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Sommario del 27/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Benedetto XVI "un grande Papa". Scienza sia per tutti

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“Un grande Papa”. Con questa espressione grata e affettuosa Papa Francesco ha ricordato il suo predecessore, Benedetto XVI, in onore del quale stamattina è stato scoperto un busto nella sede della Pontificia Accademia delle Scienze. Con i membri dell’organismo vaticano, riuniti in plenaria, il Papa ha anche riflettuto sul concetto di “natura”, spronando gli scienziati cristiani a mettere il progresso scientifico a servizio di tutta l’umanità. Il servizio di Alessandro De Carolis

Un uomo dotato di una grande intelligenza di Dio, in cui lo studio assiduo e appassionato non ha rarefatto ma anzi ha reso migliore e più vasta la sua conoscenza delle cose dello spirito. È ammirazione a tutto tondo quella che Papa Francesco esprime per il Papa emerito Benedetto. E tanto più significativa perché comunicata al cospetto di persone consacrate a una scienza che non chiude alle ragioni della fede, come sono i membri della Pontificia Accademia delle Scienze. Il busto di Benedetto XVI – realizzato da Fernando Delia e scoperto tra gli applausi poco prima – rievoca oltre alle fattezze anche il suo spirito, nota Papa Francesco. Spirito, afferma, che “lungi dallo sgretolarsi con l’andare del tempo, apparirà di generazione in generazione sempre più grande e potente”:

“Benedetto XVI: un grande Papa. Grande per la forza e penetrazione della sua intelligenza, grande per il suo rilevante contributo alla teologia, grande per il suo amore nei confronti della Chiesa e degli esseri umani, grande per la sua virtù e la sua religiosità. Certo di lui non si potrà mai dire che lo studio e la scienza abbiano inaridito la sua persona e il suo amore nei confronti di Dio e del prossimo, ma al contrario, che la scienza, la saggezza e la preghiera hanno dilatato il suo cuore e il suo spirito”.

L’amore per la scienza, oltre quello ben noto per la teologia e la filosofia, indussero Benedetto XVI a “onorare” costantemente l’Accademia delle Scienze, essendo ad esempio il primo a invitarne un presidente ai lavori di un Sinodo, quello sulla nuova evangelizzazione, perché “consapevole dell’importanza della scienza nella cultura moderna”, rimarca Papa Francesco. Che da parte sua, incoraggia gli scienziati cristiani a un “progresso scientifico” mirato al “miglioramento delle condizioni di vita della gente, specialmente dei più poveri”. E toccando il tema del “concetto di natura” affrontato in plenaria dagli scienziati dell’Accademia, il Papa coglie l’occasione per ribadire che “Dio e Cristo camminano con noi e sono presenti anche in natura”. Ne  è un esempio la Creazione, dice, dove Dio non si comporta da “demiurgo o mago” che fa “tutte le cose”, ma crea gli esseri dando loro sia “l’autonomia” di svilupparsi, sia assicurando “loro la sua presenza continua”:

“L’inizio del mondo non è opera del caos che deve a un altro la sua origine, ma deriva direttamente da un Principio supremo che crea per amore. Il Big-Bang, che oggi si pone all’origine del mondo, non contraddice l’intervento creatore divino ma lo esige. L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono”.

E arrivando all’uomo, prosegue Papa Francesco, Dio fa di più. Lo rende “responsabile della creazione” e l’autonomia che gli conferisce è “diversa da quella della natura”,  è “la libertà”, che non sempre viene rispettata secondo il disegno divino:

“È anche vero che l’azione dell’uomo, quando la sua libertà diventa autonomia – che non è libertà, ma autonomia –  distrugge il creato e l’uomo prende il posto del Creatore. E questo è il grave peccato contro Dio Creatore”.

Dunque, allo scienziato, soprattutto allo scienziato cristiano, conclude Papa Francesco, “corrisponde l’atteggiamento di interrogarsi sull’avvenire dell’umanità e della terra, e, da essere libero e responsabile, di concorrere a prepararlo, a preservarlo, a eliminarne i rischi dell’ambiente sia naturale che umano”:

“Lo scienziato dev’essere mosso dalla fiducia che la natura nasconda, nei suoi meccanismi evolutivi, delle potenzialità che spetta all’intelligenza e alla libertà scoprire e attuare per arrivare allo sviluppo che è nel disegno del Creatore. Allora, per quanto limitata, l’azione dell’uomo partecipa della potenza di Dio ed è in grado di costruire un mondo adatto alla sua duplice vita corporea e spirituale; costruire un mondo umano per tutti gli esseri umani e non per un gruppo o una classe di privilegiati”.

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Il Papa: parole rivelano se siamo cristiani della luce, delle tenebre o del grigio

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L’esame di coscienza sulle nostre parole ci farà capire se siamo cristiani della luce, delle tenebre o cristiani del grigio: è quanto ha detto Papa Francesco nell’omelia mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Gli uomini si riconoscono dalle loro parole. San Paolo – afferma il Papa – invitando i cristiani a comportarsi come figli della luce e non come figli delle tenebre, “fa una catechesi sulla parola”. Ci sono quattro parole per capire se siamo figli delle tenebre:

“E’ parola ipocrita? Un po’ di qua, un po’ di là, per stare bene con tutti? E’ una parola vacua, senza sostanza, piena di vacuità? E’ una parola volgare, triviale, cioè mondana? Una parola sporca, oscena? Queste quattro parole non sono dei figli della luce, non vengono dallo Spirito Santo, non vengono da Gesù, non sono parole evangeliche … questo modo di parlare, sempre parlare di cose sporche o di mondanità o di vacuità o parlare ipocritamente”.

Qual è, dunque, la parola dei Santi, cioè dei figli della luce?

“Lo dice Paolo: ‘Fatevi imitatori di Dio: camminate nella carità; camminate nella bontà; camminate nella mitezza’. Chi cammina così ... ‘Siate misericordiosi - dice Paolo - perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato voi in Cristo. Fatevi, dunque, imitatori di Dio e camminate nella carità’, cioè camminate nella misericordia, nel perdono, nella carità. E questa è la parola di un figlio della luce”.

“Ci sono cristiani luminosi, pieni di luce – osserva il Papa - che cercano di servire il Signore con questa luce” e “ci sono cristiani tenebrosi” che conducono “una vita di peccato, una vita lontana dal Signore” e usano quelle quattro parole che “sono del maligno”. “Ma c’è un terzo gruppo di cristiani”, che non sono “né luminosi né bui”:

“Sono i cristiani del grigio. E questi cristiani del grigio una volta stanno da questa parte, un’altra da quella. La gente di questi dice: ‘Ma questa persona sta bene con Dio o col diavolo?’ Eh? Sempre nel grigio. Sono i tiepidi. Non sono né luminosi né oscuri. E questi Dio non li ama. Nell’Apocalisse, il Signore, a questi cristiani del grigio, dice: ‘Ma no, tu non sei né caldo né freddo. Magari fossi caldo o freddo. Ma perché sei tiepido – così del grigio – sto per vomitarti dalla mia bocca’. Il Signore è forte con i cristiani del grigio. ‘Ma io sono cristiano, ma senza esagerare!’ dicono, e fanno tanto male, perché la loro testimonianza cristiana è una testimonianza che alla fine semina confusione, semina una testimonianza negativa”.

Non lasciamoci ingannare dalle parole vuote – è l’esortazione del Papa – “ne sentiamo tante, alcune belle, ben dette, ma vuote, senza niente dentro”. Comportiamoci invece come figli della luce. “Ci farà bene oggi pensare al nostro linguaggio” – conclude Papa Francesco -  e domandiamoci: “Sono cristiano della luce? Sono cristiano del buio? Sono cristiano del grigio? E così possiamo fare un passo avanti per incontrare il Signore”.

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Dal Papa il presidente ugandese, confronto sulle guerre in Africa

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Sono stati i conflitti che interessano varie zone dell’Africa uno dei centri di interesse del colloquio di Papa Francesco con il presidente della Repubblica di Uganda, Yoweri Kaguta Museveni, ricevuto in udienza in Vaticano.

Durante i “cordiali colloqui”, informa il comunicato ufficiale, “sono state evocate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di Uganda, con particolare riferimento al fondamentale contributo della Chiesa cattolica e alla collaborazione con le sue istituzioni di carattere educativo, sociale e sanitario. Inoltre, è stata sottolineata l’importanza della pacifica convivenza tra le varie componenti sociali e religiose del Paese”.

Infine, conclude la nota, “sono state passate in rassegna alcune questioni di carattere internazionale, con speciale attenzione per i conflitti che interessano alcune aree dell’Africa”. Dopo il colloquio con Papa Francesco, il presidente ugandese si è intrattenuto  con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. (A.D.C.)

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Udienze e nomina episcopale nelle Filippine

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo mons. Luis Mariano Montemayor – nunzio apostolico in Senegal, Cabo Verde, Guinea Bissau e delegato Apostolico in Mauritania – e una delegazione della Università Ebraica Bar-Ilan di Israele.

Nelle Filippine, il Papa ha nominato vescovo-prelato della prelatura di Infanta mons. Bernardino C. Cortez, finora ausiliare di Manila. Il presule è nato a Baclaran, nella diocesi di Parañaque, il 3 luglio 1949. Dopo aver frequentato le scuole elementari e secondarie, entrò nel seminario minore di Nostra Signora di Guadalupe e, poi, compì gli studi filosofici e teologici presso il seminario di San Carlos. Dopo l'ordinazione sacerdotale, studiò teologia presso l'Università di Fribourg (Svizzera), ottenendovi la Licenza in Sacra Teologia. E' stato ordinato sacerdote il 23 giugno 1974 per la diocesi di San Pablo. Ha poi ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale nella Cattedrale di San Pablo e Prefetto di Disciplina nel seminario minore di San Pablo (1974-1975); Parroco della St John the Evangelist parish a Kalayaan (1975-1978); Cappellano delle scuole pubbliche di Tondo (1979-1982); Direttore Spirituale del St. Peter College Seminary a San Pablo City (1985-1986; 1993-1994 e 1995-1999); Direttore Spirituale della San Pablo Theological Formation House a Tagaytay (1988-1990); Parroco della Our Lady of the Angels parish a Santa Maria (1994); Direttore dell'Ufficio per la formazione dei sacerdoti (1998); Parroco della St Theresa of the Child Jesus parish (2000-2004) e Amministratore della diocesi di San Pablo (2003-2004). Il 31 maggio 2004 è stato eletto Vescovo titolare di Bladia ed Ausiliare di Manila, ricevendo la consacrazione episcopale il 20 agosto 2004. All'interno della Conferenza Episcopale delle Filippine è Membro del Comitato permanente come Rappresentante della zona sud-ovest di Luzon e membro di altre Commissioni.

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Messaggio del Papa all'Associazione Internazionale Esorcisti

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Gli esorcisti “nel  particolare  ministero esercitato, in comunione  con  i  propri  vescovi”, manifestino “l'amore e l'accoglienza della Chiesa verso quanti soffrono a causa dell'opera del maligno": lo scrive Papa Francesco in un messaggio inviato a padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti (Aie), che in questi giorni ha tenuto a Roma il suo primo Convegno dopo il riconoscimento giuridico da parte della Congregazione per il Clero, nel giugno scorso. L'evento, che ha visto la partecipazione di 300 esorcisti giunti da tutto il mondo, ha trattato in particolare diffusione e conseguenze di occultismo, satanismo ed esoterismo. Sergio Centofanti ne ha parlato con lo psichiatra Valter Cascioli, portavoce ufficiale dell’Associazione: 

R. – Queste pratiche aprono un po’ la strada all’attività demoniaca straordinaria. Certamente, il numero delle persone che si rivolgono a queste pratiche con gravi danni sociali, psicologici, spirituali e morali, è in costante aumento e questo ci preoccupa perché, di rimando, abbiamo anche un aumento dell’attività demoniaca straordinaria, in modo particolare vessazioni, ossessioni e soprattutto possessioni diaboliche.

D. - Sono sottovalutati i rischi che vengono da queste pratiche?

R. - A volte sì. A volte, la stessa attività demoniaca ordinaria - la tentazione - non viene presa molto in considerazione da chi ha una fede tiepida. Infatti, noi esortiamo ad una maggiore vigilanza. Del resto, viviamo in un momento storico particolarmente critico, dove la fretta, la superficialità, l’individualismo esasperato, la secolarizzazione, sembrano quasi dominare la nostra società. La lotta contro il male e il maligno sta diventando sempre di più un’emergenza. Questo chiaramente è dovuto, oltre che all’azione diretta del nemico di Dio, all’affievolirsi della fede, all’anomia, cioè alla mancanza di valori, e al relativismo culturale ormai dilagante. Per altri versi, assistiamo al continuo proliferare di messaggi mediatici, libri, programmi televisivi, programmi cinematografici, che in qualche modo sulla scia del sensazionalismo e dello spettacolare incentivano, soprattutto le nuove generazioni, ad occuparsi dell’occultismo, del satanismo, e talvolta a praticarlo.

D. - Dall'esperienza sul campo degli esorcisti, oggi il diavolo cosa attacca di più e come?

R. - La sua astuzia è quella di farci credere che lui non esista e, sicuramente, un certo laicismo diffuso nella nostra società non ci aiuta. I punti sono sempre gli stessi: l’affievolirsi della fede, ma ci colpisce molto l’incidenza che hanno questi fenomeni dell’attività demoniaca straordinaria soprattutto sulle giovani generazioni e anche sulle famiglie. Sappiamo che colui che divide - il diavolo - non soltanto ci separa da Dio, ma separa le persone, le famiglie; separa inoltre  anche dalla realtà, perché - ahimè - a volte abbiamo delle situazioni di alienazione, anche mentale, che sono secondarie all’attività demoniaca straordinaria.

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Al via a Roma l'Incontro mondiale dei Movimenti Popolari

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E’ iniziato stamani a Roma l’Incontro mondiale dei Movimenti Popolari promosso dal Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace. Si tratta di una realtà che riunisce lavoratori precari e dell’economia informale, migranti, indigeni, contadini senza terra e abitanti di zone periferiche. Domani l’udienza con il Papa. Ad aprire l’evento, il saluto del cardinale Peter Turkson, presidente del dicastero vaticano promotore. Presente anche Juan Grabois, responsabile della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare. Mónica Zorita gli ha chiesto quali siano i suoi auspici:

R. – Si nosotros logramos de este encuentro que...
Se da questo incontro otterremo un miglioramento della situazione dei lavoratori che sono esclusi, degli agricoltori senza terra e delle persone che vivono in abitazioni abusive, saremo davvero molto contenti. E se oltre a questo costituiremo delle piattaforme di lavoro congiunte tra le organizzazioni che riuniremo qui - c’è grande diversità e ci costa molto riunirci – con l’appoggio di Papa Francesco e della Chiesa, saremo ancora più contenti. Francesco usa una frase molto bella, che a me aiuta sempre e che dice così: “E’ meglio iniziare dei processi, che occupare spazi”. L’importante è iniziare dei processi che siano fruttuosi, anche se non possiamo controllare i risultati di questi stessi processi. Non bisogna avere paura, bisogna avere coraggio. Ascoltare tutti non fa male a nessuno ed è così che ci possiamo rendere conto che abbiamo più cose in comune di quelle che sembrano. Durante questo incontro, in particolare, io parlo del tema dei lavoratori in nero. Sono presenti molti miei amici giunti dall’America Latina, come i “cartoneros”, che sono quanti lavorano nel riciclaggio dei materiali scartati, o i venditori ambulanti o persone occupate in nuove tipologie di lavoro. Parlo di questo tema e sul rapporto tra queste nuove realtà e il pensiero sociale di Papa Francesco.

Partecipa all’evento anche mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che ci parla dei vari modi di affrontare i problemi che causano emarginazione e sfruttamento nel mondo:

R. – Come avete ascoltato ci sono vari modi di affrontare i problemi. Uno è quello di non vederli, l’altro, vedendo il problema, è cercare di capire le sue cause e quindi attuare soluzioni. Ci sono ancora, per esempio, quelli che non vogliono vedere il problema della prostituzione, che senza dubbio è un problema serio e molto visibile. Altri non vogliono vedere il problema della droga, ma è un problema serio. Il Papa vuole vedere i problemi e cercare di dare una soluzione adeguata. Così è stato per il tema dell’educazione o per il tema della eliminazione delle nuove forme di schiavitù, per cui ha dato il via a una nuova iniziativa con l’Accademia delle Scienze per invitare i leader religiosi e politici a fare una dichiarazione. Ora, i Movimenti Popolari rappresentano quasi un terzo della popolazione mondiale e risolvono molti problemi grazie alla loro forza. Con la loro azione si può fare opera di integrazione ed inclusione nel mondo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Spirito grande e potente: il Papa inaugura un busto in onore di Benedetto XVI.

Due volti in uno: all’Angelus Papa Francesco ricorda che la misura della fede è l’amore.

Dilma Roussef presidente del Brasile che attende risposte.

Un profeta inascoltato: Caterina Ciriello su Benedetto XV e i vescovi italiani durante la guerra.

Pronti a decollare: Claudio Risé sulla coppia come luogo dove conoscere se stessi.

Quanti miti da sfatare: su globalizzazione e migranti intervista di Cristian Martini Grimaldi al gesuita René Micallef.

Con lo sguardo verso Oriente: il cardinale Leonardo Sandri apre l’anno accademico del Pontificio istituto orientale.

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Oggi in Primo Piano



Elezioni legislative in Ucraina: vincono i filoeuropeisti

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Con le elezioni legislative di ieri l’Ucraina rafforza la sua scelta europeista. Il mandato popolare dato al partito del presidente Poroshenko e al fronte che guarda a Bruxelles, per il varo delle riforme democratiche, sancisce il distacco da Mosca. Tuttavia, il Paese sembra spaccato: non si è votato in Crimea, autoproclamatasi indipendente, e nell’est dove ancora ci sono scontri tra esercito e miliziani filorussi. Per un commento, Giancarlo La Vella ha sentito Luigi Geninazzi, esperto di Est Europa per il quotidiano Avvenire: 

R. - Francamente, non parlerei di un Paese spaccato, bensì si tratta di un Paese monco per l’occupazione che c’è stata in Crimea, per il sostegno diretto e indiretto del Cremlino ai separatisti di Donetsk e Lugansk. Ma non è un Paese spaccato, anzi. Il primo dato fondamentale di questo voto, secondo me, è che la stragrande maggioranza di coloro che hanno votato ha scelto dei Partiti chiaramente filoeuropei. Quindi il dato fondamentale è questo, insieme a quello secondo cui i cosiddetti estremisti di destra, i nazionalisti, rischiano di non entrare neppure in parlamento. Quindi, non è vero che c'è stato un Occidente, Stati Uniti e Unione Europea, che a tutti i costi ha voluto strappare l’Ucraina a Mosca. È esattamente il contrario: è il popolo ucraino che, non rinnegando certo la tradizione del modo orientale, religiosa e culturale, non si riconosce più nella politica di Putin.

D. - Quale sarà il futuro della Crimea, autoproclamatasi indipendente, e dell’est dell’Ucraina?

R. - Questo dipende molto dal Cremlino. Se la Russia non sosterrà più l’opposizione armata, il conflitto andrà a finire. Secondo me, c’è la possibilità di una dialettica democratica.

D. - In futuro, potrebbe esserci un allentamento delle tensioni che coinvolgono Kiev, Mosca, ma anche l’Unione Europea? Dietro tutto questo c’è sempre il problema energetico delle forniture di gas della Russia all’Ucraina…

R. - Lo spero. L’accordo, sia pure limitato, che c’è stato a Milano, per quanto riguarda le forniture di gas, credo possa essere un buon segnale. Però, ripeto, sul terreno la situazione è ancora molto fragile e molto dipende dal volere di Putin. Se le cose andranno verso una soluzione pacifica, allora l’Ucraina potrà riprendere la difficile strada di risalita dal baratro economico. Se invece la guerra, sia pure a bassa intensità, continuerà, è difficile prevedere che cosa possa succedere tra i due Paesi e, in generale, anche quelle che potranno essere le ripercussioni per l’Europa.

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Is minaccia jihadisti britannici che vogliono rimpatriare

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Il sedicente Stato Islamico (Is) minaccia di morte i jihadisti britannici che, dopo aver combattuto in Siria e in Iraq, ora intendono tornare nel Regno Unito. Lo ha rivelato The Observer, la versione domenicale di The Guardian. Secondo fonti con contatti in Medio Oriente, alcuni cittadini britannici già schierati al fianco dei terroristi si sono detti “pentiti” o “spaventati” della lotta con i combattenti islamici. Al momento, fra Siria e Iraq, ci sarebbero più di trenta britannici pronti a rimpatriare: si tratta, peraltro, di persone considerate come potenziali terroristi dalle autorità di Londra. Giada Aquilino ne ha parlato con Francesca Paci, inviata del quotidiano ‘La Stampa’: 

R. – In realtà, questa notizia che è stata data ai Servizi d’intelligence e alla stampa della Gran Bretagna da Moazzam Begg – che è un ex detenuto di Guantanamo, adesso libero in Gran Bretagna e residente a Birmingham, offertosi anche in passato di negoziare con i jihadisti dell’Is in Siria – aggiunge un tassello del puzzle, che già un poco si era delineato nelle settimane precedenti. Quello che dice Begg è che dei circa 500 jihadisti britannici che sarebbero in Siria, 30-35, per quello che gli risulta, si sarebbero resi conto che la Siria non era quel paradiso per cui volevano andare a combattere e quindi vorrebbero tornare indietro, ma ciò sarebbe impedito loro. In realtà, questo va a confermare le voci che ho sentito anch’io, nel viaggio che sto facendo per 'La Stampa' in Belgio, in Gran Bretagna e anche in Francia. Nelle comunità islamiche, da cui partono giovani uomini e giovani donne, sono soprattutto le donne che vanno lì e si rendono conto che non è ciò che sognavano. Questa storia della Gran Bretagna, quindi, mi fa pensare, per esempio, che dieci giorni fa, quando ero a Marsiglia, ho parlato con l’avvocato di una famiglia di origine algerina, la cui figlia è partita giovanissima, a meno di 20 anni, come sempre avviene in questi casi. Suo fratello poi l’ha rintracciata e raggiunta: lei gli ha detto di aver fatto un errore enorme, il peggiore della sua vita, però non è riuscito a riportarla a casa: non l’hanno fatta ripartire, quindi.

D. – Quali sono i motivi che spingono queste persone dapprima a lasciare casa, famiglia, forse un lavoro e ad andare ad ingrossare le file dell’Is e poi invece a voler tornare indietro?

R. – La motivazione che le fa partire, da quello che si capisce dagli interrogatori o anche parlando con le famiglie, è una motivazione basata su futili motivi, molto "naif": semplicemente una scarsissima conoscenza del Corano e anche dell’Islam e quindi l’idea che lì l’applicazione totale della "sharìa" consenta di assicurarsi, ad esempio, la vita eterna. Poi, una certa marginalità rispetto alla società. Non necessariamente si tratta di disoccupati: talvolta si tratta di persone che hanno un lavoro, però con una grande frustrazione. Quando questi sono i motivi - più di quelli sanguinari di altri, che poi magari hanno anche intenzione di tornare e portare la jihad in Occidente - vanno lì e si rendono conto che il gioco non vale la partita, che lì è guerra vera.

D. – Ma dopo un primo momento in cui a livello di propaganda l’Is ha avuto un certo richiamo in vari ambienti, ora qualcosa sta cambiando?

R. – Dai dati dell’intelligence si riesce a capire chi parte. I dati parlano di 3-4 mila persone partite dall’Europa. E’ molto complicato capirlo, perché bisogna vedere come sono le frontiere: la Turchia per esempio ha stretto i controlli. Può anche darsi, quindi, che non è che siano scoraggiati a partire, ma che abbiano meno possibilità di entrare rispetto a qualche mese fa.

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Commissario Ue Tonio Borg: vaccino Ebola pronto a inizio 2015

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In Spagna, sono stati dimessi il marito e i colleghi dell'infermiera di 44 anni contagiata dal virus Ebola dopo aver assistito i due missionari rimpatriati dalla Sierra Leone. La donna resta ricoverata ma è ritenuta fuori pericolo, essendo risultata negativa a due test successivi al rilevamento del contagio. Intanto, l’Australia sospende l’immigrazione dall’Africa. Ma per capire quale sia al momento il rischio di contagio in Europa e quale la reale situazione nei Paesi africani, Fausta Speranza ha incontrato il commissario europeo per la Salute, Tonio Borg, che parla tra l'altro di tempi rapidi per il vaccino e di contenimento del contagio nei villaggi dei Paesi africani colpiti: 

R. – Il pericolo di diffusione di questa malattia in Europa rimane molto basso – pericolo di diffusione che non significa non avere casi di Ebola. Abbiamo avuto soltanto una persona che ha contratto la malattia senza essere mai stata in Africa, le altre sono tutte persone che sono state infettate in Africa, trasportate in Europa per le cure. Dicendo questo io dico però sempre: dobbiamo essere molto vigili. Abbiamo una rete di ospedali con unità di isolamento, abbiamo anche una rete di laboratori per individuare il virus Ebola. Bisogna dire che prima di tutto abbiamo l’obbligo morale nei riguardi di questi Paesi di aiutarli. E qui, l’Europa non ha niente da vergognarsi, perché è stata la prima a stanziare milioni di euro: l’Europa in quanto Commissione Europea, ha già stanziato 180 milioni di euro per questo scopo, mentre gli Stati membri stanno aiutando con oltre 300 milioni in assistenza bilaterale. Per esempio: il Regno Unito in Sierra Leone, perché ci sono legami storici con la Sierra Leone, la Francia in Guinea e in altri Paesi…

D. – E’ corretto dire che Ebola in Europa o negli Stati Uniti risulta curabile mentre in Africa si muore?

R. – Anche in Europa c’è stato chi è stato curato ma è morto, ma grazie a Dio ci sono altri che sono guariti. In Europa, si sta sviluppando un vaccino e ci sono già due o tre progetti finanziati dall’Unione Europea. La Commissione ha stanziato 25 milioni per incentivare la ricerca e secondo le aspettative, nei primi tre-quattro mesi dell’anno prossimo ci sarà questo vaccino. Adesso il problema è come avere abbastanza vaccini per tutti coloro che ne hanno bisogno. Certamente, questi vaccini devono andare primariamente dove c’è il problema. Quando si raggiunge un isolamento del 70%, allora possiamo sconfiggere la malattia. In Africa, in molti villaggi si sta raggiungendo questo traguardo, ma nelle città è più difficile. Stiamo facendo il possibile. E poi dobbiamo parlare dei molti infermieri e medici europei che vanno lì. Ci sono Medici senza frontiere e altri… E’ necessario organizzare un’evacuazione medica, qualora i medici presenti ne avessero bisogno: queste persone vanno lì da volontari e devono avere la garanzia che se succedesse qualcosa a loro possano essere rimpatriati. Lì c’è un coordinamento da parte della Commissione Europea con gli Stati membri, ma ci sono decisioni che sono proprie degli Stati membri, come quella di effettuare controlli negli aeroporti. Ci sono cose che dipendono dalla discrezione degli Stati membri.

D. – In questi giorni, abbiamo registrato il primo morto di Ebola in Mali, una bambina. Deve allarmare particolarmente?

R. – La preoccupazione c’è sempre, ma io cito l’esempio della Nigeria e del Senegal, dove ci sono stati casi ma non c’è stata diffusione. Quando per 40 giorni non si denunciano nuovi casi, allora un Paese è libero da Ebola. Questo non vuol dire che non abbia casi, vuol dire che non ha nuovi casi. E speriamo che in Mali sia un caso isolato.

D. – Innanzitutto, la priorità è, e deve essere, salvare vite umane. Però, con uno sguardo più lungo, pensiamo anche alle economie di questi Paesi: sperando bene che prima o poi si risolva l’emergenza sanitaria, resterà però il dramma di Paesi veramente allo stremo, in ginocchio…

R. – I citati 185 milioni di euro sono destinati principalmente a rafforzare i sistemi sanitari in questi Paesi. Infatti, è inutile trovare una soluzione a questa malattia se poi domani ci saranno altre malattie: a questo l’Unione Europea pensa e infatti stanzia circa 8 miliardi di euro l’anno per Paesi in via di sviluppo.

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Voto in Tunisia, i laici di Nidaa Tounes avanzano su Ennhadha

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In Tunisia, dalle parlamentari di ieri si profila sempre più la vittoria del partito laico "Nidaa Tounes" su quello islamico moderato "Ennhadha", che nel 2011 fu vincitore alle prime elezioni del dopo Ben Ali. A votare è stato il 60% degli elettori, i risultati definitivi si avranno nelle prossime ore, ma sin da adesso i laici ritengono di aver conquistato 80 seggi sui 217 del parlamento, il 37% contro il probabile 26% di Ennahda, precipitato dal 42. Se Ennhadha tre anni fa vinse sotto l’avanzare della "primavera araba", il risultato di oggi come è da interpretare: come la fine dell’effetto della "primavera araba", o piuttosto come la naturale conseguenza dell’allora rivoluzione? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale, esperto di Tunisia: 

R. – In molti avevano visto queste elezioni quasi come un banco di prova per la tenuta o meno di Ennahda, visto che il partito islamico era stato più o meno per tre anni al governo e adesso era fuori perché c’era un governo tecnico, che aveva sostenuto. Ebbene, il giudizio, stando alla risposta degli elettori, è un giudizio sostanzialmente negativo, più che un giudizio aprioristico positivo nei confronti di Nidaa Tounes.

D. – Ennahda era il risultato della "primavera araba". Questa elezione di adesso, che cosa significa? Che in qualche modo l’effetto "primavera araba" è quasi del tutto finito, o che è la giusta conseguenza sempre della cosiddetta rivoluzione?

R. – Guardandola da un punto di vista del tutto oggettivo, questo risultato potrebbe essere in realtà un punto a favore della continuazione del processo di cambiamento politico, in quanto rappresenterebbe una sorta di alternanza al potere. Da questo punto di vista, potrebbe essere un passo avanti. Dall’altro lato c’è chi, chiaramente soprattutto Ennahda, ma anche in altri ambienti, ha delle riserve circa Nidaa Tounes, in quanto è un po’ controverso il fatto che abbia al suo interno elementi legati all’ex regime di Ben Ali, e questo fa pensare alcuni a una sorta di “ritorno al passato”. Però, ripeto, complessivamente un’alternanza non può che giovare al processo di democratizzazione.

D. – Nidaa Tounes si presenta come un partito estremamente eterogeneo, con un fortissimo punto di contatto, e cioè la componente anti-islamica. Questo  però, potrebbe creare dei problemi, quando si tratterà di governare il Paese?

R. – Sicuramente potrà creare dei problemi. Insomma, ci sono stati dei segnali anche prima delle elezioni, durante la campagna elettorale o da quando Nidaa Tounes è nato, per il fatto che fosse un fronte molto eterogeneo e quindi potenzialmente debole dal punto di vista dell’unità. L’unico vero elemento che teneva e tiene insieme il partito e tutte le sue differenti anime è proprio questa opposizione quasi aprioristica a Ennahda e al partito islamico. La Tunisia si è molto divisa in questi ultimi anni, si è creata proprio questa sorta di polarizzazione tra islamisti, o comunque pro-Ennahda, e anti-Ennahda e quindi il progetto di Nidaa Tounes rientra in questo quadro di opposizione a Ennahda. Come spesso accade in questi casi, adesso è da vedere quanto questo elemento di contrarietà a un avversario esterno riesca poi a tradursi anche in azione propositiva di governo.

D. – Proprio lei, Torelli, in un suo studio aveva indicato tra le varie sfide che la Tunisia deve affrontare il jihadismo che avanza…

R. – Sì, il timore, sicuramente è reale. Lo dicono i dati, lo dicono i fatti. Per esempio, il fatto che secondo le fonti tunisine tremila tunisini siano diventati combattenti all’esterno, in questo caso nelle file dello Stato islamico, e lo dicono i fatti anche perché la Tunisia, nell’ultimo anno – diciamo dalla primavera-estate del 2013 in poi – è stata testimone di diversi episodi terroristici, di attentati contro le forze dell’ordine, contro la guardia nazionale, contro i soldati, soprattutto al confine con l’Algeria e soprattutto, anche, per l’effetto della situazione di instabilità nella vicina Libia. Quindi, vi è effettivamente una minaccia jihadista. Per il momento, non è riuscita a minare il processo di transizione. Credo anche che le istituzioni tunisine riusciranno a contenere questa minaccia, a metterla da parte e a far sì che non riesca a minare il processo. Però, sicuramente, rispetto a quattro anni fa, da questo punto di vista la Tunisia è un Paese che ha delle difficoltà che prima non aveva.

D. – Resta il fatto che il Paese si trova, purtroppo, soggetto a una crisi economica e sociale che c’era anche tre anni fa e che il corso politico degli ultimi anni non è riuscito a sanare…

R. – In effetti, questo è il problema che ancora affligge la Tunisia ed è anche il vero motivo, in realtà, per cui gli elettori tunisini hanno punito, di fatto, l’attuale governo che in questi tre anni non è riuscito a ridare nuova linfa all’economia. La situazione socioeconomica è ancora molto difficile, permangono gran parte dei problemi che costituivano poi la radice di quelle che erano state le rivolte del 2011 e quindi, a fronte di progressi notevoli nel campo delle libertà civili e politiche, permane questa situazione di difficoltà economica.

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Ostensione Sindone 2015. Mons. Andreatta: accordo ORP-Trenitalia

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In pellegrinaggio alla Sacra Sindone e sui passi di don Bosco, nel bicentenario della nascita, “ad alta velocità”. Grazie ad un accordo tra l’Opera romana pellegrinaggi (Orp) e Trenitalia, in occasione dell’Ostensione del Sacro Lino che avverrà dal 19 aprile al 24 giugno prossimi, sarà possibile recarsi a Torino utilizzando le Frecce a tariffe agevolate. A presentare l’iniziativa a Roma c’era mons. Liberio Andreatta, presidente dell’Opera romana pellegrinaggi. Paolo Ondarza l’ha intervistato: 

R. - Questa iniziativa dà l’opportunità a tutti i pellegrini provenienti da tutta Italia di poter raggiungere Torino, in occasione dell’esposizione della Sacra Sindone, in maniera veloce, dignitosa e rispettosa della persone, utilizzando tutte le Frecce: la "Frecciabianca", la "Frecciarossa" e la "Frecciargento". Per cui, sia dalla dorsale tirrenica che adriatica come dalla dorsale centrale, le Frecce ci danno l’opportunità di arrivare a Torino in maniera veramente veloce. Quindi, in brevissimo tempo è possibile raggiungere Torino e quindi valorizzare molto il tempo da dedicare ad un itinerario di pellegrinaggio nella città.

 D. - Ci si muove, come diceva, con le Frecce, quindi con l’alta velocità. Ma le tariffe sono agevolate?

 R. - Sì, siccome noi offriamo il pacchetto completo - quindi trasporto, vitto e alloggio e l’animazione delle Liturgie e del percorso del pellegrinaggio stesso - le Ferrovie ci sono venute incontro con un’agevolazione, un prezzo speciale, particolare, da inserire nel pacchetto stesso.

 D. - È presto per fare delle previsioni, ma avete un’idea di quanti saranno i pellegrini?

 R. - Ho vissuto tutte le esperienze precedenti. In base alle previsioni che venivano fatte, siamo stati sempre sorpresi dalla realizzazione di numeri incredibili. Pertanto, è sempre difficile e pericoloso a distanza di tempo formulare ipotesi di numero, perché poi la realtà ce li ha sempre smentiti.

 D. - Si celebrano anche i duecento anni dalla nascita di don Bosco e questo rende anche l’occasione di recarsi a Torino più ricca per i pellegrini…

 R. - Certamente, lei sa quanto sia sentita la devozione a San Giovanni Bosco. C’è una grande realtà presente su tutto il territorio di padri e di suore Salesiani. Poi, c’è il Santuario di Maria Ausiliatrice - che è poi la Basilica a cui i Salesiani e le suore stesse di don Bosco fanno riferimento - che in fondo è la madre di tutte le loro chiese sparse nel mondo. Al suo interno, sono tra l’altro custodite le spoglie mortali del Santo. Noi riteniamo che questa sia un'ulteriore spinta e motivazione per andare a Torino.

 D. - Ma il motivo centrale è - lo ribadiamo - l’Ostensione della Sindone. Mons. Andreatta, vuole aiutarci in poche parole a capire la grandezza di quanto verrà esposto al pubblico?

 R. - La Sindone è l’icona direi più importante che la storia, la tradizione e i nostri padri ci hanno tramandato e che hanno conservato. In quel Telo c’è tutta la storia della salvezza, in quel Telo è impressa l’immagine totale della donazione del Figlio di Dio per la salvezza dell’umanità. Chi si trova di fronte a quell’icona ha veramente la percezione e la sensazione profonda che Dio ha proprio stampato nello storia il suo dono totale d’amore; non c’è più grande amore se non di colui che dà la vita per le persone amate.

 D. - Per concludere, un pellegrinaggio che si annuncia dunque moto partecipato ed è quindi bene muoversi ora. Per organizzare il tutto ci si può rivolgere direttamente all’Opera romana pellegrinaggi…

 R. - Sì, esattamente. Noi abbiamo già aperto una struttura, un settore specifico ad hoc, e nei prossimi giorni pubblicheremo anche una serie di proposte di programmi. Poi c’è la possibilità, per ogni diocesi e per ogni parrocchia, di creare, di personalizzare di arricchire questo itinerario con altre “visite” ad altri santuari che sono nel Piemonte.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Chiese orientali: pace per Ucraina e Medio Oriente

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Un appello per la pace in Ucraina e Medio Oriente. Lo rivolgono in un messaggio i vescovi rappresentanti delle diverse Chiese orientali cattoliche in Europa, al termine del loro incontro a Leopoli (Ucraina), che si è concluso ieri, a cinquant’anni della promulgazione dei decreti conciliari Orientalium Ecclesiarum e Unitatis Redintegratio e nel 25.mo anniversario della legalizzazione della Chiesa greco-cattolica ucraina. 

“Esprimiamo a tutto il popolo ucraino preghiera, vicinanza e solidarietà di fronte al perdurare del conflitto militare nell’Est del Paese, accompagnato dall’aggressione esterna, che provoca tanta sofferenza, specialmente alla popolazione civile. Invitiamo tutti a imboccare senza indugio la via della pace e della riconciliazione”.

Riguardo poi alla situazione in Medio Oriente, i gerarchi d’Europa affermano che “pace e riconciliazione non giungeranno se non attraverso un intervento chiaro e deciso della comunità internazionale su tutte le parti coinvolte e un investimento nell’educazione per creare nuove generazioni capaci di dialogare tra loro”. 

Nel messaggio diffuso questa mattina, i vescovi dedicano un intero paragrafo al “ruolo e contributo delle Chiese orientali cattoliche al cammino ecumenico”. “Riconfermiamo con maggiore consapevolezza - esordiscono i gerarchi cattolici - il nostro diritto e dovere alla cura pastorale dei nostri fedeli ovunque si trovino come anche il diritto all’annuncio del Vangelo a coloro che non lo conoscono ancora”.

Alle Chiese ortodosse, i vescovi auspicano che “anche loro, svolgano nell’amore e nella verità la missione che Dio ha loro affidato”. Ed aggiungono: “Riconosciamo parimenti alle Chiese ortodosse la stessa sollecitudine per la cura dei propri fedeli ovunque nel mondo, senza nessun antagonismo e rispettando il diritto alla libertà religiosa”. Nel messaggio, i vescovi affermano che “la divisione della unica Chiesa di Cristo è una anomalia ecclesiologica”. 

Ed aggiungono: “Condividiamo con le Chiese ortodosse la stessa preoccupazione per le tendenze culturali e sociali che portano alla progressiva scristianizzazione e secolarizzazione dell’Europa”. “Siamo convinti - si legge nel messaggio - di essere chiamati a un forte impegno perché l’appello all’unità della Chiesa di Cristo costituisce una delle necessarie, prioritarie e irreversibili dimensioni dell’identità delle Chiese orientali cattoliche, nonostante le difficoltà e le fatiche del cammino ecumenico”. “Le Chiese orientali cattoliche intendono essere attivamente coinvolte nel dialogo di verità e di carità che la Chiesa cattolica svolge con le Chiese ortodosse”. (R.P.)

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Medio Oriente: a Gerusalemme crescono le tensioni

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Il premier Benjamin Netanyahu ha dato ordine di accelerare i piani per la costruzione di 1.060 nuove case a Gerusalemme est. Esse andranno a incrementare gli insediamenti di Ramat Shlomo e di Har Homa. La decisione del premier - riporta l'agenzia AsiaNews - è avvenuta sotto la pressione del partito Habayit Hayehudi, della destra religiosa, che ha minacciato di uscire dalla coalizione di governo.

La decisione di Netanyahu rischia di infiammare ancora di più la situazione a Gerusalemme, dove da giorni vi sono scontri fra esercito e manifestanti palestinesi. L'ultimo scontro è avvenuto ieri notte per i funerali di Abdel Rahman Shaludi, un palestinese 21enne ucciso dalla polizia il 22 ottobre scorso per aver lanciato la sua auto contro alcune persone in attesa del tram. Nello scontro - che Israele giudica un atto di terrorismo - è stata uccisa una bambina di tre anni e un'ecuadoriana, morta ieri in seguito alle ferite riportate.

Pur avendolo promesso, ieri la polizia non ha riconsegnato il corpo di Shaludi alla famiglia, che ha dovuto celebrare un funerale islamico simbolico senza la salma. La polizia aveva chiesto anche che i funerali avvenissero in forma strettamente privata e invece centinaia di palestinesi si sono radunati nella casa di Shaludi, nel quartiere di Silwan, a Gerusalemme est. Un gruppo ha poi tentato di schierarsi sulla vicina Spianata delle moschee. Da qui una serie di scontri con lanci di pietre e bottiglie Molotov da una parte e raffiche di mitra e gas lacrimogeni dall'altra. Almeno 21 persone sono rimaste ferite

Per controllare le violenze, il premier Netanyahu ha accresciuto di almeno mille elementi le forze di sicurezza presenti in città e accusa gli estremisti islamici, ma anche il Presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas, incapace di fermarli.

I leader palestinesi affermano invece che la violenza è causata dal fallimento degli sforzi di pace, dalla crescita degli insediamenti illegali e dai tentativi di garantire un luogo di preghiera per gli ebrei sulla Spianata delle moschee, un progetto cullato da molti estremisti ebrei.

Davanti a una situazione che s'incancrenisce sempre più, fra gli israeliani cresce il sospetto verso tutti i palestinesi con aspetti evidenti di razzismo. Dal mese prossimo, tutti i lavoratori palestinesi che vengono a lavorare in Israele, provenendo dalla Cisgiordania, non potranno più prendere gli stessi autobus utilizzati dagli israeliani e dovranno entrare e uscire dal passaggio di Eyal vicino a Qalqiliya, costringendoli a percorsi più lunghi e faticosi.

Forse per calmare gli animi, ieri il presidente israeliano Reuven Rivlin ha riconosciuto alcune ingiustizie passate e presenti di Israele verso gli arabi israeliani. Per la prima volta nella storia dello Stato, Rivlin ha partecipato a una commemorazione del "massacro di Kafr Oassem", avvenuto il 29 ottobre 1956. In quel giorno, la polizia israeliana ha ucciso 47 civili arabi israeliani per far rispettare un coprifuoco vicino a Tel Aviv.

"Non sono ingenuo - ha dichiarato Rivlin - e so che alcuni arabi israeliani s'identificano con le sofferenze dei palestinesi e che essi subiscono [atti di] razzismo in Israele". Egli ha anche chiesto a tutti gli arabi israeliani di "parlare contro la violenza e il terrorismo". (J.P.)

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Chiesa Tunisia dopo il voto: clima di speranza e fiducia

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“Si respira un’atmosfera di speranza e di fiducia. Il fatto stesso che le elezioni si siano svolte in maniera pressoché pacifica è motivo di soddisfazione per tutti” dice all’agenzia Fides padre Jawad Alamat, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) della Tunisia, dove ieri si sono tenute le elezioni legislative. La vigilia del voto era stata funestata dalla morte di sei persone, presunti estremisti islamisti, durante l’assalto della casa, alla periferia di Tunisi, dove si erano asserragliati rifiutando di arrendersi alle forze dell’ordine.

Padre Jawad nota che “rispetto alle elezioni del 2011, che erano le prime veramente libere e democratiche, i tunisini hanno fatto passi da gigante ed hanno capito una cosa importante: che esistono diversità nella società e che queste devono essere armonizzate nel rispetto reciproco per il bene comune in un ambito democratico”.

“È quello che avverto parlando con le persone comuni” continua il direttore delle Pom della Tunisia. “Esiste, è vero, la consapevolezza che ci sono delle crisi e dei problemi economici, che la sicurezza è minacciata da coloro che rifiutano il gioco democratico. Malgrado tutto questo, avverto prevalere l’ottimismo. Ho quindi l’impressione che siamo sulla buona strada per far sì che i tunisini rimangano fedeli allo loro storia di apertura e di dialogo” conclude padre Alamat. (R.P.)

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Egitto: proposta delle Chiese per nuovi edifici di culto

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La bozza di un disegno di legge sulla costruzione delle chiese, predisposta dai rappresentanti delle principali Chiese e comunità cristiane presenti in Egitto, è stata inviata la scorsa settimana al governo de Il Cairo. Lo confermano fonti egiziane all'agenzia Fides. Con tutta probabilità occorrerà attendere le prossime elezioni (previste per il 2015) e l'insediamento del nuovo Parlamento per vedere discussa e approvata una nuova legislazione sulla costruzione di edifici per il culto cristiano sul territorio egiziano.

“L'intenzione di fondo che ispira la nostra proposta - riferisce a Fides Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh e membro della commissione di lavoro interconfessionale che ha steso il testo – è facilitare l'applicazione di procedure snelle e chiare che dipendano solo dalla legge, e siano sottratte a ogni tipo di arbitrio”.

La bozza di legge è stata consegnata nelle mani del giudice Ibrahim al Heneidi, ministro pro tempore per la Giustizia e la Conciliazione nazionale, e verrà sottoposta a revisione da parte degli uffici del ministero. Si prevede che il testo di legge sia discusso a livello parlamentare durante le prime sessioni del nuovo parlamento, dopo essere passata al vaglio della Commissione legislativa per le riforme.

Secondo quanto riportato da fonti locali, nessun articolo della bozza collega la costruzione di chiese alla percentuale della popolazione cristiana presente nell'area, semplicemente perchè non esiste alcun censimento in grado di rappresentare con precisione la distribuzione dei battezzati sul territorio nazionale. Un articolo indica 60 giorni come termine entro il quale la richiesta di costruzione di una chiesa deve essere respinta. Trascorsi i 60 giorni, il progetto dovrebbe essere considerato come approvato, secondo il criterio del silenzio-assenso.

Secondo la proposta elaborata dalle Chiese presenti in Egitto, la concessione dei permessi per la costruzione dei luoghi di culto cristiano dovrebbe essere esercitata dalle autorità municipali locali, come accade per la costruzione di edifici privati, senza coinvolgere i livelli provinciali o nazionali dell'apparato amministrativo.

I vincoli burocratici che complicano la costruzione di nuove chiese risalgono in parte al periodo ottomano. Nel 1934, il Ministero dell'interno aggiunse le cosiddette “dieci regole”, che vietano tra l'altro di costruire nuove chiese vicino alle scuole, ai canali, agli edifici governativi, alle ferrovie e alle aree residenziali. In molti casi, l'applicazione rigida di quelle regole ha impedito di costruire chiese in città e paesi abitati dai cristiani, soprattutto nelle aree rurali dell'Alto Egitto. (G.V.)

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India: 40 radicali indù attaccano una comunità cristiana

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"Arresto immediato per i radicali indù responsabili del brutale e immotivato attacco contro 12 cristiani innocenti", compiuto il 25 ottobre scorso in Chhattisgarh. È quanto chiede alle autorità dello Stato indiano Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), in seguito all'ennesimo assalto dettato da false accuse di conversioni forzate.

L'aggressione - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuta nel villaggio Madota, nel distretto di Bastar, dove negli ultimi mesi si sono consumati numerosi episodi di persecuzione anticristiana. Ieri un gruppetto di fedeli aveva in programma una riunione con funzionari dell'amministrazione locale. Insieme dovevano discutere di un ricorso, presentato da gruppi cristiani della zona all'Alta corte di Bilaspur, contro il bando sui missionari cristiani emesso in alcuni villaggi del distretto.

I funzionari distrettuali e il sovrintendente della polizia non si sono presentati. Al loro posto, sono apparsi circa 40 militanti del Bajrang Dal (ala giovanile del movimento radicale indù del Sangh Parivar). Questi hanno aggredito con bastoni e pugnali i cristiani presenti, accusandoli di praticare conversioni forzate.

"A dispetto del nome - spiega ad AsiaNews Sajan George - il Chhattisgarh Freedom of Religion Act 1968 è una legge anticonversione, che viene ripetutamente sfruttata da gruppi fanatici indù per far arrestare e imprigionare i cristiani, in base ad accuse truccate". (N.C.)

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Convegno Orionino Internazionale delle Opere di Carità

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“In tutte le nazioni, anche dove il welfare è più progredito, ci sono tanti ‘poveri fuori legge’ (di previdenza) e per loro ci vorrà una ‘carità fuori legge’, fuori delle leggi della previdenza, cioè una carità gratuita, una divina provvidenza che interviene attraverso il cuore e la generosità dei cristiani”. Lo ha affermato il Superiore generale dei Figli della Divina Provvidenza (Opera Don Orione), don Flavio Peloso, durante il Convegno Orionino Internazionale delle Opere di Carità, appena concluso.

Sono stati presenti - riferisce l'agenzia Fides - 120 delegati arrivati da 34 nazioni, dove gli orionini sono impegnati in tre settori: quello socio-promozionale con 19 Case di accoglienza, 3 Case famiglia, 2 Centri di ascolto, 17 mense e 18 strutture di vario genere che impegnano oltre 600 volontari e assistono 8 mila persone e molte altre che ruotano attorno ad attività informali e non istituzionalizzate; quello socio-sanitario con 39 Piccoli Cottolenghi, 30 Case per anziani e lungodegenti, 19 Centri medico sanitari e 15 Centri di diverso genere impegnati in tale attività, assistendo circa 12 mila persone; quello scolastico-educativo con 123 Centri educativi che coinvolgono 317 volontari e accolgono oltre 100 mila studenti.

Nello spirito di Don Orione, che univa carità di “pronto soccorso” e di “promozione specializzata”, nel Convegno si è parlato anche di nuove iniziative e opere nelle frontiere e periferie dei poveri più sprovvisti. Il Padre Generale Don Flavio Peloso ha evidenziato le principali sfide che provocano una nuova inculturazione del carisma in tre direzioni: “verso nuove opere secondo i tempi nuovi, verso nuove modalità di operare, verso nuova identità (e formazione) di coloro che operano”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 300

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.