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Sommario del 02/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: andare oltre bisogni materiali, con Gesù pane di vita

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Con Cristo, “pane di vita”, saziamo la fame spirituale e materiale dei nostri fratelli, annunciando il Vangelo “ovunque”. Lo ha detto Papa Francesco all’Angelus domenicale, davanti a tanti fedeli giunti in Piazza San Pietro nonostante il caldo d’agosto. Il Pontefice ha pure ricordato l’odierna festa del Perdono di Assisi, spiegando come anche la “vergogna” che proviamo durante la Confessione sia “una grazia che ci prepara all’abbraccio del Padre” misericordioso. Il servizio di Giada Aquilino

Gesù, pane di vita per saziare la fame dei nostri fratelli
Andare “oltre” la soddisfazione immediata dei propri bisogni materiali, seppur essenziali, superare la “cecità spirituale”, per “cercare e accogliere” il cibo che rimane per la vita eterna, quello del “Figlio dell’uomo”. È l’esortazione di Papa Francesco all’Angelus in cui - riflettendo sull’odierno passo del Vangelo di Giovanni, con la folla che, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, cerca Gesù e lo trova a Cafarnao - ha invitato a “incontrare e accogliere in noi Gesù, ‘pane di vita’”, che dà significato e speranza al cammino “spesso tortuoso” della nostra esistenza:

“Questo ‘pane di vita’ ci è dato con un compito, cioè perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dei fratelli, annunciando il Vangelo ovunque. Con la testimonianza del nostro atteggiamento fraterno e solidale verso il prossimo, rendiamo presente Cristo e il suo amore in mezzo agli uomini”.

Andare oltre le preoccupazioni quotidiane
È l’Eucaristia “il dono più grande che sazia l’anima e il corpo”, ha ricordato Francesco, perché il pane, spezzato “per molti” da Cristo, costituisce “l’espressione dell’amore di Gesù stesso”:

“Invita ad aprirsi ad una prospettiva che non è soltanto quella delle preoccupazioni quotidiane del mangiare, del vestire, del successo, della carriera. Gesù parla di un altro cibo, parla di un cibo che non è corruttibile e che è bene cercare e accogliere”.

Storia umana vista in orizzonte di eternità
Il Pontefice ha quindi invitato a cercare la salvezza, “l’incontro con Dio”. Il Signore, ha spiegato, vuol far capire che “oltre alla fame fisica” l’uomo porta in sé un’altra fame, “più importante”, quella “di vita”, “di eternità” che Lui solo può appagare:

“Gesù non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, no, non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita. Ma Gesù ci ricorda che il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con Lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con Lui”.

Sofferenze illuminate dalla speranza dell’incontro col Signore
Questo incontro, ha proseguito Francesco, “illumina tutti i giorni della nostra vita”:

“Se noi pensiamo a questo incontro, a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro”.

Nessuna paura ad avvicinarci alla Confessione
Auspicando che la Vergine Santa ci sostenga “nella ricerca e nella sequela” del Figlio Gesù, pane “vero”, che “non si corrompe e dura per la vita eterna”, dopo la recita della preghiera mariana Francesco ha osservato che oggi si ricorda il 'Perdono di Assisi', “forte richiamo ad avvicinarsi al Signore nel Sacramento della Misericordia e anche nel ricevere la Comunione”:

“C’è gente che ha paura di avvicinarsi alla Confessione, dimenticando che là non incontriamo un giudice severo, ma il Padre immensamente misericordioso. E’ vero che quando andiamo in confessionale, sentiamo un po’ di vergogna. Ciò succede a tutti, a tutti noi, ma dobbiamo ricordare che anche questa vergogna è una grazia che ci prepara all’abbraccio del Padre, che sempre perdona e sempre perdona tutto”.

Salutando, tra gli altri, i pellegrini giunti dalla Spagna e dall’Italia, in particolare il pellegrinaggio a cavallo dell’Arciconfraternita “Parte Guelfa” di Firenze, ha infine invitato tutti a pregare per lui.

Tra i fedeli in Piazza San Pietro, anche l’associazione ‘Siria libera e democratica’, con lo striscione: “i siriani amici di padre Paolo pregano per Papa Francesco”; il pensiero dei presenti è quindi andato al gesuita italiano Paolo Dall’Oglio, per il quale il Pontefice aveva pregato domenica scorsa, rinnovando l’appello per sua la liberazione, a due anni dal sequestro, e per quella di tutti gli ostaggi nelle zone di conflitto. 

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Papa: Santa Teresa d'Avila, sorgente di vera scienza e autentici valori

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Scoprire nella contemplazione e nella meditazione di Santa Teresa di Gesù, “maestra di preghiera”, la “sorgente della vera scienza e degli autentici valori” alla base della vita. Così Papa Francesco in una lettera, a firma del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, in occasione del Congresso interuniversitario di Avila dal titolo: “Santa Teresa di Gesù, maestra di vita”, in corso nella città spagnola. A leggere il messaggio del Pontefice, il vescovo di Avila, Jesús García Burillo, all'inaugurazione dei lavori del convegno, a cui prendono parte 450 persone provenienti da 26 Paesi, alla presenza anche del ministro dell’Interno di Madrid, Jorge Fernandez Diaz. Il Papa ha auspicato che, attraverso l’esempio della Santa, di cui ricorre il V centenario della nascita, nelle università cattoliche si formino “forti amici di Dio, così necessari in tempi difficili” come questi.

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Il pronto intervento del Papa per i poveri non va in vacanza d'estate

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“Il pronto intervento di Francesco lavora a pieno ritmo soprattutto d’estate”: così mons. Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, ha ricordato che non ci sono vacanze per la carità. L’impegno per i poveri continua senza sosta. Ce ne parla Benedetta Capelli

Papa Francesco: “La carità non è un semplice assistenzialismo e nemmeno un assistenzialismo per tranquillizzare le coscienze. No, quello non è amore: quello è negozio, eh?, quello è affare. L’amore è gratuito. La carità, l’amore è una scelta di vita, è un modo di essere, di vivere; è la via dell’umiltà e della solidarietà. Non c’è un’altra via, per questo amore”.

Le parole di Papa Francesco, pronunciate nel suo viaggio a Cagliari il 22 settembre 2013, sono la guida per chi ha speso e spende la sua vita per i poveri. L’elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, continua insieme ai volontari, alle suore di Madre Teresa, alle guardie svizzere a portare la carezza del Papa. Ogni giorno, nelle docce costruite sotto il Colonnato di San Pietro, circa 140 senzatetto chiedono di lavarsi. “I poveri – racconta l’arcivescovo – sono aumentati con questo caldo” . Da qualche mese ormai sono aperte tutti i giorni dalle 7 alle 18, il mercoledì l’apertura è spostata alle 13 dopo l’udienza generale, la domenica poi si chiude per due ore in concomitanza con l’Angelus del Papa. I volontari presenti offrono un kit per l’igiene personale - asciugamano, sapone e deodorante -  ed un cambio pulito. Presenti anche i barbieri pronti ad assecondare i desideri dei poveri. “Usciamo tutte le sere – afferma mons. Krajewski – perché d’estate molte mense non garantiscano il servizio e allora andiamo alla Stazione Termini o a Tiburtina a portare i viveri che compriamo grazie alle offerte delle pergamene”. Ogni settimana si fa rifornimento di cibo per poi destinarlo a chi ha bisogno. “Siamo il pronto intervento del Papa – aggiunge – quando ci chiamano per le emergenze, come è successo per gli eritrei alla Romanina, noi andiamo subito”. Intanto in Via dei Penitenzieri, a due passi da Via della Conciliazione e dalla Chiesa di Santo Spirito in Sassia, il dormitorio per i senza tetto è quasi pronto. I lavori sono in via di completamento e poi anche questa struttura sarà messa a disposizione di chi ha bisogno. E’ la carità secondo lo stile di Francesco: “non neutra, asettica, indifferente, tiepida o imparziale, la carità – aveva detto il Papa il 15 febbraio scorso nell’omelia della Messa con i nuovi cardinali - contagia, appassiona, rischia e coinvolge”.

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Oggi in Primo Piano



Turchia: attentati del Pkk in risposta ai raid di Ankara

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Continuano gli scontri tra esercito turco e miliziani curdi del Partito dei lavoratori, il Pkk. Nelle ultime 24 ore, 3 militari turchi sono morti, mentre sale a 260 il numero delle vittime curde per i raid di Ankara. Il servizio di Elvira Ragosta

Due gli ultimi attentati del Pkk, il Partito curdo dei lavoratori, contro l’esercito turco: il primo è avvenuto nella provincia orientale di Agri, dove un trattore carico di esplosivo, probabilmente guidato da un attentatore suicida, è saltato in aria davanti a una caserma turca uccidendo tre militari e ferendone altri 28. Si tratterebbe, se confermato, del primo attentato di questo tipo registrato da quando sono riprese le violenze tra il Pkk e l’esercito turco. Il secondo, poi, nei pressi di un oleodotto nell’est del Paese, dove l’esplosione di una mina ha provocato la morte di un altro militare. Intanto continuano massicci i raid dell’aviazione di Ankara contro le postazioni della guerriglia curda sulle montagne del nord dell’Iraq. È salito a 260 il numero dei combattenti curdi uccisi dai bombardamenti e oltre 400 sono i feriti. Bombardamenti che interessano anche zone abitate da civili e che hanno spinto il leader del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, a chiedere ai militanti del Pkk di lasciare la regione autonoma "per evitare vittime civili". Infine, secondo quanto riferito da fonti turche, una decina di membri del Pkk sono morti negli scontri di terra con le truppe turche.

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Monsoni in Nepal: solidarietà tra i terremotati supera le caste

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Giorni di intese piogge monsoniche e il passaggio di un ciclone tropicale hanno portato morte e devastazione in India, Nepal e Myanmar. Centinaia di villaggi sono inondati e decine di migliaia di persone sono state costrette a lasciare le case per rifugiarsi su alture o in campi di accoglienza. Almeno 80 le vittime nel nord est dell’India, dopo una frana nel distretto di Chandel, e altre 40 persone sono morte nel Bengala Occidentale colpito dal ciclone tropicale battezzato 'Komen'. Nel vicino Myanmar le autorità hanno dichiarato lo stato di calamità in quattro distretti occidentali, con un bilancio di almeno 27 vittime. In Nepal sono oltre 30 i morti a causa di frane e inondazioni provocate dalle piogge intense. Un bilancio che rischia di salire con l’intensificarsi dei monsoni, previsto per il mese di agosto. A essere colpite sono soprattutto le zone montuose a ridosso della catena dell’Himalaya, ma la gran parte dei nepalesi, vittime del violentissimo terremoto dello scorso aprile, è a rischio. Marco Sette racconta, al microfono di Giacomo Zandonini, l’impegno dell’associazione di volontariato “Jai Nepal” in questo difficile momento: 

R. – Il Nepal è uno dei Paesi colpiti dal monsone, ma quest’anno abbiamo delle complicanze dovute al terremoto, che chiaramente ha creato una mancanza di copertura, quindi di case, di un ambiente vivibile per milioni di persone. Il monsone adesso, ad agosto, sarà violento. Noi ci auguriamo che sia limitato il danno con vittime e quant’altro, come stiamo sentendo in questi giorni, ma premetto – non per sminuire l’evento stesso - questo è accaduto ogni anno. Quest’anno le montagne con il terremoto si sono praticamente aperte in alcuni punti, le infiltrazioni d’acqua sono più violente e le valanghe di terra – definiamole così piuttosto che frane – si staccano con molta più facilità dai fianchi delle colline e delle montagne, anche perché le colline nepalesi hanno fino a 4.500-5.000 metri di quota.

D. – Cosa si può fare, e cosa avete fatto e state facendo voi, come Associazione, per portare un sollievo ai cittadini nepalesi colpiti da questa situazione?

R. – Abbiamo coinvolto ad oggi circa 246 volontari, la maggior parte sono universitari, con cui siamo andati a montare degli “shelter”, che sono delle coperture per evitare il contatto con l’umidità, e quindi la vita sotto l’acqua, che sarebbe terribile anche per infezioni polmonari e quant’altro. Abbiamo montato centinaia e centinaia di questi “shelter” nei villaggi più colpiti e continuiamo a montarne grazie alla generosità della diocesi di Roma e grazie anche – non posso non nominarlo – a mons. Zuppi. Stiamo anche portando un aiuto con l’acqua che è un altro dei problemi. Molte condotte si sono rotte, anche a molta distanza dal villaggio. Le persone stanno bevendo acqua dalle pozze, da sorgenti inquinatissime, con i relativi problemi immaginabili. Quindi abbiamo ricostruito alcuni acquedotti e abbiamo portato anche dei filtri che sterilizzano l’acqua, anche delle pozze piovane. Anni fa decine di migliaia di persone sono morte per infenzioni portate da acqua non potabile, senza antibiotici c’è stata veramente un’ecatombe. Quindi il Nepal è un Paese che ha bisogno di tanto aiuto e di coordinamento, che deve essere incoraggiato. Posso soltanto concludere dicendo una cosa: c’è stata una collaborazione e una condivisione che ha lasciato scioccati anche noi. E credo che questa sorta di solidarietà sia la cosa più bella dentro una tragedia che ci vede tristi. Non si è più guardato alle caste, non si è più guardato a chi uno appartiene, e questo è un problema che chiaramente in quell’area è molto forte: uno di una casta più alta che viene ad aiutare uno di una casta più bassa! Questo noi lo riteniamo veramente un miracolo. Il Nepal è il Paese del sorriso. Mi auguro che il sorriso possa tornare sul volto di tutti i nepalesi: un sorriso da destra e sinistra che - veramente - forse noi ce lo sogniamo!

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Storico accordo sui confini tra India e Bangladesh

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Dopo quasi settanta anni è entrato in vigore uno storico accordo tra India e Bangladesh, che ridisegna i confini e restituisce diritti e dignità a migliaia di persone che vi abitano. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Sono 4000 circa i chilometri di frontiera tra India e Bangladesh, segnati da diversi Stati che, sin dal XVIII secolo, hanno accolto 162 enclave, porzioni di territori che appartengono ad un Paese, ma si trovano nell'altro. Questo ha alimentato infiniti attriti reciproci, chiusi dal "Land Boundary Agreement" risalente al 1947, poi siglato nel 1974, ma mai approvato se non recentemente. Il parere di Francesca Marino direttrice del sito Stringer Asia:

"Questo accordo – interrotto per motivi politici da una e dall’altra parte – adesso è stato concluso in pochissimo tempo soprattutto perché accompagnato da due milioni di credito concessi al Bangladesh e da altri soldi che verranno stanziati per lo sviluppo di infrastrutture, più vari accordi di tipo economico".

L'accordo stabilisce che l'India annetterà 51 enclave e il Bangladesh 111. Trasferimenti e demarcazioni dei nuovi confini avverrano entro un anno:

"Così viene sanato legalmente uno stato di fatto e ridisegnato il confine".

Un accordo più simbolico e politico che reale, dato che in realtà non c'è distizione tra una parte e l'altra, lungo la frontiera, aggiunge ancora Francesca Marino. Per le autorità di entrambi i Paesi comunque si è trattato di una data storica; ma sono stati soprattutto i 50mila abitanti a festeggiare, nelle enclave, un incubo che finisce. Da apolidi, dimenticati in una sorta di limbo, ora potranno scegliere la loro cittadinanza, la loro identità politica e spostarsi con maggiore facilità. Ancora Francesca Marino: 

"Questa gente aveva soprattutto problemi con i documenti, invece per tutto ciò che riguarda ambasciate, istruzione, scuole, stavano in un limbo. Però non sono gli unici a starci. Quella è una zona povera e di fatto sia il Bangladesh che l’India non è che brillino per aver investito lì: la mancanza di ospedali, di scuole e di tutte le infrastrutture è endemica da una parte e dall’altra".

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Eritrea, migranti in fuga. La scrittrice Sibathu: dramma di un popolo

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Sono 150 mila i migranti arrivati via mare in Europa nel 2015, secondo l'Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), mentre almeno 1.900 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo. Moltissimi sono i cittadini eritrei, in fuga da una dura repressione: in questi giorni la situazione nel Paese è al vaglio di una Commissione d’inchiesta istituita dalle Nazioni Unite per investigare su crimini contro l'umanità. Chi abbandona il Paese rischia la vita nel Sahara e nel Mediterraneo, arrivando stremato, nella migliore delle ipotesi, sulle coste europee. Una situazione drammatica, che deve assolutamente cambiare. Lo racconta, al microfono di Giacomo Zandonini, la scrittrice eritrea residente in Italia Ribka Sibathu

R. – Paradossalmente gli eritrei hanno lottato dall’inizio della colonizzazione italiana, dal 1894, per la libertà. E ancora, dopo trent'anni di lotta armata all’ultima colonizzazione etiopica, adesso abbiamo la peggiore dittatura del mondo. Non c’è libertà di espressione, di unione, non c’è un’università - l'unico Paese al mondo - non c’è Costituzione, non c’è legge. Una persona è schiava nella sua terra: lavora quasi gratis - perché con 10 euro al mese non so se possiamo comprare due polli in Eritrea - e a tempo indeterminato. C’è poi l’abuso sulle donne.

D. – Decine di migliaia di eritrei sono arrivati in Europa dopo viaggi difficilissimi. Che cosa esattamente devono affrontare e a chi devono affidarsi queste persone?

R. – Nel Paese, riuscire ad arrivare alla frontiera, senza essere catturati dai militari, è già una grande fortuna. Un ragazzo, addirittura, è stato torturato e gli hanno quasi tagliato una gamba, per paura che varcasse la frontiera, perché cercava lavoro passando da un villaggio all’altro. Dopo essere riuscito a scappare, per le torture subite dovevano quasi amputargli la gamba. Nel Paese è come vivere in un carcere quindi e uscire da lì è una grande fortuna. Una volta usciti, normalmente si va nei centri delle Nazioni Unite, ma addirittura anche nei centri delle Nazioni Unite la gente viene rapita. Viene rapita poi in Ciad, in Sudan e nel Sinai ci sono circa 10 mila cadaveri: lì si torturava e si faceva pagare alle famiglie fino a 35 mila dollari. Adesso nel Sinai ci sono meno casi, perché l’Egitto per cacciare via i terroristi l'ha svuotato. Nelle carceri libiche non ne parliamo: mesi e mesi, incassati come nei pollai industriali, al caldo e, se si pagano i carcerieri, riescono ad uscire. E’ uno sterminio vero e proprio. Stiamo morendo ovunque. Basta vedere i documenti di Amnesty International. Poi bisogna pensare che è un popolo che ha una cultura antica, una civiltà antica, una scrittura rara in Africa. Come la biodiversità è utile per la natura, così la diversità culturale, la ricchezza culturale lo sono. Salvare questo popolo è anche interesse di tutti noi, per vedere il mondo da varie angolazioni.

D. – Come si sta muovendo la società civile eritrea in Europa, nel Nord America? In che modo può cambiare le cose?

R. – Stanno cambiando, perché i mezzi di informazione ci stanno aiutando. E’ Davide contro Golia, però. Chi sta al potere si è arricchito, ha capitali e noi da fuori stiamo cercando di incoraggiare l’interno dell’Eritrea ad impegnarsi a non accettare la schiavitù, la fame. Dalla diaspora ci sono le radio che stanno informando. Dal 2001, infatti, non c’è più un media libero. Quindi, la prima cosa è l’informazione. Per seconda cosa, si sta cercando di unirsi, come abbiamo dimostrato il 26 giugno scorso a Ginevra, per reagire ed appoggiare la Commissione d’inchiesta, che poi è stata prolungata per un anno, per appurare i crimini contro l’umanità, che si sono intravisti fin qui. Quindi noi lotteremo, ma come dopo la Seconda Guerra Mondiale ci fu un Piano Marshall, credo che anche all’Eritrea ne servirà uno.

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La storia di Giorgia Benusiglio e il riscatto dall'ecstasy

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Uno stop di 120 giorni, 4 mesi a partire da domani, per il ‘Cocoricò’ di Riccione. Lo ha deciso il questore di Rimini, Maurizio Improta. Il provvedimento sul locale è stato adottato a seguito della morte, avvenuta il 19 luglio, di Lamberto Lucaccioni, il sedicenne di Città di Castello ucciso da un’overdose di ecstasy. Proprio in questi giorni si amplia la mobilitazione contro l’uso di questa droga. Ne è testimone Giorgia Benusiglio: mezza pasticca di ecstasy tagliata con il veleno per topi e la sua vita, a 17 anni, è cambiata improvvisamente. Un’epatite fulminante, poi il trapianto di fegato grazie al dono dei genitori di Alessandra, morta in un incidente stradale. Da qui nasce una seconda possibilità e l’impegno a testimoniare la propria storia ai ragazzi di ogni età, nella speranza di distoglierli dalla tentazione di provare. Benedetta Capelli ha intervistato Giorgia: 

R. – Nel ’99, ho fatto la cavolata più grande della mia vita, ovvero assumere mezza pastiglia di ecstasy. Nel giro di una settimana mi sono ritrovata con il fegato in necrosi e ho dovuto subire un trapianto, che all’epoca è durato 17 ore.

D. – In una vita apparentemente normale, come quella di una diciassettenne - scuola, amicizie, studio - come si inserisce questo desiderio di andare 'oltre'?

R. – Perché io ho sempre avuto un’estrema curiosità rispetto alle sostanze. Non riuscivo a capire come una persona potesse arrivare a farsi così tanto male ed in nome di che cosa. Quindi ho iniziato a leggere libri, ad informarmi sulle cose. Ho sempre avuto questa estrema curiosità, che era ovviamente inferiore rispetto alla paura che avevo delle sostanze stesse. Nel ’99 vigeva la politica della 'riduzione del danno e del rischio': giravano degli opuscoli in cui sostanzialmente si diceva che, se si voleva assumere l’ecstasy, bisognava prendere mezza pastiglia, bere tanta acqua, prendere la successiva mezza dopo un’ora - un’ora e mezza, bagnarsi frequentemente i polsi, non mischiare con alcool e tante altre indicazioni del caso. Quando io ho letto uno di questi opuscoli, ho pensato, sapendo che la droga fa male: “Ok, è una cosa che non devo fare, la farò una volta soltanto, seguirò tutte le indicazioni del caso e non mi succederà nulla”.

D. – Cosa è cambiato in te? Perché poi hai deciso di testimoniare tra i giovani quello che ti è capitato?

R. – In realtà, ha iniziato mio padre ad andare in giro per le scuole a raccontare quello che ci era successo. Ricordiamo, infatti, che quando avviene un evento critico così importante, non vieni coinvolto solo tu, persona che sta male, ma anche le persone che ti amano, che ti stanno intorno. Questa è una cosa che dico sempre ai ragazzi: “Se non riuscite ad amarvi abbastanza, cercate di farlo per le persone che vi amano e poi imparerete ad amarvi”. La droga colpisce anche le famiglie cosiddette “normali”. A volte possono accadere fatti che possono scatenare situazioni per cui anche il ragazzo cosiddetto “normale” può incorrere in questi rischi.

D. – Come li trovi i ragazzi di oggi: uguali a te oppure cogli dei disagi che sono magari più profondi o semplicemente differenti?

R. – Sono cambiate le cose. In realtà, sono dieci anni che faccio questi incontri e in dieci anni ho visto dei cambiamenti netti. Innanzitutto, l’età si è andata ad abbassare. Ci sono, quindi, ragazzi che fanno uso di sostanze anche già ad undici anni. Viene accettata la cannabis come se fosse una sigaretta. E poi un allarme che ho lanciato da un po’ di tempo a questa parte è la forma di autolesionismo, per cui ci sono tanti ragazzi di 13 - 14 anni che mi contattano sulla mia pagina facebook, “Giorgia Benusiglio prevenzione droghe”, scrivendomi della loro difficoltà a relazionarsi con i propri pari, ad essere accettati, ad essere ascoltati. Spesso e volentieri pensano di non essere ascoltati dai genitori. Tutte queste incapacità nel gestire le emozioni, nel gestire lo stress e così via vengono ributtate poi in un comportamento lesionista, dove arrivano a tagliarsi sulle braccia, sulle gambe per tornare ad avere nuovamente un sollievo che ovviamente è solo apparente e momentaneo. Purtroppo i genitori, spesso e volentieri, non si rendono conto che sentono i propri figli, ma non si soffermano ad ascoltarli veramente. Imparare ad ascoltare, quindi, il proprio figlio è accompagnarlo verso l’età adulta.

D. – Oggi tu Giorgia ti definisci una paziente. Com’è la tua vita e quali sono i tuoi sogni?

R. – Io sono e sarò una paziente a vita. Quando diventi trapiantata, devi prendere dei farmaci immunosoppressori che, da una parte mi fanno rimanere in vita ed evitano che io abbia un rigetto, dall’altra mi abbassano molto le difese immunitarie. Non è un’operazione che in sé finisce lì, ma è qualcosa che ti porterai dietro per sempre. Io, però, sono nata sana e per una mia cavolata non lo sono più! Questo è difficile da accettare e soprattutto quando cresci, ti rendi conto davvero che quella scelta, che al momento sembrava assolutamente banale, ha condizionato tutta l'esistenza: e non solo la mia, ma anche quella dei miei genitori.

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Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi: riflessione su anno verità

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Un cammino pluriennale per riflettere sui grandi temi della fede da vivere oggi. A proporlo è la diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, in Calabria, che - dopo l’Anno della Fede indetto dal Papa emerito Benedetto XVI per il 2012-2013 - ha vissuto un anno dedicato alla carità. Quest’anno i fedeli stanno riflettendo sulla verità e il prossimo anno sarà dedicato all’unità. Catechesi, iniziative solidali e proposte culturali sono gli strumenti che stanno indirizzando i credenti ad un approccio più consapevole e maturo con la realtà di oggi. Al microfono di Tiziana Campisi il vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, mons. Francesco Milito, spiega come stia vivendo la sua diocesi quest’anno dedicato alla verità: 

R. – È il secondo anno di un trittico che abbiamo iniziato l’anno scorso con l’anno della carità. Quest’anno è l’anno della verità e il prossimo sarà l’anno dell’unità. Carità, verità e unità intendono essere parole chiavi che ci ricordano come, a fondamento del nostro essere e agire, c’è la Santissima Trinità, perché Dio Padre è amore, Dio Figlio è verità, lo Spirito è unità. Tutto questo cammina nell’ottica della nuova evangelizzazione.

D. – I fedeli come hanno accolto questa proposta?

R. – L’hanno accolta molto bene, perché questa è una diocesi nella quale la carità, sotto diverse forme, è molto viva e la si realizza con dei gesti concreti. Anche noi abbiamo tanti immigrati - soprattutto per quanto riguarda Rosarno, la cosiddetta e famosa tendopoli - ed è un gioiello di carità quello che si fa da parte della comunità e della stessa diocesi. Nell’anno della verità, si pone l’accento sulla comunicazione, ribadendo che non si tratta tanto di una ricerca di ideologie e di percorsi filosofici, ma la verità è l’incontro con una persona, che è Gesù Cristo.

D. – Lei ha accennato alla realtà sociale della sua diocesi: può descriverla?

R. – È una diocesi molto complessa e anche vasta, al cui centro c’è la piana di Gioia Tauro, che comprende diversi paesi e comuni. Ed è una diocesi che per avere snodi internazionali - come il porto di Gioia Tauro - è anche una realtà umana abbastanza delicata e difficile. A noi non piace dire che è una diocesi in cui la ’ndrangheta e la mafia fanno tutto, ma non si può negare che c’è una grossa influenza e quindi questo condiziona non poco. Tutto ciò significa, per quanto riguarda la Chiesa, educare l’uomo - la sua coscienza - a dare il primato sempre a Dio e non ad altro e a far sì che tutto ciò che si compie abbia come punto di riferimento la verità sull’uomo, la carità di Dio, non altre forme. In questa zona, in molte diocesi non si vivono con minore preoccupazione i problemi della disoccupazione, del lavoro e di tutto ciò che comporta il momento difficile della crisi che stiamo attraversando in Italia e nel mondo.

D. – Quali sono le necessità maggiori nella sua diocesi?

R. – Sotto il profilo spirituale educare sempre più le coscienze ad avere il senso e il primato di Dio, perché ispiri tutto ciò che si compie e si fa, nella Chiesa e anche nella società: questo è un punto fondamentale. A livello concreto, essere aperti ai bisogni dell’altro, quindi tener conto di tutte le diverse emergenze che vengono di volta in volta in evidenza. Queste emergenze prendono un volto diverso a seconda dei luoghi, a seconda dei posti. E oggi quella che è la “nuova povertà” - che si esprime in tanti modi - anche qui non è che sia assente. Poi ci sono le realtà particolari che hanno bisogno di essere molto seguite, avendo in prima linea soprattutto l’interesse per i giovani, per il mondo del lavoro, per il mondo che si costruisce cercando di creare condizioni veramente umane per tutti.

D. – Con l’anno della verità qual è il messaggio specifico che si vuole dare ai fedeli?

R. – Che l’uomo, per sua natura, è portato a vivere nella luce e ad andare verso la luce, altrimenti si brancola nelle tenebre. E se ci si incontra con Gesù Cristo - che è via, verità e vita - ci si incontra con questa luce e dunque si vive nell’autenticità. Tutto questo esige che si abbia solo il Signore come punto di riferimento, anche in confronto alle realtà che il Signore non sono e che vorrebbero esserlo, e per superare questa difficoltà e avere la luce dall’alto che permette di comprendere ogni realtà, perché Cristo è verità che rende liberi e che quindi permette di vivere nell’autenticità la propria esistenza.

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Da Pietro a Tommaso: in cammino da Roma a Ortona

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Da Roma all’Adriatico attraversando gli Appennini: un percorso che unisce fede e natura, cultura e tradizione. "Da Pietro a Tommaso, in cammino" è l’iniziativa promossa dall’Associazione “Il cammino di San Tommaso”, una lunga passeggiata di 15 giorni, dal 2 al 16 agosto, che unisce Ortona, in Abruzzo, alla capitale d’Italia. Alessandro Filippelli ha intervistato il responsabile dell’iniziativa, Fausto Di Nella

R. – Questa iniziativa consiste in ciò che noi definiamo “pellegrin-viaggio”, ovvero un viaggio che abbia una doppia dimensione: quella spirituale, della fede in San Tommaso e in San Pietro e quindi nel mondo cattolico, ma anche in una dimensione più laica, che abbraccia quella del cammino come esperienza di vita, impareggiabile ed unica.

D. – L’esperienza è sempre uguale: ma perché è sempre unica?

R. – E’ sempre unica perché la bellezza di questo viaggio è che ogni anno lo ripetiamo con un gruppo di partecipanti diversi e sta diventando una di quelle cose da fare nella vita: attraversare l’Italia a piedi da Roma, dalla città eterna, dalla capitale del cattolicesimo, fino ad Ortona, dove sono custodite le spoglie dell’Apostolo Tommaso, attraversando gli Appennini più aspri, due parchi nazionali, tre parchi regionali e credo 15 o 16 riserve naturali locali. Una esperienza davvero unica per ognuno dei partecipanti e insieme per tutto il gruppo.

D. – Da dove provengono le richieste maggiori per prendere parte all’evento?

R. – Grazie ad un campo di volontariato internazionale, che organizziamo con una associazione romana di nome “Yap Italia - Youth Action for Peace”, il progetto viene tradotto in 101 lingue diverse per 80 Paesi differenti. Quindi le richieste arrivano da tutto il mondo: ne abbiamo dalla Corea, dal Giappone, dalla Russia, dalla Danimarca e poi c’è tantissima gente italiana.

D. – Qual è il valore spirituale che viene dato al cammino?

R. – Quest’anno, forse, è il più elevato possibile, perché Papa Francesco ci ha concesso l’indulgenza plenaria per tutti i camminatori che fino al 16 agosto cammineranno dalla tomba di San Pietro alla Tomba di San Tommaso con la nostra associazione. Abbiamo ricevuto questa comunicazione dal Vaticano, che ci ha veramente riempito di gioia, perché questa grandissima opportunità va ad individuare il senso più alto e più profondo della spiritualità che può avere un cammino e una esperienza di viaggio come questa, di fede e di viaggio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq, patriarca Sako: un anno fa, cristiani cacciati da Ninive

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Una preghiera per ricordare la tragedia dei cristiani della Piana di Ninive, cacciati dalla provincia irachena un anno fa, nella notte tra il 6 e il 7 agosto, quando i miliziani del sedicente Stato Islamico (Is) li costrinsero a una marcia forzata verso la regione autonoma del Kurdistan, dove tuttora molti vivono in situazioni tragiche. È quella che il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, indirizzerà al Papa e ai vescovi di tutto il mondo, secondo quanto riporta l’Osservatore Romano, che cita il sito Baghdadhope. “Faccio appello ai cristiani di tutto il mondo- recita la preghiera del patriarca Sako - affinché si uniscano a noi nel primo anniversario della conquista da parte dell’Is dei villaggi cristiani della piana di Ninive, il 7 agosto 2014, meno di un mese dopo quella di Mosul”. Sua Beatitudine Sako ricorda inoltre che Gesù ci ha insegnato “a pregare il Padre” assicurandoci “che qualsiasi cosa avessimo chiesto avremmo ottenuto”. “Per questo ci affidiamo a te con completa fiducia e – prosegue nella preghiera - ti chiediamo di darci la forza di rimanere saldi durante questa violenta tempesta per avere la pace e la sicurezza prima che sia troppo tardi. Questa è la nostra preghiera e, sebbene ci sembri difficile, confidiamo che Tu possa darci ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra sopravvivenza e per il nostro futuro. Aiutaci, Padre, a lavorare insieme, a essere liberi, responsabili e amorevoli, e ad adempiere alla Tua volontà e a farlo con gioia, attenzione e coraggio. A Cana, la Madre di Gesù fu la prima a notare che mancava il vino; attraverso la Sua intercessione ti chiediamo, Padre, di cambiare la nostra situazione dalla morte alla vita così come Tuo figlio cambiò l’acqua in vino”. L’amicizia, la solidarietà e il sostegno “dei nostri fratelli e sorelle dell’Occidente ci danno il coraggio di resistere”, aveva detto pochi giorni fa il patriarca Sako ricevendo un premio in Italia, “e sapere che ci siete vicini ci spinge a coltivare una vita comune, in pace e in armonia con i nostri fratelli musulmani”.

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Malawi, riforma legge aborto: la posizione della Chiesa non cambia

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La posizione della Chiesa sull’aborto non cambierà mai e i vescovi continueranno a schierarsi contro questa pratica. Lo ha ribadito il segretario della Conferenza episcopale del Malawi (Cem), padre Henry Saindi, commentando la proposta presentata da una speciale commissione nazionale per consentire l’interruzione volontaria di gravidanza in determinate circostanze, soprattutto in caso di pericolo per la vita della madre, di gravi deformazioni del feto, di stupro o incesto.

Aborto oggi illegale in Malawi
In Malawi l’aborto è tassativamente vietato e la legge prevede pene fino a 14 anni di prigione per chi lo pratica ed a 7 anni per la donna che ne faccia richiesta. L’unica eccezione ammessa è il pericolo di vita per la madre, ma in questo caso è necessaria l’approvazione di due ostetrici indipendenti e del coniuge.

Il nascituro ha diritto di vivere e deve sempre essere protetto dalla società
In merito alla proposta di riforma annunciata dai media locali in questi giorni, padre Henry Saindi ha ricordato per la Chiesa “l’aborto è l’omicidio di un bambino non nato, dal momento che la vita di una persona inizia dal concepimento”, sottolineando che “il nascituro ha diritto di vivere e deve sempre essere protetto dalla società”. Quanto alle donne che hanno subito violenze o incesti - ha precisato il sacerdote citato dall’agenzia Apic -  la Chiesa ha sempre sostenuto la necessità di accompagnarle e “aiutarle ad accettare la loro situazione e il dono della vita che hanno ricevuto da Dio”. (L.Z.)

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Indonesia. Appello della Chiesa in difesa dell’ambiente

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L’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” dovrebbe stimolare anche la Chiesa indonesiana “a parlare con più coraggio dei cambiamenti climatici e ad intraprendere azioni concrete per curare la nostra casa comune”. È l’indicazione emersa da un incontro che ha visto riuniti nei giorni scorsi a Jakarta vescovi e sacerdoti di tutto il Paese.

L’emergenza ambientale tema di pressante attualità in Indonesia
L’emergenza ambientale e climatica richiamata dal documento pontificio è un tema di pressante attualità in Indonesia, dove la rapida diffusione dell’industria agroalimentare e in particolare delle piantagioni di palme da olio, sta facendo scomparire enormi distese di foreste vergini, sorpattutto nel Kalimantanm a Sumatra e a Papua, con danni irreversibili sulla biodiversità e per il clima. E tuttavia - ha osservato padre Paulus Christian Siswantoko, segretario della Commissione episcopale per la giustizia la pace e la pastorale dei migranti e degli itineranti - finora poco è stato fatto dalla Chiesa indonesiana per affrontare questa emergenza. Nel 2013 la Conferenza episcopale ha pubblicato una lettera pastorale dedicata all’impegno della Chiesa  nella conservazione del Creato, ma il documento ha avuto scarso seguito nelle diocesi, ha detto il sacerdote, citato dall’agenzia Ucan.

La "Laudato si’", un salutare richiamo ad agire per difendere il Creato
Secondo padre Siswantoko, l’Enciclica di Papa Francesco è stata, in questo senso, un salutare richiamo al clero e ai fedeli laici ad uscire da questa passività. Ed è l’impegno scaturito dall’incontro di Jakarta: ispirata dalle indicazioni di Papa Francesco, la Chiesa indonesiana cercherà di sensibilizzare i propri fedeli ad intraprendere azioni concrete in difesa dell’ambiente. (L.Z.)

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Angola: 15 agosto, al via Giubileo delle missioni nel Paese

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Celebrare la creazione delle missioni in Angola, insieme alla presenza di diversi carismi religiosi, fondamentali per l’evangelizzazione del Paese: con questo obiettivo, la Conferenza episcopale di Angola e São Tomé (Ceast) ha indetto, a partire dal prossimo 15 agosto, uno speciale Giubileo. “In questo Anno - spiega una nota dei vescovi - si terrà anche il primo Congresso eucaristico nazionale. L’evento sarà indetto nel segno religioso e spirituale della condivisione, in un contesto che mira a rafforzare la pace e la riconciliazione nelle comunità locali”.

Un Giubileo per ripercorrere gli ultimi 150 anni di storia del Paese
Il Giubileo, in particolare, si concentrerà sugli ultimi 150 anni della storia della Chiesa angolana, corrispondenti alla seconda tappa dell’evangelizzazione locale, compiuta oltre cinquecento anni fa. In quest’ottica, il Giubileo celebrerà la storia delle diocesi di Luanda, di Huambo e di Cuito-Biè, tutte nate negli ultimi 150 anni. “Il Giubileo dell’arcidiocesi di Luanda - prosegue la nota - sarà il più ‘mediatico’ in quanto essa è sede della Ceast ed è la Chiesa più numerosa del Paese, poiché qui risiede un terzo della popolazione cattolica di tutta l’Angola”.

La più antica missione del Paese
Nell’arcidiocesi di Lubango, vicino a Huambo, invece, si trova “una delle missioni angolane più antiche, ovvero quella di Caconda, ed essa rappresenta quindi l’anima della spiritualità missionaria del Paese”. Infine, la diocesi di Cuito-Bié viene considerata come “una piattaforma dell’evangelizzazione per l’Angola dell’est”. (I.P.)

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Austria, il seminario di Graz accoglie 25 giovani richiedenti asilo

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Le porte del convitto “Augustinum” del seminario vescovile di Graz, in Austria, si sono aperte per 25 minori non accompagnati richiedenti asilo. “È stato subito deciso di aprire le porte della nostra casa - ha dichiarato Thorsten Schreiber, rettore del seminario, citato dall’agenzia Sir - per le persone bisognose: davanti alle necessità del momento non si può distogliere lo sguardo”. I 25 giovani, tra i 14 e i 16 anni, hanno rischiato la vita per sfuggire a condizioni disumane.

Dalle lezioni di tedesco alla semplice compagnia: il contribuito dei volontari
Ora, nel convitto del seminario vescovile, l’alloggio e l’assistenza sono forniti dal team della Caritas per conto della provincia di Stiria. Ma più di tutto è decisivo l’apporto dei numerosi volontari che accudiscono i giovani profughi, offrendo il loro tempo libero per far conoscere l’Austria, lezioni di tedesco e semplice compagnia.

L’incontro tra culture, antidoto alla paura
Un aiuto è giunto dall'associazione "Tedesco a Graz", che organizza in estate la scuola internazionale di tedesco all’“Augustinum”: il corso a cui partecipano bambini e giovani di tutta Europa è stato offerto anche ai giovani rifugiati. "La nostra casa è in questi giorni un luogo d’incontro di culture e spazio di apprendimento reciproco oltre i confini nazionali. Non c‘è paura di contatto, i giovani comunicano tra loro con mani e piedi", dice Kathrin Schwarzenbacher, amministratrice del convitto.

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Mattarella: vittime strage Bologna sono memoria dell'Italia

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"L'Italia ha il dovere di non dimenticare quella strage e quelle vittime innocenti che fanno ormai parte della memoria nazionale". Questo il messaggio del telegramma inviato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al presidente dell'Associazione delle vittime del 2 agosto, Paolo Bolognesi, in occasione del 35° anniversario della strage di Bologna. Era il 2 agosto del 1980, quando una valigia carica di tritolo esplose nella sala d’attesa, gremita di gente, della stazione della città, provocando 85 morti e 200 feriti. Partecipando alla commemorazione che ha riunito centinaia di persone in Piazza Medaglie d’Oro, il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha parlato di “ricordo lacerante e del piuù tragico della storia delle stragi di civili del nostro Paese”, ricordando che la "stagione terroristica di quegli anni è finita, ma le cicatrici di quei momenti rimangono indelebili sulla pelle di ciascuno di noi e sulla bandiera del nostro Paese". Dopo anni di vicende giudiziarie segnate da aspre polemiche e da depistaggi, sono stati condannati in via definitiva, quali esecutori materiali della strage, i neofascisti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, esponenti dei Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari, e Luigi Ciavardini, all'epoca dei fatti minorenne. (E.R.)

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Firenze riparte dopo il nubifragio di ieri

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Torna alla normalità la città di Firenze, colpita ieri sera da un violento nubifragio. Riattivata la linea aerea, che ieri aveva subito una sospensione di alcune ore; ripresi anche il traffico ferroviario e la viabilità nelle principali strade cittadine. Restano gravi, intanto, le condizioni di uno dei circa venti feriti: si tratta di un diciannovenne colpito alla testa da un ramo nei pressi dell’Arno. Centinaia gli interventi, in corso dalla notte di ieri, dei Vigili del Fuoco, coadiuvati dalle squadre arrivate dalle altre province toscane e della Protezione Civile per i danni riportati ad alcune abitazioni. (E.R.)

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Israele, Netanyahu: prenderemo assassini bimbo arso vivo

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Ancora tensioni e scontri in Cisgiordania ieri, dopo la morte del bimbo palestinese bruciato vivo nell’incendio attribuito a coloni ebrei estremisti e la morte di un diciassettenne colpito dai soldati israeliani nel corso delle proteste scoppiate nel campo di rifugiati di Al Jalazun, vicino Ramallah. Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, torna a condannare l’accaduto e, intervenendo all’apertura del Consiglio dei ministri, annuncia “una politica di tolleranza zero”  verso gli estremisti ebrei. Secondo quanto riferisce la radio israeliana, Netanyahu ha ordinato ai servizi di sicurezza di catturare gli assassini del piccolo Ali. Inoltre, il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, ha detto di essere ormai convinto della necessità di ordinare arresti amministrativi per quegli estremisti sospettati di terrorismo, nel caso che nei loro confronti non si siano raccolte prove sufficienti per una incriminazione. (E.R.)

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Talebani, primo messaggio di Mansour: incerto dialogo con Kabul

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Esorta all’unità dei talebani afghani il primo messaggio audio diffuso da Akhtar Mansour, il nuovo mullah del movimento islamista. La sua nomina, giunta pochi giorni fa, dopo la diffusione della notizia sulla morte dello storico leader del gruppo, il Mullah Omar, ha provocato reazioni differenti tra le diverse anime del movimento. Nel messaggio, di 33 minuti, il leader invita a superare le divisioni interne, ma non chiarisce se i talebani si impegnino a continuare i negoziati avviati ad aprile con il governo di Kabul. Una delle reti più radicali del movimento, quella di Jalaluddin Haqqani, esorta tutti i talebani a riconoscere la legittimità del mullah Mansour quale successore del defunto Omar. (E.R.)

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Il Benin invia 800 militari contro Boko Haram

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Il Benin invierà 800 militari alla nuova Forza regionale istituita per combattere i sanguinosi attacchi terroristici degli estremisti islamici nigeriani Boko Haram. Ad annunciarlo è il presidente beninese, Thomas Boni, che ha incontrato il suo omologo nigeriano, Muhammadu Buhari. Composta da 8.700 uomini, questa Forza d’intervento avrà la partecipazione anche di Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. Il suo compito sarà quello di permettere un miglior coordinamento della coalizione militare multinazionale che, a partire dal febbraio scorso, ha già riportato una serie di successi nella lotta al gruppo terrorista Boko Haram, ma che tuttavia non è stato neutralizzato. (E.R.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 214

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.