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Sommario del 12/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: la festa è tempo sacro di Dio non dell'ingordigia del consumo

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Il momento della festa “è un prezioso regalo che Dio ha fatto alla famiglia umana”, che non va sprecato né ridotto a un “affare”. È il senso della catechesi del Papa all’udienza generale di oggi, in Aula Paolo VI, durante la quale Francesco ha invitato le famiglie a vivere la pausa domenicale con l’Eucaristia che trasfigura, ha detto, ogni momento della vita, anche doloroso. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La festa la inventò Dio quando si concesse una pausa per contemplare la bellezza di ciò che aveva appena creato. L’epoca del consumo più che contemplare preferisce monetizzare e così la pausa festiva diventa per tanti uno spazio vuoto da riempire di cose, possibilmente in vendita.

Contemplare un lavoro ben fatto
Un po’ come nel momento della Genesi, le parole del Papa dividono la luce di un momento, la festa, inventato da Dio e quindi “sacro”, dall’ombra di abitudini la cui genesi non è frutto di amore gratuito ma, afferma, dell’“ingordigia”. Il Creatore, ricorda Francesco alla folla, “benedisse il settimo giorno” e “ci insegna l’importanza di dedicare un tempo a contemplare e a godere di ciò che nel lavoro è stato ben fatto”, non solo in senso professionale ma anche nel senso di ogni “azione con cui noi uomini e donne – dice – possiamo collaborare all’opera creatrice di Dio”:

“Dunque la festa non è la pigrizia di starsene in poltrona, o l’ebbrezza di una sciocca evasione… No, La festa è anzitutto uno sguardo amorevole e grato sul lavoro ben fatto; festeggiamo un lavoro. Anche voi, novelli sposi, state festeggiando il lavoro di un bel tempo di fidanzamento: e questo è bello! E’ il tempo per guardare i figli, o i nipoti, che stanno crescendo, e pensare: che bello! E’ il tempo per guardare la nostra casa, gli amici che ospitiamo, la comunità che ci circonda, e pensare: che cosa buona!”.

"Signori" del lavoro, non schiavi
La festa, riconosce il Papa, può capitare in un momento doloroso e anche in quel caso, suggerisce, bisogna chiedere a Dio “di non svuotarla completamente”. Pure al lavoro, sostiene Francesco, è bene “’infiltrare’ qualche sprazzo di festa” – magari celebrando  tra colleghi un qualche anniversario: “Sono momenti di famigliarità nell’ingranaggio della macchina produttiva” che, afferma, fanno bene:

“Ma il vero tempo della festa sospende il lavoro professionale, ed è sacro, perché ricorda all’uomo e alla donna che sono fatti ad immagine di Dio, il quale non è schiavo del lavoro, ma Signore, e dunque anche noi non dobbiamo mai essere schiavi del lavoro, ma ‘signori’ (…) E invece sappiamo che ci sono milioni di uomini e donne e addirittura bambini schiavi del lavoro! In questo tempo ci sono schiavi! Sono sfruttati, schiavi del lavoro, e questo è contro Dio e contro la dignità della persona umana!”

Festa ridotta a consumo
Di più, incalza il Papa, “l’ossessione del profitto economico e l’efficientismo della tecnica mettono a rischio” gli stessi “ritmi umani della vita”, che finisce per snaturarsi con costi alti per la società:

“Il tempo del riposo, soprattutto quello domenicale, è destinato a noi perché possiamo godere di ciò che non si produce e non si consuma, non si compra e non si vende. E invece vediamo che l’ideologia del profitto e del consumo vuole mangiarsi anche la festa: anch’essa a volte viene ridotta a un ‘affare’, a un modo per fare soldi e per spenderli. Ma è per questo che lavoriamo? L’ingordigia del consumare, che comporta lo spreco, è un brutto virus che, tra l’altro, ci fa ritrovare alla fine più stanchi di prima. Nuoce al lavoro vero, e consuma la vita. I ritmi sregolati della festa fanno vittime, spesso giovani”.

Prezioso regalo alle famiglie
Invece, se si ha consapevolezza che “il tempo della festa è sacro perché Dio lo abita in un modo speciale” – se si vive l’Eucaristia domenicale che “porta alla festa tutta la grazia” di Gesù – allora famiglia e lavoro, gioie e fatiche quotidiane, anche la sofferenza e la morte vengono trasfigurati, conclude Francesco, da Cristo:

“La famiglia è dotata di una competenza straordinaria per capire, indirizzare e sostenere l’autentico valore del tempo della festa. Ma che belle sono le feste in famiglia, sono bellissime! E in particolare della domenica. Non è certo un caso se le feste in cui c'è posto per tutta la famiglia sono quelle che riescono meglio! (…) Dunque, la festa è un prezioso regalo di Dio; un prezioso regalo che Dio ha fatto alla famiglia umana: non roviniamolo”.

Al termine della catechesi, Papa Francesco ha rivolto un saluto particolare alle Suore di Santa Marta, impegnate nel Capitolo generale, ricordando una frase del loro fondatore, il Beato Tommaso Reggio: “La carità ha le ali ai piedi, volate là dove l’indigenza del più povero lo richiede”. E un secondo pensiero, tra gli altri, è stato per Santa Chiara d’Assisi, ieri festeggiata dalla Chiesa, indicata come “luminoso modello” soprattutto per i giovani.

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Parolin in Indonesia: dialogo interreligioso contro l'intolleranza

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha iniziato un viaggio in Asia, che lo porterà il 15 agosto a Timor Est per partecipare, come Legato pontificio, alle celebrazioni del quinto centenario dell’evangelizzazione del Paese. Ieri ha fatto tappa a Giacarta, capitale dell’Indonesia, dove ha incontrato il ministro degli Esteri, la signora Retno Marsudi, prima donna a capo della diplomazia del più grande Paese musulmano: l'86% dei suoi 240 milioni di abitanti è infatti di religione islamica.

Nel colloquio è stato affrontato in particolare il tema della convivenza tra i membri delle varie religioni. Il porporato ha manifestato la propria ammirazione per gli esempi di armonia interreligiosa offerti dal popolo indonesiano, nonostante alcune tensioni esistenti tra cristiani e musulmani. Il cardinale Parolin ha sottolineato l’importanza del rispetto reciproco e dell’accettazione delle differenze tra le varie fedi lanciando un appello a evitare ogni estremismo e intolleranza. Il dialogo interreligioso – ha detto Marsudi – è un buon modo per rafforzare le relazioni tra Indonesia e Santa Sede.

Al centro dei colloqui anche la cooperazione in campo culturale: con la Radio Vaticana, per la copertura delle celebrazioni pasquali dell’anno prossimo a Larantuka, nell’Isola di Flores, in collaborazione con la Radio di Stato indonesiana, e con i Musei Vaticani, che ospiteranno una mostra culturale indonesiana. Già l’anno scorso il Museo Etnologico vaticano aveva esposto oltre 200 manufatti provenienti dall’Indonesia in una mostra dal titolo significativo: “Indonesia, terra di armonia”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Mai schiavi del lavoro: all’udienza generale il Papa parla dell’importanza della festa.

I caduti della movida: in prima pagina, Lucetta Scaraffia su sballo e crisi della famiglia.

Giulia Galeotti sulla signora della lanterna: 13 agosto 1910 moriva a Londra Florence Nightingale.

Silvia Guidi su una bambina che amava declamare: esce il catalogo della mostra “Eva Peron in immagini”.

Un articolo di Sergio Massironi dal titolo “Per non dire c’era una volta l’oratorio”: sull’urgenza di rivalutare una realtà di grande valore umano e di formazione.

Gabriele Nicolò su Majakovsky, il poeta che visse due volte.

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Oggi in Primo Piano



La Cina svaluta lo yuan. Risposta negativa dei mercati

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In Cina, secondo giorno di svalutazione dello yuan. La moneta della Repubblica Popolare cala dell’1,62% dopo il taglio del 2% di ieri. La Banca centrale di Pechino tranquillizza i mercati, parlando di un aggiustamento momentaneo, ma le Borse europee e asiatiche sono di nuovo in rosso. Sugli effetti della svalutazione cinese, Giancarlo La Vella ha intervistato Luigi Campiglio, docente di Economia politica all’Università Cattolica di Milano: 

R. – L’effetto della svalutazione in sé non è così rilevante; tuttavia i mercati – correttamente – hanno interpretato questo sconto come un segnale delle difficoltà dell’economia cinese, non tanto per il diminuire del tasso di crescita, che è in diminuzione da almeno tre-quattro anni, ma per il superamento di una situazione che è obiettivamente di squilibrio, legata per analogia a quella degli Stati Uniti: cioè, l’esplosione di una bolla immobiliare che si è accompagnata a un’attività speculativa soprattutto e spesso da parte dei cinesi. E questo, in un momento in cui l’economia rallenta, crea un inevitabile squilibrio tra chi è debitore e chi è creditore.

D. – Di solito, chi svaluta cerca di trarre beneficio dall’aumento delle esportazioni: i propri prodotti costano meno all’estero…

R. – Questo sicuramente sarà comunque un beneficio per la Cina, perché migliorerà la posizione degli scambi con l’estero che recentemente, anche quella, in aggiunta alla diminuzione del tasso di crescita, è diventata problematica, per così dire. Però, ciò che spaventa i mercati – quello europeo in particolare – è il fatto che è vero che la Cina esporta più facilmente, ma le importazioni, al contrario, sono frenate.

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Immigrati. Dramma davanti alla Libia, a Kos ancora tensione

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Ancora una tragedia dell’immigrazione. Ieri, un barcone con 100 persone a bordo è naufragato vicino alle coste della Libia. Circa 50 sono stati salvati dall’intervento della Marina Militare italiana, intanto sull’isola greca di Kos, meta di un altro flusso di migranti, proseguono le tensioni. Massimiliano Menichetti

Speranza e orrore continuano a intrecciarsi nel Mar Mediterraneo dove corrono i flussi di migranti che scappano da guerra e persecuzioni. Migliaia di persone che fuggono da Africa, Siria, Iraq. La meta è un’Europa divisa da paure, respingimenti e chi lotta per accogliere. Una delle rotte più frequenti è quella che parte dalla Libia e ieri a 40 miglia dalla costa un’imbarcazione di fortuna è stata ingoiata, ancora una volta, dalle onde. L’intervento della Marina militare italiana ha salvato 50 persone, altrettante risultano tutt’ora disperse. E in queste ore è tensione anche a Kos, isola greca del Dodecaneso, a meno di un chilometro di Mare dalla Turchia. Qui arrivano ogni giorno, anche oggi, decine di profughi. La polizia ha rafforzato gli agenti, il sindaco parla di “situazione al collasso”. Ieri, si sono registrati scontri tra le persone ammassate in luoghi di fortuna e agenti di pubblica sicurezza. Ai nostri microfoni, Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati:

R. – Vediamo che tutti gli sforzi che sono stati fatti prima da parte dell’Italia con l’operazione "Mare Nostrum", e poi da parte dell’Unione Europea con l’operazione "Triton", non hanno potuto e non possono evitare, specie nelle acque libiche, che si consumino costantemente nuove tragedie. Finché non si apriranno veramente delle possibilità per le persone di arrivare in Europa in modo protetto – regolare, normale – ci troveremo di fronte a vittime, come dimostra questa nuova tragedia avvenuta nelle acque libiche.

D. – Un altro flusso è quello che dalla Turchia passa per le isole greche, in particolare a Kos, dov’è fortissima la tensione…

R. – C’è tensione a Kos, ma anche in altre isole vicino alla costa turca – ormai da mesi fortemente interessate da questa rotta, che non è nuova, ma si è molto accentuata negli ultimi tempi. Per la prima volta, il numero totale di arrivi di migranti via mare in Grecia ha superato il numero degli arrivi in Italia. L’emergenza vera si è spostata verso il Mediterraneo orientale. Ciò che è successo, e che succede ancora a Kos, mi sembra emblematico e deve portare a una immediata assunzione di responsabilità da parte dell’Unione Europea. L’Ue deve dare delle garanzie affinché queste persone vengano, almeno in parte, immediatamente trasferite verso altre destinazioni.

D. – In tutto questo contesto c’è la questione delle quote: a luglio si è raggiunto l’accordo per una pur minima ripartizione, ma ancora nulla è partito...

R. – Bisogna accelerare i tempi e anche istituire dei meccanismi. Ad esempio, sono necessari dei colloqui con chi arriva per capire dove si trovano i parenti e amici di queste persone in Europa e dove possono o vogliono andare. Se la distribuzione avviene solo sulla base di numeri e quote, l’accordo non potrà funzionare perché le persone andranno comunque dove qualcuno dei loro cari li aspetta: questo è naturale. Quindi, la questione non è solamente quella di creare un meccanismo giuridico di distribuzione, ma è di istituire ad esempio un servizio specifico sulle isole greche, come anche sulle coste italiane, cosicché questa operazione possa avere successo e non tardare. I tempi dell’Unione Europea sono veramente dei tempi incredibili...

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Nuovi sbarchi, Caritas Agrigento: il pericolo è l'indifferenza

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Oltre 200 migranti sono sbarcati oggi a Pozzallo, in provincia di Ragusa, mentre 417 persone sono giunte a Reggio Calabria, tra loro decine di minori e tre donne in stato di gravidanza. I profughi proverrebbero da Eritrea, Sudan, Siria e Etiopia. In prima linea nell’aiuto ci sono le varie Caritas diocesane, tra le quali quella di Agrigento, impegnata dal primo luglio nel progetto “Yes we host - Un rifugiato a casa mia”, grazie al sostegno di Caritas Germania. Al modello di accoglienza dei grandi centri per rifugiati, si offre l’alternativa di una accoglienza micro-diffusa: sono le famiglie della diocesi ad accogliere per 5-10 mesi richiedenti asilo e rifugiati già passati attraverso i circuiti Caritas o Sprar. A Valerio Landri, direttore di Caritas Agrigento, Francesca Sabatinelli ha chiesto quale sia il significato di questo progetto: 

R. – Innanzitutto, quello di offrire un’accoglienza familiare a un rifugiato che, anziché trovarsi all’interno di una struttura con altre decine di persone, si trova in una dimensione familiare che ha perduto partendo dal proprio Paese. Il secondo obiettivo è quello di coinvolgere le famiglie della nostra Chiesa in un percorso di accoglienza reale. Terzo, quello di fare in modo che la presenza del migrante all’interno della famiglia abbia una ricaduta pastorale per la comunità parrocchiale e la comunità diocesana.

D. – Che risposta c’è stata da parte delle famiglie?

R. – Laddove il progetto è già partito negli anni precedenti ha avuto buone risposte. Quindi, si sono trovate le famiglie, anche se con grandi difficoltà, perché chiaramente accogliere una persona all’interno di una dimensione domestica non è certamente facile, richiede coraggio. Per quanto ci riguarda, in questi due mesi abbiamo già iniziato a incontrare delle famiglie che si sono dette interessate al progetto. Il mese di agosto ci servirà per definire le famiglie da coinvolgere, per individuare e definire meglio il target dei rifugiati da coinvolgere nel progetto, che è aperto a tutti.

D. – Che cosa significa accogliere le persone che arrivano dal mare? Il compito della Caritas come si esprime?

R. – Il compito della Caritas in questo contesto, un contesto di frontiera, è un compito di supporto alle istituzioni, ma è soprattutto molto concentrato sull’attività di integrazione. In generale, l’accoglienza del migrante è istituzionalizzata, anche se in particolar modo lo è nei luoghi di frontiera. Quindi, se ne occupa il governo attraverso anche le comunità, gli enti, che sono convenzionati per l’accoglienza. La Caritas di Agrigento, per sua scelta, non ha alcuna convenzione, quindi non si occupa di accoglienza, né a Lampedusa né sul territorio diocesano, ma grazie alla presenza di altre realtà che svolgono questo compito, la Caritas di Agrigento, attraverso la sua Fondazione ‘Mondo Altro’, si occupa di tutte le attività di integrazione. Accogliere, infatti, significa non solamente dare un posto dove dormire e qualcosa da mangiare, ma serve soprattutto ad accompagnare il migrante in quel percorso di inserimento sociale che effettivamente gli consente di ricominciare una nuova vita in Italia. Le soddisfazioni stanno nel vedere pian piano riattivarsi il migrante, che arriva con un carico di esperienze negative, con dei traumi da risolvere. Riuscire a seguirli nelle attività di alfabetizzazione, riuscire a seguire i bambini con la ludoteca multietnica o seguire le attività interculturali con i giovani migranti ci consente di vedere come con il passare del tempo queste persone, acquisendo competenze linguistiche, riuscendo a trovare un lavoro, si riattivano e ricominciano a prendere in mano la propria vita. Questo, per noi, evidentemente è fonte di grandissima soddisfazione.

D. – In un clima politico e sociale come quello che ormai si vive da mesi in Italia e non solo, Kos ne è un esempio, quanto è difficile lavorare per voi?

R. – La situazione non è semplice. Il tutto è anche aggravato da una crisi economica che ormai ha ridotto davvero in ginocchio la popolazione italiana. C’è una situazione di tensione sociale molto forte, che è incrementata dalla consapevolezza ormai chiara che mancano delle politiche di lungo termine, di lungo periodo, che possano aiutare a risolvere le problematiche locali. Da qui, si evidenzia anche la speculazione sul mondo dell’immigrazione. Son d’accordo quando si denunciano le speculazioni in riferimento ai migranti, perché oggettivamente ci sono, ma che la Chiesa non faccia nulla chiaramente non è da sostenere, perché non è così, perché le comunità – noi ne siamo una dimostrazione nel nostro piccolo – sono attive. Se i migranti riescono a essere accolti nelle nostre comunità è grazie al fatto che le Chiese, attraverso i cristiani, ma attraverso anche le istituzioni ecclesiali, sono attive e sono disposte ad avviare dei percorsi di accoglienza concreti anche senza, come stiamo facendo noi per esempio, avere nessun ritorno economico.

D. – Proprio a causa di questa crisi, di queste difficoltà, avete notato un sottrarsi da parte degli appartenenti alla vostra comunità, o la presenza è sempre la stessa?

R. – Sinceramente, gli ultimi tempi hanno registrato un aumento di insofferenza anche da parte di chi appartiene alla Chiesa. Le paure cominciano a crescere, anche i mezzi di comunicazione stanno facendo una fortissima campagna del terrore. Si sta generando quindi nella comunità, anche nei cristiani, anche ad Agrigento, una tendenza quantomeno alla insofferenza, chiamiamola così, che soprattutto nasce dalla paura del futuro. Ci si pongono domande: cosa sarà domani? Dove stiamo arrivando? Sono davvero così tanti i migranti che vogliono arrivare sul nostro territorio? Con quali intenzioni? Tutto questo rende molto difficile il nostro lavoro.

D. – Come cercate di ovviare a questo?

R. – Chiedendo ai migranti che frequentano i nostri centri di aiutarci con le loro testimonianze, con gli incontri. Proviamo un po’ a chiedere loro le motivazioni delle migrazioni, a raccontarci il loro percorso, a capire come loro vedono le migrazioni. E oggettivamente ci rendiamo conto che questo livello di incontro aiuta a comprendere le ragioni, aiuta anche ad un’empatia che serve per costruire relazioni significative.

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Yemen, Msf: emergenza umanitaria nel silenzio internazionale

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Sempre più preoccupante l’emergenza umanitaria in Yemen, teatro di scontri interni tra i ribelli sciiti Houti e le forze supportate dai raid della coalizione a guida saudita. La denuncia arriva da Medici senza frontiere, secondo cui, nelle città coinvolte dai combattimenti scarseggiano cibo, acqua e carburante ed è la popolazione civile a pagare le conseguenze del violento conflitto in atto e delle violazioni al diritto internazionale umanitario. Per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), dall’inizio dei raid, a marzo, le vittime della guerra in Yemen sono state oltre 4300, un milione e 300 mila gli sfollati ai confini, mentre mancano acqua, cibo e medicinali nelle città colpite dagli scontri. Poche anche l’attenzione e le donazioni internazionali per far fronte all’emergenza. Elvira Ragosta ha raccolto la testimonianza della dottoressa Lamia Bézer, di Medici senza frontiere (Msf), rientrata in Italia da pochi giorni: 

R. – Non solo quello di Msf, ma anche gli altri ospedali sono stati invasi da feriti, che non erano solo combattenti, ma erano anche civili, donne, bambini e anziani. È un conflitto che è ancora in corso – la guerra non è finita – ed è passato silente nella comunità internazionale.

D. – Quanti sono stati i feriti che avete curato?

R. – Dall’inizio del conflitto, da metà marzo, almeno nell’ospedale di Aden, quasi 7.000 feriti.

D. – Com’è la situazione invece nelle altre città colpite dagli scontri e dai bombardamenti?

R. – Il conflitto si estende a tutto il Paese. Msf è presente non solo ad Aden, ma anche in diverse postazioni, sial sud che nel nord. Supportiamo ospedali e abbiamo anche cliniche mobili per raggiungere la popolazione che ha difficoltà di accesso alle strutture sanitarie.

D. – Per quanto riguarda l’emergenza sanitaria, quali sono le testimonianze dei civili che avete curato nel corso di questi tre mesi ad Aden?

R. – La popolazione è disperata, è in ginocchio. Il conflitto ha fatto sì che le persone venissero separate dalle loro famiglie: molte di loro hanno perso la casa, hanno difficoltà a reperire acqua, l’elettricità è un’illusione, hanno difficoltà a reperire il cibo che è carissimo. Ed è molto difficile spiegare ai pazienti che erano pronti per essere mandati a casa, perché – ovviamente – si sentivano al sicuro all’interno dell’ospedale. E al momento delle dimissioni tanti pazienti sono poi rimasti più o meno legati all’ospedale: alcuni addirittura dormivano all’interno del giardino dell’ospedale, perché sapevano di essere protetti e che tutto sommato era più facile così reperire del cibo.

D. – La mancanza di cibo, di acqua, di rifornimenti medici, di carburante, soprattutto in una città portuale quale quella di Aden, sono il risultato degli scontri, dei bombardamenti e anche dell’embargo. Come reperire anche i fondi internazionali per aiutare la popolazione?

R. – Tutto dipende da quanta attenzione c’è su questo tipo di conflitti. Fino adesso, la cosa più devastante è che questo è un conflitto silenzioso... E finché la comunità internazionale non inizierà a porre l’accento su questa guerra devastante che è in corso ad Aden, di sicuro i fondi non arriveranno.

D. – Nel corso di questi tre mesi, ci sono state delle tregue umanitarie che molte volte sono state non rispettate. Durante questi tentativi, c’è stata la possibilità di effettuare dei rifornimenti?

R. – C’è stata la possibilità di avere qualche rifornimento, ma non abbastanza per le esigenze che c’erano.

D. – Dal punto di vista medico, quali sono le necessità più urgenti in questo momento?

R. – Il sistema sanitario è completamente collassato! Quindi, si parla di assistenza sanitaria di base, ospedali che curano malattie quali la malaria, la malnutrizione, e c’è la necessità di fornire cure ai feriti di guerra, ma anche esigenze legate all’ostetricia – quindi donne incinte – che veramente hanno pochissimo accesso alle cure e risorse.

D. – Lei che cosa si porta dietro da questa esperienza?

R. – È stata un’esperienza che ha lasciato un segno grosso non solo a me, ma anche a tutti quelli che erano con me. Se c’era la credenza stupida che la guerra colpisse prevalentemente i soldati che la combattono, questo è assolutamente falso. Io ho visto cose che nella vita non si dovrebbero vedere… E vedere con i tuoi occhi ti fa rendere conto di quanto la guerra sia una catastrofe, e quanto provochi una emergenza umanitaria di proporzioni inaspettate.

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Libia: si cerca un accordo mentre Al Thani potrebbe dimettersi

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Il primo ministro libico, Mohammed Al-Thani, rappresentante del governo legittimo di Tobruk ha annunciato le proprie dimissioni in diretta tv, rispondendo così a chi criticava la mancanza di sicurezza nel Paese nordafricano. La decisione è stata poi smentita dal portavoce del premier, ma sottolinea il momento di incertezza che sta vivendo la Libia, divisa tra due governi e molti gruppi armati, alcuni riconducibili al cosiddetto Stato islamico. Michele Raviart ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all'Università Cattolica di Milano: 

R. – La situazione in Libia è molto confusa. Esistono, in questo momento, due governi: uno è quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale perché è il governo che esce dalle nuove elezioni – elezioni che hanno visto una sconfitta dei partiti islamisti che hanno rifiutato di riconoscere il nuovo parlamento e il nuovo governo e hanno richiamato il vecchio parlamento. Il governo legittimo ha dovuto abbandonare Tripoli per questioni di insicurezza e si è insediato a Tobruk. Ma in realtà, non è neppure esatto direi che esistono due governi e due parlamenti che controllano il Paese, perché di fatto nessuno, in questo momento, controlla la Libia.

D. – Intanto oggi, a Ginevra, c’è il secondo giorno degli ulteriori colloqui sotto l’egida Onu per un governo di unità nazionale. Lo scorso mese c’era stato un accordo al quale non ha partecipato il governo di Tripoli, che questa volta parteciperà. Quali sono le posizioni di Tripoli e che cosa è legittimo aspettarsi da questo round di negoziati?

R. – Che in realtà non vi sono grandi differenze ideologiche sul governo di unità nazionale. L’Onu, con lo spagnolo Bernardino León, tenta ormai da un anno di mettere assieme le varie postazioni e gruppi libici, soprattutto per controbattere i jihadisti, la presenza sia di al Qaeda sia dello Stato Islamico, che è crescente. Vi sono però ostilità personali e lotte per il potere personale, ostilità tribali… Tripoli ha sempre partecipato ai negoziati: si era arrivati molto vicini a un accordo, poi anche per differenze interne si è andati a una rottura con i mediatori. Oggi si tenta di ricucire, dopo un accordo che coinvolge, al momento, le potenti milizie di Misurata, considerate più vicine agli islamisti, e il governo di Tobruk. Ma un’unità nazionale senza il governo di Tripoli è veramente solo un accordo di facciata, che non riuscirebbe a risolvere la questione.

D. – Abbiamo parlato della presenza di gruppi estremisti e soprattutto del sedicente Stato islamico: qual è la situazione dopo che l'Is aveva anche perso la città di Derna, che era anche la sua roccaforte?

R. – L’adesione ad al Qaeda allo Stato islamico avviene soprattutto da parte di milizie locali, di combattenti che spesso si muovono per interessi personali. A differenza dell’Iraq o della Siria, qui la popolazione è poca ma soprattutto vi è ancora una banca centrale molto ricca che dispensa e distribuisce rendite finanziarie un po’ a tutti, che da un lato evita il collasso definitivo e l’anarchia definitiva del sistema, ma dall’altro facilita i tatticismi. Lo jihadismo è una minaccia per tutti i gruppi libici, che non si mettono d’accordo perché preferiscono ancora il tatticismo estremo, la demonizzazione dell’altro, piuttosto che un compromesso politico che favorisca una lotta contro lo jihadismo.

D. – Qualora si riuscisse a trovare un accordo, e questo riuscisse a entrare in vigore a settembre, quali sarebbero poi i passi ulteriori per ricostruire questo Stato libico?

R. – Dubito che a settembre vi sia l’implementazione vera di questo accordo. Se anche si arriverà a questo accordo che coinvolga Tripoli, si rischia di avere un accordo solo di facciata, perché poi bisogna mettersi d’accordo soprattutto sui nomi. Finché non vi sarà un accordo che gratifichi le ambizioni dei singoli, non vi sarà un accordo. Dovesse esserci questo accordo, bisognerà lavorare con la comunità internazionale per far ripartire la ricostruzione da un lato, che è fondamentale; e dall’altro, una lotta più serrata contro i jihadisti.

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Mons. Angiuli: no a trivelle in Puglia, Sud non è pattumiera

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Cresce la protesta in Puglia per il progetto governativo di trivellare il mare in cerca di petrolio, lungo le coste ad alta densità turistica. Si tratta di una mobilitazione che unisce le realtà locali della politica, della società e della Chiesa. Luca Collodi ha sentito il vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli

R.  - Noto come a livello ecclesiale e civile ci sia un risveglio della coscienza  e il desiderio di portare il proprio contributo alla soluzione di questi problemi. Porto un piccolo esempio: tutti i vescovi del Sud Salento, da Lecce in giù, hanno diramato un documento, letto in tutte le parrocchie e divenuto oggetto di riflessione da parte di tutto il popolo di Dio presente nel nostro territorio. Ciò ha suscitato una manifestazione comune; abbiamo fatto, insieme a tutti i vescovi e i rappresentanti delle associazioni, un momento di preghiera per fare poi un percorso fino a Leuca. Da questo sono nate tante altre iniziative. Quello che è importante sottolineare è la presa di coscienza anche dei sindaci dei nostri territori e delle Istituzioni regionali.

D. - Il governo cerca di fare cassa con il petrolio, forse senza valutare il rischio ambientale che deriva dalla presenza delle trivelle sul territorio…

R. - Il problema  è innanzitutto di politica generale; una politica energetica di carattere generale, perché anche il governo più volte ha sostenuto che la politica portata avanti fino ad oggi deve essere assolutamente cambiata e che bisogna cercare altre fonti energetiche.  Quindi c’è una questione di carattere strategico che riguarda l’impostazione di questa politica. Per quanto riguarda il problema più specifico, quello delle trivelle, pare sia acclarato che da noi ci sia poco petrolio, oltretutto di scarso valore. Non si vede quindi il motivo di  impegnare questo nostro territorio,  che si fonda sul turismo  e non si capisce perché si debba deturparlo senza poi avere dei vantaggi,  perché non ce ne sarà nessuno di carattere economico. La scelta non sembra quindi razionale. Questo è il punto fondamentale. Certo, non risulta comprensibile perché si debba dare addirittura a sette multinazionali il compito di portare avanti delle ricerche che non porteranno alcun vantaggio economico ma che sicuramente deturperanno il territorio. Se si tiene conto che l’unica risorsa del Meridione e del Sud Salento è il turismo, vuol dire che si aggiunge danno a danno; se poi si pensa che abbiamo già il grave problema della Xylella ancora non risolto, non so come si possa prevedere qualcosa del genere. Poi c’è tutto il problema dell’Ilva a Taranto… Insomma il Sud non può diventare una pattumiera con tutti questi problemi. Non si può aggiungere problema a problema. Non si vede il motivo per cui con i problemi che già abbiamo, si debba intervenire anche nel mare, tanto più che non ci sarà nessun guadagno dal punto di vista economico.

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Schio, al via il 24.mo Meeting Internazionale dei Giovani

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Centinaia di ragazze e ragazzi giungeranno oggi a San Martino di Schio, in provincia di Vicenza, per partecipare al Meeting internazionale dei giovani, giunto alla 22.ma edizione. L’incontro, promosso dal Movimento Mariano Regina dell’Amore, prenderà il via nella mattina di domani per concludersi domenica prossima. Un calendario ricco, che alterna momenti di preghiera e riflessione con interventi musicali, sotto il segno della vita comunitaria. Giacomo Zandonini ne ha parlato con Mirco Agerde, vicepresidente dell’Associazione Opera dell’Amore: 

R. – Il Meeting ha una storia ormai pluridecennale. E’ nato per festeggiare prima di tutto Maria Assunta in cielo – infatti, lo facciamo sempre a cavallo dell’Assunta – e naturalmente per riunire i giovani. L’idea portante è stata quella delle Gmg di Giovanni Paolo II, che ha appunto avuto la grande intuizione di riunire i giovani. E noi abbiamo pensato di lanciare ogni anno questa proposta per tutti quei giovani che vogliono fare un’esperienza di spiritualità cristiana nei nostri luoghi di San Martino. Il tema scelto quest’anno è “Tutti tuoi o Maria, Madre delle Vocazioni”. Perché questo titolo? Perché Papa Francesco ha dedicato il 2015 alla vita consacrata, che è un tema diretto soprattutto ai più giovani, i quali ovviamente sentono nel loro cuore la chiamata del Signore.

D. – Quanti giovani parteciperanno a questo Meeting? Da che Paesi arrivano?

R. – Noi ne aspettiamo più di qualche centinaio provenienti sicuramente dall’Italia, dalla Germania, dall’Austria e quest’anno anche un bel gruppetto dal Belgio.

D. – La vostra proposta parte da un aspetto di vita comunitaria di condivisione che è al centro di queste cinque giornate di Meeting. Come si declina questo elemento, per voi è storicamente importante?

R. – Vogliamo creare un collegamento con la vita consacrata, cioè portare i giovani a conoscere meglio e ad approfondire un legame con i sacerdoti, con la vita comunitaria che già è presente anche nella nostra realtà, in modo da creare appunto un collegamento, un dialogo aperto tra la vita consacrata stessa – quindi i sacerdoti, i religiosi e così via – e i giovani. Questo attraverso le confessioni, prima di tutto, perché credo che sia lì il punto più importante in cui un giovane apre il cuore davanti a Dio, attraverso il ministero sacerdotale, ma anche nel vederli condividere un momento di convivialità durante i pasti, le cene… Tra l’altro, uno dei nostri ospiti eminenti di quest’anno sarà il vescovo mons. Luigi Negri, che dialogherà a tu per tu con i giovani presenti in un momento di convivialità.

D. – Siete immersi in una zona molto bella, vicina alle Piccole Dolomiti, in un territorio che ha molto da dare anche dal punto di vista della natura e che per voi ha un significato importante. Farete conoscere anche questo territorio?

R. – La maggior parte dei contenuti si svolgerà ovviamente nel palatenda, dove avrà luogo il Meeting. Ogni giorno, però, abbiamo previsto la possibilità di una visita guidata a tutti i luoghi del nostro movimento – la piccola chiesetta di San Martino, il cenacolo di preghiera, la Via Crucis – non tanto per vedere piante e fiori, cose molto belle, ma perché attraverso la natura ci possa essere proprio questo richiamo alla creazione, quindi al Creatore.

D. – Il Meeting si concluderà con un ampio spazio dedicato alla musica. Da dove viene questa vostra passione, questo interesse per la musica e questo coinvolgimento quindi dei giovani in proposte musicali di diverso tipo?

R. – Fa parte un po’ del nostro carisma, del carisma del nostro movimento, cercare di contribuire con spirito mariano alla nuova evangelizzazione di cui gli ultimi Pontefici ci hanno parlato moltissimo. L’evangelizzazione è fatta in vari modi. Si può farla attraverso la predicazione, attraverso la catechesi e la si può fare attraverso soprattutto la testimonianza della vita e anche attraverso la musica. Ecco allora che ormai da parecchie edizioni del nostro Meeting abbiamo sempre uno spazio riservato alla musica. Come sempre però la musica, in questo caso, è un mezzo per riportarci alla musica celeste. Quest’anno, poi, abbiamo questo ospite speciale che è fra Alessandro di Assisi, che viene chiamato non a caso il "tenore di Assisi", e accanto a lui un’orchestra di più di 20 elementi, che presenterà un nuovo Cd che si ispira proprio ai nostri luoghi di San Martino di Schio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiesa Colombia: gravi conseguenze da sfruttamento risorse naturali

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Lo sfruttamento delle risorse naturali nella zona di Antioquia e Chocó, in Colombia, sta avendo “gravi conseguenze” e sta minacciando “l’ambiente, la dignità della persona e la convivenza sociale”: questo l’allarme lanciato dai vescovi della regione, in una nota diffusa in questi giorni.

Coinvolgere maggiormente la popolazione locale nei processi decisionali
Nel lungo documento, i presuli sottolineano che, anche se lo sfruttamento minerario, in molti casi, avviene secondo la legge, tuttavia esso dovrebbe coinvolgere maggiormente la comunità locale, perché ne va dell’economia della popolazione. “In alcuni casi – si legge nella nota – in cui il risultato dello sfruttamento minerario è devastante, ma rispettoso della normativa, le popolazioni locali potrebbero decidere sulla destinazione economica del loro territorio, manifestando, ad esempio tramite un referendum, la loro contrarietà alle attività di estrazione”.

No alla distruzione dell’ambiente
“Questo è un modo – proseguono i vescovi - in cui i cittadini possono partecipare consapevolmente ed attivamente al processo decisionale su questioni che riguardano la qualità della loro vita o che mirano a tutelare il territorio da pratiche che contaminano le acque, uccidono la biodiversità, danneggiano l’agricoltura, insomma: distruggono l'ambiente".

Guardare al bene comune di tutto il Paese
Lanciando, quindi, un appello al governo nazionale ed al Congresso della Repubblica affinché vengano revisionati la legislazione mineraria ed i trattati sul libero commercio, i vescovi colombiani auspicano che si guardi non solo al “guadagno immediato”, bensì anche “alla necessità del bene comune di tutto Paese”. Ciò che occorre “urgentemente”, sottolineano ancora i presuli, è che “la politica e l’economia, in dialogo tra loro, si pongano decisamente al servizio della vita, soprattutto della vita umana”.

Lo Stato regolamenti il settore minerario
Di qui, l’invito alle autorità statali responsabili dell’ambiente affinché “lavorino in accordo”, assumendosi “l’impegno urgente di organizzare e regolamentare le miniere”, in particolare quelle che hanno a che vedere con le risorse idriche e forestali. Il documento è firmato dai vescovi delle arcidiocesi di Medellín e Santa Fe de Antioquia, e dalle diocesi di Girardota, Sonsón-Rionegro, Santa Rosa de Osos, Quibdó, Itsmina-Tadó, Jericó, Caldas, (I.P.)

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Malawi. I vescovi: Paese minacciato da deforestazione

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Una nuova agenda politica per la lotta ai cambiamenti climatici e un impegno da parte di tutti i malawiani per la protezione e conservazione del Creato. E’ quanto ha chiesto il presidente dei vescovi Malawi, mons. Thomas Luke Msusa, alla presentazione ufficiale nel Paese dell’Enciclica “Laudato sì”. All’evento, svoltosi nei giorni scorsi nella capitale Lilongwe, era presente, tra gli altri, il Ministro delle risorse naturali, dell’energia e delle miniere Bright Msaka. 

Custodire le risorse naturali per le generazioni future
Nella sua Enciclica “Papa Francesco ci chiama a custodire le nostre risorse naturali e tutto quello che Dio ha creato. Ci chiede di essere responsabili e di pensare ai cambiamenti climatici che sono oggi una realtà e che dobbiamo controllare”, ha detto l’arcivescovo di Blantyre, evidenziando come anche il Malawi sia oggi minacciato dalla deforestazione. Il presule ha quindi esortato il Governo ad adottare al più presto misure per fermare la distruzione dell’ambiente che contribuisce ai cambiamenti climatici. Ha inoltre invitato tutti i malawiani a custodire le loro risorse naturali, “perché anche le future generazioni possano godere di quanto Dio ha creato”.

L’impegno del governo
Il Ministro Msaka ha espresso, da parte sua, grande apprezzamento per l’Enciclica papale e ha assicurato l’intenzione dell’Esecutivo di presentare a breve in Parlamento un piano di interventi contro i cambiamenti climatici. (L.Z.)

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Sud Sudan, vescovo Giuba: guerra finisca, in gioco vita del Paese

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Una nuova iniziativa di pace per il Sud Sudan, sconvolto dal dicembre 2013 dalla guerra civile tra il presidente Salva Kiir e l’ex vicepresidente Riek Machar: a lanciarla è il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan (Sscc), di cui fa parte la Chiesa cattolica. Al lancio dell’iniziativa, avvenuto l’8 agosto a Juba, erano presenti anche rappresentanti del Consiglio islamico di Juba, di diverse ong, della comunità internazionale, del governo e della stampa.

Premere per l’immediata cessazione dei combattimenti
L’idea è scaturita da un incontro del Consiglio svoltosi  lo scorso mese di giugno, a Kigali, in Rwanda, in cui i leader delle Chiese cristiane sudanesi avevano rivolto un accorato appello a porre immediatamente fine “all’insensato” conflitto innescato dai combattimenti tra le truppe governative ed i ribelli dell’ex vicepresidente Riek Machar, a poco più di due anni dall’indipendenza del Sud Sudan. Il piano di azione delle Chiese sud-sudanesi seguirà essenzialmente tre direttrici: l’advocacy, ossia azioni di pressione per perorare la causa della pace presso la popolazione, il governo sud-sudanese e le altre istituzioni;  la creazione di un forum neutrale per mediare tra le parti in conflitto e la riconciliazione.

Si firmi l’accordo di pace dell’Igad
Sul primo punto, l’Sscc ha rilanciato a fine luglio un nuovo pressante appello a firmare il testo dell’accordo di pace presentato dall’Igad (l’organismo regionale per lo sviluppo dei Paesi dell’Africa orientale) ad Addis Abeba, dove i leader delle due fazioni sono riuniti per un nuovo round di negoziati. Il piano concede al governo di Kiir il 53% dell’esecutivo a livello nazionale e a Machar il 33%, mentre ad altri partiti politici viene dato il restante 7%. I ribelli controlleranno il 53% dei governi locali degli Stati di Jonglei, Unity e Alto Nilo (con il 33% a Kiir e il 7% agli altri partiti).

Mons. Paulino Lukudu Loro: questa guerra deve finire!
Senza entrare nel merito dei contenuti dell’accordo proposto, le Chiese cristiane sudanesi sottolineano che la cosa più importante è firmarlo per consentire il cessate-il-fuoco e aprire così la strada ad una pace duratura. “Il popolo del Sud Sudan ha già sofferto abbastanza, troppo è troppo”, ha dichiarato il segretario del Sscc padre James Oyet.  “Questa guerra deve finire e l’accordo deve essere firmato perché è in gioco la vita” del Paese, ha rincarato, da parte sua, l’arcivescovo cattolico di Giuba, mons. Paulino Lukudu Loro, al termine della presentazione dell’iniziativa del Sscc, esortando tutte le persone di fede a collaborare per riportare la pace nella nazione.

La Chiesa accanto del popolo sud-sudanese vittima del conflitto
L’iniziativa di pace del Sscc è solo l’ultima di una serie di interventi delle Chiese cristiane in Sud Sudan per uscire dalla crisi ed a favore delle popolazioni vittime della nuova guerra. Come evidenziato da padre Oyet, “la Chiesa è l’unica istituzione che gode della fiducia della gente e che riesce a raggiungere tutte le comunità, anche nelle aree più pericolose e insicure in cui sono in atto i combattimenti”. (L.Z.)

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Vescovi Ghana: Africa resista a cultura morte e tuteli famiglia

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La Chiesa in Ghana continuerà a resistere agli “insistenti e deleteri tentativi da parte di ricchi filantropi, Paesi donatori e organizzazioni internazionali di imporre il controllo demografico all’Africa con il pretesto del diritto alla salute sessuale e riproduttiva”. È quanto si legge nel comunicato conclusivo del convegno “Promuovere i valori della vita e della famiglia di fronte all’attuale cultura della morte” che la Conferenza episcopale del Paese ha organizzato il 7 e 8 agosto nella capitale, Accra.

Vita e famiglia in Africa minacciati dalla “cultura della morte”
Due giorni di riflessioni e dibattiti, ai quali è intervenuto anche il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della pace,  per ribadire la santità della vita dal concepimento alla morte naturale e i valori della famiglia e del matrimonio quale unione indissolubile tra un uomo e una donna, aperta alla vita. Valori oggi minacciati anche in Africa - come recita il titolo del convegno - dalla “cultura della morte”, a causa del propagarsi dell’aborto, dei metodi contraccettivi, e dell’influenza dei nuovi modelli di matrimonio e famiglia in voga in altri Paesi che – sottolinea il comunicato dei vescovi - sono “in contrasto con il disegno di Dio e minano l’integrità della persona umana e dell’istituto familiare”.

L’Africa resista alla tentazione di imitare l’esempio negativo di altri Paesi
E sul pericolo dell’influenza negativa dei Paesi occidentali si è soffermato l’intervento del presidente della Commissione episcopale per la salute, mons. Joseph Afrifah-Agyekum, che ha sottolineato l’urgenza di reagire a queste tendenze. “I ghaniani e gli africani devono resistere alla tentazione di imitare altre nazioni, traendo lezione dalle conseguenze della deriva morale dell’Occidente”, ha ammonito il presule. “In Ghana e in Africa abbiamo la missione di promuovere la vita nel mondo: non possiamo sottrarci o rigettare la Parola di Dio”. 

Al termine del convegno, una marcia per la vita ad Accra
Altri interventi hanno approfondito diversi argomenti: dalla pianificazione familiare naturale, alla sessualità responsabile, all’imposizione della rivoluzione sessuale in Africa, alle strategie per promuovere la cultura della vita  nel continente. Il convegno si è concluso con una marcia pro-vita nelle strade di Accra alla quale hanno partecipato un migliaio di fedeli, religiosi, vescovi e sacerdoti. (L.Z.)

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Portogallo. Appello dei vescovi: la Chiesa non ha frontiere

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“Abbandonare paura, egoismo, ostilità e indifferenza, tutti atteggiamenti che rinchiudono le persone nel proprio benessere e le allontanano dalla possibilità di condividere con coloro che sembrano differenti”. Questo l’invito dell’Opera cattolica portoghese delle migrazioni a tutte le diocesi e comunità cattoliche del Paese per celebrare, dal 9 al 16 agosto, la 43.ma Settimana delle migrazioni, ispirata al tema “Chiesa senza frontiere: siamo un solo corpo”.

Apertura e fratellanza verso i migranti
Nel messaggio diffuso per l’evento, la Commissione episcopale per la Pastorale sociale e la mobilità umana, a capo dell’Opera per le migrazioni, ricorda la condizione della Chiesa come “porta aperta al mondo” e quindi “senza frontiere”. La nota sottolinea che, essendo un corpo ecclesiale “composto da diversi membri” uniti in “uno solo”, è di vitale importanza che i cristiani possano, come ha fatto Cristo, guardare "il volto dei migranti e dei rifugiati", di coloro che oggi “cercano fuori dal loro Paese alternative alla disoccupazione, alla povertà e alla guerra, e avere verso ognuna di queste persone un gesto di apertura e di fratellanza".

Sfidare governi a trovare soluzioni attraverso dialogo e cooperazione
Quest’anno, la Settimana nazionale delle migrazioni invita tutta la comunità cattolica portoghese ad "immergersi nelle proprie radici" ed a "riscoprire un’identità cristiana" nella sequela di Gesù. Il messaggio sottolinea che la “Chiesa è pellegrina anche attraverso i suoi figli che partono per il mondo, in un’avventura profetica di denuncia di ingiustizie, conflitti e corruzione” e che ricorda la centralità della dignità della persona umana e del destino universale dei beni della terra. La nota episcopale esorta, dunque, a “proseguire nell’impegno di invitare i governanti, le nazioni e le istituzioni affinché intraprendano il cammino del dialogo e della cooperazione, della giustizia e della solidarietà”.

I cristiani chiamati alla conversione personale e comunitaria
La Commissione episcopale sottolinea, poi, che la comunità cristiana è chiamata ad una conversione personale e comunitaria e ad essere sale della terra e luce del mondo, affinché possa trasformare le relazioni personali, familiari, istituzionali e sociali. In questo senso, il messaggio ricorda l’appello di Papa Francesco perché i cristiani promuovano “gesti concreti” di attenzione nei confronti di tutti i migranti, attraverso “la preghiera, le attività di sensibilizzazione e formazione, le iniziative d’incontro e di condivisione, i gesti di carità e di solidarietà che potrebbero sorgere in ogni diocesi, parrocchia e missione cattolica".

Pellegrinaggio a Fatima perché interceda per i migranti e i rifugiati
Come ogni anno, inoltre, durante la Settimana dedicata alle migrazioni si svolgerà un pellegrinaggio al Santuario di Fatima, che si terrà il 12 e 13 agosto, presieduto, in questa occasione, dal vescovo castrense e portavoce della Commissione episcopale per la Pastorale sociale e di mobilità umana, mons. Manuel da Silva Rodrigues Linda.  Infine, nella giornata conclusiva di domenica 16 agosto tutte le celebrazioni eucaristiche saranno di “rendimento di grazie” per i migranti, i rifugiati e per l’opera pastorale che la Chiesa compie in loro favore, così come tutte le offerte saranno destinate alla missione pastorale per i migranti. (A.T.) 

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Vescovi argentini: programmi elettorali siano trasparenti

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Le conclusioni del rapporto della Commissione nazionale giustizia e pace - organismo laicale della pastorale sociale - sulla realtà socioeconomica e politica dell’Argentina sono al centro della riunione della Commissione permanente dell’episcopato locale, in corso in questi giorni. Si tratta di un momento cruciale per il Paese, attualmente immerso nel pieno del dibattito elettorale. La terza riunione annuale della Commissione permanente si svolge, quindi, nel clima infuocato delle elezioni primarie che hanno definito i candidati alle elezioni presidenziali e legislative del 25 ottobre prossimo.

Le elezioni non sono una crisi, ma una alternativa democratica
Già lo scorso marzo, la Conferenza episcopale argentina, in un messaggio in vista delle elezioni, aveva sottolineato la necessita di una “maturazione” politica della società in modo che “un rinnovo delle autorità non sia sinonimo di crisi, ma una alternativa normale della vita democratica”. In questa linea, la Commissione nazionale Giustizia e pace ha distribuito il documento episcopale intitolato “Le elezioni, esigenza d’impegno cittadino” ai candidati ed agli elettori, attraverso il “Foro di abitanti e cittadini” che costituisce uno spazio di dialogo e ricerca di consensi per il bene comune nelle principali città del Paese.

Necessità di trasparenza nei programmi elettorali
Il rapporto comprende anche il risultato delle osservazioni e la risposta ai suggerimenti dei vescovi sulla trasparenza delle programmi elettorali e della campagna dei candidati, la corrispondenza di questi progetti con i veri bisogni della società argentina e l’impegno partecipativo dei cittadini. La Commissione nazionale Giustizia e pace presenterà anche il resoconto delle iniziative e dei progetti intrapresi nell’ultimo anno in ambiti come il traffico e la tratta di persone, l’agricoltura familiare, la disoccupazione, il lavoro nero e l’accompagnamento dei giovani. Successivamente, i vescovi voteranno anche per il rinnovo dei membri della medesima commissione, attualmente presieduta da Gabriel Castelli.

Preparazione dell’Anno giubilare della Misericordia
Durante la riunione, è in programma anche la riflessione sulle diverse proposte per celebrare l’Anno giubilare della Misericordia, indetto da Papa Francesco, a partire dall’8 dicembre. La Commissione permanente valuterà anche il lavoro del Tribunale ecclesiastico nazionale, analizzerà la situazione previdenziale dei sacerdoti e ultimerà l’integrazione del Dipartimento dei laici dopo il rinnovo degli statuti, avvenuto a dicembre dell’anno scorso. Infine, i vescovi decideranno i temi dell'Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale che si aprirà l’8 novembre con una celebrazione eucaristica dedicata all’Anno della vita Consacrata, nel Santuario di Nostra Signora di Lujàn, Patrona dell’Argentina. Alla riunione, che concluderà giovedì prossimo, partecipano, insieme ai 22 membri della Commissione permanente, mons. Emil Paul Tscherrig, il nunzio apostolico, e mons. Oscar Ojea, presidente della Caritas argentina. (A.T.)

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Egitto. Aperta Causa di Beatificazione di Boutros Cassab

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Con una solenne cerimonia nella cattedrale della Resurrezione al Cairo, il patriarca Gregorio III di Antiochia e di tutto l’Oriente ha ufficializzato l’apertura della Causa di Beatificazione di Boutros Cassab, definito “l’apostolo dell’Alto Egitto e dei giovani”. La cerimonia – riferisce l’agenzia Asianews - si è svolta nel 102.mo anniversario della sua nascita, avvenuta l’8 agosto del 1913. Di Cassab, il patriarca ha sottolineato il suo impegno caritativo nella società di San Vincenzo de’ Paoli, come pure il suo essere a guida di diverse associazioni cattoliche per la gioventù. Il suo lavoro apostolico nella zona di Alessandria gli hanno meritato il soprannome di “apostolo dell’Alto Egitto e del Delta”.

L’apertura della causa chiesta dal Sinodo della Chiesa melchita
Boutros Cassab, che era sposato e padre di tre figli, è morto il 23 marzo 1986 a Beni Suef. Di lui si è subito parlato di “virtù eroiche”. Nel 2012, il Sinodo della Chiesa melchita aveva chiesto di aprire la sua Causa di Beatificazione, affidandola direttamente al patriarca di Antiochia, che è anche patriarca di Alessandria.

Il laico che ha avuto la più grande influenza nella Chiesa in Egitto
Nel suo discorso alla cerimonia, Gregorio III ha dichiarato: “Abbiamo letto e studiato con molta attenzione le testimonianze di molte personalità egiziane, melkite, francesi, cristiane o musulmane che parlano del loro rapporto con Boutros Cassab”, che confermano il suo impegno “spirituale, ecumenico, ecclesiale, al servizio dei giovani”. Per il patriarca, Boutros Cassab “è senza dubbio il laico che ha avuto la più grande influenza nella Chiesa dell’Egitto, ripetendo di continuo: “Il lavoro dentro la Chiesa cattolica è tutta la mia vita!”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 224

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.