Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 26/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco all’Angelus: l’amore per Dio e per il prossimo è la misura della fede

◊  

“L’amore è la misura della fede, e la fede è l’anima dell’amore”: così il Papa stamane all’Angelus ricordando che “l’amore per Dio e l’amore per il prossimo” “sono le due facce di una stessa medaglia”. Il servizio di Roberta Gisotti

“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”, risponde Gesù - nel Vangelo domenicale - ad un dottore della Legge che lo interpella su quale sia “il grande comandamento”, quindi aggiunge “il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non li inventa Gesù questi due comandamenti – ha ricordato Francesco - li prende dai libri sacri del Deuteronomio e del Levitico. Ma c’è una novità.

“La sua novità consiste proprio nel mettere insieme questi due comandamenti – l’amore per Dio e l’amore per il prossimo – rivelando che essi sono inseparabili e complementari, sono le due facce di una stessa medaglia”.

E’ attraverso l’amore per i fratelli che il cristiano può testimoniare l’amore di Dio.

“Il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo è il primo non perché sta in cima all’elenco dei comandamenti. Gesù non lo mette al vertice, ma al centro, perché è il cuore da cui tutto deve partire e a cui tutto deve ritornare e fare riferimento”.

“Alla luce della parola di Gesù, - ha osservato Francesco - l’amore è la misura della fede, e la fede è l’anima dell’amore”.

“Non possiamo più separare la vita religiosa, la vita di pietà, dal servizio ai fratelli, a quei fratelli concreti che incontriamo. Non possiamo più dividere la preghiera, l’incontro con Dio nei Sacramenti, dall’ascolto dell’altro, dalla prossimità alla sua vita, specialmente alle sue ferite”.

Gesù apre una via nuova:

“In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni – ai legalismi di ieri e di oggi – Gesù opera uno squarcio che permette di scorgere due volti: il volto del Padre e quello del fratello”.

Anzi, un solo volto:

“... quello di Dio che si riflette in tanti volti, perché nel volto di ogni fratello, specialmente il più piccolo, fragile e indifeso, è presente l’immagine stessa di Dio”.

Dopo la preghiera mariana, Francesco ha reso omaggio alla memoria di madre Assunta Marchetti, coofondatrice delle Suore missionarie scalabriniane di S. Carlo Borromeo, beatificata oggi Brasile, dove si era trasferita dalla Toscana nel 1895, a soli 24 anni, seguendo l’invito del fratello sacerdote Giuseppe, modello di “coraggiosa dedizione nel servizio alla carità”.

“Era una suora esemplare nel servizio agli orfani degli emigranti italiani; lei vedeva Gesù presente nei poveri, negli orfani, negli ammalati, nei migranti”.

Un saluto particolare, tra i numerosi fedeli in piazza San Pietro, è andato alla comunità peruviana di Roma, presente con la sacra immagine del Senor de los Milagros.

inizio pagina

Cardinale Parolin: la fede cristiana è la radice spirituale d'Europa

◊  

“L’Europa contemporanea ha un immenso bisogno dell’umile e forte carisma benedettino”: così il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin celebrando, nel Monastero di Montecassino, i vespri nel 50.mo anniversario della proclamazione di San Benedetto a Patrono Primario d’Europa, stabilita dal beato Paolo VI. Il servizio di Benedetta Capelli

Paolo VI e Montecassino avevano un particolare legame. Papa Montini fin da giovanissimo – ricorda il card. Pietro Parolin – sentiva tra le mura dell’abbazia “una pace vera”, “attiva e feconda” ed il segreto era nel carisma stesso di san Benedetto.  “Le mura severe, magnifiche, tranquille, non sono che il segno visibile – afferma il porporato - di una virtù interiore, quella pace che a sua volta è frutto di una fedeltà al carisma benedettino”. E’ dunque nell’orizzonte monastico della sensibilità spirituale di Paolo VI che va ricercato il motivo che spinse, 50 anni fa dopo il drammatico bombardamento del febbraio del 1944, a consacrare personalmente la nuova Basilica e nell’occasione a proclamare san Benedetto, patrono d’Europa.

Secondo il segretario di Stato vaticano, Papa Montini era “un monaco del cuore”, da sempre affascinato dalla vita monastica che era “scoperta della bellezza della preghiera”. Proprio il silenzio, la pace, la preghiera erano per Paolo VI le risposte al frastuono, all’esteriorità dell’uomo dei suoi tempi e per questo invocava la necessità di “riaffacciarsi al chiostro benedettino”. Due erano gli obiettivi sui quali, per lui, plasmare l’Europa: la fede e l’unità spirituale dei popoli europei, radicata nel Vangelo.

E San Benedetto era modello di questo perché – sottolinea il card. Parolin – era “pacis nuntius”, aveva come strumenti di unità e di evangelizzazione tra popoli differenti: la Croce, il libro e l’aratro; vere e proprie basi per l’Europa unita. Paolo VI diceva che con la Croce, con la legge di Cristo, Benedetto cementò l’unità spirituale perché i popoli diversi si sentivano l’unico popolo di Dio. Con il libro, e quindi con la cultura, salvò la tradizione classica degli antichi, restaurando il culto del sapere. Infine fu con l’aratro, con il suo “ora et labora”, che elevò la fatica umana.

“La fede cristiana – afferma il porporato - ha promosso l’umanità, rivelandosi come sua autentica radice spirituale”. Vale per il passato dell’Europa ma anche per il futuro. “Il carisma monastico, con la sua eredità spirituale può infatti contribuire magnificamente anche oggi, in Europa e fuori dai suoi confini, a tracciare la strada verso un umanesimo integrale”. “L’Europa contemporanea ha un immenso bisogno dell’umile e forte carisma benedettino – aggiunge - a partire dal riconoscimento del primato a Cristo e con l’osservanza della sua “Regola”. Oggi si può da qui  “offrire a tutti la rinnovata consapevolezza delle comuni radici cristiane del continente” e portare chi è disorientato “verso la bellezza della preghiera e la gioia che emana da una vita donata a Dio”.

Infine il card. Parolin, al termine dell’omelia, ha fatto cenno al recente provvedimento adottato dal Papa riguardo la nuova configurazione dell’Abbazia territoriale di Montecassino. “Si tratta – ha detto - di una misura che trova chiaro riferimento nelle indicazioni del Concilio Vaticano II e nel Motu Proprio “Catholica Ecclesia” del 1967 ed intende esprimere la sollecitudine apostolica per l’Abbazia, garantendone un quadro giuridico più consono alla vita monastica e favorendo una cura pastorale più rispondente alle esigenze del mondo attuale”.

Viva riconoscenza della Santa Sede poi è stata espressa per tutti gli abati che in passato hanno guidato l’Abbazia, al termine dell’omelia una preghiera per l’Europa perché, attraverso san Benedetto, “possa ritrovare i suoi ideali e nuovo slancio e vigore per affrontare le sfide attuali”.

inizio pagina

Come prega un Santo: il racconto di un collaboratore di Karol Wojtyla

◊  

Giovanni Paolo II era un mistico che credeva nella forza della sua preghiera. Così, il vaticanista polacco Wlodzimierz Redzioch descrive Karol Wojtyla di cui è stato a lungo collaboratore. Intervistato da Rosario Tronnolone - in occasione della prima Festa di San Giovanni Paolo II, lo scorso 22 ottobre - Redzioch si sofferma proprio sulla dimensione della preghiera in Papa Wojtyla: 

R. - Non si può capire Giovanni Paolo II senza parlare della preghiera, senza parlare di lui come di un mistico, perché Giovanni Paolo II aveva un rapporto mistico con il Signore. Le prime volte che andavo nella cappella privata per la Messa e vedevo il Papa sull’inginocchiatoio, era per me una cosa sconvolgente: lui pregava con tutto il corpo, con la mimica del viso; qualche volta alzava anche la testa in alto, come se vedesse qualcuno, come se conversasse con qualcuno. Sull’inginocchiatoio aveva un plico di appunti: erano la richieste delle persone, che chiedevano le cose concrete… Il Papa pregava non in modo astratto, ma per le cose concrete, richieste dalle persone. Una volta un suo collaboratore ha trovato una doppia pagina dell’edizione polacca de “L’Osservatore Romano” con il grafico della Curia e con tutti i nomi dei collaboratori della Curia e ha chiesto al Papa a cosa servisse, pensando che il Papa studiasse l’organigramma vaticano: il Papa candidamente ha detto: “Ma io, ogni giorno, prego per ognuno di voi!”.

D. - C’è un aspetto della sua santità che vorresti segnalare?

R. - Il primo, la sua povertà. Per tutta la vita la famiglia Wojtyla è stata povera, anche quando da giovane Wojtyla diventò sacerdote non aveva niente. La cosa più importante è che lui non teneva alle cose materiali. Quando stava nel Palazzo di Cracovia, nel Palazzo della Curia, o nel Palazzo Pontificio usava le cose, ma di personale non aveva niente… Un altro aspetto è il misticismo di Karol Wojtyla: è molto difficile parlare della vita mistica, perché sono cose così profonde, così intime. Ho pensato che sarebbe possibile avvicinare Wojtyla mistico attraverso la sua poesia. E perché proprio attraverso la sua poesia? Perché qualsiasi altro scritto - i documenti, le Encicliche, le omelie e qualsiasi altro scritto - è indirizzato a qualcuno. Wojtyla era anche un poeta e le poesie le scrive per se stesso: la poesia è uno sfogo dell’anima. Se vogliamo capire Karol Wojtyla mistico dovremmo leggere e rileggere le sue poesie.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Elezioni politiche in Ucraina: favorito il partito di Poroschenko

◊  

Occhi puntati sull’Ucraina, oggi al voto per le cruciali elezioni parlamentari. 34 milioni gli aventi diritto chiamati a scegliere i propri rappresentanti nel Parlamento di Kiev. In questa tornata sono escluse la Crimea e le zone controllate dai ribelli filorussi nelle regioni di Donetsk e Lugansk, dove si terranno elezioni autonome per il 2 novembre. Intanto a sorpresa il presidente Poroshenko ha visitato proprio le regioni del Donbass. Cecilia Seppia

A otto mesi dalla rivolta di Piazza Maidan, l'Ucraina cerca di cambiare pagina con le elezioni di oggi volte a rinnovare il Parlamento dopo la cacciata del presidente Viktor Yanukovych, ma è ancora stretta nella morsa della Russia per il controllo del Sud-est e in bilico per la questione dell’approvigionamento del gas. Favorito dai sondaggi è il partito dell’attuale capo di stato Petro Poroshenko, che ha tra i suoi maggiori alleati il sindaco di kiev, Vitali Klitschko. Segue il Partito radicale dell’ultranazionalista Oleh Lyashko con il 10-12% delle preferenze, tallonato dal Fronte popolare del primo ministro Arseni Yatseniuk e da Patria, il partito dell’ex premier Yulia Tymoshenko, uscita dal carcere a febbraio. Ma tutto è ancora da decidere. Di fatto i 34 milioni di aventi diritto dovranno scegliere chi siederà nella Rada, il Parlamento ucraino, composto da 450 seggi assegnati per metà con il proporzionale e metà con il maggioritario. A restare vuote, per oggi sono le urne della Crimea, annessa a Mosca da marzo e quelle delle zone controllate dai ribelli filorussi nelle regioni orientali di Donetsk e Lugansk, che hanno convocato elezioni autonome, sia parlamentari sia presidenziali per il 2 novembre. A Donetsk si registrano tra l’altro le maggiori tensioni di un conflitto che è già costato la vita ad oltre 3 mila persone: l'ultima vittima ieri un soldato ucraino. La domanda che tutti si pongono, però, è se il nuovo Parlamento oltre alla stabilità, riuscirà a varare le riforme economiche e costituzionali necessarie per il Paese, la cui economia è al collasso, con un calo del Pil tra il 7% e il 10% previsto per quest'anno.

inizio pagina

Presidenziali in Brasile: partita aperta tra Rousseff e Aécio Neves

◊  

Domenica di voto in Brasile, dove oltre 140 milioni di elettori sono chiamati a scegliere il presidente che, sino al 2018, governerà il Paese. I due sfidanti in questo ballottaggio sono la presidente uscente, Dilma Rousseff, del Partito dei lavoratori di centro-sinistra e Aécio Neves del Partito socialdemocratico di centro-destra (Psdb). Gli ultimi sondaggi danno in leggero vantaggio Rousseff ma la sfida resta aperta e sull’esito peseranno anche lo scandalo corruzione che ha investito la Petrobas, maggiore industria petrolifera del Paese.  Per sapere come il Brasile arriva a questo appuntamento elettorale Marco Guerra ha intervistato, Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi): 

R. – Arriva con due candidati dei Partiti che hanno retto il Paese negli ultimi 20 anni: sono un candidato del partito dei lavoratori al governo, Dilma Rousseff, ed un candidato del partito di centrodestra, il Psdb, che aveva espresso anni fa il presidente Cardoso. Due partiti che hanno accompagnato la crescita e l’avanzamento economico e politico – in termini di prestigio – del Paese in questi anni, e che hanno agende diverse e che per questo rappresentano un’alternativa forte per elettori che potranno scegliere, quindi, tra due visioni diverse del Brasile del futuro. Chiunque vinca - e ad oggi non lo sappiamo, visto che i sondaggi danno in parità tecnica i due candidati -  raccoglierà un’eredità pesante: un Paese più polarizzato, più diviso che in passato, tra il 50 per cento che pensa ad una ricetta di sinistra e un 50 per cento che pensa ad un modello più tradizionale e liberale; un Paese più polarizzato e comunque con governi – chiunque vinca – più deboli di prima: saranno governi di coalizione, composti da tanti partiti, e fare le riforme necessarie per riprendere la crescita non sarà facile.

D. – Quali sono stati i temi al centro della campagna elettorale? Secondo molti analisti, l’agenda è stata dettata anche da questa nuova classe media emergente …

R. – La lotta alla povertà è stata il tema centrale degli ultimi 12 anni di governi, con risultati positivi che sono stati valutati anche dalle Organizzazioni internazionali come molto positivi. Parliamo di decine di milioni di persone uscite dalla povertà, di una riduzione del 90 per cento della denutrizione, del miglioramento degli indici scolastici. Questo è il nuovo Brasile che si presenta al voto. In questo nuovo Brasile c’è un ceto medio che prima non c’era, che adesso è la maggioranza della popolazione; un ceto medio che ha visto il reddito crescere e quindi ha una situazione economica migliore; ma non ha visto la condizione sociale migliorare molto: infatti, scuole, trasporti e sanità funzionano ancora a livello di terzo mondo. Questo ha originato le proteste durante i mondiali, e questo tema è stato centrale nella campagna. Entrambi i partiti propongono miglioramenti in questi tre settori – educazione, sanità e trasporti – e la domanda è: con quali soldi? visto che l’economia in questi ultimi due anni ha rallentato in modo significativo.

D. – C’è stata una frenata? E’ ancora uno dei motori dell’economia mondiale, il Brasile?

R. – Il Brasile, da decenni ha tutte le carte in regola per essere uno dei motori dell’economia mondiale: ha una popolazione giovane, ha risorse naturali, è un Paese enorme con grandissime potenzialità. Negli anni tra il 2000 e il 2010 ha avuto passi di crescita del 4 per cento all’anno, soprattutto perché ha cavalcato l’onda della grande domanda di materie prime dell’economia mondiale, soprattutto della Cina. Negli ultimi anni, questa domanda di materie prime è rallentata e in secondo luogo sono emerse politiche protezionistiche e poco amichevoli nei confronti del business, che hanno rallentato investimenti e l’attività produttiva. Quello che è certo è che non può continuare con i tassi di crescita asfittici degli ultimi mesi e dell’ultimo anno: siamo allo 0,9% – 1% circa, e non è sufficiente per un Paese delle dimensioni del Brasile.

D. – L’esito del voto in Brasile potrebbe spostare anche gli equilibri sullo scacchiere sudamericano …

R. – La politica del governo uscente, soprattutto con Lula, è stata una politica anzitutto di forte cooperazione sud-sud, antagonista alla presenza americana in America Latina e anche con forti legami con l’Africa; una politica che chiaramente era vicina a quella di alcuni governi di sinistra dell’America Latina e anche di stampo populista, del Venezuela e dell’Argentina. Ma quello che è importante sottolineare è che comunque il Brasile, tra l’iberismo del pacifico e il populismo di altri Paesi, ha anche giocato un ruolo di mediazione: era un po’ la terza via, attento ai bisogni dei poveri ma anche attento al mercato. Se vincesse il partito di centrodestra, avremmo un nuovo Paese in America Latina – oltre al Cile, oltre al Perù, oltre al Messico – che guarda a ricette ortodosse liberiste con maggiore priorità.

inizio pagina

Tunisia al voto per il rinnovo del Parlamento: 90 partiti in lizza

◊  

Oggi la Tunisia alle urne per il rinnovo del Parlamento. Quasi 5 milioni i tunisini chiamati ad esprimere la loro preferenza per eleggere i 217 membri dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, scegliendo tra 90 partiti in lizza e 1500 liste. Il Paese nordafricano, che per primo visse tra il 2010 e il 2011 i rivolgimenti della “primavera araba” con la destituzione del presidente Ben Alì, è adesso alle prese con un complicato processo di stabilizzazione. Ennahda, il partito al potere, che si ispira ad un Islam moderato, costituisce per ora un baluardo importante contro il jihadismo. Su questi aspetti, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto dell’area nordafricana: 

R. - Sicuramente c’è una società un po’ disincantata, dopo le speranze dell’inizio della cosiddetta “primavera araba”. Ci sono stati, nell’ultimo mese di campagna elettorale, degli episodi e delle tensioni, ma sostanzialmente non ci si aspettano dei grandi cambiamenti da queste elezioni e non si vedono partiti in grado di mantenere tutto ciò che durante la campagna elettorale è stato detto.

D. - Il Partito Ennahda, che si ispira ad un Islam moderato - e che secondo i sondaggi dovrebbe riconfermarsi alla guida del Paese - potrebbe costituire un ostacolo efficace all’arrivo, anche in Tunisia, del fondamentalismo jihadista?

R. - Sicuramente Ennahda si pone su un altro crinale del fondamentalismo: è un fondamentalismo che ha fatto la scelta del Parlamento e anche di governo. Naturalmente le tensioni, che già nella precedente esperienza di Ennahda ha fatto nascere, hanno fatto sì che un fondamentalismo terrorista, anche se sottotraccia, si sia sviluppato all’interno del Paese, grazie anche al fatto che nella vicina Libia c’era la dissoluzione del regime di Gheddafi e quindi ci sono stati dei passaggi di terroristi da un Paese all’altro. Questo costituisce oggi per la Tunisia uno dei grossi problemi per il proprio futuro.

D. - Di fronte alla crisi innescata dall’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e Siria, la Comunità internazione potrebbe chiedere l’apporto di Paesi arabi e tra questi proprio la Tunisia?

R. - Credo che in questo momento la Tunisia, pur con la sua fragilità istituzionale - vedremo anche tra un mese, quando ci sarà il 23 di novembre il primo turno per le elezioni presidenziali - sia certamente un baluardo contro la diffusione della jihad e del terrorismo. Non so se il Paese sia in grado oggi di impegnarsi oltre, al di là di una diplomazia così attiva, per fermare eventuali attentati terroristici che si dovessero svolgere altrove o anche nella stessa vicina Libia. Credo che la Tunisia abbia in questo momento soprattutto l’interesse a uscire dalla crisi sociale ed economica che l’accompagna da diversi anni.

inizio pagina

Università di Perugia: conferenze su dialogo interreligioso

◊  

Le situazioni di crisi internazionale e le iniziative di dialogo che interpellano religioni e culture del nostro tempo. Questo al centro di una serie di conferenze in corso all’Università per stranieri di Perugia. Protagonista anche la Comunità di S. Egidio con il presidente Marco Impagliazzo. Gabriella Ceraso gli ha chiesto come immaginare il futuro in uno scenario internazionale cosi difficile, specie in area mediorientale: 

R. – Io vedo un futuro, innanzitutto, in quanto cristiano, perché sono sempre mosso e orientato dalla speranza; ma, anche perché, a partire dal 1986 - quando Giovanni Paolo II convocò ad Assisi i leader delle religioni mondiali, per pregare per la pace – c’è stato realmente un cambiamento: le religioni, molte personalità e leader, si sono uniti sempre di più per portare avanti un discorso di pace e togliere qualsiasi motivazione religiosa all’uso della violenza.

D. – Interpellare le religioni e le culture, chiamarle a confrontarsi. È questa la cosa più urgente in queste ore, in cui il mondo parla di Stato Islamico e parla di califfato?

R. – Sì, nel senso che – come dice Papa Francesco - noi siamo in una condizione di Terza Guerra Mondiale, se pure a pezzi e dobbiamo unire veramente tutte le forze: le società contemporanee sono società in cui si vive insieme, penso soprattutto al Nord del mondo ma non solo, perché oggi le migrazioni sono anche verso il Sud del mondo e si vive tra diversi. Quindi, o si lavora per un’unità, oppure realmente questa condizione di guerra sarà perenne. Religioni e culture sono sfidate nella loro essenza, nel loro dna per tirare fuori tutto ciò che c’è di pacifico in loro e per diffonderlo nel mondo.

D. – Quale sarà la cultura del futuro, se funzionerà questo dialogo...

R. – Bisogna avere la capacità di entrare in dialogo per portare avanti il bene comune...

D. – Il Pontificato di papa Francesco, in questo contesto, come sta aiutando l’uomo di oggi?

R. – Ci aiuta sempre ad uscire, cioè a non chiuderci in noi stessi. Nel tempo della globalizzazione, in cui siamo in contatto con tutto il mondo, c’è però una parte negativa, quella della chiusura dell’uomo e della donna in loro stessi, nelle proprie culture ristrette, per paura di un mondo più grande. La domanda di uscire da se stessi, che il Papa ci pone, è la grande domanda per non avere paura dell’alto, anzi per andargli incontro in maniera amichevole e sincera.

inizio pagina

“Nella precarietà la speranza”. Mons. Galantino: superare egoismi e puntare a famiglia

◊  

“In tempo di precarietà c’è speranza se si superano gli individualismi e si recupera la centralità della famiglia, come soggetto produttivo economico e di valori”. Così mons. Nunzio Galantino, segretario generale dei vescovi italiani, intervenendo ieri, a Salerno, nel corso del Convegno organizzato dalla Cei, dal titolo “Nella precarietà la speranza”. Lo ascoltiamo al microfono di Elvira Ragosta: 

R. – Io penso che la precarietà possa essere letta anche dal versante positivo, nel senso che crea più disponibilità ed anche, qualche volta, la necessità alla disponibilità. La risposta alla domanda se in questo contesto c’è speranza: io penso proprio di sì. Ripeto: non per buttarla sullo spiritualistico; ma c’è speranza, però, soprattutto se tutte queste realtà le lasciamo passare attraverso il superamento degli individualismi sfrenati che oggi da una parte e dall’altra la fanno da padrone. E soprattutto, se si riesce a recuperare una seria centralità della famiglia in quanto soggetto permanente e produttivo, non soltanto sul piano materiale, economico ma produttivo anche sul piano dei valori, che sono quelli che poi sostengono una società sana.

D. – Oggi la famiglia sembra essere quasi un ammortizzatore sociale, proprio per quelle realtà di precariato estremo …

R. – Lo è, lo è … E’ un ammortizzatore sociale: ma non è questa la natura della famiglia. La natura della famiglia è, invece, quella di essere produttiva, non di essere un ammortizzatore sociale. Quindi dobbiamo veramente augurarci che ci si metta tutti insieme per recuperare questo ruolo originario, creativo e produttivo della famiglia.

D. – Sono state tante le testimonianze da parte di giovani e di famiglie da tutta Italia, dei loro progetti anche per superare le difficoltà. Lei ha ricordato: “La Chiesa, però, non può essere supplente di quelle situazioni …”

R. – Sì, perché il ruolo della Chiesa non è quello di essere supplente; la Chiesa è chiamata per fare delle proposte positive, creative, interessanti. Il ruolo di supplenza può valere per un po’ di tempo, ma non può diventare l’altra natura della Chiesa, perché non è questo il compito della Chiesa. L’essere ‘supplenti’ non fa piacere, non deve far piacere a nessuno perché la supplenza di per sé non fa crescere il supplito, assolutamente; e soprattutto, non attiva meccanismi positivi forti, nuovi, creativi per risolvere questi problemi.

inizio pagina

Famiglie in difesa della scuola attaccata da ideologie gender

◊  

“Le famiglie devono essere attente e difendersi dalle ideologie”. Così il giornalista e scrittore Mario Adinolfi interviene sui contenuti dell’opuscolo di Amnesty International “Scuole Attive contro l’omofobia e la transfobia”. Il testo, pensato per la scuola italiana, che contiene una guida specifica per docenti, secondo Adinolfi, piega il concetto stesso di diritto umano, all’ideologia del gender. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. - Il primo concetto che esprime è: non esiste alcun legame tra sesso e genere, cioè siamo dentro all’ormai arcinota ideologia del gender. L’altro passaggio, a mio avviso estremamente preoccupante, che la guida di Amnesty International afferma è che i diritti delle persone Lgbt, tra cui matrimonio e adozione di minori, sono diritti umani. Queste sono affermazioni stampate nero su bianco nella guida. Quindi chi è contrario, ad esempio, al matrimonio omosessuale, è dunque contro un diritto umano ed è dunque omofobico.

D. - Ricordiamo che cosa vuol dire la parola omofobia…

R. - Omofobia e transfobia ormai sono parole di una neolingua: vorrebbe dire avere paura, in termini propri avere un fastidio e una sensazione negativa nei confronti dell’omosessuale. Questa è la traduzione - diciamo - della parola omofobia. Ovviamente le persone che sono contrarie al matrimonio omosessuale, nella stragrande maggioranza dei casi non hanno alcun problema con l’omosessualità, non hanno alcuna forma di astio nei confronti delle persone omosessuali: semplicemente sono contrari - come io sono contrario - ad una organizzazione della società che preveda il matrimonio omosessuale e le sue dirette conseguenze. Questo vuol dire che io sono omofobo? Secondo l’opuscolo di Amnesty International e secondo il progetto di Amnesty International - che non è isolato tra l’altro all’interno della scuola italiana - la risposta a questo quesito è sì.

D. - Il manuale di Amnesty International comunque si inserisce nelle linee guida per la scuola, varate dal Governo Monti…

R. - Sono in atto una serie di passaggi, dal 2012 ad oggi - quindi due anni di attività - che hanno avuto origine dai noti libretti dell’Unar, in cui si tentava di stravolgere persino gli impianti delle fiabe o dei problemi che le insegnati danno da risolvere ai bambini delle elementari: bisognava dire che papà e papà vanno a comprare sette lattine di tea a due euro l’una ... La modifica è stata già tentata…

D. - Quei libretti poi sono stati ritirati…

R. – Certo e questo è il passaggio più importante: se si risponde con consapevolezza e se i papà e le mamme agiscono e non delegano e soprattutto non accettano la delega alle associazioni Lgbt, che devono andare a spiegare che cosa è l’omofobia: Lgbt sta per lesbiche, gay, bisessuali, transessuali. Mi chiedo: possono essere le associazioni delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali, dei transessuali ad andare a spiegare cos’è l’omofobia? Ovvero a chi deve propagandare il matrimonio gay, gli facciamo dire che se si è contro il matrimonio gay si è omofobo.  Veramente occhi aperti, perché siamo dentro un’emergenza reale e culturale e questa emergenza la pagano interamente i nostri figli.

D. – Seguendo queste linee Lgbt nella scuola italiana vengono proposti corsi, ad esempio, sull’educazione all’affettività, o alla sessualità…

R. - Certo. C’è anche il corso contro il bullismo, che ormai nella scuola italiana è solo bullismo omofonico. Ragioniamo sul bullismo; facciamo discussioni sull’accettazione della diversità, come è ovvio… Ma attenzione: il bullismo non è solo omofobia! I genitori devono sapere che dietro questi corsi, che ogni tanto vengono proposti, ci possono essere questioni delicate che vanno affrontate con grande coscienza; dunque, i genitori devono stare con gli occhi aperti, dovrebbero possibilmente farsi carico - quando è possibile - anche del ruolo di rappresentanti di classe nella propria realtà scolastica, di interlocuzione costante con i docenti. Sapendo che molto spesso si ha a che fare con docenti più che ragionevoli. Allora attenzione al linguaggio: il linguaggio è un elemento nodale. Attraverso questa neolingua si cerca di far passare qualcosa che è assolutamente fuori dalla razionalità delle cose. Quando magari vi sottopongono il modulo con sopra scritto “genitore 1” e “genitore 2”, tirate una riga e scrivete “madre” e tirate un’altra riga e scrivete “padre”.

D. - Perché è così difficile affrontare questi temi con una certa serenità? E’ di pochi giorni fa l’assalto nei confronti delle Sentinelle in piedi che pacificamente manifestavano il loro dissenso per quella che viene definita la “Legge Scalfarotto”…

R. - Molto faticoso perché c’è una inversione della realtà. Una protesta che viene fatta in piedi, con un libro, leggendo, in maniera silenziosa per un’ora è stata descritta come una protesta violenta… E’ ovviamente incredibile! E’ una inversione della verità, un ribaltamento assoluto del meccanismo logico: le vittime sono state descritte come carnefici. Da questo punto di vista io credo che dobbiamo fare uno sforzo in più tutti per dire con le parole giuste e rispettose dell’incontro con l’altro e con l’opinione dell’altro, ma parole giuste anche per affermare posizioni serie, rigorose, logiche. Ricordiamo sempre che quando noi diciamo “il matrimonio è fondato sull’unione tra un uomo e una donna” stiamo parlando e difendendo lo spirito alla lettera della Costituzione Italiana e delle leggi italiane.

D. - Il 13 gennaio lei darà vita ad un quotidiano: la testata si chiamerà “La Croce”. Come nasce questa sfida? Perché?

R. - Verranno trattati i temi che abbiamo affrontato prima: omofobia, transfobia, matrimonio omosessuale, ma anche utero in affitto, eutanasia, aborto; temi che, a mio avviso, sono diventati centrali. Nel dibattito italiano di questo momento credo serva una voce “libera”, capace di alzare - dal punto di vista proprio della parola scritta - una qualche dimensione dialettica nei confronti di coloro che ci spiegano, ogni giorno, che è invece inevitabile andare verso un orizzonte in cui le persone “ridiventano cose”. Noi abbiamo voglia di fare il controcanto. “La Croce” perché è segno in cui l’umanità dolente si specchia, ma si specchia avendo dentro la speranza di una resurrezione.

inizio pagina

Fondazione Pangea: un'opportunità per oltre 40 mila donne

◊  

Oltre 40 mila donne, dal 2003 ad oggi, hanno avuto l’opportunità di accedere a programmi di microcredito e microfinanza in Afghanistan, Nepal, India e non solo, cogliendo un’opportunità di vita in contesti spesso di guerra, povertà, discriminazione, anche di genere. È il quadro che emerge dal rapporto di Pangea Onlus, sui 12 anni di attività internazionale della fondazione. Il microcredito, nato e sviluppatosi in Bangladesh, per iniziativa del Premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, si è successivamente diffuso, anche a causa del crescente disagio sociale, in città europee e statunitensi. Dell’esperienza di Pangea, parla la vicepresidente Simona Lanzoni, intervistata da Giada Aquilino

R. - Sono programmi che nascono come progetti di microfinanza, in un’ottica di sviluppo della persona nel suo complesso. Perché non bastano i soldi per uscire dalla malnutrizione e dall’ignoranza, come non basta conoscere i propri diritti senza poterli implementare, perché non ci sono i soldi per vivere. Quindi quello che cerchiamo di fare, attraverso i progetti di Fondazione Pangea, è proprio avviare piccoli crediti, piccoli prestiti, spingendo dapprima le persone a risparmiare e poi ad accedere a piccoli crediti per aprire imprese che possono crescere nell’arco degli anni, per poter sostenersi. Allo stesso tempo, però, chiediamo alle donne di cui ci occupiamo di impegnarsi anche in un altro tipo di percorso parallelo, che non è semplicemente economico, ma permette loro anche l’inclusione sociale. Sono, quindi, percorsi di alfabetizzazione, di formazione per diventare imprenditrici, per conoscere come si diversificano le attività economiche, per capire come si può contrastare la violenza che si subisce in famiglia o all’interno di una società, per imparare i propri diritti. Tutto ciò permette alle donne di fare un percorso di acquisizione di ulteriori capacità, di potenziamento dei propri talenti, per poter riuscire ad essere delle persone che in grado di trasformare non solo se stesse, ma la propria famiglia e la comunità.

D. - Dal vostro rapporto “Donne: ripartire da sé: la microfinanza di Fondazione Pangea come strumento per uscire dalla povertà, attraverso un processo di empowerment” emerge un po’ quello che significa investire sulla donna, soprattutto in Paesi in difficoltà...

R. – Si tratta in generale di investire sulle donne in tutti i Paesi, perché è stato dimostrato da vari studi che, anche in posti come l’Europa, come l’Italia dove comunque i mercati sono maturi, sia dal punto di vista lavorativo sia dell’educazione – molto spesso pensiamo di avere già ottenuto tutto, anche a livello di diritti – comunque ci sono tutt’oggi diseguaglianze di genere molto forti. E il fatto che le donne possano partecipare all’economia, alla finanza, genera automaticamente, non solo più posti di lavoro, ma anche una condizione di benessere maggiore.

D. – Avete il progetto Jamila in Afghanistan, uno per le donne disabili negli slum di Calcutta; in Italia di cosa vi occupate? E’ un progetto in via sperimentale?

R. – E’ un progetto in via sperimentale, perché in passato abbiamo lavorato con donne vittime di violenza e oggi stiamo lavorando con donne che hanno difficoltà semplicemente ad accedere al credito e quindi non hanno per forza un percorso di vulnerabilità alle spalle. La vera vulnerabilità, in questo momento, è vivere la crisi. Tutto il sistema bancario classico ha chiuso i ‘rubinetti’ del credito. E si devono affrontare molte più difficoltà. Ci vuole, dunque, una fortissima determinazione, ma ci vuole anche un accompagnamento.

D. – In tanti anni di impegno in tutto il mondo, ricorda una persona che è stata coinvolta in uno dei vostri progetti e che l’ha colpita particolarmente?

R. – Ce ne sono tante, in ogni Paese ce n’è qualcuna. Mi ricordo una donna, in Afghanistan, che ha cominciato con una macchina da cucire, poi ha aperto un atelier all’interno di un ospedale ed è arrivata a cucire i camici di tutto il personale ospedaliero. Oppure ricordo una ragazza, che non ha l’uso delle gambe, che fa parte di un gruppo di risparmio e di credito in India, a Koppal, che oggi è diventata la responsabile contabile di una banca distrettuale, dove ci sono oltre 13 mila donne e otto cooperative di donne che utilizzano e che accedono al credito, grazie anche al suo lavoro.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Ebola: superati i 10 mila casi. La Mauritania chiude le frontiere.

◊  

Sono stati superati i 10 mila casi accertati di contagio di Ebola dall’inizio dell’epidemia in Africa occidentale, 4.922 invece i morti registrati. Sono gli ultimi dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità che precisa: solo 27 casi e 10 vittime si registrano fuori da Sierra Leone, Liberia e Guinea, ovvero i Paesi più colpiti. Intanto la Mauritania ha blindato le frontiere, dopo la prima vittima e 50 persone poste in osservazione, nel vicino Mali. Mentre in America, con il primo caso a New York, è stata imposta la quarantena ai viaggiatori a rischio. Il presidente statunitense Obama però continua a rassicurare: “l’Ebola, non si prende facilmente. Dobbiamo farci guidare dalla scienza, non dalla paura”. (C.S.)

inizio pagina

Nuovo video dell’Is. Raid in Siria: 25 morti

◊  

Nuovo video dello Stato islamico con l'ostaggio inglese John Cantlie. Un filmato di oltre 6 minuti che mostra l’uomo con la tuta arancione dei detenuti di Guantanamo, mentre accusa i governi di Usa e Gran Bretagna per aver lasciato soli gli ostaggi e per non aver saputo negoziare coi miliziani. Poi parla delle condizioni di prigionia definendole “accettabili” e della strategia dell’Is a lungo termine per catturare occidentali entrati in Siria. La diffusione dell’ennesimo video avviene nel giorno in cui, con l’aiuto dei raid della Coalizione internazionale, le forze curde irachene sono riuscite a strappare ai jihadisti il controllo della città di Zumar, mente le forze governative irachene e le milizie sciite loro alleate, hanno conquistato una località strategica a sud di Baghdad, che da luglio era in mano ai guerriglieri dello Stato islamico. Tra ieri e oggi, sono stati effettuati 22 raid in Iraq e in Siria, contro le postazioni dell’Is, anche a Kobane, cittadina al confine con la Turchia. In Siria proseguono anche i bombardamenti del regime di Damasco: 25 i civili uccisi ad Homs, tra cui 11 bambini. (C.S.)

inizio pagina

Mo: rinviati i colloqui tra Hamas e Israele su tregua duratura a Gaza

◊  

I colloqui indiretti fra Hamas ed Israele per una tregua duratura a Gaza, che dovevano riprendere domani al Cairo, sono stati rinviati a data da stabilirsi. Lo ha reso noto oggi Fawzi Barhum, un portavoce di Hamas, secondo cui le autorità egiziane, impegnate nella mediazione tra le parti, non hanno dato spiegazioni. Radio Gerusalemme ha confermato la notizia. Intanto altri 1.000 agenti israeliani sono stati dislocati a Gerusalemme est per mantenere l’ordine pubblico nei rioni palestinesi, da settimane in fermento. Oggi c'è stato anche l’intervento del presidente dello Stato ebraico Reuven Rivlin che ha commemorato - esprimendo anche parole dure di condanna - le 49 vittime arabe di un eccidio a Kafr Qassem perpetrato nel 1956 dall’esercito d’Israele. “Un crimine grave – ha detto Rivlin - è avvenuto qui. Furono impartiti ordini illegali, sui quali sventolava una bandiera nera”. (C.S.)

inizio pagina

Indonesia: Chiesa lancia una Conferenza interreligiosa

◊  

Centinaia di esponenti delle sei religioni riconosciute in Indonesia (musulmani, cattolici, protestanti, buddisti, indù e confuciani), parteciperanno a una conferenza di tre giorni per rafforzare l'amicizia, la conoscenza e il dialogo reciproco. Teatro dell'iniziativa, è la cittadina di Muntilan, culla del cattolicesimo nella provincia di Java centrale.

Intitolata "Una vera e genuina fratellanza fra fedeli di religioni diverse", la conferenza è stata promossa dalla commissione dell'arcidiocesi di Semarang per gli affari interreligiosi (Komisi Hak Kas), ed è la prima di questo genere su tutto il territorio provinciale.

Nel contesto della conferenza - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono in programma diverse attività di natura culturale, educativa e sociale, volte a rafforzare la morale fra i partecipanti e promuovere una coesistenza pacifica, nella diocesi e in tutto l'arcipelago indonesiano. Dozzine i sacerdoti presenti, assieme a migliaia di fedeli che seguiranno da vicino i lavori.

Fra i molti eventi, la proiezione di un docu-film intitolato "In Te Confido", dedicato al defunto card Justinus Darmojuwono, arcivescovo di Semarang dal 1963 al 1981; girato e prodotto in 10 mesi, il lungometraggio viene trasmesso in occasione del centenario della nascita (2 novembre 1914) del porporato indonesiano.

Tra i relatori di alto profilo che si alterneranno nel corso della tre giorni vi sono: l'arcivescovo di Semarang mons. Johannes Pujasumarta, l'ex presidente di Muhammadiyah - seconda organizzazione musulmana moderata per importanza del Paese - prof. Buya Ahmad Syafii Maarif e l'ex first lady indonesiana Shinta Nuriyah Wahid, figura di primo piano dell'attivismo locale.

In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa 7 milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione totale. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. Essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto in occasione della devastante alluvione del gennaio 2013. (M.H.)

inizio pagina

Manila: I Conferenza asiatica contro la pena di morte

◊  

Le Filippine intendono essere un paese locomotiva dell’Asia nella campagna per l’abolizione della pena di morte: è quanto affermano attivisti , politici, leader religiosi alla vigila di una conferenza continentale che si tiene a Manila da domani al 28 ottobre. Proprio per questo impegno, le Filippine, nazione esemplare nel contente, guideranno la I Conferenza asiatica internazionale “Non c'è giustizia senza vita”, focalizzata sulla campagna di abolizione della pena capitale.

Vi partecipano - riferisce l'agenzia Fides - Ministri della giustizia di diverse nazioni, funzionari pubblici, sindaci, rappresentanti religiosi, testimoni della lotta per la giustizia e per i diritti umani provenienti da diversi paesi asiatici come Filippine, India, Giappone, Indonesia, Sri Lanka, Mongolia, Laos, Cambogia, Vietnam e altri.

La Conferenza – organizzata dal Dipartimento di giustizia delle Filippine e dalla Comunità di Sant'Egidio, in collaborazione con il Comune di Mandaluyong, nella metropoli di Manila – intende offrire una piattaforma di dialogo per i Paesi interessati a una moratoria sulle esecuzioni capitali.

“Abbiamo una legge firmata il 24 giugno 2006 che abolisce la pena capitale”, ha ricordato il segretario alla Giustizia del governo filippino, Leila de Lima. A luglio 2014 i vescovi filippini hanno diramato una nota che esprimeva “contrarietà assoluta, con voce piena, sul ripristino della pena di morte”, di fronte al tentativo di alcune lobby di ripristinarla nella nazione.

La conferenza abolizionista si tiene in Asia “proprio perché la maggior parte dei Paesi che tengono in vigore la pena capitale si trovano in Asia”, ha spiegato a Fides Leonardo Tranggono, addetto alle relazioni internazionali per la Comunità di Sant'Egidio. Negli ultimi anni, 114 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno concordato nel porre in vigore una moratoria o la cessazione di applicazione della pena di morte, mentre 58 Paesi ancora la applicano, molti in Asia. (R.P.)

inizio pagina

India: la Chiesa in prima linea per la pace in Nagaland

◊  

 “Non bisogna perdere la speranza per la pace, ma costruirla anche quando i risultati tardano ad arrivare”. È quanto dice in un nota inviata all’agenzia Fides mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahatie attualmente amministratore apostolico della diocese of Jowai, che ha svolto un ruolo chiave negli ultimi sviluppi del percorso di riconciliazione in Nagaland, Stato dell’India Nordorientale attraversato da conflitti e tensioni sociali e politiche.

“Gli sforzi di pace – racconta l’arcivescovo – erano a un punto morto e circa 10.000 tribali adivasi, cacciati dal Nagaland, stavano perdendo la speranza di ritornare nelle loro terre. Ma i leader di tutte le Chiese del Nordest si sono riuniti lanciando un'iniziativa unitaria per la pace, ispirata dalla missione di uno specifico ‘Peace Team’, già intervenuto in passato nel Nordest”.

Quella iniziativa ha sciolto dei nodi e ammorbidito le posizioni: Tarun Gogoi, il Primo Ministro di Assam, “si è congratulato con la comunità cristiana per una impresa creativa e costruttiva”. Anche Zeliang, il primo ministro del Nagaland, ha apprezzato questo sviluppo, invitando al dialogo fra le popolazioni tribali e le istituzioni.

I leader della Chiesa hanno invitato a guardare il problema in primo luogo dal punto di vista umanitario e dell'interesse delle persone che soffrono e non dal punto di vista politico o ideologico.

Gli adivasi sono preoccupati per le loro terre e per i raccolti, utili per la loro sopravvivenza. Una via possibile è quella di consentire, intanto, alle popolazioni cacciate di raccogliere il riso nelle risaie che essi avevano piantato. “L’importante è che il dialogo sia ripreso. C'è un desiderio di riconciliazione su entrambe le parti”, nota in conclusione mons. Menamparampil. (R.P.)

inizio pagina

Indonesia: Chiesa contro sfruttamento minerario a Flores

◊  

Migliaia di sacerdoti, religiosi, laici di tutte le parrocchie, studenti di scuole secondarie e università dell'isola di Flores, la roccaforte cattolica dell’Indonesia, si sono radunati per contestare i progetti di estrazione mineraria sull’isola. La campagna di sensibilizzazione contro lo sfruttamento minerario a Flores, che avrebbe seri danni sull’ambiente, va avanti da mesi e ha trovato un momento di forte visibilità il 13 ottobre.

Come riferisce il servizio di informazione della Conferenza episcopale dell’Indonesia, ripreso dall'agenzia Fides, la diocesi locale di Ruteng ha ribadito ufficialmente la sua posizione contraria a progetti di estrazione mineraria. La diocesi comprende un territorio dove risiedono oltre 700mila fedeli cattolici, che costituiscono il 93% della popolazione totale. “La diocesi di Ruteng valuta che l’avvio di miniere per l’estrazione di manganese, oro e ferro provocherebbe seri danni ecologici e metterebbe in pericolo la vita delle persone a Flores.

Lo sfruttamento minerario causerà un processo sistematico e massiccio di impoverimento della popolazione indigena”, con la possibile conseguenza di “scatenare il conflitto sociale, alterare le leggi tribali e statali”. Inoltre indurrà prevedibilmente, “le compagnie d’affari a ingaggiare squadre di sicurezza per intimidire i residenti”, recita un documento pubblicato nel 2014 dopo il Sinodo della diocesi di Ruteng. Tali dinamiche sono note e si registrano nella vicina isola filippina di Mindanao.

La manifestazione del 13 ottobre è stata organizzata dalla Commissione “Giustizia e pace” della diocesi di Ruteng ed è stata del tutto pacifica, con canti spirituali e recita di Rosari. Il vescovo di Ruteng, mons. Hubertus Leteng, ha rimarcato “il dovere di tutelare l’integrità del creato”. I manifestanti hanno chiesto al governo locale di bloccare i progetti e i permessi di estrazione mineraria. Domandano inoltre ai legislatori di promulgare un regolamento chiaro, per non lasciare alle compagnie straniere la gestione arbitraria dell’ambiente e della vita dell’isola. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 299

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.