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Sommario del 11/08/2015
- Giornata pace 2016: vinci l’indifferenza e conquista la pace
- Card. Turkson: Laudato si’, forte impatto su politiche governi
- Giornata Creato. Mons. Santoro: Francesco chiede conversione ecologica
- Tweet Papa: l’incontro con Cristo è in grado di trasformare la vita
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Grecia: accordo raggiunto con i creditori internazionali
- Burundi, appello dell'Onu per pacificazione
- Crisi Porto Rico. Mons. Nieves: tracollo per troppi prestiti
- Migranti, grave situazione a Kos. ACS: aumentano i cristiani
- Caritas Roma: al via il progetto "Spreco? No grazie! Io sono solidale"
- Cinema. I volti del Maghreb al Festival di Locarno
- Siria: paura per i cristiani rimasti nelle zone dell'Is
- Bangladesh: i vescovi condannano l’assassinio del blogger
- Terra Santa: gli Ordinari cattolici denunciano un rabbino
- Zambia: appello dei vescovi a una maggiore libertà di stampa
- Caritas Svizzera aiuta le vittime delle inondazioni in Asia
- Kenya: l’importanza della Chiesa nella salvaguardia del Creato
Giornata pace 2016: vinci l’indifferenza e conquista la pace
“Vinci l’indifferenza e conquista la pace” è il tema scelto da Papa Francesco per la 49.ma Giornata Mondiale della Pace, che verrà celebrata il primo gennaio 2016. A renderlo noto è stato il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che sottolinea: “La pace va conquistata: non è un bene che si ottiene senza sforzi, senza conversione, senza creatività e confronto”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Attenzione, sensibilità, spirito di iniziativa: non sono qualità che si acquisiscono semplicemente perché si è informati sui problemi del mondo. Se così fosse, oggi molti di quei problemi non esisterebbero. E invece, asserisce il dicastero di Giustizia e Pace presentando il tema della Giornata, è proprio “l’indifferenza nei confronti delle piaghe del nostro tempo” una “delle cause principali della mancanza di pace nel mondo”.
Gli indifferenti
L’indifferenza del 21.mo secolo, si legge nel comunicato, “è spesso legata a diverse forme di individualismo che producono isolamento, ignoranza, egoismo e, dunque, disimpegno”. E “l’aumento delle informazioni non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da una apertura delle coscienze in senso solidale”. Una sfida collettiva, dunque, che può essere vinta, si afferma, con il contributo “indispensabile” di famiglie, insegnanti, formatori, operatori culturali e dei media, di intellettuali e artisti.
Terra di conquista
Questo sforzo comune dimostra come la pace vada “conquistata”. “Non è – osserva il Pontificio Consiglio – un bene che si ottiene senza sforzi, senza conversione, senza creatività e confronto”. Si tratta, indica, “di sensibilizzare e formare al senso di responsabilità riguardo a gravissime questioni che affliggono la famiglia umana, quali il fondamentalismo e i suoi massacri, le persecuzioni a causa della fede e dell’etnia, le violazioni della libertà e dei diritti dei popoli, lo sfruttamento e la schiavizzazione delle persone, la corruzione e il crimine organizzato, le guerre e il dramma dei rifugiati e dei migranti forzati”. Così facendo, si riusciranno a cogliere anche le “opportunità e possibilità per combattere questi mali” e in quest’ottica, sostiene il dicastero pontificio, “la maturazione di una cultura della legalità e l’educazione al dialogo e alla cooperazione” sono “forme fondamentali di reazione costruttiva”.
Mai più schiavi
Il tema per la Giornata mondiale della pace 2016 è legato a quello di quest’anno, “Non più schiavi ma fratelli”, col quale Papa Francesco aveva messo a fuoco un argomento drammatico, che lo addolora profondamente. In continuità con la riflessione sviluppata il primo gennaio scorso, il comunicato del dicastero vaticano ricorda che “un campo in cui la pace si può costruire giorno per giorno vincendo l’indifferenza è quello delle forme di schiavitù presenti oggi nel mondo”. E soggiunge: “Bisogna portare avanti questo impegno, con accresciuta coscienza e collaborazione”. La pace, si conclude, “è possibile lì dove il diritto di ogni essere umano è riconosciuto e rispettato, secondo libertà e secondo giustizia”.
Card. Turkson: Laudato si’, forte impatto su politiche governi
L’importanza ecumenica oltre che ecologica della Giornata di preghiera per il Creato, proclamata da Papa Francesco, e l’impatto della Enciclica "Laudato si’" sulle politiche ambientali dei governi sono tra i temi principali dell’intervista di Alessandro Gisotti al cardinale Peter Turkson. Il presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace” inizia la sua riflessione proprio a partire dalla Giornata per il Creato che ricorrerà il prossimo primo settembre:
R. – Questo annuncio è molto, molto significativo. Come si vede già nell’Enciclica, c’è questo desiderio di mostrare un volto ecumenico. L’idea di adottare questa Giornata per il Creato, in settembre, come fa già la Chiesa ortodossa, simboleggia qualcosa di molto, molto importante: una convergenza di idee fra queste due Chiese. Certamente, il Santo Padre avrebbe potuto scegliere qualunque altra data. Aver dunque voluto adottare la stessa data della Chiesa ortodossa è molto, molto significativo. Invece di moltiplicare le celebrazioni, si cerca di convergere su quelle già esistenti. Si potrebbe anche pensare che sia stato Papa Francesco, nella sua Esortazione postsinodale, “Evangelii Gaudium”, a dire che la realtà è più potente delle idee. Questo pure viene manifestato qui. L’Enciclica ha proposto tantissime idee, ma la scelta di una data per la celebrazione dà una sorta di concretezza a tutte le proposte fatte nell’Enciclica. Quindi, non sono semplicemente idee presentate, ma c’è un desiderio di renderle concrete.
D. – Nella lettera inviata a lei e al cardinale Koch, in cui si annuncia la Giornata per la salvaguardia del Creato, Papa Francesco chiede, come aveva fatto già nella “Laudato sì”, una conversione ecologica ai fedeli…
R. – C’è una dimensione di continuità nei pensieri espressi nell’Enciclica. Continuità, in questo caso, si riferisce alle idee già portate avanti dagli altri Pontificati. Per esempio, questa idea di conversione ecologica è stata presentata per la prima volta da Papa Giovanni Paolo II. La conversione ecologica ci porta a riconoscere il fatto che tutti noi dobbiamo cambiare marcia e contribuire, nelle diverse forme, alla salvaguardia del mondo, a invertire la rotta. Può sembrare una cosa difficile, ma attraverso queste piccole cose possiamo dimostrare, manifestare il nostro desiderio di assumere dei piccoli impegni, che rappresenteranno questo cambiamento di marcia da parte di tutti noi. Possiamo aiutare un poco nella salvaguardia del Creato.
D. – L’Enciclica “Laudato si'” sta ricevendo una grande attenzione a livello mondiale. Secondo lei, i leader politici, mondiali, ascolteranno il Papa?
R. – Hanno già cominciato ad ascoltare. E io ne ho già testimonianza. Il 29 giugno ero a New York, alla guida di una delegazione della Santa Sede, per una discussione sul tema del cambiamento climatico. Un intervento dietro l’altro citava l’Enciclica di Papa Francesco. Nonostante l’Enciclica non sia esattamente sul tema del cambiamento climatico, ma proprio sul Creato e l’ecologia integrale, uno dopo l’altro citavano la parte in cui tratta la questione dei cambiamento climatico. Quindi, la risonanza è già stata verificata. Qui ancora continuiamo a ricevere lettere che si congratulano con il Santo Padre per la pubblicazione di questa Enciclica e, queste lettere, non arrivano solo da studiosi, ma anche dai capi, dai dirigenti e dai membri dei governi. A luglio scorso, a Parigi, Nicolas Hulot, consigliere del presidente francese, ha organizzato un evento sulla questione dell’ambiente. Il presidente Hollande, aprendo la conferenza con il suo discorso, ha citato profusamente l’Enciclica di Papa Francesco. Non si dubita sull’impatto che l’Enciclica ha avuto sui diversi governi. Sono passato pochi giorni fa in Ghana e lì anche il presidente ha mandato una lettera al nunzio apostolico nel Paese con il suo apprezzamento per l’Enciclica. E’ fuori di dubbio l’impatto che l’Enciclica ha avuto sui governi e sugli esponenti delle organizzazioni mondiali.
D. – Anche il presidente degli Stati Uniti, Obama, proprio presentando questo suo piano per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, ha citato la “Laudato sì”…
R. – Vuol dire che i discorsi del Santo Padre sono molto seguiti da diversi personaggi nel mondo.
Giornata Creato. Mons. Santoro: Francesco chiede conversione ecologica
Ha suscitato grande interesse al livello internazionale, non solo ecclesiale, l’indizione da parte di Papa Francesco di una Giornata mondiale di preghiera per la Cura del Creato, che ricorrerà ogni anno il primo settembre. Su questa importante novità, annunciata ieri, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la Giustizia e la Pace:
R. – Innanzitutto, è stata una gioia straordinaria l’Enciclica "Laudato Si’" e poi, dopo, una Giornata per la custodia del Creato è proprio mettere l’attenzione sul tema dell’ambiente come un elemento non secondario della nostra esperienza di fede: non possiamo pensare alla nostra fede trascurando la cura della Casa comune, come dice il Papa nella "Laudato Si’". Una grande gioia nella direzione di considerare la cura del Creato non elemento periferico, accidentale, secondario della nostra fede, ma proprio un tutt’uno con la nostra fede nel Signore Gesù, nel Creato come opera delle mani del Signore altissimo.
D. – Il Papa chiede una “conversione ecologica” ai fedeli: effettivamente, noi vediamo come l’ecologia poi abbia un impatto fortissimo anche sulla vita dell’uomo, sulle sue relazioni sociali … La drammatica storia e anche le vicende nella diocesi di Taranto parlano molto al riguardo…
R. – Certamente, la conversione ecologica è proprio un cammino che ci interpella tutti. Innanzitutto, interpella noi, qui – nella situazione di Taranto – con la grande problematica legata all’Ilva, con la grande problematica del conflitto ingiusto tra difesa dell’ambiente e difesa del lavoro. L’attenzione alla realtà, innanzitutto, cioè la conversione ecologica è come un punto centrale dell’attenzione alla realtà. Se ti trovi in un contesto come questo, come Chiesa non puoi non considerare la sfida che questa problematica ti offre: innanzitutto, per gli ammalati e per i morti che ci sono stati a causa dell’inquinamento e poi anche per il dramma che comporta vedere un territorio così bello inquinato, contaminato… Una terra che ha una vocazione agricola, poi turistica, artigianale, culturale, invasa in maniera così forte, così feroce, da un tipo di modello di sviluppo che è quello industriale. Perciò, è un aspetto diretto, questo, della conversione, di considerare proprio la realtà, quindi l’economia, non come il fattore determinante, l’idolo della vita, ma come qualcosa al servizio della vita.
D. – Alla base del deturpamento della Casa comune – il Papa ha denunciato tante volte – c’è una “economia che uccide”…
R. – Certamente. L’economia che uccide, l’economia che invece di favorire lo sviluppo della persona, delle famiglie, della società, diventa l’idolo, diventa il lucro, diventa il profitto, il dio-denaro… In questo senso, è proprio salutare il richiamo che il Papa ci fa. Il Santo Padre, nell’Enciclica, assieme con la conversione ecologica parla anche dell’ecologia sociale: la difesa dell’ambiente e della natura non può essere separata dalla difesa della società, del bene comune. Non si può pensare a un’economia che sia contro la natura, il Creato e contro la persona. Noi, qui a Taranto, siamo particolarmente grati al Santo Padre perché mette in evidenza questo doppio legame – la difesa dell’ambiente e l’ecologia social. Mettere l’accento proprio sulla difesa della vita e del lavoro, come un elemento fondamentale e sostanziale della vita, è una cosa importantissima: l’unità dell’ecologia ambientale con l’ecologia sociale.
Tweet Papa: l’incontro con Cristo è in grado di trasformare la vita
"L’incontro con Cristo è in grado di trasformare completamente la nostra vita". E' il tweet pubbblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 22 milioni di follower.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Vinci l’indifferenza e conquista la pace: il tema della giornata mondiale 2016.
La centesima pecora: il Pontefice per i bisognosi di Roma attraverso l’Elemosineria apostolica.
Ecologia domestica: in prima pagina, Maria Barbagallo sull’importanza delle buone abitudini.
Dono di Dio e sfida per l’uomo: il patriarca ecumenico Bartolomeo ribadisce che salvaguardare il creato è responsabilità di tutti.
Il cardinale Loris Francesco Capovilla sul profetico incontro - quel pomeriggio del 15 agosto 1955 - tra il patriarca di Venezia e l’arcivescovo di Milano.
Roma e le sue ombre: Emilio Ranzato sui paesaggi della città eterna nel cinema da Rossellini a Sorrentino.
Affinità elettive: Jean-Pierre de Rycke su visione mistica e anelito all’eternità in van der Weyden e in van Eyck.
Grecia: accordo raggiunto con i creditori internazionali
Grecia e creditori internazionali hanno trovato stamane l’accordo per un nuovo piano di salvataggio, che permetterà ad Atene di scongiurare il "default" e rimanere nell’Eurozona. Previsti prestiti per più di 80 miliardi di euro in cambio di un ampio pacchetto di misure economiche e riforme. Per il ministro delle finanze greco, Tsakalotos, mancano ancora dei dettagli minori, mentre l'Unione Europea fa sapere chi tratta di un accordo "tecnico" e non ancora "politico". I dettagli nel servizio di Michele Raviart:
L’accordo sul terzo piano di salvataggio per la Grecia è arrivato dopo 18 ore di trattative. Sono 35 le misure prioritarie che il governo di Atene dovrà applicare per ricevere prestiti e sostenere le prossime scadenze, la più incombente delle quali il 20 agosto, quando la Grecia dovrà rimborsare 3,5 miliardi alla Bce. Cambierà il sistema fiscale, con l’eliminazione delle agevolazioni per le isole – a partire dalla fine del 2016 – e per i carburanti a uso agricolo. Saranno gradualmente abolite le pensioni anticipate e l’età minima sarà innalzata a 67 anni. Riformata la pubblica amministrazione e rafforzati i controlli anti-evasione fiscale. Su proposta dell’Osce, sarà attuato un programma di privatizzazioni e ricapitalizzate le banche, mentre il mercato dell’energia sarà pienamente liberalizzato entro il 2018. A livello di bilancio, la Grecia potrà mantenere un deficit primario – al netto quindi degli interessi sul debito – dello 0,25% nel 2015, cifra che aumenterà progressivamente di anno in anno fino ad arrivare al 3,5% nel 2018. L’intesa dovrà essere ora sottoscritta dall’Eurogruppo.
Servirà tutto questo a riportare stabilità economica in Grecia? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Angelo Baglioni, docente di Economia Politica all’Università Cattolica di Milano:
R. – Purtroppo, credo che nel lungo periodo non servirà a molto, nel senso che i problemi di fondo, cioè la bassa crescita, perdureranno. L’accordo serve a superare le scadenze finanziarie immediate nei prossimi mesi e nei prossimi tre anni. Quindi, serve fondamentalmente a evitare che la Grecia sia insolvente nei confronti della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale.
D. – Analizzando alcuni dei provvedimenti adottati da Atene nell’ambito di questo accordo, balza subito in evidenza, finalmente, la riforma delle pensioni e altri provvedimenti che evidenziano la buona volontà del Paese ellenico…
R. – È chiaro che la riforma delle pensioni, o la lotta all’evasione fiscale, sono cose positive. Altre lo sono molto meno. L’aumento dell’Iva e l’abolizione dell’Iva agevolata nelle isole sono cose che ostacoleranno i consumi e quindi si aggiungeranno a una serie di provvedimenti restrittivi che hanno causato la recessione del Paese negli ultimi anni. Quindi, credo sarà molto difficile che l’economia reale greca alla lunga si riprenda.
D. – Questo vuol dire che, prima o poi, saremo di fronte a un altro problema Grecia?
R. – Temo di sì, dato che si prosegue sulla linea della cosiddetta “dell’austerità”. Questa linea non ha portato a una riduzione del rapporto tra debito e reddito nazionale della Grecia, come tra l’altro anche in altri Paesi.
D. – Questo accordo, guardando alle cose interne della Grecia, va un po’ a tradire quanto Tsipras e il suo partito Syriza avevano promesso in campagna elettorale?
R. – Ovviamente, se inseriamo oltre a quelle economiche anche le variabili politiche, c’è da tener conto del fatto che questo accordo vale, varrà, e sarà rispettato finché sostanzialmente Tsipras sarà al governo. Quindi, da questo punto di vista per avere un po’ di stabilità, bisognerebbe che Tsipras rimanesse al governo, o, meglio, che si facesse un governo di unità nazionale che dia stabilità a questo accordo almeno per i prossimi tre anni.
Burundi, appello dell'Onu per pacificazione
Appello delle Nazioni Unite alle autorità del Burundi, affinché riprendano il dialogo con le opposizioni. Il Paese è precipitato in un vortice di violenza da quando, lo scorso aprile, il presidente Nkurunziza si è presentato alle elezioni e ha poi ottenuto il suo terzo mandato a luglio, nonostante il divieto costituzionale.Il Consiglio di sicurezza dell'Onu sostiene la proposta del segretario generale, Ban Ki-moon, di inviare un mediatore a Bujumbura. Sulla possibilità di un accordo, Elvira Ragosta ha intervistato Massimo Alberizzi, corrispondente storico del Corriere della sera e direttore della rivista on line "Africa-express.info":
R. – Sembra abbastanza difficile e complicato. Pierre Nkurunziza è molto forte, avendo foraggiato moltissimi generali. Lui ha dato l’annuncio della sua ricandidatura ad aprile e da allora ci sono state pressioni fortissime dell’Onu, dell’Unione Europea e dell’Unione Africana. Quando Obama è venuto a Nairobi ha persino bacchettato tutti quelli che volevano stare al potere più di due mandati, facendo un chiarissimo riferimento – anche se non l’ha nominato – a Nkurunziza.
D. – Prima della terza rielezione che Nkurunziza ha ottenuto con il 70% dei consensi, ci aveva provato anche la comunità dell’Africa orientale, a inizio luglio, a pacificare la crisi. Il problema del Burundi è un problema che si estende alla regione: anche i presidenti di Uganda, Rwanda e Congo cercano una rielezione. Può essere questo il nodo del problema?
R. – Sì, sicuramente anche questo. Paul Kagame, presidente rwandese, sta cercando di modificare la Costituzione per rimanere al potere. Joseph Kabila, presidente del Congo, non vuole lasciare il potere. E Museveni ce l’ha da 20 anni e forse anche di più. Ma dietro a questi presidenti c’è una folla di generali, amministratori pubblici, politici corrotti, i quali vogliono continuare con la loro corruzione per poter diventare ricchi, sempre più ricchi, mentre la popolazione diventa sempre più povera e sempre più povera.
D. – A proposito della popolazione, sono almeno un centinaio le persone uccise nel corso delle rivolte iniziate ad aprile. L’Onu ha denunciato anche casi di torture da parte della polizia. La situazione sembra fuori controllo, cosa succede sul terreno?
R. – Sul terreno le manifestazioni vengono represse violentemente. Nkurunziza è forte, molto forte, però lui è hutu e non tutti gli hutu sono dietro di lui. Preoccupano, se vogliamo, forse di più dal punto di vista politico, gli omicidi mirati, come quello dell’ex capo dei Servizi segreti, che è stato ammazzato. C’è stato poi un tentativo di ammazzare l’arcivescovo Ngoyagoye, che si è salvato, ma sono state uccise le sue guardie del corpo. Sono stati uccisi anche degli attivisti dei diritti civili, dei capi dell’opposizione. Poi ci sono ovviamente durante le manifestazioni morti di civili, che protestano. Non c’è però, per fortuna, ancora un omicidio di massa. Forse il mediatore dell’Onu vuole evitare anche questo: che si arrivi a un bagno di sangue generalizzato, il che riporterebbe il Paese ovviamente nel caos in tutta la regione. Il Rwanda è molto diverso dal Congo: in Rwanda c’è una sorta di dittatura che però sta facendo crescere il Paese, e dal punto di vista economico c’è una ridistribuzione delle risorse economiche. Il Congo invece è in mano a una cleptocrazia e forse è il Paese più corrotto – assieme alla Nigeria – di tutta l’Africa. Ora, il Burundi non è ricco come il Congo e ci sono, per esempio, meno appetiti da parte delle multinazionali, che normalmente sostengono i dittatori, dai quali possono avere concessioni minerarie abbastanza facilmente.
Crisi Porto Rico. Mons. Nieves: tracollo per troppi prestiti
Situazione socio-economica drammatica a Porto Rico, che nei giorni scorsi è andato in “default” per il mancato pagamento di gran parte del debito di 58 milioni di dollari in scadenza. Su come si sia arrivati a questa crisi, Amedeo Lomonaco ha intervistato l’arcivescovo di San Jan di Porto Rico, Roberto Octavio González Nieves:
R. – La ruina de Puerto Rico proviene de una combinacion de varios factores…
La rovina di Porto Rico nasce dalla combinazione di diversi fattori: una cattiva gestione, la sfortuna, il suo status coloniale unico, poiché non è un Paese sovrano, ma neanche un Paese degli Stati Uniti. Negli ultimi anni, la rovina di Porto Rico si è trasformata velocemente, potremmo dire, in una spirale di morte. Si presuppone che quando si accendono prestiti, da parte del governo, ci sia una copertura. In alcune circostanze questo non è accaduto. Inoltre, per molti anni il governo è andato avanti con un preventivo di bilancio per gli anni fiscali, ma questo non è il denaro necessario... Così per molti anni ha continuato a prendere soldi in prestito per poter andare avanti. E questo non sarebbe dovuto succedere! Il governo dovrebbe operare con un bilancio in pareggio, ma per far questo ha bisogno di disciplina, di rigore, e soprattutto di un dialogo sincero con il popolo, allo scopo di raggiungere una collaborazione tra le diverse parti, tra i diversi partiti al governo.
D. – Porto Rico potrebbe avere una economica florida, soprattutto grazie al turismo, eppure la disoccupazione giovanile è sopra il 25%. Cosa fanno i giovani in questa situazione? Emigrano, lasciano il Paese?
R. – Puerto Rico podria tener una economia mas florida…
Porto Rico potrebbe avere una economia più florida e più prospera, soprattutto grazie al turismo. Tuttavia, la disoccupazione giovanile ha superato il 25% e questo fa sì che i giovani emigrino, lascino il Paese. Puerto Rico è un piccolo arcipelago, molto bello, caratterizzato da un eccellente clima e da famose spiagge: tutto questo ha fatto sì che Porto Rico sia diventata una delle destinazione favorite del Caribe. Nel secolo passato, Porto Rico è passato da una economia agraria a una economia industriale, ma l’economia industriale è collassata e non va più avanti. Il turismo è stato la punta di diamante, però non è stato sufficiente. Il nostro funzionamento economico è fondato sulla cultura del consumo e non sulla cultura del risparmio. Papa Francesco ha detto che una generazione senza lavoro rappresenta una sconfitta futura per la patria e per l’umanità e che dobbiamo lottare contro tutto questo! La disoccupazione e la situazione economia hanno provocato una grande ondata migratoria: sono andate via famiglie intere verso gli Stati Uniti. Il governo, quest’anno, sarà costretto a chiudere più 100 scuole pubbliche del Paese… E’ un fatto che la popolazione di Porto Rico sia composta nella sua maggioranza da giovani, giovani adulti… Approssimativamente, un milione di portoricani sono emigrati negli ultimi 10 anni.
D. – Cosa spera per il futuro del suo Paese? Cosa sperano i vescovi di Puerto Rico?
R. – El evangelio nos invita siempre a mirar el futuro con la esperenza...
Il Vangelo ci invita sempre a guardare al futuro con la speranza e la gioia pasquale. Io ho speranza. Nella sua storia Porto Rico ha superato un altro momento difficile, speriamo che quello non rappresenti un’eccezione. Porto Rico è un Paese con profonde radici cristiane e cattoliche e la nostra fede rappresenta il nostro maggior tesoro. Quindi, le possibili soluzioni a questa crisi devono sempre rispondere ai nostri valori cristiani e culturali. Papa Francesco ha chiesto che l’economia venga messa al servizio dell’uomo: preghiamo affinché Porto Rico possa essere un modello di trasmissione di queste parole del Papa. Questa è la mia speranza per il futuro di Porto Rico: un Porto Rico che sia immagine dei suoi valori, delle sue radici spirituali. Un Porto Rico che sia fraterno e rispettoso, in cui tutti gli uomini abbiano uguale dignità e uguali opportunità. Un Porto Rico che si prenda cura dei suoi anziani e alle sue anziane, un Porto Rico fondato sull’umanità e sui principi.
Migranti, grave situazione a Kos. ACS: aumentano i cristiani
In Grecia è ancora tensione alta per il crescente numero di arrivi di migranti. A Kos, scontri sono scoppiati tra gli immigrati molti dei quali vivono all’addiaccio. Aiuto alla Chiesa che soffre intanto lancia un allarme: sono sempre più i cristiani tra i profughi che arrivano sulle coste italiane. Francesca Sabatinelli:
Sarebbe stato un video ad alzare di nuovo la temperatura sull’isola greca di Kos. Un filmato in cui un agente di polizia schiaffeggerebbe un migrante per poi subito dopo spintonarne un altro. La reazione non si è fatta aspettare: l’agente è stato sospeso ma, per le Forze dell’ordine, oltre a essere difficile contenere il flusso degli arrivi – tra loro anche molti bambini – è difficile anche placare gli animi di tutti coloro che vivono in tende, nei parchi e nelle piazze della città. Disordini oggi si sono registrati anche in Italia, a Cagliari in Sardegna, dove circa 200 migranti protestano da diversi giorni, chiedendo di poter lasciare l’isola. Si tratta perlopiù di eritrei ed etiopi e, anche in questo caso, di molte donne e bambini. Gli eritrei che arrivano sono in maggioranza cristiani, così come molti altri provengono da Siria, Iraq e Nigeria. I cristiani tra i profughi che giungono sulle coste italiane sono aumentati quasi del 30%: è l’allarme lanciato da don Mussie Zerai, fondatore dell’agenzia Habeshia, e rilanciato dalla Fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Marta Petrosillo, portavoce di ACS Italia:
R. – E’ un fenomeno che “Aiuto alla Chiesa che soffre” sta studiando molto da vicino, in particolare la sezione italiana, perché vediamo approdare sulle nostre coste sempre più migranti, rifugiati, richiedenti asilo cristiani. Il rapporto sulla libertà religiosa di “Aiuto alla Chiesa che soffre” confermava proprio questo: che la persecuzione religiosa, di cui i cristiani sono la principale vittima, aumenta i flussi migratori, ed è un fenomeno che ovviamene riguarda anche i rifugiati che giungono sulle nostre coste: basta osservare e approfondire l’appartenenza religiosa di quanti si trovano nei Centri di prima accoglienza o nei cosiddetti “Cara”, i Centri di accoglienza per richiedenti asilo. Come ha confermato anche don Mussie (Zerai - ndr), basta guardare alle nazionalità di questi migranti. I siriani, ad esempio: sono il primo gruppo di migranti che giungono sulle nostre coste e noi di “Aiuto alla Chiesa che soffre” sappiamo che soltanto nei primi tre anni della crisi siriana, ovvero dal 2011 fino al 2014, oltre il 30% dei cristiani siriani è fuggito dalla Siria o vive in condizione di sfollato. Anche moltissimi dei cristiani iracheni, in fuga dallo Stato islamico, sono giunti sulle nostre coste e, sempre tra i cristiani, non possiamo dimenticarci di quanti provengono da nazioni africane, come ad esempio la Nigeria, che sono oggi interessate in modo drammatico dal fondamentalismo islamico: Boko Haram in Nigeria e non solo, nel continente africano agiscono nuove formazioni jihadiste. Quindi, “Aiuto alla Chiesa che soffre” vuole innanzitutto raccogliere più dati e studiare in maniera approfondita il fenomeno, di concerto, ovviamente, con il Ministero dell’interno, perché purtroppo al momento non vi è una letteratura specifica in materia, non vi sono dati e statistiche che riguardino l’appartenenza religiosa dei migranti che giungono nel nostro Paese.
D. – Ma questo studio che “Aiuto alla Chiesa che soffre” ha avviato che scopo ha? Successivamente come interverrete?
R. – E’ chiaro che non è uno studio che rimarrà sulla carta: da sempre la nostra Fondazione abbina alla denuncia e all’analisi una risposta concreta e in questo caso noi vogliamo offrire ai rifugiati e ai richiedenti asilo che si trovano nel nostro Paese, ai cristiani, la possibilità di vivere la propria fede. Quindi, oltre alla risposta alle emergenze e ai bisogni primari, anche un’assistenza spirituale. Questo è quanto “Aiuto alla Chiesa che soffre” intende fornire a tutti i cristiani, cosicché anche da rifugiati non vengano privati del diritto di poter professare la propria fede.
Caritas Roma: al via il progetto "Spreco? No grazie! Io sono solidale"
“Io sono solidale” è la campagna promossa dalla cooperativa sociale “La Nuova Arca” con il patrocinio della Caritas di Roma. Un semplice gesto che può trasformarsi in un reale e forte messaggio di una comunità solidale per le famiglie bisognose. Una tappa importante di un percorso per restituire valore al cibo ed evitare lo spreco delle preziose risorse che la terra offre. Alessandro Filippelli ha intervistato Salvatore Carbone, presidente della casa famiglia La Nuova Arca:
R. – Alcune famiglie fanno un abbonamento al prodotto dell’orto, quindi sottoscrivono un abbonamento di 10-15 euro settimanali, che è al di sotto del consumo medio di una famiglia. Questo prodotto dell’orto viene ritirato dalla famiglia perché c’è, è presente, e lo fa normalmente nel nostro punto vendita e noi glielo consegniamo. Ma se per caso la famiglia non c’è, perché è in ferie o perché ha intenzione di destinare il suo paniere di prodotto a un’altra famiglia solidale, noi insieme alla Caritas ci siamo fatti promotori di tutti questi abbonamenti che non vengono ritirati – sia per ragioni solidali, sia perché effettivamente non c’è l’acquirente – e vengono recapitati a famiglie che assistiamo attraverso Casa famiglia o attraverso la rete di assistenza della Caritas. Quindi, diamo a persone che normalmente non accedono a questo tipo di prodotti biologici – il biologico fresco – la possibilità di accedere e di averlo sulla loro tavola.
D. – Come sono organizzati i gruppi di acquisto solidale?
R. – I gruppi di acquisto solidale sono piccoli gruppi di famiglie che si mettono insieme per fare, appunto, un acquisto collettivo e a questo punto ordinano settimanalmente dalla nostra produzione biologica, che viene fatta dai nostri ragazzi e dalle nostre ragazze che lavorano sia nei campi sia al confezionamento, e sul listino che viene prodotto settimanalmente da noi via telematica le famiglie – quindi i gruppi solidale – mandano l’ordine e noi recapitiamo i loro acquisti presso i gruppi di acquisto. Questa è un’attività che viene svolta sia da alcune mamme ospiti della Casa, sia dai ragazzi rifugiati politici che lavorano qui con noi, sia da alcune persone, volontari o no, quindi operai che lavorano qui nella realtà… Quindi, lavoro, no allo spreco e giustizia sociale sono le aree su cui ci muoviamo.
D. – Cosa deve fare chi desidera far parte di questi gruppi di acquisto solidale?
R. – Deve entrare in contatto direttamente con noi, con la “Nuova Arca”, il riferimento è gas@lanuovaarca.org, perché in funzione di dove si trova fisicamente la persona possiamo indicare qual è il punto di acquisto più vicino al suo territorio e a cui possiamo quindi presentarlo e da cui può inserirsi.
Cinema. I volti del Maghreb al Festival di Locarno
La sezione "Open Doors" del Festival del Film di Locarno è dedicata quest'anno a quattro paesi del Maghreb: Algeria, Libia, Marocco e Tunisia. Una regione tormentata da tensioni sociali, guerre e terrorismo, che viene coraggiosamente raccontata attraverso il cinema di giovanissimi registi. Dal nostro inviato a Locarno, Luca Pellegrini:
Porte aperte, a Locarno, al cinema del Maghreb. Arrivano alcuni registi dalla Libia, due coraggiose cineaste dall'Algeria e dal Marocco, tutti pieni di coraggio e di energia per difendere la cultura e il futuro dei loro Paesi. Sono zone difficili, soprattutto la Libia, dove non si penserebbe mai fosse possibile oggi per dei ragazzi imbracciare una cinepresa, anziché un fucile, e girare un film. Lo confessa ai nostri microfoni Kelly Ali, che ha presentato in "Land of Men" un intenso ritratto di una ragazza libica appassionata di cinema:
“Everyone has a piece of gun…
Tutti hanno un’arma, è come avere un cellulare: hai il tuo cellulare e la tua arma ed esci. Il problema è che non siamo sconvolti quando vediamo un’arma, diventa normale. Non è perché a tutti piaccia uccidere. Alcune persone, infatti, portano queste armi e forzano gli altri ad averle. Se non credi nelle armi, come me, è bene che tu abbia un buon angelo custode, che io credo di avere”.
Ci sono testimonianze importanti nei film di questi ragazzi libici. La cui storia inizia grazie allo "Scottish Documentary Institute", da sempre interessato alla formazione cinematografica nei Paesi che versano in particolari situazioni di difficoltà. Noé Mendelle, la direttrice, ha deciso di lavorare in Libia prima della rivoluzione. Questo il suo ricordo.
R. – For me it was a very positive…
Per me è stata un’esperienza molto positiva, anche se impegnativa, dovendomi adattare costantemente alla situazione libica, passando davvero dalla rivoluzione alla guerra civile. Ma positiva, perché ho potuto contribuire allo sviluppo dei suoi registi, cercando di portare la voce della Libia fuori del Paese a livello internazionale. Quindi, questo è molto positivo.
D. – Sicuramente, un'esperienza importante per lei e l'Istituto…
R. – I’m extremely proud…
Sono estremamente fiera, penso, non solo perché le condizioni di questi ragazzi erano molto difficili nell’esprimere quello che li muoveva, ma perché sono andati oltre ogni aspettativa. E la prova di questo è che i film sono stati proiettati in grandi Festival come Locarno. E’ fantastico per loro, è fantastico per la Libia e splendido per noi”.
Le recenti notizie dalla Libia non sono confortanti. I registi però, non demordono e sperano nella rinascita del loro Paese. Ancora Kelly Ali.
“Personally I believe that…
Personalmente, credo che in ogni nazione, nel corso della storia, dopo una grande rivoluzione o molte rivoluzioni, ci sia un periodo di caos, che ci si aspetta. Quindi, spero non sia un altro esempio storico che si ripete. Inciamperemo, dunque, anche perché non sappiamo cosa siano davvero la libertà e la democrazia, essendo stati dominati così a lungo. Se tutto va bene, però, impareremo, cambieremo e ci svilupperemo, raggiungendole”.
Mentre Muhannad Lamin, regista di "80" - due giorni di un uomo in carcere e la sua fuga - confessa:
“I think many people are…
Penso che molte persone stiano solo aspettando di vedere un cambiamento. Il conflitto si è fatto molto complicato e molti usano i giovani e li coinvolgono in queste trame politiche. C’è un condizionamento da parte dei Paesi vicini. E’ molto complicato. Penso, comunque, che le persone si attendano di vedere qualcosa alla lunga, per sperare”.
Lo sguardo riassuntivo è quello di Giuseppe Gariazzo, consulente di "Open Doors", che ha scelto molti dei film selezionati. Che cosa ha scoperto?
“Ho avvertito intanto la necessità – pensiamo ai registi libici, ma non solo, di fronte a delle difficoltà nei loro Paesi – la necessità di resistere, facendo dei film. Ci sono degli autori, delle autrici, che magari vivono in Francia o si spostano tra il Paese di origine e la Francia, che - da una parte - hanno la necessità nei loro film di parlarsi e di parlare del proprio Paese in modo molto intimo, molto personale e – dall’altra – di raccontare appunto la storia sia con la S maiuscola, quindi del passato, sia la cronaca del presente. Credo che questa necessità sia quella che ha spinto i film negli ultimi anni – perché quelli presentati vanno dal 2009 fino al 2015. Tutti hanno appunto questa voglia di resistere e di fare dei gesti di resistenza, attraverso, in questo caso, il cinema”.
Siria: paura per i cristiani rimasti nelle zone dell'Is
Cresce la paura dei cristiani in Siria dopo che, giovedì scorso, il sedicente Stato Islamico ha conquistato la città di Qaryatayn, vicino a Homs, e rapito almeno 230 persone. "I cristiani della zona hanno paura e sempre più fedeli pensano di lasciare le proprie case o addirittura il paese", racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Jihad Youssef, monaco della comunità Deir Mar Musa, la stessa di padre Paolo Dall'Oglio, rapito dua anni fa. "Non sappiamo se l'Isis ha intenzione di uccidere gli ostaggi cristiani. Normalmente ai nostri fratelli nella fede i fondamentalisti offrono tre alternative: pagare la jizya (la tassa per i non musulmani), convertirsi o fuggire. Chiaramente, stavolta la terza opzione non è stata offerta ai cristiani, altrimenti l’avrebbero scelta", continua padre Youssef. Secondo alcune stime del religioso, a Qaryatayn erano rimasti 160 cristiani, alcuni dei quali rapiti: "Trenta dei cristiani sequestrati sono riusciti a fuggire, perché sono dei pastori e conoscono bene la zona", spiega ancora. "Ora si trovano a Homs, dove i vescovi siro-cattolico e siro-ortodosso cercano di trovare una soluzione anche per gli altri ostaggi". La comunità Deir Mar Musa ha un monasteri a Qaryatayn, dove lo scorso 21 maggio è stato rapido padre Jacques Mourad, assieme al diacono Boutros Hanna Dekermenjian.
Bangladesh: i vescovi condannano l’assassinio del blogger
Anche i vescovi del Bangladesh si uniscono all’unanime condanna del barbaro assassinio di Niladri Chatterjee, il blogger conosciuto in rete come Niloy Neel, massacrato il 7 agosto a colpi di mannaia da cinque uomini, probabilmente estremisti islamici. Niloy, ateo ma proveniente da una famiglia indù, scriveva in difesa delle minoranze contro il fondamentalismo religioso. È il quarto blogger ucciso dall’inizio dell’anno in Bangladesh.
Un attacco alla tolleranza religiosa e alla libertà di espressione
Secondo il segretario della Commissione episcopale per le Comunicazioni sociali, padre Jayonta S. Gomes, dietro a questi di attacchi c’è una cultura dell’impunità e la negligenza del Governo nel proteggere queste persone. “Siamo seriamente preoccupati da queste continue aggressioni e omicidi di blogger nel nostro Paese, che sono un attacco alla tolleranza religiosa e alla libertà di espressione”, ha dichiarato il sacerdote, citato dall’agenzia Ucan. “Un ateo può anche essere una persona migliore di un credente”, ha aggiunto, osservando tuttavia che la libertà di espressione dovrebbe essere esercitata “nel rispetto delle religioni e senza ferire i sentimenti religiosi della gente”.
La condanna dei leader musulmani
Alla generale condanna dell’assassinio di Niloy si sono uniti anche i leader musulmani del Paese che, peraltro, non risparmiano critiche al governo bengalese per quella che considerano l’eccessiva libertà data ai blogger di offendere i sentimenti religiosi dei musulmani. In questo senso si è espresso il Mufti Ainul Islamcapo, imam della moschea Hizbul Bahar Jame e della madrassa di Dacca.
Blogger e attivisti da qualche tempo nelle mire dei fondamentalisti islamici
Da diverso tempo gli estremisti islamici in Bangladesh prendono di mira liberi pensatori e attivisti democratici, giustificando il loro assassinio perché “atei”. Nel 2013 il primo blogger ad essere ucciso per le sue idee “contrarie all’Islam” è stato Ahmed Rajib Haider. Lo scorso febbraio Avijt Roy è stato assassinato vicino all’Università di Dhaka. A fine marzo, nella capitale, fondamentalisti musulmani hanno ammazzato a colpi di machete Oyasiqur Rahman. Due mesi più tardi è stato il turno di Ananta Bijoy Das, ucciso a Sylhet. Tutti e tre gli attivisti facevano parte del "Ganajagaran Mancha", movimento laico e antifondamentalista. Lo scorso maggio, il gruppo terroristico “Al Kaida Ansarullah Bangla Team 13” ha rivendicato le uccisioni dei blogger “blasfemi” e ha recapitato a una lista di obiettivi lettere di minaccia in cui promettono “la giusta morte” a coloro che criticano l’islam. A causa delle minacce, diversi blogger sono stati costretti a lasciare il Paese. (L.Z.)
Terra Santa: gli Ordinari cattolici denunciano un rabbino
L’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra santa (Aocts) ha presentato una denuncia contro il rabbino israeliano, Bentzi Gopstein, e il suo movimento Lehava, che lo appoggia nel sostenere e incoraggiare l’incendio delle chiese in Israele. A darne notizia è la stessa Aocts attraverso un comunicato ripreso dall’Osservatore Romano e dall’agenzia Asianwes. Alcuni giorni fa, durante un dibattito pubblico, vi si legge, “il rabbino Gopstein, leader del Movimento ebraico estremista anti-assimilazione (Lehava), non ha esitato ad affermare che la legge ebraica propugna di distruggere gli idolatri nella terra di Israele e, di conseguenza, chiese e moschee possono essere incendiate”.
No ad affermazioni che incitano all’odio
Queste affermazioni, arrivate “dopo preoccupanti atti di vandalismo contro i luoghi santi in Israele, sono inaccettabili per l’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra santa. Esse incitano all’odio e rappresentano una vera e propria minaccia per gli edifici di culto cristiani nel Paese”. L’ultimo episodio vandalico, in ordine di tempo, è l’incendio alla Chiesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabgha. Ma in precedenza vi sono stati tentativi di incendio e vandalismi verso il “Cenacolino”, la Basilica dell’Annunciazione a Nazareth e altri.
Garantire una reale tutela dei cittadini cristiani in Terra Santa
L’Aocts chiede dunque alle autorità israeliane di “garantire una reale tutela dei cittadini cristiani di questo Paese e dei loro luoghi di culto”. Gopstein, nel suo discorso, si è detto “a favore dell’incendio di chiese” e ha aggiunto di essere disposto, per questo, a finire in carcere, poiché la legge religiosa stabilisce di “abbattere gli idoli”. (I.P.)
Zambia: appello dei vescovi a una maggiore libertà di stampa
In Zambia, la Conferenza episcopale ha aderito ad una coalizione di 23 organizzazioni civili che si battono in favore della libertà di espressione e di stampa e per una revisione dell’attuale normativa a tale riguardo. In particolare, le associazioni rappresentanti della società civile hanno chiesto un riesame di alcune leggi che ostacolano la libera diffusione dell’informazione a livello mediatico, assieme alla cancellazione di alcuni elementi del Codice penale e del Codice di procedura penale: risalenti all’epoca coloniale britannica, tali elementi risultano oggi anacronistici perché particolarmente repressivi nei confronti della libertà di stampa.
La Chiesa cattolica vuole un Paese libero di esprimersi
“La Chiesa cattolica – afferma padre Freeborn Kibombwe, membro della Conferenza episcopale locale (Zec) – vuole vedere un Paese in cui la popolazione possa essere libera di esprimersi”. Per non penalizzare la libertà di parola, dunque, “è necessario avviare una campagna di sensibilizzazione, per cercare di sollecitare il governo su questo punto”.
No a intimidazioni e minacce contro chi critica il governo
Da ricordare che già nel 2013 i vescovi del Paese avevano lanciato un appello al governo per l’approvazione di una nuova Costituzione in cui venisse garantita “la libertà di espressione, di associazione e di coscienza”. “Il governo – affermavano due anni fa i presuli – ha l’imprescindibile obbligo di promuovere e rispettare i diritti umani dei cittadini”. “La situazione dei diritti umani nel Paese – sottolineava infine la Zec – si sta deteriorando in maniera preoccupante”, a causa “dell’uso arbitrario del potere da parte di esponenti governativi, di intimidazioni e minacce contro chiunque non sia filogovernativo, deportazioni di sacerdoti cattolici che, nelle loro omelie, criticano il governo”.
L’impegno della Chiesa nel settore dei media
D’altronde, l’impegno della Chiesa zambiana nel settore dell’informazione è notevole, anche grazie all’operato del "Catholic Media Services", l’organismo episcopale che coordina i vari media cattolici presenti sul territorio e promuove le nuove tecnologie della comunicazione in tutte le diocesi locali. Tra gli enti più rilevanti, si segnala la casa di produzione Catholic Media Services Television Production Studios. Inoltre, la Chiesa in Zambia può contare su sette emittenti radiofoniche, cinque diocesane e due religiose, tra cui la “Chikuni Radio” gestita dalla Compagnia di Gesù. (I.P.)
Caritas Svizzera aiuta le vittime delle inondazioni in Asia
Ammontano a 200 mila franchi svizzeri, pari a circa 185 mila euro, gli aiuti che la Caritas Svizzera ha devoluto alle vittime delle inondazioni nell’Asia sudorientale. Myanmar, India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Vietnam i Paesi più colpiti dalle piogge monsoniche che hanno provocato centinaia di vittime e migliaia di sfollati, oltre alla distruzione di numerose infrastrutture e di vaste coltivazioni agricole.
Risposta concreta all’appello delle Chiese locali
La rete internazionale della Caritas si è attivata subito per portare i primi aiuti a questi Paesi, distribuendo alle vittime i beni di prima necessità, quali viveri, acqua potabile, kit per l’igiene personale. Contestualmente, l’organismo di aiuti della Chiesa cattolica ha fornito anche alloggi provvisori gli sfollati. Nei giorni scorsi, le Chiese locali avevano lanciato numerosi appelli: in particolare, il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, in Myanmar – Paese in cui le vittime delle inondazioni sfiorano il milione – aveva sottolineato che “il livello di devastazione è altissimo: in regioni del Paese in cui la povertà è cronica, gli indigenti hanno perso davvero tutto e sono diventati rifugiati”. (I.P.)
Kenya: l’importanza della Chiesa nella salvaguardia del Creato
La Chiesa cattolica in Kenya deve giocare il suo ruolo nella salvaguardia del Creato: questa l’esortazione emersa, nei giorni scorsi, da un convegno sulla "Laudato si’", l’Enciclica di Papa Francesco sulla cura della Casa comune, svoltosi a Nairobi presso l’Università cattolica dell’Africa orientale (Cuea). Organizzato dal Centro per l’etica e la giustizia sociale dell’Ateneo, l’incontro ha visto la presenza di mons. Charles Odira, responsabile della Commissione episcopale per la Pastorale e l’apostolato laico. “Il lavoro pastorale e l’evangelizzazione – ha detto mons. Odira – non implicano solo il parlare di Dio, ma anche il partecipare attivamente alla tutela delle grandi opere che Dio ha fatto per noi, perché si può parlare del Signore solo attraverso la sua Creazione”.
La Chiesa ha i numeri per promuovere la tutela dell’ambiente
In quest’ottica, ha spiegato il presule, la "Laudato si’" è stata scritta “per modificare la scarsa attenzione che molte persone hanno nei confronti dell’ambiente”. “Sacerdoti, religiosi e laici – ha sottolineato ancora mons. Odira – tutti hanno l’opportunità di mettere in pratica i suggerimenti presenti nell’Enciclica”, tanto più che “la Chiesa ha la possibilità di farlo: in Kenya, i cattolici sono circa 12 milioni, sono presenti numerose istituzioni religiose che possono ‘fare rete’ con altri gruppi ecumenici e le lettere pastorali scritte dai vescovi hanno una notevole risonanza, così come le loro omelie domenicali o i sussidi catechetici diffusi dalla Conferenza episcopale”. In questo modo, ha concluso il vescovo, “si potrà portare all’attenzione degli organismi istituzionali la bellezza del messaggio pontificio”.
I cristiani siano custodi della terra
Dal convegno è emerso anche il richiamo alla responsabilità che i cristiani hanno ricevuto da Dio ad essere “custodi della terra”. In questo senso, si è esortato ad adottare quanto prima “un’ecologia umana ed a fare attenzione a quegli elementi culturali che stanno provocando la distruzione del pianeta”. Di qui, il richiamo anche ad un maggior dialogo Stato-Chiesa a tutti i livelli.
Crisi ecologica è crisi spirituale
Infine, mons. Juvenalis Baitu, docente presso la Cuea, ha evidenziato come “la crisi ecologica sia essenzialmente una crisi spirituale” da risolvere attraverso “uno spirito di comprensione reciproca tra cristiani e non cristiani”. “Dobbiamo restare uniti – ha concluso mons. Baitu – superando la divisione tra i gruppi della Chiesa e le istituzioni della società civile”. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 223