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Sommario del 13/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: il Regno di Dio cresce in silenzio, non fa spettacolo

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Il Regno di Dio cresce ogni giorno grazie a chi lo testimonia senza fare “rumore”, pregando e vivendo con fede i suoi impegni in famiglia, al lavoro, nella sua comunità di appartenenza. Lo ha sottolineato Papa Francesco nell’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Nel silenzio, magari di una casa dove “si arriva a fine mese con mezzo euro soltanto” eppure non si smette di pregare e di curare i propri figli e i propri nonni: è lì che si trova il Regno di Dio. Lontano dal clamore, perché il Regno di Dio “non attira l’attenzione” esattamente come non la attira il seme che cresce sotto terra. Papa Francesco si lascia guidare nella sua omelia dalle parole lette nel brano del Vangelo di Luca, dove alla domanda dei farisei: ‘Quando verrà il Regno di Dio?’, Gesù replica: verrà un giorno in cui “vi diranno: ‘Eccolo là’, oppure: ‘Eccolo qui’; non andateci, non seguiteli”. “Il Regno di Dio – asserisce il Papa – non è uno spettacolo. Lo spettacolo tante volte è la caricatura del Regno di Dio”:

“Lo spettacolo! Mai il Signore dice che il Regno di Dio è uno spettacolo. E’ una festa! Ma è diverso. E’ festa, certo, è bellissima. Una grande festa. E il Cielo sarà una festa, ma non uno spettacolo. E la nostra debolezza umana preferisce lo spettacolo”.

Tante volte, prosegue Papa Francesco, spettacolo è una celebrazione – per esempio delle nozze – alla quale si presenta gente che piuttosto che a ricevere un Sacramento “è venuta a fare lo spettacolo della moda, del farsi vedere, della vanità”. Invece, ripete, “il Regno di Dio è silenzioso, cresce dentro. Lo fa crescere lo Spirito Santo con la nostra disponibilità, nella nostra terra, che noi dobbiamo preparare”. Poi, soggiunge citando le parole di Gesù, anche per il Regno arriverà il momento della manifestazione di forza, ma sarà solo alla fine dei tempi:

“Il giorno che farà rumore, lo farà come la folgore, guizzando, che brilla da un capo all’altro del cielo. Così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno, il giorno che farà rumore. E quando uno pensa alla perseveranza di tanti cristiani, che portano avanti la famiglia – uomini, donne - che curano i figli, curano i nonni e arrivano alla fine del mese con mezzo euro soltanto, ma pregano, è lì il Regno di Dio, nascosto, in quella santità della vita quotidiana, quella santità di tutti i giorni. Perché il Regno di Dio non è lontano da noi, è vicino! Questa è una delle sue caratteristiche: vicinanza di tutti i giorni”.

Anche quando descrive il suo ritorno in una manifestazione di gloria e di potenza, tuttavia Gesù – insiste Papa Francesco – aggiunge subito che “prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione”. Ciò vuol dire, nota il Papa, che “anche la sofferenza, la croce, la croce quotidiana della vita – la croce del lavoro, della famiglia, di portare avanti bene le cose – questa piccola croce quotidiana è parte del Regno di Dio”. E conclude: chiediamo al Signore la grazia “di curare il regno di Dio che è dentro di noi” con “la preghiera, l’adorazione, il servizio della carità, silenziosamente”:

“Il Regno di Dio è umile, come il seme: umile ma viene grande, per la forza dello Spirito Santo. A noi tocca lasciarlo crescere in noi, senza vantarci: lasciare che lo Spirito venga, ci cambi l’anima e ci porti avanti nel silenzio, nella pace, nella quiete, nella vicinanza a Dio, agli altri, nell’adorazione a Dio, senza spettacoli”.

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Dal Papa il presidente austriaco: libertà religiosa e Medio Oriente

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Libertà religiosa e diritti umani, crisi in Medio Oriente. Un orizzonte di temi vasto quello che occupato il momento di incontro tra Papa Francesco e il presidente dell’Austria, Heinz Fischer. Durante i “cordiali colloqui”, afferma un comunicato ufficiale, “si sono rilevate le positive relazioni bilaterali tra l’Austria e la Santa Sede, e successivamente sono stati affrontati temi di comune interesse, tra i quali l’importanza della promozione della libertà religiosa e dei diritti umani, e l’impegno nel dialogo interreligioso e interculturale. Infine – termina la nota – sono state esaminate alcune questioni in ambito internazionale, in particolare la situazione in Medio Oriente”.

Dopo l’udienza con il Papa, il capo di Stato austriaco si è intrattenuto a colloquio con cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

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Il Papa riceve i cardinali Kurt Koch e Robert Sarah

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum", e l’arcivescovo Joseph Marino, nunzio apostolico in Malaysia e in Timor Orientale, nonché delegato Apostolico in Brunei, Darussalam.

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Papa, tweet: guerra distrugge e impoverisce. Signore donaci la tua pace

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “La guerra distrugge, uccide, impoverisce. Signore, donaci la tua pace!”

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Docce per i senza tetto in Vaticano. Don Krajewski: ridare dignità alle persone

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Inizieranno lunedì 17 novembre i lavori per realizzare tre docce per i senza tetto sotto il colonnato di San Pietro, in Vaticano. L’iniziativa è partita da mons. Konrad Krajewski, l’elemosiniere di Papa Francesco, e ha avuto subito la benedizione del Pontefice. L’idea del sacerdote polacco è stata già realizzata in dieci parrocchie romane, a cominciare da Via Gregorio VII, Piazzale Clodio e l’Aventino.

“Noi ridiamo dignità a queste persone che si possono lavare – ha detto don Konrad - Lei immagini che non possono entrare nei ristoranti. Se lei gira per Roma e vuole andare in un bagno pubblico, non esiste proprio! E se ci sono, come nelle stazioni ferroviarie, tutti i bagni sono a pagamento. Certo, non è che non esistano le docce a Roma, perché c’è la Comunità di Sant’Egidio, c’è la Caritas e ci sono alcune parrocchie che le hanno. Ma io cercavo di fare queste docce nelle parrocchie dove ci sono già le mense. I nostri senza tetto vengono già lì per mangiare e allora se 2-3 o 5 al giorno si possono anche lavare, se noi abbiamo 10 parrocchie, significa che in un giorno sono 50, in 10 giorni sono 500!”.

“Questo – sottolinea - è un servizio normale che dovrebbe partire dal Comune, non da noi. Ma lei sa che i progetti noi li facciamo fra un anno, fra due anni, fra dieci anni… Il Vangelo però dice “oggi”: oggi dobbiamo aiutare la gente, non domani. Questo si poteva fare subito, semplicemente parlando con i parroci, trasformando i bagni che hanno in docce. E questo poi appartiene alla parrocchia e quindi nessuno può mandare un vigile urbano che dice: ‘No, non rispettate le normative della Comunità Europea e quindi chiudiamo le docce o i bagni’. Questa è accoglienza del parroco, della comunità parrocchiale e appartengono proprio alla struttura parrocchiale, non sono pubblici. Chi viene a casa mia, dipende da me: proprio per questo si poteva fare subito. Se aspettiamo i timbri dell’assessore e di tutti gli altri, passano mesi o anni! Così, invece si può fare tutto questo in qualche settimana”.

“Noi – conclude don Konrad - siamo il pronto intervento di Papa Francesco e i nostri soldi devono essere distribuiti in modo evangelico. Fare queste docce per i senza tetto è una benedizione per tanti, anche per la città stessa. E’ quello che possiamo fare, nel nostro piccolo”. (A cura di Sergio Centofanti)

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Forum cattolico-musulmano: mai giustificare terrorismo con la religione

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Non è mai accettabile usare la religione per giustificare terrorismo, persecuzioni, violenze contro innocenti, profanazione di luoghi sacri o distruzione del patrimonio culturale: con questa Dichiarazione si è concluso oggi il terzo seminario del Forum cattolico-musulmano svoltosi in questi giorni a Roma sul tema "Lavorare insieme a servire gli altri". La delegazione cattolica è stata guidata dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, quella musulmana dal prof. Seyyed Hossein Nasr della George Washington University.

“L'educazione dei giovani, sia in famiglia che a scuola, nell’università, in chiesa o in moschea – si legge nella Dichiarazione - è della massima importanza per la promozione di una identità a tutto tondo che insegni il rispetto per gli altri. A tal fine, programmi scolastici e libri di testo dovrebbero rappresentare un’immagine oggettiva e rispettosa degli altri”.

I partecipanti hanno affermato “l'importanza della cultura del dialogo interreligioso per approfondire la comprensione reciproca. Questo è necessario per superare pregiudizi, distorsioni, sospetti e generalizzazioni inappropriate” che danneggiano la pacifica convivenza. La Dichiarazione incoraggia, infine, cristiani e musulmani “a moltiplicare le opportunità di incontro e cooperazione su progetti congiunti per il bene comune”.

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"Habemus Papam", Cd su Conclave di D. Grammophon e Radio Vaticana

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Un progetto unico, di lunga durata, che sta riscuotendo interesse internazionale e che si preannuncia carico di emozione. Così è stato presentato oggi in Sala stampa vaticana il doppio Cd intitolato "Habemus Papam", edito dalla "Deutsche Grammaphon", che raccoglie la musica eseguita durante le celebrazioni del Conclave del 2013, dalla Cappella Musicale Pontificia “Sistina” diretta dal mons. Massimo Palombella. Il Cd ,donato al Papa lo scorso 6 novembre, è il primo di una serie dedicata ai grandi eventi ecclesiali, a cui seguirà un’altra con le registrazioni in studio del repertorio proprio della Cappella Sistina. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

La musica, nel senso più lato possibile, è una componente fondamentale dell’esperienza umana a qualsiasi livello e qui siamo ad un livello alto”.

Così il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura il cardinale Gianfranco Ravasi parlando del progetto a lungo termine, che lo rende senza precedenti, siglato dalla Deutsche Grammophon e dalla Cappella Musicale Pontificia, che oggi dà alla luce il primo Cd del primo filone, che prevede un uscita ogni anno, ed è dedicato ai grandi eventi ecclesiali registrati dal vivo dalla Radio Vaticana. L’eccezionalità è che in "Habemus Papam" tutti potranno fruire per la prima volta di una vera documentazione storica del Conclave del 12 e 13 marzo 2013, dalla Messa per l’elezione, all’ingresso in Conclave, alla Messa con i cardinali elettori in Cappella Sistina, fino alla Messa per l’inizio del ministero petrino. L'album è arricchito da un ulteriore valore aggiunto: l’annuncio della nomina e il primo discorso pronunciato da Papa Francesco il 19 marzo 2013. Undici minuti che hanno incantato il mondo intero. C’è un valore musicale, ma anche di testimonianza, in questo lavoro, da cui derivano i particolari scelti per la registrazione, come spiega Mirko Gratton, direttore della Divisione Classica Universal:

“E’ un fatto assolutamente eccezionale. Ne deriva che naturalmente l’incisione di questo disco è un’incisione dal vivo, che non è in alcun modo artefatta. Non sono stati volutamente effettuati interventi sul master, per cui ci sono i cosiddetti rumori di fondo: ci può essere il colpo di tosse, ci sono due flash dei fotografi, c’è addirittura ad un certo punto il rumore di un elicottero. Abbiamo voluto toccare il meno possibile questi master, che comunque sono realizzati da Radio Vaticana nella migliore condizione possibile per registrare questo evento, proprio per non togliere nulla all’emozione di questi momenti, che hanno colpito tutto il mondo”.

Protagonista assoluta è la Cappella Pontificia, la più antica istituzione corale del mondo, interprete della musica connessa al rito delle celebrazioni papali. Custode del patrimonio della Chiesa e in dialogo con la modernità. Questo è il suo mandato ecclesiale, che si evince dalle musiche del Cd, spiega il direttore don Massimo Palombella:

“Noi dobbiamo dialogare, evangelizzare l’uomo di oggi, la cultura di oggi e non quella di ieri. Il lavorare con Deutsche Grammophon e pubblicare altro non è che rispondere a una sfida che proviene dalla propria identità. Ed è importante farlo, perché altrimenti si rischia impercettibilmente di cadere in un discorso di autoreferenzialità, che piano piano conduce ad una mediocrità, anche musicale”.  

Al secondo filone del progetto, siglato con la prestigiosa etichetta tedesca e che seguirà nei prossimi anni, appartengono invece registrazioni della Cappella Sistina fatte in studio, prevalentemente nella "Sala Assunta" della Radio Vaticana. In questo caso, il repertorio sarà quello identitario della Cappella stessa. Ancora Mirko Gratton:

“Registrazioni in studio che naturalmente andranno a riscoprire sia capolavori notissimi, ma anche capolavori sconosciuti, che mons. Palombella ci aiuterà sicuramente a scoprire, o capolavori conosciuti ma che potranno essere interpretati seguendo gli autografi originali, quindi senza incrostazioni della tradizione, che si sono sovrapposte nel tempo”.

Ruolo determinante nel progetto è quello della Radio Vaticana, che 77 anni fa, ha ricordato il direttore padre Federico Lombardi, iniziò a lavorare con il Coro della Sistina e con la tecnologia tedesca in un progetto di ripresa del suono, in cui ora è altamente specializzata:

“E anche se si parla molto della Radio Vaticana per l’attività di trasmissione di informazione, non bisogna dimenticare la sua attività importante anche nel campo della ripresa del suono, di una ripresa del suono di qualità, e nel campo della musica, l’arte a cui noi, come Radio Vaticana, siamo più vicini e legati”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nel regno di Dio con mezzo euro in tasca: messa del Papa a Santa Marta.

Sempre più critica la situazione in Ucraina: il Consiglio di sicurezza dell'Onu sollecita il rispetto degli accordi di Minsk.

Occasione mancata: Andrea Possieri sull'eredità di De Gasperi e la necessità di una nuova Europa.

Paesi allo specchio: Silvano Zucal sulla missione del vecchio continente nel pensiero di Romano Guardini.

A conforto dei secoli: Giandomenico Mucci sull'"Imitazione di Cristo".

Viaggio nel mistero del tempo: Gaetano Vallini recensisce "Interstellar" di Christopher Nolan, con un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "Trovare se stessi ai confini dell'universo".

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Oggi in Primo Piano



Germania: non manda figlia a lezione di educazione sessuale, genitore arrestato

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In Germania, in un piccolo comune della Renania Vestfalia, un genitore è stato arrestato perché si è rifiutato di mandare la propria figlia ad una lezione di educazione sessuale della scuola elementare. L’assurda vicenda è stata possibile in forza di una normativa approvata già da alcuni anni. E’ quanto sottolinea dalla città tedesca di Chemnitz, Andrea Rebeggiani, professore di lettere in pensione, da 27 anni in Germania. L’intervista è di Alessandro Gisotti: 

R. – La notizia o il fatto non è nuovo, si è ripetuto. E’ già accaduto alcuni anni fa che altre famiglie di confessione battista hanno rifiutato che i loro figli frequentassero le lezioni di educazione sessuale e hanno preteso che su questa materia i figli fossero educati in casa. Per questo motivo sono stati denunciati, essendoci una legge non generale dello Stato, ma dei Länder, che vieta questo, vieta cioè la possibilità di istruire i figli a casa. Questa legge prevede multa o arresto per i genitori che si rifiutino di mandare i figli a scuola durante queste lezioni.

D. – Non si tratta di arresto di genitori che non mandano i figli a scuola, ma che non li mandano proprio a queste lezioni…

R. – Non vogliono mandarli a queste lezioni e dicono: “Sull’educazione sessuale siamo noi i primi responsabili”.

D. – Come è possibile che una nazione democratica e libera come la Germania mandi in carcere, quindi praticamente assimilandoli ai criminali, genitori che non vogliono mandare a queste lezioni specifiche di educazione sessuale i propri figli?

R. – Perché esiste una normativa, in Germania, che obbliga i genitori a mandare i figli a scuola in generale. In questo contesto non ci si può rifiutare di mandare i figli oppure di far ricevere dai figli tutte le offerte della scuola. Si può soltanto raggiungere un accordo con i professori e con il preside, perché i genitori vengano informati dei contenuti di queste lezioni e anche della data in cui queste lezioni vengono impartite.

D. – La questione dell’educazione sessuale, ovviamente, ha creato molta preoccupazione, perché sostanzialmente queste elezioni – si dice – sono molto fortemente orientate in un certo senso…

R. – Posso confermarlo anche per l’esperienza che ho dei miei figli, soprattutto in alcuni Länder, come il Nordrhein-Westfalen. Una coppia della nostra comunità di Monaco aveva una bambina all’asilo e la bambina tornava molto disturbata. Informandosi, hanno scoperto che questi bambini venivano educati sessualmente a toccarsi per conoscersi. Sono andati a protestare dai professori e hanno ritirato i bambini.

D. – Come ritiene che sia possibile una cosa del genere?

R. – Perché la teoria “gender” è entrata ovunque e viene accettata acriticamente come la verità e come una buona base per liberare la personalità dei figli, facendola crescere meglio, più libera e più autonoma.

D. – Lei sta parlando anche di asilo, quindi stiamo parlando di bambini di due, tre anni?

R. – In alcuni asili, non potrei dire quanti, ho letto che viene istituito un angolo dove i bambini possono ritirarsi e lì accarezzarsi, toccarsi, conoscersi.

D. – Non ci sono particolari manifestazioni popolari o in qualche modo una reazione della Chiesa e non solo?

R. – La Chiesa ha preso posizione ufficiale contro questo e ogni tanto si leggono dichiarazioni dei vescovi. C’è, però, un’associazione di genitori, che si è organizzata spontaneamente a Stoccarda, e che pubblica anche un bollettino, informando su tutto quello che succede.

D. – Quindi, diciamo che c’è una risposta di base spontanea, ma non ci sono grandi reazioni a livello politico?

R. – Non viene sentito ancora a livello generale. La tendenza a livello generale, anche governativa, è di accettare la teoria “gender”, di introdurla obbligatoriamente in tutti i livelli della scuola.

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Forum Famiglie: sessualità non è "idea" di qualche Associazione

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Un Piano nazionale per la famiglia: è il progetto che il Forum delle Associazioni familiari presenta oggi alla Camera per affrontare il tema a 360 gradi: dalle questioni economiche all’educazione. Diffuso poi dal Forum un documento su “Persona, sessualità, affettività: per una nuova alleanza educativa tra famiglia e scuola”: vi si  sottolinea, tra l’altro, come nell’anno scolastico 2013-2014, 29 associazioni LGBT siano potute entrare nelle scuole a parlare di “gender” grazie ai 10 milioni di euro stanziati allora dal Governo. La teoria del genere sta dunque entrando sempre di più nelle scuole? Debora Donnini lo ha chiesto al presidente del Forum, Francesco Belletti

R. – Sì, noi vediamo due criticità. La prima è che questa teoria del "gender" è oggettivamente una “proposta ideologica”, che tende a condizionare i bambini in una fase dell’età assolutamente delicata. E quindi, ci sembra che nella scuola ci debba essere più rispetto, cioè il valore antropologico della differenza sessuale non può essere appiattito su un’idea proposta da poche Associazioni, che hanno ben poco riscontro dal punto di vista del sentire comune del Paese. Ma la cosa più grave è stata che tutta questa operazione è stata fatta sulla testa dei genitori. La parola chiave per noi è “alleanza”: la scuola e la grande emergenza educativa che c’è nel Paese si risolve se si coinvolgono le famiglie anche all’interno delle scuole. E, invece, questa operazione è stata fatta senza consultare le Associazioni familiari, senza chiedere il permesso ai genitori, senza nessun coinvolgimento. Per questo le nostre Associazioni e i genitori in tantissime scuole si sono mobilitati e hanno chiesto di poter mettere voce, di poter discutere. E questo noi lo abbiamo sottolineato con questo documento che abbiamo lanciato oggi, che mette a tema questo come un'altra urgenza. D’altra parte, se il fisco e la situazione economica sono una priorità assoluta per le famiglie, oggi, in questo momento storico altrettanto scoperto è il nervo della responsabilità educativa nei confronti dei figli.

D. – Ma cosa possono fare i genitori per difendere il loro diritto di educare i figli soprattutto su temi sensibili come la sessualità?

R. – Ai genitori è chiesto di interessarsi direttamente della vita dei propri figli nella scuola, perché occorre riscoprire un’alleanza ed eventualmente pretenderla se gli insegnanti e se il contesto scolastico non vogliono avere a che fare con i genitori. Quindi, alle scuole si chiede di riaprire reali rapporti di dialogo con le famiglie. Troppo spesso, ai genitori arriva la notizia dopo che c’è stato un intervento di due ore o di quattro ore di persone di cui non avevano nessuna informazione. E, poi, l’ultima cosa che nel documento valorizziamo, e su cui lavoreremo molto nelle prossime settimane, è quella di valorizzare anche moltissime offerte formative di educazione all’affettività che si basano sullo specifico del familiare, che sono prodotte dai nostri consultori, dalle nostre associazioni.

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Ucraina: nuove violenze nell'est. Esercito: rispetto tregua

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L’Ucraina non ha alcuna intenzione di mettere da parte il cessate-il-fuoco in vigore nelle regioni orientali, al confine con la Russia. Lo hanno annunciato le forze di Kiev, quando gli Stati Uniti hanno ribadito a Mosca “l’importanza di rispettare gli accordi di Minsk”, che il 5 settembre scorso hanno sancito la tregua. Sul terreno però proseguono gli scontri, in particolare intorno all'aeroporto di Donetsk e a Debaltseve. Le violenze, riprese con intensità negli ultimi giorni, arrivano quando la Nato denuncia sconfinamenti russi nell’est dell’Ucraina. Mosca invece afferma che è il governo di Kiev ad ammassare truppe al confine. Per un’analisi della crisi ucraina, Giada Aquilino ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – La partita politica dell’Ucraina è una partita, in realtà, economico-energetica, come peraltro è sempre successo nella politica internazionale degli ultimi 20 anni. Molto semplicemente l’Unione Europea, soprattutto la Germania, e gli Stati Uniti hanno visto, nelle manifestazioni dell’anno scorso e del principio di quest’anno contro il regime filo-russo dell’Ucraina, l’occasione per togliere dalle mani di Mosca un’arma strategica, che è l’esclusiva dei rifornimenti energetici all’Europa. Ovviamente, la Russia non ci sta e da qui il conflitto.

D. – Kiev, Nato e Stati Uniti denunciano truppe russe in territorio ucraino. Mosca dice che è il governo ucraino, invece, ad ammassare truppe al confine. Si rischia una nuova escalation del conflitto?

R. – Penso proprio di sì. D’altra parte, è un conflitto che non è mai stato risolto e che, alla meglio, ha dei momenti di latenza come quello da cui forse, purtroppo, stiamo uscendo adesso. Il conflitto, però, non è mai stato veramente sopito.

D. – Quindi, rispetto al cessate il fuoco di Minsk, nel Donbass la situazione poi di fatto è ancora precaria…

R. – Assolutamente sì ed è precaria anche perché nessuna delle parti in causa – né la Russia né l’Ucraina e nemmeno, tutto sommato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea – giocano ‘pulito’, tanto per usare un modo di dire. Basti pensare alla fine che hanno fatto le indagini sull’abbattimento dell’aereo malese. Ricordo che nelle ore immediatamente successive alla tragedia, il presidente Usa, Barack Obama, parlò di prove certe e chiare sulle responsabilità russe. Queste prove non sono mai uscite e peraltro l’indagine sulla tragedia, a quanto pare, è assolutamente ferma. Forse, quindi, anche lì, c’è una verità che non conviene a nessuno far emergere.

D. – E per quanto riguarda le truppe e gli sconfinamenti?

R. – Mosca non ha intenzione di farsi portar via l’Ucraina come territorio di transito dei suoi gasdotti e oleodotti. Stante l’impossibilità, ovviamente, di occupare l’Ucraina o di dichiarare una guerra mondiale, cerca quindi di ritagliarsi nell’Est dell’Ucraina una striscia che colleghi direttamente la Russia con il Mar Nero, dove passerà il gasdotto South Stream. È piuttosto evidente che non si può pensare che la Russia si faccia espropriare il controllo dei gasdotti e degli oleodotti. Questa è stata una grandissima prova di dilettantismo, soprattutto della precedente leadership dell’Unione Europea; e adesso bisogna rimediare a tale danno, perché su questo è chiaro che la Russia non cederà mai.

D. – In questo quadro, va letta l’idea dell'autoproclamata Repubblica di Lugansk di un referendum – anche se di fatto smentito dal ‘Parlamento’ locale – sul futuro della regione, scegliendo tra l'indipendenza e l'adesione alla Russia?

R. – Certamente. I ribelli filorussi, che secondo me sono solo fino ad un certo punto diretti dal Cremlino, ma che in realtà in una certa parte, non piccola, agiscono in proprio, cercano di cogliere l’occasione. Hanno visto cosa è successo in Transnistria, in Abkhazia e in altre zone russofone e russofile, che sono entrate sotto la tutela di Mosca, e cercano di percorrere la stessa strada.

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Vertice Asean in Birmania. Obama: il Paese lavori sulle riforme

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In Birmania, c’è ancora da lavorare sulle riforme. Il suggerimento è del presidente Usa, Barak Obama, da oggi a Naypyidaw, capitale birmana, per il 25.mo vertice dell’Asean, le nazioni del Sudest asiatico e dell’Asia orientale di cui la Birmania ha la presidenza di turno. Nel Paese, si ritrovano alcuni tra i maggiori leader mondiali, tra i quali anche Obama che stasera incontrerà in un faccia a faccia il presidente Thein Sein, e domani la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi. Cosa significa questo vertice in un Paese come la Birmania? Francesca Sabatinelli ha intervistato Cecilia Brighi, dell’associazione ‘Italia-Birmania insieme’: 

R. – E’ un fatto storico, perché la Birmania, dal 2011, ha cambiato il proprio assetto istituzionale passando da una dittatura militare a un governo semi-civile dove, sebbene il grosso peso ce l’abbiano ancora i militari, però c’è un parlamento eletto. E Aung San Suu Kyi è potuta entrare nel parlamento birmano. Ma questo passaggio, che è un passaggio molto importante, è ancora a metà perché molte cose sono sì cambiate, ma ci sono tantissimi buchi neri e tantissimi ostacoli ancora verso il percorso di una democrazia compiuta in quel Paese. Il vertice, in qualche modo, sancisce l’impossibilità per questo Paese di tornare indietro a una dittatura, però crea ulteriori aspettative dei governi e delle istituzioni internazionali.

D. – Sulle mancate aspettative è intervenuto Barack Obama, che ha sottolineato come ci sia stato un rallentamento di riforme, se non addirittura passi indietro, e che ha poi elencato le restrizioni imposte ai prigionieri politici, l’arresto dei giornalisti, citando tra l’altro l’uccisione recente  di un giornalista…

R. – Sì, da parte della polizia. E ovviamente Obama ha espresso la sua preoccupazione per questa transizione a metà. Infatti, l’anno prossimo, fine 2015, ci dovrebbero essere le elezioni politiche ma ancora c’è grande incertezza sul percorso. C’è una libertà che ha dato spazio anche alle proteste dei contadini, dei lavoratori, per le condizioni di vita e di lavoro, pero c’è il fatto che c’è ancora una fortissima corruzione nelle istituzioni pubbliche e in alcune aree del Paese stanno crescendo conflitti etnico-religiosi, spesso alimentati dall’esercito, per dire: attenzione noi ancora oggi siamo un elemento importante di stabilità del Paese.

D. – Uno dei punti sui quali le autorità birmane sono senz’altro chiamate a dare risposte è il rispetto dei diritti umani delle minoranze. Sappiamo che la questione sensibile è quello della minoranza musulmana dei Rohingya…

R. – Questo è uno dei punti più problematici sul piano politico, perché la minoranza musulmana Rohingya ha subito una forte repressione nel corso degli ultimi due anni, con morti, incendi di villaggi (ad opera di elementi buddisti n.d.r.) e con una certa acquiescenza delle autorità locali, un grande silenzio del governo. Quindi, è un elemento di forte critica da parte delle Nazioni Unite, di altre istituzioni internazionali, perché anche nel recente censimento questa etnia dei Rohingya non è stata inclusa, sono privi di cittadinanza. Quindi, si tratta veramente di una situazione molto complicata, che alimenta una tensione etnico-religiosa anche in altre aree del Paese.

D. – Domani, Obama incontrerà Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione che nei giorni scorsi non ha mancato di indirizzare una battuta sarcastica verso la Casa Bianca, considerandola un po’ troppo ottimista nei confronti di quelli che saranno veramente i passi riformatori del governo birmano…

R.  – Ovviamente, dentro l’Asean e nei confronti della Birmania gioca tutta una serie di  altri interessi più ampi, come il ruolo degli Stati Uniti in Asia e in Birmania rispetto al ruolo giocato dalla Cina negli ultimi 20 anni, con uno stretto rapporto con la giunta militare, per interessi anche economici. Poi, ci sono gli interessi geopolitici: la Cina è molto presente nel Mar delle Andamane, sta costruendo un enorme gasdotto che arriva in Cina. E quindi è chiaro che l’America non vuole essere scalzata in quell’area lì dal governo cinese. Ovviamente, getta - per così dire - "il cuore oltre l’ostacolo" sperando che la situazione cambi. Anche se Obama non è stato tenero, né quando è andato a Pechino col governo cinese, né nei confronti della giunta militare a cui chiede il rispetto dello Stato di diritto, la promozione dei diritti umani. Quindi la critica è giusta, però è anche vero che il governo americano investe molto in termini di cooperazione internazionale per la promozione dei diritti umani e quindi vediamo cosa ne esce da questo dialogo.

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Burkina Faso. Si negozia per eleggere nuovo presidente

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Burkina Faso. A poche settimane dalle dimissioni di Blaise Compaorè, continuano le trattative tra civili e militari per l’elezione del nuovo presidente. Non si spegne l’euforia del popolo, finalmente libero dalla dittatura. Lo ha raccontato a Corinna Spirito, Velio Coviello, operatore CISV, appena tornato dal Burkina Faso: 

R. – Ci sono stati degli avvenimenti abbastanza unici nella storia del Burkina Faso negli ultimi 30 anni. L’atmosfera che si respirava era decisamente euforica ed elettrizzata. Le persone, cioè, dopo 28 anni di sostanziale dittatura, si sono ribellate tirando fuori un malcontento celato. C’era molta soddisfazione e molta contentezza per quello che stavano facendo. Per chi, come me, va spesso in quel Paese, è stato bello essere testimone diretto di questa situazione. Immagino che in Italia ci siano stati momenti in cui la preoccupazione per gli espatriati in Burkina possa essersi alzata, ma in realtà è stato tutto molto tranquillo per noi. Le persone erano contente nel vedere che alcuni stranieri erano lì per testimoniare quello che succedeva.

D. – In che modo è cambiato il popolo del Burkina Faso in queste settimane?

R. – Le persone si sono rese conto che si possono cambiare le cose agendo in prima persona e non era così scontato dopo quasi 28 anni di predominio di un’unica persona. Questo, quindi, dal punto di vista del sentire comune è sicuramente molto forte. Si respira, c’è un’aria di euforia. In questi giorni, era anche molto forte il ricordo di Thomas Sankara, che 28 anni fa fu abbattuto da questo golpe in cui Compaoré era coinvolto. In questi giorni, dunque, la figura di Sankara è stata ricordata molte volte e nelle piazze i giovani hanno scandito il suo nome.

D. – Qual è lo scenario politico attuale e che cosa ci si può aspettare ora?

R. – Lo scenario è ancora un po’ confuso, nel senso che sono in corso le negoziazioni tra civili e militari e non è ancora chiarissimo quanto durerà questa transizione. Questo è un po’ il punto ancora da chiarire. Da un lato, sembra che i militari vogliano far durare la transizione e quindi mantenere un ruolo un po’ più a lungo di quanto i civili invece preferiscano. Lo scenario, comunque, è abbastanza positivo, perché è in corso una discussione collegiale ed è in corso una programmazione concertativa di questa fase di transizione. Ciò non era assolutamente scontato in un Paese dell’Africa dove, avendo visto cosa è successo in Nord Africa, ma anche in altri Paesi dell’Africa nera, momenti di forte cambiamento e rivoluzionari si sono poi trasformati in un governo dell’esercito.

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Assemblea Cei, card. Bagnasco: Italia, nuovo patto sociale

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Per superare le crisi, sociale ed economica, che attraversano l'Italia serve un nuovo tessuto connettivo per un nuovo patto sociale. È quanto in sostanza ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, chiudendo l'Assemblea generale che si è aperta lunedì ad Assisi. I vescovi italiani hanno parlato soprattutto della formazione di sacerdoti e ribadito che i clero del Paese ha una storia di piena condivisione con la gente. Il servizio di Alessandro Guarasci

L'approccio alle crisi aziendali non può essere solo finanziario, e serve che nelle tante vertenze che percorrono l'Italia, ultima la Ast di Terni, intervengano anche capitali italiani, perché bisogna lasciare in casa i gioielli. Un tema su cui il cardinale Angelo Bagnasco ha messo l'accento questa mattina, ma già affrontato nella prolusione di lunedì, come la necessità di ritrovare oggi quel tessuto connettivo che fece risorgere l'Italia nel Dopoguerra. Ma sentiamo il presidente della Cei:

“Esiste questo tessuto connettivo? Oppure, come appunto detto nella Prolusione, viviamo una situazione per certi aspetti meno felice, perché addirittura bisogna ricostruire i fondamentali del vivere insieme, che chiamo ‘alfabeto umano’? E poi, ho cercato di essere ancora più concreto, se possibile, nella mia considerazione, che è un appello, voi lo comprendete? Prima che un giudizio, è un appello, è una preoccupazione quando ho detto: ‘Ma sappiamo perché vogliamo e dobbiamo stare insieme? Perché dobbiamo lavorare insieme? Il motivo, lo scopo ci è ancora chiaro?”.

Forte preoccupazione, poi, per le tensioni di questi giorni nella parte est di Roma tra popolazione e immigrati. Il cardinale ha fatto notare che "serve avere un cuore accogliente verso le tante persone che in situazioni di tante difficoltà nei loro Paesi, per la persecuzione o la guerra o la violenza, cercano lidi e un futuro migliore". Ma tema nodale per la Chiesa è anche la formazione e i compiti dei presbiteri, aspetto che è stato al centro di questa assemblea. I vescovi riuniti ad Assisi hanno auspicato "una ridefinizione dei compiti del presbitero e delle priorità da affidare al suo ministero, nonché l'importanza di forme che lo aiutino a sentirsi meno oberato dal peso della gestione amministrativa". Il lavoro ora continuerà nelle conferenze episcopali locali, per poi fare il punto nel l'Assemblea di maggio 2016. Nel frattempo i vescovi hanno mandato una lettera a tutti i sacerdoti per testimoniare la loro vicinanza.

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Primo "accometaggio" della storia, Philae sbarca sulla cometa 67P

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Primo accometaggio nella storia della ricerca spaziale: ieri pomeriggio, alle 17,00, ora italiana, il robot spaziale Philae ha toccato la superficie di una cometa distante quasi 500 milioni di kilometri dalla terra. Soddisfazione a Damstad, in Germania, dove gli scienziati dell’Agenzia spaziale europea hanno seguito la missione, unica nella storia dell’esplorazione robotica spaziale. Il servizio di Elvira Ragosta

Una missione che contribuirà a svelare molti segreti sulla nascita del Sistema Solare. Dopo aver viaggiato per 10 anni, percorrendo una distanza di oltre 6 miliardi di chilometri, la sonda Rosetta ha liberato il lander Philae, che lentamente è sceso verso quello che gli scienziati definiscono uno straordinario archivio cosmico: la cometa 67P. La missione, sviluppata dall’Esa, l’Agenzia spaziale europea, con l'importante contributo anche dell’Agenzia spaziale italiana, è iniziata nel 2004 con il lancio spaziale della nave madre Rosetta. Sul significato storico di questa impresa abbiamo raccolto il commento di Giuseppe Piccioni, planetologo dell’Istituto italiano di astrofisica: 

"L'evento è di portata a dir poco storica, forse il passo più importante dopo l'allunaggio. E' un po' un mattone fondamentale e può quindi darci informazioni importantissime per capire come si è formato il nostro sistema solare e addirittura darci informazioni sugli altri sistemi solari. Oggi la scienza va al di là addirittura del sistema solare, verso anche altri mondi. La missione Rosetta nasce molto indietro nel tempo, come un po' tutte le missioni spaziali: ha però necessitato di un lunghissimo tempo di incubazione e di sviluppo. Risale a circa 20 anni fa. Il contributo maggiore, in questo senso, è dell'agenzia spaziale europea e di tante nazioni che hanno contribuito, tutti insieme in una forte collaborazione, in uno spirito di collaborazione veramente eccezionale, a costruire un po' tutta la missione. Il contributo italiano è stato estremamente importante sia a livello di missione, per quanto riguarda i sistemi di bordo, sia anche per quanto riguarda la strumentazione delle orbite e della parte del lander, che poi si è adagiato sul nucleo della cometa". 

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: cristiani e musulmani in preghiera per i coniugi uccisi

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Si sono riuniti oggi a Lahore per chiedere giustizia e per pregare per i coniugi cristiani arsi vivi a Kasur: eminenti leader cristiani e musulmani del Pakistan sono stati fianco a fianco nel condannare la brutalità e nell’invocare Dio, dopo il linciaggio di Shahzad e Shama, uccisi perchè accusati di blasfemia.

L’assemblea si è riunita nel “Peace Center” di Lahore, centro per il dialogo interreligioso avviato e gestito dai frati domenicani. Come riferisce in un colloquio con Fides il responsabile del Centro, padre James Channan, tra gli organizzatori c’erano il forum per il dialogo “United Religions Initiative”, il movimento islamico “Minhajul Quran International”, la rivista cattolica “The Christian Voice”.

Presenti numerosi leader religiosi, studiosi, attivisti per i diritti umani, tra i quali Abdul Khabir Azad, imam della moschea reale di Lahore (la più grande del Pakistan), il leader islamico sufi Shafat Rasool, presidente del Consiglio interreligioso del Pakistan, padre Pascal Paulus, presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori, padre Inayat Bernard, direttore di “The Christian Voice”.

L’assemblea ha condannato all’unanimità l’uccisione di Shahzad e Shama, e ha chiesto che i colpevoli siano condotti davanti alla giustizia, inclusi i religiosi musulmani che hanno dato l'annuncio nelle moschee istigando all’omicidio. Si chiede perciò al giudice capo della Corte Suprema del Pakistan di prendere l’iniziativa, per far sì che la giustizia faccia il suo corso rapidamente.

“Una forte richiesta si è alzata, invitando le istituzioni a fermare l'abuso delle leggi sulla blasfemia: a tutti coloro che abusano di questa legge deve essere comminata la stessa pena prevista per i presunti blasfemi, come l'ergastolo e la condanna a morte” spiega padre Channan.

Un appello è stato rivolto al governo: “In passato, in casi di violenza di massa contro i cristiani, mai è stata fatta giustizia: è ora che l’impunità finisca” hanno detto i presenti, invitando il governo attuale del Premier Sharif a “introdurre la pace e l'armonia interreligiosa nel curriculum scolastico”. Una strada essenziale è anche “formare a questi valori gli imam che guidano la preghiera nelle moschee”.

L’assemblea interreligiosa di Lahore, racconta padre Channan, ha anche invocato l’intervento delle Nazioni Unite, “perché formino una speciale Commissione per accertare l'uso improprio della legge sulla blasfemia in Pakistan e le persecuzioni di cristiani e di altre minoranze religiose”.

In reazione ai fatti di Kasur, è stata annunciata la nascita di un movimento a livello nazionale, “che sarà presente nelle strade e nei luoghi di culto, per promuovere la pace e l’armonia, e far sì che abbia termine l’uccisione di persone innocenti a causa della loro fede”. L’incontro si è concluso con una preghiera interreligiosa. (R.P.)

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Vescovi messicani: "Basta" con la violenza nel Paese

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E' in pieno svolgimento (dal 10 al 14 novembre) la 98.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale del Messico (Cem), che ha come principale scopo quello di "ascoltare Dio che ci parla attraverso la Sua Parola e gli eventi che stiamo vivendo, per offrire al popolo di Dio e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, le linee guida che scaturiscono dal Vangelo", dice la nota inviata all’agenzia Fides dall'episcopato messicano.

Sebbene il tema centrale dell’Assemblea, scelto molto tempo fa, è "Incontro, testimonianza e dialogo nel continente digitale; verso una cultura dell'incontro", i vescovi hanno pubblicato un messaggio urgente dell’Assemblea, pervenuto a Fides, con il titolo eloquente ¡¡Basta ya!! che lancia un appello a fermare la violenza che vive il Paese.

"Noi vescovi del Messico diciamo: Basta! Non vogliamo più sangue. Non vogliamo più morti. Non vogliamo più scomparsi. Non vogliamo più dolore e neanche più vergogna. Come messicani condividiamo il dolore e la sofferenza delle famiglie i cui figli sono stati uccisi o sono scomparsi a Iguala, in Tlatlaya, e di altre migliaia di vittime anonime in varie regioni del nostro paese. Ci uniamo al grido diffuso per un Messico dove la verità e la giustizia provochino una profonda trasformazione dell'ordinamento istituzionale, giuridico e politico, al fine di garantire che fatti come questi non si debbano ripetere mai più".

I vescovi temono la reazione incontrollata della popolazione e dei gruppi contro le forze dell'ordine. Ecco perché mettono in guardia: "Siamo in un momento critico. C'è in gioco la vera democrazia che garantisce il rafforzamento delle istituzioni, il rispetto della legge, l'istruzione, il lavoro e la sicurezza delle nuove generazioni, a cui non dobbiamo negare un futuro dignitoso".

Il messaggio si conclude invitando a celebrare come Giornata dedicata alla pace del Paese, il prossimo 12 dicembre, la festa della Madonna di Guadalupe, che si celebra in tutto il Messico con moltissima devozione.

Durante l’udienza generale di ieri, nei saluti in lingua spagnola, Papa Francesco si è soffermato sulla drammatica vicenda dei 43 studenti messicani. "Voglio in qualche modo esprimere ai messicani qui presenti, e a quelli che sono in patria - ha esortato il Papa - la vicinanza in questo momento doloroso, per la  sparizione legale - anche se sappiamo assassinati - degli studenti”. (R.P.)

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Libano: siro-ortodossi chiedono protezione per i cristiani iracheni

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La comunità internazionale deve farsi carico del ritorno e della protezione dei cristiani nella Piana di Ninive, l'area del nord dell'Iraq dove numerose città a maggioranza cristiana hanno subito la pulizia etnico-religiosa operata dai jihadisti dello Stato Islamico. E' questa la richiesta proveniente dai vescovi della Chiesa siro-ortodossa, riunitisi l'11 e il 12 novembre in Assemblea sinodale in Libano, sotto la presidenza del patriarca Mar Ignatius Aphrem II.

Nel corso del loro incontro, svoltosi presso il monastero di Mar Gabriel a Ajaltoun, 24 km a nord di Beirut, i vescovi siro-ortodossi hanno valutato anche la possibilità di creare una Commissione ad hoc di laici e ecclesiastici, incaricata di raccogliere informazioni concrete sulla sorte dei due vescovi di Aleppo – il siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi – sequestrati nell'aprile 2013, nella speranza di poter giungere alla loro liberazione.

Nella dichiarazione finale pubblicata alla fine del Sinodo, pervenuta all'agenzia Fides, si riferisce che la Commissione sarebbe autorizzata a muoversi e a prendere contatti in tutte le direzioni, sia a livello regionale che internazionale, per uscire dall'impasse e cercare soluzioni per il caso dei due Vescovi rapiti.

Durante l'assemblea sinodale si è discusso anche del calendario di iniziative messe in cantiere per commemorare il centenario del cosiddetto genocidio assiro, con cui si indicano le deportazioni e i massacri di cui furono vittime cristiani assiri, siri e caldei, ad opera dei giovani turchi negli anni 1915-1916. Riguardo alla confusa situazione politica libanese, i vescovi siro-ortodossi hanno richiamato le parti politiche all'urgenza di eleggere al più presto un nuovo Presidente e di approvare una nuova legge elettorale, per impedire che l'attuale paralisi politico- istituzionale faccia precipitare il Paese nel caos. (R.P.)

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Cei finanzia costruzione di una università cattolica nel Kurdistan

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La Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha stanziato 2.300.000 euro per finanziare la costruzione di un’università cattolica nel Kurdistan iracheno. Lo hanno deciso i presuli riuniti in questi giorni ad Assisi per la loro Assemblea straordinaria.

«Questo finanziamento — ha detto il vescovo segretario generale, mons. Nunzio Galantino — si aggiunge al milione di euro già inviato alle diocesi caldee che hanno accolto i profughi». Nel corso dell’Assemblea, dedicata alla vita e alla formazione permanente dei presbiteri, i presuli hanno anche eletto vicepresidente per il Centro Italia mons. Mario Meini, vescovo di Fiesole, e presidente di Caritas Italiana l’arcivescovo di Trento, Luigi Bressan.

La giornata di martedì, è stata segnata soprattutto dalla testimonianza dell’arcivescovo di Erbil dei caldei, Bashar Matti Warda. «Grazie per le preghiere, per la carità, per farci sentire che la Chiesa italiana è per noi come la nostra Chiesa madre, che ci è stata molto vicina in questi momenti di persecuzioni», ha detto il presule iracheno. È «la prima volta che una Chiesa grida per difendere i nostri diritti» ha sottolineato aggiungendo: «Vi prego, per favore, continuate questo grido perché i nostri cristiani perseguitati non si sentano anche dimenticati».

L’intervento del vescovo caldeo è stato preceduto da un video della Caritas Italiana con le immagini di uno dei 27 Campi profughi del Kurdistan iracheno, dove una delegazione della Cei, guidata da mons. Galantino, si è recata di recente. «L’esperienza in questi mesi ci ha insegnato a mettere da parte i nostri programmi pastorali per essere accanto ai nostri profughi», ha detto il presule caldeo ricordando che nell’agosto scorso sono stati accolti 120.000 profughi in un solo giorno. (R.P.)

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West Java: estremisti islamici impediscono di celebrare Messa

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Dopo aver attaccato la comunità protestante, gruppi estremisti del Fronte di difesa islamico (Fpi) e del Formasi (Forum della comunità islamica indonesiana) hanno colpito i cattolici, bloccando le funzioni del fine settimana e impedendo ai fedeli di riunirsi e celebrare Messa. A lanciare l'allarme una serie di sms che hanno iniziato a circolare nei giorni scorsi e confermati poi da padre Saptono, sacerdote della parrocchia di santa Odilia a Cinunuk, nella reggenza di Bandung (provincia di West Java).

Teatro del raid, avvenuto domenica scorsa - riferisce l'agenzia AsiaNews - il complesso di san Carlo Borromeo, circondato da dozzine di estremisti che - lanciando slogan e messaggi ingiuriosi - hanno impedito di celebrare i riti della domenica.

Gli affiliati del Fpi e del Formasi hanno minacciato di incendiare la struttura se, in futuro, verranno celebrate altre Messe o funzioni cristiane. Per scongiurare danni peggiori, il sacerdote - mentre era impegnato in una discussione con alcuni rappresentati dei gruppi estremisti - ha chiesto ai fedeli di rimuovere gli oggetti sacri e i simboli della fede.

Una mossa che ha convinto gli estremisti a frenare la loro follia devastatrice, a fronte della promessa da parte del sacerdote che non vi sarebbero più state celebrazioni nella struttura. Rivolgendosi ai fedeli, pADRE Saptono parla di evento "scioccante" per una comunità privata del proprio diritto alla preghiera e alla libera pratica del culto "dopo 16 anni di esistenza pacifica".

La presenza dei cattolici nell'area risale al 1995. "Dopo le quattro chiese protestanti bloccate dall'11 ottobre scorso - aggiunge il sacerdote - ora è toccato alla comunità cattolica". Limitazioni alla pratica del culto hanno riguardato non solo Cinunuk, ma anche località sparse nel West Java, sinora considerata una delle aree più a rischio per fenomeni di intolleranza o violenza a sfondo confessionale. Attacchi che non hanno riguardato solo i cristiani, ma hanno visto coinvolte anche altre minoranze, fra cui ahmadi e sciiti.

L'Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo in cui i cattolici sono il 3% del totale, si sta affermando nelle ultime settimane come uno dei centri di maggiore attivismo dell'estremismo islamico per tutta la regione dell'Asia-Pacifico. (R.P.)

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Convegno Ups sulla comunicazione: laurea h.c. a Padre Lombardi

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La Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale della Pontificia Università Saleriana (Ups) in occasione del 25° di fondazione terrà domani e sabato 15 un Convegno, presso la propria sede, dal titolo “Ripensare la Comunicazione: le teorie, le tecniche, le didattiche”. In occasione dell'evento, l'Ups conferirà a padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana e della Radio Vaticana, il Dottorato honoris causa in Scienze della Comunicazione sociale corrispondente al suo più recente nuovo indirizzo, quello in Comunicazione Pastorale.

Al di là della significativa ricorrenza del 25° dell'Università, la motivazione principale del Convegno è di offrire un’occasione di confronto sull’attuale situazione del mondo della comunicazione e tracciare alcune linee programmatiche verso cui dirigere le energie per il futuro, a partire dal rilancio delle proposte formative delle istituzioni accademiche che perseguono questo scopo.

In un tempo segnato da concezioni a volte troppo riduttive e meccanicistiche della comunicazione, il convegno vuole porre l’attenzione anche sulla dimensione antropologica, etica ed educativa che accompagna la formazione di operatori della comunicazione, che nell’affrontare le sfide della nostra società avranno a cuore la passione per la verità, l’attenzione al mondo giovanile e alle fasce più deboli e marginalizzate, la promozione della giustizia, del dialogo e della pace.

In questa prospettiva la persona del gesuita padre Federico Lombardi, cui l’Università Pontificia Salesiana conferirà nel pomeriggio di domani il Dottorato honoris causa, rappresenta un autentico testimone di qualificato impegno professionale e pastorale. Egli ha attraversato gli ultimi venticinque della storia della Santa Sede svolgendo un ruolo fondamentale per la comunicazione istituzionale della Chiesa Cattolica, ricoprendo diversi incarichi di responsabilità: dal 1991 alla Radio Vaticana, dapprima come direttore dei Programmi e dal 2005 come direttore generale, carica che conserva sino ad ora; dal 2001 al 2013 è stato direttore del Centro Televisivo Vaticano e dal 2006 è direttore della Sala Stampa Vaticana e portavoce del Papa.

Nell’attribuirgli tale onorificenza la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana vuole, in primo luogo, riconoscere i meriti della sua persona e della sua opera: egli ha dimostrato sempre grande competenza, equilibrio e amore alla Chiesa anche nei momenti più delicati dell’ultimo periodo, a partire dai giorni della rinuncia al Pontificato da parte di papa Benedetto XVI e dello svolgimento del Conclave che ha eletto Papa Francesco.

L’onorificenza del dottorato Honoris Causa a padre Federico Lombardi vuole, infine, rappresentare il riconoscimento del suo costante e continuo servizio nell’opera di evangelizzazione e di diffusione del messaggio cristiano e della voce del Papa nel mondo attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Il suo impegno di sacerdote e comunicatore attraverso la stampa, la radio, la televisione e per ultimo internet, rappresenta non solo un servizio pastorale prezioso nella odierna società ma anche un’opera di promozione culturale e sociale indispensabile, per mettere - come egli stesso ha affermato - «la comunicazione nella sua giusta prospettiva di servizio disinteressato al bene dell’umanità». (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 317

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.