per i giovani studenti di Accademia su un soggetto cristologico e quell’anno era sul tema di Gesù lavoratore. In quell’occasione fu premiato per le sue opere e abbiamo quest’opera giovanile, una pittura, interessante, quindi, anche storicamente.

D. – Qual è il messaggio che vuole dare questa Mostra al visitatore?

R. – Vuol dire in questo momento importante, entusiasmante, di questa novità del Concilio, il quale veramente ha accolto le istanze del mondo moderno e ha cercato di dare loro una comprensione, una solidarietà. Questo è un po’ il messaggio. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Cuba: colletta della misericordia, in attesa del Papa

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Una colletta nazionale della misericordia, in attesa alla visita di Papa Francesco: questa l’iniziativa lanciata dalla Conferenza episcopale cubana (Cocc) per domenica 30 agosto. L’evento, spiega una nota a firma di mons. Dionisio García Ibañez, presidente dei vescovi locali, si inserisce nel cammino spirituale di preparazione alla visita del Pontefice, che sarà sull’isola dal 19 al 22 settembre per il suo decimo viaggio apostolico internazionale, dal motto “Missionario della misericordia”.

“È bello avere sentimenti di misericordia”
La data del 30 agosto, spiega ancora mons. García Ibañez, è stata scelta “in coincidenza con l’inizio della novena alla Vergine della Carità del Cobre”, patrona di Cuba. La colletta si terrà “in tutte le parrocchie, le comunità e le case missionarie” dell’isola. Le donazioni dei fedeli potranno essere “alimenti, vestiario, giocattoli, denaro” che “verranno distribuiti alle persone più bisognose”. “Come sarebbe bello – scrive ancora il presule – nei giorni che precedono la visita del Papa, chiedere al Signore di avere ‘sentimenti di misericordia’”, quegli stessi sentimenti di cui parla San Paolo Apostolo nella Lettera ai Colossesi (Col 3,12).

La visita del Papa, evento di salvezza
“Sarebbe opportuno – aggiunge quindi il presidente dei vescovi cubani - proporre agli altri ed a noi stessi di compiere gesti di misericordia nel nostro operato quotidiano, come visitare i malati, condividere ciò che abbiamo, perdonare e chiedere perdono, consolare gli afflitti, amare di più e meglio il nostro prossimo”. Tutto con l’auspicio che la visita di Papa Francesco a Cuba, conclude il presule, “costituisca un evento di salvezza”.

L’Avana, Holguín e Santiago le tappe della visita del Pontefice
Il Pontefice partirà alla volta de L’Avana la mattina del 19 settembre; il giorno seguente presiederà la Santa Messa in Piazza della Rivoluzione, quindi incontrerà le istituzioni locali. Nel pomeriggio, è prevista la celebrazione dei Vespri con sacerdoti, religiosi e seminaristi nella cattedrale della città e poi l’incontro con i giovani. Lunedì 21 settembre, Papa Francesco volerà ad Holguín dove presiederà la Santa Messa, mentre nel pomeriggio si sposterà a Santiago: qui, incontrerà i vescovi e poi, in serata, pregherà nel Santuario della Vergine della Carità del Cobre.

Da Cuba agli Stati Uniti
​Nello stesso luogo, il 22 settembre Papa Francesco presiederà la Santa Messa, seguita da un incontro con le famiglie nella cattedrale dell’Assunzione e da una benedizione alla città. Infine, il Pontefice partirà alla volta degli Stati Uniti, dove si recherà a Washington, New York e Philadelphia, per l’Incontro mondiale delle famiglie. Il viaggio apostolico si concluderà il 28 settembre. (A cura di Isabella Piro)

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Vietnam: vescovi preoccupati per nuova legge sulla religione

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Crescono in Vietnam le preoccupazioni della Chiesa e delle altre comunità cristiane per la Legge presentata dal Governo sulla fede e la religione che rischia di segnare un giro di vite sulla libertà religiosa nel Paese. Il testo del progetto è stato discusso nei giorni scorsi dalla Commissione permanente dell’Assemblea nazionale, senza subire sostanziali modifiche rispetto alle precedenti bozze, nonostante le forti riserve espresse dai vescovi vietnamiti. A suscitare maggiore preoccupazione è la norma che stabilisce l’obbligo per tutte le organizzazioni religiose di riportare alle autorità qualsiasi attività interna, che siano cerimonie, attività di formazione, o aspetti organizzativi,  pena la loro messa al bando.

Per i vescovi la legge è una battuta d’arresto per la libertà religiosa
Interpellati dal Comitato per gli affari religiosi nel mese di maggio, i vescovi avevano osservato che la normativa proposta viola “il diritto alla libertà di religione e di fede”  va contro la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Costituzione della Repubblica socialista del Vietnam modificata nel 2013. Secondo i presuli, si tratta di una “battuta d'arresto” rispetto all’Ordinanza sulle credenze e le religioni del 2004  e ai due successivi decreti del 2005 e del 2013 che regolano le attività dei gruppi religiosi nel Paese. Preoccupazioni condivise da mons. Leopoldo Girelli, dal 2011 rappresentante pontificio non residente per il Vietnam, che all’agenzia Ucan ha confermato che la Chiesa locale chiede di essere più coinvolta e consultata sulla nuova normativa prima della sua definitiva approvazione prevista l’anno prossimo.

Sviluppi positivi nelle relazioni tra Vietnam e Santa Sede
La Chiesa cattolica figura oggi tra le sei religioni ufficialmente riconosciute dal Governo vietnamita.  Dopo le persecuzioni nel Nord durante la guerra e quelle seguite alla riunificazione del Paese nel 1975, a partire dagli anni ’80,  con la cosiddetta politica del “rinnovamento” (dôi moi)  e della "socializzazione",  le autorità vietnamite hanno cominciato ad ammorbidire in parte la politica anti-religiosa. Tra i segnali di questo nuovo corso, lo sviluppo positivo registrato in questi anni delle relazioni con la Santa Sede, confermato dal quinto incontro del Gruppo di lavoro congiunto svoltosi nel settembre 2014 ad Hanoi. Inoltre, ai vescovi è concessa maggiore libertà di movimento,  gli ingressi nei seminari sono meno contingentati e la Chiesa può svolgere attività caritative e sociali.  

Continua l’azione repressiva verso le minoranze
Anche se migliorata rispetto al passato e nonostante il Governo affermi che la libertà religiosa è sancita dalla Costituzione ed è rispettata, continua peraltro l’azione repressiva nei confronti di alcune minoranze, come i montagnard, etnia che vive negli altopiani centrali e che in maggioranza professa la religione cristiana. (L.Z.)

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Thailandia: preghiera interreligiosa su luogo attentato

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I leader religiosi della Thailandia si riuniranno domani, nel tempio induista di Erawan, luogo dell’attentato che il 17 agosto ha sconvolto la nazione, facendo 22 morti e oltre 126 feriti, per una preghiera interreligiosa di pace. Come appreso dall’agenzia Fides, vi saranno leader buddisti, musulmani, sikh, induisti e cristiani (le cinque religioni riconosciute nel Paese). Presenti i rappresentanti della Chiesa cattolica: la Conferenza episcopale manderà un suo delegato per esprimere “solidarietà e vicinanza alla popolazione tHailandese e invocare l’unità e la pace in questo momento difficile”, afferma a Fides la segreteria della Conferenza. All’incontro parteciperanno anche le autorità civili, come i rappresentanti della città di Bangkok e del governo.

Messaggio dei vescovi alla nazione
I vescovi cattolici hanno preparato un breve messaggio alla nazione che sarà condiviso per l’occasione. Il testo esprime condoglianze alle vittime e condanna ogni forma di violenza. Inoltre i vescovi esortano la popolazione thai a non dividersi e a ritrovare l’unità per affrontare il futuro in un clima di pace e riconciliazione. La Chiesa cattolica assicura la fervente preghiera per le famiglie delle vittime e il suo pieno sostegno all’intera nazione, incoraggiandola in un momento di dolore e sgomento. (P.A.)

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Brasile: 3 cardinali a Rio sulle sfide alla pace nelle metropoli

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Due settimane di incontri e conferenze dedicate alla sfida della pace nelle grandi città. Sarà questo l’oggetto della visita a Rio de Janeiro che i cardinali Lluís Martínez Sistach,  Peter Kodwo Appiah Turkson e Kurt Koch compiranno dal 23 agosto al 5  settembre su invito dell’arcivescovo della metropoli brasiliana, card. Orani João Tempesta.

Il card. Sistach sulle sfide dell'evangelizzazione nelle metropoli
Il primo ospite sarà l’arcivescovo di Barcellona, card. Sistach. Al centro della sua visita, che si svolgerà dal 23 al 26 agosto, le sfide dell'evangelizzazione  nelle metropoli. Per quattro giorni il porporato spagnolo visiterà le comunità dei quartieri più poveri e violenti della città brasiliana e incontrerà vescovi, sacerdoti, religiosi e laici impegnati in diverse iniziative di evangelizzazione e in opere di assistenza alla popolazione.

Card. Turkson sulla cultura della pace in un mondo in conflitto
Dal 31 agosto fino al 2 settembre subentrerà il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Il suo primo appuntamento sarà una conferenza con i laici, i consacrati e i diaconi permanenti della città presso il Palazzo João Paulo II. Il 1° settembre parteciperà quindi a un Simposio dal titolo “La promozione della cultura della pace in un mondo in conflitto”, promossa dalla Pontificia Università cattolica di Rio de Janeiro, in collaborazione con l’Università Cattolica Portoghese e con la Gregoriana di Roma. Al centro del suo intervento ci sarà la responsabilità ecologica per costruire la cultura della pace, tema trattato in diverse conferenze tenute in queste settimane dal presidente del Dicastero vaticano sull’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”. Il 2 settembre, infine, il cardinale Turkson incontrerà il clero e i religiosi di Rio del Janeiro. 

La dimensione ecumenica con il card. Koch
Seguirà la visita di tre giorni del card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che, il 3 settembre, incontrerà la comunità ebraica locale e il 4 terrà una conferenza nell’Auditorium dell’Istituto storico-geografico dei Brasile, seguito da un incontro di preghiera ecumenico nella cattedrale anglicana di Rio. A concludere, il 5 settembre, un incontro con i seminaristi della città. (A cura di Lisa Zengarini)

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Siria: pellegrinaggio della statua della Madonna di Fatima

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Manifestare solidarietà e vicinanza ai cristiani in Medio Oriente, uccisi o costretti a fuggire dai militanti del così detto Stato Islamico: sarà questo l’obiettivo del pellegrinaggio della statua della Madonna di Fatima in Siria. L’iniziativa si terrà il prossimo 7 settembre, quando a Damasco giungerà l’icona mariana proveniente dal santuario portoghese.

Non dimenticare le vittime di intolleranza e fondamentalismo
“In questo modo – spiega il vescovo di Leiria-Fatima, mons. António Augusto dos Santos Marto – vogliamo rispondere all’appello dei vescovi della regione mediorientale, testimoni dello sterminio dei cristiani di fronte all’indifferenza della comunità internazionale”. Ricordando i numerosi appelli lanciati anche da Papa Francesco contro la persecuzione dei cristiani in Iraq ed in Siria, mons. dos Santos Marto invita a non dimenticare le vittime “dell’intolleranza e del fondamentalismo”. “La Siria – sottolinea il vescovo portoghese - vive una dramma che reclama una solidarietà urgente, concreta, efficace a livello internazionale”, sia da parte dell’Onu che dell’Ue.

Pregare per la pace nel Paese
​Dal suo canto, padre Carlos Cabecinhas, rettore del Santuario di Fatima, esorta i cattolici ad accompagnare spiritualmente il pellegrinaggio mariano, portatore di “un messaggio di pace”, pregando affinché “il Signore conceda la pace alla Siria e dia forza ai cristiani che vi risiedono”. Esploso a marzo 2011 tra le forze governative e quelle dell’opposizione, il conflitto siriano prosegue da oltre quattro anni. Difficile calcolare le innumerevoli vittime; tuttavia, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Londra, i morti sarebbero circa 210mila. (I.P.)

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Sudafrica: la Chiesa in difesa dei minatori

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Un patto sociale di ampio respiro “costruito sulla condivisione delle ricchezze e non solo su quella delle perdite”. E’ quanto chiede la Commissione della giustizia e della pace della Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) che interviene così contro i drastici tagli e licenziamenti annunciati in queste settimane dalle compagnie minerarie in Sudafrica, in risposta al crollo dei prezzi delle materie prime e agli aumenti dei costi di produzione.

Un nuovo patto sociale che garantisca i lavoratori nei periodi di crisi
In una dichiarazione ripresa dall’agenzia Cisa, il presidente della Commissione episcopale, mons. Abel Gabuza, saluta l’intervento del Ministro delle risorse minerarie per mediare una soluzione alternativa ai licenziamenti. Ma chiede anche che il patto sociale proposto dal Governo alle parti sociali “per garantire quella competitività e sostenibilità delle attività minerarie necessarie a creare e a mantenere posti di lavoro nell’attuale congiuntura economica”, guardi al lungo termine e si ispiri a principi di equità. In particolare, secondo il presule, esso dovrebbe prevedere l’istituzione di un Fondo di sostenibilità dei salari durante gli anni con grandi surplus di profitti per finanziare le retribuzioni dei lavoratori quando i prezzi delle materie prime crollano.

Il bene comune viene prima degli interessi degli azionisti
Alla base di questo nuovo patto sociale – sottolinea mons. Gabuza – dovrebbe esserci il principio che le persone vengono prima del profitto: “In periodi di crisi ci viene detto che le compagnie minerarie sono un business, non un’opera di beneficienza e che in tempi di magra l’attività mineraria deve contenere i costi, compresi quelli del lavoro, e disinvestire nei settori in perdita per garantire migliori dividendi agli azionisti e agli investitori. Ma noi abbiamo sempre sottolineato – afferma  il presidente di Giustizia e Pace - che le in gioco è anche il bene comune, non solo gli interessi degli azionisti. Se il settore minerario prende seriamente questo patto sociale - conclude il presule -  esso dovrebbe accettare questi principi”. (L.Z.)

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Kenya. Card. Njue: no a valori che minano la famiglia

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Restare fedeli alla propria fede cristiana senza farsi influenzare dai valori e stili di vita occidentali che minano la famiglia tradizionale. E’ l’esortazione rivolta ai keniani residenti negli Stati Uniti dal card. John Njue, arcivescovo di Nairoibi e presidente della Conferenza episcopale del Kenya, durante una speciale Messa in swahili celebrata nei giorni scorsi nella cittadina di Bear, nello Stato americano del Delaware. Ad organizzare l’evento la Comunità cattolica keniana d’America (Kcca).

No a influenze distruttive che si perpetuano in nome della libertà individuale
“Molti di voi sono nati e sono stati cresciuti secondo credenze religiose e tradizioni africane, ma sicuramente vi trovate a vivere in una società che permette comportamenti contrari a tali credenze”,  ha premesso il card. Njue rivolgendosi a un migliaio di fedeli  keniani giunti da diversi Stati dell’Unione. Tale situazione - ha osservato - mette a dura prova la fede dei keniani che vivono negli Stati Uniti ed espone soprattutto i giovani e i bambini a cattive influenze.  Per questo l’arcivescovo di Nairobi si è rivolto in particolare ai genitori: “Ispirandovi alla saggezza della Bibbia crescete i vostri figli come vuole il Signore dicendo no alle influenze distruttive che si perpetuano in nome della libertà individuale e di scelta”.

La famiglia al centro delle preoccupazioni dei vescovi keniani
La difesa della famiglia contro le ideologie straniere contrarie ai principi cristiani e alle tradizioni africane è un tasto molto battuto in questi mesi dall’episcopato keniano che a questo tema ha dedicato la plenaria del maggio scorso. (L.Z.)

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Messico: ad Acapulco inaugurato Centro giovanile per la pace

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Chiesa e giovani uniti, per costruire insieme “una nuova cultura dell’amore e della pace”: così, nei giorni scorsi, mons. Carlos Garfias Merlos, arcivescovo di Acapulco, in Messico, ha spiegato l’obiettivo del nuovo Centro giovanile per la pace, inaugurato nella Parrocchia locale dedicata all’Immacolata Concezione di Maria. Sottolineando l’importanza dei giovani per lo sviluppo della società, il presule ha esortato a riconoscere le loro qualità, così da valorizzarli e renderli “protagonisti della nuova evangelizzazione e partecipi della costruzione di una prospettiva di vita”.

I giovani, speranza della società
“I giovani sono il cammino della speranza per diffondere una nuova cultura dell’amore e della pace – ha ricordato mons. Garfias Merlos – e per questo devono essere accompagnati in maniera certa e sincera, affinché possano incanalare tutte le loro energie nella trasformazione della società e nella promozione della civiltà dell’amore”, lontani da “pressioni sociali, mode, conflitti, narcotraffico e cultura della morte”.

Le “strategie” della Chiesa per promuovere la pace
Allargando, poi, lo sguardo al difficile momento che sta attraversando il Messico, a causa di violenze, aumento della povertà, disoccupazione, crisi economica e sociale, l’arcivescovo di Acapulco ha ricordato le “tre linee strategiche” messe in atto dalla Chiesa locale: in primo luogo, “la conversione pastorale alla pace”, che consiste nel “creare le condizioni e le opportunità necessarie alla riconciliazione”, anche attraverso “strutture ecclesiali adeguate”.

Prevenire la violenza e ricostruire il tessuto sociale
In secondo luogo, mons. Garfias Merlos ha indicato “la prevenzione della violenza e la ricostruzione del tessuto sociale”, portate avanti anche grazie a dodici diversi progetti in 35 parrocchie di Acapulco, coinvolgendo le famiglie e le comunità, avviando iniziative di economia solidale, di dialogo sociale e di sensibilizzazione sui temi della pace, come ad esempio le “Giornate del perdono”.

Attenzione alle categorie più vulnerabili
La terza strategia ricordata dall’arcivescovo messicano riguarda “l’accompagnamento e l’attenzione alle categoria sociali più in crisi e particolarmente vulnerabili”, come le vittime di violenza, i malati, i giovani disoccupati e privi di opportunità di sviluppo. D’altronde, ha sottolineato il presule, il contributo della Chiesa alla società parte da determinati valori: “pace e giustizia durature”, che non sono possibili “senza uno sviluppo integrale”; “giustizia restaurativa” che, senza dimenticare il dolore delle vittime, “sanziona il colpevole e lo aiuta a reinserirsi nella società”; “verità, perdono e riconciliazione”, che sono “valori umani” fondati nel Vangelo di Gesù e “pilastri della pace”.

Appello ai giovani: lottate per un mondo migliore!
​Di qui, l’esortazione finale di mons. Garfias Merlos ai giovani, affinché il nuovo Centro per la pace “produca frutti abbondanti nella vita dei ragazzi, infondendo loro la voglia di vivere e di lottare per un mondo migliore, corresponsabili nella trasformazione della società”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 232

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.