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Sommario del 05/08/2015
- Papa: divorziati risposati non sono scomunicati, fanno sempre parte della Chiesa
- Il Papa ai ministranti: condividere gioia di essere salvati da misericordia di Dio
- Francesco ai Cavalieri Colombo: difendere libertà coscienza da minacce
- Dedicazione S. Maria Maggiore. Papa: volgere sguardo verso la Madre di Dio
- Sito Radio Vaticana, link per ipovedenti. La soddisfazione di p. Lombardi
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Utero in affitto, commercio in crescita: donne povere alla mercé dei ricchi
- Mosca rivendica sovranità su una vasta area del Polo Nord
- Yemen, continua l'avanzata delle forze filo-governative
- Slitta a settembre il ddl Cirinnà sulle unioni civili
- Convegno nazionale del diaconato a Campobasso
- Cina: ordinato vescovo con approvazione pontificia
- Immigrati Eurotunnel. Pax Christi Francia: migranti non sono numeri
- Chiesa Colombia: nozze gay contro diritti bambini e famiglia
- India. Arcidiocesi Trivandrum difende diritti dei pescatori locali
- Medio Oriente. Luterani: fermare le violenze con la giustizia
- Preghiera ecumenica per la riconciliazione tra le due Coree
Papa: divorziati risposati non sono scomunicati, fanno sempre parte della Chiesa
Le persone battezzate, che hanno stabilito una nuova unione dopo il fallimento del matrimonio sacramentale, non sono scomunicate - come alcuni pensano - ma fanno sempre parte della Chiesa. Lo ha ricordato Papa Francesco che, per la ripresa in Aula Paolo VI delle udienze generali dopo la pausa di luglio, ha scelto di continuare la riflessione sulle famiglie ferite. Il servizio di Giada Aquilino:
Nessuna scomunica per nuove unioni dopo fallimento matrimonio sacramentale
Nelle nostre comunità è urgente sviluppare “un’accoglienza reale” verso le persone che, in seguito “all’irreversibile fallimento” del loro legame matrimoniale, hanno intrapreso una “nuova unione”. Papa Francesco torna sul tema delle famiglie ferite e parla di un’attenzione particolare verso coloro che sono stati feriti “nel loro amore”:
“E’ necessaria una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale; in effetti, queste persone non sono affatto scomunicate - non sono scomunicate! - e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della Chiesa”.
Attenzione ai figli, ai più piccoli
Il Papa lo ripete anche in spagnolo, ribadendo che non si tratta di scomunicati, “come alcuni pensano”, e invita a guardare “questi nuovi legami” con gli occhi dei figli piccoli, dei bambini:
“Per questo è importante che lo stile della comunità, il suo linguaggio, i suoi atteggiamenti, siano sempre attenti alle persone, a partire dai piccoli. Loro sono quelli che soffrono di più, in queste situazioni”.
Chiesa madre, disposta ad ascolto e accoglienza
D’altra parte, si domanda il Pontefice, come raccomandare ai genitori di “educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata”, se poi li tenessimo a distanza dalla vita della comunità, “come se fossero scomunicati”?:
“Si deve fare in modo di non aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover portare! Purtroppo, il numero di questi bambini e ragazzi è davvero grande. E’ importante che essi sentano la Chiesa come madre attenta a tutti, sempre disposta all’ascolto e all’incontro”.
Chiesa né insensibile, né pigra
È sul ruolo della Chiesa che il Papa fa poi un breve excursus, citando sia san Giovanni Paolo II che individuava un “dovere”, invitando a compiere un “discernimento”, a notare la differenza “tra chi ha subito la separazione rispetto a chi l’ha provocata”, sia Benedetto XVI, che ha auspicato un “sapiente accompagnamento pastorale”. La Chiesa, sottolinea Francesco, in questi decenni “non è stata né insensibile né pigra”, sapendo bene che queste realtà contraddicono “il Sacramento cristiano”, ma in essa “è molto cresciuta la consapevolezza” dell’accoglienza, perché il suo sguardo “di maestra attinge sempre da un cuore di madre”, cercando “il bene e la salvezza delle persone”:
“Di qui il ripetuto invito dei Pastori a manifestare apertamente e coerentemente la disponibilità della comunità ad accoglierli e a incoraggiarli, perché vivano e sviluppino sempre più la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa con la preghiera, con l’ascolto della Parola di Dio, con la frequenza alla liturgia, con l’educazione cristiana dei figli, con la carità e il servizio ai poveri, con l’impegno per la giustizia e la pace”.
Chiesa è madre accogliente: niente porte chiuse!
L’esortazione del Papa - partendo dall’Evangelii gaudium - è quella di ispirarsi all’icona biblica del Buon Pastore, secondo la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre: “quella di dare la vita per le pecore”:
“Tale atteggiamento è un modello anche per la Chiesa, che accoglie i suoi figli come una madre che dona la sua vita per loro. ‘La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre’. Niente porte chiuse! Niente porte chiuse! ‘Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità. La Chiesa è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa’”.
Prendersi cura delle famiglie ferite
La missione affidata alle famiglie cristiane è allora quella di prendersi cura delle famiglie ferite, “accompagnandole nella vita di fede della comunità”:
“Ciascuno faccia la sua parte nell’assumere l’atteggiamento del Buon Pastore, il quale conosce ognuna delle sue pecore e nessuna esclude dal suo infinito amore”.
I saluti
Nei saluti finali, ha tra gli altri ricordato le suore polacche della Congregazione di Santa Elisabetta e tutte le persone consacrate “che approfittano del tempo delle vacanze” per svolgere ritiri ed esercizi spirituali, approfondendo “il loro legame con Cristo e l’impegno nella comunità della Chiesa”; i partecipanti al ‘Meeting Internazionale Giovani verso Assisi’; i ministranti delle diocesi di Palermo e Treviso; i giovani del Festival del Folklore di Cori e l’associazione ‘Solidarietà con il Popolo Saharawi’.
Il Papa ai ministranti: condividere gioia di essere salvati da misericordia di Dio
Colori, musica, testimonianze e preghiere in diverse lingue: in questa cornice, circa dodicimila chierichetti, protagonisti del loro undicesimo pellegrinaggio internazionale, hanno atteso e vissuto l’udienza con il Papa, ieri pomeriggio in una Piazza San Pietro arroventata dal sole. Ispirandosi alle parole di Isaia, motto del raduno, ”Eccomi, manda me!”, il Pontefice ha indicato loro il profeta come modello di servizio e abbandono nelle mani di Dio e la vicinanza all’altare eucaristico come “palestra di educazione alla fede e alla carità verso il prossimo”. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Sono venuti nel cuore della Chiesa universale per rafforzarsi nella loro vocazione i giovani ministranti, da tre continenti e una ventina di Paesi come indicano le bandiere e i fazzoletti colorati che indossano. Uno bianco, simbolo della pace, un chierichetto ucraino lo ha donato anche al Papa che lo ha indossato appena giunto sul sagrato. Insieme hanno cantato la gioia di servire la Chiesa e nei Vespri, con il Pontefice, hanno pregato in diverse lingue che Dio li renda messaggeri della sua misericordia, come Isaia nel brano biblico che ispira il pellegrinaggio e che il Papa, nell’omelia, ha offerto loro a modello.
L'amore di Gesù ci rende forti
I ministranti come il profeta, ha detto Francesco, “piccoli e deboli, ma con l’aiuto di Gesù rivestiti di forza per intraprendere un grande viaggio nella vita”:
“Anche il profeta Isaia scopre questa verità, vale a dire che Dio purifica le sue intenzioni, perdona i suoi peccati, risana il suo cuore e lo rende idoneo a svolgere un compito importante, quello di portare al popolo la parola di Dio, divenendo strumento della presenza e della misericordia divina. Isaia scopre che, ponendosi con fiducia nelle mani del Signore, tutta la sua esistenza ne viene trasformata”.
Come Isaia anche voi, ha osservato il Papa, scoprite sì l’infinita grandezza di Dio, che ci ha creati e voluti, ma anche il suo farsi prossimo e l’attendere paziente la risposta alla sua iniziativa che è sempre la prima. Ma "voi siete più fortunati del profeta", è la riflessione di Francesco:
“Nell’Eucaristia e negli altri sacramenti sperimentate l’intima vicinanza di Gesù, la dolcezza ed efficacia della sua presenza. Non incontrate Gesù posto su un irraggiungibile trono alto ed elevato, ma nel pane e nel vino eucaristici, e la sua Parola non fa vibrare gli stipiti delle porte ma le corde del cuore”.
Chiamati a testimoniare la gioia della fede
E "se non opponiamo resistenza", Dio, come ha fatto con Isaia, ha sottolineato il Pontefice, "toccherà le nostre labbra con amore misericordioso" rendendoci "idonei ad accoglierlo e portarlo ai fratelli". A questo dunque siamo chiamati:
"Siamo invitati a non rimanere chiusi in noi stessi, custodendo la nostra fede in un deposito sotterraneo nel quale ritirarci nei momenti difficili. Siamo invece chiamati a condividere la gioia di riconoscersi scelti e salvati dalla misericordia di Dio, ad essere testimoni che la fede è capace di dare nuova direzione ai nostri passi, che essa ci rende liberi e forti per essere disponibili e idonei alla missione".
Più vicini a Gesù, più missionari
"Ministranti missionari: così vi vuole Gesù!" ha detto il Papa, e più sarete vicini all’altare, più vi ricorderete di dialogare con Gesù nella preghiera quotidiana, più vi ciberete della Parola e del Corpo del Signore e maggiormente sarete in grado di andare verso il prossimo portandogli in dono ciò che avete ricevuto". Quindi, il suo pensiero finale è stato un ringraziamento:
“Grazie per la vostra disponibilità a servire all’altare del Signore, facendo di questo servizio una palestra di educazione alla fede e alla carità verso il prossimo. Grazie di aver anche voi iniziato a rispondere al Signore, come il Profeta Isaia: “Eccomi, manda me” (Is 6,8)”.
Francesco ai Cavalieri Colombo: difendere libertà coscienza da minacce
La difesa del matrimonio, della famiglia e della libertà religiosa è al centro del messaggio del Papa - a firma del cardinale segretario Stato Pietro Parolin - inviato ai partecipanti al Congresso dei Cavalieri di Colombo, sul tema “Dotati dal Creatore di vita e libertà”, aperto ieri a Filadelfia negli Stati Uniti, dove Francesco si recherà il prossimo mese per l’ottavo Incontro mondiale delle famiglie.“ Il servizio di Roberta Gisotti:
"Apprezzamento profondo” il Papa esprime all’Ordine capace di dare “salda testimonianza pubblica” per affermare il significato cristiano del matrimonio, “Sacramento”, “nel piano del Creatore, istituzione naturale, accordo per tutta la vita di amore e fedeltà tra un uomo e una donna, volto alla loro perfezione e santificazione”, per il futuro della “famiglia umana”. E “quando oggi - sottolinea Francesco – l’istituzione del matrimonio è sotto attacco di potenti forze culturali”, i fedeli sono chiamati a testimoniare questa verità fondamentale di fede biblica e di diritto naturale che è essenziale per un avveduto e giusto ordine della società”. E “nell’affrontare le sfide morali, sociali e politiche del tempo presente, sarà richiesta loro grande saggezza e perseveranza”. Riferendosi poi al tema del Congresso, imperniato su vita e libertà, il Papa ha richiamato “il dovere dei cattolici americani, proprio come cittadini responsabili, di contribuire alla consapevole difesa di quelle libertà su cui è stata fondata la loro nazione”, a partire dalla “libertà religiosa”, “pietra angolare”, intesa non semplicemente come libertà di culto che si è scelto, ma anche, per gli individui e le istituzioni, di parlare ed agire secondo il dettato delle loro coscienze”. E tanto più, ammonisce Francesco, “questo diritto è minacciato, sia da politiche pubbliche invasive o dalla crescente influenza di una cultura che mette presunti diritti individuali al di sopra del bene comune”, quanto più “vi è la necessità di mobilitare le coscienze di tutti quei cittadini che, indipendentemente dal partito o credo, sono preoccupati per il benessere generale della società”.
“La protezione della liberta religiosa deve anche impegnare – sollecita Francesco - le coscienze dei credenti a livello globale, in risposta agli attacchi lanciati contro le comunità minoritarie, molto spesso cristiane, in varie parti del nostro mondo”, una “vera tragedia umanitaria”, lamenta il Papa, invocando le preghiere di tutti “per la conversione dei cuori” e “la fine della violenza fanatica dell’intolleranza”.
Dedicazione S. Maria Maggiore. Papa: volgere sguardo verso la Madre di Dio
La Chiesa ricorda oggi la Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, dove si venera l’icona della Salus Populi Romani. Durante l’udienza generale, Papa Francesco ha esortato a pregare e ad invocare la Madre di Dio. Una giornata, quella odierna, in cui si rievoca il miracolo della neve che, a metà del quarto secolo, ha portato alla costruzione del più antico tempio mariano d’Occidente. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
E’ un giorno speciale per la città e la Chiesa di Roma. E’ la festa della Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore. E il Papa lo ricorda durante l’udienza generale invitando a volgere lo sguardo verso Maria:
“Invocate la Madre di Dio, cari giovani, per sentire la dolcezza del suo amore; pregatela nei momenti della croce e della sofferenza, cari ammalati …, guardate a Lei, cari sposi novelli, come al modello del vostro cammino coniugale di dedizione e fedeltà”.
Il miracolo della nevicata
Nelle parole di Papa Francesco l’esortazione ad invocare la Madre Dio si unisce alla memoria del miracolo che ha portato alla costruzione della Basilica di Santa Maria Maggiore. E’ il 358 dopo Cristo. La Madonna appare in sogno a Papa Liberio e gli chiede di costruire una Chiesa a Lei dedicata dove avrebbe trovato della neve. La mattina stessa una nevicata imbianca l’Esquilino. E’ il 5 agosto e Papa Liberio traccia il perimetro della futura Chiesa nel luogo dove ora sorge la Basilica di Santa Maria Maggiore.
La rievocazione del miracolo
Per rievocare il miracolo della nevicata a Roma, stasera, la calda estate romana vivrà momenti di grande effetto scenografico: la piazza davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore sarà “imbiancata” da una cascata di petali accompagnata da suoni e luci. A fare da sfondo all’evento anche le musiche del Messiah di Händel. Per ricordare la dedicazione della Chiesa, questa mattina il cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete della Basilica papale di Santa Maria Maggiore, ha celebrato una Santa Messa. Nell'omelia il porporato ha esortato a prendere Maria come modello. Ascoltiamo la sua riflessione:
R. - È una giornata molto particolare perché è la grande festa della nostra Basilica. E’ la grande festa della Madonna che è venerata nella Salus Populi Romani. Nell’omelia ho invitato a ricordare che la Madonna per noi è il grande punto di riferimento. E’ Lei che ci porta verso Gesù. È bene avere una profonda devozione verso la Madonna perché sarà Lei che ci porterà verso il Signore e anche verso la fraternità con gli altri. Affinché sappiamo costruire un mondo nuovo, ho fatto riferimento in modo particolare all’ultima Enciclica di Papa Francesco. La maniera con la quale agiamo e il nostro pensiero dal punto di vista anche ecologico - dice il Papa nell’Enciclica - è un atto di amore, un segno dell’amore di Dio verso l’umanità, verso ognuno di noi. Pertanto, in questo senso, dovremmo, a partire dalla nostra fede, prendere lo spunto per saperci comportare in maniera fraterna con tutti, rispettando anche il creato perché è l’atto di amore di Dio verso tutti.
D. - Nella Basilica, incastonata nella celebre cappella paolina un’icona sacra - la Salus Populi Romani - è molto cara alla Città eterna e al Papa. Proprio la devozione mariana è una delle dimensioni fondanti del Pontificato di Francesco …
R. - Il Santo Padre dimostra molto bene la sua devozione. È venuto molto spesso – 23 volte dall’inizio del Pontificato – a fare una visita. E’ venuto già a partire dal giorno seguente l’elezione, come a mettere sotto la protezione della Madonna tutto il suo Pontificato. Ci vuole incoraggiare a saper vivere anche noi una devozione autentica a partire da questo luogo privilegiato. Il Santo Padre continua ad esortarci a portare questo amore che riceviamo dal Signore verso tutte le periferie esistenziali. In questo momento in cui ce ne è tanto bisogno, dobbiamo guardare verso gli altri, rispettarci ed aiutarci, saper costruire un mondo più equilibrato e più fraterno.
Sito Radio Vaticana, link per ipovedenti. La soddisfazione di p. Lombardi
Sul sito della Radio Vaticana sono stati aggiunti dei link per facilitare l’accesso alla navigazione ai nostri amici ascoltatori e lettori ipovedenti. Con gli strumenti di lettura adatti per queste problematiche è ormai sufficiente digitare il tasto TAB della tastiera e in alto a sinistra sulla pagina appare l’accesso diretto ai contenuti della pagina, oppure alla navigazione nel menu del nostro sito e quindi raggiungere in modo semplificato le varie categorie: Papa Francesco, Vaticano, Chiesa, Mondo ecc…
“Può sembrare una notizia piccola – afferma il direttore dell’emittente padre Federico Lombardi - ma in realtà mi sembra molto significativa perché indica un impegno attento e paziente per rendere accessibili i messaggi del Papa non solo a una audience sempre più larga da un punto di vista quantitativo, ma anche da un punto di vista ‘qualitativo’, servendo gruppi di persone che possono avere difficoltà di vario genere nell’ascolto o nella navigazione. La Radio Vaticana – sottolinea padre Lombardi - ha una lunga e bella tradizione in questo impegno, e vuole continuarla senza incertezze”.
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Oggi su "L'Osservatore Romano"
Niente porte chiuse: all’udienza generale, il Papa raccomanda accoglienza e cura per le famiglie ferite.
Chi fa la prima mossa: Francesco invita i chierichetti a essere missionari per rispondere all’iniziativa di Dio.
In prima pagina, un articola di Manuel Nin dal titolo “Questa è la casa di Dio”: la Trasfigurazione del Signore in una omelia di Anastasio il Sinaita.
Quel perdono chiesto ai lontani: l’arcivescovo Vincenzo Bertolone sulla missione cittadina voluta nel 1957 a Milano dall’arcivescovo Montini, ed Eliana Versace in memoria del cardinale parroco oratoriano Giulio Bevilacqua, guida spirituale del futuro Papa.
El Salvador per divina provvidenza: l’omelia inedita pronunciata il 6 agosto 1976 dal futuro beato Oscar Arnulfo Romero in occasione della festa del patrono della Nazione.
Utero in affitto, commercio in crescita: donne povere alla mercé dei ricchi
Si chiama “utero in affitto”, ma alcuni preferiscono definirla “maternità surrogata” o “assistita” con un termine che ne attenua l’essenza di compravendita su cui si basa. Un fenomeno in crescita contro cui è stata già avviata una raccolta internazionale di firme finalizzata a chiedere all’Onu una moratoria. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Compravendita di esseri umani e schiavizzazione del ruolo della donna in termini di maternità. E’ quanto si cela dietro la pratica dell’utero in affitto, un contratto con una donna che porta in grembo un bambino per poi venderlo al momento del parto. Una pratica legale in India, Cina, Bangladesh, Thailandia, Russia, Ucraina, Grecia, Spagna, Regno Unito, Canada e in otto Stati americani. Risollevata in questi giorni da un settimanale italiano, la questione è aperta e dai confini poco quantificabili, perché molti bambini non sono registrati all’anagrafe - solo di recente la Francia ha ammesso la procedura - e nessuno sa quanti se ne "producano" ogni anno nel mondo.
Innumerevoli i siti d’informazione e i portali delle cliniche che lo pubblicizzano come un prodotto perfetto, con un’assistenza completa per tutta la durata del cosiddetto “programma”. Fecondazione in vitro, impianto, parto. Chiari anche i rischi non solo legali ma anche di salute che comporta e che arrivano fino alla morte della donna e alla malformazione del feto. Capitolo a parte i costi, che ne fanno un vero business da 12-20mila euro in India, a 40mila in Ucraina, ai 100mila nei costosi Stati Uniti. Le fabbriche di maternità sono nei Paesi poveri e gli acquirenti in quelli ricchi.
Può succedere così che ovuli polacchi o ucraini, uniti a sperma americano o svedese, diano embrioni congelati in India, impiantati in uteri bengalesi in una clinica del Nepal. Dopo che la Thailandia ha chiuso agli stranieri, infatti, India e Nepal sono i mercati più umilianti, dove le mamme surrogate per nove mesi sono costrette a vivere in case comuni, controllate per non intaccare "il prodotto" con stili di vita o alimentazione errati, pronte comunque anche ad abortire in caso sia richiesto dal committente. Una forma di sfruttamento intollerabile anche per Paesi come Stati Uniti e Canada che hanno regolamentato questa pratica e la travestono come una scelta libera per le donne.
Mosca rivendica sovranità su una vasta area del Polo Nord
La Russia ha chiesto all’Onu il riconoscimento delle propria sovranità su oltre un milione di chilometri quadrati nella regione dell’Artico. Si tratta di una zona strategica per la ricchezza di giacimenti di gas e petrolio, già reclamata anche da altri Paesi come Canada, Danimarca, Norvegia e Stati Uniti. Sulle ragioni strategiche di Mosca, Eugenio Bonanata ha intervistato Fulvio Scaglione vicedirettore di Famiglia Cristiana:
R. - Mosca ha tante ragioni per cercare – per usare un termine militaresco – di sfondare sul fronte Nord. In questo momento, anche strategicamente, c’è l’obiettivo di creare una sorta di diversione rispetto alla pressione che Mosca subisce ai confini, in primo luogo, con l’Ucraina. E poi naturalmente ci sono ragioni anche molto più concrete che riguardano i commerci, riguardano il gas, il petrolio.
D. – Qual è il valore strategico di questa richiesta?
R. – Il valore strategico sta nel fatto che il Polo Nord, a causa del surriscaldamento climatico, comincia ad essere apprezzato, almeno in linea teorica, come una nuova rotta soprattutto verso l’Asia, la stessa rotta che si fa con molti voli aerei. Quindi, questa è già una prima connotazione, visto che tra l’altro la Russia, a causa dei contrasti con l’Occidente, sta stringendo rapporti economici commerciali sempre più forti con l’Asia e con la Cina in particolare. Inoltre, c’è una questione anche di prospettiva. Gli esperti sanno che il 30 per cento del gas e il 15 per cento del petrolio non ancora esplorati, non ancora estratti, stanno sui fondali appunto del Polo Nord.
D. – Poi c’è la sfida con gli Stati Uniti e con la Nato in particolare…
R. – Prima, l’unico Paese Nato presente al Polo Nord era la Norvegia, che è la prima linea a Nord della Nato nei confronti della Russia; poi sono arrivate anche altre rivendicazioni, in particolare quella del Canada e quella della Danimarca. Sono tutte rivendicazioni, compresa quella russa, un po’ particolari, perché il Polo Nord viene rivendicato non in base alla superficie di ghiaccio o di acqua, ma in base al fondo, al fondale, che in alcuni casi si può estendere anche molto oltre la competenza marina dei singoli Stati.
D. – Ma a chi è affidata la gestione di questi territori?
R. – La gestione di questi territori non ha un affidatario particolare, ma appunto ha diversi Paesi che la rivendicano in base all’estensione del fondale marino, inteso come proseguimento del territorio emerso. Per esempio, la Danimarca rivendica una parte del territorio – chiamiamolo così – del Polo Nord, in base al fatto che la Danimarca stessa controlla già la Groenlandia e il fondale continentale della Groenlandia si estende verso il Polo Nord in maniera significativa. Questo è il criterio con cui le competenze vengono assegnate, ma per ora ci sono più richieste che competenze già assegnate.
D. – Sullo status del Polo Sud, invece, c’è un accordo maggiore in seno alla comunità internazionale?
R. – Diciamo che sullo stato del Polo Sud c’è un disaccordo uguale, ma un interesse internazionale molto minore. Sul Polo Sud ci sono anche qui molte rivendicazioni territoriali. Per esempio, la rivendicazione dell’Argentina, che si sovrappone in parte consistente ad analoghe rivendicazioni del Cile e della Gran Bretagna. Ci sono rivendicazioni dell’Australia, del Brasile. Avanzano quindi queste dispute senza però poi che vengano seguite con una forte azione politica. Tra l’altro, la presenza internazionale al Polo Sud è in via di riduzione nelle diverse basi. Famiglia Cristiana, ma anche altri giornali, hanno raccontato la storia, per esempio, del sacerdote che dovrebbe rientrare dal Polo Sud, perché la comunità dei fedeli si è ridotta. Questo è un piccolo aneddoto, un piccolo episodio solo per dimostrare appunto che l’interesse nei confronti del Polo Sud è in via di riduzione.
Yemen, continua l'avanzata delle forze filo-governative
Nuove offensive delle forze della cosiddetta Resistenza Popolare, appoggiata dai sauditi, hanno respinto le milizie Houthi nel sud dello Yemen. Dopo la riconquista della città portuale di Aden, è stata la volta nei giorni scorsi della base militare di al-Anad, la più importante del Paese. Nel frattempo le Nazioni Unite hanno fatto sapere che sono circa duemila i civili rimasti uccisi nel conflitto da quando, lo scorso 19 marzo, una coalizione di sei Stati promossa dall'Arabia Saudita ha iniziato una campagna di bombardamenti aerei contro le postazioni degli Houthi. Oltre 100 mila yemeniti hanno lasciato il Paese, dove secondo Medici senza Frontiere il sistema sanitario è “ormai vicino al collasso”. Sul terreno continuano intanto gli scontri fra la Resistenza Popolare e le milizie Houthi, messe in difficoltà dall'invio di nuove truppe via terra da parte della coalizione. Un elemento nuovo in un conflitto durissimo, che ha ridotto allo stremo la popolazione yemenita e che, come spiega la giornalista Laura Silvia Battaglia - al microfono di Giacomo Zandonini - non può essere ridotto a una "proxy war" fra Iran e Arabia Saudita:
R. – All’Arabia Saudita è stato dato sfogo, sul terreno di questo Paese confinante, per evitare, minimizzare, possibili attacchi ai suoi confini. C’è poi, certamente, un interesse internazionale: ovviamente dell’Iran, sul Golfo di Aden, per motivi legati al trasporto del gas, in parte per un controllo del Canale di Suez … Ma direi che questa idea della "guerra per procura", è anche troppo amplificata. In genere non si considerano assolutamente i rapporti di forza interni al Paese, i rapporti tra le tribù, che sono molto importanti. E il fatto che questo è un conflitto che pesca nella storia antica dello Yemen. C’è infatti una differenza profonda tra il Sud e il Nord del Paese. Un Sud che ha vissuto il comunismo, ha vissuto la presenza degli inglesi, che ha un movimento separatista molto forte, la “Popular Resistance”, che in questi giorni sta già avanzando e che comunque aveva già chiesto, almeno due anni fa, di potersi separare dal resto del Paese. Lo stesso si può dire per il Nord, cioè i cosiddetti Houthi, i ribelli sciiti che, certo, agiscono probabilmente avendo come modello quello khomeinista, il modello iraniano, e più ancora – direi – il modello di Hezbollah, per quanto riguarda l'azione militare sul territorio. In Yemen, in questo momento, c’è poi un regolamento di conti generale. E’ un regolamento di conti tra l’ex presidente Saleh - che sostiene gli Houthi e che, ricordiamo, era stato buttato fuori dal Paese con la cosiddetta Primavera araba del 2011 - e il nuovo presidente Hadi, che rimane ancora in carica ma che comunque si è rivelato come un soggetto politico che ha messo lo Yemen completamente nelle mani dell’Arabia Saudita, sotto il profilo economico del debito l’ha proprio consegnato ai vicini sauditi; e dunque non è per niente amato dalla popolazione, a prescindere dalla presenza dei ribelli. Infine non dobbiamo dimenticare che c’è un grande gioco delle tribù: le tribù del Sud, le tribù del Nord, quelle dell’area di Al-Mukalla, che sono quelle più vicine all’ex al-Qaeda, che oggi si sono "ribattezzate", mettendo il cappello dell'Is. Si tratta in conclusione di un conflitto decisamente locale che viene potenziato, rifocillato, armato, di cui approfittano anche attori regionale e attori internazionali.
D. – Dunque la spaccatura che alcuni vedono tra sciiti e sunniti non è così evidente, o perlomeno così rilevante: ci sono più divisioni politiche …
R. – La spaccatura tra sunniti e sciiti in Yemen, fino al 2011, in senso religioso non è mai esistita. Gli yemeniti sono sempre andati a pregare insieme nelle moschee, non c’è mai stata una reale divisione: ci sono famiglie miste dove il padre è sciita e la madre è sunnita … L’elemento politico è stato inserito poi, con questa guerra ed è diventato fortissimo con l’attacco dell’Arabia Saudita, per cui siamo arrivati al punto che oggi gli yemeniti veramente non vanno più in moschea insieme, mischiati, perché hanno paura che nel vicino di casa si nasconda il nemico.
D. – Le proteste di piazza che avevano animato il 2011 sembrano lontanissime, oggi. E’ rimasto ancora qualcosa di quelle rivendicazioni sociali e politiche che, in qualche modo, sembrano un po’ dimenticate in gran parte del Medio Oriente?
R. – Le istanze sociali e politiche, in realtà, sono state prese in mano dagli Houthi, esattamente un anno fa, quando c’è stato il colpo di Stato a Sana'a. Gli Houthi sono stati molto furbi, da questo punto di vista. Le stesse persone che erano andate in piazza prima contro Saleh e in favore di un cambiamento del Paese, sono andate in piazza contro Hadi, il nuovo presidente, sempre a favore di un ulteriore cambiamento nel Paese. Le richieste erano le stesse: salari più alti, un governo stabile, abbassare il prezzo del petrolio che è diventato insostenibile, creare una sorta di “welfare” e, soprattutto, avere governanti non molto corrotti. Se, invece, vogliamo parlare di una sorta di “cuore giovanile” della protesta - persone consapevoli che quei mutamenti richiesti durante la Primavera araba sarebbero stati azzerati da questo colpo di Stato - direi che persone di questo genere ce ne sono molte e continuano a muoversi in favore dello Yemen. Ci sono parecchi blogger, ci sono persone che avevano partecipato a queste proteste e che oggi fanno di tutto, soprattutto sul web, per far conoscere questo conflitto che in realtà è sottostimato, certamente dai media.
Slitta a settembre il ddl Cirinnà sulle unioni civili
Slitta a settembre il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo del Senato al termine della quale il presidente Pietro Grasso ha illustrato le decisioni assunte, precisando che non è ancora stata fissata una data per l'approdo in Aula del provvedimento. Immediate le reazioni dei diversi schieramenti. Loredana De Petris, capogruppo del gruppo misto, ha proposto una modifica del calendario dei lavori di Palazzo Madama con l’inserimento del ddl sulle unioni civili, al 10 settembre, ma l'assemblea del Senato ha respinto la richiesta. Ascoltiamo il commento di Massimo Gandolfini, presidente del comitato “Difendiamo i nostri figli”, al microfono di Marina Tomarro:
R. – Io credo che un peso sostanziale e molto importante lo abbia avuto proprio la manifestazione del 20 giugno, che abbiamo fatto a Roma, in Piazza San Giovanni, con tutto poi il seguito che la manifestazione ha comportato ed ha innescato. Sostanzialmente abbiamo attirato l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema delicatissimo, come è appunto il tema della revisione dell’istituto familiare, dell’istituto matrimoniale. Revisione non tanto di tipo religioso, ma proprio di tipo civile. L’idea che adesso possano essere proposte delle forme, dei modelli diversi di famiglia con genitori dello stesso sesso è un’idea che non trova assolutamente cittadinanza all’interno di quanto viene definito e specificato nell’art. 29.
D. – Secondo lei cosa succederà adesso?
R. – Innanzitutto, abbiamo ottenuto una revisione generale dell’atteggiamento. L’atteggiamento è diventato molto più attento, molto più serio, molto più analitico. Abbiamo sollevato l’idea che non può esistere un matrimonio e una famiglia omogenitoriale. Il secondo aspetto è che si è creata anche una certa dialettica all’interno delle forze politiche, in modo particolare nel partito di maggioranza. Il dibattito in Commissione Giustizia sarà molto difficile. Intanto, questi 1500 emendamenti determineranno di sicuro un iter piuttosto lento e faticoso per arrivare a portare il disegno di legge in Senato.
D. – E uno dei punti si cui si discute di più è quello delle adozioni…
R. – Il punto sicuramente più delicato è proprio quello che è legato alle adozioni. Qui bisogna essere molto chiari. La famiglia che è strutturalmente deputata ad accogliere i bambini, accudirli e crescerli è la famiglia caratterizzata da un padre e da una madre. Il punto di vista di partenza del ddl Cirinnà è un punto di vista sbagliato, perché il problema non è il desiderio di una coppia omosessuale di avere un figlio. Questo diritto al figlio non esiste neppure per le coppie eterosessuali, perché quello da tutelare è il diritto del figlio di trovare lì la propria armonica composizione della personalità. Questo non vuol dire che i diritti civili legati alla persona non possano essere riconosciuti all’interno di una relazione di coppia. Questi, anzi, vanno riconosciuti e hanno un loro rispettabile senso. Ma questo non vuol dire assolutamente trasformare le unioni civili in una famiglia. Ribadiamo con grande chiarezza ‘sì’ ai diritti civili legati alla persona e ‘no’ ai diritti matrimoniali, all’adozione dei bambini, alla pensione di reversibilità, alla quota di legittima, che sono tipici dell’istituto familiare.
D. – Cosa pensa di questi richiami da parte delle istituzioni europee su questa materia?
R. – A questo tipo di raccomandazione si può assolutamente opporre la propria resistenza, cosa che è avvenuta anni fa quando ci fu il problema dei crocifissi. Anche lì la Corte Europea impose che i crocifissi dovessero essere tolti. L’appello alla Grande Chambre ha dato poi il risultato che tutti quanti conosciamo. Ci auguriamo, quindi, che il governo italiano voglia opporsi e voglia fare ricorso.
Convegno nazionale del diaconato a Campobasso
Sono 4.220 i diaconi in Italia, più di 1.500 sono i candidati. Una presenza capillare sul territorio - solo cinque diocesi ne sono sprovviste - cresciuta soprattutto al Sud e al Centro. A riflettere sul tema “La famiglia del diacono, scuola di umanità”, si ritrovano a Campobasso, da oggi a sabato prossimo, diaconi, famiglie, sacerdoti, vescovi, giornalisti per il XXV Convegno nazionale del diaconato. Antonella Palermo ha intervistato Enzo Petrolino, presidente della Comunità del Diaconato in Italia, e l'arcivescovo di Campobasso Giancarlo Maria Bregantini:
D.- Enzo Petrolino, ci spiega il carisma del diacono?
R. – Il diacono è una figura ministeriale che fa parte del clero, voluta dal Concilio Vaticano II. E’ colui che rende presente nella Chiesa la diaconia di Cristo, quindi il servizio, che è appunto il fondamento della vita cristiana. Cristo stesso ha detto: “Io sono venuto a fare il diacono del Padre, non per essere servito, ma per servire”. E’ dunque una figura di ponte tra il popolo di Dio e la gerarchia.
D. – Mons. Bregantini, lei interviene con una relazione sul tema: “Maria, icona della famiglia e del diacono”: in talune circostanze immagino che questa figura – quella del diacono – abbia esercitato un ruolo fondamentale nel tenere coesa una comunità parrocchiale …
R. – Abbiamo scoperto quanto sia prezioso un diacono accanto a un presbitero che può avere alcune difficoltà relazionali, problemi di natura socio-affettiva: affiancare un diacono che ha la sua famiglia, la sua stabilità umana e anche morale, a un sacerdote in un momento particolare, si è rivelato estremamente prezioso!
D. – Molti non conoscono a sufficienza la funzione del diacono e credono che sia una sorta di “mezzo prete”, mi passi il termine: è così?
R. – Sì: questo è l’errore che è nato per tante cose. Un po’ per alcune iniziative non corrette, ma anche perché i presbiteri non l’hanno saputo spiegare adeguatamente. Quando, invece, si spiega che i doni che la Chiesa dà ai diaconi sono cinque, che permangono però anche nella vita di ogni prete, di ogni vescovo, se ne scopre la bellezza: i doni che lui riceve sono questi: appartenenza, questa terra che lui riceve in dono e che deve amare e servire, lui la deve servire con un cuore casto, limpido e generoso. A questa comunità lui annuncia il Vangelo, cioè il mandato missionario. In questa comunità dà preferenza ai poveri, ai piccoli e agli ultimi lavandone i piedi. E infine, per questa comunità prega in una intensa preghiera di intercessione, tutti i giorni.
D. – Enzo Petrolino, come si diventa diaconi?
R. – Noi abbiamo, ovviamente, un problema che va affrontato seriamente, ed è quello della formazione e del discernimento. E qui gioca molto il problema delle spose: infatti, non si diventa diaconi se non c’è il consenso della moglie. E’ necessario che ci sia anche la partecipazione dei figli, perché cambia lo “stato” del papà, che diventa chierico: non è più laico. Il problema della formazione adesso è affidato agli istituti superiori di scienze religiose; però tenga conto che ormai ci sono alcune diocesi che non hanno più istituti superiori di scienze religiose. Quindi credo che oggi il discorso della formazione vada ripensato: non possiamo, infatti, avere diaconi soltanto tra i pensionati e i disoccupati!
D. – Il ruolo del diacono, come si concilia con i doveri familiari?
R. – Credo che non sia limitante per le famiglie, anzi: è un’apertura delle famiglie diaconali ad altre famiglie. E soprattutto oggi, quando parliamo di famiglie ferite, credo che una presenza della famiglia del diacono in queste realtà sia preziosa davvero. E oggi è una carta da giocare per non far rinchiudere il diaconato nelle sagrestie o soltanto nelle liturgie: noi dobbiamo uscire fuori …
Cina: ordinato vescovo con approvazione pontificia
Con una cerimonia solenne, si è svolta ieri, in Cina, l’ordinazione episcopale del nuovo vescovo coadiutore di Anyang, nella provincia di Henan. Si tratta di mons. Joseph Zhang Yinlin, 44 anni, già vicario generale della diocesi e nominato il 28 aprile scorso con l‘approvazione pontificia. Prevista inizialmente per il 29 luglio, la cerimonia è stata posticipata al 4 agosto, per volontà della diocesi, che ha voluta farla coincidere con la memoria liturgica di San Giovanni Maria Vianney, esempio per tutti i sacerdoti.
Presenti numerosi sacerdoti, religiosi e fedeli
Quella di mons. Zhang è la prima ordinazione episcopale pubblica dopo quella di mons. Taddeo Ma Daqin di Shanghai, avvenuta nel luglio 2012. A presiedere la celebrazione è stato il vescovo di Anyang, mons. Tommaso Zhang Huaixin. Numerosi i sacerdoti, i religiosi ed i fedeli che hanno assistito alla cerimonia, alcuni anche grazie al maxi-schermo allestito all’esterno della Cattedrale diocesana.
Le statistiche della diocesi di Anyang
Nato a a Linzhou, mons. Zhang ha studiato nel seminario di Wuhan. Il 17 agosto 1996, all’età di 25 anni, è divenuto sacerdote. Con la sua ordinazione episcopale, la diocesi di Anyang conta ora due vescovi, 36 sacerdoti, 120 suore e 4 seminaristi. (I.P.)
Immigrati Eurotunnel. Pax Christi Francia: migranti non sono numeri
I migranti sono “esseri umani che hanno una storia ed una dignità, e non numeri da incolonnare nelle statistiche”: così mons. Marc Stenger, vescovo di Troyes e presidente di Pax Christi Francia, commenta l’emergenza immigrazione in corso da giorni a Calais. Numerosi, infatti, i migranti che, durante la notte, tentano di introdursi nell’Eurotunnel sotto la Manica per arrivare nel Regno Unito. Nella notte tra il 2 ed il 3 agosto, ne sono stati respinti 1.700, mentre tra lunedì e martedì sono stati bloccati altri 600 tentativi di passaggio oltremanica.
Migrazione non si regola solo con soluzioni tecniche
I migranti, scrive mons. Stenger, “non sono terroristi. Spesso sono giovani che hanno rischiato il tutto per tutto in cerca di una vita migliore, lontana dai conflitti e dalle persecuzioni nelle loro terre d’origine”. “Se è legittimo prendere misure di sicurezza e di controllo”, continua il presule, bisogna tuttavia considerare che “la questione dei migranti non potrà essere regolata unicamente con soluzioni tecniche”. Anche perché “ciò che le violenze a Calais rivelano è innanzitutto la mancanza di coerenza, a livello europeo, nelle politiche di accoglienza e nelle legislazioni del lavoro”.
La tratta dei migranti, una filiera di miserie e violenze
Di fronte, poi, al moltiplicarsi dei centri di detenzione amministrativa, all’emarginazione dei migranti nelle zone di frontiera, alle politiche migratorie europee basate sulle quote, il presidente di Pax Christi stigmatizza “il rifiuto di cercare nuovi metodi di integrazione in Europa o di risoluzione dei conflitti nei Paesi di provenienza dei migranti, che potrebbero invertire veramente la rotta”. La situazione di Calais, nota ancora il presule, “rivela anche l’esistenza di un flusso di popolazioni provenienti da Siria, Sud Sudan, Eritrea e da altre zone di conflitto, così come l’esistenza di una rete di trafficanti che organizzano queste filiere della miseria con la forza, la violenza, il furto”.
Plauso per chi dimostra solidarietà
Ma ci sono anche gli aspetti positivi, conclude mons. Stenger: gli avvenimenti dell’Eurotunnel, infatti, rivelano l’esistenza di una rete di solidarietà tra persone che offrono “un pasto, una doccia, un tetto a coloro che vivono in esilio”. Ad esse Pax Christi dice grazie ed offre il suo sostegno. (I.P.)
Chiesa Colombia: nozze gay contro diritti bambini e famiglia
“Ad essere violati sono i diritti della famiglia, non quelli delle coppie omosessuali”: così risponde padre Perdo Mercado Cepeda, segretario aggiunto della Conferenza episcopale colombiana per i rapporti Chiesa-Stato, riguardo alla petizione presentata da Guillermo Rivera, alto consigliere presidenziale per i Diritti umani, affinché la Corte Costituzionale riconosca esplicitamente il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso. In particolare, nella sua richiesta, Rivera chiede che “si superi la mancanza di tutele” per le coppie omosessuali, permettendo “la formalizzazione della loro unione”.
Non alterare la natura giuridica del matrimonio, sancita dalla Costituzione
Di fronte a tale affermazione, padre Mercado risponde che ad essere violati non sono i diritti delle coppie gay, bensì quelli della famiglia, “la cui natura giuridica viene reiteratamente alterata, rispetto ai canoni stabiliti dalla Costituzione”. “La proposta di Rivera – continua il religioso – non ha una base né legale, né costituzionale, poiché la Corte non può soppiantare il Congresso nelle sue funzioni e non spetta quindi ad essa legiferare”. Al contrario, ribadisce padre Mercado, “la Corte deve essere garante ed interprete fedele della Carta fondamentale, non avendo alcuna competenza per modificarla”.
L’adozione non è un diritto dei genitori adottivi. Tutelare i bambini
Quindi, il segretario aggiunto per i rapporti Chiesa-Stato sottolinea che “si possono garantire i diritti degli omosessuali senza necessariamente modificare l’istituzione giuridica e naturale del matrimonio e della famiglia che la Costituzione definisce come unione tra un uomo ed una donna”. Infine, riguardo al “diritto all’adozione”, rivendicato dalle coppie dello stesso sesso, padre Mercado ricorda: “L’adozione non è un diritto dei genitori adottivi, anzi: il suo obiettivo è tutelare soprattutto i diritti dei bambini, il loro benessere ed il loro sviluppo”. L’auspicio del religioso, quindi, è che “i diritti dei minori prevalgano sempre sugli eventuali interessi dei genitori adottivi”. (I.P.)
India. Arcidiocesi Trivandrum difende diritti dei pescatori locali
Il Governo del Kerala ha accettato di aprire un dialogo con la Chiesa locale su un contestato progetto di costruzione di un grande porto commerciale a Vizhinjam, una striscia costiera di 13 chilometri a sud della capitale dello Stato indiano Thiruvananthapuram.
L’arcivescovo di Trivadrum chiede la protezione dei diritti dei pescatori
L’arcidiocesi latina di Trivandrum, sotto la cui giurisdizione si trova questo territorio, è infatti scesa in campo contro la realizzazione del progetto, che comporterà lo spostamento di 32 villaggi che vivono di pesca danneggiando circa 50mila famiglie. Un prezzo inaccettabile secondo l’arcivescovo mons. Maria Calist Soosa Pakiam, che in una lettera pastorale letta in tutte le parrocchie durante le Messe domenicali celebrate il 2 agosto nell’arcidiocesi, denuncia la scarsa attenzione delle autorità dello Stato per l’impatto ambientale e sociale dell’opera e per i diritti dei pescatori. “Non siamo contro lo sviluppo, ma chiediamo la protezione dei diritti di chi sarà più penalizzato”, si legge nella lettera.
Dopo le proteste della Chiesa il Governo disponibile a trattare
E la voce di Soosa Pakiam, che si aggiunge alle proteste dei pescatori, sembra non essere rimasta inascoltata. Il Ministro della pesca dello Stato del Kerala K. Babu – riferisce l’agenzia Ucan - ha annunciato la disponibilità del Governo ad avviare un nuovo giro di trattative con tutte le parti interessate. L’inizio dei lavori per la ostruzione del porto, il cui costo è di costo di circa 109 milioni di dollari, era previsto il 17 agosto. La maggior parte dei fedeli dell’arcidiocesi di Trivandrum sono pescatori e la Chiesa locale è da anni impegnata in programmi pastorali e sociali per il loro sviluppo e sostegno. (L.Z.)
Medio Oriente. Luterani: fermare le violenze con la giustizia
“Il Medio Oriente ha bisogno di giustizia e non di più armi”. È quanto ribadisce il Consiglio della Federazione Luterana Mondiale (Lwf), riunito in questi giorni a Ginevra, in una risoluzione in cui esprime profonda preoccupazione per l’escalation della violenza nella regione, la vulnerabilità delle minoranze religiose ed il fallimento del processo di pace tra Israele e palestinesi. “La religione è stata usata per legittimare gran parte di questa violenza”, afferma il Consiglio luterano riferendosi in particolare alla Siria, Iraq e al conflitto israelo-palestinese. “Sono state prese di mira le comunità religiose e in questo contesto gli sforzi per promuovere la moderazione hanno difficoltà a contrastare la crescita dell’estremismo”.
L’emergenza profughi e la drammatica situazione a Gaza
La risoluzione richiama, poi, l’attenzione sui milioni di sfollati che hanno cercato rifugio in Giordania, Turchia ed in altri Paesi limitrofi, Paesi che – si sottolinea - non possono continuare ad accogliere queste persone all’infinito. Anche la Federazione Luterana Mondiale è impegnata nell’assistenza questi profughi, in particolare in Nord Iraq e nei campi in Giordania. Essa è poi presente nella Striscia di Gaza, dove nell’ultima guerra hanno perso la vita 2mila persone, di cui 490 bambini e sono stati chiusi cinque ospedali e 34 cliniche. Quando è scoppiata la guerra lo scorso agosto, l’Augusta Victoria Hospital (Avh) di Gerusalemme gestito dalla Lwf ha inviato due squadre mediche per curare i feriti, compresi specialisti in medicina di emergenza-urgenza, rianimazione, chirurghi pediatri ed infermieri specializzati che hanno assistito a scene drammatiche. L’ospedale ha inoltre allestito un reparto speciale per i feriti più gravi e i malati di cancro bloccati a Gaza. I loro racconti sono drammatici.
Affrontare le cause del conflitto
La risoluzione della ribadisce, quindi, l’urgenza di risolvere i conflitti in Medio Oriente attraverso il negoziato, piuttosto che con la violenza. Un appello viene poi rivolto alle Chiese membri della Federazione, affinché premano “sui rispettivi governi per un impegno costruttivo per la pace e perché affrontino le cause di queste sofferenze” piuttosto che limitarsi ad intervenire sui drammatici effetti del conflitto. (L.Z.)
Preghiera ecumenica per la riconciliazione tra le due Coree
“Come i discepoli di Gesù, che divennero messaggeri di riconciliazione dopo avere superato ogni paura, fai sì che tutti noi che ci chiamiamo cristiani possiamo compiere i doveri a cui ci chiama il ministero della riconciliazione”. Con questa invocazione si conclude il testo della preghiera comune preparata dal Consiglio nazionale delle Chiese di Corea e dalla Federazione cristiana coreana per l’annuale Domenica nazionale per la pace e la riunificazione delle due Coree.
La solidarietà del Consiglio mondiale delle Chiese con il popolo coreano
La giornata viene celebrata ogni anno dai cristiani coreani nella domenica che precede il 15 agosto, data dell’anniversario della liberazione del Paese, allora unito, dal Giappone, e quest’anno cade il 9 agosto. Alla preghiera sono stati invitati ad unirsi tutti i membri del Consiglio Mondiale della Chiese (Wcc/Coe) nel quadro del “Pellegrinaggio per la giustizia e la pace” indetto nel 2013 dalla sua 10.ma Assemblea generale nella città sudcoreana di Busan. In quell’occasione, il Wcc aveva adottato una dichiarazione sulla pace e la riconciliazione della Penisola coreana impegnandosi “ad accompagnare i coreani del Nord e Sud nella loro lotta per la giustizia, la pace e la vita”. Come evidenziato da Peter Prove, direttore della Commissione del Wcc per gli affari internazionali, l’adesione delle Chiese cristiane del mondo alla giornata di preghiera vuole essere “un significativo gesto di solidarietà” con il popolo coreano, la cui divisione “è una delle grandi sfide politiche e spirituali del nostro tempo”.
L’invocazione al Signore a convertire tutte le menti per la riconciliazione
Quest’anno, inoltre, la giornata cade nel 70.mo anniversario della liberazione dal Giappone nel 1945 e nel 65.mo della Guerra di Corea che avrebbe sancito la divisione del Paese lungo il 38.mo parallelo, nel 1953. Come si legge nel testo della preghiera, a 70 anni di distanza la pace in tutta l’area continua ad essere minacciata dagli interessi delle superpotenze, tra cui lo stesso Giappone, che continuano a “soffiare sul fuoco di questa crisi”, ostinandosi nel perseguire la corsa agli armamenti e siglando accordi di collaborazione militare. “Invece di tenere scambi, comunicare gli uni con gli altri e di collaborare per la riconciliazione – si legge - si continua a perseguire questa folle politica che consolida il muro della separazione”. Di qui l’invocazione al Signore a convertire tutte le menti per una Corea finalmente riconciliata. (L.Z.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 217