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Sommario del 09/08/2015
- Angelus: per credere non bastano neanche i miracoli se il cuore è chiuso
- Papa: ancora orrore a 70 anni da Hiroshima e Nagasaki, via le armi nucleari
- Appello del Papa contro le violenze nel Salvador
- Francesco a radio argentina: la guerra si vince non facendola
- Lettura della Laudato si' alla Radio Vaticana. Intervista con p. Lombardi
- Haiti al voto tra ricostruzione e speranza per il futuro
- Coree: giornata di preghiera per la riunificazione della penisola
- Taizé: oltre 7000 giovani al raduno internazionale sulla solidarietà
- Giornata Popoli Indigeni: 370 milioni di persone a rischio
- Siria: avanza l'Is, in fuga centinaia di famiglie cristiane
- Polizia israeliana arresta estremisti ebrei per il rogo di Nablus
- Libano, intronizzazione del nuovo patriarca armeno cattolico
- Nigeria: nasce Prayerbox, social che avvicina cristiani e musulmani
- Sudafrica. Speciale sito web per la beatificazione di Benedict Daswa
- Svezia: eco-pellegrini in cammino per la giustizia climatica
- Eucaristia, matrimonio e famiglia, tema della Settimana liturgica italiana
Angelus: per credere non bastano neanche i miracoli se il cuore è chiuso
Si potrebbe assistere anche ad un miracolo, ma se il cuore non si apre all'amore di Dio, la fede non sboccia: è quanto ha detto Papa Francesco all'Angelus ai tanti pellegrini presenti in Piazza San Pietro nonostante un'altra calda giornata estiva. Il servizio di Sergio Centofanti:
Commentando il Vangelo domenicale, in cui la gente si scandalizza perché Gesù afferma di essere il vero pane disceso dal cielo, spiegando che nessuno può andare a Lui, se non lo attira il Padre, Papa Francesco riflette sulla “dinamica della fede, che è una relazione: la relazione tra la persona umana, tutti noi, e la Persona di Gesù, dove un ruolo decisivo gioca il Padre e naturalmente anche lo Spirito Santo, che qui rimane sottinteso”:
“Non basta incontrare Gesù per credere in Lui, non basta leggere la Bibbia, il Vangelo - questo è importante, ma non basta - non basta nemmeno assistere a un miracolo (…) Tante persone sono state a stretto contatto con Gesù e non gli hanno creduto, anzi, lo hanno anche disprezzato e condannato”.
"Questo è accaduto – ha proseguito – perché il loro cuore era chiuso all’azione dello Spirito di Dio”:
“Se tu hai il cuore chiuso, la fede non entra. Dio Padre sempre ci attira verso Gesù: siamo noi ad aprire il nostro cuore o a chiuderlo. Invece la fede, che è come un seme nel profondo del cuore, sboccia quando ci lasciamo ‘attirare’ dal Padre verso Gesù, e ‘andiamo a Lui’ con animo aperto, col cuore aperto, senza pregiudizi; allora riconosciamo nel suo volto il Volto di Dio e nelle sue parole la Parola di Dio, perché lo Spirito Santo ci ha fatto entrare nella relazione d’amore e di vita che c’è tra Gesù e Dio Padre e lì noi riceviamo il dono, il regalo della fede”.
Con questo atteggiamento di fede – afferma il Papa - possiamo comprendere anche il senso delle parole di Gesù: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51)”:
“In Gesù, nella sua ‘carne’ – cioè nella sua umanità concreta – è presente tutto l’amore di Dio, che è lo Spirito Santo. Chi si lascia attirare da questo amore va verso Gesù e va con fede e riceve da Lui la vita, la vita eterna”.
“Colei che ha vissuto questa esperienza in modo esemplare – ha detto Papa Francesco - è la Vergine di Nazaret, Maria: la prima persona umana che ha creduto in Dio accogliendo la carne di Gesù. Impariamo da Lei, nostra Madre – ha concluso - la gioia e la gratitudine per il dono della fede. Un dono che non è ‘privato’, un dono che non è proprietà privata, ma è un dono da condividere: è un dono «per la vita del mondo»!”.
Papa: ancora orrore a 70 anni da Hiroshima e Nagasaki, via le armi nucleari
All’Angelus Papa Francesco ha ricordato anche che 70 anni fa, il 6 e il 9 agosto del 1945, avvennero i "tremendi bombardamenti atomici" su Hiroshima e Nagasaki. “Questa triste ricorrenza – ha detto - ci chiama soprattutto a pregare e a impegnarci per la pace, per diffondere nel mondo un’etica di fraternità e un clima di serena convivenza tra i popoli”. Ascoltiamo le sue parole:
“A distanza di tanto tempo, questo tragico evento suscita ancora orrore e repulsione. Esso è diventato il simbolo dello smisurato potere distruttivo dell’uomo quando fa un uso distorto dei progressi della scienza e della tecnica, e costituisce un monito perenne all’umanità, affinché ripudi per sempre la guerra e bandisca le armi nucleari e ogni arma di distruzione di massa (…) Da ogni terra si levi un’unica voce: no alla guerra, no alla violenza, sì al dialogo, sì alla pace! Con la guerra sempre si perde. L'unico modo di vincere una guerra è non farla!”.
E stamani, nel Parco della Pace a Nagasaki, si sono svolte le commemorazioni per il 70.mo anniversario del bombardamento atomico statunitense che uccise circa 80mila persone. Il premier Abe ha ribadito la sua richiesta per un mondo senza armi nucleari ma è stato contestato per la svolta impressa dal suo governo che intende modificare la Costituzione pacifista: la Camera bassa di Tokyo ha già approvato due leggi che autorizzano le proprie forze armate a combattere all'estero, a sostegno di missioni di pace internazionali e per auto-difesa. Al microfono di Roberta Barbi il presidente dell’istituto di Ricerche internazionali di Archivio Disarmo, Fabrizio Battistelli, fa il punto sulla non proliferazione e sull’obiettivo del disarmo:
R. - La situazione in questo momento è positiva per alcuni versi. L’accordo fra i 5+1 e l’Iran ha rappresentato una vera e propria svolta sul tema del controllo degli armamenti nucleari e, soprattutto, sulla prevenzione di una possibile proliferazione, cioè di quel processo mediante il quale Paesi che non sono autorizzati a sviluppare le tecnologie militari in campo nucleare, invece, violando le norme internazionali, lo fanno. Abbiamo avuto la Corea del Nord; India e Pakistan sono ormai delle potenze nucleari di fatto e tutto fa credere che anche Israele sia dotato di una quota di testate nucleari.
D. - Kerry qualche giorno fa in occasione dell’anniversario della prima bomba, quella di Hiroshima, ha ribadito quanto sia importante l’accordo recentemente raggiunto con l’Iran in tema di nucleare proprio affinché certi fatti non si ripetano …
R. - Non si può che essere d’accordo con il segretario di Stato americano. Tutti concordano nel ritenere l’accordo con l’Iran come un grande passo in avanti. Stupiscono anche alcune critiche che sono state mosse: mi sembra, piuttosto, un importantissimo passo in avanti nella direzione di una prevenzione della proliferazione nucleare.
D. - Le armi atomiche sono ancora una minaccia per il mondo?
R. - Sono assolutamente una minaccia per il mondo. Il Trattato di non proliferazione prevede un duplice processo: da una parte il blocco della proliferazione; contemporaneamente a questi Paesi lo stesso trattato offre la possibilità e l’impegno che i Paesi nucleari procedano a misure di disarmo nucleare, nel senso di una riduzione delle testate nucleari disponibili e, soprattutto, la rinuncia a nuove tecnologie anche di vettori: la rinuncia, dunque, ad ampliare i loro arsenali. Potenzialmente il mondo è sempre vulnerabile.
D. - Recentemente ha fatto scalpore la discussione di una proposta di legge sull’allentamento delle restrizioni alle forze armate proprio in Giappone, dove la pace è un valore difeso a livello costituzionale …
R. - È un precedente inquietante. È una brutta notizia il fatto che proprio il Giappone, che aveva seguito una linea molto rigorosa di disarmo e di astensione nei confronti della corsa agli armamenti, anche per tanti motivi di politica internazionale a livello regionale – leggi la competizione con Cina, Paese sempre più emergente – rinunci a questa sua posizione pacifista che tradizionalmente ha seguito per 70 anni.
D. - Secondo un sondaggio in Giappone al di fuori di Hiroshima è Nagasaki il 70 percento delle persone non ricorda neanche le date delle bombe …
R. - C’è una vera e propria cospirazione del silenzio, una vera strategia di rimozione della memoria collettiva che evidentemente mira a far dimenticare la terribile lezione dell’agosto del 1945. Forse bisognerebbe realmente chiedere alle Nazioni Unite, all’Unesco, alle agenzie che si occupano di educazione, di promuovere delle campagne non soltanto in Giappone, ma anche nei Paesi occidentali e nei Paesi emergenti.
D. - Stando ad alcune interpretazioni le bombe sono servite a terminare prima la guerra, ma a un prezzo altissimo di vite umane …
R. - Lo sganciamento delle due bombe su Hiroshima e Nagasaki è stato sì l’ultimo atto della Seconda Guerra Mondiale, ma è stato anche l’inizio della Terza Guerra Mondiale: la Guerra Fredda. Quindi questa è un’interpretazione tragica ma non del tutto infondata.
D. - Sono passati 70 anni da allora. Quale monito resta, oggi, della tragedia di Nagasaki?
R. - Quello sui limiti dell’azione umana. Ogni volta che l’uomo dimentica i propri doveri nei confronti degli altri uomini e nei confronti della natura, può dimenticare tutto il resto; può dimenticare la sua natura umana, i limiti alla propria azione che noi uomini, a differenza di altre specie, possiamo trovare solo in noi stessi.
Appello del Papa contro le violenze nel Salvador
Al termine dell’Angelus il Papa ha invitato i fedeli a pregare per la popolazione del Salvador. Il Paese centroamericano, patria del beato Oscar Romaro, è da anni dilaniato dalle violenze delle “maras”, gang giovanili che controllano vasti territori e si scontrano in una sanguinosa lotta contro lo Stato. Sentiamo le parole del Papa nel servizio di Michele Raviart:
“Seguo con viva preoccupazione le notizie che giungono da El Salvador, dove negli ultimi tempi si sono aggravati i disagi della popolazione a causa della carestia, della crisi economica, di acuti contrasti sociali e della crescente violenza. Incoraggio il caro popolo salvadoregno a perseverare unito nella speranza, ed esorto tutti a pregare affinché nella terra del beato Oscar Romero rifioriscano la giustizia e la pace”.
L’ultimo episodio di violenza risale a questa mattina, quando un agente di polizia è stato assassinato da due uomini armati al confine con l’Honduras. Si tratta del quarantesimo poliziotto ucciso da gennaio dalle cosiddette “maras”, bande di gangster che in questi giorni hanno paralizzato il Salvador, imponendo uno sciopero dei trasporti pubblici. Le “maras”, 60 mila persone in un Paese con 6 milioni di abitanti, hanno ucciso nel primo semestre di quest’anno quasi tremila persone. La loro strategia è quella di alzare il livello di violenza per costringere lo Stato a negoziare una tregua, come spiega il giornalista Luis Badilla:
R. – In diversi momenti si è cercata una soluzione alla questione in base a una tregua con le “maras”, ma normalmente queste tregue si sono rivelate inefficaci perché questi gruppi giovanili utilizzano questi momenti per rinforzare il loro apparato militare, perché operano come apparato militare.
D. – Qual è il loro rapporto con il tessuto sociale e politico del Paese?
R. – Una delle caratteristiche delle “maras” nel Salvador e in altre città del mondo dove operano – perché le “maras” operano negli Stati Uniti, in California, a Chicago ma anche in Italia, in particolare in Lombardia – è quella di avere un ferreo controllo sul territorio e perciò in quel contesto una delle caratteristiche con le quali operano in Salvador è sottoporre a controllo militare ferreo il trasporto pubblico, gli uffici pubblici, per intimorire la gente e per dimostrare quale sia il loro potere. Loro hanno un metodo simile a quello mafioso, per quanto riguarda il controllo del territorio. Solo che mentre quello mafioso è piuttosto subdolo, il controllo che le “maras” esercitano sul territorio è assolutamente evidente, palese e feroce.
D. – Qual è il ruolo della Chiesa?
R. – La Chiesa in Salvador da sempre si è mobilitata in favore di questa riconciliazione, di un dialogo nella verità e nella giustizia, come diceva mons. Romero. In questi giorni, la figura del Beato Romero viene ricordata proprio per questo: perché lui chiamava tutti alla pace e alla riconciliazione. Il problema è che le “maras” non obbediscono, non ascoltano nessun tipo di appello: né quello della Chiesa cattolica o di altre Chiese cristiane, tantomeno quello del governo. Infatti, si tratta di un fenomeno molto singolare, forse in gran parte sottovalutato dalla comunità internazionale, e io interpreto così l’appello del Santo Padre: che la comunità internazionale possa dare un aiuto al Salvador a mettere fine a questo fenomeno!
In questo clima di violenza anche la Chiesa locale ha lanciato un appello alla pace. “Chiamiano tutti i fedeli a rafforzare la propria fede e a mantenere viva la speranza, confidando nella misericordia divina”, ha detto l’arcivescovo di San Salvador, Josè Luis Escobar, nel corso di una Messa nella cattedrale della capitale.
Francesco a radio argentina: la guerra si vince non facendola
“C'è un solo modo per vincere una guerra: non farla”. E’ quanto ha detto Papa Francesco, ieri pomeriggio, in diretta alla Radio della parrocchia della Vergine del Carmine nella città argentina di Campo Gallo y Huachana, nella provincia di Santiago del Estero. E’ la seconda volta, dopo lo scorso anno, che il Papa dà vita ad un appuntamento radiofonico con questa emittente, una conversazione che ha raggiunto tutto il Paese e il mondo intero grazie a internet. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
“Dobbiamo camminare uniti, è sempre meglio l’amicizia che la lotta, la pace che la guerra. E c’è un solo modo di vincere una guerra: non farla”. Francesco si rivolge così alla comunità di Campo Gallo, che lo ascolta attraverso la radio “Es de Dios”, una emittente che raggiunge i fedeli negli angoli più remoti della provincia, e attraverso i suoi conduttori, gli stessi dello scorso anno, Juan Ignacio Liebana e padre Joacquin Giangreco, amico del Papa, inviato dall’allora cardinale Bergoglio come missionario in quel territorio. “Dobbiamo fare uno sforzo grande e prenderci cura gli uni degli altri, per non essere una famiglia triste, dobbiamo prenderci cura dei bimbi, dei nonni, con quella tenerezza che Gesù ci ha insegnato per aver cura gli uni degli altri, dobbiamo prenderci cura della casa comune”. “Camminare uniti ci aiuta a essere solidali” e "ci dà gioia", aggiunge Francesco, perché l’uomo non è "un fungo", non è fatto per vivere solo ma in famiglia.
"Yo tengo un gran deseo cuando pienso en Santiago …
Il Papa esprime poi un suo desiderio: la beatificazione di "Mama Antula", al secolo Maria Antonia de Paz y Figueroa, una laica consacrata argentina, originaria della provincia di Santiago del Estero, vissuta nel 18.mo secolo, proclamata venerabile da Benedetto XVI nel 2010. “Pregate per la beatificazione – dice il Papa – perché 'Mama Antula' è un esempio della fortezza del popolo santiagueño". Promosse gli esercizi spirituali secondo lo spirito ignaziano. Riunì attorno a sé un gruppo di ragazze che facevano vita comune, pregavano, realizzavano opere di carità e collaboravano con i sacerdoti gesuiti. Quando i gesuiti vennero espulsi dall’Argentina, nel 1767, “Mama Antula” percorse l’intero nord argentino prendendosi cura delle loro opere. Portava con sé solo una croce di legno, simbolo di austerità e amore a Cristo. Si dice che in otto anni “Mama Antula” avesse promosso esercizi spirituali per 70.000 persone.
"Hay que hacer un esfuerzo muy grande para aprender a cuidarnos …
Alla domanda dei conduttori sull’ultima sua Enciclica Laudato sì, il Papa sollecita tutti a fare uno sforzo per prendersi cura gli uni degli altri, così come del creato, ed esprime il suo dolore per le deforestazioni finalizzate alle coltivazioni della soia. “Abbiate cura della terra - è la sua raccomandazione - dell’acqua e di tutto ciò che Dio ci ha donato”. Francesco, infine, esorta i giovani a mettersi in gioco, a non essere già "pensionati" ma a dedicarsi agli altri per cose grandi, unica maniera per conoscere la gioia vera. "Occorre sognare", è la sua indicazione, perché "chi non sogna fa gli incubi": “Dio benedice chi sogna in grande”.
Lettura della Laudato si' alla Radio Vaticana. Intervista con p. Lombardi
Tutti i giorni, dal 10 al 23 agosto, alle 18.30, la Radio Vaticana trasmetterà l'adattamento radiofonico della Enciclica di Papa Francesco “Laudato si'” sulla cura della casa comune. E' l'occasione per riflettere sul valore del creato e sul rispetto che l’uomo deve alla natura, nel contesto dell’ecologia “integrale” promossa da Papa Francesco. Si tratta di 14 puntate che ripropongono in forma integrale la lettura del testo arricchito da voci, suoni e suggestioni tipiche dell’ambiente naturale. L'adattamento radiofonico e la regia sono di Mara Miceli, con il contributo di Daniela Pagliara. Le voci di Francesca Rossiello e Gaetano Lizio. E' una produzione Radio Vaticana, in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana. La trasmissione dell’Enciclica Laudato si' di Papa Francesco avviene anche in tecnica digitale, grazie alle nuove frequenze della radio digitale, il DAB+. Luca Collodi ha chiesto a padre Federico Lombardi, direttore generale della Radio Vaticana, il significato di questa iniziativa editoriale:
R. – L’Enciclica Laudato si’ è certamente il documento principale di questo periodo. Sappiamo che ha un’eco grandissima in tutto il mondo, però poi bisogna anche leggerla, ascoltarla e non solo sentirne parlare. Allora la Radio Vaticana – per parte sua – pensa di dover fare un servizio con il suo strumento specifico che è, appunto, la trasmissione radio e la possibilità di offrire all’ascolto in modo appropriato, in modo piacevole e in modo fruibile un testo che è amplissimo - come sappiamo - ma che è anche affascinante e che tocca una quantità di problemi straordinari e importantissimi per l’attualità e il futuro dell’umanità. Un documento veramente globale. La Radio ha fatto un lavoro di trasposizione, in audio, di lettura del testo integrale, ma anche con gli accorgimenti che la radio usa per rendere la lettura più fruibile e piacevole, quindi con gli stacchi, il ritmo, con un po’ di commento musicale… Lo ha fatto in italiano, ma anche in inglese e in portoghese per il Brasile. Un servizio che non è quindi esclusivamente in lingua italiana, anche se questa è un po' l’edizione guida che è stata realizzata in accordo con la Libreria Editrice Vaticana, la “titolare” dei diritti per tutti i testi scritti del Papa.
D. – Un’occasione di ascolto e di riflessione per tutti, in particolare – e questo è un altro elemento di servizio della Radio Vaticana – per chi ha problemi di vista…
R. – Certo! Questa è una cosa bella nella nostra tradizione di radio, perché tra i nostri ascoltatori ci sono tanti non vedenti o ipovedenti, persone cioè che hanno difficoltà a leggere un documento scritto, a sfogliare un libro, ma ascoltano e ascoltano volentieri. Quindi, da sempre, in particolare il programma ‘Orizzonti Cristiani’, quello – diciamo così – di spiritualità e di formazione cristiana, oggi ‘I Giochi dell’Armonia’, ha sempre avuto un forte gruppo di ascoltatori attenti proprio per questo motivo. Nel prendere questa iniziativa della lettura dell’Enciclica – iniziativa certamente impegnativa perché è un testo molto lungo e ampio – si è tenuto conto anche di questa attesa e si desidera svolgere un servizio proprio per questo tipo di ascoltatori. Devo dire che abbiamo avuto anche degli incoraggiamenti molto autorevoli: il cardinale vicario di Roma Vallini è stata una delle persone che ci ha chiesto, ci ha suggerito di fare questo servizio proprio in occasione della pubblicazione dell’Enciclica per le persone che hanno degli handicap o delle difficoltà nel campo visivo.
D. – Chi ha difficoltà visiva potrà inoltre navigare nel sito web della Radio Vaticana…
R. – Esattamente. Qui non si tratta solo dei non vedenti in senso assoluto, perché ci sono anche gli ipovedenti, persone cioè che vedono ma con difficoltà. Per gli ipovedenti, sul sito, sono stati sviluppati gli strumenti necessari alla visualizzazione della pagina web, ad oggi in italiano e inglese, compatibili con le applicazioni di lettura vocale per i non vedenti. Quindi un servizio che non è solo per gli ipovedenti, ma anche per i non vedenti. Cerchiamo così di fare un servizio specifico tramite il sito della Radio Vaticana.
D. – Nell’estate 2015, l’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco risulta il libro di saggistica tra i più letti: c’è la riscoperta di una cultura ambientale o si tratta di semplice casualità?
R. – No, direi che è il segno di come il Papa - con questo documento – abbia saputo toccare delle domande vivissime, delle domande che interessano l’umanità nel suo insieme, perché questo successo editoriale di cui parlavi non riguarda solo l’italiano, ma riguarda anche diverse altre lingue. Ciò significa che un po’ in tutte le culture, nei diversi continenti, ci si rende conto della gravità e dell’urgenza dei problemi toccati dal Papa e del fatto che sono stati toccati con una autorevolezza morale, con una credibilità e anche con un equilibrio e un approfondimento veramente notevole. Per cui è un documento rispettato dall’ audience e dal pubblico globale.
Haiti al voto tra ricostruzione e speranza per il futuro
Questa domenica si vota ad Haiti per rinnovare il parlamento e due terzi del Senato. Le elezioni arrivano dopo un periodo di contestazione per il presidente Michel Martelly, accusato di aver ritardato le votazioni per favorire il suo governo. Il Paese caraibico, devastato cinque anni fa da un terremoto che ha coinvolto 3 milioni di persone, è ancora in ricostruzione ma non mancano i segnali positivi. Michele Raviart ne ha parlato con Maria Chiara Roti, vicepresidente della Fondazione Francesca Rava che si occupa in prima linea degli aiuti ad Haiti, dove gestisce scuole, ospedali e programmi di formazione:
R. – Vediamo molto fermento: effettivamente queste elezioni si sentono nelle strade, si sentono tra la gente. Haiti è stato il primo Paese dell’area dei Caraibi ad avere l'indipendenza: è un Paese in cui la gente è nelle strade, è reattiva, è piena di vita, piena di energia e dice quello che pensa. In questi giorni la situazione è tranquilla, ma le elezioni si percepiscono perché ci sono tantissimi volantini in tutta la città e la popolazione fa una campagna elettorale per i propri deputati per le strade. Vediamo tantissime motociclette e i giovani haitiani che indossano una t-shirt con il numero del proprio candidato o con la foto e girano per la città. Ci sono tanti comizi: da noi sono più in televisione o nei media, ma qui si vivono proprio nelle strade.
D. – Le elezioni sono parlamentari: quali sono gli schieramenti in campo e che cosa propongono per il futuro di Haiti che è un Paese ancora in ricostruzione?
R. – Non ci sono, come da noi, un bipolarismo o dei partiti politici – Destra e Sinistra – ma tutti propongono alle persone le stesse speranze, gli stessi diritti, ma anche per il proprio interesse. In questo momento per le presidenziali ci sono 50 candidati.
D. – A livello umanitario, invece, qual è la situazione dopo cinque anni dal terremoto?
R. – Girando per le strade della capitale - sicuramente - dopo cinque anni dal terremoto non ho visto, come nei primi mesi e nei primi due o tre anni, le tendopoli. In questo momento, le persone vivono nelle loro case - sono a volte case di cemento, c’è una forte ricostruzione di piccole case di cemento - oppure ancora nelle baracche. Quello che manca ad Haiti, quello che manca da molti, troppi anni, è l’acqua, l’accesso alle cose di base: oltre l'acqua, cibo e poi scuola e sanità. Quindi è ancora un Paese molto sofferente.
D. – Ci sono invece dei segnali positivi?
R. – Qualcosa sta cambiando: nella popolazione c’è un forte desiderio di rinascita, di rivincita. Vedo tante compagnie telefoniche, anche internazionali, che si stanno installando qui: comunicazione, accesso ai telefoni e a internet vuol dire sviluppo. Vedo tanti hotel in costruzione. Se il futuro di questo Paese può ricominciare, ciò può avvenire dal turismo: vedo un grande fermento in questo settore, una grande voglia di accogliere!
D. – Uno dei problemi è quello dei tentativi che ci sono di emigrare da Haiti per raggiungere la vicina Repubblica Dominicana…
R. – Il problema è ancora più aspro: di una migrazione da Haiti verso la Repubblica Dominicana. Le frontiere sono sempre più serrate, con sempre maggiori controlli. Quindi la Repubblica non è in grado, non vuole o non può accogliere nuovi migranti haitiani: sono decine di migliaia di persone, perché si tratta di una migrazione degli ultimi 20-30 anni. Ma quello che è drammatico è che i migranti haitiani che hanno passato la frontiera negli anni passati, e che lavorano in Repubblica Dominicana, nei campi di canna da zucchero, non hanno una identità: vengono chiamati in Repubblica “palomas blancas”, non hanno un nome, vivono nei “Bateyes”, che sono dei piccoli villaggi di legno intorno alle coltivazioni. Ecco, il governo della Repubblica Dominicana sta facendo una campagna, una politica di rimpatrio di questi haitiani che da tempo vivono in Repubblica Dominicana, verso il loro Paese. Quindi c’è anche un flusso in senso contrario. In questo senso c’è una situazione molto tesa tra i due Paesi.
Coree: giornata di preghiera per la riunificazione della penisola
Giornata di preghiera questa domenica per la riunificazione delle due Coree, divise da 70 anni. Per l’occasione i cristiani del Nord e del Sud reciteranno un’unica preghiera. A promuovere l’iniziativa, le Chiese cristiane coreane. Ma quali sono i rapporti tra Seul e Pyongyang? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Francesco Sisci, editorialista di Asia Times:
R. – I rapporti tra i due Paesi – o tra le due parti dello stesso Paese, come ci tengono a definire sia i sud-coreani che i nord-coreani - sono in un momento di stallo: non vanno avanti né indietro. La cosa singolare degli ultimi anni è che in realtà il livello di vita nella Corea del Nord è aumentato. Ci sono più telefonini, più negozi: cioè è cominciata ad esserci una minuscola fascia di classe media. La speranza è che questa classe media possa spingere la leadership - la dirigenza suprema del Paese - in un terreno un po’ più malleabile ed internazionale. Kim Jong-un, a differenza del padre e del nonno, ha studiato in Svizzera e quindi conosce la differenza tra la Corea del Nord e il resto del mondo. Quindi forse questi due elementi - la classe media e l’educazione internazionale Kim Jong-un - potrebbero essere elementi di speranza.
D. – Cosa manca a livello diplomatico-internazionale?
R. - Il problema nord-coreano è estremamente difficile, perché, diversamente da altre potenze “dell’Asse del male” - usando una vecchia definizione americana - c’è il fatto che Pyongyang ha 8.000 cannoni puntati su Seul. E Seul è a 30 chilometri dal confine nord-coreano. Quindi c’è un problema strutturale. Per cui non si può usare il “bastone” che serve in diplomazia, onestamente. E non si può utilizzare neanche la “carota” visto che l’unico che contava e comandava era il supremo leader, il quale comunque viveva bene.
D. – In questi 70 anni c’è stato qualche momento positivo a livello diplomatico?
R. – Ci sono stati tanti momenti in cui si è sperato, però ogni volta queste speranze sono state tradite. E naturalmente il dibattito è aperto sul motivo di queste speranze tradite. Ci si chiede se c’è stata una mancanza da parte della diplomazia, di non saper cogliere il momento, come quando ci fu la presidenza sud-coreana di Kim Dae-jung. Oppure se è dovuto al fatto che che comunque i leader nord-coreani non erano assolutamente interessati a un vero dialogo. Al di là di quello che è il passato, oggi il problema è eliminare una minaccia oggettiva alla pace e alla stabilità, ed anche alla ricchezza di questa parte di mondo. Se la Corea del Nord rientrasse in qualche modo entro un alveo di normalità, i primi a beneficiarne sarebbero i nord-coreani, i quali avrebbero una vita migliore. Questo poi porterebbe a migliori condizioni per i cinesi, i giapponesi, i sud-coreani. Naturalmente, però, questi ancora oggi sono sogni.
Taizé: oltre 7000 giovani al raduno internazionale sulla solidarietà
Oltre 7000 giovani, fra i 18 e i 35 anni, provenienti da tutti i continenti, partecipano a partire da questa domenica al raduno internazionale promosso dalla Comunità ecumenica di Taizé, in Francia, sul tema “Verso una nuova solidarietà”. Durante l’incontro sarà ricordata in modo particolare la figura di Frère Roger Schutz, fondatore della comunità. Marina Tomarro ha raccolto il commento di frère David, coordinatore dell'evento:
R. – Per noi è un periodo un po’ particolare, perché quest’anno celebriamo tre anniversari importanti per la nostra comunità: i cento anni dalla nascita di Frère Roger; i dieci anni della sua morte e anche il 75.mo anniversario del suo arrivo a Taizé. Abbiamo pensato che sarebbe stato importante fare un incontro particolare, ma non per guardare indietro, piuttosto per accogliere tutta questa esperienza, tutta questa eredità di Frère Roger; e poi pensare a come possiamo vivere questa stessa chiamata nel mondo di oggi, che ha tanto bisogno di Dio e di solidarietà tra le persone.
D. – Cosa spinge i giovani di tutto il mondo ad arrivare a Taizé, secondo lei?
R. – Saremo per tutta la settimana quattromila giovani e alla fine della settimana poi ne arriveranno di più, settemila, per il 16 agosto. Verranno anche persone che hanno impegni nella società per cercare, come i giovani, di impegnarsi di più ad una nuova solidarietà. Verranno anche molti responsabili delle diverse Chiese. Sarà, penso, un bell’incontro di Chiesa in cui i giovani potranno veramente capire che la fede in Dio non è qualcosa che ci allontana dal mondo, ma al contrario ci impegna di più nel mondo intorno a noi.
D. – Qual è il ricordo di Frère Roger anche nei giovani? Che cosa ha lasciato loro?
R. – Molti giovani che vengono adesso a Taizé non hanno conosciuto Frère Roger, ma ne vengono anche molti altri che lo hanno conosciuto. Lui diceva molte volte di non aspettare di capire tutto di Dio, di non aspettare di capire tutto il Vangelo, ma quel poco che si è già capito di cercare di viverlo e di viverlo subito, di metterlo in pratica. Molti giovani dicono ancora oggi che questa chiamata di Frère Roger li ha ispirati negli impegni che hanno oggi.
D. – Secondo lei cosa portano a casa alla fine di questo incontro?
R. – Noi li lasciamo con questa riflessione: di cercare una nuova solidarietà. Abbiamo pensato che forse per i prossimi anni si potrà concretizzare questa ricerca di una nuova solidarietà con i tre valori del Vangelo, che Gesù ci presenta, delle Beatitudini: la gioia, la semplicità, la misericordia. Sono tre parole che vogliamo invitare i giovani a portare a casa, dopo questo raduno.
Giornata Popoli Indigeni: 370 milioni di persone a rischio
“Dobbiamo impegnarci tutti per migliorare la salute e il benessere dei popoli indigeni”. E’ questo il messaggio del segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon in occasione della Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni, che si celebra questa domenica in tutto il mondo. Istituita nel 1994, la Giornata vuole promuovere i diritti delle comunità native del pianeta, spesso vittime di discriminazioni e schiacciate da interessi economici. Giacomo Zandonini ne ha parlato con Francesca Casella, direttrice di "Survival International":
R. – I popoli indigeni contano almeno 370 milioni di persone, rappresentano addirittura il 6 per cento della popolazione del nostro Pianeta e sono distribuiti in più di 70 nazioni diverse. Hanno saputo sviluppare delle tecniche efficaci per sopravvivere anche nelle regioni più remote e inospitali della terra: abitano nelle foreste, nelle praterie, nei deserti, ma anche tra i ghiacci perenni. Alcuni oggi sono ormai indistinguibili dalle società che li circonda; molti conservano, invece, completamente la loro identità distinta, pur vivendo da secoli a contatto o al fianco dei colonizzatori; altri invece rappresentano sicuramente le società più vulnerabili del nostro Pianeta e non hanno ancora oggi alcun contatto con il mondo esterno. Sono piccole tribù – se ne contano almeno 100 in tutto il mondo – che rischiano di perdere, anche semplicemente con un contatto, la loro vita e il loro futuro; non hanno sviluppato - per esempio - resistenze immunitarie contro le malattie da noi comuni come l’influenza o il morbillo, che possono sterminarli in un batter d’occhio.
D. – Si parla di berberi, di yazidi, di eschimesi, di popolazioni distribuite in tutto il mondo. Quali sono le minacce che si trovano di fronte?
R. – Una cosa che li accomuna tutti tragicamente è un passato fatto di stermini e massacri che all’epoca avvenivano nella totale indifferenza del resto del mondo. Oggi qualcosa è cambiato, perché l’opinione pubblica, in molti casi, ha cominciato a riconoscere l’inalienabilità dei loro diritti e il valore delle loro culture. Tuttavia le società industrializzate, oggi come allora, continuano a sottoporli a violenza genocida, a schiavitù e a razzismo, per poterli derubare di terra, risorse e forza lavoro nel nome del progresso e della civilizzazione. Alcune delle minacce più gravi vengono anche semplicemente dai pregiudizi. I popoli indigeni hanno, infatti, sviluppato stili di vita largamente autosufficienti e straordinariamente diversi: molti dei farmaci che utilizza la medicina occidentale e alcuni degli alimenti base del mondo ci vengono da loro ed hanno salvato milioni di vite, ma continuano ad essere descritti come arretrati e primitivi, semplicemente perché i loro modi di vivere comunitari sono differenti.
D. – Proprio per far conoscere le problematiche dei popoli indigenti, voi come “Survival” avete lanciato un progetto di comunicazione. Di cosa si tratta e a chi è rivolto questo progetto?
R. – Il progetto “Tribal Voice” consiste nel portare le ultime tecnologie in materia di comunicazioni in quei territori in cui i popoli indigeni non hanno accesso ad internet per poter permettere loro di comunicare quasi in tempo reale con il resto del mondo, denunciando – per esempio – non appena avvengono le invasioni dei loro territori, le violazioni dei loro diritti, atti di brutalità, ma anche per far conoscere e testimoniare le loro culture e i loro valori.
D. – Si tratta di temi che sono il cuore della nuova Enciclica di Papa Francesco. Qual è la vostra impressione e come avete accolto queste parole del Papa?
R. – Ovviamente con grande favore. Il Papa ha riconosciuto – per esempio – il ruolo fondamentale che i popoli indigeni hanno nella conservazione e il loro legame fortissimo con le loro terre. Non dobbiamo dimenticare che una delle gravi minacce che i popoli indigeni vivono è anche lo “sfratto” dai loro territori, effettuato nel nome della difesa dell’ambiente: vengono cacciati dalle terre, che loro hanno contribuito a mantenere ricchissime di biodiversità, nel nome di una protezione dell’ambiente che in realtà senza di loro non può che fallire. Ecco, il fatto che nell’Enciclica si riconosca questo loro legame fortissimo col territorio e il ruolo cruciale che possono giocare nella difesa dell’ambiente è sicuramente straordinario. Il Papa, ad un certo punto, riconosce che la terra per loro non è un bene economico, “ma un dono degli antenati che in essa riposano”. Quindi è uno spazio sacro del quale loro hanno bisogno per alimentare la loro identità e i loro valori. Noi speriamo questa nuova visione dei popoli indigeni, il rispetto che essa spinge ad avere nei loro confronti, possa davvero diffondersi perché è quello di cui loro hanno bisogno e che chiedono.
Siria: avanza l'Is, in fuga centinaia di famiglie cristiane
In Siria, centinaia di famiglie cristiane stanno lasciando le loro case e loro città, minacciate dall’avanzata del cosiddetto Stato Islamico. La zona colpita è quella di Sadad, nella zona centrale del Paese, dove pochi giorni fa l’Is aveva guadagnato terreno malgrado gli oltre seimila raid lanciati in un anno dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Intanto, sarebbe stato sventato nel Regno Unito un attentato contro la regina Elisabetta: secondo fonti giornalistiche uomini dell’Is avrebbero progettato di ucciderla il prossimo 15 agosto a Londra durante le celebrazioni per i 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale nel Pacifico. Nel frattempo, in Iraq, il primo ministro Al-Abadi ha annunciato un piano contro la corruzione e le eccessive spese della politica. Saranno abolite le figure di viceprimo ministro e di vicepresidenti, cariche assegnate per garantire un’equa ripartizione fra le componenti sciite, sunnite e curde. (M.R.)
Polizia israeliana arresta estremisti ebrei per il rogo di Nablus
Sette estremisti ebrei sono stati arrestati in Israele nell’ambito delle indagini sull’attacco di Nablus del 31 luglio, dove sono morti nell'incendio della loro casa un bambino palestinese di un anno e mezzo e il padre. Gli arresti sono stati effettuati in due insediamenti illegali nel nord della Cisgiordania. Gli arrestati facevano parte del gruppo di coloni denominato “i ragazzi della collina”, mentre sono stati confermati i fermi amministrativi di sei mesi per altri due estremisti, accusati di attacchi contro chiese ed obiettivi palestinesi. In genere questo tipo di provvedimenti è usato dal governo israeliano verso palestinesi sospettati di aver compiuto o di voler compiere attentati. Migliaia di palestinesi hanno partecipato ieri ai funerali del padre del bimbo arso vivo, gridando slogan di vendetta contro Israele. (M.R.)
Libano, intronizzazione del nuovo patriarca armeno cattolico
Tutto è pronto a Bzommar, sede patriarcale della Chiesa Armeno Cattolica, in Libano, dove oggi pomeriggio avrà luogo la cerimonia di intronizzazione del neo-eletto Patriarca Krikor Bedros XX, eletto lo scorso 24 luglio dal Sinodo dei vescovi della Chiesa Armeno Cattolica, succedendo al Patriarca Nerses Bedros XIX, deceduto a seguito di un arresto cardiaco lo scorso 25 giugno.
Il convento di Bzommar si trova nell’omonimo villaggio a 36 chilometri a nordest di Beirut, a quasi 950 metri di altitudine e da più di 260 anni funge da sede patriarcale della Chiesa Armeno Cattolica.
La Chiesa Armeno Cattolica in effetti è nata nel 1742. Un primo tentativo di eleggere un patriarca per gli armeno-cattolici fu fatto nel 1714, quando a Costantinopoli un'assemblea di prelati e notabili armeno-cattolici designò il vescovo di Mardin, Melkon Tazbazian. Ma il tentativo fallì perché l'atto fu denunciato alle autorità turche dagli armeni ortodossi. L'assemblea fu sciolta e molti furono arrestati, tra cui lo stesso Tazbazian ed il vescovo di Aleppo, Abraham Ardzivian, il quale - dopo il decesso in esilio del vescovo Tazbazian - venne eletto Patriarca il 26 novembre 1740, ponendo la sua residenza, lontano da Costantinopoli, in Libano, nel monastero di Kreim. Nel 1742 il nuovo patriarca ricevette da Papa Benedetto XIV il riconoscimento della sua elezione ed il pallio, con l'incarico di unire, sotto la sua autorità patriarcale, tutti gli armeni cattolici.
La costruzione del Convento di Bzommar fu ultimata solo dopo la morte del primate di Cilicia degli armeni cattolici avvenuta il primo ottobre del 1749. Il suo successore Hagop Bedros Hovsepian si trasferì nel convento nel 1750. La prima struttura del convento oggi è adibita a Museo.
''La grazia divina e celeste ... chiama Krikor Bedros dall’Episcopato al Patriarcato di Cilicia'', saranno queste le parole pronunciate dai vescovi armeni durante la cerimonia che conferiranno al nuovo eletto la facoltà di diventare ''Pater et Caput'' della Chiesa di Cilicia degli armeni cattolici.
Alla cerimonia, che avrà luogo alle ore 17 (16 in Italia), e che sarà celebrata all'aperto, nel piazzale antistante il Convento di Bzommar, è prevista la partecipazione oltre che del clero e dei fedeli della Chiesa Armeno Cattolica, di rappresentanti delle altre Chiese orientali, delle Chiese sorelle, del nunzio apostolico in Libano, mons. Gabriele Caccia, e di rappresentanti del mondo politico e civile.
La cerimonia di intronizzazione sarà trasmessa in streaming su Youtube attraverso il sito del patriarcato armeno cattolico www.armeniancatholic.org .
Nigeria: nasce Prayerbox, social che avvicina cristiani e musulmani
In Nigeria, il dialogo ecumenico ed interreligioso passa anche dai social network: nel Paese, infatti, è stata attivata Prayerbox, una nuova piattaforma sociale ad indirizzo religioso, creata da Adebambo Oyekan Oyelajae, giovane programmatore nigeriano, e destinata non solo ai cristiani, ma anche a credenti di altre religioni. Unendo le caratteristiche di Facebook e Twitter, spiega l’agenzia Sir, il nuovo social network permette di postare preghiere e versetti biblici, di raccontare la propria testimonianza ed esprimere il proprio apprezzamento per quanto si legge scrivendo “Amen”, al posto del classico “Mi piace”.
Gli hashtag per le preghiere condivise
Soprattutto, Prayerbox ha la capacità di collegare tra loro i fedeli e le rispettive comunità religiose, creando connessioni anche con le autorità ed offrendo la possibilità di visualizzare i calendari religiosi o di effettuare donazioni ed offerte. Inoltre, spiega Oyelaja, sulla scia di Twitter, sono stati inseriti degli hashtag, ovvero delle parole-chiave “per consentire agli utenti di pregare in gruppo. Grazie a questo strumento , ad esempio, un enorme numero di preghiere è stato condiviso dopo gli attentati nel Paese”.
Uno strumento per pregare meglio e più spesso
Martoriato dagli attacchi di Boko Haram, infatti, la Nigeria si potrebbe dividere praticamente in due dal punto di vista religioso: il 50 per cento della popolazione professa l’islam, mentre i cristiani sfiorano il 48 per cento. In questo contesto, Prayerbox ha, in qualche modo, avvicinato i fedeli nigeriani, dando loro la possibilità di condividere le proprie storie e le preghiere con il mondo intero, ed aiutandole, sottolinea l’ideatore, “a pregare meglio, spesso e socialmente”.
Già iscritti 100mila utenti e postate 500mila preghiere
Circa un centinaio di migliaia gli utenti iscritti ed oltre cinquecentomila le preghiere postate finora sul social network. Da considerare che diverse migliaia di iscritti sono musulmani, a loro agio nell’interagire e pregare insieme ai cristiani. Ed un certo numero di pastori nigeriani e di altre parti del mondo ha già iniziato ad utilizzare la piattaforma. (I.P.)
Sudafrica. Speciale sito web per la beatificazione di Benedict Daswa
“Benedict Daswa: un uomo di dedizione, fede, integrità. Un uomo di Dio. Un martire”. Si apre con queste parole la homepage del sito www.daswabeatification.org.za, creato appositamente in vista della beatificazione di Benedict Samuel Tshimangadzo Daswa, primo martire sudafricano riconosciuto dalla Chiesa, morto il 2 febbraio 1990. La cerimonia avverrà il 13 settembre, a Tshitanini, nella diocesi di Tzaneen, alla presenza del card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.
Daswa ucciso lo stesso giorno della scarcerazione di Mandela
Ricco di informazioni, lo speciale sito racconta la vita di Benedict, ripercorre le tappe principali del suo processo di beatificazione, offre aggiornamenti sulla logistica della celebrazione e permette di scaricare foto e video legati all’evento. Numerose, inoltre, le interviste consultabili, tra cui quella a mons. Hugh Slattery, vescovo emerito di Tzaneen, colui che nel 2000 diede inizio alla causa di beatificazione di Daswa. Nell’intervista, in particolare, mons. Slattery mette in risalto una singolare coincidenza: Benedict fu ucciso lo stesso giorno in cui fu annunciata la scarcerazione di Nelson Mandela, leader sudafricano della lotta contro l’apartheid, dopo 27 anni di prigionia.
Mons. Slattery: Daswa come Mandela, simbolo della libertà
Daswa e Mandela, spiega il presule, sono stati “entrambi guidati da una visione di liberazione delle persone dalla schiavitù. Mandela ha trascorso la sua vita cercando di liberare il suo popolo dal giogo dell'apartheid. Daswa, nella sua vita, ha sperimentato la libertà interiore dal potere della stregoneria e del male. E poi, ha cercato di aiutare anche gli altri a vivere questa libertà, aprendosi a Cristo ed alla gioia del Vangelo”. “Si potrebbe dire – sottolinea mons. Slattery - che Daswa e Mandela siano complementari, in quanto le persone hanno bisogno della libertà sia interiore che esteriore, per costruire una società giusta e sana”.
Benedict: padre amorevole di otto figli, maestro e catechista
La vita di Daswa si svolge tutta a Mbahe, nella diocesi di Tzaneen, dove nasce il 16 giugno 1946, in una famiglia non cristiana. Durante l’adolescenza, si unisce ad un gruppo di catecumeni ed a 16 anni chiede il battesimo, scegliendo il nome di Benedict. Divenuto padre amorevole di otto figli, gli piace lavorare la terra: nel suo orto, i poveri possono comprare senza soldi, mentre i giovani vi possono lavorare per guadagnarsi quanto serve a pagare le spese scolastiche. Benedict si impegna molto anche sul fronte educativo: maestro elementare e poi direttore di scuola primaria, catechista ed animatore della comunità, si trasforma persino in guida ed animatore dei giovani durante i week-end e le vacanze, dotando il villaggio di un campo sportivo ed allenando i ragazzi della squadra di calcio.
Lo scontro con la comunità per contrastare la stregoneria
Ma nel gennaio del 1990, cominciano i problemi: un nubifragio si abbatte sulla zona e il tetto di molte capanne va a fuoco per una serie di fulmini, che i capi-villaggio interpretano come una maledizione, frutto di stregoneria. Si decide così di assoldare uno sciamano perché, con le sue arti magiche, individui il responsabile della maledizione e lo allontani dal villaggio. L’unico ad opporsi è Benedict che si sforza di spiegare agli abitanti del villaggio l’origine del tutto naturale dei fulmini.
Una morte cruenta. Nelle sue ultime parole, una preghiera
Guardato con sospetto, rimane vittima di un’imboscata da parte di un gruppo di compaesani che lo assalgono armati di pietre e bastoni. Benedict riesce a fuggire ed rifugiarsi in una casa, ma poco dopo ne esce spontaneamente, per non mettere a repentaglio la vita dei proprietari. Bastonato senza pietà, ustionato con acqua bollente e finito a colpi di pietra, raccontano di averlo sentito pregare ad alta voce prima di spirare. Il 22 gennaio 2015, Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei Santi a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio. (I.P.)
Svezia: eco-pellegrini in cammino per la giustizia climatica
“Fino a dove sei disposto ad arrivare, in nome del clima?”: questa la domanda che ha dato il via all’eco-pellegrinaggio, attualmente in corso in Svezia, per richiamare l’attenzione sulla salvaguardia del Creato. I partecipanti all’iniziativa, guidati dalla pastora Emma Thoren, sono partiti da Uppsala a metà luglio e arriveranno a Lund, nel sud della Svezia, il 10 settembre, dopo 630 chilometri. Ma l’obiettivo finale del pellegrinaggio è Parigi, dove il prossimo dicembre si svolgerà la Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici (Cop21)
Oltre un centinaio le persone già in cammino, tra preghiera e silenzio
Fino ad ora, sono oltre un centinaio le persone che si sono messe già in cammino, ma chiunque può aggiungersi al gruppo: basta consultare il sito www.ekovandringen.se, dove è segnato il percorso quotidiano. Ogni tappa è tra i 15 e i 25 chilometri ed ha inizio alle 8.45 con un momento di preghiera. Poi, si inizia a camminare, alternando 45 minuti di percorso a 15 minuti di riposo. Ogni due tappe, una viene percorsa in silenzio.
Meta finale, Parigi ed il Cop21
Dopo il pranzo, il pellegrinaggio prosegue fino a verso le 16.00, mentre dopo cena, alle 20.30, la giornata si conclude con un altro momento di preghiera. Si cammina dal lunedì al sabato, visitando le parrocchie che si incontrano lungo il percorso ed in cui vengono organizzate iniziative e attività di informazione e di sensibilizzazione sulla tutela dell’ambiente. Infine, gli eco-pellegrini svedesi si uniranno al cammino che da Flensburg, al confine tra Germania e Danimarca, partirà per Parigi il 13 settembre
La campagna globale “Agisci ora per la giustizia climatica”
L’iniziativa del pellegrinaggio “verde” rientra nella campagna globale “Agisci ora per la giustizia climatica”: lanciata lo scorso aprile presso il Centro ecumenico di Bossey in Svizzera, essa è a cura di Act Alliance, una delle maggiori organizzazioni legate alla Chiesa nel mondo che opera in materia di aiuti umanitari e di sviluppo. Collaborano all’iniziativa anche il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) e la Federazione luterana mondiale (Flm). In particolare, la campagna vuole invitare i leader mondiali a ridurre drasticamente le emissioni di carbonio, aiutando i più poveri, ed affrontando concretamente le conseguenze dei cambiamenti climatici, impegnandosi nella promozione dello sviluppo sostenibile. (I.P.)
Eucaristia, matrimonio e famiglia, tema della Settimana liturgica italiana
Sarà “Eucaristia, matrimonio, famiglia” il tema della 66.ma Settimana liturgica nazionale italiana, in programma a Bari dal 27 al 30 agosto. Organizzato dal Centro di azione liturgica (Cal), l’appuntamento di formazione e di spiritualità vede riuniti laici, operatori pastorali, rappresentanti delle diocesi e degli Istituti religiosi di tutt’Italia. Il tema scelto per l’edizione 2015, spiega in una nota mons. Alceste Catella, presidente del Cal, “intende continuare ad approfondire l’aspetto liturgico-sacramentale sia dell’Eucaristia, culmine dell’iniziazione cristiana e fonte della nuzialità, sia della domenica, giorno memoriale delle nozze di Cristo-sposo con la Chiesa-sposa”.
L’Eucaristia domenicale, fonte di forza, verità e bellezza per la famiglia
Centrale, poi, il richiamo al “valore della celebrazione eucaristica domenicale da cui la famiglia può continuamente attingere la forza dello spirito, per essere se stessa in tutta la sua verità e bellezza”. La Settimana si inserisce, così, in un contesto di avvenimenti ecclesiali incentrati sui temi della famiglia e del matrimonio: basti pensare all’Incontro mondiale delle famiglie, in programma a Filadelfia dal 22 al 27 settembre, alla presenza di Papa Francesco, ed al Sinodo generale ordinario sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, che avrà luogo in Vaticano dal 4 al 25 ottobre prossimi.
Tra i relatori, mons. Forte, segretario speciale del Sinodo sulla famiglia
Non a caso, tra le relazioni in programma al convegno, ci sarà quella di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e Segretario speciale del Sinodo sulla famiglia, che interverrà sul tema “La dimensione eucaristica della vita degli sposi e della famiglia”. Previsto, inoltre, l’intervento dei coniugi Franco e Giuseppina Miano che hanno partecipato, in qualità di esperti, al precedente Sinodo straordinario sulla famiglia, svoltosi nell’ottobre 2014.
In continuità con il Congresso eucaristico nazionale del 2005
Soddisfazione per l’appuntamento viene espressa dall’arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco Cacucci: “Sono lieto di accogliere la Settimana liturgica nazionale nella città di Bari dieci anni dopo la celebrazione del 24.mo Congresso eucaristico nazionale – scrive il presule - Il tema dell’evento vissuto nel 2005, “Senza la Domenica non possiamo vivere”, possa illuminare la dimensione ecclesiale della celebrazione del matrimonio e la missione della famiglia nella Chiesa e nella società”. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 221