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Sommario del 10/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco istituisce la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato

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Una Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, da celebrarsi ogni anno il primo settembre: è quanto ha istituito oggi Papa Francesco, con una lettera inviata ai cardinali Peter Turkson e Kurt Koch, presidenti – rispettivamente – dei Pontifici Consigli “Giustizia e pace” e “Unità dei cristiani”. La Giornata ha un carattere ecumenico poiché, nella stessa data, viene celebrata anche dalla Chiesa Ortodossa. Il servizio di Isabella Piro: 

La Giornata, frutto dell’Enciclica Laudato si’
Cattolici ed ortodossi insieme, in preghiera, per la cura del Creato: la Giornata mondiale istituita da Papa Francesco guarda molto all’aspetto ecumenico. E non è un caso che la lettera pontificia si apra citando i contributi del Patriarca Bartolomeo e del Metropolita Ioannis alla Laudato si’. In un certo senso, quindi, si potrebbe quasi dire che questa Giornata è una conseguenza naturale dell’Enciclica pontificia.

I cristiani sono chiamati ad una conversione ecologica
Papa Francesco parla di “passione per la cura del Creato”, alimentata dal “ricco patrimonio spirituale” cristiano. Ed è per questo che i cristiani, in quanto tali, vogliono “offrire il loro contributo al superamento della crisi ecologica che l’umanità sta vivendo”. Riprendendo alcuni spunti dell’Enciclica, il Pontefice ricorda che “la spiritualità non è disgiunta dalla natura, ma piuttosto vive in comunione con essa”. Di qui, l’esortazione ad una vera e propria “conversione ecologica” a cui i cristiani sono chiamati, perché “vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale” di una vita virtuosa. Essenziale, scrive il Papa, e non “opzionale o secondaria”, nell’esperienza cristiana.

Invocare misericordia di Dio per i peccati commessi contro la natura
In quest’ottica – sottolinea il Pontefice – la Giornata diventa, per i credenti e le comunità, “una preziosa opportunità” per rinnovare la propria vocazione di “custodi del Creato”, per ringraziare Dio per la sua “opera meravigliosa” affidata all’uomo e, soprattutto, per invocare “la sua misericordia per i peccati commessi contro il mondo in cui viviamo”. Celebrare, inoltre, tale iniziativa in contemporanea con la Chiesa Ortodossa, “sarà un’occasione proficua per testimoniare la crescente comunione” tra i cristiani.

Necessaria risposta comune dei cristiani per essere credibili ed efficaci
E qui il Papa fa una sottolineatura importante: “In un tempo in cui i cristiani affrontano sfide identiche ed importanti”, è necessario “dare risposte comuni, per risultare più credibili ed efficaci”. L’auspicio, quindi, è che la Giornata possa coinvolgere anche altre Chiese ed essere celebrata “in sintonia con le iniziative” promosse dal Consiglio ecumenico delle Chiese.

Celebrazione da promuovere a livello internazionale ed ecumenico
Quindi, Papa Francesco si rivolge espressamente ai cardinali Turkson e Koch: al primo, viene richiesto di promuovere la Giornata non solo a livello ecclesiale, ma anche tra gli Organismi nazionali ed internazionali, impegnati in ambito ecologico, attuando “opportune iniziative” affinché “questa celebrazione annuale sia un momento forte di preghiera, riflessione, conversione ed assunzione di stili di vita concreti”. Al card. Koch, invece, il compito di prendere contatti con le realtà ecumeniche, così che tale iniziativa “possa diventare segno di un cammino percorso insieme da tutti i credenti in Cristo”.

San Francesco, modello ispiratore di una vita rispettosa del Creato
La lettera si conclude con l’invocazione a Maria, Madre di Dio, e a San Francesco d’Assisi il cui “Cantico delle Creature – scrive il Papa – ispira tanti uomini e donne di buona volontà a vivere nella lode del Creatore e nel rispetto del Creato”. Infine, da ricordare che il primo settembre ricorre anche la Giornata per la custodia del Creato, promossa dalla Conferenza episcopale italiana: giunta alla 10.ma edizione, quest’anno essa ha per tema “Un umano rinnovato, per abitare la terra”.

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Papa ai giovani ad Avila: no a vita mediocre, puntare ad amicizia con Gesù

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Papa Francesco ha inviato ieri un messaggio agli oltre 6mila ragazzi riuniti ad Avila, in Spagna, in occasione della Messa che ha chiuso l'Incontro europeo dei giovani nel quinto centenario della nascita di Santa Teresa d’Avila. Il Pontefice li esorta a “non conformarsi a una vita mediocre e senza aspirazioni”, ma a impegnarsi “a crescere in una profonda vita di amicizia con Cristo, a prendere coscienza ogni giorno di più del dono immenso ricevuto nel Battesimo e nella Cresima, che ci spinge a portare l’amore di Cristo ai nostri fratelli”. Francesco sottolinea che la nota espressione di Santa Teresa “in tempi duri, amici forti di Dio” ha “una risonanza speciale quando si rivolge ai giovani e al loro anelito di verità, bontà e bellezza”.

Nel messaggio, inviato al cardinale Ricardo Blazquez Perez, arcivescovo di Valladolid, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Papa invita i giovani a “crescere, approfondire e dare testimonianza della loro fede e del loro amore verso la Chiesa” e “per i fratelli”, seguendo “l’esempio e l’insegnamento di Santa Teresa di Gesù”.

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Nomine di Papa Francesco

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In Venezuela, Francesco ha nominato Vescovo di Acarigua-Araure (Venezuela) il rev.do Juan Carlos Bravo Salazar, del clero della diocesi di Ciudad Guayana, finora Parroco di Nuestra Señora de Belén in Guasipati.

Il Papa ha nominato il card. Sean Patrick O’Malley, O.F.M. Cap., arcivescovo di Boston, Suo Inviato Speciale alla cerimonia del 450° anniversario della celebrazione della prima Santa Messa, fondazionale, della città di St. Augustine (Florida, USA), che si terrà nella città omonima l’8 settembre 2015.

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Mons. Ruiz: Francesco porta la tenerezza di Dio anche nei Social Network

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Qual è il contributo che Papa Francesco sta offrendo agli "abitanti" dei Social Network e quale sfida pone alla Chiesa la cultura digitale? Sono alcuni dei temi affrontati, nell’intervista di Alessandro Gisotti, da mons. Lucio Adrian Ruiz, capo ufficio del Servizio Internet Vaticano e segretario della Segreteria per la Comunicazione, istituita dal Pontefice a fine giugno. Mons. Ruiz inizia la sua riflessione soffermandosi sull’iscrizione di Papa Francesco alla Gmg di Cracovia, utilizzando un tablet, avvenuta all'Angelus del 26 luglio scorso: 

R. – L’iscrizione del Santo Padre, col tablet, all’Angelus, penso che sia stato un momento molto, molto bello per tutti e penso che il valore - in un primo pensiero – sia doppio. Il primo è questo messaggio del Santo Padre di dire ai giovani del mondo: “Ragazzi, il cammino della Gmg è iniziato, quindi preparatevi e cominciamo a camminare assieme verso la Gmg”. Quindi la Gmg non è un qualcosa che sarà l’anno prossimo o che si terrà in un qualche momento del futuro: è un processo che ha bisogno di una preparazione  non solo organizzativa, ma pure del cuore. Quindi avviamoci verso Cracovia in maniera che non soltanto l’organizzazione sia pronta, ma che il cuore sia pronto a vivere un momento così importante. Questa è la prima valenza di un messaggio così forte, in cui il Papa si presenta e si iscrive per primo: invitare tutti i giovani ad iscriversi, ma ad iscriversi piuttosto con il cuore. L’altro è che ha parlato a loro nel loro linguaggio. Non lo ha detto soltanto a parole, ma ha fatto questa iscrizione col tablet, toccando il tablet e lanciando la procedura di iscrizione. Lui stesso ha concluso dicendo: “Ecco, mi sono iscritto!”. Ha parlato loro nel loro linguaggio e questo loro lo hanno capito e infatti le iscrizioni sono cominciate ad arrivare da subito: pochi minuti dopo l’iscrizione del Santo Padre ci sono state migliaia di iscrizioni da parte dei giovani. Quindi lui ha parlato nel loro linguaggio e loro lo hanno capito e hanno sentito questo invito del Santo Padre. E’ stato un dialogo tra il Santo Padre e i giovani del mondo: un dialogo fatto da un piccolo gesto, ma un dialogo che si è stabilito e che ha prodotto i frutti.

D. – Papa Francesco si è definito un “bisnonno” rispetto alla cultura digitale, eppure i suoi gesti e le sue parole hanno un grande seguito sui social network. Come spiega questo successo?

R. – Lui dice sempre che non sa usare la tecnologia e, infatti, lui non usa la tecnologia. In un certo modo, però, neanche i giovani supertecnologici “usano” la tecnologia. Perché? Perché la tecnologia serve loro per “comunicarsi”: se uno li guarda, li osserva nell’utilizzo dei dispositivi, i giovani non sono attaccati ad un pezzo di elettronica, quello che stanno cercando è una comunicazione, è condividere una foto, condividere un momento, raccontare di eventi e di momenti vissuti. Sono quindi in una dinamica di comunicazione che oltrepassa fortemente il dispositivo in se stesso. In qualche maniera neanche loro usano la tecnologia: usano uno strumento per comunicare. Per questo si realizzata questo dialogo, perché, in un modo o nell’altro, vanno oltre la tecnologia ed entrano in dialogo. Questo è il punto importante e fondamentale: c’è un dialogo fra persone, che si vogliono parlare e che si vogliono ascoltare. Quindi il dialogo si stabilisce. Il Papa parla ad un uomo che conosce, ad un uomo contemporaneo; un uomo che è tecnologico, perché nella nostra vita di tutti i giorni – il telefono, il computer… - e nella nostra cultura c’è la digitalità e la tecnologia normalmente. E lui conosce questo uomo: non conosce la tecnologia, però conosce l’uomo e quindi amando e conoscendo questo uomo, gli parla e questo uomo recepisce il messaggio.

D. – L’account twitter del Papa @Pontifex oggi ha oltre 22 milioni di follower. Si vede come la scelta di Papa Benedetto sia stata lungimirante, anche se all’inizio non da tutti apprezzata. Secondo lei, c’è anche un invito ai fedeli, in queste scelte innovative, a volte anche controcorrente da parte dei Papi, a non avere paura delle nuove tecnologie e soprattutto delle tecnologie di comunicazione?

R. – Io penso che la questione sia un po’ più profonda, nel senso che il messaggio dell’Incarnazione – Cristo che si fa uomo e quindi Cristo che entra nella cultura dell’uomo – è stata la sfida per tutti i cristiani di tutte le epoche. Vivere la fede nella cultura di ognuno, in qualsiasi epoca e in qualsiasi luogo, è una sfida per tutti. Quindi l’invito a vivere veramente l’umanità, a vivere quindi una cultura come cristiani è qualcosa che sfida tutti noi, è qualcosa cui siamo stati invitati da tutti i Papi in tutta la storia: scappare dalla cultura e non vivere l’Incarnazione fino in fondo è una tentazione, è una realtà che ci tocca tutti quanti. Questo, che è valido per tutta la cultura, per tutta la storia della Chiesa, si fa oggi nella cultura digitale. Quindi il non aver paura delle nuove tecnologie e il modo di dire lo stesso che si è detto nella storia lo viviamo nella nostra cultura e questa cultura è fortemente marcata, l’impronta di questa cultura è la digitalità, è la tecnologia. Da parte nostra, quindi, la sfida di poter cogliere questa realtà in maniera che non ci sia il digital divide, una divisione cioè fra coloro che usano la tecnologia – quindi vivono la propria cultura – e coloro che non vogliono saperne assolutamente niente: sono due culture parallele che non si parlano. Questo è l’invito: poter cogliere la sfida culturale e viverla.

D. – Spesso si sente dire che Internet ha bisogno di un’anima, che non è solo una rete di fili elettronici. Qual è il contributo che, secondo lei, Papa Francesco sta dando in questa direzione agli abitanti del cosiddetto “continente digitale”?

R. – Fondamentalmente il Papa ha riempito il network con la sua tenerezza, con la sua parola di misericordia, di amore, di incontro con un Gesù-Misericordia e che lui manifesta in tante realtà che la digitalità può trasportare immediatamente, come le sue carezze, il suo abbraccio, il suo sguardo, colti - per esempio - dalle foto. Le cose che si trasmettono digitalmente riescono a far arrivare questa tenerezza fino agli estremi confini del mondo. Possiamo vedere come la gente che può vedere solo a distanza – perché sono malati, perché sono poveri, perché non possono muoversi ed arrivare fino a Piazza San Pietro per conoscere Papa Francesco – dal proprio letto, dalla propria sedia a rotelle, dalla propria realtà lontana, dalla propria limitazione possono vivere e godere di una tenerezza, di una misericordia, di un messaggio così profondo come quello che trasmette Papa Francesco. E’ un utilizzo tecnologico la digitalità, però quello che sta generando in realtà è un incontro personale e profondissimo. Ricordo nel mio ultimo viaggio in Argentina, quando sono andato a visitare gli ammalati negli ospedali, portavo foto di Papa Francesco, che benediceva gli ammalati, li abbracciava. Mi colpiva fortemente il fatto che i malati prendessero queste foto e le portassero subito al cuore; tanti piangevano perché sentivano probabilmente questa tenerezza che li abbracciava: il Papa abbraccia un malato in Piazza San Pietro, ma la foto era così coinvolgente, era un messaggio così forte che – senza dire niente – sentivano pure loro questo abbraccio, questa benedizione, questa tenerezza, questa misericordia… Qual è il contributo di Papa Francesco? La tenerezza e la misericordia, che nelle piccole frasi del tweet, del messaggio, del videomessaggio, della foto o di qualunque cosa sia riesce veramente a trasmettere in un mondo così solo, così sofferente il messaggio di amore di Gesù in gesti semplicissimi, che i mezzi digitali riescono a cogliere, riescono a trasmettere e dall’altra parte dell’universo la gente riesce a cogliere.

D. – Giusto 20 anni fa, nel 1995, Giovanni Paolo II faceva aprire il sito web del Vaticano: una scelta pioneristica all’epoca. Per esempio la Camera dei Deputati, in Italia, farà questa scelta solo alla fine degli anni Novanta. Qual è oggi, secondo lei, l’eredità che raccogliamo di quella scelta di Papa Wojtyla?

R. – Credo che questa scelta si inscriva in un contesto molto più grande, che è il contesto della Chiesa lungo tutti i secoli. La Chiesa ha sempre accompagnato la cultura e ha utilizzato i grandi fenomeni culturali per trasmettere il Vangelo, per trasmettere la persona di Gesù, per generare un incontro della persona con il Signore. Questo lo vediamo nella scrittura, nella pittura; lo vediamo nella musica, lo vediamo nella stampa, nella radio: la Chiesa ha sempre preso questi movimenti culturali profondi e li ha utilizzati sin da subito. Non è quindi un fenomeno estraneo alla vita della Chiesa. Nel ’95, l’anno più o meno della nascita del World Wide Web, stava nascendo un fenomeno culturale così importante di diffusione della realtà, di collegamento del mondo e del movimento culturale internazionale, se lì c’era l’uomo non poteva certo mancare la Chiesa. Quindi anche se con una pagina semplice - come nacque appunto nel 1995, il 25 dicembre - lì la Chiesa era presente! E’ stata una scelta che si inscrive nelle grandi scelte culturali della Chiesa lungo i secoli. Lì si fa presente nuovamente, in questo passo culturale del mondo, la Chiesa proprio aprendo questo sito, che oggi - celebreremo il prossimo dicembre 20 anni di vita – presenta una ricchezza per la Chiesa universale per tutto il Magistero sia del Papa attuale che, pian piano, cercando di collocarci dentro il Magistero di tutti i Papi, da Pietro fino ad oggi. Certo, sarà un lavoro di tutta una vita, ma pian pianino stiamo cercando di mettere un grande punto che offre a tutta la Chiesa universale il Magistero della Chiesa, in maniera che tutti possano conoscere che qui la Sede Apostolica offre alla Chiesa un punto dove vedere i diversi Papi, il Magistero; come si evolve, come cresce e come insegna la Chiesa lungo il passare dei secoli.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Papa Francesco istituisce la giornata mondiale di preghiera per la cura del creato.

Con la guerra si perde sempre: all'Angelus il monito del Pontefice in ricordo dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

Quei carri per i poveri: Sandra Isetta su san Lorenzo tra agiografia omiletica e liturgia.

Stanchi di guardare al passato: Claire Barraut sulla rivoluzione delle avanguardie in mostra a Monaco.

La scoperta di Hemingway: Claudio Toscani recensisce "Vita in famiglia" dello scrittore indiano Akhil Sharma.

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Oggi in Primo Piano



Galantino: Chiesa italiana a sostegno dei profughi cristiani

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Il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha concluso la sua missione in Giordania, compiuta a nome di tutti i vescovi italiani. Qui ha incontrato i tanti cristiani fuggiti dall’Iraq un anno fa, a causa dell’avanzata dei jihadisti dello Stato Islamico, e accolti nei campi profughi del Regno Hashemita. Il presule ha portato il saluto e il messaggio del Papa in cui Francesco esprime la concreta vicinanza di tutta la Chiesa ai fratelli perseguitati. Ascoltiamo la testimonianza di mons. Galantino al microfono di Antonella Palermo

R. – La Chiesa che sta accogliendo – sia quella del Kurdistan iracheno di Erbil sia quella di Amman – ha sentito particolarmente vicina la Chiesa italiana, e l’ha sentita attraverso l’interesse, attraverso la preghiera, attraverso le presenza, ma soprattutto, in maniera concreta, attraverso quello che è arrivato a queste Chiese per aiutare i profughi con le offerte dell’8 per mille. Sapete che parte dell’8 per mille viene impiegato – una buona parte – proprio per interventi urgenti di emergenza, ma anche di promozione e di carità continua. Questa Chiesa ha sentito, quindi, la Chiesa italiana, i vescovi italiani, vicini, e ha voluto che fossimo presenti, attraverso la mia persona,  a questa straordinaria celebrazione che c’è stata. Immaginate che insieme a tutti i patriarchi, alle altre Chiese cristiane, anche di confessioni diverse, c’erano tremila profughi, venuti lì per pregare insieme, per ascoltare e presentare insieme le loro parole di ringraziamento al Santo Padre che, come sapete, attraverso di me ha mandato un messaggio molto, molto intenso.

D. – Che emozioni ha provato in questa prossimità così forte verso di loro?

R. – L’atteggiamento con il quale io sono andato lì non è stato l’atteggiamento di chi andava per dare: sono andato lì con l’atteggiamento di chi riceve; sono andato lì per dire grazie a nome mio, ma a nome un po’ di tutti: grazie a questi uomini, a queste donne, a questi giovani, tantissimi giovani, che per non tradire Gesù, per non tradire il Vangelo, hanno lasciato veramente tutto. Sono andato lì per dire grazie: “Grazie per la vostra testimonianza; grazie perché ci avete fatto capire cosa significhino certe frasi del Vangelo, quando si parla di uomini che hanno lasciato tutto per seguire Gesù”. Io queste parole le ho sentite da un papà che ha detto proprio questo: “Noi abbiamo lasciato tutto per non tradire Gesù”. E mi veniva in mente il modo in cui tante volte questa espressione viene da noi banalizzata; quante volte noi diciamo che abbiamo lasciato tutto per farci preti, suore, per una vocazione particolare, e poi un poco alla volta ci riprendiamo quel tutto che abbiamo dato. Quindi, innanzitutto sono andato lì per dire “grazie, grazie per questa testimonianza seria, profonda, sofferta che ci date”. E poi, sicuramente, sono stato colpito dalla serietà con la quale la Chiesa di Giordania, in questo caso, ma lo scorso anno, quando sono stato ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, anche queste Chiese locali, aiutate evidentemente da altre Chiese, stanno vivendo quell’altro richiamo forte del Vangelo ad accogliere gli immigrati, ad accogliere coloro i quali vengono perseguitati. E qui, guardate, sono persone che sono state perseguitate. L’altra mattina ero in un centro Caritas e ascoltavo la testimonianza  di un papà con le sue tre bambine, che ha dovuto lasciare tutto, ma soprattutto ha dovuto vedere – e da questo non si stava riprendendo più – la pistola di un esponente dell’Is puntata sulla tempia della propria bambina. Per fortuna poi questa bambina è stata risparmiata, ma evidentemente quest’uomo è stato così toccato da non riuscire ancora a riprendersi.

D. – Come sta reggendo questo Paese, la Giordania, di fronte all’ondata massiccia di questi profughi?

R. – Anche qui, io penso che noi come italiani dovremmo un poco di più imparare a distinguere il percepire dal reale. Cosa intendo dire? Noi qui sentiamo dire e sentiamo parlare di “insopportabilità” del numero di richiedenti asilo: guardate, questo – secondo me – è un atteggiamento che viene, in questi giorni, purtroppo alimentato da questi quattro “piazzisti” da quattro soldi che pur di prendere voti, di raccattare voti, dicono cose straordinariamente insulse! Capisco, lo so. Lo so che l’accoglienza è faticosa; lo so che è difficile aprire le proprie case, aprire il proprio cuore, aprire le proprie realtà all’accoglienza. La Giordania ha una popolazione che è di circa 6 milioni, 6 milioni e mezzo, ma sapete che lì ci sono due milioni e mezzo di profughi che vengono accolti? Allora io penso che quello che distingue la Giordania, il Kurdistan iracheno e le altre zone che stanno accogliendo i profughi in questo momento dall’Italia, da noi è questo: non perché loro hanno più mezzi, probabilmente hanno solo un cuore un poco più grande; probabilmente vogliono veramente mettere vita con vita con queste persone. E soprattutto – ripeto – questa attenzione che da noi ahimé manca, questa attenzione ai perseguitati cristiani e yazidi, minoranze che hanno fatto la storia del Medio Oriente.

D. – Che cosa ci può dire a proposito del ritorno a scuola di molti rifugiati iracheni?

R. – Sì, questa è stata una scelta precisa fatta dalla Conferenza episcopale italiana, accogliendo una richiesta che ci è venuta in questi giorni. Non ci abbiamo messo molto tempo, grazie a Dio! Ci abbiamo messo meno di 24 ore per decidere: grazie alla solerzia, all’attenzione e alla sensibilità del nostro presidente, il cardinale Angelo Bagnasco. Ricordo di avergli telefonato mentre ero in Nunziatura, con i responsabili Caritas, e dove stavamo vedendo, insieme, cosa concretamente poteva ridare speranza a questa persone in quel momento particolare. Ho subito telefonato al presidente, il quale non ha avuto alcun dubbio e mi ha detto: “Sì! Partiamo subito, appena puoi annunzialo!”. E l’altra sera, durante quell’incontro di preghiera con i 3 mila profughi volevo far vedere l’entusiasmo, la gioia. Perché? Perché, sapete, questi bambini, questi ragazzi, questi giovani, per un anno non sono andati a scuola: dovevano stare lì, chiusi, in quei 2-3 metri che erano a loro disposizione per tutta la loro famiglia. Quindi capite l’angoscia, capite la frustrazione, capite anche l’impossibilità di guardare in avanti. Allora la Chiesa italiana è riuscita, attraverso l’8 per mille. E quindi come dicevo all’inizio non sono i vescovi o non sono soltanto i vescovi, ma tutti coloro i quali hanno firmato per destinare alla Chiesa cattolica l’8 per mille, l’altra sera, erano presenti con me, per guardare in faccia queste famiglie, per guardare in faccia questi ragazzi, guardare in faccia questi giovani. Ne ricordo una che piangeva, perché doveva sostenere ancora due esami per laurearsi e ha dovuto lasciare tutto … Quella sera, l’altra sera, insieme a me, c’eravate tutti voi, c’erano tutti coloro che hanno firmato per dire a queste persone: “Noi concretamente vi stiamo vicini!”. Dal 1° settembre 1.400 tra bambini, ragazzi e giovani torneranno a scuola: andranno nelle scuole del Patriarcato, nelle scuole anche dello Stato e a pagare i professori, a pagare le strutture, sarà l’8 per mille della Chiesa cattolica italiana.

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P. Neuhaus: cattolici di lingua ebraica, ponte di riconciliazione

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A 60 anni dalla fondazione dell’Opera di San Giacomo per i cattolici di lingua ebraica in terra israeliana, il responsabile, padre David Neuhaus, ha pubblicato una lettera pastorale in cui ribadisce l’importanza di aver fatto rinascere la comunità ebraico-cristiana nello Stato di Israele, costituita da migliaia di cristiani immigrati dopo il 1948, da ebrei "che avevano incontro Cristo e lo avevano riconosciuto come Messia e Signore", e anche da cristiani membri di famiglie ebraiche. Ascoltiamo padre Neuhaus al microfono di Francesca Sabatinelli

R. - Ci sono tantissimi cattolici che vivono nella società ebraica come ebrei e vogliono continuare a pregare nella Chiesa cattolica, ma certamente la lingua comune adesso, la lingua per quasi tutti questi migranti è l’ebraico, quindi questa è stata la sfida di trovare il modo di pregare, pensare, parlare, come cattolici che usano per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica la lingua ebraica. Adesso facciamo un lavoro di Chiesa in un ambiente dove gli ebrei sono la maggioranza e noi come piccolissima minoranza cattolica, ma con il dialogo nel cuore di provare a trovare il cammino di riconciliazione con gli ebrei. Abbiamo la libertà di fare questo lavoro, abbiamo la libertà nello Stato di Israele, abbiamo il sostegno della Chiesa locale e universale, è una cosa per la quale dobbiamo ringraziare Dio, il Concilio, dono del Santo Papa Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI, le visite dei Papi che sono venuti qui, per tutto questo vogliamo dire grazie a Dio e a tutti.

D. – Lei ha descritto nella lettera pastorale la vostra vocazione ad essere ponte in un contesto molto difficile, lacerato dal conflitto…

R. – Io spero che noi troviamo il modo di essere ponte, ma ponte fra gli ebrei e i cristiani, che hanno un passato durissimo, ma anche con i nostri fratelli qui, che sono i palestinesi arabo-cristiani, che sono adesso arabofoni e sono nostri fratelli: qui ci sono muri a causa della situazione politica e storica nel Paese, dove c’è una ferita molto profonda di animosità fra arabofoni e quelli di lingua ebraica, noi dobbiamo trovare il modo di dire che siamo un corpo di Cristo con i nostri fratelli arabofoni. Noi siamo chiamati ad essere una Chiesa unita, una, abbiamo la vocazione di parlare forte sulla pace, sulla giustizia, sulla riconciliazione fra il mondo arabo e questo mondo israeliano. Non è facile, perché ci sono tantissimi che vogliono la violenza, la guerra, e non pensano alla riconciliazione, noi che parliamo ebraico dobbiamo dare questa testimonianza al cuore della società ebraica: essere con gli ebrei, per gli ebrei, ma anche discepoli di Cristo che annunciano chiaramente pace, giustizia, riconciliazione, non c’è un altro cammino. Facciamo questo in comunione profonda con i nostri confratelli cristiani arabofoni che dicono la stessa cosa nella società palestinese e nel mondo arabo.

D. – Uno dei punti della sua lettera riguarda l’importanza della trasmissione della fede alle nuove generazioni, questa è quella che lei sottolinea essere una delle sfide più importanti e che si trova a confrontarsi con un pericoloso fenomeno in atto che riguarda, che tocca, i giovani cattolici…

R. – Loro si convertono all’ebraismo non per essere ebrei religiosi, ma per fare parte della maggioranza. Quindi il problema maggiore non è un passaggio da un cristianesimo praticato ad un ebraismo ortodosso, è più la questione di un ragazzo che è cristiano, che è nato in una famiglia dove la fede c’è, e che entra profondamente, per mezzo della scuola, dell’esercito, della vita sociale, nella società ebraica laica. Per essere parte piena di questa società lui passa per una conversione, e questo succede molto spesso nell’esercito. La maggioranza dei nostri giovani vengono da famiglie di origine russofona, della Polonia, delle Filippine, e sono qui tentati di diventare ebrei perché è più facile, ma ci sono questioni molto più importanti di questa discriminazione: per esempio con chi si sposeranno i nostri giovani? C’è sempre la grande questione aperta dei matrimoni misti. La società israeliana un po’ più liberale, aperta, laica, e sottolineo laica, è una società che ha le sue linee rosse, e una di queste linee è che qualcuno che intende far parte piena di questa società deve diventare in qualsiasi modo ebreo come noi siamo ebrei.

D. – Gli ordinari cattolici della Terra Santa hanno denunciato un rabbino estremista che qualche giorno fa ha spinto in pubblico a bruciare chiese e moschee. Questo è un gravissimo segno di intolleranza nei  confronti delle minoranze religiose del Paese…

R. – Credo che sia importante che lo Stato prenda misure contro una persona che parla apertamente così. Sono stati fatti più di 40 attacchi gravi a chiese e moschee. Noi, come ordinari della Terra Santa, speriamo che ci sia un vero cambiamento nell’istruzione specialmente nelle scuole religiose ebraiche. Devono cambiare l’insegnamento su chi è un cristiano, chi è un musulmano, dire che fanno parte integrante della società, e che sono cittadini con eguali diritti. 

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Grecia: accordo in vista con Bce e Fmi per la soluzione della crisi

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Sono in corso trattative tra Atene, Banca Centrale Europea (Bce), Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e cosiddetto Fondo Salvastati (Esm). Obiettivo: il raggiungimento di un sempre più probabile accordo entro il 20 agosto, quando il Paese ellenico dovrà restituire alla Bce una tranche di quasi 3 miliardi e mezzo di euro, a fronte dell’avvio degli aiuti ad Atene per 86 miliardi. Sulle prospettive che si aprirebbero grazie a quest’intesa Giancarlo La Vella ha intervistato Carlo Altomonte, docente all’Università Bocconi di Milano, di Politica Economica Europea: 

R. – Sicuramente è un passaggio fondamentale per iniziare il percorso di riforme che serve alla Grecia per uscire dagli ultimi sei “disgraziati” mesi di gestione, che hanno fatto fare notevoli passi indietro. Alla fine dell’anno scorso la Grecia cresceva di quasi due punti e mezzo, aveva un avanzo primario e le banche erano più ricche di circa 100 miliardi di euro di depositi. Invece, ora siamo di nuovo in recessione, le banche vanno di nuovo salvate e probabilmente non abbiamo ancora una contezza del deficit di bilancio greco. Quindi, questo è sicuramente un passaggio fondamentale per interrompere la spirale negativa del Paese. Bisogna evidentemente poi capire se questo accordo consentirà di fare il passo avanti che serve alla Grecia per uscire definitivamente dalla crisi.

D. – In questi mesi quanto la crisi greca ha influito sull’andamento economico dell’intera Europa?

R. – Secondo me tanto, perché quello che noi ci aspettavamo dall’intervento della Bce è che questo generasse un “effetto ricchezza”, anche in termini di aspettative dei consumatori, e quindi favorisse la ripresa. Tutte queste cose si sono materializzate solo a metà, in quanto c’è sempre lo spettro della crisi greca che teneva più alti del previsto i rendimenti sui titoli di Stato. E, secondo me, è come se l’Europa avesse vissuto una mezza ripresa. La speranza è che, una volta che la crisi greca si sia avviata verso una parziale soluzione, ciò consenta all’Europa almeno quattro-cinque mesi di relativa tranquillità, e quindi anche di ripresa economica dal punto di vista della crescita.

D. - È scongiurato definitivamente il rischio di uscita di Atene dall’Euro?

R. – No, perché il vero punto è il negoziato sul debito, nel senso che il debito greco è chiaramente insostenibile e non ha senso continuare a spendere soldi per mantenere in piedi un servizio di interessi sul debito che nel frattempo soffoca l’economia. Quindi il tema è come si fa a ristrutturare il debito greco; ristrutturarlo però – come noto – è un tema molto delicato e controverso in Germania. Quindi il negoziato, secondo me, tra dicembre e marzo entrerà nel vivo, perché a marzo scade il pacchetto di riforme del Fondo Monetario Internazionale, e quindi da marzo la Grecia sarebbe senza Fmi. Se questo negoziato non avesse luogo, ci troveremmo chiaramente a dover gestire il rischio di una uscita; e il rischio poi per tutta l’Eurozona a quel punto sarebbe politico, non più economico. Ci sarebbe un dissidio di fondo su come si fa a gestire un Paese in crisi dentro l’area Euro, se la Germania non consentisse un’apertura verso la ristrutturazione del debito stesso.

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Turchia, attacchi a Consolato Usa e Commissariato polizia

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Ancora violenze in Turchia: stamattina a Istanbul una bomba è esplosa davanti a un Commissariato di polizia, mentre 2 donne hanno assaltato il Consolato statunitense; incidenti anche nel Sud-Est tra polizia e miliziani del Pkk, nel giorno in cui la Turchia autorizza l’uso della base di Incirlik a 6 caccia statunitensi per i raid internazionali contro il sedicente Stato islamico in Siria. Il governo di Ankara, secondo alcune fonti, accusa il Pkk dell’attentato al Commissariato di polizia e il partito di ispirazione marxista DHKP-C per l'attacco al Consolato. Per un’analisi sulla situazione della Turchia, impegnata sul fronte curdo e su quello jihadista, sentiamo Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera, al microfono di Elvira Ragosta

R. - Ormai nell’ ultimo mese è ripreso questo antico scontro tra curdi e governo centrale turco. Direi che questo è l’elemento principale che dominerà la scena politica del Paese nel prossimo futuro, cioè la fine della tregua e quindi il ritorno dello scontro aperto tra turchi e curdi.

D. - Come salvaguardare la popolazione civile da questi attacchi?

R. - Sarà praticamente impossibile. Siamo di fronte al ritorno della guerra civile che negli ultimi 40 anni, fino a tre anni fa, ha causato oltre 40mila vittime, attentati da ogni parte, destabilizzazione e mi sembra che ora sia questo il trend. La questione per i turchi diventa più complicata perché c’è proprio questa pressione internazionale. La Turchia è un Paese Nato, e i Paesi membri dell’organizzazione, l’Europa, l’Occidente chiedono alla Turchia un politica molto più ferma nei confronti del califfato. La Turchia ha sempre detto che comunque sia, per loro il nemico maggiore rimane il Pkk: se loro dovessero fare un parallelo tra questo e l'Is, per loro il nemico numero uno sarebbe il Pkk. Direi che in questo contesto vanno lette le grandi difficoltà: da una parte la Turchia, che dopo la bomba di Suruc, ha visto un Paese più arrabbiato e più duro contro l’Is e quindi la decisione addirittura di attaccare postazioni del califfato in Siria, ma dall’altra parte queste sue operazioni sono viste come una sorta di copertura, di salvacondotto, che permette ai turchi di riallinearsi con la politica occidentale e nel contempo  usare questo per poter attaccare più duramente il Pkk.

D. - Nel frattempo le violenze in Sira e in Iraq da parte dei jihadisti sono giornaliere e le vittime tantissime. Quanto questa cessione della base di Incirlik, quanto l’invio di F16 statunitensi, con il supporto di 300 militari, potrà servire nella lotta al califfato nei raid della coalizione internazionale?

R. - La coalizione opera già dalla Giordania e dall’Iraq. Quindi ha già delle basi molto vicine alle aree dove opera l’Is. Ma certamente la base di Incirlik, che è la base più importante in quel comprensorio aiuterà molto gli americani, anche perché in Iraq, specialmente ad Erbil le strutture sono molto più piccole. Ma quello che l’Is teme di più è che ad un certo punto gli americani convincano la Turchia ad agire in modo molto più duro con le loro truppe di terra, determinati contro il sedicente Stato silamico. Questo potrebbe essere l’elemento importantissimo.

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Violenza negli Usa: strage a Houston, spari a Ferguson

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Ancora violenza ed ennesima strage negli Stati Uniti. Ieri a Houston, un uomo di 49 anni, con una vita criminale alle spalle, ha ucciso con un fucile la donna con la quale aveva avuto una relazione ed altre sette persone, tra cui cinque bambini. Nella notte, intanto, un uomo ha aperto il fuoco contro la polizia a Ferguson, nel Missouri, durante le manifestazioni per l’anniversario della morte di Michael Brown, il ragazzo afro-americano ucciso un anno fa da un poliziotto. L’uomo è stato ferito a sua volta dagli agenti ed è ora ricoverato in gravi condizioni. I due episodi riportano alla luce gli scontri spesso violenti che coinvolgono le forze dell’ordine e la facilità di accesso alle armi. Il servizio di Michele Raviart: 

La commemorazione si era aperta con quattro minuti e mezzo di silenzio, a simboleggiare le quattro ore e mezza in cui il corpo del giovane Michael Brown era rimasto a terra durante i rilievi della polizia. Poi, poco dopo le undici di sera i primi spari, di provenienza ancora ignota, vicino ai luoghi dei saccheggi e delle proteste dello scorso anno. Un uomo, forse un ragazzo di 18 anni, si è poi avvicinato a quattro agenti in borghese, che si trovavano in un furgone senza insegne della polizia e ha aperto il fuoco, venendo ferito a sua volta. In questo clima si è ricordato l’episodio del 9 agosto del 2014, che aveva acceso i riflettori sui molti afroamericani uccisi dalla polizia, l’ultimo dei quali due giorni fa in Texas. Malgrado gli appelli e la nascita del movimento antidiscriminazione “Black lives matter”, la ferita di Ferguson non sembra essersi ancora rimarginata, come spiege l’americanista Nico Perrone, docente di storia americana all’Università di Bari:

R. - Ma la ferita non si è rimarginata! E non poteva rimarginarsi, perché ci sono delle differenze profonde negli Stati Uniti. Si tratta di una sequela ininterrotta di casi, rispetto ai quali il presidente Obama ha le mani legate. Le armi si possono comprare quasi al supermercato con una straordinaria facilità. Ma anche nella polizia ci sono armamenti da guerra che vengono usati con facilità, o perché qualche agente - qualche comandante di pattuglia - perde la testa, o semplicemente perché c’è una mentalità diffusa che tutto questo consente.

D. – Obama ha dichiarato, anche pubblicamente, di non essere riuscito a fare abbastanza per limitare il commercio delle armi all’interno degli Stati Uniti. Perché ha fallito?

R. – Ha fallito, perché ci sono degli interessi poderosi dell’industria americana. E quindi dinanzi a questo Obama si scontra senza possibilità di scampo. E naturalmente si scontra anche con la mentalità diffusa, che in America si è creata.

D. – L’amministrazione Obama ha cercato in un qualche modo di circoscrivere questi episodi?

R. – Ha fatto sostanzialmente dei richiami alla coscienza. Più di questo non poteva fare... I discorsi alle coscienze da parte di un presidente in una situazione che ha delle origini storiche profonde e antiche hanno poco spazio. 

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I giovani salesiani di tutto il mondo si incontrano a Torino

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Prende il via oggi a Torino il raduno internazionale del Movimento Giovanile Salesiano. Cinque giorni di incontri, preghiera e formazione, che culmineranno nella celebrazione, sabato 16 agosto, dei 200 anni dalla nascita del fondatore della Famiglia Salesiana, San Giovanni Bosco. Migliaia i partecipanti dai cinque continenti, con un’attenzione particolare a temi sociali e contesti di povertà e conflitto. Le parole di don Francesco Ceresa, vicario del rettorato salesiano, al microfono di Giacomo Zandonini

R. – Siamo ormai giunti alla conclusione del bicentenario della nascita di Don Bosco: si conclude il 16 agosto, giorno della nascita. Come elemento conclusivo abbiamo previsto un incontro di giovani di tutto il mondo. Poiché il nostro lavoro, come Salesiani, si svolge soprattutto con giovani poveri, abbandonati, e non sempre è possibile prevedere un incontro di tantissimi giovani, abbiamo fatto la scelta di convocare i giovani animatori: ragazzi e ragazze del Movimento giovanile salesiano - dai 4500 ai 5000 - provenienti da tutti i Paesi del mondo, più di 130, in cui siamo presenti. E’ una bella opportunità di confronto tra i giovani, che prevede tre giornate: la prima sarà tutta in inglese, la seconda in italiano e la terza in spagnolo. Ogni gruppo ha anche i suoi traduttori, quindi ci saranno traduttori in ucraino, in slovacco, in vietnamita e in thailandese...

D.  - Lo slogan della settimana è “Come Don Bosco, con i giovani, per i giovani”. Che significato hanno queste parole, partendo dal “come”?

R. – Questo motto è quello che ci ha accompagnato durante tutto quest’anno di celebrazione del bicentenario. Tra l’altro, la lettera che il Santo Padre, Papa Francesco, ha mandato al rettore maggiore per tutta la Famiglia Salesiana e i giovani, riprendeva lo stesso tema, e anche il tema proposto ai giovani stessi: discepoli "come" Don Bosco. Gli altri due temi sono più sull’aspetto della presenza, dell’aiuto, e per noi è fondamentale il  “con”. E’ molto più importante la compagnia con gli altri giovani che il servizio che si fa ai giovani. Allora “Come Don Bosco, discepoli di Gesù”, e “Come Don Bosco, per i giovani, con i giovani”.  

D. – La vocazione del giovanissimo San Giovanni Bosco nacque, come lui stesso raccontava, da un sogno. Quali sono oggi i sogni della famiglia salesiana per il nostro mondo e in particolare per i giovani?

R. – Alcuni di questi sogni li ha evidenziati anche Papa Francesco nella lettera indirizzataci per il bicentenario. Il primo: non deludere le aspettative, le attese dei giovani; capire le loro preoccupazioni, limiti, fragilità, ferite che ogni giovane porta nella sua vita, anche per il contesto familiare o per il contesto sociale. Il primo sogno per noi è di essere accanto ai giovani, per aiutarli a rispondere alle loro aspirazioni più profonde. Questo è il primo sogno. Il secondo sogno è quello del ricollocarci nei luoghi di maggior bisogno, i luoghi dove nessuno vuole andare, i luoghi più poveri, i luoghi dove ci sono più necessità. E questo è un sogno difficile da realizzare. Lo vediamo per esempio in Europa, nei confronti delle risposte che occorre dare alla multiculturalità, alla migrazione. E se c’è un terzo sogno è lavorare di più con le famiglie. Non c’è pastorale ai giovani, senza pastorale familiare.

D. – Vuole raccontarci un’esperienza particolare, fra le migliaia di esperienze dei salesiani nel mondo, su cui state investendo?

R. – Una di queste è il Medio Oriente. Stamattina ricevevo immagini di quello che hanno fatto durante la "Estate ragazzi", sia a Damasco che ad Aleppo, per dare fiducia ai giovani. Anche in queste situazioni di estrema precarietà, infatti, non c’è solo la via della fuga, ma anche quella del restare, avere pazienza, costruire possibilità per il proprio futuro; il ritrovarsi di ragazzi e ragazze, di animatori, per loro è una realtà interessante. Un’altra situazione, non sempre facile, riguarda per esempio i contesti dove cristiani e musulmani vivono insieme. Laddove i cristiani sono minoranza tante volte i giovani vogliono avere spazi solo per loro. Qualche volta negli oratori ci dicono: “Vogliamo essere soli”, perché viviamo sempre insieme a loro. Costruire queste esperienze di accettazione reciproca risulta essere certamente impegnativo.

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Festival Locarno, "Bella e perduta" film tra fiaba e documentario

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Presentato ieri "Bella e perduta", film italiano in concorso al Festival di Locarno, in cui il regista Pietro Marcello racconta, combinandoli in modo personalissimo, l'amore per la natura e gli animali e la lo stato di abbandono in cui versa la Reggia di Carditello, divenuta simbolo dell'Italia di oggi. Dal nostro inviato a Locarno, Luca Pellegrini: 

Tra fiaba e documentario, realtà e finzione, "Bella e perduta" è la storia minuta di piccoli eroi e silenziosi animali, calata nella drammatica testimonianza di un'arte abbandonata, una natura offesa e un'Italia dopotutto coraggiosa, anche se calpestata nelle sue antiche bellezze e nella sua coesione sociale. Pietro Marcello è un regista visionario. Il suo film doveva essere una cosa, poi ne è diventata altra. Voleva raccontare la sua terra, la Campania e il casertano, espandendo il suo viaggio a tutta la Penisola. Punto di partenza: l'abbandonata, devastata e splendida reggia borbonica di Carditello, in provincia di Caserta, stretta d'assedio da discariche, assurdi progetti di cemento e la camorra. Tommaso Cestrone ne è stato l'indomito guardiano-pastore fino alla sua improvvisa morte, avvenuta nel 2013. Il film ha intercettato questa scomparsa e si è da lì trasformato anche in una fiaba, quella di Pulcinella che da immortale diventa uomo e del bufalo Sarchiapone, testimoni entrambi di una perduta bellezza. Pietro Marcello spiega, innanzitutto, perché ha scelto un animale come il bufalo:

R. - Io sono cresciuto in quelle terre. Per me è stato anche un modo di avvicinarmi a quelle terre, abitate da questi bufali. Gli animali erano amici degli uomini. Oggi gli animali sono degli oggetti. In un certo senso c’era più rispetto per l’animale in passato, perché una vacca in famiglia aveva un valore enorme: l’uomo si prendeva cura dell’animale, perché l'animale era di aiuto nei campi, nel lavoro. Oggi sono semplicemente numeri e per me è una questione ben precisa quella di dare dignità a questi animali.

D. - Il bufalo nel film parla a Pulcinella, unico che riesce a capirlo fino a quando indossa la maschera. Poi decide di liberarsene. Perché?

R. - Nel film Pulcinella si libera di questa maschera e anche di questa immortalità che lo rende servo. È così che sceglie il libero arbitrio. Siamo sempre soggetti al destino e al libero arbitrio di poter scegliere qualcosa per la nostra vita; però poi è il destino che ci segna la strada. Nel caso di Pulcinella è per diventare un uomo nuovo, un uomo diverso, un uomo consapevole, che può amare la natura e gli animali.

D. - Lei è riuscito a trasformare quello che doveva essere un documentario in una fiaba.

R. -  Saper trasformare questa storia è stata una necessità. E il documentario ti insegna questo, riuscire ad affrontare anche gli imprevisti. Noi abbiamo sentito un po' una sorta di responsabilità morale di continuare questa storia perché il film nasceva come un viaggio in Italia sulle tracce di Piovene, anche per raccontare la temperatura del Paese. Poi si è ancorato alla storia di Tommaso perché il film si è arrestato lì a Carditello. E il bufalo è rimasto solo.

D. - E Pulcinella diventato uomo che cosa simboleggia?

R. - Nel caso di Pulcinella .... Pulcinella è l’uomo nuovo. Era importante per noi lasciare un segno. Diciamo che l’uomo nuovo è il seme, la speranza; è l’uomo consapevole, che può cambiare le sorti di quella terra. La Reggia di Carditello,in realtà è oggettivamente stata acquistata dall’ex-ministro dei beni culturali Massimo Bray. In quel caso è stato coraggioso, perché comunque è stato l’unico che si è interessato realmente della Reggia di Carditello che ha versato in uno stato di abbandono, che ha rappresentato anche la malasorte di quella terra per secoli.

Lo sceneggiatore Maurizio Braucci dice che il film parla anche di mistero:

R. - E' anche un film sul mistero in qualche modo, che cerca di raccontare che a volte la vita è talmente più grande ed immensa di noi che nell’accettazione di questo mistero c’è anche un gesto di adesione completa all’esistenza stessa. Sulla maschera devo dire che per me rappresenta anche un po’ l’Italia, questa bella e perduta nazione, in questo momento almeno. Io sono un po’ stanco di sentire all’estero rappresentare l’Italia da maschere come quelle di certi politici, di certi personaggi … Italia che poi è fatta di personaggi straordinari oggi e nel passato, come Carlo Levi che ha ispirato Pietro questo percorso, come Pasolini, come Sciascia, come Anna Maria Ortese, interpretata da Elsa Morante. Quindi vorrei che questa Italia fosse rappresentata da uomini che non indossano più una maschera, ma uomini di azione, di fede e di preghiera anche. Uomini di spirito.

D. - Per lei un'Italia bella e irrimediabilmente perduta?

R. - L'Italia bella e perduta è la condizione forse di partenza attuale, che però ci dà la forza per quella disperata creatività che è alla base anche di tanta arte che nasce da territori che sono sofferenti e martoriati: parliamo del Sud, della Campania. Quindi c’è una forza che a volte è data anche dalla drammaticità delle azioni. Quindi non è un film che racconta che l’Italia è destinata ad essere bella e perduta; è un film che racconta di un’Italia bella e perduta che però ha in sé le risorse per trasformare tutto questo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Libano, nuovo appello vescovi maroniti: si elegga presidente

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Nuovo, pressante appello dei vescovi libanesi ad eleggere il presidente della Repubblica. Un vuoto istituzionale che dura dal 25 maggio 2014, da quando è finito il mandato di Michel Sleiman. Da allora si sono tenute numerose sessioni parlamentari per l’elezione, ma il Parlamento libanese non ha mai raggiunto il quorum necessario per il voto a causa del boicottaggio da parte del gruppo detto dell’ 8 Marzo (che raccoglie diversi partiti ed Hezbollah, insieme ai cristiani legati a Michel Aoun).

A rischio l’unità del Paese
In un comunicato diffuso al termine dell’incontro mensile con i superiori degli ordini religiosi maroniti, tenutosi nei giorni scorsi presso la sede estiva del patriarcato di Antiochia dei maroniti a Dimane, i presuli hanno chiesto ai parlamentari di “presentare i loro candidati definitivi alla presidenza della Repubblica e di partecipare all’elezione in maniera democratica e costituzionale”. Nel comunicato, citato dall’Osservatore Romano, si sottolinea “la profonda inquietudine di fronte al vuoto presidenziale che continua e che rischia di giungere ad un punto vicino alla caduta della stessa Repubblica. “La paralisi politica e la crisi economica che essa genera – affermano i vescovi maroniti - richiedono a tutti di mettere al primo posto l’interesse nazionale e di preservare l’unità nazionale, perché non è possibile per il Libano superare le sue crisi politiche se il Paese viene esposto a scosse che minacciano la sua unità”.

I tentativi del Patriarca Raï di mettere d’accordo le formazioni cristiane
Più volte il patriarca Béchara Boutros Raï ha tentato di riunire le formazioni cristiane perché designino un candidato comune, ma i gruppi sono divisi fra coloro. Durante l’incontro a Dimane, i vescovi libanesi si sono pronunciati anche sull’emergenza rifiuti dopo la chiusura della discarica di Naameh, ormai piena. Sulla questione c’è disaccordo fra i politici che tardano a trovare una soluzione. Anche questo problema, hanno ammonito i presuli, “macchia l’immagine del Libano, oltre a minacciare l’ambiente e la salute degli abitanti”, perché  “sottomettere il bene pubblico ai conflitti, al clientelismo e al mercato avrà delle conseguenze pregiudizievoli per tutta la società”.

Il 5 agosto il Patriarca Rai a colloquio l’ex primo Ministro Nagib Mikati
L’attuale stallo politico è stato al centro di un colloquio, il 5 agosto a Dimane, tra il Patriarca Rai e l’ex primo Ministro Nagib Mikati, in cui i due leader hanno convenuto sull’urgenza di eleggere il nuovo presidente, senza ulteriori rinvii, per consentire alle istituzioni dello Stato di riprendere il loro normale funzionamento nell’interesse dell’unità nazionale (L.Z.)

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Cerimonia intronizzazione del Patriarca armeno cattolico

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Ieri, domenica 9 agosto, con una solenne cerimonia, svoltasi nella sede Patriarcale della Chiesa Armeno Cattolica di  Bzommar, in Libano, Krikor Bedros è divenuto il 20.mo Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici. La cerimonia ha avuto inizio con il rito di intronizzazione durante la quale i vescovi della chiesa Armeno Cattolica hanno consegnato al neo eletto Patriarca il pastorale per poi accompagnarlo sul trono patriarcale riconoscendogli il ruolo di “Padre e Capo” della Chiesa di Cilicia degli Armeni Cattolici.

Alla cerimonia erano presenti, oltre ad un folto numero di fedeli, Il Patriarca della Grande Casa di Cilicia, Sua Santità Aram I, il Patriarca dei Siro Cattolici Sua Beatitudine Youssef Ignazio Younan, il Patriarca della Chiesa Ortodossa di Antiochia Giovanni X Yazigi, il Patriarca copto S. B. Ibrahim Isaac Sidrak ed il rappresentante di Sua Santità Karekin II nonché i nunzi apostolici della Siria, mons. Mario Zenari, e del Libano, mons. Gabriele Caccia,  che ai microfoni della Radio Vaticana ha espresso sentimenti di grande gioia per la comunità armeno cattolica in particolare e per gli armeni in generale ribadendo l’importanza dell’unità dei cristiani per superare il momento difficile in cui stanno vivendo nel Medio Oriente. (A cura del nostro inviato Robert Attarian)

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Bagnasco: secolarismo diffuso cerca di assimilare Chiesa

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Il secolarismo diffuso cerca di assimilare la Chiesa, come già avvenuto in altri momenti storici: è quanto ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, nell'omelia pronunciata questa mattina in occasione della festa di San Lorenzo. "In alcuni Paesi occidentali - ha detto - gli edifici religiosi sono venduti, la partecipazione alla Messa festiva è molto bassa, la cultura contro la vita e la famiglia domina, basta pensare all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia, all'uso commerciale del corpo umano, al dominio del profitto, all'indifferenza pratica di fronte a esodi di disperati costretti da miseria, guerra, persecuzione a cercare fortuna altrove".

"Forse - ha aggiunto - la Chiesa in Occidente sta diventando minoranza, in mezzo a un deserto di secolarismo diffuso che fa pensare ad altri momenti della storia. Secolarismo che sempre ha cercato di assimilare la Chiesa a categorie mondane, perché si trova spiazzato davanti ad una Chiesa che, indicando l'Invisibile e l'Eterno, sfugge ai parametri del mondo e, parlando di un altro Mondo, può meglio parlare a questo mondo".

Il porporato ha poi parlato dell'attualità dell'insegnamento di San Lorenzo: "l'imperatore voleva i beni della Chiesa di Roma, e Lorenzo avrebbe potuto trattare sul quanto, cedendo sul principio dell'autonomia della Chiesa e sul primato dei poveri: togliere alla Chiesa le risorse significa impedirle di compiere la sua missione che è quella di predicare il Vangelo e di farne le opere. Ma il diacono Lorenzo tenne fermo il principio - un certo pensiero direbbe che è stato intransigente - e ci ha messo la vita. Ha pubblicamente dissentito, è andato contro corrente non solo rispetto al potere politico, ma anche - ha concluso - rispetto al pensare di allora".

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Betori: non dimenticare Asia Bibi e perseguitati da intolleranza

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"Il non rispetto del diritto alla libertà religiosa è alla base della scardinamento di tutti i diritti e quindi del diffondersi delle ingiustizie e delle guerre: da qui comincia una vera politica di pace". Lo ha affermato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nell'omelia che ha pronunciato alla Messa nella Basilica di San Lorenzo in occasione della ricorrenza dedicata al martire, e rivolgendo un pensiero ai "martiri di oggi", ovvero "i tanti cristiani che continuano a subire persecuzione e morte per la loro fedeltà a Cristo in non pochi Paesi del mondo".

“Sia sempre vivo nel nostro cuore – ha esortato il porporato - il pensiero per Asia Bibi e per quanti come lei sono in prigione, minacciati nella loro vita dall'intolleranza religiosa, ancora così diffusa nel mondo. Siano vivi nelle nostre preghiere e nella coscienza di chi governa i popoli perché mettano la libertà religiosa tra le prime preoccupazioni della loro azione politica nelle relazioni internazionali".

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Filippine: suora benedettina vince Premio per i diritti umani

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Una religiosa benedettina filippina di 47 anni, nota per le sue campagne contro le estrazioni minerarie nella regione filippina meridionale di Mindanao in difesa delle popolazioni indigene, è la vincitrice dell’edizione 2015 del  Premio Weimar per i diritti umani. Il riconoscimento, sponsorizzato dall’organizzazione caritativa tedesca Missio, è stato conferito a suor Stella Matutina “per il suo straordinario impegno in difesa dei diritti delle popolazioni indigene, nonostante le costanti minacce di morte ricevute per la sua attività”.

La religiosa minacciata per il suo impegno in difesa degli indigeni
La motivazione “mette in evidenza la situazione di Mindanao e delle Filippine in generale, dove i poveri, i contadini, gli indigeni, gli attivisti per i diritti umani e i difensori dell’ambiente devono subire intimidazioni, affrontare rischi e spesso la morte”, ha dichiarato la religiosa all’agenzia Ucan, sottolineando che più che un riconoscimento personale, il premio riconosce i “sacrifici collettivi” di tutti i difensori della libertà e dell’ambiente contro “il tentativo sistematico di limitare lo spazio democratico e di fronte alle minacce alla sicurezza”. Oltre a condurre campagne contro l’invasione dei territori indigeni da parte dell’industria mineraria, suor Matutina si è battuta contro la conversione dei terreni agricoli di Mindanao in piantagioni di palme da olio, banane e ananas. Per questo suo impegno non solo è stata minacciata, ma anche accusata di simpatie con la guerriglia locale.

La Chiesa da tempo impegnata nella difesa dei diritti delle popolazioni tribali
La Chiesa filippina è da tempo impegnata nella difesa e nella promozione umana dei diritti degli aborigeni (circa 15 milioni, pari al 10 per cento della popolazione) tanto che, nel 1995, ha istituito una speciale Commissione. In numerose occasioni, essa ha esortato il governo centrale a devolvere più risorse per queste popolazioni vittime di povertà ed emarginazione, soprattutto nel campo dell’istruzione, della salute e nella conservazione della loro identità culturale. Le tribù indigene sono concentrate soprattutto nelle regioni di Mindanao e Cordillera, aree dove si trovano le principali risorse naturali del Paese. Per questo, esse sono spesso costrette ad abbandonare le loro terre per lasciare spazio ad industrie e miniere, non di rado nell’indifferenza delle autorità che porta a considerare le popolazioni tribali come un ostacolo allo sviluppo economico. (L.Z)

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Svizzera. Colletta Chiesa per minori vittime di coercizione

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Minori inviati in Istituti, persone internate in base ad una decisione amministrativa; vittime di coercizione come l’aborto, la sterilizzazione o la castrazione praticati senza il loro assenso; bambini adottati con la forza: sono questi i destinatari del Fondo di aiuto immediato per le vittime di misure coercitive ai fini di assistenza. Sostenuto dalla Conferenza episcopale cattolica della Svizzera (Ces), il Fondo radunerà il ricavato delle collette che si terranno nel Paese il 16 agosto, durante le celebrazioni eucaristiche domenicali.

Riconoscere l’ingiustizia subita e promuovere la solidarietà per le vittime
“Tale Fondo – spiega la Ces in una nota – è l’espressione del riconoscimento, a livello generale, dell’ingiustizia subita dalle vittime e della solidarietà nei loro confronti”. Ricordando che, a livello federale, sono stati lanciati un progetto di legge ed un’iniziativa popolare per regolare l’aspetto finanziario dei bambini e degli adolescenti vittime di misure coercitive, i vescovi elvetici sottolineano che i tempi di attesa sono ancora molto lunghi. Di qui, la creazione di un Fondo di aiuto immediato, “per permettere di fornire, rapidamente e senza intoppi burocratici, un sostegno finanziario a chi si trova in una situazione particolarmente difficile”. (I.P.)

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Chiesa irlandese: necessaria soluzione globale per i migranti

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"La perdita in mare di un così elevato numero di vite innocenti ricorda fortemente l'esperienza delle 'navi-bara' durante il periodo della grande carestia irlandese". Queste le parole con cui mons. William  Crean, vescovo di Cloyne e presidente di Trocaire, l'agenzia di aiuti esteri della Chiesa cattolica irlandese, ha invitato a tutte le parrocchie della diocesi ad elevare una speciale preghiera per le vittime e le persone coinvolte nella crisi dei rifugiati nel Mediterraneo. "Quasi ogni giorno – ha detto il presule - vediamo immagini strazianti di rifugiati in fuga dalla fame, dalla guerra e da altri gravi pericoli, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per loro e per le loro famiglie in Europa” .

Una soluzione globale ad una crisi globale
Mons. Crean ha ringraziato la compassione e la risposta umanitaria del Servizio navale irlandese, i cui membri hanno spesso legami familiari con la diocesi. “Abbiamo l'obbligo – ha detto - di tutelare i diritti, la religione e le tradizioni dei migranti in fuga dalle persecuzione”. In questo senso, il vescovo di Cloyne ha ricordato che Papa Francesco, “aperto sostenitore di una maggiore partecipazione a livello europeo nelle operazioni di soccorso”, ha ribadito lo scorso mese di aprile l’appello lanciato 2013, durante la sua visita a Lampedusa. Il Papa aveva esortato la comunità internazionale a reagire con decisione e rapidamente per evitare simili tragedie si ripetano. "Ciò che occorre – ha aggiunto mons. Crean - è una soluzione globale a questa crisi , al fine di affrontare le cause delle migrazioni forzate”.

I rifugiati possano trovare accoglienza e rispetto
Infine, mons. Crean ha incoraggiato tutte le parrocchie della diocesi di Cloyne, che ha messo a disposizione una serie di sussidi speciali, a pregare per le migliaia di rifugiati che stanno intraprendendo il pericoloso viaggio attraverso il Mar Mediterraneo, per coloro che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere le coste europee e per coloro che si adoperano all’aiuto dei rifugiati. “Prego – ha concluso il presule -  affinché i migranti possano trovare  accoglienza e rispetto, con l’ intercessione di Maria, che ben conosce il dolore di essere un rifugiato”. (A.T.)

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Brasile: al via la Settimana nazionale della famiglia

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“L’amore è la nostra missione: una famiglia pienamente viva”: su questo tema si è aperta il 9 agosto, in Brasile, la Settimana nazionale della famiglia. Istituita nel 1992, l’iniziativa è promossa dalla Commissione nazionale di pastorale familiare, organismo legato alla Commissione episcopale locale per la vita e la famiglia. La scelta del 9 agosto come data iniziale non è casuale, poiché coincide con la Giornata dei genitori.

Un evento che cresce di anno in anno
In programma fino al 15 agosto, la Settimana “è un evento che cresce di anno in anno" – spiega mons. João Bosco Barbosa, presidente della Commissione episcopale per la vita e la famiglia. "Essa - prosegue-  si tiene ad agosto, un mese importante in quanto mese vocazionale”, intendendo la vocazione nei suoi aspetti più diversi: “vita consacrata, vita religiosa, vita matrimoniale”. Di qui, l’invito del presule affinché tutte le famiglie partecipino numerose all’iniziativa, “specialmente quelle che sono impegnate nella pastorale e nei movimenti per la famiglia”.

In preparazione all’Incontro mondiale delle famiglie di Filadelfia
Per animare le attività nel corso dell’evento, la Commissione nazionale ha elaborato un sussidio, intitolato “L’ora della famiglia”: pubblicato per la prima volta nel 1994, il sussidio è giunto alla sua 19.ma edizione. Quest’anno, in particolare, il volume guarda all’Incontro mondiale delle famiglie che si terrà dal 22 al 27 settembre a Filadelfia, alla presenza del Papa. Sette, quindi, le riflessioni proposte: Generati nell’amore di Dio; Sessualità, dono di Dio; Uomo e donna nella costruzione di un matrimonio santo; Creare il futuro; I frutti dell’amore; Famiglia, speranza di Dio per il mondo e Chiesa, madre e maestra.

Necessario promuovere e valorizzare la famiglia
“È davvero necessario – sottolinea mons. Bosco Barbosa – promuovere e valorizzare una riflessione sulla famiglia in tutti gli ambiti della nostra vita”. Per questo, vengono suggerite alcune attività specifiche: le scuole, ad esempio, possono approfondire la realtà ed i valori della famiglia, dando spazio alla testimonianza di coppie di coniugi, di giovani o di religiosi. Oppure, nelle comunità ecclesiali, si possono promuovere veglie di preghiera per la famiglia, l’adorazione eucaristica, la recita del Rosario, seminari ed incontri di approfondimento sul tema.

La riflessione si estenda a tutto l’anno pastorale
Quindi, mons. Bosco Barbosa esorta ad estendere i frutti della Settimana della famiglia anche oltre il mese di agosto: “Si tratta di una tematica che permea tutto l’anno pastorale – spiega – perché è una riflessione che riguarda l’intera azione evangelizzatrice della Chiesa. La scelta di dedicare una speciale Settimana alla famiglia è, giustamente, un modo per approfondire la riflessione in ambito ecclesiale; tuttavia, essa offre anche all’intera società l’opportunità di riflettere sulle attuali sfide familiari”.

Presenza della famiglia nella società sia più fruttuosa
Dal suo canto, padre Moacir Silva Arantes, assistente nazionale della Commissione di pastorale familiare, ribadisce che è il momento rendere la presenza della famiglia nella società “migliore e più fruttuosa”, con l’auspicio che questa Settimana porti, in ogni casa, “il dono prezioso di Dio che aiuti tutte le famiglie a vivere più felici”. (I.P.)

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Caritas Foligno promuove serata sotto le stelle con i poveri

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Una serata di amicizia con e per i poveri, “Carità sotto le stelle”: è questo il nome dell’iniziativa promossa dalla Caritas diocesana di Foligno che vedrà protagonisti i poveri, stasera a Rasiglia, in provincia di Perugia. “Lo scopo dell’iniziativa - spiega al Sir Francesca Brufani, operatrice della Caritas diocesana - è riscoprire il senso profondo della festività di san Lorenzo, per il quale i tesori più grandi della Chiesa erano i poveri. Sul suo esempio, vogliamo rimettere al centro i poveri”. Parteciperanno all’iniziativa “le persone ospitate nelle case di accoglienza o che frequentano la mensa, ma anche i volontari delle Caritas diocesana e parrocchiali e i fedeli della diocesi”. Si inizierà con la celebrazione della Messa presso il santuario di Rasiglia, cena gratuita per tutti e animazione presso l’adiacente Casa della gioventù curata dalla Caritas folignate. A fare da sfondo alla serata, il lancio del nuovo anno formativo che la Caritas diocesana propone alla comunità per il prossimo anno diocesano e che trarrà spunto da personaggi significativi per la diocesi, tanto del mondo laico quanto del clero, come “nonno Gigino”, che portava i suoi disegni ai bambini in ospedale, don Giuseppe Cavaterra, un parroco che aiutava contadini e giovani, il beato Pietro Crisci. “Tutti esempi di una carità semplice, alla portata di tutti”, conclude l’operatrice della Caritas.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 222

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.