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Sommario del 14/08/2015
- Comastri: Francesco pone l'Anno della Misericordia sotto il segno di Maria
- P. Bizzeti nuovo vicario apostolico di Anatolia: costruire ponti, non barriere
- Colombia. Papa a magistrati: soluzioni creative per la pace
- Card. Parolin firma Accordo bilaterale Santa Sede-Timor Est
- Giubileo della Misericordia: accredito on-line per varcare la Porta Santa
- Usa-Cuba: dopo 50 anni riapre l'ambasciata americana all'Avana
- Grecia: sì al pacchetto di aiuti, ma la maggioranza si spacca
- Muro israeliano a Cremisan. Shomali: rubano le terre dei cristiani
- Demolizioni di croci in Cina. Padre Ticozzi: la Chiesa è unita
- Calabria: la Cei stanzia fondi per gli alluvionati
- San Massimiliano Maria Kolbe segno di amore di Cristo in Maria
- Alluvione in Myanmar: 103 morti, un milione e 300 mila sfollati
- Nepal: dopo terremoto e frane, la minaccia del colera
- Caritas Grecia: aiuti per 23 mila famiglie e migranti
- Pakistan: Commissione Giustizia e pace su abusi dei minori
- Perù: aperto Congresso nazionale eucaristico mariano
- Congo: appello Chiesa all'unità contro discriminazioni etniche
- Burkina Faso: incontro dei lavoratori cristiani
Comastri: Francesco pone l'Anno della Misericordia sotto il segno di Maria
Nella Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in Cielo, Papa Francesco reciterà l’Angelus alle 12.00 insieme ai fedeli riuniti in Piazza San Pietro. Sull’importanza di questa festa e il legame tra Jorge Mario Bergoglio e la Madre di Dio, Alessandro Gisotti ha intervistato il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del Vaticano:
R. – Oggi questa festa è particolarmente attuale, anche per la nostra società e per il momento che stiamo vivendo. C’è un grande culto del corpo, una idolatria del corpo, ma purtroppo staccato dall’anima. E’ dall’anima bella che parte la bellezza del corpo! Maria era bella dentro; Maria era bella nei suoi sentimenti, Maria era bella nella sua umiltà, Maria era bella nella sua generosità, Maria era bella nella sua dedizione totale a suo Figlio, al Salvatore, ed è quella bellezza che in qualche modo è affiorata nel corpo e ha giustificato la sua assunzione. Ora, il Papa tutto questo lo sa: Papa Francesco lo sa e lo crede e lo vive – possiamo dire – con la semplicità di un bambino, ed è questo un fatto molto bello, dal quale possiamo trarre grandi insegnamenti. Il Papa molto spesso fa riferimento alla nonna, perché doveva essere, in casa, l’anello della tradizione di fede – gli ha insegnato a pregare – un personaggio di riferimento della sua infanzia, dalla quale ha ricevuto sicuramente anche l’amore per la Madonna.
D. – La devozione mariana di Francesco, appunto, nasce fin da bambino: pensiamo alla Vergine di Lujan, a Buenos Aires. Questo lo vediamo anche dal modo in cui il Papa parla di Maria: in modo semplice, filiale, come si parla in famiglia della mamma …
R. – Certamente. Il Papa esprime la sua devozione alla Madonna nelle formule più semplici. Vedere il Papa che, quando torna da un viaggio, va a portare un mazzo di fiori a Santa Maria Maggiore: già questo fatto dice la sua semplicità. Ed essendo semplice, parla: parla subito al cuore, trasmette subito il messaggio e ci dice con estrema chiarezza che il Papa si sente un figlio aggrappato alla mamma, un figlio che ha bisogno di raccontare alla mamma la sua storia, i suoi viaggi, le sue fatiche, i suoi impegni. Questo è il senso di quel mazzolino di fiori che lui porta sull’altare.
D. – Personalmente, cosa la colpisce della devozione che Francesco ha per la Vergine?
R. – Più volte ho riflettuto su una devozione tipica che il Papa ha portato a Buenos Aires e poi ha portato nel mondo: la devozione alla "Madonna che scioglie i nodi". Chi non ha qualche nodo nella vita? Chi non ha qualche nodo da sciogliere? Allora è bello immaginare Maria e immaginare la mamma come Colei che prende un groviglio e che, con pazienza, cerca di scioglierlo, di dipanarlo e di far ritornare la bellezza della vita normale, della vita che tutti vorremmo vivere. Io penso a un particolare della vita della Madonna: Maria a Cana. Un matrimonio, un nodo: viene a mancare il vino. E Maria scioglie il nodo. Ma lo fa con una delicatezza estrema. Maria si rivolge a Gesù, ma non dice: “Devi fare un miracolo!”, no. Lo stile di Maria è lo stile della delicatezza, lo stile dell’umiltà. Semplicemente dice: “Figlio, non hanno più vino”. La risposta di Gesù è una risposta che sicuramente la Madonna in quel momento non poté capire in tutta la profondità ed era una prova di fede anche per Lei: “Non è ancora giunta la mia ora”. Maria capì successivamente qual era l’ora di cui parlava Gesù in quel momento; ma la sua risposta è di una bellezza straordinaria. Maria non si scoraggia. Dice ai servi, semplicemente: “Qualunque cosa vi dirà, voi fatela”. E questo abbandono semplice, umile è il terreno in cui sboccia il miracolo, il terreno in cui si scioglie il nodo.
D. – L’Anno della Misericordia inizierà, per decisione di Papa Francesco, l’8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione. Il Papa mette questo Giubileo sotto il segno, anzi, forse sotto il manto protettore di Maria...
R. – L’Immacolata è il progetto iniziale di Dio. Dio ci vorrebbe tutti immacolati, puri dentro, e questa bellezza originaria che, adesso è venuta a mancare nella storia per il peccato umano, è ricominciata con Maria. Aprendo il Giubileo della Misericordia nel giorno dell’Immacolata, il Papa ci dice: “Questo è il sogno di Dio”, e possiamo tutti fare un passo per avvicinarci al sogno di Dio. Lasciamoci condurre da Maria. Lasciamoci portare da Lei: Maria ci indicherà la strada della misericordia, la strada nella quale possiamo recuperare tutti la bellezza che abbiamo perduto. Dio è pronto; la porta è aperta: entriamo!
P. Bizzeti nuovo vicario apostolico di Anatolia: costruire ponti, non barriere
Papa Francesco ha nominato vicario apostolico di Anatolia (Turchia) il padre gesuita Paolo Bizzeti, finora rettore della Patavina Residentia "Antonianum" e direttore del Centro "Antonianum" per la formazione del laicato a Padova, assegnandogli la Sede titolare di Tabe. 67 anni, fiorentino, padre Bizzeti è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1966. Specialista di questioni medio-orientali, ha fondato e guida l’Associazione “Amici del Medio Oriente Onlus”, la comunità di famiglie “Maranàtha” e la “Tavola Pellegrini Medio Oriente”. Sergio Centofanti ha chiesto a padre Bizzeti con quale spirito abbia accolta questa nomina:
R. – Direi proprio con lo spirito di un gesuita che ha fatto il voto di disponibilità ad essere mandato laddove la Santa Sede, il Romano Pontefice, ci chiede. Vado in questo spirito di obbedienza, di fiducia, grato per la fiducia che mi viene data e nella speranza di poter servire queste piccole comunità cristiane che sono all’origine della nostra vita come cristiani, perché Antiochia sull’Oronte, Tarso, sono luoghi dove - potremmo dire - di essere nati tanto quanto Gerusalemme.
D. - Lei succede a mons. Padovese, ucciso nel 2010; una sede da allora vacante …
R. – Sì, sono molto contento che la Santa Sede dia una continuità al lavoro, all’impegno, alla testimonianza di mons. Padovese. Le comunità cristiane locali da tempo aspettavano un pastore e quindi mi sembra ci sia motivo di gioia insieme a questi nostri fratelli che sicuramente vivono una situazione di vita cristiana di estrema minoranza con alcune difficoltà.
D. - Come vede la situazione della piccola comunità cristiana in Turchia?
R. - È una comunità piccola ma vivace, fiera della propria fede che porta avanti in un contesto sicuramente non facile. Tuttavia la Turchia è un grande Paese che ha una tradizione molto bella anche di tolleranza, di multireligiosità; potremmo dire proprio che è un Paese dove da sempre le religioni si sono incontrate e dove da sempre c’è stato uno scambio proficuo tra la tradizione occidentale e quella orientale. Quindi spero proprio che sia possibile stabilire anche dei ponti, dei rapporti tra le comunità cristiane presenti qui e le altre, proprio come faceva San Paolo, che metteva in collegamento comunità cristiane anche molto diverse dell’Oriente e dell’Occidente.
D. - In questo momento di grandi tensioni, quanto è importante il dialogo con l’Islam?
R. - Più che mai è importante e più che mai, soprattutto nella preghiera, dobbiamo chiedere al Dio unico che ci preservi dalle divisioni, dalle guerre sterili, dal fondamentalismo. Credo che la stragrande maggioranza della gente non condivida né la violenza né il fondamentalismo. Dobbiamo dare voce a quello che la stragrande maggioranza della gente sente e vuole.
D. - Quali sono i suoi auspici per questa nuova missione?
R. - Andrò con molta umiltà, perché non sono giovanissimo, devo imparare la lingua … e quindi io andrò all’inizio di questo Anno giubilare della misericordia chiedendo che tutti abbiano misericordia verso di me e spero di portare loro la misericordia di Dio.
Colombia. Papa a magistrati: soluzioni creative per la pace
Cercare soluzioni creative che diano forza “alla pace e alla giustizia”. È l’auspicio col quale Papa Francesco ha voluto accompagnare i lavori del 18.mo incontro della giurisdizione ordinaria dei Magistratura colombiana, in corso ieri e oggi a Cartagena sul tema “Giustizia di transizione, pace e post-conflitto”.
In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, Francesco definisce di “cruciale importanza” per “il futuro della Colombia” il tema dell’incontro, che, sostiene, “nell'attuale epoca globalizzata ha una portata che supera i confini nazionali”. Le preghiere del Papa, si legge nel Messaggio, sono rivolte affinché il confronto possa “contribuire, con coraggio e creatività, a identificare soluzioni che rinforzino la pace e la giustizia, nel rispetto dell'ordinamento giuridico nazionale e internazionale”. In questo modo, si conclude, l'incontro aiuterà alla costruzione di una società sempre più inclusiva e a raggiungere una pace stabile e duratura”.
Card. Parolin firma Accordo bilaterale Santa Sede-Timor Est
“Oggi si apre un nuovo capitolo nella lunga storia dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato di Timor Est”. Con queste parole, il cardinale Pietro Parolin ha salutato la firma, a Dili, dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica timorese. La cerimonia è stata il culmine di una giornata fitta di appuntamenti per il segretario di Stato, che sta compiendo una lunga visita in Oriente. Il racconto della giornata nel servizio di Alessandro De Carolis:
Una giornata di celebrazioni religiose e civili, riflesso sia della storia che il Vangelo ha scritto in 500 anni a Timor Est – grazie alla generosità di chi iniziò ad annunciarlo in questa terra – sia del presente e del futuro che Chiesa e Stato timoresi si sono formalmente impegnati a costruire assieme, fondando l’intesa sul riconoscimento e la diffusione dei valori cristiani. Si può inquadrare così l’intensa sequenza di momenti che hanno scandito le ore vissute a Dili dal cardinale Pietro Parolin, alla vigilia della solennità dell’Assunta.
Accordo per il bene di Timor
Attorno al tavolo che ha radunato le delegazioni vaticana e governativa si è consumato l’atto solenne della firma dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica democratica di Timor Est. Il documento impegna entrambe – si legge nell’art. 1 – “alla reciproca collaborazione” in vista dello “sviluppo integrale delle persone nella giustizia, nella pace e per il bene comune”. Nel discorso ufficiale che ha accompagnato la firma, il cardinale segretario di Stato ha sottolineato, citando il Preambolo dell’Accordo, che “fin dall'inizio, per 500 anni, ‘nella sua dimensione culturale e umana, la Chiesa cattolica a Timor Est ha sempre saputo assumere con dignità le sofferenze del suo popolo, ponendosi al suo fianco” nella difesa dei “diritti elementari” e dedicandosi al contempo alla promozione “spirituale, sociale, culturale e nel settore dell'istruzione” di tutto il Paese. Un “rapporto unico”, “molto apprezzato dalla Santa Sede”, che – ha soggiunto il cardinale Parolin – viene “sancito e chiaramente affermato anche nella Costituzione di Timor Est”. Prendendo poi la parola alla cena di gala offerta dalle autorità timoresi, il porporato ha ulteriormente messo in risalto come l’Accordo appena siglato dimostri la volontà della Chiesa e dello Stato di far convergere “fede e cultura”, laddove – ha affermato – “la storia ha dimostrato, purtroppo, che quando questa convergenza viene trascurata o data per scontata, vi è la tendenza per la fede e la cultura a divergere” in modi talvolta così drastici “che i diritti fondamentali della persona umana sono relativizzati, dimenticati o addirittura negati”.
Religiosi, Beatitudini e gioia
Di marca più spirituale e fraterna la prima parte della giornata, che il cardinale Parolin ha trascorso con religiosi che operano a Timor Est. All’omelia della Messa concelebrata con loro, il segretario di Stato ha espresso a più riprese la stima per “l’immensa generosità” dei loro predecessori a servizio dell’annuncio di Cristo. E ricordando le parole di Papa Francesco, il porporato ha ripetuto che un’autentica vita religiosa deve rendere visibili le Beatitudini di Gesù. Esse, ha indicato, sono “forme concrete di misericordia vivente” e “raccontano esattamente ciò che il Signore chiede ai suoi discepoli, e quello che si aspetta da voi”. In breve, ha osservato, “ci dicono di amare tutti, dare tutto, perdonare tutti e non giudicare nessuno, ma se stessi”. Inoltre, condividendo il pranzo con i religiosi, il cardinale Parolin ha esortato tutti, sempre sulla scorta del Papa, ad avere la “gioia” come faro guida del proprio ministero, perché questo è il cuore dell’Anno della vita consacrata.
Giovani, “cuore libero” di Timor Est
In serata, il segretario di Stato ha incontrato i giovani timoresi nello stesso luogo in cui, 26 anni fa, Giovanni Paolo II invitava l’isola – dieci anni prima del referendum per l’indipendenza dall’Indonesia – a “essere sale della terra e luce per il mondo”. Voi, ha detto ai giovani, “siete nati o cresciuti in un Paese che ha ottenuto l'indipendenza grazie al sacrificio di altri prima di voi. Ora – li ha spronati – è il vostro turno di dimostrare il vostro impegno” accanto a coloro che sono impegnati “per il futuro del vostro Paese”. Come consegna, il cardinale Parolin ha lasciato le parole di Francesco in risposta a un giovane paraguayano, diventate presto un inno in tutto il mondo: avere un “cuore libero” da "tutti i lacci del mondo”. E accennando, in conclusione, alla Croce dei giovani che ha attraversato Timor Est per le celebrazioni del cinquecentenario, il segretario di Stato ha detto: avete imparato che “non c'è amore senza sacrificio, che non c'è risurrezione senza croce”, vivete dunque “una vita di speranza e di coraggio, una vita di responsabilità e di impegno, una vita di sacrificio e di amore. In questo modo sarete sale e luce “per questa amata terra, costruirete il futuro della vostra nazione”.
Giubileo della Misericordia: accredito on-line per varcare la Porta Santa
Per varcare la Porta Santa della Basilica di San Pietro durante il Giubileo della Misericordia, che si aprirà il prossimo 8 dicembre, sarà necessario registrarsi on-line. Dopo aver specificato giorno e ora in una apposita sezione del sito del Giubileo della Misericordia - www.im.va - si riceverà un accredito gratuito. Perché è stata scelta questa modalità? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a mons. Liberio Andreatta, vice-presidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi:
R. – Il primo motivo è quello di far sì che i pellegrini vivano questa esperienza con serenità, come un’esperienza di fede e di preghiera. Il secondo motivo è per evitare il flusso disordinato di pellegrini e, inoltre, anche per avere la possibilità, lungo il percorso, che vengano fatti normali controlli di sicurezza in maniera molto soft, così da non creare intoppi.
D. – Come ci si potrà registrare on-line?
R. – Il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha ritenuto utile, anche sulla base dell’esperienza vissuta con l’esposizione della Sindone a Torino, di poter far sì che i pellegrini possano prenotarsi attraverso un sistema di registrazione on-line. Potranno farlo inserendo sul sito www.im.va alla voce “registrazione pellegrini” la data e l’orario del proprio pellegrinaggio. Noi come Opera Romana Pellegrinaggi apriremo una serie di uffici di accoglienza negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie, nel centro di Roma, in Piazza Pio XII, in fondo a Via della Conciliazione e anche a Castel Sant’Angelo. Aiuteremo e saremo di grande supporto per le informazioni e l’aiuto ai pellegrini per questa iscrizione.
D. – Ci saranno dei limiti oppure sarà una possibilità aperta a tutti?
R. – Non ci sono limiti. La registrazione è del tutto gratuita e coloro che non sono in grado di farlo per una non conoscenza dell’utilizzo dei sistemi on-line, oppure perché decidono all’ultimo momento una volta arrivati a Roma, potranno rivolgersi all’ufficio in Via della Conciliazione n. 7 per accedere a questo percorso. E’ un ufficio adatto in base alle esigenze, alle necessità e alle domande ecc, per poter accedere al percorso della Porta Santa.
D. – Un percorso di riflessione, non un cammino “meccanico”. Ci sarà anche il modo di pensare prima di arrivare davanti alla Porta Santa…
R. – Non deve essere un passaggio meccanico, quasi "feticista" in cui uno passa quella Porta e ha l’indulgenza… Papa Francesco invita tutti alla pratica delle opere di misericordia corporali e spirituali e, quindi, ad una conversione, ad un cambiamento della propria vita in maniera straordinaria e decisa.
D. – Da quando si potrà cominciare a registrarsi on-line?
R. – Questo lo renderà pubblico appena possibile – quanto prima – il Pontifico Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
Usa-Cuba: dopo 50 anni riapre l'ambasciata americana all'Avana
Dopo mezzo secolo di inimicizia Stati Uniti e Cuba riallacciano oggi ufficialmente i rapporti diplomatici. Stamani all’Avana la bandiera a stelle e strisce verrà nuovamente issata sull'ambasciata americana. Alla cerimonia sarà presente il segretario di Stato Usa, John Kerry. Un riavvicinamento, quello tra l’Isola caraibica e Washington, fortemente caldeggiato da Papa Francesco. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Oltre 50 anni caratterizzati da tentativi di golpe, un duro embargo e una crisi, quella dei missili, che rischiò di trascinare il mondo in una guerra nucleare. Tutto questo da oggi sarà storia e Washington e l’Avana possono guardare ad un futuro di relazioni nuove, certamente non semplici, da rimettere in piedi attentamente. Tante le questioni in ballo: la situazione economico-commerciale dell’isola dopo tanti anni di difficoltà, la questione degli esuli e del rispetto dei diritti umani. Decisivo il ruolo, in questo riavvicinamento, di Papa Francesco che ha fortemente voluto la conclusione positiva del dialogo tra i due Paesi. Oggi, all’alzabandiera nell’ambasciata americana, sarà presente il segretario di Stato Usa, Kerry, primo diplomatico di Washington a tornare a Cuba dopo 70 anni e, nota emozionante, i tre marines che nel gennaio 1961 ammainarono la bandiera a stelle e strisce, quando furono rotte le relazioni diplomatiche, la isseranno nuovamente assieme a Kerry. Il leader cubano Fidel Castro, in occasione del suo 89.mo compleanno, in un articolo ha scritto: “Gli Stati Uniti sono debitori nei confronti di Cuba di indennizzi per molti milioni di dollari a causa dei danni provocati dalla politica delle sanzioni contro l’Avana”.
Ma su quali basi potranno ripartire i rapporti tra Stati Uniti e Cuba? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Mario Del Pero, americanista docente di Relazioni Internazionali all’Istituto Studi Politici di Parigi:
R. – Quello che si è aperto, in una certa misura, è un processo irreversibile. E’ chiaro che 50 anni e più di reciproca e assoluta ostilità lasciano oggi un retaggio pesante di diffidenza, di antagonismo, forse anche culturale, prima ancora che politico. Ci vorrà molto tempo per superarlo. Lo si farà, credo, anzitutto, agganciando sempre più Cuba all’economia americana, facendo sì che gli Stati Uniti, o gli investitori statunitensi, possano contribuire allo sviluppo economico, in primis attraverso il turismo.
D. – Un altro dei temi caldi è quello degli esuli cubani e della gestione del dissenso all’interno dell’isola caraibica, uno dei punti su cui gli Stati Uniti e i Paesi occidentali cercano di premere su L’Avana…
R. - Cuba, credo, abbia poche scelte, se non quella di procedere ad una graduale liberalizzazione politica. Tempi, modi e forme sono tutti da vedere. E’ chiaro che si chiederà a L’Avana gesti simbolicamente rilevanti, che in parte sono già stati compiuti. La questione dei cubani che vivono in Florida è una situazione che è andata modificandosi radicalmente negli ultimi anni. La prima generazione di emigrati, infatti, ferocemente anticastristi, sta uscendo progressivamente di scena. La generazione più giovane sostiene l’apertura e ha un atteggiamento meno intransigente verso il regime. Crede che attraverso questa apertura si possa procedere all’auspicata liberalizzazione del regime.
D. – L’apertura a Cuba vuol dire anche un miglioramento dei rapporti tra Washington e il resto dell’America Latina…
R. – Io credo che il processo vada letto primariamente in questa chiave. L’amministrazione Obama – gli Stati Uniti – si sono trovati sempre più isolati rispetto alla questione cubana. La rigidità di Washington nuoceva alla propria posizione nel panorama latino-americano e metteva in difficoltà le relazioni americane degli Stati Uniti. Aprire a Cuba serve anche per riportare gli Stati Uniti al centro della scena nella regione, ovvero a riallacciare rapporti con alcuni Paesi - il Brasile, anzitutto – e per evitare che gli Stati Uniti si trovino isolati nelle Americhe.
Grecia: sì al pacchetto di aiuti, ma la maggioranza si spacca
Dopo un dibattito durato tutta la notte, stamani il parlamento greco ha approvato l'accordo sul terzo pacchetto di aiuti concordato con i creditori internazionali. Il memorandum è passato solo grazie ai voti di alcuni settori dell’opposizione, vista la contrarietà espressa da 40 parlamentari del partito di governo Syriza. Una spaccatura che ha portato il premier Tsipras a chiedere il voto di fiducia dell’aula dopo il 20 agosto. Intanto sull’intesa si esprimerà anche l’Eurogruppo nella riunione di oggi pomeriggio a Bruxelles. Per un commento Marco Guerra ha intervistato il giornalista esperto di questioni greche, Francesco De Palo:
R. – Il voto è importantissimo per il terzo pacchetto aiuti. Comporta un primo stanziamento da 35 miliardi di euro, di cui però già 20 saranno restituiti da Atene ai creditori internazionali, tra prestiti e interessi sul debito, e solo 10 verranno destinati alle banche greche. Il voto - positivo grazie al sostegno dell’opposizione - ha però certificato un’altra ferita nel governo Tsipras. Il governo è sceso sotto la soglia dei 120 voti e ci sono stati ancora 43 voti negativi, di cui 35 scissionisti e altri astenuti. Quindi il partito di governo, il partito di Syriza, è ormai ad un passo dall’implosione. Lo ha dimostrato anche la posizione presa dalla presidente della Camera Konstantopoulou, che fino a questa notte alle 2.30 tentava di rimandare il voto solo a questa mattina, ma dopo nove ore di maratona in commissione congiunta del Parlamento ha dovuto piegarsi al voto degli altri membri. Il voto, quindi, c’è stato questa mattina presto, alle 9, e presumibilmente ha scritto la parola “fine” sul partito di Syriza e una parola nuova sul memorandum che però - ricordiamo - decide di chiudere il buco ellenico con altri prestiti, ma non risolve a monte il problema strutturale.
D. – Tsipras chiederà il voto di fiducia per il suo governo il 20 agosto…
R. – Sì, il problema è che comunque la maggioranza di governo non c’è più. Perché? Perché i 149 seggi di Syriza sono diventati un centinaio. I 40 scissionisti, infatti, capeggiati dalla presidente della Camera, dall’ex ministro dell’Energia Lafazanis e soprattutto dall’ex ministro Varoufakis, certifica di fatto che l’esperienza di Syriza al governo greco è terminata e che comunque Syriza dovrà diventare, come lo ha già fatto, un partito più di centro-sinistra che di sinistra; dovrà chiedere di volta in volta i voti alle opposizioni. E allora, anziché fare questo balletto di voti in Parlamento, meglio andare alle elezioni. La prima data utile era quella paventata già dalla portavoce del governo il prossimo novembre. Mentre invece sono ancora molto forti le voci che vorrebbero il voto anticipato già il 20 settembre.
D. – Nel pomeriggio si riunirà l’Eurogruppo per dare un giudizio su questo accordo tra Atene e i creditori. Cosa dobbiamo aspettarci?
R. – Dobbiamo aspettarci un muro contro muro, perché la posizione della Germania è una posizione molto chiara: sì alla negoziazione del debito e no all’haircut, di fatto segnando il solco nella guerra intestina tutta tedesca, che si sta combattendo fra la cancelliera Merkel e il ministro Schäuble, che, come tutti sanno, vorrebbe un “Grexit”, ma non vorrebbe una ristrutturazione del debito. La Merkel tenta di appianare queste posizioni portandole su quelle più moderate e dialoganti del presidente Juncker. La sensazione è che, comunque, la Germania abbia compreso come quest’altro memorandum non serva a sanare la crisi greca – è un memorandum che non è strutturabile, non è sostenibile per le casse greche, nonostante lo 0,8 per cento di incremento del Pil, nel secondo trimestre del 2015 - e comunque sta a testimoniare il fallimento complessivo della strategia tanto tedesca quanto europea, perché questi numeri si conoscevano sin dal 2012. Il rapporto debito-Pil sta viaggiando verso il 200 per cento, quindi significa che tutti hanno commesso dei macroscopici errori, tanto ad Atene quanto a Berlino.
D. – Quindi ad un mese dal referendum sull’accordo con la Troika, quali sono le prospettive per la Grecia?
R. – Le prospettive per la Grecia sono assolutamente di un disastro. Questa ennesima mossa, infatti, è un’altra partita di giro che non risolve i problemi ellenici, ma tende a raddoppiare gli interessi che verranno pagati ai creditori. Tutti sapevano che non si potevano prestare soldi alla Grecia, perché non avrebbe avuto la capacità di restituirli. Oggi, invece, si sceglie la strada di un terzo memorandum da 86 miliardi che si somma a quello precedente da 280 miliardi, pur sapendo che il Paese è allo stremo, che non si può pesare sulle casse dei pensionati e dei dipendenti pubblici, che non c’è una sola politica di ripresa e che, soprattutto, il dossier privatizzazione sta raccontando la vera partita di questo governo: gli aeroporti regionali greci, infatti, sono già stati inglobati da una società tedesca; il porto del Pireo è ad un passo dall’essere acquisito dalla Cosco Cina e soprattutto le ferrovie sono nelle mire dei russi, della Russian Railways, ma Washington e Berlino sono contrari. La partita greca, quindi, è tutta geopolitica.
Muro israeliano a Cremisan. Shomali: rubano le terre dei cristiani
In Terra Santa, la Società “Saint Yves”, Centro cattolico per i diritti umani, ha lanciato una nuova petizione per chiedere alla Corte suprema israeliana quale sarà il tracciato del muro di separazione con la Palestina che la stessa Corte ha autorizzato a costruire, lo scorso luglio. Un provvedimento in contraddizione alla precedente sentenza, che invece garantiva le proprietà della comunità cristiana residente nella zona, che ospita anche un monastero e un convento salesiani. Sull’argomento sentiamo il parroco di Ramallah, padre Ibahim Shòmali, intervistato da Elvira Ragosta:
R. - Tutti i nostri attivisti, dappertutto nel mondo - dall’America, l’Europa, l’Africa e l’Asia – stanno firmando questa petizione per esercitare una pressione forte sullo Stato di Israele e sulla Corte suprema israeliana, al fine di avere questa mappa il prima possibile.
D. – La questione del muro, oltre ai monasteri e alla scuola, riguarda anche le 58 famiglie cristiane che abitano la zona e i loro terreni: quale sarà il loro destino?
R. – Dopo la scorsa sentenza, ne è stata adottata un’altra che autorizza la costruzione del muro, e Israele afferma che resteranno solo i due monasteri con la Palestina, mentre tutti gli altri terreni saranno presi dall’esercito israeliano per la grande Gerusalemme. Però è assurdo che le case delle famiglie saranno in Palestina e i loro terreni, invece, nello Stato di Israele, perché, sì, Israele il primo anno darà a questi proprietari il permesso di entrare in Israele per lavorare i propri terreni, ma alla fine, come succede in altre parti della Palestina, glielo toglieranno. E alla fine questi terreni saranno presi dall’autorità israeliana come dei terreni che non hanno proprietari.
D. – La storia di questo muro è molto lunga e controversa: già nel 2004 c’era stata una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che si era espressa negativamente sulla costruzione di questo muro…
R. – Noi tutti, come la Corte internazionale di giustizia, siamo contro la costruzione di un muro: non è questo che garantisce la sicurezza, ma sono i “ponti”, come ha detto San Giovanni Paolo II. Noi non vogliamo che questo muro sia costruito nei nostri terreni. E se vogliono davvero costruirlo, lo facciano sul loro terreno e non rubando la maggior parte dei terreni palestinesi!
D. – La questione sicurezza è proprio quella motivata dal governo israeliano per la realizzazione di questo muro: esiste una questione di sicurezza in questa zona?
R. – La questione della sicurezza è esclusa! Lo scopo nel prendere tutti questi terreni è costruire la grande Gerusalemme per avere una città molto grande, come le capitali degli altri Paesi del mondo. La questione della sicurezza, se venite a Cremisan non c’è. Non c’è pericolo. Chi vuole oltrepassare il muro può fare atti terroristici anche con questa costruzione. La questione qui è che vengono presi terreni, per legare a Cremisan due insediamenti insieme: quello di Gilo e di Har Gilo.
D. – Come stanno vivendo le 58 famiglie interessate la situazione a questa costruzione?
R. – Sono state molto contente della prima sentenza della Corte suprema. In questo modo abbiamo ricevuto i nostri diritti ma quando è uscita l’altra decisione sono in pericolo, non sono contenti per niente. In attesa di come sarà la decisione vanno a pregare, a celebrare la Messa lì a Cremisan ricordando il Gesù lasciato nei Getsemani che viene a pregare con loro per salvare i loro ulivi.
Demolizioni di croci in Cina. Padre Ticozzi: la Chiesa è unita
Hong Kong risponde all’appello urgente del suo arcivescovo il card. John Tong, col digiuno e una Messa, celebrata questa sera nella chiesa di St. Andrew. Ieri il porporato, di fronte alla demolizione illegale di migliaia di croci di chiese cattoliche e protestanti nella provincia di Zhejiang, ha chiesto al governo di aprire un’indagine e alle comunità del Paese di pregare e digiunare per la libertà religiosa e il rispetto della dignità di migliaia di fedeli. Un’iniziativa che i missionari del Pime ad Hong Kong hanno caldeggiato e condividono, come spiega uno di loro, padre Sergio Ticozzi raggiunto telefonicamente da Gabriella Ceraso:
R. – L’abbiamo presa molto bene, anzi l’abbiamo sollecitata, per esprimere questa solidarietà fra la Chiesa di Hong Kong e la Chiesa in Cina, soprattutto la Chiesa di Guangzhou e del Zhejiang, che sta soffrendo questa campagna di persecuzione, che vede le croci e le chiese demolite senza un motivo serio. Anche se a volte sono state demolite costruite illegalmente, cioè senza tenere presente le regole del Governo, c’è il dato di fatto che le autorità cinesi hanno paura del segno visibile, troppo visibile, della religione nella loro società, e soprattutto della croce cristiana, come segno di presenza di un valore spirituale, che per loro non è un valore socialista.
D. – Nell’appello del card. Tong c’è scritto: “Come cristiani dobbiamo seguire Cristo, ciò richiede di portare la croce insieme con Gesù”…
R. – Per noi la croce deve essere parte integrante della nostra fede e chi ha paura della croce ha capito ben poco del significato vero della nostra fede cristiana.
D. – Il porporato ha chiesto a tutti i fedeli, quindi anche a voi, di scegliere una forma di penitenza e di pregare in maniera speciale per la libertà religiosa. Questa cosa come la vivete?
R. – Soprattutto con la Messa in posti diversi, per esprimere il nostro essere uniti a questi confratelli. Fa molto pena sentire la loro impossibilità di lavorare come vorrebbero, ed è bello vedere che sono pronti a seguire Cristo fino alla fine e ad offrire anche la vita per la propria fede. E’ un segno che la fede è veramente viva.
D. – E’ passato un anno dalla visita del Papa in Corea, cosa è rimasto da allora?
R. – Qui in Hong Kong tanta gioventù vuole seguire il Papa, apprezza il suo modo di fare, soprattutto verso i poveri, verso gli umili, verso gli ultimi. Lo vedono semplice, infatti, lo vedono come uno di loro. Anche loro si sentono umili e poveri, si sentono toccati da questo atteggiamento paterno di Papa Francesco.
Calabria: la Cei stanzia fondi per gli alluvionati
Si torna faticosamente alla normalità nella zona ionica della Calabria, colpita due giorni fa da un violento nubifragio. I danni ai siti e alle strutture agricole, turistiche e commerciali sono ingenti. Ieri sera vicinanza alle popolazioni colpite è stata espressa dal presidente della Repubblica, Mattarella, che ha sentito telefonicamente il governatore della Regione Calabria, Oliverio. Per avviare la ricostruzione nei comuni di Corigliano e Rossano Calabro, la Conferenza episcopale italiana ha stanziato un significativo contributo economico, attingendo ai fondi 8 per mille. In queste ore, tra le organizzazioni più attive nel portare soccorso agli alluvionati, c'è la Caritas. Giancarlo La Vella ha intervistato don Antonino Pangallo, della Caritas Calabria:
R. – Grazie a Dio non ci sono state vittime… Circa 500 persone che erano allocate lungo la costa, in camping o in località di mare, improvvisamente hanno visto perdere tutto e sono state trasferite in un palazzetto dello sport dove hanno passato la notte. La Caritas locale di Rossano con il suo direttore, don Giuseppe Straface, si sono subito messi all’opera; e con l’arcivescovo locale hanno messo immediatamente a disposizione le risorse per accogliere le persone in difficoltà, in particolare le fasce vulnerabili – alcuni malati – che erano presenti all’interno del palazzetto dello sport. E si sta cercando di capire come aiutare le persone, in primo luogo, a ritrovare un minimo di serenità. Stamattina, molta gente, che era scappata dai luoghi di villeggiatura, chiedeva di essere riaccompagnata per vedere di recuperare i propri effetti personali.
D. – Di che cosa c’è bisogno in questo momento?
R. – In questo momento non c’è bisogno di beni materiali. Ci sarà però sicuramente da provvedere alla ricostruzione. Quindi nelle prossime settimane certamente anche la diocesi, la Caritas locale, cercheranno di presentare alla Cei degli interventi per poter sostenere la gente che ha perduto praticamente tutto. Teniamo conto che, in questo periodo estivo, una situazione di questo genere ha praticamente mandato in tilt il mondo del turismo, che è una delle poche risorse economiche della nostra Regione. Turismo e agricoltura in quel territorio hanno subito dei notevoli danni: ciò significa una grande prova per l’economia locale, già provata da questa crisi.
D. – Purtroppo, quando succedono queste cose, poi ci sono anche le polemiche: si poteva evitare – da più parte si dice – se si fosse curato il territorio…
R. – Senza dubbio occorre fare molta attenzione a un’ecologia, come dice Papa Francesco, “globale”. Quindi occorre un’attenzione ai territori; ma bisogna anche evitare l’altro eccesso: della polemica comunque e dovunque. La natura è madre, ma contemporaneamente, in certe situazioni, è incontrollabile. Certamente, è indubbio che l’edilizia o la poca attenzione ai torrenti può creare queste situazioni, soprattutto dinanzi a calamità violente. Occorre evitare, da una parte, le polemiche sterili a tutti i costi, ma dall’altra parte, occorre sulla linea dell’Enciclica di Papa Francesco, è necessario anche custodire molto di più il territorio, l’ambiente nel quale il Signore ci ha posti.
San Massimiliano Maria Kolbe segno di amore di Cristo in Maria
Oggi la Chiesa ricorda San Massimiliano Maria Kolbe. Uomo tutto donato alla Beata Vergine Maria, fu instancabile testimone dell’amore di Cristo fino al martirio nel campo di stermino di Auschwitz. Massimiliano Menichetti:
“Il male si combatte attraverso l’amore che viene da Cristo”. E’ la certezza che ha guidato San Massimiliano Maria Kolbe, Raimondo il nome di battesimo, nato in Polonia a Zdunska Wola l’8 gennaio del 1894. A tredici anni entra nell’Odine dei Frati minori conventuali di Leopoli, a Roma studia filosofia e teologia. Il suo cuore è tutto in Maria, a 24 anni è ordinato sacerdote ma già un anno prima fonda la “Milizia dell’Immacolata”. Nel 1930 è missionario in Asia. In Giappone a Nagasaki fonda una rivista, un convento e apre un seminario. Torna in Europa per il peggioramento della tisi, ma è instancabile nella sua testimonianza e apre il periodico “Cavaliere dell'Immacolata” che raggiunge milioni di copie. Durante la Seconda Guerra mondiale è arrestato due volte dai nazisti. Nel 1941, viene deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. In questo luogo di orrori porta la luce del Vangelo, dona la sua vita in cambio di quella di un padre di famiglia. Rinchiuso in un bunker dove non può sdraiarsi, dopo due settimane senza acqua né cibo, il 14 agosto 1941, viene ucciso con un’iniezione letale di acido fenico nel braccio. Le sue ultime parole sono la preghiera “Ave Maria”. Ai nostri microfoni, don Massimo Serretti, docente presso la Pontificia Università Lateranense:
R. – Ci troviamo davanti a una statura di santità straordinaria: un uomo che ha preso dalle mani del Signore due corone, ossia quella bianca della consacrazione nel celibato per il Regno dei Cieli, sia quella rossa dell’effusione del sangue, quindi del martirio, per il Signore e per i fratelli. Dicevamo di una statura straordinaria: come sempre nelle figure di santità, soprattutto per la sua integrità. Tutta una vita, tutta una biografia, tutta completamente abbracciata dal mistero di Dio e vissuta come risposta alla via che il Signore gli ha indicato. Particolarmente importante il fatto che, seguendo questa risposta, Massimiliano Maria Kolbe percorra, da un certo punto di vista, tutto il ventaglio della vita cristiana, quindi dalla vita religiosa – che è più nascosta – alla vita missionaria.
D. – Il cuore di San Massimiliano Maria Kolbe è tutto incardinato in Maria…
R. – Massimiliano Kolbe risalta, tra l’altro, appunto per quello che ci ha dato di apporto, di meditazione e di verità del mistero mariano centrale della Immacolata Concezione. Questa dedizione non ha nulla di devozionalistico o di spiritualistico: è un legame con Maria nel punto in cui Maria risplende e brilla maggiormente, perché è il punto in cui, con tutta certezza, l’opera di Dio la abbraccia completamente e la plasma completamente, cioè nel momento del suo concepimento senza peccato. Quindi, il riferimento all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria diventa il punto di mediazione necessario, perché Dio ha seguito questa via per venire all’uomo, per l’uomo per trovare la via per andare a Dio. Quindi, c’è uno spessore teologico fortissimo e una meditazione continua in tutto l’arco della sua vita, su questo mistero mariano.
D. – Da qui anche la “Milizia dell’Immacolata”: che cos’è, questa realtà?
R. – La “Milizia” ha significato sia comunionale, quindi sono ragazzi, giovani seminaristi, vite, uomini, volti, storie che si legano nel mistero di Dio che si rende palese in Maria, da un lato. E “milizia” significa che ci sta dentro una lotta. Questa comunione tra questi ragazzi è chiaramente attiva nei confronti di un avversario che tenta di violare la bellezza di questa comunione e l’integrità delle persone. E Maria Immacolata rappresenta il baluardo inviolabile: lo stare saldamente radicati a questa fortezza significa per loro essere vittoriosi nel mondo.
D. – Questo combattere il male attraverso l’amore arriva a un apice nel campo di concentramento di Auschwitz, dove poi San Massimiliano Maria Kolbe darà la più alta testimonianza, dando la sua vita in un luogo di follia…
R. – Infatti, la carità che San Massimiliano Maria Kolbe esalta è innanzitutto la carità di Dio. Diventando partecipi dei misteri di Maria ed essendo legati – saldamente legati – ai misteri di Maria, è possibile entrare in questa carità, cioè in questo mistero dell’amore, che è l’amore di Dio stesso. “La vicenda di Auschwitz ha un significato di vittoria”: così Giovanni Paolo II nella famosissima omelia del 1979 nel campo di concentramento di Oswiecim-Auschwitz, metteva in evidenza proprio questo aspetto. “Qui l’uomo – ha detto – ha riportato la vittoria mediante la fede”.
D. – Qual è il messaggio forte, l’attualità di San Massimiliano Maria Kolbe?
R. – Si tratta sempre di questo, cioè di salvare l’uomo e di salvarlo in Cristo. Questo, Massimiliano Maria Kolbe ce l’ha presentato al vero e ha salvato l’uomo, nel senso che ha salvato Franciszek, il padre di famiglia, votando se stesso alla distruzione, ma il Signore ha mostrato come questa salvezza che l’uomo porta all’altro diventa anche la salvezza propria. Infatti, quando aprirono la cella dopo avergli fatto l’iniezione di acido, scoprirono che il suo volto emanava una grande luce di trasfigurazione. Massimiliano Kolbe ha dimostrato che è possibile, dentro la bruttezza, la ferocia, la barbarie, il regno della morte, vivere. Per cui, Kolbe è per noi il segno che non esiste un punto della realtà, un punto dell’esistenza, non esiste un frangente di difficoltà e di caduta tale in cui non sia possibile portare il raggio della luce della verità di Cristo. E quindi, la vittoria.
Alluvione in Myanmar: 103 morti, un milione e 300 mila sfollati
Le inondazioni e le frane causate dai monsoni e dagli strascichi del ciclone Komen “hanno ucciso 103 persone e colpito un milione e 280 mila cittadini”. Lo ha detto Win Shwe, direttore del Ministero del Social Welfare birmano. Le forti piogge, che da settimane non danno tregua al Paese, hanno costretto la popolazione ad evacuare in almeno 10 divisioni. Nelle regioni di Magwe e Sitgaing - riferisce l'agenzia AsiaNews - la popolazione non può fare ritorno alle proprie case; lo Stato Rakhine – dove, in campi di fortuna, vive la maggior parte dei profughi Rohingya del Paese – è in stato d’emergenza dal 16 luglio scorso.
Gravi danni all'agricoltura e alle infrastrutture
Le zone più colpite sono quelle delle regioni del centro e del sud del Paese, in cui si concentra la produzione di riso e altri cereali; gli agricoltori sono impegnati in una lotta serrata per il contenimento delle inondazioni, mentre cresce in diversi punti il corso del fiume Irrawaddy. Anche dove la pioggia ha dato una tregua, rimangono gravi i danni provocati alle infrastrutture. In un comunicato dell’Ufficio della Nazioni Unite per il coordinamento delle azioni umanitarie (Ocha), dell’11 agosto, si legge che “anche se l’acqua si è ritirata in molte aree, un gran numero di strade e ponti è stato distrutto negli Stati e regioni più colpiti. I trasporti rimangono difficili per le squadre di valutazione dei danni e per la distribuzione degli aiuti”.
Appello alla solidarietà del card. Bo
Nei giorni scorsi l’arcivescovo di Yangon card. Charles Bo ha rivolto un appello ai birmani e alla comunità cattolica internazionale, per l’invio di cibo e aiuti “per le vittime delle alluvioni in Myanmar”. Anche il presidente Thein Sein e il leader dell’opposizione Aung San Su Kyi si sono rivolti alla comunità internazionale. Generi di prima necessità e appoggio logistico stanno giungendo dai Paesi asiatici (India e Cina in primis) e da Stati Uniti, Europa e Australia. L’alluvione in corso è il peggior disastro ambientale per l’ex Birmania dal ciclone Nargis, che nel 2008 causò la morte di 140mila persone. In quell’occasione la giunta militare al governo venne criticata per la censura di informazioni e i rifiuto di aiuti internazionali. (R.P.)
Nepal: dopo terremoto e frane, la minaccia del colera
“Dobbiamo ancora visitare molti pazienti per poter dare conferma che si tratti di colera. Il numero dei contagiati potrebbe superare le mille unità, perché il batterio si sta diffondendo con grande rapidità. Se non si prendono precauzioni, molti potrebbero perdere la vita. Esortiamo tutti a essere attenti nella propria igiene” ha detto il dottor Baburam Marasini, direttore della Dipartimento di epidemiologia e controllo delle malattie (Edcd), al quotidiano locale The Himalayan Times, specificando che, dal 26 luglio ad oggi, già 29 casi, risultati positivi per batterio Vibrio colera, sono stati confermati dal suo Dipartimento. Secondo i dati in possesso del dottor Marasini - riferisce l'agenzia Misna - la maggior parte dei pazienti provengono dalle aree di Kalimati, Kuleshwor, Soalteemode, Kalanki e Naikap.
L'epidemia causata dall'acqua contaminata
Dallo scorso 3 agosto, il Dipartimento (Edcd) ha inviato un gruppo di medici e tecnici nelle zone vulnerabili per studiare la situazione. Il team ha scoperto che l'acqua contaminata è stata l'unica ragione dietro l'epidemia insieme alla scarsa igiene e l'igiene personale che sono stati i fattori che hanno contribuito alla diffusione della malattia. I medici hanno consigliato e stanno consigliando anche attraverso la radio e gli altoparlanti, le migliaia di abitanti delle aree colpite a usare acqua bollita o trattata con cloro per prevenire la malattia.
La stagione dei monsoni aumenta il rischio contaminazione
Secondo alcuni medici è necessaria una campagna di vaccinazione di colera "preventiva" in Nepal dato che il colera è endemico. Con il terremoto, acqua e infrastrutture igienico-sanitarie sono crollate, il sistema sanitario non ha la capacità di dare una risposta efficace e la stagione dei monsoni in corso aumenterà il rischio di contaminazione, anche se il rischio reale di una epidemia di colera è ancora basso. Solo nelle prossime settimane, i soggetti interessati sapranno decidere se perseguire una campagna di vaccinazione di colera: più dati avranno dai sistemi di allarme e prevenzione in corso e meno difficile sarà per loro prendere una decisione. (P.L.)
Caritas Grecia: aiuti per 23 mila famiglie e migranti
È di 192.869,25 euro la somma raccolta da Caritas Hellas dopo l’Emergency Appeal diretto ai partner internazionali del network Caritas lanciato a fine luglio con il duplice obiettivo di aiutare le famiglie greche maggiormente colpite dalla crisi economica e di fare fronte all’emergenza migranti. A renderlo noto - riferisce l'agenzia Sir - è la stessa Caritas Hellas che con tale somma potrà aiutare “circa 23.748 persone, tra le quali 50 famiglie greche e 100 bambini in età scolare che a causa della crisi vivono una situazione di disagio, ai quali si aggiungono i moltissimi migranti, per lo più in fuga da guerre che infiammano il Medio Oriente e il continente africano”.
Operazioni di assistenza diretta ai migranti nelle isole
La selezione delle famiglie beneficiarie greche, si legge in una nota di Caritas Hellas, avverrà attraverso lo studio dei dati raccolti nel database Ospoweb, presente dal 2014 in tutte le parrocchie/diocesi greche, che permetterà di definire il tipo di intervento più adatto, privilegiando i casi maggiormente vulnerabili. Per quanto concerne l’aspetto del programma relativo a rifugiati e immigrati, due operatori di Caritas Hellas, uno per le isole di Chios e Lesbo, l’altro per l’isola di Kos si occuperanno del coordinamento delle operazioni di assistenza dirette ai migranti sia nelle isole citate, sia sul territorio nazionale.
Aiuti per la popolazione che vive sotto la soglia di povertà
Altro aspetto dell’Emergency Appeal riguarderà l’organizzazione di corsi formativi per i volontari delle 8 diocesi greche sui temi delle migrazioni e dell’assistenza sociale, coordinati a livello nazionale da Caritas Hellas. “Circa 2.5 milioni di persone (quasi un quarto della popolazione greca) vivono al di sotto della soglia di povertà, mentre 3,8 milioni sono a rischio povertà a causa di deprivazioni materiali e disoccupazione”, afferma Caritas Hellas, che riporta anche dati Eurostat, per i quali la Grecia è tra i paesi europei con i tassi di povertà più elevati (23,1% ); anche la disoccupazione resta la più alta dell’Unione Europea attualmente pari al 25,6%, il che vuol dire che più di 1,2 milioni di persone sono attualmente senza lavoro. La disoccupazione giovanile rimane su livelli preoccupanti, dato che interessa il 50,1% della popolazione giovanile greca. Tuttavia, al di là delle statistiche ufficiali, dichiara la Caritas, “non dobbiamo trascurare di ricordare che diversi lavoratori registrati come impiegati, infatti non hanno reddito a causa della incapacità dei loro datori di pagare i salari”.
L'accoglienza delle migliaia di migranti è al collasso
Nel frattempo continua l’afflusso di immigrati attraverso le frontiere marittime greche (circa 124.000 fino a luglio del 2015): tanti i profughi che si accampano alla meno peggio nelle isole confinanti con la vicina Turchia (Lesbo, Chios, Kos etc) e nelle piazze e parchi pubblici delle grandi città (per esempio piazza Omonia, e stazione Victoria ad Atene). Quasi inesistenti i servizi organizzati dalle istituzioni locali; le stesse agenzie governative che si occupano della distribuzione di generi alimentari e dell’assistenza di immigrati e rifugiati non hanno più i mezzi necessari, a causa delle misure di austerità. “La situazione è sull’orlo del collasso”, fa sapere la Caritas. (R.P.)
Pakistan: Commissione Giustizia e pace su abusi dei minori
I bambini sono “il futuro della nostra nazione. Il governo deve garantire loro protezione e impegnarsi a livello sociale, morale e internazionale attraverso l’applicazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, ratificata nel 1989. Noi speriamo che le autorità del Pakistan prendano sul serio la questione della protezione e della sicurezza dei minori”. È la posizione della Commissione giustizia e pace del Pakistan (Ncjp), all’indomani del grave caso di abusi sessuali su minori avvenuto nel distretto di Kasur (provincia centro-orientale del Punjab). Si tratta del più grave episodio di violenza su minori mai denunciato nel Paese, con 284 vittime di età compresa tra i 6 e i 14 anni e 25 persone arrestate, colpevoli di aver registrato per diversi anni circa 400 filmati di abusi per poi usarli come arma di ricatto contro le famiglie dei bambini.
In Pakistan altissima percentuale di abusi sui minori
Il caso è stato portato alla luce lo scorso 8 agosto, giorno dell’arresto della banda di criminali. Gli investigatori temono che nella vicenda siano coinvolti anche politici locali, che avrebbero molestato i parenti delle vittime, già ricattate per i filmati. In Pakistan ogni anno si registra un’altissima percentuale di violenze sessuali su minori: solo nel 2014 gli episodi di sfruttamento hanno riguardato 3.500 bambini, di cui il 67% nelle aree rurali.
La Commissione giustizia e pace chiede misure preventive in difesa dei minori
Per questo la Ncjp ha rivolto un appello ai rappresentanti politici “di tutti i partiti, affinchè venga condannato con forza il grave reato, e questo non venga usato per scopi politici interni”. La Commissione ha chiesto che alle vittime sia fornito un immediato supporto medico e psicologico per la cura del trauma subito; che i funzionari politici coinvolti siano rimossi dai loro incarichi e siano incriminati in maniera formale; che il governo introduca l’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole in modo da prevenire tali crimini in futuro e crei una commissione giuridica che sviluppi una legislazione adeguata per punire gli abusi e la pornografia minorile. Infine, invita a rivedere il ruolo e le responsabilità dell’ufficio per la protezione dei bambini, in modo da farne un organo efficiente e di qualità. (S.K.)
Perù: aperto Congresso nazionale eucaristico mariano
“Il congresso eucaristico nazionale sia una esperienza di grazia per crescere in santità, per essere testimoni gioiosi e coraggiosi di vita cristiana, per risvegliare la vocazione sacerdotale e consacrata e perché le nostre famiglie diventino veri cenacoli di amore e santuari di vita”. Queste l’augurio dell’arcivescovo di Piura, mons. Josè Eguren Anselmi durante inaugurazione ieri, del X Congresso nazionale eucaristico e mariano del Perù, dal tema “Il Signore Gesù è il Pane vivo che dà vita al mondo”. Alla celebrazione eucaristica, presieduta dall’Inviato Speciale di Papa Francesco, il card. Raúl Vela Chiriboga, arcivescovo emerito di Quito (Ecuador), e concelebrata dal card. Juan Luis Cipriani, arcivescovo di Lima, insieme ad una trentina di vescovi peruviani e latinoamericani, hanno partecipato circa 100 mila fedeli provenienti da diverse città del Perù, insieme a numerosi rappresentanti delle autorità civili e militari, tra i quali la vicepresidente della Repubblica, Marisol Espinoza.
Non c’è vigore nella vita cristiana senza l’Eucaristia
Prima del grande evento inaugurarle, l’arcivescovo Eguren Anselmi ha aperto i lavori del Congresso teologico nazionale, che si svolge parallelamente al Congresso Eucaristico Mariano nella sede dell’Università nazionale di Piura. “Un congresso eucaristico - ha detto - è una preziosa occasione per rinnovare la nostra fede nel Signore Gesù, veramente presente nel Santissimo Sacramento dell’Altare, e per rafforzare la consapevolezza che non c’è alcuna possibilità di dare una nuova spinta e vigore alla vita cristiana senza l’Eucaristia”. Nel suo discorso, il presule ha ricordato che all’inizio del Terzo Millennio i cristiani siamo chiamati a dare un testimonio visibile e convincente della propria fede, il cui fondamento è l’eucaristia. “Niente può sconfiggere meglio il grave pericolo del secolarismo e le sue espressioni più pericolose, come l’agnosticismo funzionale e il relativismo morale ed etico che domina il nostro tempo, che il mistero eucaristico, il quale ci rivela che la realizzazione dell’umano trova nel Signore Gesù la sua salvezza e il suo modello”.
I relatori al Congresso
Dopo il saluto dell’arcivescovo e dell’inviato del Santo Padre, hanno aperto i lavori le relazioni del card. Francisco Erràzuriz, arcivescovo emerito di Santiago del Cile e del prof. Gustavo Sanchez Rojas, membro della Commissione teologica internazionale. Nei giorni del congresso teologico ci saranno gli interventi del card. Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Quebec e primate del Canada; di mons. Eduardo María Taussig, vescovo di San Rafael (Argentina); di mons. Eduardo Chávez Sánchez, canonico della basílica di Guadalupe (Messico), il padre Mauro Gagliardi, consultore della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti; del dott. Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’ America Latina e di mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, presidente della Conferenza episcopale peruviana.
Piura culla della evangelizzazione de Perù
Dopo 55 anni, il Congresso nazionale eucaristico mariano torna a Piura e si colloca nel contesto dei festeggiamenti per la chiusura dell’Anno Giubilare in occasione del 75.mo anniversario della creazione dell’arcidiocesi. A Piura, la città più antica del Perù, fondata nel 1532, fu piantata la prima croce, celebrata la prima eucaristia e punto di partenza dei primi missionari che evangelizzarono il territorio peruviano. Durante le tre giornate del Congresso, scandite dai momenti di preghiera e catechesi, dalla celebrazione eucaristiche e dalla adorazione del Santissimo Sacramento, tre antiche devozioni accompagnano i momenti più importanti del evento: il "Signore Celato di Ayabaca", arrivato, ieri, in processione allo Stadio per l’inaugurazione del congresso; il "Signore della Buona Morte di Chocàn", venerato sin dall’epoca della conquista spagnola e "Nostra Signora della Mercé di Patìa", patrona della provincia. Le tre immagini attraverseranno in processione la città fino alla cattedrale per celebrare, domenica 16 agosto, la chiusura del Congresso e dell'Anno giubilare, presieduta dal rappresentante del Papa, card. Vela Chiriboga e concelebrata da tutti i vescovi del Perù. (A cura di AlinaTufani)
Congo: appello Chiesa all'unità contro discriminazioni etniche
Lavorare insieme all’unità, sradicando il germe della divisione: questo il mandato affidato ai fedeli da mons. Placide Lubamba, vescovo di Kasongo, nella Repubblica democratica del Congo. In un messaggio pastorale diffuso in questi giorni, il presule ricorda che “la Chiesa-famiglia di Dio a Kasongo non è un insieme di entità tribali, né una Ong, tanto meno un raggruppamento di villaggi”. Di qui, l’invito a “sacerdoti, consacrati e fedeli laici ad annunciare il Vangelo in tutte le parrocchie diocesane, qualunque sia la loro origine culturale od etnica”. Tutto questo, naturalmente, continua mons. Lubamba, comporta “un cambiamento di mentalità da parte di ciascuno”.
Lottare contro il rancore e l’odio. Siamo tutti figli dello stesso Padre
“Noi siamo tutti figli dello stesso Padre – sottolinea il vescovo di Kasongo – salvati dal sangue di Cristo e, come dice Papa Francesco, le considerazioni tribali ed etniche discriminatorie sono la negazione stessa del Vangelo”. Quindi, il presule esorta i fedeli ad essere testimoni dell’amore di Dio, vivendolo innanzitutto all’interno delle comunità. “Per testimoniare insieme questo amore di Dio – aggiunge mons. Lubamba – siamo tutti chiamati costantemente alla conversione”, affinché “le differenze diventino un arricchimento reciproco” e non, “come spesso accade, causa di divisioni, o di odio in seno alle famiglie, ai movimenti o persino tra le opere apostoliche”. “Lottiamo – esorta ancora il presule - contro il rancore, l’odio, la gelosia, la connivenza nel male e l’assenza di perdono che non cessa di indebolirci”.
Alla fine, saremo giudicati sulla nostra disponibilità ad amare e perdonare
Quindi, mons. Lubamba esorta i fedeli a “riconciliarsi con Dio e con i fratelli”, perché “anche se non è facile perdonare, tuttavia attraverso la preghiera Dio ci dona la forza e la grazia necessarie per vivere un vero perdono che rappacifica i cuori”. A tal proposito, il presule fa un’ampia riflessione sul Giubileo straordinario della Misericordia, indetto da Papa Francesco, e che si aprirà il prossimo 8 dicembre: “Dio è misericordia e, come Lui, noi dobbiamo essere misericordiosi – sottolinea il vescovo congolese – perché alla fine “saremo giudicati unicamente sulla nostra disponibilità interiore ad amare ed a perdonare”.
La misericordia trasforma il cuore e la vita
“L’esercizio della misericordia – aggiunge il vescovo di Kasongo – è l’unico mezzo a nostra disposizione per collaborare alla nostra salvezza. Mostrandosi misericordioso, il Signore cerca di trasformare il cuore” dei fedeli, “rendendoli a loro volta misericordiosi nei confronti degli altri”, perché “fare esperienza della misericordia di Dio nel sacramento della penitenza, trasforma il cuore e la vita” e “conduce alla necessità di una conversione profonda”.
Pregare per le vocazioni. Appello all’auto-sostentamento della Chiesa
Nel suo messaggio, inoltre, il presule congolese chiede di pregare per le vocazioni sacerdotali e religiose, di cui la Chiesa ha bisogno, “uomini e donne appassionati di Cristo, interamente donati all’annuncio del Vangelo, che si lascino trasformare dal Signore e partecipino alla sua opera di liberazione”. Non solo: il vescovo esorta la diocesi all’auto-sostentamento economico, ribadendo che “la Chiesa-Famiglia di Dio deve lentamente, ma sicuramente, lanciarsi sul cammino dell’autonomia finanziaria, per assicurare la sua missione evangelizzatrice. Non possiamo più rimanere ad aspettare gli aiuti esterni, ma cominciamo a contare sulle nostre forze, pur senza respingere le donazioni che manifestano la solidarietà ecclesiale”. Di qui, l’esortazione ai fedeli ad essere generosi con la diocesi, ma anche l’appello ai sacerdoti affinché gestiscano con trasparenza i fondi ricevuti.
L’unità, elemento basilare della pace e dello sviluppo
Infine, il vescovo di Kasongo invita a pregare per l’unità della nazione, elemento basilare “della pace, dello sviluppo, del progresso e della felicità”, con l’auspicio che il Signore rafforzi “i legami di comunione e di fraternità” tra i fedeli, affinché essi siano “veri artigiani della pace e costruttori dell’amore nel Paese e nel mondo”. (A cura di Isabella Piro)
Burkina Faso: incontro dei lavoratori cristiani
“Costruire una società giusta, fraterna e duratura”: su questo tema si conclude oggi in Burkina Faso, l’incontro del Movimento mondiale dei lavoratori cristiani (Mmtc). Ospitato dalla città di Ouagadougou, l’evento vede la partecipazione di membri del Movimento provenienti, oltre che dal Burkina Faso stesso, anche da Benin, Costa d’Avorio, Cameroun, Ghana, Madagascar, Mali ed Uganda. L’obiettivo finale – informa una nota – è quello di “dare inizio ad una società nuova”.
Combattere l’indifferenza nei confronti degli emarginati
Ad aprire i lavori è stata una Santa Messa presieduta dall’arcivescovo della città, card. Philippe Ouédraogo, il quale, nella sua omelia, ha evidenziato come “il costruire una società giusta, fraterna e duratura rappresenti un sogno da realizzare insieme”. Per fare ciò, il porporato ha auspicato che il Movimento possa contribuire a “combattere l’indifferenza degli abbienti che non hanno più gli occhi ed il cuore per vedere, attorno a loro, le grandi sfide della miseria e della povertà”.
No a modello economico contrario ai diritti sociali
Tra gli interventi pronunciati nel corso dei lavori, quello di Timothée Ody, presidente del Coordinamento africano del Mmct: lamentando un mondo caratterizzato da “ingiustizia, individualismo ed egoismo”, Ody ha puntato il dito contro la politica “che ha perso il senso della giustizia” e contro “un modello economico contrario ai diritti sociali”, invocando quindi una società basata “sull’equità e sulla ricerca del bene comune”. Gli ha fatto eco Charo Castelló Alfaro, co-presidente del Mmct, che ha affermato: “Un nuovo mondo è possibile” se la società mette in atto “politiche eque per la ridistribuzione delle ricchezze economiche, sociali e culturali”.
Un Movimento presente in 79 Paesi del mondo
Ideato su iniziativa dei lavoratori di Germania, Austria, Belgio, Francia, Paesi Bassi e Svizzera, il Mmct è un’organizzazione che promuove la formazione, l’educazione e l’evangelizzazione, ispirandosi alla Dottrina sociale della Chiesa. Fondato ufficialmente a Roma nel 1966, in coincidenza del 75.mo anniversario della Rerum novarum, l’enciclica sociale siglata da Leone XIII, il Movimento si rivolge ad operai, disoccupati, lavorati precari, pensionati e casalinghe. Attualmente, è presente in 79 Paesi del mondo. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 226