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Sommario del 01/08/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Gaenswein: nell’Anno della Misericordia, udienze generali anche il sabato

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Con il mese di agosto riprendono gli incontri pubblici di Papa Francesco. Martedì prossimo incontrerà nel pomeriggio in Piazza San Pietro i ministranti di lingua tedesca, venerdì 7 riceverà in udienza il Movimento Eucaristica Giovanile. Mercoledì prossimo, 5 agosto, riprendono le udienze generali di Papa Francesco, appuntamento tanto atteso dai fedeli di tutto il mondo. L’udienza generale del 26 agosto sarà la numero 100 per Papa Bergoglio. Inoltre, la Prefettura della Casa Pontificia rende noto che, dall’inizio del Pontificato, hanno preso parte alle udienze generali, agli Angelus e alle altre udienze speciali in Vaticano, quindici milioni di persone. Sull’importanza di questo momento di incontro tra il pastore e il popolo di Dio, Alessandro Gisotti ha intervistato il prefetto della Casa Pontificia, mons. Georg Gaenswein: 

R. – Papa Francesco riprende mercoledì prossimo le udienze generali nell’Aula Paolo VI. Sarà pienissima, ma i numeri non sono troppo alti, per cui l’Aula Paolo VI basterà. E’ chiaro che l’udienza generale per Papa Francesco è un incontro molto desiderato e lì si vede e si sente in piena forma. I fedeli vedono, sentono il Papa; c’è un contatto diretto – forse, per molti, una sola volta nella loro vita - e questo lascia un segno per tutta la vita. C’è la parola, ma c’è anche l’atmosfera e c’è anche lo sguardo. L’incontro è anche un incontro dei sensi, che per Papa Francesco è molto importante. Non soltanto per lui, però, anche per i nostri fedeli, per i nostri pellegrini.

D. – L’Anno della Misericordia si avvicina, lei può dirci qualcosa proprio a proposito degli appuntamenti relativi a quella che è l’esperienza dell’udienza generale. Ci sono delle novità che ci può anticipare?

R. – Sì, c’è una novità importante. In vista dell’Anno giubilare della misericordia, una volta al mese, un sabato, - abbiamo anche già stabilito le date – ci sarà un’udienza generale in più, sulla falsariga dell’udienza generale. Poi si vedrà come fare, ma sarà un’udienza generale con il carattere dell’Anno giubilare.

D. – Cosa la colpisce in particolare delle udienze generali di Papa Francesco, avendo chiaramente uno sguardo privilegiato?

R. – Chi partecipa alle udienze generali di Papa Francesco vede, sente, percepisce che il Papa si sente a suo agio. Lui parla spesso della cultura dell’incontro e lì vive ciò che dice. Si vede che è molto a suo agio nell’incontrare i fedeli, nel lasciarsi toccare anche, nel sentire. Anzitutto, si vede come lui tratti i malati quando li incontra, le persone che hanno problemi. E’ sempre un dare ed un ricevere. E questo è un grande dono, è una grande dote di Papa Francesco.

D. – Cosa invece la colpiva delle udienze generali di Papa Benedetto, al quale era sempre accanto come segretario particolare?

R. – Da segretario, per me, era molto importante sentire Papa Benedetto. La parola ha riempito il cuore e ha dato cibo, ha dato un orientamento. Papa Francesco è la persona che qui tocca il cuore, l’occhio è più impegnato. Con Papa Benedetto, invece, c’era piuttosto l’orecchio un po’ più impegnato.

D. – Come sta trascorrendo questo periodo estivo Benedetto XVI? Abbiamo visto anche l’accoglienza della gente a Castel Gandolfo, dove il Papa emerito ha trascorso un breve periodo di riposo…

R. – Papa Francesco ha invitato fortemente Papa Benedetto a trasferirsi per un bel periodo a Castel Gandolfo. Alla fine Papa Benedetto ha accettato e per due settimane è stato a Castel Gandolfo, dove si è sempre trovato molto, molto bene. Quando siamo arrivati con la macchina, c’era già molta gente che lo aspettava ed è stato molto contento. Queste due settimane gli hanno fatto molto, molto bene. E’ tornato al Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano e trascorre le giornate come ha fatto sempre: pregando, meditando, leggendo. Fra poco verrà il fratello, che rimarrà per quasi tutto il mese di agosto. Questo vuol dire che il mese di agosto sarà dedicato a suo fratello. Sta bene. Certamente fa caldo, ma l’aria condizionata, grazie a Dio, funziona molto bene nel nostro Monastero Mater Ecclesiae!

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Il Papa nomina mons. Ortega Martín nunzio in Giordania e Iraq

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Papa Francesco ha nominato nuovo nunzio apostolico in Giordania e in Iraq mons. Alberto Ortega Martín, consigliere di Nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Midila, con dignità di arcivescovo. Nato a Madrid 52 anni fa, è stato ordinato sacerdote il 28 aprile 1990. Laureato in Diritto Canonico, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1997, prestando successivamente la propria opera presso le rappresentanze pontificie in Nicaragua, Sud Africa, Libano e nella Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Oltre allo spagnolo parla francese, inglese e italiano. Mons. Ortega Martín succede a mons. Giorgio Lingua nominato dal Papa nunzio a Cuba .

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Il prof. Pontecorvi a capo della Direzione di Sanità del Governatorato

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Papa Francesco ha nominato direttore della Direzione di Sanità ed Igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano Alfredo Pontecorvi, professore ordinario di Endocrinologia e direttore della I Scuola di Specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

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Il Papa: ospitalità familiare è virtù cruciale oggi. Due belle testimonianze

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“L’ospitalità in famiglia è una virtù oggi cruciale, specialmente nelle situazioni di grande povertà”. E’ quanto scrive Papa Francesco nel nuovo tweet lanciato dall'account @Pontifex. Sull’importanza della solidarietà familiare, soprattutto in questo tempo di crisi che indebolisce non solo il tessuto economico ma anche quello delle relazioni, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’ospitalità risolleva, ridona speranza, risana laceranti ferite. E’ questa l’esperienza  vissuta da tanti nuclei familiari sostenuti da altre famiglie anche grazie al prezioso impegno della Chiesa e in particolare della Caritas. La famiglia Mastropieri è tra quelle che hanno intrapreso percorsi di solidarietà e di accoglienza:

R. – Come famiglia aperta già all’accoglienza, abbiamo pensato di mettere al servizio la nostra esperienza per aiutare famiglie in difficoltà. Principalmente la difficoltà era economica che stava degenerando in una separazione della coppia: c’erano continui litigi e chi ne pagava le conseguenze erano i bambini… Grazie al progetto di Caritas Italiana stiamo sostenendo anche delle spese sia riguardo al pagamento dell’affitto ma sia anche per le spese del vivere quotidiano. Il marito, la moglie e i figli ci dicono che erano anni ormai che non andavano più ad un supermercato per fare la spesa con il carrello… Ci dicono: “Voi ci avete ridato quella gioia di andare, tutta la famiglia insieme, in un supermercato a fare la spesa”. Per noi questa è stata già una grande gioia. E’ bella poi la relazione che si è instaurata tra la nostra famiglia e la loro famiglia: c’è uno continuo scambio di visite, c’è un modo di incoraggiarsi vicendevolmente, ma anche l’approccio di avere la fiducia che il Signore ci aiuterà, ci troverà delle strade… Adesso li vediamo più sereni e dicono sempre: 'Finalmente abbiamo trovato qualcuno che ci è vicino!'”.

Una famiglia in difficoltà, con problemi alimentati  da vari fattori tra cui la crisi e la perdita del posto di lavoro, può vivere momenti di grave tensione. Essere sostenuti da un’altra famiglia significa poter guardare con speranza al futuro. E’ questa l’esperienza vissuta dalla famiglia De Gelidi, aiutata attraverso un progetto promosso dalla Caritas diocesana di Foggia:

R. - Nel 2012 è scoppiata la crisi aziendale e hanno cominciato a non pagare più … Da lì sono nati tanti problemi, ma anche conflitti familiari dovuti alla tensione perché i soldi non c’erano… La Caritas si è resa disponibile per l’aiuto economico, pagando le bollette per fronteggiare i problemi della casa. Grazie al loro aiuto, oggi, io – insieme alla mia famiglia – mi sto risollevando dagli aspetti economici e da tutto il resto. Capisco cosa significhi vivere un momento di povertà e di disagio; non avere un soldo in casa oppure da lavoratore non portare un soldo a casa… Questo non lo auguro veramente a nessuno perchè quando viene a mancare il posto di lavoro, nascono i problemi e va tutto allo sfascio! E’ una cosa importante quando si affiancano persone che ti aiutano sull’aspetto economico e morale. E’ la cosa più bella che ci possa essere!

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Dolore di Papa Francesco per le vittime di un incidente in Messico

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Cordoglio di Papa Francesco per le vittime di un grave incidente stradale avvenuto nei giorni scorsi in Messico, nella località di Mazapil, che ha visto la morte di almeno 26 persone, dopo che un camion – per un guasto ai freni – ha investito una processione religiosa che percorreva il centro della città. In un telegramma a mons. Sigifredo Noriega Barcelò, vescovo di Zacatecas – a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin – esprime, inoltre, la sua vicinanza ai familiari delle vittime ed auspica una pronta guarigione dei feriti.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Santi dell'America Latina: intervista di Gianluca Biccini al cardinale Angelo Amato.

La lezione di Naboth ai banchieri: Leonardo Lugaresi su Ambrogio e le contraddizioni dell'avidità.

Un articolo di Anna Foa dal titolo "Il segreto di Dora Bruder": ripresentato il capolavoro di Patrick Modiano, premio Nobel per la letteratura 2014.

Troppo tardi per cancellare la leggenda: Silvia Gusmano su "La figlia dell'eretica" di Kathleen Kent.

Il Creato insegna a pensare a lungo termine: l'arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi, sull'enciclica "Laudato si'" e l'ecologia integrale di don Luigi Sturzo.

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Oggi in Primo Piano



Due morti in Palestina dopo la morte del bambino a Nablus

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Proteste a Gerusalemme e nei Territori Occupati il giorno dopo la morte del piccolo Ali Dawabsha, il bambino palestinese di 18 mesi bruciato vivo in un attacco dei coloni ebrei vicino Nablus. Un ragazzo palestinese di 14 anni è stato ucciso durante scontri con l’esercito israeliano nel campo profughi di Jezalon, mentre un altro palestinese è morto a Gaza. Unanime il cordoglio della politica, con il primo ministro israeliano Netanyahu che in una inusuale telefonata al presidente dell’Anp Abu Mazen, ha condannato l’attacco, definendolo un atto terroristico. Ma questo gesto può riaprire una speranza di dialogo? Michele Raviart lo ha chiesto al giornalista Alberto Negri, esperto dell’area per Il Sole 24 ore

R. - La speranza di poter vedere e ripartire il dialogo tra israeliani e palestinesi non muore mai; un dialogo che sembrava affondato praticamente nel nulla, inghiottito nel buco nero di quello che sta accadendo in Medio Oriente. Sottolineiamo il fatto che nel frattempo è stato firmato a Vienna un accordo per il nucleare con l’Iran, ma non si è mai addivenuti in precedenza a nessun risultato negoziale importante in Medio Oriente negli ultimi decenni, praticamente dai tempi di Camp David. Certo il cordoglio per questa vittima innocente, simbolo proprio di quanto è disastroso questo conflitto, però non deve nascondere ciò che è accaduto in passato.

D. - Quale è  stata la reazione della comunità internazionale alla tragedia di Nablus? Ci sono state condanne e anche critiche verso Israele per la sua politica sui coloni… Quale è stato il tenore generale delle reazioni?

R. - Mi è sembrata interessante la presa di posizione dell’Unione Europea e dell’Alto rappresentante della politica estera di Bruxelles, Federica Mogherini, che ha condannato subito l’espansione degli insediamenti. Non mi è sembrato affatto questa volta una presa di posizione rituale, ma direi abbastanza convinta da parte di un rappresentante europeo che comunque oltre ad avere partecipato recentemente al negoziato con l’Iran, ha effettuato diversi tour nella regione cercando un po’ di chiarire quale sia la posizione europea. Sono - come dire - i segnali che qualcosa è cambiato nella regione, nessuno può avere come dire delle posizioni di credito già prestabilite. Qui ognuno si dovrà guadagnare nuovamente la propria credibilità.

D. - Qual è il ruolo degli Stati uniti? È ancora quello di una volta? Può essere ancora quello di promotore?

R. - Il ruolo degli Stati Uniti è strettamente legato al tipo di politica che fa Washington nella regione. Oggi è una sorta di riedizione del double containment degli anni '80, quando da una parte si sosteneva l’attacco dell’Iraq di Saddam Hussein nell’Iran, ma dall’altra parte si cercava di non far perdere disastrosamente all’Iran stesso questo conflitto. Oggi il doppio contenimento avviene nell’ambito del contrasto forte ormai molto evidente tra sciiti e sunniti all’interno dello stesso mondo sunnita. Poi c’è Israele, che in qualche modo è da sempre un alleato fondamentale degli Stati Uniti, ma che in qualche modo forse non diventa più prioritario come era prima, perché la stessa regione del Medio Oriente, agli occhi degli Stati Uniti, non è più prioritaria come poteva essere venti o trenta anni fa.

D. - È per questo che Kerry nel suo prossimo viaggio in Medio Oriente toccherà Egitto e Qatar e non Israele?

R. - Penso che questa sia una scelta dovuta al fatto che ci troviamo di fronte a situazioni come l’apertura del nuovo Canale di Suez in Egitto e quindi un’occasione importante; poi c’è la quesitone saudita che resta fondamentale, perché in questo momento si stanno vedendo, intuendo dei cambiamenti anche da parte di Riad e della nuova leadership di re Salman. Finora abbiamo visto ad esempio un fortissimo contrasto fra Riad e i Fratelli Musulmani appunto appoggiare il generale al Sisi contro il governo di Morsi in Egitto. Oggi c’è un cambiamento: perché? perché in qualche modo la lotta al Califfato, lo stesso accordo di Vienna stanno spingendo Riad a ricostituire un fronte sunnita che è chiamato oggi in qualche modo a replicare, a rispondere all’evoluzione e alle sfide geopolitiche della regione.

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Svolta contro Ebola: efficace vaccino sperimentato in Guinea

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Storica scoperta nella prevenzione del virus Ebola. Ottimi i risultati della sperimentazione di un vaccino condotta in Guinea dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Secondo un articolo pubblicato dalla rivista medica "The Lancet", l'efficacia del vaccino, fino a ora somministrato ad alcune migliaia di persone entrate in contatto con i malati, è del 100%. Uno strumento preventivo senza precedenti contro l’epidemia, come spiega Saverio Bellizzi,epidemiologo di Medici senza Frontiere, al microfono di Elvira Ragosta

R. – È un risultato storico perché dagli anni ’70, in cui fece per la prima volta apparizione l’Ebola, non c’è mai stato un vaccino. Ed è un’arma estremamente importante nella lotta contro questo tipo di epidemia.

D. – Come è avvenuta la sperimentazione che si è conclusa qualche giorno fa in Guinea: si è parlato di “strategia ad anello”…

R. – La sperimentazione è nata in Guinea alla fine di marzo; è tuttora in corso, però i dati preliminari sul campione che finora è stato vaccinato ci danno risultati molto importanti sull’efficacia. Nella “fase due” sono stati vaccinati gli operatori vaccinati al fronte. Nella “fase tre”, che tuttora va avanti – cioè la “strategia ad anello” – vengono vaccinati coloro che sono entrati in contatto con le persone che si sono ammalate, in modo da bloccare il prima possibile la catena di trasmissione.

D. – Guinea, Sierra Leone, Liberia: sono i tre Paesi colpiti dal virus Ebola che ha causato oltre 10.000 vittime e più di 25.000 contagi e l’epidemia è ancora in corso. Quanti sono i nuovi casi?

R. – L’epidemia è tuttora in corso, soprattutto in Guinea e in Sierra Leone. Negli ultimi mesi abbiamo una media di venticinque/trenta casi a settimana. Ci sono dei piccoli focolai di infezione, un po’ diffusi soprattutto nelle capitali. E vogliamo innanzitutto ricordare che il vaccino è testato in Guinea e va avanti solo in Guinea. Noi come Medici senza Frontiere spingiamo affinché anche gli altri due Paesi inizino ad usare il vaccino perché rivelatosi efficace.

D. – A proposito di questo: quanto tempo ci vorrà per la produzione e la distribuzione? Soprattutto, si possono prevedere i costi di questo vaccino vista la necessità di questa immunizzazione di gruppo?

R. – Nello specifico, nella quantità e nei costi non so dare una risposta precisa. Quello che noi facciamo è spingere affinché un quantitativo adeguato di vaccini sia reso disponibile il prima possibile, in modo che si intervenga immediatamente, laddove ce n’è bisogno.

D. – Qual è stato il ruolo di Medici senza Frontiere nella sperimentazione?

R. – Il vaccino è stato sperimentato da un consorzio, al quale appartiene Medici Senza Frontiere, così come - per esempio - l’Organizzazione Mondiale della Sanità. E il ruolo di Msf è attivo, è estremamente importante, perché nella “fase due” abbiamo vaccinato ben 1.200 operatori sanitari che lavorano proprio nel campo contro l’Ebola.

D. – Quanto sarà poi importante la logistica per raggiungere soprattutto i villaggi più isolati e conservare il vaccino?

R. – Questo è un punto cruciale, perché il vaccino è un’arma in più. Ma le strategie classiche per lottare contro l’Ebola rimangono in sede, rimangono importanti. E, considerato che ci sono ancora delle zone con resistenza al fatto che si possa intervenire contro l’Ebola, noi possiamo portare il vaccino là soltanto nel momento in cui avremo fatto un’opera di sensibilizzazione importante in queste popolazioni e fatto accettare il fatto di poter operare. Quindi sì, il vaccino è bene che ci sia, però bisogna operare in termini di sensibilizzazione, e anche in termini logistici, in modo da far avere il vaccino là dove c’è bisogno anche nelle zone più remote.  

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Padre Nicolás: vocazione dei Gesuiti è dare tutto per servire Dio e gli altri

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Ieri sera, nella memoria liturgica di Sant’Ignazio di Loyola, padre Adolfo Nicolás ha presieduto la Messa nella Chiesa del Gesù, a Roma. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il preposito generale della Compagnia di Gesù, nell’omelia, ha ricordato alcune caratteristiche del fondatore dei Gesuiti. Innanzitutto – ha detto – era una persona sincera, genuina. Tutta la sua spiritualità consisteva nel cercare la volontà di Dio su di lui: “Trovare dove mi vuole Dio e, una volta trovato, sceglierlo con tutte le forze. E allora Dio è con noi e ci dà la forza per compiere quel cammino”.

Sant’Ignazio, dunque – ha sottolineato - aveva capito che era veramente se stesso se camminava secondo la volontà di Dio. Aveva capito che “l’importante non è guadagnare per avere ma essere per darsi agli altri”. In questo senso, “più siamo noi stessi più possiamo darci agli altri”. “I migliori ministri – ha proseguito – sono i migliori discepoli. Quelli che seguono Cristo possono esortare gli altri a seguire Cristo. E’ questione di essere genuini, sinceri”. Se siamo “discepoli di Cristo con gioia possiamo invitare altri a partecipare a questa gioia”. “Per servire Dio e gli altri – ha aggiunto – bisogna dare tutto: questa è l’essenza della vocazione dei Gesuiti e questo è quello che crea profondità nelle relazioni”.

Padre Nicolás ha quindi detto che “l’espressione più pura dell’amore di Dio è una madre col suo bambino. Non c’è niente di più puro di questo, perché esige tutto. E questo è ciò che fa crescere il bambino: è l’amore materno, l’amore che si dà completamente, senza condizioni”. Così, anche noi – ha concluso il superiore dei Gesuiti – siamo chiamati a una “dedizione totale”, preoccupandoci innanzitutto di Dio, svuotando noi stessi, per darci completamente agli altri.

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Perdono di Assisi: migliaia di fedeli alla Porziuncola

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Migliaia di pellegrini sono giunti alla Porziuncola per la Solennità del Perdono di Assisi. Stamane la Messa inaugurale, presieduta da padre Michael Perry, ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori. Sulla storia del Perdono voluto da San Francesco, ascoltiamo il custode della Porziuncola, padre Rosario Gugliotta, al microfono di Rosario Tronnolone

R. – Dobbiamo andare al 1216: un momento non certo felice per la vita di Francesco… Sta scrivendo la Regola, trova le prime difficoltà anche con i frati, perché l’Ordine cresce a dismisura. Una notte, qui alla Porziuncola, ha una forte tentazione: molto probabilmente la tentazione è quella di abbandonare tutto, abbandonare questa vita… Ma lui sa che questo non può venire da Dio, è una tentazione che viene dal Maligno. Secondo una prassi medioevale, per vincere questa tentazione, esce dalla sua cella e si rotola nudo tra le spine, spine che al contatto con il suo sangue diventano rose senza spine: questo è il Roseto della Porziuncola, che poi la scienza ha battezzato “Rosa Canina Assisiensis” che è questa rosa che cresce qui nel giardino di Assisi della Porziuncola. Dopo questa esperienza, due Angeli conducono Francesco in Porziuncola e lì, immersi nella luce, l’apparizione di Gesù e Maria, che gli chiedono: “Francesco, tu sei degno di grandi cose: chiedi ciò che vuoi e lo otterrai”. Avrebbe potuto chiedere Francesco la risoluzione di problemi con la comunità, l’approvazione della sua Regola oppure di essere liberato da malattie che già lo assillavano... E invece Francesco quella notte chiede: “Io voglio che chiunque pentito e assolto da un sacerdote venga qui alla Porziuncola, ottenga l’indulgenza plenaria di tutti i peccati”. Il Signore gli dice: “Quello che tu chiedi è grande, ma di cose ancor più grandi tu sei degno. Va dal mio Vicario in terra e fatti approvare quello che io ti ho già concesso”. Il Papa all’inizio ha qualche difficoltà e poi approva questa indulgenza. E Francesco, tornando qui alla Porziuncola, dice a tutti i convenuti, il due di agosto del 1216, presenti tutti i vescovi dell’Umbria: "Io vi voglio mandare tutti in Paradiso: questa è la porta del cielo!”. Francesco aveva questa convinzione: che la Porziuncola fosse un pezzo di Paradiso sulla terra. Ecco, lui che è l’uomo riconciliato con Dio, chiede questo dono anche per i fratelli: questa riconciliazione con Dio, con se stessi e con i fratelli”.

D. – Quando incontra le persone che hanno avuto l’esperienza del perdono, che cosa legge nei loro occhi, che cosa le dicono?

R. – Chi fa veramente l’esperienza del perdono, sente una chiamata al cambiamento della vita: non si può fare esperienza della misericordia di Dio, del suo perdono e poi rimanere chiusi in se stessi. L’esperienza della misericordia è un’apertura totale a Dio e ai fratelli. Chi sperimenta la misericordia di Dio, sente che il cuore cambia soprattutto con i fratelli. Questo cuore che ottiene misericordia non può che poi diventare misericordioso con gli altri e dare misericordia ai fratelli. 

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Quindicina dell'Assunta in comunione con le Chiese d'Oriente

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Celebrare insieme alle Chiese orientali di rito bizantino quella che viene chiamata “la Piccola Quaresima della Madre di Dio”: è la cosiddetta Quindicina dell’Assunta che a Roma inizia questo sabato sera alle 21.30 nella Basilica Santa Maria in Via Lata, con salmi canti e preghiere. Il 14 agosto la Quindicina sarà conclusa con una veglia di preghiera presieduta dal vescovo ausiliare Matteo Zuppi. Su questa liturgia ascoltiamo padre Ermanno Toniolo dei Servi di Maria, intervistato da Marina Tomarro: 

R. – Inizia il mese mariano per antonomasia delle Chiese bizantine, che è centrato sulla Solennità dell’Assunta, che per loro è la Pasqua di Maria, della Madre di Dio. Perciò hanno un periodo di preparazione che si chiama la “Piccola Quaresima”: 14 giorni di austero digiuno, di preghiere, di canti, di suppliche alla Madre di Dio, seguito poi da altri giorni di celebrazioni festive, che chiudono – per così dire - il mese di agosto e l’anno liturgico bizantino. E’ importantissimo tutto questo: è la festa più sentita: la Quindicina cosiddetta dell’Assunta è un punto cardine delle Chiese bizantine. Dico però, che non è solo delle Chiese bizantine, ma anche di tutte le altre Chiese orientali che hanno sempre celebrato quesat festa come solennissima, come la festa delle feste: questa è la festa per antonomasia dell’Oriente.

D. – Questa liturgia mariana unisce Oriente ed Occidente…

R. – Questa liturgia mariana l’Oriente la vive, l’Occidente la importa. Siamo anche noi – per così dire – tentati di respirare con i due polmoni, per poter cantare con gli stessi canti, implorare la stessa Madre di Dio, celebrarla con le stesse liturgie; con l’aggiunta però occidentale, perché la struttura liturgica orientale non è quella occidentale. Quindi cosa c’è di fondamentale nell’Oriente? Nell’Oriente, fondamentale è il cosiddetto “canone paracletico”, cioè la paraclisi, l’implorazione, il canone di supplica alla Madre di Dio, che vengono cantati a memoria da tutti, sempre, in tutte le circostanze, ma nel mese di agosto con solennità assoluta. Siamo imploranti figli che alzano le mani, chiedendo, come noi nella Salve Regina: “Rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi, Madre di Dio”.

D. – La figura di Maria quanto è importante nelle Chiese orientali?

R. – E’ fondamentale! Ma possiamo dire non solo per le Chiese orientali: di per sé è fondamentale per tutti, perché Maria è al centro del progetto del Padre, è al centro della redenzione del Figlio, è al centro della Chiesa ed è al centro della vita del mondo. Perché Lei è la Theotókos, la Madre di Dio. In Oriente tutti i grandi dogmi sono nati lì: il dogma della Divina Maternità, nel Concilio di Efeso… Ma non soltanto questo, quanto piuttosto la presenza di Maria è sempre stata costitutiva per tutte le Chiese e per tutte le comunità orientali. Maria è nel cuore dell’Oriente cristiano.

D. – Ci dà qualche suggerimento per prepararci al meglio per questa importante festa mariana?

R. – Loro si preparano con il digiuno e con la preghiera, perché anche queste che noi celebriamo sono preghiere intense e quindi anche noi dobbiamo moltiplicare la preghiera e l’ascolto della Parola di Dio: questa è una aggiunta in più occidentale. Noi vogliamo metterci alla scuola della Parola di Dio e questa è una occasione grande perché è la grande speranza del mondo è il termine ultimo quando tornerà Gesù, ma la Vergine già glorificata in Cielo splende, come realizzazione ultima del progetto di Dio. Perciò anche noi possiamo alzare lo sguardo a Lei, perché sia – ripeto le parole del Concilio – “segno di certa speranza e di consolazione per tutto il popolo pellegrinante di Dio”.

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Al via la Settimana mondiale dell'allattamento al seno

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Da oggi primo agosto fino al 7, ricorre la Settimana mondiale dell’allattamento al seno. Donare il latte, un piccolo gesto per garantire anche ai piccoli che non possono essere allattati, il nutrimento più importante per una crescita più sana. Questo è l’intento della “Banca del latte” dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, una realtà ormai consolidata nel tempo dal 1989. Alessandro Filippelli ha intervistato la responsabile, dott.ssa Antonella Diamanti

R. – Sicuramente in questa Settimana sarà importante diffondere il più possibile questo messaggio che è fondamentale per il benessere dei bambini. Mi preme sottolineare che il latte materno è un alimento fondamentale e sicuramente il primo da dover scegliere in tutti i bambini e in tutti i neonati. È evidente che in alcuni bambini che sono ricoverati e che hanno particolari patologie, soprattutto nei bambini prematuri, il latte materno ha una valenza ancora più importante.

D. – La banca del latte all’ospedale Bambino Gesù di Roma è una realtà più che consolidata nel tempo: quali sono i vantaggi che questa iniziativa offre?

R. – E' un’esperienza più che consolidata. Infatti, questa attività è partita nel 1989. Quindi abbiamo un’esperienza pluriennale di gestione di mamme che ci donano questo importante alimento e che generalmente è un alimento, una risorsa molto limitata. È evidente quindi che debba essere data a quei bambini che ne hanno più bisogno, che maggiormente si avvantaggiano delle caratteristiche di questo latte.

D. – Quanto è aumentato nel tempo il numero delle adesioni e quindi delle donatrici?

R. – I numeri sono considerevoli e le quantità di latte sono più o meno intorno ai 400 litri mediamente l’anno. E quindi tutto sommato, considerando anche che i bambini prematuri, essendo molto piccoli, non ne prendono una grossa quantità, riusciamo a coprire abbastanza bene le esigenze almeno del nostro ospedale e anche di qualche ospedale limitrofo. Il numero delle adesioni è andato progressivamente aumentando: noi siamo adesso più o meno ad una quota complessiva di più di 800 donatrici, che abbiamo raggiunto dal 1989 ad oggi. Una piccola deflessione si è verificata alla fine dell’anno scorso per la difficoltà di recuperare poi il latte al domicilio delle mamme: nel senso che è evidente che la mamma che ci dona il latte non viene a portarlo direttamente in ospedale, ma siamo noi che andiamo a recuperarlo a domicilio. In passato noi avevamo una collaborazione con la Provincia di Roma che - è ben noto - per le note vicende di natura amministrativa non esiste più, e quindi in qualche modo il supporto che veniva dato dalla Provincia attualmente è svolto soltanto da noi, dall’ospedale che raccoglie questo latte soltanto all’interno del Grande Raccordo Anulare, quindi all’interno della città. Dunque, questa difficoltà che abbiamo avuto nel reperimento del latte a domicilio un pochino si è fatta sentire anche sul numero di donazioni e sulla quantità di latte che poi arriva in ospedale.

D. – Qual è il processo di selezione del latte che viene fatto fino poi al consumo finale?

R. – Il latte che le mamme tirano con il proprio tira-latte viene congelato presso il proprio domicilio, e il congelamento è controllato secondo regole abbastanza rigorose, nel senso che quotidianamente le mamme vengono invitate a controllare la temperatura del proprio frigo per valutare se effettivamente le temperature corrette per la conservazione sono regolarmente mantenute. Il latte congelato viene trasportato in ospedale mantenendo rigorosamente la catena del freddo. E successivamente in ospedale, al momento dell’uso, il latte sarà scongelato e sottoposto alla pastorizzazione, per evitare di poter veicolare attraverso il latte dei germi che poi possono essere nocivi per la salute del bambino. È chiaro che tutto il processo è estremamente selettivo: noi passiamo dal sottoporre alle mamme un questionario per capire le loro abitudini di vita. Le mamme sono selezionate sulla base delle loro abitudini anche passate e l’assunzione per esempio di farmaci. Alcune mamme che assumono determinati farmaci, se possono essere idonee all’allattamento del proprio bambino, non lo sono alla donazione del latte.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 18.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui la folla, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, si mette in cerca di Gesù e lo trova di là dal mare. Il Signore dice:

«Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati».

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Se conoscessimo il dono di Dio! La folla, che ha gustato il pane e i pesci della moltiplicazione compiuta dal Signore, va alla ricerca di Gesù per farlo re. Gesù li accoglie con una parola di verità, pronunciata con tutta l’autorità divina: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà”. Nel cuore dell’uomo c’è una fame profonda, non fame di pane, ma di parola di Dio, di vita che non muore. E’ a questa fame che Dio provvede. E’ questa fame che Gesù vuole risvegliare nel cuore del suo popolo e in noi. Ma noi invece ci accontentiamo di surrogati, di riempire lo stomaco e basta. Gesù ha posto un segno per strapparci da questa menzogna: “Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. Il segno illumina la missione di Gesù, inviato dal Padre: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”. Ecco la dimensione divina dell’uomo! Ecco perché l’uomo – tu ed io – siamo stati creati: non per essere saziati di pane che perisce, per riempirci di cose, di case, per assicurarci la vita qui…, ma per entrare liberamente in una relazione d’amore con Cristo, in una relazione sponsale con Dio. Che il pane di vita a cui oggi siamo invitati a partecipare risvegli la nostra fede: “Signore, dacci sempre questo pane”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiesa incendiata a Tabgha: solidarietà dei rabbini d'Israele

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È partita in Israele la macchina della solidarietà per restaurare la Chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabgha, in Galilea, sul lago di Tiberiade, incendiata da un gruppo di estremisti lo scorso giugno: una raccolta fondi per ricostruire in particolare l’ala maggiormente danneggiata del luogo di culto, il suo cortile. Ad appoggiare l’iniziativa - definita di "Restoring Friendship" (https://www.mimoona.co.il/Projects/2748) - sono i più importanti rabbini del Paese, come testimonia il promotore, il rabbino Alon Ghosen, direttore dell’Istituto Eliahj di Gerusalemme, già autore di iniziative di solidarietà e amicizia verso le comunità cristiane locali. A sostenerla anche lo speaker della Knesset, Yuli Edelstein. Della raccolta fondi dà notizia anche il Patriarcato di Gerusalemme, che riporta la ferma condanna all’incendio da parte del rabbino Alon Ghosen: “L’ebraismo che brucia chiese e moschee - sottolinea - non è il nostro; questo - aggiunge riferendosi alla campagna di solidarietà - è un modo per esprimere il nostro sostegno concreto all’amicizia tra le religioni”. Negli ultimi 4 anni, ben 42 tra chiese, moschee e monasteri sono stati fatti oggetto di atti vandalici. Nei giorni scorsi i sospetti dell’incendio alla Chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci sono stati ufficialmente accusati dalle autorità giudiziarie di Nazareth. (A cura di Giada Aquilino)

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Antartide: chiude Cappella delle Nevi, ma Chiesa sempre presente

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Ha destato clamore, in questi giorni, la notizia della chiusura della “Cappella delle Nevi”, l’unica chiesa cattolica situata nella base scientifica di McMurdo Station, in Antartide. A causa della scarsità di fedeli, infatti, la Cappella più a sud del mondo, appartenente alla Nuova Zelanda, ha dovuto chiudere i battenti dopo 57 anni di missione ed il sacerdote ad essa preposto, padre Dan Doyle, è stato richiamato negli Stati Uniti. All’origine della chiusura, i tagli al budget statale fornito alla National Science Foundation, ente finanziatore della base scientifica. Sono così diminuiti  gli scienziati inviati presso la McMurdo Station, con il conseguente calo dei cattolici praticanti.

A Marambio, una cappella dedicata alla Madonna di Loreto
Ma la presenza della Chiesa cattolica nel “Continente Bianco” continua ancora: come informa l’agenzia Aica, ad esempio, sul territorio sono presenti numerosi sacerdoti argentini, dislocati nelle tre basi di Marambio, Belgrano ed Esperanza. La prima base, la più antica e rilevante dell’Argentina, c'è padre Daniel Caballero Karanik, appartenente all’arcidiocesi di La Plata. La sua giornata si divide così: una breve riflessione spirituale al mattino, una benedizione e un’intenzione di preghiera con i fedeli. La sera, invece, alle ore 20.00, padre Karanik presiede la Santa Messa nella cappella della base, dedicata a Nostra Signora di Loreto, patrona delle forze aeree.

A Belgrano, si venera la Vergine di Itatí
Nella base di Belgrano, invece, c’è una cappella costruita con il ghiaccio dedicata alla Madonna. In particolare, lo scorso 16 luglio si è tenuta una celebrazione in onore della Vergine di Itatí, nel 115.mo anniversario della sua incoronazione per volere di Papa Leone XIII. Una storia affascinante, quella della Madonna di Itatí: nel 1615, infatti, in questo villaggio sul fiume Paraná, in Argentina, due frati spagnoli fondarono una missione. Ma poco dopo, gruppi indigeni locali saccheggiarono il villaggio, portando via anche la statua di Maria. Successivamente, due bambini, che scendevano il fiume in piroga, furono attratti da una luce intensa: proveniva dalla statua mariana, posta sulla riva. Visto il prodigio, venne quindi costruito un Santuario, mentre il miracolo del viso luminoso della Vergine di Itatí si ripeté molte volte nel corso dei secoli.

Ad Esperanza, si conserva una “papalina” di Papa Francesco
Infine, nella base di Esperanza si conta una comunità composta da circa sessanta fedeli, tra cui sette famiglie. Nella cappella della base è conservata una “papalina”, ovvero uno zucchetto bianco indossato da Papa Francesco. (I.P.)

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Inghilterra e Galles, tutela minori: 95% parrocchie ha supervisore

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Oltre il 95 per cento delle parrocchie cattoliche di Inghilterra e Galles ha almeno un rappresentante preposto a monitorare la sicurezza dell’ambiente in cui vivono i minori, in modo da garantire che esso sia esente da rischi di abusi e violenze di qualsiasi tipo: è quanto emerge dal rapporto annuale della National Catholic Safeguarding Commission, organismo indipendente dell’episcopato creato nel 2008. Prosegue così - riferisce l’agenzia Sir - l’impegno della Chiesa per rispondere alla sfida della sicurezza e della protezione dei minori.

Monitoraggio a tappeto su tutto il territorio
Questo rapporto, afferma Chris Pearson, presidente della National Catholic Safeguarding Commission, “evidenzia in pieno il lavoro della commissione ed è solo un’istantanea dei risultati raggiunti nel corso dell’ultimo anno. Ci stiamo muovendo - prosegue - verso un approccio molto più coerente e sensibile, in risposta alle vittime e ai sopravvissuti di abusi”. Il dossier evidenzia un lavoro di monitoraggio e prevenzione a tappeto su tutto il territorio. La percentuale di parrocchie senza un responsabile per la sicurezza dei minori, infatti, è scesa al di sotto del 5 per cento.

Nel 2014, denunciati 79 casi di abusi sui minori, riferibili ad anni passati
Nel 2014 sono state settantanove le denunce di abusi sui bambini, nella stragrande maggioranza dei casi riferibili ad anni passati. Esse hanno coinvolto 118 vittime, con 83 indagati. Il numero delle denunce evidenzia uno stato di allerta molto alto, ma anche l’imperativo a non abbassare la guardia visto che il trend registrato nel corso degli ultimi anni è sostanzialmente costante: nel 2013 le denunce erano state ottantuno e nel 2010 si toccò il picco di novantadue.

Ascoltare ed aiutare le vittime, grazie ad una formazione adeguata
“La sfida più sentita è stata di metterci in ascolto e andare incontro ai sopravvissuti” dice Danny Syullivan, che ha guidato la Commissione fino ad oggi. Un impegno che non può essere improvvisato: per questo l’organismo ha lanciato quest’anno gratuitamente sul territorio un programma e-learning rivolto ai membri della comunità cattolica. L’intento è di dare a tutti l’opportunità di una formazione che possa far approfondire la comprensione del fenomeno e sviluppare buone pratiche. (I.P.)

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Vescovi di Francia e Spagna: Cammino di Santiago, radice d’Europa

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Una lettera pastorale congiunta, la prima della storia, per ribadire l’importanza del Cammino di Santiago di Compostela: a redigerla, in questi giorni, sono state le Conferenze episcopali di Francia e Spagna, per celebrare uno dei pellegrinaggi più famosi d’Europa, che attraversa entrambi i Paesi. “Si tratta - spiega mons. Marc Aillet, vescovo di Bayonne - di un cammino di fede e di comunicazione della fede. A partire dal Medio Evo, esso ha, in un certo qual modo, formato l’Europa, condividendo i valori stessi del Vangelo, tramite il pellegrinaggio di tanti cristiani”.

Pellegrini del Cammino, in cerca del senso della vita
“Il 70 per cento delle persone che intraprendono il Cammino - continua il presule - non lo fa per motivi religiosi, ma sente di doverlo fare alla ricerca di un senso, di un nuovo soffio di vita, capace di rompere i ritmi accelerati della società contemporanea, per camminare secondo il ritmo del Creato, al passo dell’uomo”. L’obiettivo della lettera, spiega ancora mons. Aillet, è quello di “sensibilizzare le comunità cristiane attraversate dal Cammino a ricevere i pellegrini in uno spirito di disponibilità e di accoglienza umana e cristiana, cogliendo l’occasione per annunciare il Vangelo”.

Lungo il Cammino di Santiago, l’Europa ritrova se stessa
La missiva si presenta suddivisa in tre parti: la prima, intitolata “Il Cammino come esperienza personale”, è dedicata chi vuole scoprire o riscoprire le radici cristiane dell’Europa. “Lungo il Cammino di Santiago - si legge - l’Europa prende coscienza di se stessa” ed è qui che si trova “un fattore notevole nella configurazione dell’identità europea”. Ma il pellegrinaggio è anche un modo per “arrivare più vicini a Cristo” ed è per questo che esso offre ai cristiani l’occasione di “approfondire la propria fede”.

Anche la Chiesa, comunità in cammino, si fa pellegrina
La seconda parte della lettera si intitola, invece, “La Chiesa, una comunità in cammino”: i presuli sottolineano che il pellegrinaggio non è solo “un esercizio spirituale individuale che porta ad un rinnovamento interiore della persona”, né tantomeno solo “un cammino personale nella sequela di Cristo”, ma è anche il modo in cui la Chiesa stessa “si fa pellegrina, essendo una comunità in cammino”. Fortificata dalla speranza ispirata da Dio, la Chiesa trova la sua principale manifestazione “nella partecipazione piena ed attiva dei fedeli all’Eucaristia”. Lungo il Cammino di Santiago, dunque, spiega ancora la missiva, i pellegrini dovranno sentirsi accompagnati dalla Chiesa come accadde ai discepoli di Emmaus che incontrarono Gesù.

Rilanciare il dinamismo dell’evangelizzazione
Infine, la terza parte della lettera pastorale è incentrata sulla dimensione missionaria, tanto da intitolarsi “Il Cammino, dinamismo evangelizzatore”. “Il Cammino di Santiago - si legge - non è un semplice itinerario tracciato su una mappa, non è un insieme di luoghi da attraversare, non è un ambiente geografico, ma è percorso, viaggio, incontro, dare e ricevere, evangelizzare ed essere evangelizzati”. In questo senso, tale pellegrinaggio è “uno spazio dinamico, una bussola che ci orienta e la cui vera meta è l’incontro con Cristo, Via, Verità e Vita”.

I pellegrini divengano missionari
Di qui, l’invito a tutti i fedeli ad “essere missionari”, una volta tornati a casa, affinché “dopo aver meditato sulle origini del cristianesimo accanto alla tomba di San Giacomo, essi possano diventare agenti efficaci della nuova evangelizzazione”. “Di ritorno dal vostro viaggio - scrivono i vescovi francesi e spagnoli, rivolgendosi direttamente ai pellegrini - fate lo sforzo di portare il Vangelo a coloro che incontrate abitualmente, per strada o sul lavoro. Concentratevi sull’essenziale, il necessario: parlate loro dell’amore salvifico di Dio, manifestato da Cristo morto e risuscitato. Siate messaggeri di Cristo”.

Una Chiesa “in uscita” che opera e parla nella carità
Rivolgendosi, poi, alle parrocchie che si trovano lungo il Cammino di Santiago, i presuli le esortano ad “andare per strada ad evangelizzare, accogliere le persone, aprire spazi di dialogo collettivo, sostenere i pellegrini nei loro obiettivi, invitarli alla conversione del cuore confidando nell’infinita misericordia di Dio”. “La carità delle opere - è l'invito - si accompagni alla carità delle parole”.

Nel 2017, attesa un’altra lettera congiunta sul tema dell’accoglienza
La missiva si conclude con un appello a tutti i pellegrini affinché l’esperienza del Cammino li stimoli ad essere “costruttori di pace e di unità, promotori di fede, speranza e carità, punti di riferimento spirituale, capaci di costruire l’Europa, secondo le radici cristiane”. Una seconda lettera pastorale congiunta sul Cammino di Santiago verrà realizzata dalle Chiese francese e spagnola nel 2017 e sarà dedicata, con molta probabilità, al tema dell’accoglienza. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 213

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.