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Sommario del 29/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Istanbul. Papa alla Messa: Spirito supera le divisioni e fa l'unità

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La celebrazione di carattere inter-rituale di oggi pomeriggio nella cattedrale dello Spirito Santo a Istanbul ha aperto la pagina cristiana del viaggio di Francesco in Turchia. In chiesa, ad assistere alla Messa, i fedeli della piccola comunità cattolica turca e i rappresentanti delle Chiese cristiane. Tra loro, il Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I, con il quale il Papa nel tardo pomeriggio, dopo la preghiera ecumenica al “Phanar”, si ritroverà per un incontro privato. Ai presenti alla celebrazione, il Papa ha chiesto di difendere la ricchezza dell’unità. Da Istanbul, Francesca Sabatinelli: 

I credenti  vivano nella pienezza dell’unità. E’ il popolo dei cattolici di Turchia quello che accoglie il messaggio dell’omelia di Francesco in cattedrale dello Spirito Santo a Istanbul. Ci sono i fedeli dei quattro riti e a loro il Papa spiega la ricchezza donata dai differenti carismi, suscitati dallo Spirito Santo, anima della Chiesa che soprattutto “crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il corpo di Cristo. Tutta la vita e la missione della Chiesa dipendono dallo Spirito Santo”:

“Quando noi preghiamo, è perché lo Spirito Santo suscita la preghiera nel cuore. Quando spezziamo il cerchio del nostro egoismo, usciamo da noi stessi e ci accostiamo agli altri per incontrarli, ascoltarli, aiutarli, è lo Spirito di Dio che ci ha spinti. Quando scopriamo in noi una sconosciuta capacità di perdonare, di amare chi non ci vuole bene, è lo Spirito che ci ha afferrati. Quando andiamo oltre le parole di convenienza e ci rivolgiamo ai fratelli con quella tenerezza che riscalda il cuore, siamo stati certamente toccati dallo Spirito Santo”.

I differenti carismi nella Chiesa non sono disordine come potrebbe sembrare, quanto “un’immensa ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità”:

“Solo lo Spirito Santo può suscitare la diversità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi ed esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità e l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa”.

Lo Spirito Santo armonizza la moltitudine di carismi, fa l’unità della Chiesa, nella fede, nella carità, nella coesione interiore. “La Chiesa e le Chiese sono chiamate a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, ponendosi in un atteggiamento di apertura, di docilità e di obbedienza”. Il rischio è la tentazione di fare resistenza allo  Spirito Santo, “perché scombussola, perché smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti”, ed è “più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate”:

“In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo. E la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo anche quando lascia da parte la tentazione di guardare sé stessa. E noi cristiani diventiamo autentici discepoli missionari, capaci di interpellare le coscienze, se abbandoniamo uno stile difensivo per lasciarci condurre dallo Spirito. Egli è freschezza, fantasia, novità”.

Arroccarsi eccessivamente sulle proprie idee, sulle proprie forze, scivolando così nel pelagianesimo, adottare un atteggiamento di ambizione e di vanità, “questi meccanismi difensivi” impediscono di comprendere gli altri e di aprirci al dialogo con loro. La Chiesa riceve in consegna il fuoco dello Spirito Santo che incendia il cuore, è investita dal vento dello Spirito che abilita ad un servizio di amore, un linguaggio che ciascuno è in grado di comprendere:

“Nel nostro cammino di fede e di vita fraterna, più ci lasceremo guidare con umiltà dallo Spirito del Signore, più supereremo le incomprensioni, le divisioni e le controversie e saremo segno credibile di unità e di pace. Segno credibile che il nostro Signore è risorto, è vivo”.

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Francesco nella Moschea Blu. Lombardi: dialogo con islam avanza

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Nella sua seconda giornata in Turchia, il Papa si è trasferito da Ankara ad Istanbul. Qui, la prima tappa è stata la visita alla Moschea Blu. Ce ne parla il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, raggiunto telefonicamente da Sergio Centofanti

R. – Una visita interessante non solo dal punto di vista culturale, ma anche dal punto di vista spirituale. Il Gran Muftì, davanti alla nicchia della preghiera, davanti al Mihrab, ha spiegato al Papa dei versetti del Corano, da cui è tratta la definizione di questo luogo per la preghiera: sono versetti che trattano la vicenda di Zaccaria e della concezione di Giovanni il Battista e di Maria, secondo la tradizione che ne hanno i musulmani. E poi c’è stato questo momento silenzioso, di raccoglimento, in cui il Papa per alcuni minuti è rimasto silenzioso. Io definirei questo momento di “adorazione silenziosa”, proprio perché nel colloquio con il Muftì il Papa – due volte – ha insistito sul concetto di adorazione di Dio che, sia i musulmani sia i cristiani, devono esercitare. “Non solo lodare e glorificare, ma anche adorare”, ha detto il Papa. E quindi io ritengo che nel momento del silenzio, in questo luogo religioso, il Papa abbia compiuto una silenziosa adorazione di Dio Assoluto e del suo mistero. Poi, oltre alla visita alla Moschea Blu, che mi sembra essere un po’ il culmine della dimensione interreligiosa di questo viaggio, il Papa si è spostato a Santa Sofia, la famosa Basilica di Giustiniano che è un monumento architettonico impressionante, uno dei più straordinari della storia dell’umanità e per noi – naturalmente – evoca una grande Basilica dedicata alla sapienza di Dio, cioè a Cristo. Questo straordinario monumento, che è stato Basilica al tempo degli imperatori cristiani di Oriente, fino alla caduta di Costantinopoli, poi è diventata Moschea e ora è – dai tempi di Atatürk – un museo: quindi non ha una funzione religiosa, ma naturalmente tutto in questa straordinaria costruzione evoca la grandezza della spiritualità orientale e la grandezza del mistero di Dio. Il Papa ha visitato con attenzione, guidato dai responsabili del luogo, le diverse parti della Basilica: il luogo dove venivano incoronati gli imperatori romani di Oriente, la grande immagine di Maria che sta nell’abside di fondo… E poi ha messo una sua dedica sul Libro d’Oro e ha scritto in caratteri greci: “Αγία Σοφία του Θεού. La Santa Sapienza di Dio”, che è appunto il nome della dedica della Basilica alla Sapienza di Dio. Poi dopo questo altro momento particolarmente intenso, il Papa si è recato alla delegazione apostolica, vicino alla cattedrale, e lì – nel cortile – ha incontrato un bel gruppetto di cattolici appartenenti alle diverse comunità dei diversi riti che costituiscono la comunità cattolica qui di Istanbul. Un momento festoso: naturalmente tutti volevano stringergli la mano, essere salutati da lui, fare le fotografie con lui… Mons. Franceschini, che è il presidente della Conferenza episcopale, ha fatto un breve saluto. Un momento comunque molto cordiale, in cui il Papa ha finalmente incontrato un piccolo gregge cattolico in terra turca.

D. – Qual è il significato per questa piccola comunità cattolica l’incontro con Papa Francesco?

R. – Certamente è un grande conforto che il Papa venga in questa terra dove i cattolici sono molto pochi: è un’occasione considerata straordinaria, eccezionale per loro di vedere il capo della comunità della Chiesa universale e anche un’occasione per trovarsi insieme, per i cattolici dei diversi riti. Cosa che non è assolutamente – diciamo - scontata e facilissima: credo che uno dei messaggi che il Papa dà in queste occasioni, quando viene a visitare i cattolici in Oriente, è anche quello dell’unione, della buona collaborazione fra i cattolici dei diversi riti, che in Oriente sono molteplici. Qui abbiano non solo i latini, ma anche i copti, i siri e gli armeni: sono quindi quattro comunità che devono, in qualche modo, costituire insieme una comunità più grande. E certamente quando li abbiamo visti, tutti festosi intorno al Papa, abbiamo visto che Pietro è segno di unità nella Chiesa cattolica.

D. – In serata comincia la parte ecumenica del viaggio: i rapporti con gli ortodossi sono molto buoni …

R. – Oh sì! Il Patriarca Bartolomeo era già presente questa mattina all’aeroporto, ad Istanbul, per accogliere il Papa sin dal primo momento in cui metteva piede in questa città. Il Patriarca sa molto bene che la visita per la festa di Sant’Andrea al Patriarcato e l’incontro con lui rappresentano uno dei motivi determinanti di questa decisione del Papa di venire in terra turca. Quindi ne è molto grato, perché è un grande sostegno per il Patriarcato, per gli ortodossi nel loro vivere anche in questa terra, che non è facile neppure per loro; ma anche un grande incoraggiamento nel cammino verso l’unità, nell’ecumenismo, in cui anche essi sono impegnati come i cattolici. E’ un continuare una bellissima relazione di amicizia fraterna tra Papa Francesco e Bartolomeo, che già era iniziata con il Papa Benedetto naturalmente, ma che ora ha una linfa nuova. Con questo sono già quattro volte che hanno avuto incontri molto significativi. Il che vuol dire che il dialogo fra i due leader più importanti dell’ortodossia e del cattolicesimo è molto intenso e questo fa bene sperare per la causa dell’ecumenismo in tutto il mondo.

D. – Un breve commento sulla giornata di ieri…

R. – Certamente era un po’ l’incontro con un grande Paese non cristiano fondamentale, com’è la Turchia, e con la situazione nel Medio Oriente di oggi. Il Papa ha espresso la sua stima per questo popolo e anche per l’importanza che ha tra Oriente e Occidente, tra Asia ed Europa, adesso nelle situazioni dei conflitti che ci sono in questa regione e per l’accoglienza dei rifugiati. Quindi un discorso di incontro con un popolo che vive un tempo delicato anche di questa storia, in uno scenario quanto mai complesso e travagliato. E poi c’è stata la dimensione – direi – molto avvincente del dialogo con l’islam alla Diyanet, al Dipartimento per gli affari religiosi. Un incontro cordiale e anche una consapevolezza che il momento attuale è un momento particolarmente cruciale anche per l’islam mondiale, con i suoi conflitti interni, con i suoi problemi per far fronte al terrorismo e al fondamentalismo. Quindi i problemi che si sono vissuti ieri mi sembravano non solo quelli del rapporto tra islam e cristiani o le difficoltà che i cristiani hanno in terre a maggioranza musulmana, ma un condividere una situazione di necessità, di impegno dei veri credenti, - dei religiosi e dei credenti in Dio - per la pace, per il superamento dei fondamentalismi, del terrorismo, degli odi, dei conflitti, in questo mondo in cui viviamo oggi. Mi sembra che tra il Papa e il presidente della Diyanet si sia stabilito un sentire profondo di consapevolezza della larghezza degli orizzonti, in cui bisogna mettere oggi il dialogo interreligioso per il bene dell’umanità. Non solo guardare agli orribili conflitti, agli orribili problemi che ci sono in diverse parti e che vanno certamente condannati, medicati, superati, ma anche guardare alla prospettiva delle grandi fedi religiose nel mondo globalizzato. Mi pareva che ci fosse una sensibilità comune sulla necessità di un nuovo impegno nel dialogo interreligioso: il Papa lo ha detto in una piccolissima glossa durante il suo discorso: “bisogna trovare forme nuove, anche con coraggio e creativa, per il dialogo interreligioso nel mondo di oggi”. Quindi, a me sembra che si sia fatto un passo di sensibilità comune e di approfondimento del significato del dialogo interreligioso islamo-cristiano, che poi nella visita alla Moschea di oggi ha trovato anche il suo gesto di espressione.

D. – Sono giorni piuttosto intensi: c’è stato il viaggio a Strasburgo; il giorno prima della partenza per la Turchia, il Papa ha fatto ben quattro discorsi, compresa l’omelia… Come sta il Papa?

R. – Il Papa sta bene, perché tenendo conto di questa attività incredibile dobbiamo dire che la porta molto bene, con serenità, con naturalezza. Lo si vede gioioso, lo si vede sorridente in tanti momenti… Quindi c’è una stanchezza naturale al termine di giornate così intense, ma mi pare che possiamo ringraziare il cielo che il Signore lo assiste e lo tiene in forze per un ministero così intenso.

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Card. Koch: Francesco vuole approfondire rapporti con ortodossi

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Nel pomeriggio di oggi, Papa Francesco si reca al Patriarcato ecumenico al Phanar per l’incontro con il Patriarca Bartolomeo. Nella Chiesa di San Giorgio si svolgerà la preghiera ecumenica. Su questo importante incontro, alla vigilia della firma della Dichiarazione congiunta, Mario Galgano ha sentito il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani: 

R. – Das Hauptanliegen ist die gute Beziehung, die freundschaftliche Beziehung die zwischen den…
Il pensiero principale è di approfondire i buoni rapporti, i rapporti amichevoli tra le Chiese di Roma e di Costantinopoli. Dal primo incontro tra Atenagora e il Beato Papa Paolo VI si è instaurata la bella tradizione per cui ogni Pontefice, nel secondo anno del Pontificato si reca in visita al Patriarcato di Costantinopoli. Nel 1979 l’ha fatto Papa Giovanni Paolo II, nel 2006 l’ha fatto Papa Benedetto XVI e ora anche Papa Francesco fa questa visita nel suo secondo anno di Pontificato. Abbiamo anche questa antica tradizione delle visite vicendevoli in occasione delle feste dei Santi Patroni: una delegazione di Roma si reca a Costantinopoli per la festa di Sant’Andrea, il 30 novembre, come una delegazione viene a Roma da Costantinopoli, il 29 giugno, per celebrare la festa dei Santi Pietro e Paolo. Questa volta, è il Santo Padre stesso che va a Costantinopoli per approfondire i rapporti amichevoli esistenti e incamminarsi su strade di speranza.

D. – Sono numerose le sfide del Patriarca ecumenico di Costantinopoli…

R. – Das sind sehr verschiedene Herausforderungen: Auf der einen Seite die politische Situation, in der…
Sono sfide diverse. Da un lato la situazione politica nella quale vive e dall’altra la situazione interna all’ortodossia. Riguardo alla situazione interna all’ortodossia, egli ha il primato di onore. Questo primato d’onore si presta a diverse interpretazioni e per questo spero nel Sinodo panortodosso, che è previsto per il 2016, affinché si stabilisca maggiore unità tra le Chiese ortodosse. Questo è molto importante perché è un passo importante anche per quanto riguarda il progresso nel dialogo tra le Chiese ortodosse e noi. Un ostacolo importante nel dialogo ecumenico consiste nel fatto che gli ortodossi non sono d’accordo tra di loro su molte questioni e questo a sua volta blocca il dialogo con la Chiesa cattolica. Per questo, io spero che questa situazione si possa risolvere con l’aiuto del Sinodo panortodosso; naturalmente, anche noi dobbiamo fare la nostra parte per rafforzare e approfondire i nostri rapporti con il Patriarca ecumenico, così come anche lui ci sostiene sempre affinché possiamo continuare questo nostro dialogo teologico.

D. – Ci sono poi le sfide con la società turca…

R. – Ich glaube, die Herausforderung ist doppelter Art. Das ist erstens einmal der Dialog mit der…
Credo che la sfida sia duplice. In primo luogo, c’è il dialogo con la società islamica. Mi sembra che gli ortodossi conducano buoni dialoghi con il mondo musulmano. L’altra è il rapporto dello Stato con la Chiesa ortodossa, e in questo caso posso sperare soltanto che i rapporti migliorino sempre più. Ci sono due questioni che, in questo momento, bruciano un po’: la prima riguarda il fatto che la Scuola superiore di teologia di Halki è ancora chiusa e io spero che finalmente si trovi una via di soluzione, perché per una Chiesa è veramente doloroso non avere un luogo nel quale formare i suoi membri; la seconda grande questione è l’apparente volontà del governo di trasformare nuovamente Santa Sofia, che oggi è un museo, in moschea. Immagino che questo sia una grandissima provocazione per i cristiani. Se pensiamo alla grande storia di questo edificio, comprendo che il Patriarca desideri e si impegni in ogni modo affinché questo rimanga un museo.

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Mons. Pelâtre: Chiesa di Istanbul sempre più internazionale

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La comunità cattolica di Istanbul e non solo si accinge a incontrare Francesco nella Messa che il Papa presiederà alle 16, ora locale, nella cattedrale dello Spirito Santo. La celebrazione avrà un carattere interrituale, con preghiere, fra l’altro, in armeno, aramaico, siriano turco. Ad accogliere il Papa sarà il vicario apostolico di Istanbul, mons. Louis Pelâtre. L’inviata Romilda Ferrauto gli ha chiesto quale sia lo stato dei rapporti tra fedeli cattolici e ortodossi: 

R. – Oui, depuis plus de 40 ans nous travaillons...
Sì, da più di 40 anni lavoriamo per l’ecumenismo e sono testimone dei cambiamenti e dei progressi. Cerchiamo di formare il popolo cattolico perché comprenda che questa è una delle grandi missioni della Chiesa oggi, questo riavvicinamento tra Oriente e Occidente, della Chiesa ortodossa con la Chiesa cattolica. Credo che progressivamente le persone lo capiscano meglio che 50 anni fa, per esempio.

D. – Quali sono i problemi principali con i quali la Chiesa cattolica si confronta oggi in Turchia?

R.  – Le petit nombre, mais on s'est abitués à ça...
Siamo un piccolo numero, ma siamo abituati a questo. Quello in cui si fa un po’ di fatica invece è che i cattolici originari, i “Levantini” che erano qui da generazioni, da secoli, sono diminuiti. Ma arrivano nuovi cattolici e dunque ci sono molti africani, filippini, anche coreani, ci sono persone provenienti da tutte le nazionalità e soprattutto la nostra Chiesa latina diventa sempre più internazionale. Noi dobbiamo accogliere le persone e cercare di fare Chiesa con chi è qui e queste persone sono spesso molto religiose, molto ferventi.

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Istanbul, l'opera dei Salesiani per i rifugiati

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Papa Francesco domani incontrerà un centinaio di giovani profughi iracheni e siriani assistiti dall’Oratorio salesiano di Istanbul. L’evento si svolgerà presso il giardino della rappresentanza pontificia nella città turca. Anne Preckel ha intervistato il salesiano, padre Andres Calleja, spagnolo, impegnato nel lavoro con i rifugiati: 

R. – Noi vogliamo dare una risposta ai loro bisogni. Per non vedere questi ragazzi in strada, abbiamo pensato di radunarli e fare un po’ di scuola. Diamo lezioni essenzialmente in inglese, perché tutti, come rifugiati, hanno chiesto di essere accolti dagli Stati Uniti, dal Canada o dall’Australia. Pochi, pochi vogliono andare in Europa. Hanno bisogno quindi dell’inglese e noi vogliamo prepararli in inglese e vogliamo anche creare un ambiente terapeutico. Vengono infatti dalla guerra, vengono dalla sofferenza. Creiamo quindi un ambiente di gioia, di fiducia, di familiarità e usiamo molta musica, danza e sport, considerando che appartengono anche a diversi gruppi religiosi, siriani e iracheni, che formano una singola famiglia. Diamo attenzione ai bambini, diamo attenzione ai giovani nel pomeriggio e, anche ai genitori che lo vogliono, possiamo dare lezioni di inglese, alle mamme e ai papà che vogliono imparare qualche cosa. Sono più di 600 questi giovani e bambini, con le loro famiglie. Tutti, tutti dicono che questo è veramente un piccolo paradiso. Hanno lasciato molte cose… Chiaramente soffrono molto, perché non hanno lavoro, non hanno un appartamento, non hanno soldi… Ma lasciare i bambini con noi facilita quei genitori che devono cercare un piccolo lavoro per avere un po’ di soldi e così pagare l’affitto dell’appartamento e poter vivere. Diamo anche lavoro a dieci professori, che guadagnano e aiutano la loro famiglia. Quando la gente ha problemi di salute viene qui: “Padre, mi può aiutare?”... E noi aiutiamo. Loro sentono che questo li prepara per il futuro e dà loro speranza, li apre ad un futuro più bello. 

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Papa alla Diyanet: capi religiosi denuncino violazioni diritti

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A conclusione della prima giornata in Turchia, Papa Francesco si è recato per l'incontro interreligioso alla Diyanet, il Dipartimento per gli Affari Religiosi. Alla presenza del presidente, Mehmet Gormez, e di varie personalità della comunità musulmana, nel suo discorso il Papa ha messo in rilievo il ruolo delle religioni di fronte alle violenze che caratterizzano quest’epoca. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

Papa Francesco pone l’accento sul grande compito spirituale e morale che investe i leader di tutte le religioni. Mutuo rispetto, amicizia, nonostante le differenze, sono valori fondamentali, decisivi in un’epoca come quella attuale caratterizzata da guerre, fame, povertà e disperazione, conflitti interreligiosi e interetnici. Tutti aspetti che si riflettono drammaticamente su popolazioni intere e sull’ambiente. In particolare il Pontefice ricorda la tragedia che in Medio Oriente si sta vivendo in Siria e Iraq.

"Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo. Particolare preoccupazione desta il fatto che, soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa". 

Di fronte al dolore di che ha lasciato casa e beni, pur di salvare la vita e non rinnegare la propria fede, i capi religiosi – sottolinea il Papa – hanno un preciso compito.

"In qualità di capi religiosi, abbiamo l'obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche".

Ma non basta la denuncia – sottolinea Papa Francesco –: occorre il comune lavoro, per trovare adeguate soluzioni, la collaborazione di governi, leader politici e religiosi e di tutti gli uomini e donne di buona volontà; un compito che investe in particolare musulmani e cristiani alla luce degli elementi comuni alle due fedi:

"Riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale, attraverso il dialogo interreligioso, ci aiuta anche a promuovere e difendere nella società i valori morali, la pace e la libertà. Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti".

Infine, il vivo apprezzamento del Santo Padre a tutto il popolo turco, musulmani e cristiani, per quanto sta facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi a causa dei conflitti.

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Vita Consacrata. Card. de Aviz: un Anno per valutare cammino fatto

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La Chiesa vive la vigilia dell’apertura dell’Anno della Vita Consacrata, che durerà fino al 2 febbraio 2016. Stasera una Veglia di preghiera in Santa Maria Maggiore sarà il preludio alla Messa solenne di domani, alle 10, nella Basilica Vaticana, che sarà presieduta dal cardinale João Braz de Aviz, prefetto del dicastero della Vita Consacrata. Al porporato, Silvonei Protz ha domandato quali siano i temi di rilievo di questo speciale periodo: 

R. – Noi vogliamo in questo momento rispondere a una decisione molto gradita di Papa Francesco, che ha voluto questo Anno della Vita consacrata. Per noi rispondeva molto a quello che c’era anche nel nostro cuore, qui, nella Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, cioè dei religiosi, e ci sembrava necessario anche per tutto il mondo dei consacrati. Noi volevamo riavvicinarci a questa realtà come a una realtà di Chiesa, soprattutto in questo momento in cui compiamo i 50 anni del Concilio. Il decreto “Perfectae caritatis” invitava a un rinnovamento profondo alla vita consacrata nella Chiesa. Questo cammino ha adesso 50 anni. Noi volevamo vedere a che punto siamo.

D. – Che fotografia possiamo fare allora di questo cambiamento di 50 anni?

R. – Noi ci siamo riuniti a Roma proprio in questi giorni per approfondire questa realtà e abbiamo voluto subito imprimere questa visione positiva: “Vino nuovo in otri nuovi”. Cioè, noi vogliamo vedere quale sia il positivo di tutto questo periodo, perché molte cose sono maturate, e quali siano adesso le strutture che sono diventate vecchie, che dobbiamo rivedere. Noi abbiamo preso in esame tre campi per vedere più da vicino cos’è successo nella formazione dei consacrati, cosa sta succedendo nella questione anche della vita comunitaria e, ancora, il terzo valore che bisogna ripensare è la questione del governo: cioè, come va l’autorità, come va l’obbedienza in questo rinnovamento, in questo momento della globalizzazione, in questo momento di rapporti così rapidi, stretti, nella complessità di tutto quello che include anche i mezzi di comunicazione? E stiamo vedendo i processi di morte e i processi di vita in fieri, che si stanno facendo. E’ una sfida un po’ grossa. Stiamo elaborando un nuovo documento in cui vorremo fare un po’ il punto su questa situazione per andare avanti. Però, già possiamo dire che noi guardiamo al passato con una memoria molto grata a Dio, al futuro con il desiderio di non aver paura perché il futuro è nelle mani di Dio, e Dio è fedele, e nel presente riprendere il cammino della gioia e anche della passione.

D. – È stata pubblicata e divulgata al mondo anche la lettera per questo anno della vita consacrata…

R. -  Noi siamo rimasti veramente molto toccati dalla delicatezza del Papa, perché lui dimostra che vuol bene ai religiosi e lo dice proprio nella lettera: io vi parlo come Pietro, però vi parlo come consacrato. E’ la prima frase. Questo ci ha dato una gioia immensa perché si identifica con noi. Mi sembra sia una spinta molto forte per questa ripresa della vita consacrata.

D. – C’è qualche novità che il Papa porta anche alla vita consacrata?

R. – Penso che lui spinga molto sul ritornare alla vita comunitaria e sulla questione della testimonianza. Allora: primo, tornare a essere discepoli di Gesù, secondo, ritornare ai fondatori alle fondatrici nelle cose che sono centrali del carisma, e terzo, avere la mente, gli occhi aperti a questo dialogo nel mondo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dialogo di amicizia: in prima pagina, un editoriale del direttore sul viaggio del Papa in Turchia.

Come rendere più umana l'esperienza della migrazione: intervento della Santa Sede alla 105 sessione del Consiglio dell'Oim.

Sempre antica e sempre nuova: sull'apertura dell'Anno della vita consacrata intervista di Nicola Gori al cardinale prefetto Joao Braz de Aviz.

Strage jihadista nella moschea: oltre duecento morti nell'attacco compiuto dai miliziani di Boko Haram nella metropoli nigeriana di Kano.

La politica della strada: il deputato slovacco Miroslav Mikolasik dopo la visita al Parlamento di Strasburgo.

Dialogo con chi è fuori: Cristiana Dobner sul domenicano Marie-Jospeh Lagrange.

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Oggi in Primo Piano



Nigeria, strage in moschea. Boko Haram fa oltre 100 morti

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“Il terribile attacco contro i fedeli musulmani in preghiera dimostra che Boko Haram ha allargato il suo raggio d’azione”. Così ha commentato il presidente della Conferenza episcopale nigeriana, mons. Ignatius Kaigama, l’attentato che ieri ha colpito la grande moschea di Kano, nel nord del Paese, provocando almeno 120 morti e il ferimento di oltre 270 persone. Dura anche la condanna del presidente, Jonathan, che ha esortato i nigeriani a “restare uniti contro un nemico comune”. Per un commento sulla strategia di Boko Haram, Elvira Ragosta ha intervistato Valentina Colombo, docente di Cultura e geopolitica del mondo islamico all’Università Europea di Roma: 

R. – Boko Haram nella sua ultima azione, nel suo ultimo attentato all’’interno di una moschea, non fa altro che confermare la propria appartenenza ad una ideologia che è la stessa ideologia dell’Isis e di movimenti considerati come moderati come i Fratelli musulmani. Sono tutti movimenti che si considerano come depositari dell’unico vero islam e considerano l’altro come un nemico. “L’altro” possono essere le studentesse, i cristiani, le donne o semplicemente il musulmano o i musulmani che non la pensano come loro.

D. – Nell’attentato sono morti moltissimi bambini e la folla inferocita si è scagliata alcuni dei terroristi del commando. Quale potrebbe essere l’ulteriore reazione della popolazione nei confronti di Boko Haram?

R. – Quello che mi auguro è che tutto questo non si trasformi in una guerra civile, ma che l’eccidio in una moschea porti semplicemente la popolazione ad aprire gli occhi e a reagire in modo positivo con azioni a livello di proteste e a un coinvolgimento in prima persona in una lotta ideologica. Quindi, mi auguro che tutto questo non si trasformi in una lotta con le armi che porterebbe semplicemente a un disastro e ripercussioni negative sull’intera popolazione.

D. – Nella geopolitica del mondo islamico come viene percepita l’azione di Boko Haram?

R. – Oggi, se guardiamo al mondo islamico in generale, vediamo a livello di movimenti legati all’estremismo islamico una lotta per il potere a livello di jihadisti tra Al Qaeda e il mondo legato all’Is. Vediamo una lotta di potere all’interno del mondo islamico che contrappone Al Qaeda, Isis e Fratelli musulmani, ovvero l’islam politico che punta a uno Stato che però è un califfato più di potere che un califfato con un leader quale potrebbe essere Abu Bakr al-Baghdadi. Poi, abbiamo l’altra grande divisione, l’estremismo islamico contro i musulmani, persone quotidiane, persone comuni, che sono poi le prime vittime dell’estremismo islamico come abbiamo visto in Nigeria. Per cui, è un mondo che si chiede e si continua a domandare che cosa sia andato storto. È un mondo con tanti punti interrogativi e che per la prima volta probabilmente si trova nelle condizioni di dover prendere il proprio destino in mano.

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Thailandia. Primo "sì" a legge che vieta utero in affitto

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Ha commosso la Thailandia e il mondo intero la vicenda del bimbo nato con la sindrome di Down, rifiutato dalla coppia australiana dopo essere stato partorito da una madre thailandese surrogata. Ma Bangkok ora pone fine al fenomeno del cosiddetto “utero in affitto”. Il parlamento ha espresso il primo “sì” alla bozza di legge che vieta e punisce le gravidanze surrogate. Sui motivi della decisione, Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente a Bangkok Stefano Vecchia

R. – Sostanzialmente, è la crescita esponenziale di un fenomeno nell’ultimo decennio, per nulla regolato dal punto di vista legale: tollerato un po’ per ragioni culturali, un po’ per la tradizionale tolleranza thailandese però, appunto, non regolato e con una serie di problemi che cominciavano a emergere in modo molto chiaro. A incrementare questo fenomeno hanno contribuito molti fattori: i costi relativamente elevati per la clientela occidentale o asiatica benestante, ampia disponibilità di donne pronte a una gravidanza per conto terzi,  in parte anche questo frutto di traffici di esseri umani, di cui purtroppo la Thailandia è al centro. E poi il “turismo medicale”, quindi strutture buone – anche quelle non legali e non pubbliche – e facilmente accessibili.

D. - Questa decisione in qualche modo è legata anche a una coscienza sul fatto che la gravidanza, la nascita, deve essere un qualcosa di naturale?

R. – Diciamo che nel caso thailandese questa riflessione è sempre stata presente e a maggior ragione nella piccola comunità cristiana. Però, dal punto di vista morale il problema non è mai emerso in modo rilevante. Il problema è che questo fenomeno è cresciuto a tal punto e soprattutto a livello internazionale e ha creato veramente tanti problemi in questi ultimi tempi da costringere il governo a intervenire, anche a fronte delle pressioni internazionali.

D. – Legata a questa decisione c’è sicuramente la vicenda del bambino down, rifiutato dalla coppia australiana che lo aveva “commissionato”. Com’è stata vista questa vicenda in Thailandia?

R. – Ha suscitato molto scalpore e molta indignazione. Certamente ha costituito un po’ uno spartiacque e ha portato a conoscenza anche del grande pubblico il fenomeno. Accanto a questo, c’è un altro grave fatto che è emerso: quello di tutelare i bambini che sono nati e che dovranno ancora nascere. In questo momento, non c’è una legge che li tuteli e, allo stesso tempo, la surrogata è già in qualche modo bloccata, con il rischio che centinaia di coppie, che attendono un figlio che dovrà nascere o che è già nato con questo sistema, rischino di non poterlo avere.

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Onu, Giornata popolo palestinese. Pax Christi: hanno diritto a Stato

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L’irrisolta questione palestinese è sempre più al centro dei dibattiti internazionali. Proprio in questi giorni, i parlamentari francesi stanno discutendo una mozione per riconoscere la Palestina come Stato, mentre i Paesi dell’Onu celebrano la Giornata mondiale di solidarietà con il popolo palestinese. In Italia, sarà Lucca a ospitare l’evento, organizzato da Pax Christi. Corinna Spirito ha intervistato Don Nandino Capovilla, coordinatore della campagna “Ponti e Muri” di Pax Christi: 

R. – Una Giornata ha un significato molto profondo e in particolare quest’anno, perché il 2014 che va a chiudersi è stato proprio l’anno che le Nazioni Unite hanno dedicato ai diritti del popolo palestinesi. Un significato, quindi, di altissimo livello geopolitico mondiale. Sappiamo che i conflitti che infiammano il Medio Oriente hanno proprio il loro "cuore" a Gerusalemme oggi e in tutta la Palestina e Israele.

D. – In cosa consistono gli appuntamenti della Giornata di solidarietà con il popolo palestinese a Lucca?

R. – La città è piena di mostre e di eventi culturali, che possono davvero aiutare la popolazione a prendere atto di questa situazione. Ma soprattutto, nella Giornata gli interventi saranno di grande livello. In particolare, il funzionario dell’Onu da Gerusalemme, Ray Dolphin, che rappresenterà proprio – attraverso una presentazione delle mappe – quella colonizzazione che è esattamente il nodo della pace e dell’attuale oppressione del popolo palestinese. Poi, ci sarà soprattutto anche il giornalista israeliano, Gideon Levy, che a Gerusalemme vive sotto scorta, perché teme le aggressioni di molte parti dell’opinione pubblica. La voce israeliana deve essere sempre non solo ascoltata, ma anche amplificata.

D. – Com’è cambiata la resistenza palestinese in questi anni?

R. – A Lucca, alla Giornata Onu per i diritti umani è presente il leader proprio della resistenza palestinese. Ma già Abu Mazen, all’ultima assemblea delle Nazioni Unite, aveva presentato nel suo discorso ufficiale proprio la scelta precisa della resistenza non violenza. Già i villaggi mettono in pratica questa resistenza, dal nord al sud dei Territori occupati. Una resistenza, quindi, che sceglie proprio di non usare più quell’arma del terrorismo, che purtroppo in alcuni momenti insanguina la città di Gerusalemme. E questo per ricordarsi che l’esasperazione è davvero arrivata ad un livello incontenibile.

D. – Sono stati fatti passi avanti sull’assistenza al popolo palestinese e sulla salvaguardia dei diritti umani?

R. – I passi che vengono fatti, anche ufficiali, sono importanti e in particolare quando le Nazioni Unite intervengono proprio per riconoscere per esempio il diritto del popolo di Gaza a non vivere sotto embargo. Ma questi pronunciamenti, questi passi avanti, immediatamente ricevono purtroppo un rifiuto da parte dello Stato di Israele, che purtroppo sembra davvero non scegliere questa strada degli accordi internazionali e questa precisa volontà della comunità internazionale di riconoscere – come hanno fatto ormai molti Paesi, anche europei – il diritto all’autodeterminazione e quindi la possibilità che nasca finalmente uno Stato di Palestina.

D. – Proprio in questi giorni, il parlamento francese sta discutendo una mozione per riconoscere la Palestina come Stato. Che peso può avere una decisione positiva sul piano internazionale?

R. – Sono decisioni che apparentemente non hanno un rilievo diretto, non influiscono direttamente nella situazione, ma sono simbolicamente gesti di rilievo importantissimo. Ricordiamoci quando l’anno scorso l’Unesco e l’Onu hanno ufficialmente ricordato al mondo che il popolo palestinese è una nazione, che ha diritto a vivere nel consenso dei popoli e delle nazioni per poter affermare questi diritti. Quindi, ci ritroviamo di fronte ancora una volta ai popoli della terra, in gran parte gli Stati Uniti, ma poi anche l’Europa, che cercano di sollecitare a fare decisamente un passo non solo verso la pace genericamente intesa, ma verso il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.

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Raccolta fondi dell'Aispo per un ospedale in Sud Sudan

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L’Associazione italiana per la solidarietà tra i Popoli, Aispo, ha lanciato una campagna solidale a sostegno dell’Ospedale comboniano di Wau, in Sud Sudan. L’ospedale è diretto da suor Maria Martinelli, medico chirurgo di origini trentine, da sei anni nel Paese africano dove altissima è la mortalità infantile, 68 su mille, come frequente è la morte per parto: 2054 donne non sopravvivono su 100 mila. Tante le necessità della struttura ospedaliera per rispondere sempre meglio ai bisogni della popolazione locale. Da qui la campagna di raccolta fondi tramite sms al numero 45595 fino al 30 novembre: al microfono di Adriana Masotti, suor Maria descrive la sua attività: 

R. – Sì, è un ospedale generale, però vista la situazione del Sud Sudan, la nostra preoccupazione principale è quella di aiutare in modo particolare le donne e i bambini. Perché la mortalità infantile, sotto i cinque anni, e la mortalità materna legata all’evento del parto, in questo Paese è una delle più disastrose del mondo.

D. – Voi vi imbattete, oltre che in tanta povertà e ai problemi connessi, anche in problemi culturali, nel vostro lavoro …

R. – Sì, a volte sì. Soprattutto l’evento della maternità è legato a certe tradizioni, per cui a volte ci sentiamo abbastanza impotenti, oppure dobbiamo combattere a livello verbale molto a lungo con le famiglie che, per esempio, non accettano di fare un cesareo per salvare la vita del bambino o della mamma. Di solito riusciamo a convincerli, però in certi casi sono delle perdite di tempo inutili e lunghissime, perché ci sono tradizioni che impediscono alle donne di essere operate, perché devono per forza partorire normalmente.

D. – Per quanto riguarda i bambini, invece, quali casi vi trovate di fronte?

R. – La parte del leone – per dirla all’africana – la fa la malaria. La malaria è ancora una malattia bruttissima, una malattia terribile, specialmente per i bambini piccoli sotto i cinque anni e perfino sotto l’anno, perché provoca spessissimo complicazioni come anemie gravi, che portano alla morte, se non si interviene immediatamente con una terapia e con la terapia di supporto, come potrebbe essere una trasfusione nel caso di anemia grave, o una reidratazione in caso di disidratazione, eccetera. Ci sono polmoniti e infezioni respiratorie varie dovute al clima infelice …

D. – Almeno nella diocesi in cui è situato l’ospedale, qual è la situazione in cui si vive adesso? C’è pace?

R. – Dal punto di vista politico, questo è uno degli Stati che non è stato toccato direttamente dalla guerra, ma indirettamente sì, perché ci sono moltissimi giovani che sono stati arruolati e sono partiti e non sono più tornati. Poi, indirettamente, anche la situazione economica è crollata: il divario tra poveri e ricchi si è allargato.

D. – E’ in corso una raccolta fondi per il suo ospedale: quali sono le necessità maggiori a cui si provvederà anche con questo aiuto?

R. – Con questo aiuto pensiamo di acquistare farmaci e alcuni materiali che servono per terminare l’attrezzatura dell’ospedale, e poi materiali consumabili da usare per l’ospedale. Inoltre, una parte andrà per l’acquisto di gasolio per il nostro generatore, perché dalla città non viene l’energia elettrica. Quindi dobbiamo lavorare ancora con il generatore. Poi, c’è la formazione del personale.

D. – Lei potrebbe essere tra le sue montagne, in Trentino, e invece si trova tra i poveri in Sud Sudan …

R. – Beh … questa è la mia vita. Io sono contenta così. Non mi sento una persona strana, non mi sento un’eroina. Sento che ho semplicemente seguito l’inclinazione più profonda del mio cuore, e seguendo il Signore sono arrivata fino a qua.

D. – Ecco, quell’affermazione di una persona – “finché voi suore sono qui, so che Dio non ci ha abbandonato e per noi, prima o poi, un futuro ci sarà” – è stata detta a lei, vero?

R. – Sì. Sì. E’ stata detta a me, lo so, ancora all’inizio della mia vita in Africa. Però credo che sia stata detta a tante altre missionarie e missionari da tanta gente, perché questo è quello che la gente pensa, quello che la gente ci dice. Quella frase di quel signore, in particolare, mi ha accompagnata per tutta la mia vita ed è quello che dà un po’ il senso della mia vita missionaria: quello di essere, appunto, sia pur con tutti i difetti di questo mondo che mi ritrovo addosso, un piccolo segno della presenza di Dio per i poveri.

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Allarme vaccini. Iss: no allarmismi, campagna vaccinale continua

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Sono in tutto 11 le segnalazioni di morti sospette dopo la somministrazione del vaccino antinfluenzale "Fluad" della Novartis. Non ci sono finora evidenze che suggeriscano un nesso causale, ma l'Agenzia del Farmaco (Aifa) ha ritirato in via cautelativa i lotti dei vaccini sospetti e non esclude analoghi provvedimenti sulla base di ulteriori nuove segnalazioni. “Per i risultati dei controlli ci vorranno alcuni giorni”, spiega Gianni Rezza, capo dipartimento Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, che invita a evitare allarmismi. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – L’Aifa ha fatto bene a prendere questo provvedimento in via cautelativa. Non è detto che il vaccino sia la causa di questi decessi. Probabilmente non lo è, però bisogna indagare. Inoltre, bisogna evitare che i lotti incriminati o sotto esame vengano in questo momento utilizzati. Tant’è vero che la campagna vaccinale continua, ma continua con dosi di vaccino non appartenenti a quei lotti o appartenenti ad altre aziende.

D. – Non c’è al momento una relazione diretta vaccino-decessi, ma certo 11 morti non sono pochi. Per chi avesse pensato di vaccinarsi in questi giorni quale consiglio dare: aspettare o procedere?

R. – E’ vero che 11 morti purtroppo sono tanti, il punto è che noi non sappiamo, in assenza di vaccino, se queste persone sarebbero morte o meno. E questo è un quesito per la cui risposta bisognerà attendere purtroppo dei giorni. Nel frattempo, si può assolutamente continuare a vaccinarsi. Io stesso l’ho fatto con i vaccini che sono attualmente disponibili. I medici sono ampiamente avvertiti e sanno che non devono utilizzare quei vaccini appartenenti a quei due lotti o a qualsiasi lotto possa essere ritenuto implicato in qualche modo. Tutti gli altri vaccini non hanno assolutamente causato problemi.

D. – Cioè si possono utilizzare vaccini antiinfluenzali diversi dal "Fluad"?

R. – Intanto, non tutte le dosi di "Fluad" sono state coinvolte, secondo l’Aifa. Secondo, tutti gli altri vaccini possono essere assolutamente utilizzati. Anzi, direi una cosa: le persone ad alto rischio di complicanze dovrebbero vaccinarsi, perché ricordiamo che l’influenza fa comunque ottomila morti l’anno. Le complicanze dell’influenza in persone con malattie cardiorespiratorie croniche, con diabete, in bambini prematuri, sono gravi e possono portare anche ad un esito fatale.

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Giornata colletta alimentare: 6 milioni i poveri assoluti in Italia

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18.mа Giornata nazionale della colletta alimentare oggi in Italia: 11 mila i supermercati coinvolti, oltre 135 mila i volontari della Fondazione Banco Alimentare Onlus impegnati nella raccolta degli alimenti a lunga conservazione donati dai consumatori: olio, alimenti per l’infanzia, riso, biscotti, sughi, pelati ecc… Il ricavato verrà distribuito a quasi 9 mila strutture caritative a cui si rivolgono le tante persone che non ce la fanno. In soli 7 anni è quasi triplicata la povertà assoluta in Italia, un dato che sollecita un gesto di solidarietà. Al microfono di Adriana Masotti, il presidente del Banco Alimentare, Andrea Giussani

R. – Sì, purtroppo ci sono dei grandi numeri nella povertà: si contano sei milioni di persone in povertà assoluta, cioè di persone che con il proprio reddito non riescono a sostentare i beni necessari minimi per vivere, quindi alimenti, vestiario, casa; questo significa una persona su dieci. Per dare un’idea: noi camminiamo per le strade di una delle nostre città, contiamo le persone, l’undicesima si trova in condizioni di povertà assoluta. Di questi sei milioni, quattro sono i cosiddetti “poveri alimentari”, per i quali la povertà è sostanzialmente quella di non avere da mangiare; oggi non sanno se domani avranno un pasto completo. Quindi un vero oceano di bisogno. La colletta serve non certo a risolvere, ma ad intervenire su questa realtà.

D. - Un milione tra i poveri assoluti sono bambini …

R. - È proprio così. Questo è anche il motivo per cui noi chiediamo e consigliamo ai consumatori, per esempio, di donarci con la spesa di oggi degli alimenti per l’infanzia, perché, come si può capire, è un’età, un momento, in cui l’alimentazione è fondamentale per una crescita in tutti i sensi.

D. - Cinque milioni e mezzo circa sono stati i donatori l’anno scorso, nonostante la crisi, novemila le tonnellate di cibo raccolte. Le attese di quest’anno?

R. - La speranza è di raggiungere almeno lo stesso risultato e magari di superarlo. Su cosa si fonda questa speranza? Oltre che su un fattore di generosità, su un fattore di maggior consapevolezza degli italiani, oggi, di questo dramma della povertà alimentare e quindi forse anche il convincimento a donare un po’ di più. Noi abbiamo fatto la nostra parte cercando di aumentare - e riuscendoci parzialmente - il numero dei punti di vendita in cui proponiamo questa spesa in più.

D. - Ci può dire come funziona la distribuzione del cibo raccolto? A chi andrà?

R. - Nella nostra attività ordinaria abbiamo novemila strutture caritative convenzionate alle quali durante l’anno consegniamo gli alimenti che noi recuperiamo dalle aziende che producono eccedenze di produzione. Il giorno della colletta e nei due o tre mesi successivi redistribuiamo gli alimenti di oggi alle stesse strutture caritative: Caritas, parrocchie, San Vincenzo, Sant’Egidio, … che ricevono ancora di più. Possiamo dire che in questi mesi ricevono l’esito della colletta che permette una maggiore varietà di prodotti ed alimenti perché sono quelli donati secondo la creatività di ognuno.

D. - Un’occasione, la Giornata della colletta alimentare, per lanciare un messaggio a tutti, valido per tutti i giorni dell’anno, cioè quello di contrastare gli sprechi …

R. - Contrastare gli sprechi da una parte, quindi un’educazione al consumo un po’ più attenta alle date, alla scadenza, al modo di fare acquisti, ma dall’altra un’educazione al cibo in assoluto, perché il cibo è uno di quegli elementi in cui si vede di più il dono. Il cibo è l’esito del dono della natura, del dono di chi lo cucina. Allora, perché non soffermarsi ancora più attentamente a ridonarlo a chi ne ha bisogno, invece di disperderlo nello spreco?

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Giornata dei malati di Parkinson, 300 mila casi in Italia

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In Italia, si celebra la Giornata nazionale dedicata ai malati di Parkinson, patologia neurodegenerativa del sistema nervoso centrale, che fu descritta per la prima volta da James Parkinson, un farmacista chirurgo londinese del XIX secolo, e che, solo in Italia, riguarda oltre 300 mila persone. Eliana Astorri ha fatto il punto con la dott.ssa Anna Rita Bentivoglio, ricercatrice presso l’Istituto di Neurologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma: 

R. – La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa, che colpisce alcuni nuclei che si trovano nella profondità del cervello e che sono responsabili del controllo dei movimenti: sia dei movimenti volontari sia dei movimenti automatici, come quelli che per esempio fanno le nostre braccia quando noi camminiamo e penzolano accanto al corpo. Oltre al controllo del sistema motorio, sono coinvolti anche i centri che regolano l’attività dei nostri visceri: per esempio, il sistema digerente, il sistema cardiovascolare e anche i nostri sfinteri. La malattia di Parkinson, quindi, è una malattia piuttosto complessa, con un importante corredo di disturbi non motori, che si affiancano a quelli motori. Per questo motivo, in molti centri – fra cui anche il nostro centro del Parkinson del Policlinico Gemelli –hanno pensato di offrire dei percorsi dove il paziente non viene sostenuto solo dal neurologo – che lo aiuta con le medicine proponendo un percorso riabilitativo, quindi che lo aiuta sulla parte squisitamente motoria – ma vi sono tante altre figure affiancano il neurologo – l’internista, il cardiologo, l’ortopedico, il geriatra per i pazienti più in là con gli anni – che prendono in carico la persona con tutti i suoi problemi di salute. Peraltro, va tenuto presente che il più importante fattore di rischio per la malattia di Parkinson è rappresentato dall’età. Quindi, in una popolazione che invecchia, noi ci aspettiamo di trovare più persone che hanno anche la malattia di Parkinson. Ovviamente, una persona anziana ha tanti altri problemi, però a volte ha la pressione che non va bene, ha problemi a digerire e tante altre cose. Quindi, avere una regia unica all’interno di un day hospital, per esempio, o di un centro aiuta le persone a non essere frastornate nella ricerca di tanti specialisti, che a volte danno anche delle prescrizioni un po’ in conflitto l’una con l’altra.

D. – Oltre a quella terapia farmacologica, si parla molto del giovamento che queste persone possono trarre dall’attività fisica, dal teatro, dal canto, dalla danza…

R. – Assolutamente. Innanzitutto, c’è da dire che forse qualche anno fa tutti sottovalutavano l’impatto che l’attività fisica ha sul nostro cervello, in quanto non solo il movimento, l’attività di gruppo, migliorano le performance dei nostri muscoli, ma sono in grado anche di migliorare la plasticità cerebrale e questo naturalmente fa sì che anche i processi riparativi, all’interno del sistema nervoso, possano avvenire in una maniera più efficiente.

D. – Fra l’altro, queste attività aiutano anche a combattere il disagio sociale, che queste persone provano…

R. – Naturalmente. Finora, abbiamo parlato del beneficio proprio sulla materia grigia, ma noi siamo persone, quindi le malattie non solo incidono sulla nostra funzionalità, ma incidono su come noi percepiamo noi stessi, i nostri rapporti con gli altri. Quindi, avere delle attività che ci portano a stare in gruppo, a divertirci, a ridere insieme, a fare qualcosa che ci fa sentire bene, che ci fa sentire vivi, non può far altro che farci bene e farci sentire che stiamo vivendo la nostra vita. La malattia di Parkinson è come tante altre malattie, quindi il modo in cui affrontiamo la diagnosi, il modo in cui noi la combattiamo, ha un peso enorme sulla qualità di vita che poi abbiamo.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno Liturgico, un nuovo tempo di grazia per vivere il Mistero della vita di Cristo in noi: ci poniamo in attesa della venuta del nostro Signore Gesù.

“Vegliate, perché non sapete quando è il momento”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una riflessione di don Ezechiele Pasotti

Il Vangelo di oggi si apre con due imperativi – tre secondo diversi codici antichi: “Fate attenzione, vegliate e pregate, perché non sapete quando è il momento”. Noi non conosciamo i tempi di Dio. Nella nostra cultura il tempo è denaro, è per divertirsi. Spesso ci illudiamo di dominarlo, programmandoci la vita nei minimi dettagli. Ma il tempo ci rimane mistero. Non ci appartiene. Scrive un autore: “L’età moderna abitua a considerare l’uomo come assoluto, autonomo e superbo padrone del tempo, di cui dispone a piacimento. E’ un autoinganno. Ogni uomo infatti nasce senza saperlo, vive non sa per quanto tempo, muore senza conoscere quella data. L’irrisorio segmento di tempo che vive non è ‘suo’. Gli è donato con amore affinché ne disponga per il bene suo e dei fratelli” (T. Federici). L’avvento è per noi tempo di grazia. Ci annuncia che il Signore viene, che la sua venuta è prossima ed è importante prepararci ad essa, vegliando e pregando. Non si tratta tanto di due atteggiamenti “devoti”, e “noiosi”: è lo Sposo che viene per  strappare la nostra vita dal vuoto e dal non senso delle cose da fare, per lanciarla verso una dimensione sponsale di pienezza, di eternità. Vegliare è “stare” col Signore. Pregare è trovare un’intimità sponsale con Lui. L’attesa del Signore, allora, non solo non ci metterà paura, ma rinvigorirà le nostre ginocchia vacillanti, metterà le ali al cuore per correre incontro al Signore che viene. L’Eucaristia domenicale annuncia e anticipa la venuta del Signore in mezzo a noi. Essa dà al tempo il suo compimento nella comunione con Dio e con i fratelli.

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Nella Chiesa e nel mondo



Giornata contro Aids: Onu chiede accesso alla prevenzione

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Il 71% dei 35 milioni di persone affette da Aids vivono in Africa sub-Sahariana. In vista della Giornata mondiale contro l’Aids del 1° dicembre, il Programma delle Nazioni Unite per l’Aids (Unaids) ha lanciato un appello perché sia definitivamente risolto il problema dell’accesso alla prevenzione, diagnosi e cura della pandemia evidenziando il fatto che non avrà risposta finché la distribuzione del trattamento antiretrovirale (Arv) non verrà radicalmente ridefinita secondo un approccio comunitario che si adatti alle realtà quotidiane di chi convive con la malattia.

Varie organizzazioni sanitarie, come Medici Senza Frontiere (Msf) e altre che dal 2007 hanno avviato un’ampia varietà di strategie comunitarie per portare il trattamento più vicino alle case delle persone, mostrano come gli approcci comunitari, che consentono un accesso al trattamento antiretrovirale in modo più semplice e meno costoso per le persone, siano strategie fondamentali perché un maggior numero di persone porti avanti un efficace trattamento contro l’Hiv e diminuisca, in questo modo, la trasmissione del virus. Msf e altre organizzazioni hanno decentralizzato alcuni servizi in aree rurali per ridurre le distanze che i pazienti devono coprire per ottenere farmaci e sottoporsi a visite, formato infermieri specializzati nell’erogazione di Arv e consiglieri comunitari all’educazione e al rispetto del trattamento.

I programmi di educazione sanitaria e di istruzione al trattamento hanno portato ad un aumento della comprensione della malattia diminuendo lo stigma sull’Aids nelle comunità, hanno facilitato il follow-up dei pazienti, il rispetto della terapia e le attività di prevenzione. Separando la necessità di un controllo annuale in ospedale dall’assunzione giornaliera dei farmaci, si riducono i tempi e i costi necessari per accedere alle cure e nel 90% dei modelli sperimentati in Sud Africa, Malawi, Mozambico, Zimbabwe e Kenia, ha garantito il mantenimento della cura nei pazienti stabili.

Progetti pilota in alcuni Paesi dell’Africa occidentale e centrale in ritardo nella risposta all’Hiv, come la Repubblica Democratica del Congo e la Guinea, hanno mostrato risultati positivi sui pazienti. Secondo l’Unaids, nel 2012, il 59% delle ong che lavorano sull’Hiv e i diritti umani hanno visto ridurre i propri finanziamenti. In Sud Africa, il gruppo attivista Treatment Action Campaign (Tac) sta affrontando una crisi finanziaria tanto grave da rischiare la chiusura dopo 15 anni di attività.

I modelli comunitari richiedono flessibilità nei sistemi sanitari poiché non esiste un sistema che possa adattarsi ad ogni esigenza. Alle persone sieropositive dovrebbe essere data la possibilità di scegliere come meglio adattare il loro trattamento quotidiano alle proprie vite. (A.P.)

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Pakistani cristiani in Italia: mozione per la libertà religiosa

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Proporre ai rappresentanti politici italiani una mozione sulla libertà religiosa in Pakistan, da approvare in Parlamento; invitare la comunità internazionale e il governo italiano – specie durante il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea - a chiedere al Pakistan a difendere e proteggere le minoranze religiose: sono gli obiettivi della Associazione Pakistani Cristiani in Italia che il 2 dicembre terrà una conferenza a Palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati del Parlamento italiano.

Come informa una nota ripresa dall'agenzia Fides, la conferenza prende lo spunto dal grave episodio di Shama e Shahzad Masih, i coniugi cristiani arsi vivi in una fornace il 4 novembre scorso, e intende discutere della legge anti-blasfemia ma anche della schiavitù dei cristiani nelle fornaci di argilla, fenomeno molto diffuso in Pakistan. Alla conferenza prendono parte diversi parlamentari italiani e il prof. Shahid Mobeen, fondatore Associazione Pakistani Cristiani in Italia.

“La drammatica uccisione dei coniugi rappresenta l’ennesimo caso di omicidi extragiudiziali legati ad accuse di blasfemia”, afferma la nota giunta a Fides, “ed è usata in particolar modo per colpire le minoranze religiose”. “La vicenda – conclude il testo – accende inoltre i riflettori sulla tragica sorte dei lavoratori nelle fornaci di mattoni in Pakistan. Intere famiglie sono ridotte in schiavitù per ripagare debiti contratti con i proprietari delle fabbriche, e costrette a lavorare in condizioni disumane. Si stima che tra i tre e gli otto milioni di pachistani siano vittime di questa odierna forma di schiavitù”. (R.P.)

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Filippine. Silsilah: Avvento di solidarietà con i musulmani

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“L’Avvento è un tempo di preparazione alla venuta di Gesù, l’Emmanuele (Dio con noi). Musulmani e cristiani del movimento per il dialogo ‘Silsilah’ mettono sempre in evidenza, all'inizio del tempo di Avvento, come pure all’inizio del mese di Ramadan per i musulmani, un messaggio speciale per condividere solidarietà e amicizia. Questo segno di amicizia e gioia contribuisce a educare la nostra gente ad apprezzare anche ciò che è caro agli altri”: è quanto afferma in una nota inviata all'agenzia Fides, il movimento per il dialogo islamo-cristiano “Silsilah”, nato nella Filippine Sud ad opera del missionario del Pime padre Sebastiano D’Ambra.

“La venuta di Papa Francesco nelle Filippine nel 2015 – prosegue il testo – è per noi un altro evento che infonde gioia in cristiani e musulmani. I musulmani rispettano e apprezzano il Papa come uno dei leader mondiali della pace. La preparazione al Natale ma anche alla visita del Papa è un segno di speranza in mezzo alla violenza che si registra anche nelle Filippine”.

Il testo ricorda la missiva scritta al Papa da un gruppo di 138 saggi musulmani nel 2007 che diceva: “Cristiani e musulmani insieme costituiscono oltre la metà della popolazione mondiale. Senza pace e giustizia tra queste due comunità religiose, non ci può essere nessuna significativa pace nel mondo”.

Il testo conclude: “Continuiamo a rispettare e amare l'altro, pregando per coloro che, in nome della loro fede, opprimono ed uccidono gli altri. La visita del Papa nelle Filippine, all’insegna del motto ‘Misericordia e compassione’, rende la nostra esperienza di dialogo un'ispirazione per molti negli sforzi in corso per trovare soluzioni di pace a Mindanao e in molte parti del mondo”. (R.P.)

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Colombia: nasce Osservatorio di Riconciliazione e Pace

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Sostenere le trattative di pace con le Farc e operare per la riconciliazione nazionale. È questo lo scopo dell’Osservatorio di Esperienze di riconciliazione e di pace, riconosciuto dalla Commissione di Conciliazione Nazionale.

Secondo una nota inviata all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale colombiana, il 27 novembre scorso, presso la sede della Conferenza episcopale (Cec), è stato raggiunto un accordo per formare il nuovo organismo tra il Segretariato nazionale della pastorale sociale della Conferenza episcopale della Colombia, Planeta Paz, la Cooperativa Viva la cittadinanza, la Rete Nazionale di iniziative per la pace e contro la guerra (Redepaz), il Centro per la ricerca e l'istruzione popolare/Programma per la Pace e la rete di programmi per lo Sviluppo e la Pace, con il sostegno della Fondazione degli Stati Uniti per lo sviluppo Internazionale Usaid e l'Oim Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

Grazie alla ripresa dei dialoghi di Pace a Cuba, l'Osservatorio della Riconciliazione e della Pace si propone si sostenere le iniziative di riconciliazione già esistenti in Colombia; analizzare le caratteristiche e l'evoluzione del processo; avere un impatto sul territorio e le regioni in ciò che riguarda politiche, piani, programmi, progetti e le azioni nel post-conflitto. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 333

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.