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Sommario del 03/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Piazza San Pietro: 9000 ministranti incontrano il Papa

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Si sono dati appuntamento per domani pomeriggio in Piazza San Pietro i partecipanti Pellegrinaggio internazionale dei Ministranti che si tiene ogni cinque anni. Sono almeno 9000, di età compresa tra i 14 e i 30 anni, e provengono da una ventina di Paesi tra i quali Francia, Italia, Portogallo, Svizzera, Ungheria, Serbia. Sul tema delle parole del profeta Isaia: “Eccomi, manda me!”, vivranno un momento di festa, di testimonianza ma soprattutto di preghiera che culminerà con l’arrivo del Papa per la recita dei Vespri in diverse lingue. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

E' l'undicesimo pellegrinaggio a Roma per l'Organizzazione internazionale dei Ministranti. Il programma inizia oggi e proseguirà con Messe in diversi luoghi di Roma e visita alle catacombe, specie quelle di San Callisto, dove riposa San Tarcisio, patrono dei ministranti. Ma centrale sarà l'udienza col Papa domani alle 18.00 in Piazza San Pietro, preceduta da due ore di musica, eseguita da band di diversi Paesi, e testimonianze di chi ha già percorso il cammino di ministrante. Poi con il Papa la recita dei Vespri in tedesco, ungherese, francese e italiano, lingue dei gruppi più numerosi. "Per alcuni ragazzi sarà la prima possibilità di vedere l'universalità e la dimensione comunitaria della Chiesa, spiega il presidente dell’Organizzazione, mons. Ladislav Nemet, "ma anche di trovare la gioia della propria missione":

R. – Abbiamo scelto come motto del pellegrinaggio le parole del profeta Isaia: “Eccomi, manda me!”. Pensiamo che nell’età dei chierichetti sia importante trovare anche la propria strada nella vita, e così pensiamo a un’apertura anche a Dio, negli anni più difficili. Tutta la preghiera è preparata in questa dimensione, anche i testi delle diverse canzoni riassumono questa idea della missione dei giovani nella società, nella vita privata e nella Chiesa. La seconda cosa è la pace, perché abbiamo chierichetti che vengono anche dall’Ucraina. Dopo pregheremo anche per gli immigrati, idee care al nostro Santo Padre ma anche ai nostri ministranti. Viviamo infatti in un mondo nel quale non si possono chiudere gli occhi e non vedere il mondo che cambia.

D. – Fare il chierichetto è una cosa che ancora li attrae, li affascina? E come avvicinarli a questa dimensione?

R. – Se la liturgia è celebrata bene, c’è una bellezza che attrae. La seconda possibilità è la comunità: se in una parrocchia c’è una persona responsabile che ha questa capacità di riunire questi giovani, si farà un gruppo bellissimo. Diventare chierichetto non significa soltanto venire in chiesa durante la liturgia, ma anche assumere una nuova dimensione della vita, collegata con la nostra comunità ecclesiale e con la comunità che vive intorno a una parrocchia.

D. – Qual è la cosa che metterà in evidenza nelle parole del suo saluto al Papa?

R. – Voglio sottolineare le aspettative dei giovani, di ascoltare una parola di incoraggiamento per questo servizio, che vale la pena rimanere fedeli a Cristo e alla nostra vocazione. Senz’altro il Santo Padre troverà le parole giuste per toccare i giovani: è incredibile come i giovani lo amino! Si vede, ovunque egli vada …

D. – Il Papa dice – è stata forse la sua prima parola: “Andate, uscite e raggiungete le periferie”, come lui le chiama sempre. Quindi questo tema sembra particolarmente in linea con il magistero?

R. – Sì, perché “Eccomi, manda me!” significa la disponibilità ad andare fuori, a lasciare il mio posto … Il profeta aveva una vita molto tranquilla e quando il Signore si è fatto vivo il profeta ha lasciato tutto. “Manda me! Vado via!”, anche se nella periferia o in un città grande: oggi la periferia può essere anche al centro di Roma. Non c’è una definizione della periferia: la periferia sono tutti gli spazi dove la gente ha bisogno di Gesù.

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Da Francesco i giovani del Movimento Eucaristico Giovanile

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A cento anni dalla fondazione il Meg, Movimento Eucaristico Giovanile, si ritrova a Roma a partire da domani per un Incontro Internazionale che culminerà con l'udienza con il Papa venerdì 7 agosto. Il Movimento, promosso dai Gesuiti, è la sezione giovanile dell’Apostolato della Preghiera. Presente in 56 Paesi dei cinque continenti, conta oltre un milione e centomila aderenti tra i 5 e i 25 anni. “Perché la gioia sia con voi”, il titolo dell’appuntamento presentato oggi a Roma. Servizio di Francesca Sabatinelli

Saranno 1500 i giovani di 38 delegazioni nazionali che da domani daranno vita a una settimana fatta di incontri, preghiere, conferenze, pellegrinaggi e anche di festa. Vivranno in totale comunione, con la gioia di ritrovarsi assieme, perché è proprio la ‘gioia’ il tema attorno al quale si sviluppa questo appuntamento. Ogni giorno sarà caratterizzato da un tema: da “La gioia di ritrovarci insieme” a “La gioia della missione” a “La gioia di essere il popolo di Dio”, e questo sarà il 7 agosto, giornata dedicata all’incontro con le prime comunità cristiane, con la visita alle Catacombe di San Callisto, ma soprattutto giorno dell’udienza con Papa Francesco, al quale i ragazzi rivolgeranno alcune domande. Ascoltiamo il padre gesuita Loris Piorar, responsabile del Meg Italia:

R. – In queste domande i ragazzi si mostreranno desiderosi di profondità, di intimità e di profondità. Le domande al Santo Padre avranno lo scopo di scoprire la profondità dell’Eucaristia. Sono delle domande che non chiedono delle nozioni, non chiedono solamente delle affermazioni, ma chiedono anche paradossalmente al Santo Padre di raccontare quasi un po’ anche se stesso, nel senso di poter dire quello che veramente gli sta a cuore. Sono domande che desiderano entrare in intimità con il Santo Padre. Un’altra domanda, che sarà sui giovani e la famiglia, non sarà su cosa è la famiglia, ma su come io giovane posso scoprire nella famiglia un luogo di amore e come io posso amare nella famiglia. Andare un po’ alle radici, in questo senso, alle radici di ciò che è la gioia, di ciò che è l’Eucaristia, di ciò che è la missione oggi. La cosa molto bella è che probabilmente ogni Paese coglierà queste risposte in maniera diversa, proprio perché la missione per ogni Paese, a seconda di dove si trovi, viene vissuta e percepita in maniera diversa. Sarà interessantissimo come il Santo Padre, consapevole di chi ha di fronte, potrà rispondere. Per noi sarà anche una cosa molto bella, perché queste domande che abbiamo scelto sono le domande che attraversano un po’ tutto il Meg mondiale, nella preparazione degli incontri. Le risposte del Santo Padre saranno, in un certo senso, quasi un testo di riferimento futuro per il Meg.

D. – Al di là delle domande che presenteranno i giovani, la grande sfida per loro veramente qual è? Se hanno paure, quali sono?

R. – La grande sfida è poter vivere quello che io vivo in una comunità che mi comprende, che mi permette di condividere, che mi ascolta, in una situazione esterna in cui questo non è magari il criterio fondamentale. Come tenere insieme queste due dimensioni? E penso che questa sia la grande sfida, forse in realtà la grande sfida della missione per i nostri ragazzi, poter dire: come io testimonio la mia fede, la mia condivisione, la mia interiorità, la mia intimità anche in un mondo che magari non solo non fa di questo un punto di forza, ma addirittura ne fa un punto di debolezza e di fragilità. Questi ragazzi del Meg sono ragazzi che hanno attenzione alla propria fragilità, alla propria sensibilità, però come viverla fuori dal movimento? Loro sanno che nel movimento hanno uno spazio di condivisione, ma come viverla fuori e come questa sia qualcosa che debba trovare un giusto equilibrio? Penso che questa sia una delle grandi paure che loro hanno.

D. – Si parla di 1.500 giovani di 38 delegazioni, provenienti quindi dai Paesi più disparati, saranno assenti purtroppo delegati di Paesi che vivono drammatiche situazioni socio-politiche. E questo è veramente, forse, l’unico grande rammarico…

R. – Sì, questo è, in un certo senso, un po’ l’amaro in bocca per quelli che vorrebbero venire, ma che per condizioni esterne a loro devono rimanere a casa. Ci hanno anche scritto con grande tristezza, specialmente da alcuni Paesi africani, dicendo: “Noi che vorremmo venire a fare questa esperienza, non possiamo perché ci sono tanti timori, anche verso di noi…”. Timori nel senso che è sempre un ragazzo proveniente da un certo Paese che viene in Europa e a volte le stesse ambasciate creano anche un po’ di difficoltà, perché un ragazzo che viene da un Paese che vive una situazione difficilissima è comprensibile che quando arriva in Europa possa anche desiderare, ed è successo nella storia, anche in questi eventi così grandi, di fermarsi. Il che è comprensibile se uno vive in situazioni difficili e non scontate come la nostra. Un momento molto bello sarà quando l’8 agosto, sabato sera, ci saranno alcuni ragazzi rifugiati del Centro Astalli dei Gesuiti, che racconteranno la loro storia a tutti i ragazzi. Eravamo alla ricerca di un grande testimone, ma trovare un testimone che unisse tutti era molto difficile: il rifugiato unisce tutti i Paesi, perché tutti i Paesi vivono questa dimensione del rifugiato, dello scontro di culture, delle difficoltà di accogliere. Ci sarà anche un ragazzo che è sbarcato a Lampedusa e questo sarà un momento molto bello!

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Le spoglie di Padre Pio in San Pietro dall'8 al 14 febbraio 2016

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Saranno esposte nella Basilica Vaticana, dall’8 al 14 febbraio 2016, le spoglie di San Pio da Pietrelcina. L’iniziativa, informa un comunicato congiunto dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo e dei Frati Minori Cappuccini, rientra nell’ambito del Giubileo straordinario della Misericordia, indetto da Papa Francesco per il prossimo anno. Per l’occasione, il 13 febbraio si terrà anche il Giubileo dei “Gruppi di preghiera di Padre Pio” che saranno ricevuti in udienza dal Pontefice.

Mercoledì delle Ceneri, l’invio dei Missionari della Misericordia
“Il Santo Padre - ha scritto mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, nella lettera inviata a mons. Michele Castoro, Arcivescovo di Manfredonia– Vieste–San Giovanni Rotondo - ha espresso il vivo desiderio perché le spoglie di San Pio da Pietrelcina siano esposte nella Basilica di San Pietro il 10 febbraio, Mercoledì delle Ceneri del prossimo Anno Santo Straordinario, giorno in cui Egli invierà in tutto il mondo i Missionari della Misericordia, conferendo loro speciale mandato di predicare e confessare perché siano segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in cerca del suo perdono”.

San Pio, autentico testimone della misericordia di Dio
“La presenza delle spoglie di San Pio – continua il presule - sarà un segno prezioso per tutti i missionari ed i sacerdoti, i quali troveranno forza e sostegno per la propria missione nel suo esempio mirabile di confessore instancabile, accogliente e paziente, autentico testimone della Misericordia del Padre”. (I.P.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Pane che ci sazia: all'Angelus il Papa ricorda che Cristo è la risposta alla fama di vita dell'uomo.

Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "Basterà un romanzo?": la storia del popolo rom tra luci ed pregiudizi. 

Due figure attaccate insieme: Antonio Paolucci sul nuovo allestimento per la Pietà Rondanini.

La preghiera di Doppio Rhum: Felice Accrocca su Capitan Miki e due originali ubriaconi.

Il traghettatore: Roberto Cutaia sul rapporto fra Thomas Davidson e Antonio Rosmini.

Aborto e coerenza cristiana: nuovo intervento dei presuli cileni contro il progetto di legge per la depenalizzazione.

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Oggi in Primo Piano



Borsa di Atene riapre e crolla. Moro: no agli allarmismi

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Crollo della Borsa di Atene che oggi ha riaperto i battenti dopo oltre un mese di chiusura in concomitanza con la fase più acuta della crisi greca. Le conseguenze sembrano contenute sui mercati finanziari europei. Tuttavia l’attenzione resta alta anche a causa di nuovi dati negativi sull’economia cinese, con il prodotto manifatturiero sceso ai minimi dal 2011. Sull’andamento dei listini ellenici, Eugenio Bonanata ha intervistato l’economista Riccardo Moro: 

R. - Che ci siano pochi scambi dopo quasi un mese di chiusura della Borsa è assolutamente fisiologico. Dunque la perdita iniziale era attesa; oltre tutto per finanziare gli scambi occorrono anche capitali che in questo momento, come noto, non ci sono. I dati interessanti usciranno nei prossimi giorni: bisognerà vedere se ci sono altre perdite o se ci si stabilizza a livello più basso. L’elemento non scoraggiante è il fatto che questa perdita, così apparentemente forte, non sembra avere dato stimoli negativi al complesso delle altre Borse europee.

D. - Ci possono essere conseguenze a livello europeo ed internazionale nei prossimi giorni?

R. - La conseguenza principale, più che dell’andamento della Borsa, secondo me può essere data dall’andamento della trattativa che in questo momento è in corso tra Atene e le istituzioni Internazionali. Il fatto che lo stimolo negativo sui mercati non sia così forte è anche dovuto ad un fattore che molto spesso si finisce per dimenticare: la dimensione della Grecia, in fondo, è molto contenuta rispetto alla dimensione dell’economia europea. Abbiamo costruito, anche nel dibattito politico, un allarme assolutamente sproporzionato sulla situazione greca e sulle possibili conseguenze. Il fatto che la trattativa sia in corso è letto dai mercati come un segno positivo e l’andamento delle Borse rivela una preoccupazione non significativamente alta, almeno nel brevissimo periodo.

D. - Ma c’è il rischio che la situazione peggiori proprio alla luce dei negoziati con le istituzioni internazionali?

R. - Se la posizione dell’Unione Europea rimarrà rigida, allora, certo, è possibile che i negoziati vadano in stallo e che questo poi possa essere di nuovo letto negativamente anche dai mercati. Però penso che all’interno dell’Unione sia maturata un’attenzione un nuova rispetto a qualche mese fa intorno a questa trattativa. E spero che questo porti ad un’intesa relativamente più facile.

D. - La trattativa è incentrata su alcuni temi come la corruzione e la privatizzazione in Grecia. Il cammino è molto complesso …

R. - Però un atteggiamento ‘fondamentalista’ nei confronti di una politica di austerità credo che si sia già rivelato poco efficace e credo che si debba decisamente cambiare: dobbiamo sostanzialmente ritornare a politiche neokeynesiane di stimolo della domanda in cui lo Stato ha un ruolo centrale. Staremo a vedere quale sarà l’opzione pratica che la trattativa in questo momento sceglierà per riuscire a far giocare nuovamente allo Stato questo ruolo.

D. - C’è da temere la posizione del Fondo internazionale che dice di non partecipare al piano di salvataggio della Grecia?

R. – In realtà, in questo momento, il Fondo non sta partecipando alla definizione del nuovo accordo perché un accordo col Fondo è già in corso e scadrà più avanti. Mi verrebbe da dire che anche i media hanno un ruolo importante nello svolgere una corretta informazione, evitando allarmismi inutili e viceversa fotografando autenticamente quella che è la situazione. Detto in modo chiaro: l’allarme intorno al Fondo  mi è sembrato francamente un po’ fuori luogo negli ultimi giorni. E questo alimenta anche una situazione di sfiducia mentre oggi abbiamo bisogno di costruire tutti insieme fiducia per far ritornare i capitali verso gli investimenti necessari in Grecia e in Europa.

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Pakistan: in fin di vita musulmana diventata cristiana, ucciso il marito

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In Pakistan la conversione di una donna al cristianesimo, dopo il matrimonio con  un cristiano, è l’inizio di un calvario. A perseguitare la ragazza è la sua famiglia, angosciata per la propria reputazione. La giovane, ferita e in fin di vita, ha assistito all’omicidio del marito. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

In Pakistan sono molteplici le storie di persecuzioni e di violenze contro la comunità cristiana. Una delle ultime riguarda Nadia, una giovane pachistana cresciuta secondo i dettami dell’islam. Si converte al cristianesimo dopo il matrimonio con Aleem, un ragazzo  cristiano. Ma la famiglia della donna considera la ragazza una apostata e il suo sposo colui che ha portato la giovane sulla “via della perdizione”. La famiglia di Nadia teme per la propria reputazione e lancia continue e gravi minacce. I due giovani sposi sono costretti alla fuga ma vengono scovati, lo scorso 30 luglio, da alcuni membri della famiglia di Nadia. L’epilogo di questa caccia spietata è tragico ed è scandito da colpi di arma da fuoco. Aleem muore sul colpo. Nadia, salvatasi miracolosamente, oggi è in ospedale, dove lotta tra la vita e la morte. L’autore dell’omicidio e del tentato assassinio è stato individuato. E’ un parente di Nadia. Afferma con orgoglio di aver nuovamente restituito l’onore alla sua famiglia. Secondo i legali della famiglia di Aleem, la giustizia non potrà affermarsi e i colpevoli resteranno impuniti. Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News:

“Io ho incontrato diverse volte, nei Paesi islamici, questa mentalità dei genitori che vedono la conversione a una religione diversa dall’islam come una possibile dannazione per i propri figli. C’è uno strano amore per i propri figli che li porta ad ucciderli piuttosto che vederli perduti in un futuro inferno islamico. Il Pakistan era nato, originariamente, come uno Stato che permetteva la libertà di religione, anche la libertà di convertirsi. Purtroppo nella società sono cresciute in questi decenni una fronda fondamentalista sempre più forte e una mentalità fondamentalista sempre più forte. Una mentalità permette di fatto queste uccisioni a livello di famiglia, di clan. E inoltre è probabile che gli assassini non verranno perseguiti”.

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Nord Kivu: si allarga la minaccia dell'estremismo islamico

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Non conosce tregua il Nord Kivu, la provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo che, a oltre dieci anni dalla fine della guerra nel Paese africano, continua ad essere sconvolta dalle violenze. Ad agire, con attacchi, rapimenti e massacri all’arma bianca, gli estremisti islamici delle Forze democratiche alleate (Adf-Nalu) provenienti dall’Uganda, dove dal ’95 si oppongono al presidente Yowei Museveni, ma che hanno installato le proprie basi soprattutto in territorio congolese, nella zona di Beni. Nelle ultime settimane l’esercito di Kinshasa ha intensificato i rastrellamenti a tappeto, a caccia dei miliziani che nella zona hanno già provocato 400 morti, ma nei villaggi dell’Est le loro azioni proseguono. Ce ne parla Anna Bono, africanista dell’Università di Torino, intervistata da Giada Aquilino

R. – Questo gruppo che, tra l’altro, è uno dei primi formatosi - la sua nascita risale al 1995 - è nato per rovesciare il regime di Yoweri Museveni, il presidente dell’Uganda, ma sin dall’inizio ha creato le sue basi e si è insediato invece nella vicina Repubblica Democratica del Congo. Prima di tutto per un motivo di opportunità, perché nelle zone montuose, remote, per niente controllate - anche adesso non lo sono a sufficienza, come dimostrano gli eventi in corso - hanno trovato il modo di creare delle basi sicure dalle quali possono agire indisturbati. In secondo luogo, c’è anche da dire che, come per altri gruppi e movimenti, la ‘convenienza’ di agire nella Repubblica Democratica del Congo sta anche nel prendere parte al traffico illecito, al contrabbando di minerali e materie prime preziose, di cui il Congo è estremamente ricco.

D. – Ci sono, quindi, interessi economici e commerci illegali dietro questi movimenti?

R. – Più che interessi economici. Altri gruppi – praticamente tutti – si finanziano anche grazie, e soprattutto, al contrabbando. In questo modo e anche in altri, come il bracconaggio, le estorsioni ed i saccheggi a spese della popolazione, tali movimenti si autofinanziano e possono continuare le loro attività: con questo denaro vivono, comprano armi, munizioni e anche la complicità soprattutto di funzionari amministrativi e dell’esercito.

D. – Di fatto, quindi, l’instabilità che regna nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo favorisce il sorgere, il propagarsi di movimenti di questo tipo…

R. – Certamente. E’ una regione che - nonostante, ufficialmente, il Paese sia in pace, ormai da 12 anni - non conosce sicurezza. In questo momento il gruppo che più preoccupa è l’Adf-Nalu, ma i movimenti si contano a decine nella Repubblica Democratica del Congo.

D. – Ci sono anche alleanze jihadiste transnazionali?

R. – Questo è l’aspetto relativamente nuovo, che aumenta la preoccupazione. Questo gruppo, tra l’altro, ha cambiato nome di recente: da Forze democratiche alleate-Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda a Difesa internazionale islamica. Ciò già è indicativo di un eventuale cambiamento nelle strategie della formazione. Si ha motivo di credere, da informazioni di intelligence, che in effetti il gruppo abbia stabilito contatti con gli al Shabaab: il gruppo jihadista, che opera da quasi 10 anni in Somalia, è legato ad al Qaeda, ma di recente si sospetta intenda lasciare al-Qaeda e diventare alleato del sedicente Stato Islamico.

D. – In Congo, che è un Paese a maggioranza cristiana, si corrono quindi rischi di derive integraliste?

R. -  Sì. È vero che al momento questo gruppo colpisce soprattutto una parte del Paese, che è un Paese molto esteso, ma negli ultimi anni questa presenza, che comunque si è intensificata. Al di là del fatto che la minoranza islamica abbia raggiunto il 10 per cento della popolazione, è notizia recentissima - data da ‘Aiuto alla Chiesa che Soffre’ - che esistano nella zona dove opera questo movimento integralista tre campi di addestramento per giovani: in essi, circa 1500 ragazzi vengono addestrati al jihad, sia addestrati al combattimento sia educati all’ostilità nei confronti dell’Occidente e alla guerra ad oltranza per imporre la sharia, tanto per cominciare nel Congo.

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Immigrati nell'Eurotunnel. Perego: pugno di ferro è debolezza

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Prosegue l’emergenza a Calais, in Francia, dove nella notte sono stati respinti 1700 migranti che tentavano di introdursi nell’Eurotunnel verso la Gran Bretagna. Si calcola, infatti, che circa il 70% dei censiti nel porto sul versante francese della Manica, dall’inizio della crisi, sia ormai in viaggio verso il Regno Unito. E mentre i ministri degli Interni francese e britannico hanno lanciato un appello congiunto all’Europa affinché “affronti il problema alla radice”, il governo inglese propone una norma che consentirebbe di cacciare i richiedenti asilo la cui domanda dovesse essere respinta, anche senza sentenza della magistratura. Dopo Ventimiglia, Calais è “un altro esempio che dimostra la necessità della solidarietà e della responsabilità nel modo di gestire l’immigrazione”, ha commentato il commissario europeo all’Immigrazione e agli Affari interni. Roberta Barbi ha chiesto a mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, come l’Europa possa davvero affrontare la questione migranti: 

R. – Ripensando certamente il Trattato di Dublino applicato alla situazione europea, permettendo maggiormente ai rifugiati richiedenti asilo di muoversi all’interno del contesto europeo, delle diverse nazioni europee; la seconda condizione è che ogni Paese dell’Europa possa farsi carico di una quota di richiedenti asilo e di rifugiati e non soltanto 5 dei 28 Paesi europei. C’è, poi, il problema di attrezzare anche alcune aeree ai confini, in modo tale che ci sia la possibilità che queste persone non vivano all’addiaccio, come invece sta succedendo sia a Ventimiglia che a Calais.

D. – I ministri degli Interni di Gran Bretagna e Francia – due Paesi che hanno rispettivamente promesso di non accogliere immigrati e ne hanno bloccati centinaia alla frontiera – hanno lanciato un appello all’Europa, affinché si occupi del problema degli immigrati…

R. – Credo che - giustamente per certi versi - la Francia e l’Inghilterra stiano facendo il pugno di ferro per l’accoglienza, perché occorre dire che sia la Francia - con oltre 250 mila rifugiati accolti, sia l’Inghilterra con oltre 300 mila - sono certamente nel contesto europeo, insieme alla Germania, i Paesi che hanno fatto una maggiore accoglienza. Questo pugno di ferro, probabilmente, è perché anche gli altri Paesi, che attualmente, invece, non hanno accolto o non accolgono richiedenti asilo e rifugiati, possano muoversi nella stessa logica europea. Questa situazione dimostra - da una parte - la debolezza dell’Europa sul piano della solidarietà e della tutela di un diritto fondamentale che è il diritto di asilo, ma - dall’altra - anche come sostanzialmente occorre fare in modo che ogni Paese si attrezzi con dei piani di accoglienza.

D. – Perché, però, si parla di immigrati sempre come un problema e mai come una opportunità?

R. – Perché si sottolineano maggiormente i costi di questa prima accoglienza e non si sottolinea, invece, il valore aggiunto che queste persone – soprattutto persone preparate o che hanno anche una storia politica significativa alle spalle – possono dare sui tempi lunghi. La seconda ragione è perché purtroppo, in questo periodo la crescita di nazionalismi, dal punto di vista politico, sta indebolendo le formazioni politiche più democratiche e più aperte alla tutela dei diritti che temono di perdere consenso politico alle prossime elezioni.

D. – Spesso si fa distinzione tra chi fugge da una guerra e chi arriva in Europa per cercare lavoro, ma si tratta comunque di persone fragili…

R. – La distinzione è importante, però occorre anche considerare che tante volte le due dinamiche – economiche e forzate – si frammischiano. I Paesi che oggi sono in movimento e dai quali oggi provengono le persone che stanno raggiungendo l’Europa sono Paesi che tante volte non hanno una guerra, ma certamente hanno una dittatura o violenze molto forti o un'instabilità politica o il terrorismo, che genera un forte movimento di persone.

D. – Dopo gli ultimi fatti la Chiesa anglicana ha attaccato la linea dura del governo britannico e dei media, colpevoli di dare un'immagine troppo negativa della figura dell’immigrato…

R. – Oggi, soprattutto alcuni movimenti politici e alcune forze di informazione, stanno esagerando una lettura negativa della migrazione e stanno accrescendo certamente le paure che poi fanno coniugare il tema dell’immigrazione con il tema del terrorismo.

D. – La Chiesa parla spesso di gettare ponti tra le persone. Perché, secondo lei, invece, nel mondo vengono costruite sempre più barriere?

R. – Perché si pensa che la difesa e il chiudersi sia uno strumento di tutela. In realtà sia dal punto di vista economico che da un punto di vista sociale sono le relazioni, i legami, la costruzione di incontri e di ponti – come ripete frequentemente il Papa – gli strumenti che effettivamente fanno crescere e sviluppare non solo un Paese, ma anche una società più allargata.

D. – Chi parla di accoglienza viene spesso accusato di buonismo…

R. – Credo che sia la non accoglienza che tante volte, invece, rischia di generare buonismo. Tante volte si accusa di buonismo chi accoglie, in realtà il buonista spesso è chi non ha una prospettiva politica di accoglienza.

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Operazione antimafia: arrestate 11 persone del clan Messina Denaro

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Undici persone sono state arrestate, ieri, in provincia di Trapani nell’ambito dell’operazione “Ermes” contro Cosa Nostra. Si tratterebbe di affiliati al mandamento di Matteo Messina Denaro, fra gli uomini più potenti della mafia siciliana, latitante dal 1993. L’operazione è avvenuta in alcune masserie dell’entroterra di Mazzara del Vallo, dove gli uomini si incontravano, scambiandosi pizzini diretti al boss. Le operazioni di polizia proseguono intanto in altre località della Sicilia occidentale. Il commento di Salvatore Costantino, sociologo dell’Università di Palermo, al microfono di Giacomo Zandonini

R. - Il progressivo accerchiamento di Messina Denaro sta a testimoniare che c’è uno Stato che è sempre più in grado di reagire e di avere sempre più successi nella battaglia contro la mafia. Il punto è che mancano a tutt’oggi le politiche che possono far sì che questi successi siano sempre più efficaci. Mi riferisco in particolare alla gestione dei beni confiscati, che necessiterrebe anche di più adeguate misure, per mostrare il volto di uno Stato realmente efficiente.

D. - Venendo al caso di Messina Denaro, uno dei boss più potenti di Cosa Nostra: ha ancora una capacità di influenza così forte, secondo lei, nonostante questo accerchiamento da parte delle istituzioni?

R. - La mafia non è un "anti-Stato" ma un "infra-Stato", che ancora riesce ad avere dentro lo Stato un ruolo ed una sua penetrazione. Si possono vincere tante battaglie e lo Stato ne stà vincendo molte, ma fino a quando non avremo politiche integrate nel territorio, che riescano a influire sui comportamenti, sull’occupazione, fino a quando non saremo in grado di mutare anche i comportamenti dei cittadini stessi, parleremo in astratto. Vinceremo tante battaglie ma non la guerra. Ci sono sicuramente degli anticorpi che vanno potenziati e portati avanti con efficacia, ma si tratta di un’azione coordinata, che deve vedere la formazione di nuovi gruppi dirigenti. E fra i gruppi dirigenti non c’è solo lo Stato, l’amministrazione… ci sono anche gli imprenditori. Noi invece abbiamo, purtroppo, spesso delle classi dirigenti che entrano in un rapporto collusivo.

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Estate romana: francescani in missione sulle banchine del Tevere

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Per il secondo anno consecutivo i frati del Centro missionario francescano scendono sulle banchine del Tevere per incontrare i romani e i turisti che tutte le sere, fino a tarda notte, trascorrono la calda estate della capitale tra gli stand lungo il fiume. I frati hanno loro postazione, offerta a titolo gratuito, sotto la rampa di Ponte Garibaldi. Un’accoglienza calorosa da parte degli organizzatori di cui parla padre Paolo Fiasconaro, frate minore conventuale, al microfono di Eliana Astorri

R. – L’accoglienza di coloro che gestiscono l’Estate Romana sul Tevere è stata grande: ci hanno dato uno stand in un luogo centralissimo, di fronte all’Isola Tiberina. Lì, ogni sera, col saio francescano, vediamo transitare una fiumana umana che si ferma, dialoga con noi frati e ci espone problematiche particolari, ma soprattutto è quel segno tangibile di avere una presenza religiosa in un luogo molto laico. Pensi che dai primi di giugno ai primi di settembre – quindi tre mesi – transitano sulle banchine del Tevere quasi due milioni di persone.

D. – I francescani, in questo punto di incontro lungo il Tevere, come fermano la gente? Qual è l’approccio?

R. – Anzitutto la visibilità del saio francescano. Molta gente è ammirata e ci chiede “Perché ci siete?” o addirittura ci dice: “Grazie che ci siete!”. Tanta gente ci dice: “Oh, troviamo i francescani pure qui in questo luogo…”, ma con un segno di ammirazione. Tanta gente passa, guarda… Noi potevamo fare uno stand mettendo anche degli oggetti, come si fa un po’ nelle mostre missionarie, vendendoli, invece no: abbiamo scelto proprio la presenza-testimonianza, “esserci” in questo luogo. Poi abbiamo delle mediazioni molto belle, come ad esempio la consegna di una cartolina con la matita, in cui ognuno può mandare un messaggio a Papa Francesco, “Caro Papa Francesco…”. Diamo un dépliant - e pensi che lo scorso hanno abbiamo dato più di 10 mila dépliant alle persone - e poi abbiamo i riscontri. Nel dépliant spieghiamo l’attività che portiamo avanti, come l’adozione a distanza, l’aiuto ai nostri lebbrosari, la formazione dei seminaristi che poi diventeranno missionari, i progetti e le micro-realizzazioni: sono tutte attività che portiamo avanti per aiutare i nostri missionari sparsi nel mondo.

D. – Da che ora siete lì?

R. – Noi iniziamo alle otto di sera e andiamo via a mezzanotte: sono praticamente quattro ore, ogni sera. Fino al 2 settembre: abbiamo iniziato il 12 giugno, quindi sono praticamente tre mesi… Noi andiamo lì … siamo diventati i “i frati delle banchine”. Papa Francesco, oltre a conquistare noi e averci dato lo stimolo a scendere nelle banchine, credo che abbia conquistato veramente gli organizzatori. Davanti al nostro stand abbiamo una gigantografia di Papa Francesco e lei pensi a quanti bambini si fermano per fare la fotografia con Papa Francesco col dito alzato: quella famosa fotografia di Francesco … Quindi questa mediazione concreta e immediata di avere il Papa in mezzo a loro: guardi che l’anno scorso abbiamo scritto al Santo Padre e lui ha risposto alla lettera dicendo: “Sì, sì lavorate, perché accogliete veramente l’invito di San Francesco, come i fraticelli che andavano per il mondo ad annunziare il Vangelo”.

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Il ministro Franceschini: a Pompei si è voltata pagina

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Restituita al pubblico, dopo 7 anni, la Palestra Grande di Pompei, lo Stadio di epoca Augustea per l’allenamento dei ginnasti. Presentato anche il programma “Pompei, un’emozione notturna” che prevede passeggiate serali e incontri letterari nell’area archeologica. All’inaugurazione era presente il Ministro per i beni e le attività culturali, Dario Franceschini. Grazia Serra lo ha intervistato: 

R. - E’ un‘altra giornata importante per Pompei! E’ un anno e mezzo che si stanno facendo molti passi avanti: lo ha riconosciuto anche l’Unesco, con i suoi ispettori, che la situazione oggi è una situazione positiva, di cantieri aperti e di tempi rispettati. L’inaugurazione di un luogo stupendo come la Palestra Grande, il ritorno degli affreschi di Muregine e l’apertura serale che renderà quel luogo magico sono davvero la prova che a Pompei si è voltata pagina e dovremmo essere orgogliosi come italiani del lavoro che si sta facendo.

D. – Sono previsti altri passi da compiere per rendere sempre più attrattivo questo luogo?

R. – Stiamo lavorando: sono 35 i cantieri oggi in corso a Pompei e quindi è chiaro che c’è un lavoro importante sulle domus e sui diversi luoghi di Pompei. Stiamo facendo un lavoro su tutto ciò che c’è attorno al sito archeologico in termini di accoglienza, di infrastrutture e di ospitalità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cile: voto sull’aborto. I vescovi: non è mai terapeutico

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È atteso per martedì 4 agosto, presso la Camera dei deputati del Cile, il voto sul progetto di legge relativo all’aborto. La proposta normativa, presentata al Congresso nazionale nel mese di gennaio, prevede la depenalizzazione dell’aborto in tre casi: quando la gestazione mette in pericolo la vita della madre, quando il feto presenta malformazioni incompatibili con la vita e nel caso in cui la madre sia rimasta incinta in seguito a una violenza.

Tutelare il diritto umano alla vita
In vista della votazione, la Conferenza episcopale cilena ha creato un’apposita pagina web, intitolata “Grazie alla vita” in cui sono raccolti tutti i documenti della Chiesa locale relativi all’argomento: suddiviso in sezioni, il sito ricorda che “tutti siamo chiamati alla vita”, che i nascituri “sono persone” sin dal concepimento, che è importante promuovere la famiglia ed educare alla tutela della vita. In particolare, poi, i presuli rilanciano, in una forma più sintetica, il documento finale della 109.ma Assemblea plenaria, svoltasi nel mese di aprile, ed intitolato “Il diritto umano ad una vita degna per tutti”.

L’aborto non è mai terapeutico
Nel testo, si ribadisce, innanzitutto, il “rispetto” e la “considerazione” per ogni persona che si trova ad affrontare la realtà dell’aborto, quasi sempre conseguenza di una situazione di grande sofferenza, di “un dolore vissuto al limite”. Tuttavia, continuano i i presuli, “l’aborto non comporta mai una cura da quelle esperienze traumatiche e non è mai terapeutico”. “Noi sosteniamo – spiegano i presuli - che l'aborto non è di per sé un’azione terapeutica per salvare la vita di una madre in pericolo, anche quando la morte della persona concepita è una possibilità prevista, non voluta, non ricercata”,

Aiutare le donne vittime di violenza
Quanto ai dolorosi casi di donne rimaste incinte in seguito ad una violenza, i vescovi, pur riconoscendo la loro sofferenze e quella delle rispettive famiglie, invitano a rispettare sempre la vita innocente e chiedono allo Stato di avviare programmi di sostegno per accompagnare le madri colpite da queste dolorose situazioni.

Lavorare per una società senza esclusioni
Impegnati a “lavorare per una società senza esclusioni”, i presuli affermano, inoltre, di volere “aggiungere i bambini non ancora nati all’elenco, non breve, di persone e gruppi che il Cile lascia ai margini e che, come segnalato da Papa Francesco, sembrano essere scartati”. “Esortiamo tutte le autorità – conclude il documento - a tutelare ogni essere umano, in particolare i più deboli ed indifesi, ed amare e rispettare alla stessa maniera madre e figlio”.  Di qui, il richiamo conclusivo della Chiesa cilena ad uno Stato e ad una società “attiva e presente” nel sostenere le madri e i loro figli. (I.P.)

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Terra Santa: quasi 300mila pellegrini in meno rispetto al 2014

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L’Ufficio centrale di statistica israeliano ha registrato nei primi cinque mesi di quest’anno oltre 283.000 presenze in meno in Terra Santa rispetto al 2014. Il dato corrisponde ad un calo generale del 18 per cento degli arrivi. Sarebbero soprattutto gli arrivi dall’Italia ad essere diminuiti; nel solo mese di maggio, ad esempio, si conta un -46 per cento di visitatori rispetto al 2014 e un -27 per cento rispetto al 2013. Nei primi cinque mesi dell’anno, sempre dall’Italia, è stato registrato un -45 per cento rispetto al 2014 (equivalente a 28 mila italiani in meno; dai 64 mila del 2014 si è passati ai 35 mila del 2015).

Appello dei francescani: non abbandonate la Terra Santa!
Come rende noto il portale Terrasanta.net, in termini percentuali solo Malaysia (-60 per cento), Finlandia (-50 per cento) e Croazia (-49 per cento) hanno dati più bassi dell’Italia. In termini assoluti hanno segnato un “deficit” di arrivi superiori a quello italiano solo la Russia (che ha perso 45 mila presenze, -30 per cento del totale) e la Germania (che ne ha perse 37 mila, -34 per cento del totale). Dagli Stati Uniti sono arrivate invece 26 mila persone in meno. A scoraggiare i pellegrini italiani pare siano il conflitto siriano, il perpetuarsi delle tensioni arabo-israeliane, la crisi economica non ancora completamente superata. La Custodia francescana di Terra Santa ha lanciato un appello a non abbandonare i luoghi di Gesù: i palestinesi, soprattutto la piccola comunità cristiana, vivono dei pellegrinaggi. 

In crescita i pellegrini provenienti dalla Cina
Sono in forte crescita, invece, gli arrivi di turisti e pellegrini dalla Cina, dove inizia ad affermarsi una classe media con la disponibilità e il desiderio di viaggiare: dal 2014 al 2015, nell’arco dei primi cinque mesi dell’anno, l’aumento delle presenze cinesi è stato del 31 per cento, mentre dal 2013 al 2015, addirittura dell’81 per cento. Nell’ultimo anno sono aumentati anche gli arrivi dall’India (+2 per cento) dalla Turchia (+1 per cento), dal Kenya (+7 per cento), dalla Bielorussia (+9 per cento) e dalla Georgia (+13 per cento). E sono aumentati pure turisti e pellegrini, anche musulmani, provenienti dalla Giordania (+24 per cento) e dall’Egitto (+14 per cento). Un caso a sé è quello dei cristiani egiziani per i quali esiste un divieto ufficiale della Chiesa copta di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme. La disposizione è contenuta in un documento firmato da Papa Shenuda III, il patriarca copto ortodosso scomparso nel 2012, nel 1979 dopo la firma del trattato di pace tra Israele e l’Egitto. Si tratta di un decreto mai decaduto ufficialmente e in larga parte rispettato dai fedeli copti. Da un paio d’anni a questa parte tuttavia, dopo l’elezione del patriarca Tawadros, molti copti egiziani hanno iniziato a recarsi a Gerusalemme. Secondo il quotidiano egiziano Ahram, solo per la Pasqua del 2015 l’EgyptAir, la compagnia di bandiera egiziana, avrebbe organizzato ben 35 voli per Tel Aviv, portando a più di 4.500 i pellegrini egiziani sbarcati in Israele nei primi quattro mesi dell’anno. (T.C.)

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Francia. Campane delle Chiese suoneranno per i cristiani in Medio Oriente

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Suoneranno a distesa, in segno di solidarietà con i cristiani del Medio Oriente, le campane delle Chiese cattoliche francesi. L’iniziativa si terrà sabato 15 agosto, alle ore 12.00, in particolare nelle diocesi di Fréjus-Toulon, Gap-Embrun, Bayonne, Avignone ed Ajaccio. Contemporaneamente, spiega il sito della Conferenza episcopale francese, i fedeli di ogni città sono stati invitati dai rispettivi vescovi a radunarsi in preghiera silenziosa sui sagrati delle Chiese “per manifestare la loro solidarietà ai cristiani d’Oriente, vittime di persecuzioni in nome della fede”.

Preoccupazione per i cristiani di Iraq e Siria
“In Iraq – sottolinea mons. Marc Aillet, vescovo di Bayonne – i rifugiati ricevono aiuti umanitari, ma vedono sempre più diminuire le possibilità di tornare alle loro case, dalle quali sono stati cacciati un anno fa, per mano del così detto Stato Islamico”. Analoga preoccupazione è stata espressa da mons. Dominque Rey, vescovo di Fréjus-Toulon, riguardo ai cristiani della Siria.

L’invocazione alla Vergine Maria, Regina della pace
L’idea, dunque, di suonare le campane “vuole essere – aggiunge mons. Jean-Pierre Cattenoz, arcivescovo di Avignone – un segno di preghiera, di fede e di pace”. La scelta del 15 agosto, solennità dell’Assunzione, continua il presule, è dovuta al fatto che “quando tutto va male, ci si rivolge alla Vergine Maria”, Regina della pace, alla quale “i cristiani d’Oriente sono molto devoti”.

“La preghiera fa cadere i muri tra popoli e nazioni”
“La preghiera può far crollare i muri – continua mons. Cattenoz – e sono muri molto grandi, perché non sono solo quelli che separano popoli e nazioni, ma anche i muri che dividono le comunità al loro interno”. Di qui, l’auspicio dell’arcivescovo di Avignone affinché la Madre di Dio susciti “nell’uomo e nel mondo la civiltà dell’amore”. (I.P.)

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Chiesa in Tanzania: risorse minerarie siano a vantaggio di tutti

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I profitti ricavati dall’industria estrattiva della Tanzania vadano a vantaggio, innanzitutto, della popolazione locale: è l’auspicio espresso da mons. Paul Runangaza Ruzoka, presidente del Comitato per la Giustizia, l’economia e la cura dell’ambiente, nell’ambito della Conferenza episcopale della Tanzania. Intervenuto recentemente alla presentazione di uno studio di settore sull’industria estrattiva del Paese, il presule ha detto: “Lancio un appello al governo, affinché non dimentichi che le comunità locali devono essere le prime beneficiarie degli investimenti”.

Diversificare l’uso delle risorse in nome del bene comune
Lo studio, ha spiegato mons. Ruzoka, è stato condotto in tre settori della Tanzania: Kilwa, Tarima e Geita ed ha dimostrato come l’economia distrettuale dipenda, in larga parte, dagli introiti minerari, senza alcuno sforzo per un investimento in altri ambiti. Di qui, l’appello del presule affinché si cerchino altre fonti di introito, grazie all’uso diversificato delle risorse, così da implementare lo sviluppo di ulteriori attività nazionali che vadano a vantaggio del bene comune.

Salvaguardia del Creato è impegno ecumenico ed interreligioso
Infine, mons. Ruzoka ha ripercorso l’attività del Comitato, iniziata nel 2007, e che vede il coinvolgimento non solo della Conferenza episcopale, ma anche del Consiglio cristiano della Tanzania e del Supremo Consiglio Islamico locale. In tal modo, il Comitato è diventato “uno strumento di collegamento con il governo riguardo alle questioni economiche ed ambientali, con particolare riferimento alla giustizia ed alla salvaguardia del Creato”. (I.P.)

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Argentina: torna la colletta di solidarietà “Más por Menos”

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“Diamo di più affinché gli altri soffrano meno”: con questo slogan torna in Argentina, il 12 e 13 settembre, nel secondo fine-settimana del mese, la colletta di solidarietà “Más por Menos”, organizzata dalla Commissione episcopale per gli aiuti alle regioni più bisognose. Istituita nel 1970 da mons. Jorge Gottau, primo vescovo di una diocesi povera ed isolata come quella di Añatuya, l’iniziativa si svolgerà in tutte le parrocchie, le cappelle ed i seminari del Paese.

Uno strumento per favorire l’equità sociale
Definita dai vescovi locali come “uno spazio creato per compensare la mancanza di equità sociale”, la colletta esplicita l’aiuto che la Chiesa porta “a tutti, grazie al suo messaggio di vita e di amore solidale”. “Senza escludere nessuno – proseguono i presuli argentini – questa iniziativa vuole essere uno strumento in più per lanciare un appello affinché tutti portino la Buona Novella del Vangelo nella vita pastorale e comunitaria, formando cittadini responsabili, onesti e giusti”.

Mons. Olmedo: aiutare i più bisognosi crea la vera comunione
“Dimostriamo ancora una volta – scrive, inoltre, mons. Pedro Olmedo, presidente della Commissione episcopale per gli aiuti alle regioni più bisognose – che siamo animati dal desiderio di aiutare gli altri, perché vogliamo condividere per accrescere l’uguaglianza, aiutando coloro che hanno meno e creando, così, la vera comunione”.

Nel 2014, raccolte offerte pari a 2milioni di euro
Ricordando, poi, che nel 2014 sono stati raccolti oltre 22milioni in valuta locale, pari a circa 2milioni di  euro, con un incremento del 7,5 per cento rispetto al 2013, mons. Olmedo esorta i fedeli a fare tutto il possibile “affinché questa iniziativa vada a buon fine, rendendo concreta, nei fatti, la solidarietà, secondo le possibilità di ciascuno”. “Tutto ciò che doniamo con il cuore – conclude il presule – porta buoni frutti”. (I.P.)

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Rwanda: al via il Summit nazionale del bambino cristiano

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“Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite”: su questo tema è in corso fino al 7 agosto a Kigali, in Rwanda, il Summit nazionale del bambino cristiano. In preparazione dell’incontro, cui prendono parte circa 600 bambini dai 9 ai 12 anni di diverse confessioni religiose, si è svolta il 28 e 29 luglio una due giorni organizzata dalla Conferenza episcopale ruandese che ha coinvolto i direttori delle Pontificie Opere Missionarie, insegnanti cattolici e sacerdoti impegnati con i giovani in diverse diocesi. Fra gli argomenti trattai, riferisce il portale della Chiesa ruandese, le sfide pastorali ed educative che riguardano i più piccoli nella famiglia, nella scuola, nella catechesi, la trasmissione dei valori e della cultura e i diritti dell’infanzia.

Urgente un’educazione che trasmetta i valori della vita e della fede
Padre Janvier Nduwayezu, direttore dell’Ufficio Nazionale di Catechesi (Bnc) e dell’Insegnamento Cattolico in Rwanda (SnC) ha sottolineato nel suo intervento che una valida educazione deve articolarsi sulla trasmissione della vita, della fede, della cultura e dei valori oltre a basarsi sulla conoscenza del saper fare. “La pastorale dei bambini è una priorità, una necessità, una condizione per riflettere insieme sul loro avvenire e su quello della Chiesa – ha detto padre Nduwayezu – Siamo tutti interpellati a proteggere quanti sono sotto la nostra responsabilità e principalmente i bambini”. Il direttore dell’Ufficio Nazionale di Catechesi ha poi parlato del numero crescente di bambini non desiderati, della diminuzione degli alunni cattolici nelle scuole – stimata fra il 27 e il 30 per cento – e  di quanti scelgono la formazione catechetica, e ancora del minore accompagnamento dei genitori nella scelta dell’orientamento verso il culto dei loro figli.

Una pastorale della famiglia che protegga i bambini dalle minacce attuali
È stato evidenziato, inoltre, che alcune moderne correnti, con il pretesto di promuovere la libertà e i diritti umani, diffondono antivalori come l’aborto, la concorrenza, la competizione. Per far fronte a tutto ciò, secondo padre Nduwayezu, occorre un cambiamento di mentalità, la riproposizione di programmi di formazione catechetica, una pastorale per i bambini che trasmetta principalmente valori cattolici e fondata sulla famiglia, la promozione di liturgie per i bambini. A chiudere l’incontro preparatorio del Summit p. Jean de Dieu Hodari, segretario generale della conferenza episcopale ruandese, che ha ribadito l’invito a proteggere i bambini dalle minacce attuali, una sfida - ha evidenziato - da considerare urgente e prioritaria. Al termine del Summit è previsto un messaggio che sarà letto nelle parrocchie dai bambini. (T.C.)

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Card. Montenegro: l'acqua sia diritto di tutti anche in Sicilia

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Il cardinale arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, è intervenuto sul dibattito politico in Sicilia riguardo al tema dell’acqua pubblica, tornando a ribadire con una dichiarazione il diritto di tutti all’acqua: “Constato purtroppo la violazione di questo diritto. Mi preoccupa il fatto che non pochi hanno difficoltà ad assicurarsi la fruibilità di un bene che è di tutti, tanto da restarne completamente privi nel caso non siano in grado di pagare il dovuto. Lo Statuto della Regione Siciliana all’art. 14 – ricorda - considera l’acqua come ‘Bene pubblico non assoggettabile a finalità lucrative, quale patrimonio da tutelare, in quanto risorsa pubblica limitata, essenziale ed insostituibile per la vita e per la comunità, di alto valore ambientale, culturale, sociale’”.

Il porporato ricorda, quindi, che “la Risoluzione approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu il 28 luglio 2010 rimarca che la disponibilità e l’accesso all’acqua potabile e all’acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto umano, individuale e collettivo non assoggettabile a ragioni di mercato”. Cita poi l’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco laddove afferma che “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”. Non permettere ai poveri l’accesso all’acqua significa negare “il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità”.

“Tutti – prosegue il porporato - abbiamo seguito con attenzione il dibattito socio politico che in questi mesi ha tenuto alta l’attenzione nella nostra regione e nella provincia di Agrigento. Ognuno, a vari livelli e a vario titolo, ha cercato di portare un contributo in un ambito quanto mai nebuloso e confuso. Non sempre si è riusciti e talvolta le varie posizioni hanno cozzato tra loro creando ulteriore confusione e disorientamento. Auspico che ora, che si è arrivati a un testo di legge, la politica trovi finalmente un punto d’arrivo per regolamentare la questione ‘Acqua’, fare  chiarezza e dare al cittadino siciliano le risposte che chiede da anni”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 215

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.