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Sommario del 07/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa al Meg: dialogo e rispetto identità altrui per superare conflitti

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Tensioni e conflitti si superano col dialogo e nel rispetto dell'identità degli altri. Lo ha detto Papa Francesco, parlando a braccio, nell'Aula Paolo VI, ai ragazzi del Movimento Eucaristico Giovanile (Meg) promosso dai Gesuiti, a Roma per l’incontro mondiale in occasione del centenario di fondazione. Davanti a 1500 giovani di 38 delegazioni nazionali, accompagnati dal superiore generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolás, e dal direttore generale delegato, padre Frédéric Fornos, e tanti altri che da tutti i continenti hanno seguito in diretta l’evento, il Pontefice ha esortato ad avere fiducia in Cristo, che dona la “vera pace”. Il servizio di Giada Aquilino

I conflitti si risolvono col dialogo e col rispetto dell’identità altrui. Non ha avuto dubbi Papa Francesco nel rispondere “col cuore” alle domande postegli dai ragazzi del Movimento Eucaristico Giovanile, giunti in Aula Paolo VI in rappresentanza di oltre un milione di giovani del mondo. Il Pontefice ha invitato tutti a “non avere paura delle tensioni”. D’altra parte, ha spiegato, nella vita esistono: la società e la famiglia senza tensioni sarebbero “un cimitero”; “soltanto in Paradiso non ce ne saranno”. Quindi un triplice consiglio:

“Primo, non avere paura delle tensioni perché ci fanno crescere; secondo, risolvere le tensioni con il dialogo, perché il dialogo unisce, sia in famiglia sia nel gruppo di amici, e si trova una strada per andare insieme, senza perdere la propria identità. Terzo, non attaccarsi troppo a una tensione perché questo ti farà male”.

Il Pontefice ha invitato pure a leggere i conflitti in una dimensione diversa, riallacciandosi ad una realtà come quella dell’Indonesia, Paese d’origine di uno dei giovani che gli hanno parlato, “dove si respira - ha osservato - una grande diversità interna di culture”:

“Il conflitto, per essere bene assunto, deve essere orientato verso l’unità, e in una società come la tua che ha una cultura con tante culture diverse dentro, deve cercare l’unità ma nel rispetto di ciascuna identità”.

Il pensiero del Papa è andato poi alle minoranze che non sono rispettate, come i migranti Rohingya partiti dalla Birmania e respinti in mare da diversi Paesi asiatici:

“Questo è un conflitto non risolto e questa è guerra, questo si chiama violenza, si chiama uccidere. E’ vero: se io ho un conflitto con te e ti uccido, è finito il conflitto. Ma quello non è il cammino. Se tante identità – siano culturali, religiose – vivono insieme in un Paese, ci potrebbero essere conflitti, ma soltanto con il rispetto dell’identità dell’altro, con questo rispetto si risolve il conflitto”.

I veri conflitti sociali, anche quelli culturali, ha aggiunto, “si risolvono con il dialogo, ma prima con il rispetto dell’identità dell’altra persona”. Ciò non sta accadendo ad esempio ad un’altra minoranza, quella dei cristiani del Medio Oriente:

“Le minoranze religiose, i cristiani … non solo non sono rispettati, ma tante volte sono uccisi, perseguitati… Perché? Perché non si rispetta la loro identità. Nella nostra storia, sempre ci sono stati conflitti di identità religiosa, per esempio, che venivano fuori per non rispettare l’identità dell’altra persona. 'Ma, questo non è cattolico, non crede in Gesù Cristo …' – 'Rispettalo. Cerca che cosa buona ha. Cerca nella loro religione, nella loro cultura, i valori che ha. Rispetta'. Così i conflitti si risolvono con il rispetto dell’identità altrui”.

Quindi, rispondendo ad una ragazza brasiliana a cui il Pontefice aveva precedentemente chiesto scherzosamente chi preferisse tra Pelé e Maradona, Francesco ha riflettuto sulle sfide della sua missione come religioso: “trovare sempre la pace nel Signore, quella pace che soltanto Gesù ti può dare”, ha detto, invitando a “discernere” tra la pace di Cristo e quella del diavolo che – ha ribadito – “sempre ti truffa”:

“La vera pace viene sempre da Gesù. Anche, alcune volte viene incartata in una croce. Ma è Gesù che ti dà la pace in quella prova. Non sempre viene come una croce, ma sempre la vera pace è di Gesù. Invece, l’altra pace – quella superficiale – quella pace che ti fa contento, ti accontenta un po’ ma è superficiale, viene dal 'nemico', dal diavolo”.

I giovani, poi, sono - nelle parole di Francesco - i segnali di gioia e di speranza nella Chiesa di oggi: quelli che non fanno i “pensionati” ma credono “che Gesù sia nell’Eucaristia”, “che l’amore sia più forte dell’odio”, “che la pace sia più forte della guerra”, “che il rispetto sia più forte del conflitto”, “che l’armonia sia più forte delle tensioni”, di fronte a quella che il Papa già in altre occasioni aveva avuto modo di definire una “terza guerra mondiale, a pezzi”. Ma sono segnali di gioia anche i nonni. Il Papa ha raccontato di aver conosciuto all’udienza generale un’anziana di 92 anni, il cui ‘segreto’ di longevità sta nei “ravioli” fatti in casa. Eppure, ha proseguito, i nonni sono i “grandi dimenticati” di questo tempo, di cui sempre più spesso, in questo periodo di crisi in Italia, ci si ricorda solo perché “hanno la pensione”:

“I nonni sono una fonte di saggezza, perché hanno la memoria della vita, la memoria della fede, la memoria delle ‘tensioni’, la memoria dei ‘conflitti’… E sono bravi, i nonni. A me piace tanto parlare con i nonni”.

Francesco ha proseguito parlando di Gesù che “si manifesta sempre nella sua pace”:

“Se tu ti avvicini a Gesù ti dà una pace, ti dà una gioia. E quando tu incontri Gesù - nella preghiera, in un’opera buona, in un’opera di aiuto all’altro; ci sono tante maniere per trovare Gesù…– sentirai la pace e anche la gioia”.

Per questo bisogna sempre fare “memoria di quello che Gesù ha fatto”, andando “lì, sul Calvario, dove Gesù ha dato la sua vita” per noi, ricevendo il Corpo e il Sangue di Cristo, andando a Messa o pregando “davanti al Tabernacolo. Così, ha confidato ai giovani, “andrete avanti”:

“Il mondo ha tante cose brutte, stiamo in guerra; ma ci sono anche tante cose belle e tante cose buone e tanti santi nascosti nel popolo di Dio. Dio è presente. Dio è presente e ci sono tanti, tanti motivi di speranza per andare avanti. Coraggio e avanti!".

I ragazzi del Meg hanno risposto con la festa: chi ha chiesto al Papa un autografo, chi un ‘selfie’, chi gli ha portato la bandiera argentina; tutti insieme gli hanno donato una copia del progetto e dell’applicazione ‘Click to pray’. Anche questo è un modo per andare avanti.

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Giovani del Meg: da incontro con il Papa nuovo slancio al movimento

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Clima di festa e condivisione in Aula Paolo VI tra i giovani del Movimento Eucaristico Giovanile (Meg), ma anche l’impegno affinché dall’incontro con Papa Francesco possa rinnovarsi questa esperienza ecclesiale. Su cosa offre oggi una realtà come il Meg ai ragazzi che ne fanno parte, Alessandro Gisotti ha intervistato il padre gesuita Andrea Picciau, vice-responsabile nazionale del Meg: 

R. – Dà a mio avviso la possibilità di un incontro profondo con se stessi, con gli altri e soprattutto con il Signore. Non è semplice in questi tempi incontrare il Signore profondamente: la tendenza è quella di rimanere sempre un po’ in superficie… Invece il Meg, in modo semplice e giovane, riesce a condurre le persone ad una profondità sempre maggiore.

D. – Papa Francesco è uno straordinario generatore di speranza, di gioia e anche di fiducia per i giovani: che aspettative ci sono per il dopo questo incontro?

R. – I ragazzi lo aspettavano tanto: questo incontro è un evento straordinario. Per il dopo, per noi responsabili del Meg, ma anche per i ragazzi un po’, ci aspettiamo che i cuori vengano toccati dalle parole del Santo Padre e che i ragazzi possano vivere come testimoni autentici della fede e dell’incontro con il Signore Gesù.

Sempre Alessandro Gisotti ha raccolto le testimonianze di due giovani impegnati nel Meg, che hanno preso parte all’udienza del Papa in Aula Paolo VI: 

R. – Sono Angela e vengo da Pescara. Per me il Meg è a tutti gli effetti uno stile di vita: cioè uno stile che ci contraddistingue, e che è quello della condivisione, della gioia, che è anche il tema del convegno mondiale. E quindi per noi è sempre una grande emozione ritrovarci, sia fuori che dentro il Meg.

D. – Papa Francesco ai giovani spesso ripete: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Voi che avete un percorso di fede, che tipo di speranza avete per voi e per chi magari la fede non ce l’ha?

R. – Come tanti altri ragazzi, ci rendiamo conto che proviamo le stesse cose anche a distanza di chilometri. Poterlo condividere qui e poter condividere la stessa voglia - la stessa voglia di sperare - è qualcosa di veramente grandioso! Quindi per noi anche condividere quello che ha detto il Papa - non lasciarci rubare la speranza - è una delle cose più importanti nel Meg!

R. – Sono Claudio e vengo da Roma. Il Meg sicuramente mi ha dato molto nella mia crescita dal punto di vista spirituale. Fa approfondire tutti quei temi che forse l’educazione e la formazione a cui siamo abituati normalmente non riescono a toccare: tutta quella formazione più profonda della relazione con l’altro, e soprattutto della relazione con Dio.

D. – Ovviamente l’incontro con il Papa è sempre qualcosa di emozionante e di significativo: quali frutti ti aspetti per il dopo?

R. – Ricorre il centenario della fondazione del Meg. Penso che sia come ogni ricorrenza il punto di inizio per mettere nuove energie e per dare una nuova carica a tutto il Movimento, per farci un po’ conoscere in quelle realtà dove magari siamo meno presenti - meno numerosi - facendo sapere che l’Apostolato della Preghiera giovanile dei Gesuiti è presente, continua a muoversi e a portare in giro per il mondo il Vangelo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, “Il rispetto è più forte del conflitto. Al movimento eucaristico giovanile il Papa ricorda l’importanza del dialogo”

“In salvo ma non al sicuro. Duemila persone soccorse in tre giorni nel Mediterraneo mentre si aggravano le condizioni di profughi e migranti nell’Unione europea”

In Cultura, Cristiana Dobner racconta la battaglia di Dietrich von Hildebrand contro il nazismo e Marcello Filotei parla della “malamovida” contemporanea, mentre Carlo Petrini parla della difficile attuazione del codice per il reclutamento internazionale di personale sanitario, che penalizza i più poveri. Una pagina monografica è dedicata a madre Hildegard Michaelis, benedettina e artista.

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Oggi in Primo Piano



Decine di cristiani rapiti in Siria. Patriarca Younan: è pulizia religiosa

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Almeno 230 civili, tra i quali “decine di cristiani”, sono stati rapiti dall'Is nella città siriana di Al Qaryatain, che i jihadisti hanno conquistato nei giorni scorsi. Lo afferma oggi l'Osservatorio nazionale per i diritti umani, secondo cui sarebbero numerosi i bambini in mano ai terroristi. Ieri Papa Francesco - in una lettera al vicario patriarcale per la Giordania, mons. Maroun Lahham – era tornato a denunciare le persecuzioni anti-cristiane in Iraq e Siria. Sulla situazione della comunità cristiana proprio nella città attaccata dall’Is, Alessandro Gisotti ha raccolto la drammatica testimonianza del patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan: 

R. – Era previsto l’arrivo di questa gente: queste bande di terrore religioso hanno avuto dei complici nella città di Qaryatain … Adesso parlavo con il nostro amministratore patriarcale, che mi diceva che non si sa cosa potrà accadere alla nostra comunità e come andrà a finire. Dopo il rapimento del padre Jacques Murad, erano rimaste ancora circa 120 famiglie in Siria: alcune di loro sono riuscite a fuggire nei campi due giorni fa, ma non sono ancora arrivate… Non si sa cosa sarà di loro.

D. – Questi terroristi compiono una vera e propria pulizia etnica: vogliono cancellare il cristianesimo e i cristiani dalla Siria, come dall’Iraq…

R. – Noi non parliamo di etnie, perché noi siamo della stessa etnia di coloro che sono musulmani in Siria. E’ una pulizia religiosa! Quella che i vostri governanti non vogliono vedere: non ne vogliono sapere niente! A loro importa poco delle libertà religiosa di queste comunità, che sono riuscire a sopravvivere per centinaia di anni proprio perché attaccate al loro Salvatore e al Vangelo. E’ una pulizia religiosa! Non ci vogliono! Tutto questo è colpa di quei governanti machiavellici, che pensano solamente a cercare le opportunità economiche e che pensano che se quella gente - senza alcuna difesa, innocente - può rimanere che rimanga; se non può rimanere, che allora prenda il mare.

D. – Papa Francesco ha inviato una lettera al vicario apostolico di Giordania per sottolineare, appunto, quanto ci sia un’accoglienza dei popoli in questa vostra terra e invece un silenzio assordante della cosiddetta Comunità internazionale…

R. – Siamo sempre grati a Sua Santità Papa Francesco. Lui ci ricorda sempre nelle sue preghiere e sta cercando di fare qualcosa. Purtroppo, però, la ragione è sempre del più forte! Anche ai nostri giorni in cui ci dicono che ci sono delle istituzioni internazionali per la difesa dei diritti umani e della libertà religiosa… Ma dove? E’ una bugia! Il fatto è qui: a Qaryatain, fino a due mesi fa, c’erano circa 300 famiglie, che erano rimaste lì. Erano veramente degli eroi! Come il  loro parroco, il parroco siro-cattolico, padre Jacques Murad, che è stato rapito: era nel convento di Mar Elian a ricevere tanti musulmani, ad aiutarli… Che possiamo fare? Come è riuscito lo Stato Islamico ad arrivare lì, come è riuscito ad entrare e penetrare a Qaryatain, dove c’era l’esercito? Gli stessi abitanti, i sunniti, che sono pro questi terroristi, aspettavano solo il momento per attaccare i soldati…

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A un anno dalla cacciata da Ninive, cristiani e yazidi stremati

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Si concludeva un anno fa, il 7 agosto 2014, con la fuga notturna di migliaia di persone, l’esodo di cristiani e yazidi dalla Piana di Ninive, nel Kurdistan iracheno, in seguito all’avanzata del sedicente Stato Islamico nella regione. Chi è riuscito a scappare dalla violenza del “Califfato”, assistendo spesso a violenze indicibili, continua a vivere in campi profughi, in situazioni di estrema precarietà. Giacomo Zandonini ha intervistato Stefano Nanni, operatore umanitario in Irak con l’associazione “Un ponte per” e corrispondente di Osservatorio Irak dalla regione di Dohuk, dove si è insediata la gran parte dei rifugiati interni: 

R. - Un anno fa, ma esattamente il 10 giugno, quando fu presa Mosul e tutti i villaggi e le cittadine circostanti, è iniziato un grande esodo che ha portato ad oggi circa un milione e trecentomila persone a rifugiarsi nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. A giugno ci fu la prima grande ondata che portò tante persone a spostarsi verso Erbil, soprattutto i cristiani. Erbil già da tempo era considerata una zona abbastanza sicura per la comunità cristiana e ancora oggi è possibile notare questo nel quartiere cristiano di Ainkawa, dove ormai tantissime persone stanno cercando di ricostruire una vita normale, il che purtroppo non è affatto facile. Successivamente, le altre offensive da parte del cosiddetto Stato islamico hanno portato altre ondate di persone ad occupare ancora di più la zona di Erbil e Sulaymaniyah. I primi dieci gironi di agosto, circa 500 mila persone sono fuggite nella provincia di Ninive, quasi al confine con la Siria. Ad oggi ancora 800 mila persone si rifugiano nelle provincia di Dohuk, dove si concentra la maggior parte degli sfollati interni.

D. - Moltissimi cristiani si trovano in una situazione di estrema difficoltà; sono rifugiati, si trovano ospiti in altre città, in alte zone del Paese … Qual è la situazione oggi, ad un anno dalla fuga di molte persone?

R. - Dopo un anno purtroppo la situazione non è migliorata, perché sappiamo tutti che gli scontri sul terreno non hanno portato a grandi riconquiste da parte dello Stato centrale iracheno, dei peshmerga e della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Migliaia di persone vivono nei campi profughi; nella provincia di Dohuk - dove mi trovo - ce ne sono 16. Questi campi oramai – è triste dirlo –  sembrano evolvere verso una situazione più urbana, ma mentre nei campi comunque ci sono, bene o male, dei servizi che funzionano più o meno regolarmente, è molto più confusa e complessa la situazione delle persone che vivono fuori dai campi. La generosità della popolazione locale dopo un anno è purtroppo diminuita. La prima grande emergenza è stata l’anno scorso con l’arrivo, poi c’è stato l’inverno, abbastanza duro, e ormai da tre mesi il caldo asfissiante, che oscilla tra i 40 e i 50 gradi, è un’altra questione molto seria. La situazione parla anche di una riduzione di fondi da parte dei governi verso la risposta umanitaria. E la prospettiva di ritorno è molto debole perché la situazione sul terreno di battaglia è molto confusa.

D. - Prima di questi terribili avvenimenti nella zona di Ninive coabitavano comunità religiose culturali molto diverse? Qual è ora la situazione?

R. - L’Iraq è un’area dove da sempre tantissime culture e religioni convivono. Lo Stato islamico non rappresenta che l’ultimo prodotto di politiche confessionali scellerate che si sono rivedute nel corso degli ultimi 15 anni. Le politiche confessionali che aveva adottato il precedente primo ministro Nouri al Maliki sostenuto dagli Stati Uniti dopo il periodo di post-occupazione e anche dall’Iran tendevano a favorire la componente sciita del Paese e a discriminare soprattutto la parte sunnita, e in generale tutte le alte minoranze. Questo ha portato negli ultimi quindici anni a una migrazione di molte comunità cristiane, yazide e turcomanne verso il nord del Paese. I cristiani in Irak erano 800mila/1 milione prima del 2003, oggi sono circa 500mila e tanti vogliono andare via. Nei giorni scorsi ero a contatto con delle famiglie cristiane rifugiate in un centro culturale assiro, a Dohuk, e la frase più comune è "non c'è più un posto sicuro per noi qui". Ci sono tante persone che stanno provando a arrivare in Europa o a uscire dall'Irak con mezzi illegali, e i prezzi oscillano fra 10 e 12mila dollari...

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Sud Sudan: riprendono negoziati, appello delle Chiese cristiane

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Riprendono oggi in Etiopia i negoziati per la pace in Sud Sudan, Paese nato nel 2011 e da 19 mesi afflitto da una violenta guerra civile. In vista delle trattative, il Consiglio delle Chiese locali ha lanciato un appello ai leader politici del Paese affinché mettano da parte le armi e trovino un accordo. Il conflitto in corso è solo di natura interetnica o è motivato anche da altre questioni come la gestione delle risorse naturali? Roberta Barbi lo ha chiesto a Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

R. – La base è certamente una base etnica, nel senso che i due contendenti - il presidente, Salva Kiir, e il suo vice, Riek Machar - appartengono a etnie diverse: Salva Kiir è Dinka; Riek Machar è Nuer. Sono tensioni che affondano nella storia del Sud Sudan e che erano già emerse durante la guerra contro Khartoum. Questo è il detonatore che ha fatto esplodere una situazione già particolarmente delicata per la gestione delle risorse naturali: in questo momento soprattutto la gestione delle risorse petrolifere, ma direi anche, in futuro, possibili tensioni per la gestione delle acque.

D. – Come vive la popolazione? Le Ong parlano di oltre due milioni di persone costrette a lasciare le loro case, oltre a migliaia di vittime…

R. – La situazione è particolarmente drammatica: l’ultimo rapporto di Human Rights Watch parla di violenze inaudite sulla popolazione civile, presa tra i due fuochi dei contendenti. So da testimonianze dirette del campo di Maban, nel quale operano i gesuiti del Jesuit Refugee Service, che la popolazione è stremata, in una situazione veramente tragica perché fugge dalle case senza nulla e si rifugia in questi campi senza alcuna speranza. In quel campo in particolare, i gesuiti stanno lavorando con i bambini, ma anche con la popolazione soprattutto sul profilo psicosociale, perché sono persone che, avendo perso tutto, hanno anche dei forti problemi di carattere psicosociale.

D. – Sono ripresi oggi i negoziati in Etiopia: che speranze ci sono?

R. – È difficile dirlo… Teniamo presente anche che questo conflitto s’inserisce in una regione più ampia, nella quale ci sono anche le potenze regionali, ad esempio Etiopia e Uganda sostengono il governo di Juba. Questo conflitto va risolto anche a livello regionale.

D. – La Chiesa si è detta disponibile a mediare un ulteriore processo di riconciliazione nazionale….

R. – Il Consiglio delle Chiese si è espresso per una pacificazione, quindi per la firma di un accordo ad Addis Abeba, e si è detto disponibile a provare a mediare tra le parti in modo tale da riuscire a raggiungere una pace onorevole tra i due contendenti, ma soprattutto un’equa redistribuzione delle risorse che, possibilmente, vada a favore di tutta la popolazione, indipendentemente dall’etnia.

D. – Anche il presidente Obama, nella sua recente visita in Kenya ed Etiopia, ha indicato al Sud Sudan la data del 17 agosto - ormai prossimo - come termine ultimo per trovare un accordo e mettere fine alla guerra civile…

R. – Questi ultimatum lasciano sempre un po’ il tempo che trovano. Certamente bisogna trovare delle forme di pressione forti sui contendenti in modo tale che, nel momento in cui questa deadline non venga rispettata, si possa incidere profondamente sulla realtà sudsudanese. Si potrebbe pensare, per esempio, a delle sanzioni, ma a delle sanzioni mirate sulla classe dirigente che è restia a fare la pace.

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Camerun minacciato dai Boko Haram. Incognita su riapertura scuole

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Strade deserte, paura dilagante, assembramenti evitati. È la situazione che si vive nell’Estremo Nord del Camerun, regione da almeno due anni attaccata dagli estremisti islamici di Boko Haram, che sempre più frequentemente sconfinano dalla vicina Nigeria. Nelle ultime settimane, non sono stati solo i villaggi frontalieri ad essere presi di mira ma anche gli agglomerati più grandi. A fine luglio, due attentati kamikaze hanno colpito un mercato e un bar di Maroua, capoluogo della regione. Una quarantina le vittime solo il mese scorso. Sulla situazione nella zona ascoltiamo fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua, raggiunto telefonicamente a Maroua da Giada Aquilino

R. – La città si sta attualmente riprendendo dopo gli attentati che ci sono stati 10 giorni fa, però c’è tanta paura diffusa a tutti i livelli e c’è anche una diminuzione delle normali attività a seguito di questi attentati. Sono state infatti ridotte alcune ‘iniziative popolari’, come la vendita al dettaglio degli ambulanti. E’ stato anche chiesto a tutti i genitori e alle famiglie di evitare che i loro ragazzi girino per il mercato senza uno scopo preciso. Tutti hanno paura. Comunque, con queste misure di prevenzione proposte e volute dalle autorità c’è sicuramente più controllo: i mezzi pubblici, ad esempio, sono tutti monitorati e i tempi di viaggio sono più lunghi.

D. – Ci sono anche testimonianze di genitori che hanno dubbi se mandare i loro figli a lezione il prossimo anno scolastico, proprio per paura di attacchi dei Boko Haram…

R. – Qui a Maroua non credo che ci saranno questi problemi. Ci saranno un po’ più al nord, verso la zona di Fotokol, dove siamo presenti come Caritas. Attualmente ci sono circa 140 scuole chiuse lungo la zona di frontiera e non si sa bene se verranno riaperte in occasione del prossimo anno scolastico. E questo proprio perché la situazione non è migliorata: purtroppo è peggiorata, dal punto di vista della sicurezza.

D. – Al momento queste scuole sono chiuse per motivi di sicurezza o perché c’è la paura estiva?

R. – Adesso ci sono le vacanze estive, ma le scuole sono state chiuse per tutto l’anno scolastico 2014-2015. E anche nell’anno scolastico 2015-2016 non è sicuro che vengano riaperte. In molti di questi plessi è stato detto agli stessi genitori di mandare i ragazzi in altre scuole, che sono situate a una trentina di chilometri al di là della frontiera, dove c’è meno pericolo.

D. – Perché i Boko Haram hanno colpito e colpiscono anche le scuole?

R. – Per l’ideologia che hanno sin dall’inizio: loro sono contro le scuole, perché ritengono che deturpino l’idea iniziale dell’Islam, di un Islam puro, di un Islam che si basa sulla Sharia. Quindi soprattutto le scuole che aprono gli orizzonti e le menti dei ragazzi sono considerate qualcosa di pericoloso.

D. – Lei ha detto: siamo presenti a Fotokol. Vi occupate di sfollati provenienti dalle zone frontaliere, ma anche della Nigeria?

R. – Sì, io ero a Fotokol 15 giorni fa, con i nostri operatori della Caritas e abbiamo notato che il numero dei rifugiati nigeriani sta diminuendo, nel senso l’Unhcr si sta occupando di questi sfollati e li sta trasportando più a sud, per poi farli rientrare in Nigeria. C’è invece un numero ancora molte elevato di sfollati camerunensi.

D. – Tra queste persone, quali sono le emergenze? Ci sono particolari pericoli sanitari in questo periodo?

R. – C’è una emergenza di base che è di tipo alimentare: ci sono persone e famiglie che si sono allontanate da casa in situazioni tragiche, senza poter portare un granché come riserve alimentari. Sono accampate in tende o addirittura in capanne di erba. E non hanno più da mangiare. Il secondo elemento grave è quello della sanità, soprattutto per i bambini, per le donne incinte e per le persone anziane e malate. Abbiamo creato un centro sanitario mobile a Fotokol, che cura tra i 700 e i 1.000 nuovi casi al mese. Poi c’è un problema abbastanza grosso, che riguarda una fascia ancora più delicata: i bambini malnutriti e denutriti gravi. Noi, con i nostri mezzi, possiamo solo curarne 300 alla volta, ma il numero è molto più elevato.

D. – Come prosegue nella zona il programma di assistenza portato avanti dalla Fondazione Pime Onlus, che vi affianca da tempo?

R. – E’ più o meno la base sulla quale possiamo trovare delle risorse per gestire circa 10mila profughi e sfollati. Se non avessimo quest’aiuto della Fondazione Pime, sarebbe veramente molto difficile poter andare avanti.

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Immigrazione. Cresce "rotta greca". Giusi Nicolini: non è "emergenza"

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Altri 240 immigrati sono stati soccorsi oggi nel Canale di Sicilia. A Palermo sono stati arrestati 5 presunti scafisti, tre libici e due algerini, riconosciuti dai sopravvissuti del naufragio avvenuto mercoledì scorso al largo della Libia. Le persone salvate dai soccorritori sono in tutto 373, recuperati finora 26 corpi. Intanto, in Grecia si registra il record di arrivi di migranti a luglio: con 49.550 registrati, in un solo mese è stato superato il totale del 2014 (41.700). Da gennaio a luglio 2015 sono 130.500 gli arrivi in Grecia, cinque volte più dello stesso periodo del 2014. Nonostante i flussi verso l'Italia – afferma Frontex - da alcuni mesi la rotta greca è più battuta. Sull’emergenza sbarchi, Alessandro Filippelli ha intervistato Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa: 

R. – Noi abbiamo dato un grande esempio a tutti. Per una fase abbiamo salvato la vita e accolto – veramente - per vent’anni: saranno più di 300.000 le persone passate da Lampedusa. E quando leggo di proteste, intolleranze per numeri veramente ridicoli invito tutti a riflettere e a dire: “Ma come ha fatto Lampedusa finora?”. Io mi sono battuta moltissimo per questo! Siamo riusciti a superarla - noi - l’emergenza immigrazione dimostrando che si può governare e gestire, nel rispetto dei diritti umani delle persone che vengono soccorse e ospitate nel nostro centro di accoglienza. Abbiamo ottenuto l’applicazione di principi fondamentali: cioè che il centro non sia sovraffollato – perché le condizioni di sovraffollamento determinano per forza condizioni disumane di accoglienza – che i trasferimenti vengano fatti quindi molto velocemente dall’isola verso gli altri centri della Sicilia e del Paese; quindi diminuendo i tempi di permanenza, perché né Lampedusa né le isole né gli altri luoghi di sbarco possono diventare prigioni. Perché altrimenti soffrono loro e soffrono le comunità.

D. – Come sindaco di Lampedusa cosa chiede alle istituzioni europee per risolvere l’emergenza profughi?

R. – Innanzitutto ammettere con coraggio e senso di responsabilità che quella che viviamo non è un’emergenza! E quindi dobbiamo pianificare, programmare, superare questo modo assurdo di accogliere fondato sui grandi centri di accoglienza, che non hanno veramente senso e che forse sono la causa – vera – dell’intolleranza, del disagio, della sofferenza delle comunità che sono chiamati ad ospitare questi centri. Un modello di accoglienza diffusa – di piccoli gruppi di persone, accolti da piccole comunità, da cooperative di giovani. Questa sarebbe – sicuramente – la soluzione al problema! Non mi pare un obiettivo né impossibile né difficile da raggiungere; ma questo vale per l’Italia e vale per l’Europa.

D. – Gli abitanti dell’isola come vivono il problema e l’emergenza degli sbarchi?

R. – L’hanno sempre affrontato con coraggio, determinazione, molto spesso sostituendosi allo Stato nel fornire beni di prima necessità nell’accoglienza. Oggi, devo dire che siamo riusciti a conquistare una sinergia positiva tra tutti gli enti coinvolti: da quelli che fanno i soccorsi a quelli che fanno l’accoglienza a terra, e anche una partecipazione della comunità più organizzata dentro alle organizzazioni di volontariato. Io – veramente – spero che queste conquiste siano per sempre. Mi auguro che i mezzi di informazione riescano a far diventare notizia anche il superamento dell’emergenza.

D. – E possibile che tra gli arrivati ci siano uomini arruolati nel sedicente Stato Islamico? C’è preoccupazione tra gli abitanti dell’isola?

R. – Sono paure inconsce che vanno razionalizzate. Qui, sicuramente, immaginare che un terrorista possa rischiare la propria vita, insieme a un profugo o richiedente asilo, su quei barconi che a volte naufragano – come in questi giorni abbiamo visto a quindici miglia da Tripoli – è una cosa abbastanza lontana dalla realtà. Il terrorismo è qualcosa di organizzato, pericoloso. Non credo che possano affidare loro disegni criminali a un viaggio della speranza.

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Renzi: 12 miliardi per Internet veloce in tutto il Paese

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Garantire l’accesso ad Internet ad alta velocità sull’intero territorio italiano. Questo l’obiettivo del piano per la banda ultra larga da 12 miliardi di Euro illustrato ieri dal premier Matteo Renzi, che ha annunciato lo stanziamento dei primi 2,2 miliardi di Euro. Gli interventi partiranno in autunno per arrivare al traguardo entro il 2020, come richiesto dall’Europa. Ma in cosa consiste questo progetto? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Raffaele Barberio, direttore del quotidiano on line Key4biz.it: 

R. - Portare la banda larga in tutta Italia vuol dire porre l’intero Paese, cioè anche le zone più remote, in condizione di poter accedere alla rete Internet. La Rete è molto importante perché sosterrà l’economia. Non servirà soltanto ad offrire piccole soluzioni per il tempo libero dei nostri figli; questo è un limite culturale che noi dobbiamo assolutamente superare. Non c’è sviluppo economico se non c’è diffusione di Internet. E le decisioni del governo di ieri indicano proprio questa strada: abbiamo iniziato un percorso virtuoso che può far crescere l’Italia.

D. - In che modo concretamente?

R. - Un Paese vive per la sua attività amministrativa, cioè gli uffici. Negli uffici pubblici nei quali sono stati attivati servizi online non esiste più la fila e questo vuol dire guadagnare tempo, assicurare prestazioni veloci ed assicurare anche quella trasparenza che serve a combattere fenomeni di corruzione che in altro modo - forse - non sarebbero affrontabili.

D. - Qual è il vantaggio per le imprese?

R. – L’economia italiana si fonda su una miriade di piccole e medie imprese. Molte di queste vendono anche all’estero e con Internet lo fanno meglio, perché possono raggiungere una platea di potenziali acquirenti fatta di miliardi di persone. L’industria italiana ha bisogno di presentarsi su una scena di mercato globale, perché i tempi lo impongono: chiunque pensi di poter vendere i propri prodotti soltanto sul piccolo mercato rionale della propria città o della propria provincia, oggi non ha grande sviluppo. E dato che noi abbiamo grandi eccellenze in molti settori dell’economia, dobbiamo avere la certezza che queste eccellenze possano essere offerte a tutto il mondo.

D. - Il governo pensa che la banda ultra larga porterà crescita soprattutto al Sud. È davvero così?

R. - Il Sud ha un deficit di sviluppo drammatico. L’economia è ferma, le nuove generazioni non trovano occupazione e le imprese faticano. Assicurare al Mezzogiorno lo strumento di Internet, vuol dire provare a sostenerne lo sviluppo. E il Mezzogiorno può contare su Internet come fosse una delle armi migliori per poter affrontare un dislivello economico che ormai è ultracentenario. Quindi la scelta di puntare su Internet, e fare in modo che Internet si sviluppi maggiormente al Sud, è una scelta strategica rilevante. Vorrei aggiungere che ieri è stato annunciato da Telecom Italia un piano abbastanza consistente - di oltre due miliardi - per la diffusione della banda larga e ultra larga nelle sette regioni meridionali. Anche questo è un segnale importante che cade “sincronicamente”, affiancandosi alle decisioni del governo. Mi pare che ci sia un’unità di intenti anche sul versante delle imprese di telecomunicazione e questo è un dato molto rilevante.

D. - Come si deve preparare il cittadino in attesa che arrivi l’Internet super veloce nella propria abitazione?

R. - I cittadini secondo me hanno già piena consapevolezza di cosa Internet possa offrire. Penso che i cittadini debbano reclamare che gli uffici pubblici si dotino prima possibile di ogni applicazione di Rete, perché quando l’amministrazione lavora su Internet lavora più velocemente, senza sprechi e in piena trasparenza. Credo che a volte l’esigenza di informare i cittadini per stimolarli sia diventata quasi un alibi a coperture della mancanze delle scelte politiche. Oggi non abbiamo più alibi. Adesso, invece, possiamo fare dell’Italia un Paese che – come ha detto ieri Renzi – da una condizione di estrema arretratezza nello sviluppo di Internet, potrebbe passare ad occupare una delle prime posizioni in Europa.

D. - C’è garanzia che l’internet veloce arrivi anche in quelle aree del Paese che per la particolare conformazione del territorio sono considerate difficili?

R. - Là dove sarà più difficile portare Internet, si ricorrerà ai fondi pubblici che finanzieranno lo sforzo necessario per portare l’infrastruttura di Rete nei piccoli paesi remoti, nelle case sparse, nelle zone montuose difficilmente raggiungibili. Anche qui la tecnologia ci viene in soccorso: vorrei ricordare che le soluzioni di banda larga via satellite consentono oggi di poter garantire Internet anche sulla cima del Cervino senza dove scavare per il passaggio di fili. Quindi oggi più che mai possiamo dire che la banda larga e la banda ultra larga possono essere a disposizione di ogni cittadino, qualunque sia la sua condizione orografica o geografica.

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San Gaetano Thiene. Padre Zubía: invita a riformare riformandosi

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La Chiesa celebra il 7 agosto la memoria di San Gaetano Thiene, fondatore dei Teatini. Vissuto  a cavallo tra il 1400 e il 1500, vicentino, San Gaetano è molto popolare a Napoli e in Argentina. A Buenos Aires, migliaia di fedeli si recano in questo giorno nel Santuario dedicato al Santo della Provvidenza, un santo che ha speso la vita per i più poveri. Papa Francesco ha inviato due anni fa un messaggio ai fedeli di Buenos Aires, ricordando che il cristiano incontra Gesù aprendosi alle necessità dei più bisognosi. Sulla figura di San Gaetano Thiene, Monica Zorita ha sentito il padre teatino Marcelo Zubía

Fondamentalmente lo ricordiamo per l’offerta della sua vita fatta nell’anno 1547 - proprio il 7 agosto - a Napoli, durante una sommossa contro il viceré Pietro di Toledo: San Gaetano, proprio vedendo il conflitto e lo scontro tra i suoi concittadini, offre la sua vita per la pace di Napoli. Quindi lo ricordiamo proprio in questa prospettiva: come il santo che fa sì che cessino i conflitti e gli scontri. E mi sembra che si esprima proprio questa dimensione di San Gaetano nel cuore della fede popolare italiana, vicina alle necessità dei più bisognosi, legata alla pace, legata allo sviluppo della società. Forse in una prospettiva mite, quieta, ma non per questo meno impegnata nello sviluppo sociale e nella crescita dell’uomo.

San Gaetano è il santo che guarda soprattutto all’umanità di Gesù e quindi guarda al cuore di ogni uomo. Non è un santo molto popolare oggi: la sua devozione non è molto diffusa in Italia. Non dimentichiamo però questo legame di San Gaetano con i poveri, con la pace e soprattutto con la guarigione: a Napoli è molto conosciuto e su ogni porta di Napoli c’è un’immagine di San Gaetano e non solo perché co-patrono di Napoli ma proprio perché nel 17.mo secolo, quando è scoppiata la peste, l’intercessione di questo santo ha portato alla guarigione di quelli che erano ammalati. Quindi San Gaetano è proprio lì, nel midollo della vita spirituale italiana sia per la devozione popolare, sia anche per la sua testimonianza come prete, che ha cercato soprattutto di vincere se stesso attraverso il combattimento spirituale.

Speriamo che questa devozione a San Gaetano riprenda la sua forza, perché è veramente un santo per il nostro tempo: è un santo che ispira la pace e l’assistenza ai bisognosi e ci fa capire che nella società dobbiamo unirci, dobbiamo dialogare ed essere in comunione. Questo è ciò che lui ha voluto per la Chiesa: riformare la Chiesa, partendo dalla riforma di se stesso; riformare, riformandosi. Ci invita ad ampliare l’orizzonte della nostra esistenza e questo si fa quando noi siamo in comunione: quindi il messaggio di San Gaetano anche per oggi è quello di vivere in comunione. Lo ricordiamo proprio in questa prospettiva celebrando come Chiesa la sua memoria e cercando di essere Chiesa nel senso pieno della parola: mistero di comunione. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Cile. Appello dei vescovi: ricostruire la fiducia nel Paese

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Ricostruire la fiducia nel Paese a livello civile, politico ed ecclesiale: è l’auspicio della Conferenza episcopale del Cile per il “Mese della solidarietà 2015” iniziato il 1.mo agosto. Si tratta, spiega una nota dei presuli, di “un tempo speciale ispirato dalla figura di Alberto Hurtado, Santo cileno che lottò per la giustizia sociale” della popolazione. “La fiducia – prosegue la nota – va diminuendo pericolosamente a tutti i livelli, perché scompare dall’orizzonte dell’uomo la comunione, l’amore per il bene comune, il rispetto per la sacralità della vita”. “Oggi – continuano i presuli – il Cile non è un Paese per tutti ed anche molti cattolici non trovano, nella Chiesa, un luogo di misericordia e di comunione”. Di qui, l’invito ad “ascoltare il grido di tanti fratelli e sorelle privati della dignità”, così da “tornare a credere che il sogno di una patria giusta e per tutti è possibile”.

Istituzioni siano al servizio del bene comune. No ai privilegi per pochi
Poi, la Chiesa cilena non manca di evidenziare i lati negativi della crisi sociale in corso nel Paese: “la vergognosa distanza economica tra i pochi che hanno molto ed i molti che hanno poco”, la mancanza di un’accoglienza dignitosa dei migranti, i salari bassi che “non assicurano una vita degna di tale nome”, la popolazione “ferita dall’emarginazione, dalla violenza, dalla droga”. Per questo, i presuli ribadiscono la necessità “urgente di un dialogo sociale trasparente, che guardi alla vita reale delle persone”, perché “la fiducia si ricostruisce quanto la società dialoga senza esclusioni sul futuro desiderato da tutti e quando le istituzioni si pongono al servizio del bene comune, non dei privilegi di pochi”.

Trasformare la crisi in opportunità per vivere in modo più umano e fraterno
In fondo, spiegano i vescovi cileni, “si tratta di guardare con sincerità e verità alla vita personale di ciascuno ed a quella globale del Paese, affinché, con gioia e speranza, si possa ricostruire la nazione sulla base della fiducia”. La nota episcopale si conclude con un’invocazione a Sant’Alberto Hurtado affinché aiuti i cileni a “trasformare la crisi di fiducia nazionale in un’opportunità per imparare a convivere in modo bello, umano e fraterno”.

18 agosto, Giornata nazionale della solidarietà in memoria di Sant’Hurtado
A margine della loro nota, i vescovi offrono anche una sorta di “Decalogo per la fiducia” in cui si suggerisce, concretamente, come ricreare nel modo giusto i rapporti interpersonali: ad esempio, si ricorda che siamo tutti figli di Dio e che in ciascuno di noi c’è il volto di Cristo; per questo, “tutte le persone sono uguali” e il nostro prossimo va guardato “senza pregiudizi”. Infine si ricorda che il 18 agosto, anniversario della morte di Sant’Hurtado, scomparso nel 1952, ricorre la Giornata nazionale della solidarietà, sancita nel 1994 dal Congresso Nazionale cileno. (I.P.)

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Portogallo. Vescovo di Santarém: mondo ha bisogno di misericordia

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“Percorsi di misericordia, nella sequela del Buon Pastore”: si intitola così la Lettera pastorale che mons. Manuel Pelino, vescovo di Santarém, in Portogallo, ha diffuso in questi giorni, in vista dell’Anno pastorale 2015-2016. Nel documento, il presule denuncia “l’assenza o la dimenticanza della misericordia” che segna non solo la società attuale, ma anche la Chiesa cattolica, ed esorta i cristiani ad assumere “uno stile di vita” misericordioso.

Allarme per una società sempre più indifferente nei confronti dell’altro
“Sono numerosi – scrive mons. Pelino – i segnali preoccupanti di questa mancanza di misericordia nella vita quotidiana”: dalla “indifferenza nei confronti dell’altro” al “distacco dalla sofferenza e dai problemi delle persone”, per arrivare, poi, alla “aggressività e violenza” riscontrabili ai giorni nostri. “Vediamo frequentemente diverse manifestazioni di intolleranza e di aggressività – spiega il vescovo di Santarém – in politica, in famiglia, a scuola, nelle relazioni sociali, ed anche tra i membri della Chiesa che si lasciano tentare dai peccati”. Tanto più che, continua il presule, attualmente “la consapevolezza del peccato è poco presente in molti cristiani”.

Proclamare la misericordia, principale compito della Chiesa
Per questo, il vescovo di Santarém ribadisce che “la Chiesa deve considerare come uno dei suoi principali doveri la proclamazione e l’attuazione, nella vita quotidiana, del mistero della misericordia, rivelato, nel suo livello più alto, da Gesù Cristo”. In quest’ottica, mons. Pelino definisce il Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco, come “un dono per le comunità cristiane ed un invito a quel rinnovamento della Chiesa” auspicato dal Concilio Vaticano II.

La misericordia diventi “lo stile di vita” dei cristiani
Ed è “significativo, infatti – sottolinea il presule – che il Giubileo inizi proprio l’8 dicembre 2015, nel 50.mo anniversario della chiusura del Concilio”, attraverso il quale la Chiesa ha intrapreso e continua a percorrere “un lungo cammino di dialogo e di collaborazione con la società, in nome della giustizia e della pace”. Di qui, l’invito di mons. Pelino a tutte le comunità, affinché “riscoprano le opere di misericordia”, sia corporali che spirituali, trasformandole in un vero e proprio “stile di vita”. “Il cristianesimo è soprattutto una pratica, non tanto una dottrina”, evidenzia il vescovo portoghese, ribadendo la necessità che le persone si lascino “illuminare dalla misericordia nella mente e nel cuore”, così da “tendere le mani agli altri”, ed “essere generose” nella condivisione dei beni, “vincendo la tentazione” dell’individualismo.

Contrastare la solitudine di tante famiglie
La lettera pastorale sottolinea anche l’importanza di contrastare l’isolamento e la mancanza di vicinanza che caratterizza, oggi, la vita di tante famiglie: “ Vediamo tanti adolescenti soli – scrive il presule – giovani senza obiettivi; coppie di coniugi che non hanno tempo per i figli, ma lo trovano per i social network; famiglie che non comunicano”. E invece, afferma mons. Pelino, sono sempre di più “le persone che hanno bisogno di essere accompagnate, di avere accanto qualcuno che le ascolti, che dica loro una parola di incoraggiamento per riprendere il cammino”. E queste, conclude il presule, “sono proprio le opere di misericordia spirituali di cui oggi c’è tanto bisogno”. (I.P.) 

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Filippine: i religiosi in campo contro cambiamenti climatici

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L’Associazione dei Superiori maggiori delle Filippine (Amrsp) ha invitato tutte le Congregazioni religiose del Paese a dotarsi di speciali uffici dedicati al cambiamento climatico per coordinare la loro azione sul fronte dell’emergenza ambientale. L’iniziativa – riporta l’agenzia dei vescovi Cbcpnews - è scaturita dalla recente Assemblea dell’associazione a Cebu City che ha deciso di mettere la “giustizia climatica” tra le sue priorità,  rispondendo così all’appello lanciato da Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune. L’Amrsp segue l’esempio della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), che di recente ha istituito anch’essa un Climate Change Desk e punta a creare un ufficio dedicato al cambiamento climatico in ciascuna Conferenza episcopale del continente.

Collaborazione con le associazioni cattoliche impegnate sul fronte ambientale
In una dichiarazione, l’Amrsp spiega che i nuovi uffici lavoreranno in stretta collaborazione con le associazioni cattoliche impegnate sul fronte ambientale e, in particolare, con il Global Catholic Climate Movement (Gccm), la rete cattolica globale sui cambiamenti climatici creata lo scorso gennaio in vista del Summit mondiale sul clima (Cop21) che si terrà a Parigi il prossimo dicembre. L’associazione si è inoltre impegnata a diffondere ed a far conoscere la Laudato si’ tra i fedeli. “L’obiettivo – si legge nella dichiarazione - è di fare maturare una consapevolezza e una spiritualità ecologica che siano inserite nel contesto dei carismi di ciascuna Congregazione religiosa e del loro impegno per l’ambiente, la gestione dei disastri, la buona governance, la lotta alla corruzione e la promozione della pace”.  Tutti temi che - come evidenziato da Papa Francesco - sono inscindibilmente legati alla questione ambientale. 

L’enciclica Laudato si’ accolta con grande attenzione dalla Chiesa filippina
L’iniziativa dei religiosi delle Filippine conferma la grande attenzione con cui la Chiesa e in generale tutta l’opinione pubblica del Paese hanno accolto la lettera enciclica. Un’attenzione che si spiega anche con il fatto che le Filippine sono uno dei Paesi più colpiti, in questi ultimi anni, dai fenomeni climatici estremi, tra i quali si ricorda il tifone Haiyan il più devastante di tutta la sua storia. La pubblicazione del documento pontificio, lo scorso giugno, è stata accompagnata da diversi interventi dei vescovi e da numerose iniziative promosse da vari gruppi cattolici per fare in modo che il testo sia compreso e diffuso il più possibile nel Paese. (L.Z.)

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A Dakar, i viaggi interreligiosi d'integrazione africana

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Giovani di diverse fedi promuovono dialogo interreligioso ed interculturale
Una cinquantina di giovani cattolici, musulmani e protestanti, dai 18 ai 35 anni, provenienti da diversi Paesi dell’Africa dell’ovest, sono a Dakar, in Senegal, fino al 15 agosto per promuovere il dialogo interculturale ed interreligioso. L’iniziativa, riferisce il portale della Chiesa senegalese, è della “Rete dei giovani per l’integrazione africana” (Rjia) che da sei anni organizza viaggi in collaborazione con i padri assunzionisti per favorire l’integrazione tra i popoli e promuovere l’unità nel continente africano. Ed “Integrazione africana e cultura democratica” è proprio il tema del viaggio in corso, iniziato il primo agosto, e volto in particolare a far conoscere i valori della democrazia soprattutto ai giovani. L’evento è guidato da p. Jean Paul Sagadou, assunzionista, iniziatore dei “Viaggi interreligiosi ed interculturali d’integrazione africana”.

Urgente trasmettere ai giovani una cultura democratica
“È più che necessario impegnarsi oggi per trasmettere ai giovani africani una cultura democratica che risponda alle emergenze del continente” ha detto nel corso di una conferenza stampa nella capitale senegalese. Per il religioso, occorre partire dall’integrazione e dalla promozione di una cultura democratica per favorire la condivisione di valori culturali, religiosi, interetnici, morali e politici. “È nostra convinzione che per preservare la pace civile nei nostri Paesi, nelle nostre città, nei nostri quartieri, così come nell’intero pianeta, e per far si che la diversità umana e religiosa si trasformi in coesistenza armoniosa, piuttosto che in tensioni generatrici di violenza – ha aggiunto p. Sagadou – occorra intraprendere azioni concrete a favore del dialogo interreligioso, interculturale e dell’integrazione africana”. (T.C.)

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Lo Spirito della Gmg: da Rio a Cracovia, iniziativa di solidarietà

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“Lo Spirito della Gmg”: si intitola così il libro che racconta la storia e le emozioni della Giornata mondiale della gioventù svoltasi a Rio de Janeiro nel luglio 2013. Un evento indimenticabile per molti ragazzi e particolarmente rilevante per la presenza di Papa Francesco, che proprio in quell’occasione ha compiuto il suo primo viaggio apostolico internazionale. Ora, a distanza di due anni da quell’incontro, ed in vista della Gmg di Cracovia, in programma a luglio 2016, un gruppo di giovani brasiliani ha realizzato un libro.  

Un libro per dire ai giovani: “Non siete soli!”
Tradotto anche in italiano, il volume contiene le testimonianze di cardinali, vescovi, pellegrini e volontari che hanno partecipato alla Gmg brasiliana. In oltre 250 pagine, arricchite da numerose fotografie, il libro – informa il sito www.thespiritofjmjrio.com - racconta “storie di persone che hanno incontrato il Papa ed hanno parlato con lui; storie di chi, a Rio de Janeiro, ha vissuto per la prima volta una Gmg; ricordi su Giovanni Paolo II, ideatore di questi eventi; testimonianze che danno speranza e che dicono ai giovani ‘Non siete soli!’ ”.  

Ricavato delle vendite andrà all’acquisto di biglietti aerei per Gmg di Cracovia
Redatto da un team di volontari presenti a Rio de Janeiro, il libro è disponibile in versione e-book su iTunes ed è legato ad un’iniziativa di solidarietà: il ricavato delle vendite, infatti, sarà devoluto all'acquisto di biglietti aerei per i giovani che non possono permettersi il viaggio a Cracovia il prossimo anno. In Polonia, la Gmg avrà luogo dal 26 al 31 luglio 2016. Il motto dell’evento è “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). Da ricordare che all’Angelus dello scorso 26 luglio, ad un anno esatto dall’inizio dell’evento, Papa Francesco si è iscritto alla Gmg utilizzando un dispositivo elettronico. (I.P.) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 219

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.