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Sommario del 11/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa al G20: il mondo soffre, no discussioni a vuoto

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I Paesi che parteciperanno al prossimo G20 di Brisbane, in Australia, non diano vita a discussioni e “dichiarazioni di principio”. Sarebbe “increscioso” considerando quante situazioni di crisi colpiscono oggi il mondo e attendono soluzioni. È l’auspicio di fondo della lettera che Papa Francesco ha inviato al primo ministro australiano, Tony Abbot, in vista del vertice del 15 e 16 novembre prossimi. Il contenuto nella sintesi di Alessandro De Carolis

Non vi limitate alle statistiche e alle dichiarazioni di principio: dietro le parole e i numeri ci sono persone, famiglie, disoccupati, poveri, rifugiati, mentre, sull’altro lato della barricata, urgono decisioni contro terrorismo, commerci illegali, degrado ambientale, sicurezza, abusi finanziari.

Papa Francesco non spreca una riga della sua lunga lettera a Tony Abbot, premier dell’Australia che sabato e domenica prossimi ospiterà a Brisbane la riunione del G20, per mettere a fuoco i temi indifferibili, sui quali auspica, anzi invoca, un “accordo” che sia globale e una visione politica d’insieme “generosa” verso le situazioni di sofferenza.

L’agenda del G20 a Brisbane, nota all’inizio il Papa, “è particolarmente concentrata sugli sforzi per rilanciare un progetto di crescita sostenibile dell’economia mondiale” così da allontanare “lo spettro della recessione globale”. Siete tutti d’accordo, constata Papa Francesco, sul creare “opportunità d’impiego dignitose, stabili e a favore di tutti”, ma ciò “presuppone e richiede – osserva – un miglioramento nella qualità della spesa pubblica e degli investimenti, la promozione di investimenti privati, un equo e adeguato sistema di tassazione, uno sforzo concertato per combattere l’evasione fiscale e una regolamentazione del settore finanziario, che garantisca onestà, sicurezza e trasparenza”.

“Vorrei chiedere ai capi di Stato e di Governo del G20 – scrive Papa Francesco – di non dimenticare che dietro queste discussioni politiche e tecniche sono in gioco molte vite e che sarebbe davvero increscioso se tali discussioni dovessero rimanere puramente al livello di dichiarazioni di principio”. “Troppe donne e uomini”, prosegue, soffrono a causa di “grave malnutrizione, per la crescita del numero dei disoccupati, per la percentuale estremamente alta di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale che può portare a favorire l’attività criminale e perfino il reclutamento di terroristi”. Senza contare, annota, la “costante aggressione all’ambiente naturale, risultato di uno sfrenato consumismo e tutto questo produrrà serie conseguenze per l’economia mondiale”.

Il Papa entra poi in alcune delle contingenze più calde del momento. “Il mondo intero – sostiene – si attende dal G20 un accordo sempre più ampio che possa portare, nel quadro dell’ordinamento delle Nazioni Unite, a un definitivo arresto nel Medio Oriente dell’ingiusta aggressione rivolta contro differenti gruppi, religiosi ed etnici, incluse le minoranze”. La crisi in quello scacchiere sollecita, dice, un “accordo” che porti a “eliminare le cause profonde del terrorismo, che ha raggiunto proporzioni finora inimmaginabili” e che ha come carburante “la povertà, il sottosviluppo e l’esclusione”. La soluzione in questo caso, ribadisce Papa Francesco, “non può essere esclusivamente di natura militare”, ma deve concentrarsi “su coloro che in un modo o nell’altro incoraggiano gruppi terroristici con l’appoggio politico, il commercio illegale di petrolio o la fornitura di armi e tecnologia”. Accanto a questo, soggiunge, urge uno “sforzo educativo” e “una consapevolezza più chiara che la religione non può essere sfruttata come via per giustificare la violenza”. Inoltre, la situazione in Medio Oriente ripropone “il dibattito sulla responsabilità della comunità internazionale di proteggere gli individui e i popoli da attacchi estremi ai diritti umani e contro il totale disprezzo del diritto umanitario”.

Ma sono anche di altro tipo le aggressioni contro i quali i Paesi del G20 dovrebbero munirsi e intervenire. Si tratta, stigmatizza il Papa, degli “abusi nel sistema finanziario”, quelle “transazioni che hanno portato alla crisi del 2008 e più in generale alla speculazione sciolta da vincoli politici o giuridici e alla mentalità che vede nella massimizzazione dei profitti il criterio finale di ogni attività economica”.

“Una mentalità nella quale le persone sono in ultima analisi scartate non raggiungerà mai la pace e la giustizia”, è la considerazione di Papa Francesco, che sottolinea come i vari conflitti lascino “profonde cicatrici” e producano “in varie parti del mondo situazioni umanitarie insopportabili”.

Parlando al G20 il Papa guarda anche alle Nazioni Unite e alla loro Agenda post-2015, perché come previsto includa “gli argomenti vitali del lavoro dignitoso per tutti e del cambiamento climatico”.

“È mia speranza – chiosa il Papa – che possa essere raggiunto un sostanziale ed effettivo consenso circa i temi posti in agenda. Allo stesso modo, spero che le valutazioni dei risultati di questo consenso non si restringeranno agli indici globali, ma prenderanno parimenti in considerazione il reale miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie più povere e la riduzione di tutte le forme di inaccettabile disuguaglianza”.

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Francesco: i cristiani non trasformino il servizio in potere

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Bisogna sempre lottare contro le tentazioni che ci portano lontano dal servizio al prossimo. E’ il monito di Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che, come Gesù, dobbiamo servire senza chiedere niente ed ha ribadito che non bisogna impadronirsi del servizio “trasformandolo in una struttura di potere”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Gesù parla della forza della fede, ma subito spiega che questa va inquadrata nel servizio. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo odierno sul “servo inutile” per soffermarsi proprio su cosa significhi servire per un cristiano. Gesù, ha detto, parla di questo servo che dopo aver lavorato tutta la giornata, arrivato a casa, invece di riposarsi deve ancora servire il suo signore:

Qualcuno di noi consiglierebbe a questo servo di andare al sindacato a cercare un po’ di consiglio, di come fare con un padrone così. Ma Gesù dice: ‘No, il servizio è totale’, perché Lui ha fatto strada con questo atteggiamento di servizio; Lui è il servo. Lui si presenta come il servo, quello che è venuto a servire e non a essere servito: così lo dice, chiaramente. E così, il Signore fa sentire agli apostoli la strada di quelli che hanno ricevuto la fede, quella fede che fa miracoli. Sì, questa fede farà miracoli sulla strada del servizio”.

Un cristiano che riceve il dono della fede nel Battesimo, ha soggiunto, ma “non porta avanti questo dono sulla strada del servizio, diventa un cristiano senza forza, senza fecondità”. Alla fine, ha ammonito, diventa “un cristiano per se stesso, per servire se stesso”. La sua è una “vita triste”, “tante cose grandi del Signore” vengono “sprecate”. Ancora, il Papa ha osservato che il Signore ci dice che “il servizio è unico”, non si possono servire due padroni: “O Dio, o le ricchezze”. Noi, ha proseguito, possiamo allontanarci da questo “atteggiamento del servizio, primo, per un po’ di pigrizia”. E questa, ha affermato, “fa tiepido il cuore, la pigrizia ti rende comodo”:

“La pigrizia ci allontana dal servizio e ci porta alla comodità, all’egoismo. Tanti cristiani così … sono buoni, vanno a Messa, ma il servizio fino a qua… Ma quando dico servizio, dico tutto: servizio a Dio nell’adorazione, nella preghiera, nelle lodi; servizio al prossimo, quando devo farlo; servizio fino alla fine, perché Gesù in questo è forte: ‘Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, adesso dite siamo servi inutili’. Servizio gratuito, senza chiedere niente”.

L’altra possibilità di allontanarsi dall’atteggiamento di servizio, ha soggiunto, “è un po’ l’impadronirsi delle situazioni”. Qualcosa, ha rammentato, che “è accaduto ai discepoli, agli apostoli stessi”: “Allontanavano la gente perché non disturbassero Gesù, ma per essere comodi loro”. I discepoli, ha proseguito, “si impadronivano del tempo del Signore, si impadronivano del potere del Signore: lo volevano per il loro gruppetto”. E poi, ha detto, “si impadronivano di questo atteggiamento di servizio, trasformandolo in una struttura di potere”. Qualcosa che si capisce guardando alla discussione su chi fosse il più grande tra Giacomo e Giovanni. E la madre, ha aggiunto, che “va a chiedere al Signore che uno dei suoi figli sia il primo ministro e l’altro il ministro dell’economia, con tutto il potere in mano”. Questo succede anche oggi quando “i cristiani diventano padroni: padroni della fede, padroni del Regno, padroni della Salvezza”. Questa, ha constatato, “è una tentazione per tutti i cristiani”. Invece, ha detto, il Signore ci parla di servizio: “servizio in umiltà”, “servizio in speranza, e questa è la gioia del servizio cristiano”:

“Nella vita dobbiamo lottare tanto contro le tentazioni che cercano di allontanarci da questo atteggiamento di servizio. La pigrizia porta alla comodità: servizio a metà; e l’impadronirsi della situazione, e da servo diventare padrone, che porta alla superbia, all’orgoglio, a trattare male la gente, a sentirsi importanti ‘perché sono cristiano, ho la salvezza’, e tante cose così. Il Signore ci dia queste due grazie grandi: l’umiltà nel servizio, al fine di poterci dire: ‘Siamo servi inutili – ma servi – fino alla fine’; e la speranza nell’attesa della manifestazione, quando venga il Signore a trovarci”.

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Il Papa alla Cei: non servono preti clericali ma conformi al Buon Pastore

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Il presbitero, la sua formazione e la sua missione. Questi i temi attorno a cui ruota il messaggio che Papa Francesco indirizza alla 67.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, che si è aperta questo lunedì ad Assisi e proseguirà fino al 13 novembre. Il servizio di Debora Donnini: 

“Non servono preti clericali, il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione”. Lo ricorda Papa Francesco all’Assemblea generale della Cei, dedicata specialmente alla vita e alla formazione permanente dei presbiteri. Nel messaggio il Papa sottolinea che “solo chi si lascia conformare al Buon Pastore trova unità, pace e forza nell’obbedienza del servizio” e che “solo chi respira nell’orizzonte della fraternità presbiterale esce dalla contraffazione di una coscienza che si pretende epicentro di tutto, unica misura del proprio sentire e delle proprie azioni”.

Convenire ad Assisi, prosegue, fa pensare al grande amore che San Francesco nutriva per la “Santa Madre Chiesa Gerarchica” e per i sacerdoti. E quindi il Pontefice ricorda ai vescovi che tra le loro principali responsabilità c’è quella di consolidare  questi collaboratori “attraverso i quali la maternità della Chiesa raggiunge il popolo di Dio”. “Quanti – scrive -  con la loro testimonianza hanno contribuito ad attrarci a una vita di consacrazione!”. “Li abbiamo visti spendere la vita tra la gente delle nostre parrocchie, educare i ragazzi, accompagnare le famiglie, visitare i malati a casa e all’ospedale, farsi carico dei poveri, nella consapevolezza che ‘separarsi per non sporcarsi con gli altri è la sporcizia più grande’”, prosegue citando Tolstoj.

“I sacerdoti santi sono peccatori perdonati e strumenti di perdono” ricorda Papa Francesco, sanno di essere nelle mani di Uno che non viene meno alle promesse e una tale consapevolezza cresce con la carità pastorale con cui circondano di attenzione “le persone loro affidate, fino a conoscerle una a una”. “Sì – scrive – è ancora tempo di presbiteri di questo spessore, ‘ponti’ per l’incontro fra Dio e il mondo”. Ma Francesco sottolinea anche che “preti così non s’improvvisano”: li forgia il Seminario e l’Ordinazione li consacra ma il tempo può intiepidire la generosa dedizione degli inizi e per questo è necessario “un cammino quotidiano di riappropriazione, a partire da ciò che ne ha fatto un ministro di Gesù Cristo”.

Una formazione, dunque, che consiste in “un’esperienza di discepolato permanente”, che non ha termine, perché “i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù”. Per Papa Francesco , quindi, “la formazione iniziale e quella permanente sono due momenti di una sola realtà: il cammino del discepolo presbitero, innamorato del suo Signore”. L’augurio è, quindi, di  vivere giornate che portino a “tratteggiare nuovi itinerari di formazione permanente, capaci di coniugare la dimensione spirituale con quella culturale, la dimensione comunitaria con quella pastorale: sono questi i pilastri di vite formate secondo il Vangelo, custodite nella disciplina quotidiana, nell’orazione, nella custodia dei sensi, nella cura di sé, nella testimonianza umile e profetica; vite che restituiscono alla Chiesa la fiducia che essa per prima ha posto in loro”.

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Papa vara Collegio speciale nella CdF: esame rapido ricorsi su delitti più gravi

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Papa Francesco ha istituito all'interno della Congregazione per la Dottrina della Fede uno speciale Collegio, formato da sette cardinali o vescovi, per la necessità di garantire un più rapido esame dei ricorsi relativi ai delitti riservati alla competenza del dicastero. Il servizio di Sergio Centofanti:

Si tratta dei delitti contro la fede e dei delitti più gravi commessi nella celebrazione dei sacramenti o contro la morale, tra cui l’abuso di minore da parte di un esponente del clero. Tali delitti sono specificati dal Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela del 30 aprile 2001, aggiornato il 21 maggio 2010. Il Papa ha provveduto all’istituzione del Collegio con un Rescritto nell’udienza concessa il 3 novembre scorso al cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.

I membri del Collegio possono essere sia membri del dicastero, sia esterni ad esso; presidente e membri sono nominati dal Papa. Il nuovo organismo, dunque, è un'istanza di cui la Sessione Ordinaria (Feria IV) della Congregazione si dota per una maggiore efficienza nell'esame dei ricorsi, senza che vengano modificate le sue competenze in materia.

Qualora il colpevole sia insignito della dignità episcopale, il suo ricorso sarà esaminato dalla Sessione Ordinaria, la quale potrà anche decidere casi particolari a giudizio del Papa. Ad essa potranno inoltre essere deferiti altri casi a giudizio del Collegio. Sarà cura del Collegio informare periodicamente delle proprie decisioni la Sessione Ordinaria. Un apposito Regolamento interno determinerà le modalità operative del Collegio.

La decisione del Papa – ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - è stata accolta bene ed è considerata una buona soluzione per facilitare i lavori della Sessione Ordinaria della Congregazione per la Dottrina della Fede ed evitare l'accumulo di ricorsi.

Il decreto entra in vigore in data odierna.

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Nomina episcopale di Francesco in Tanzania

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In Tanzania, Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Arusha il rev.do Prosper Balthazar Lyimo, Cancelliere e Vicario Giudiziale di Arusha, assegnandogli la sede titolare vescovile di Vanariona.

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Tweet del Papa: lavoro è importante per la dignità umana, per formare una famiglia, per la pace

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"Quanto è importante il lavoro: per la dignità umana, per formare una famiglia, per la pace!": è il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 16 milioni di follower.

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Mons. Gallagher: sono sacerdote prima che diplomatico

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Prima di essere un rappresentante diplomatico del Papa sono un sacerdote. Si presenta così il neo segretario per i Rapporti con gli Stati, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, che tra qualche settimana inizierà la sua nuova missione in Vaticano, dopo aver girato le nunziature di tutti i continenti, l’ultima in Australia. Al microfono di Emer McCarthy, mons. Gallagher parla della sua esperienza e del contributo che la diplomazia della Santa Sede può offrire alla comunità internazionale: 

R. – Well, you know it is...
Quando giri il mondo e le nunziature, in veste di sacerdote o di nunzio che sia, in ogni Paese riconosci il microcosmo del mondo. Molti dei problemi che il mondo sta affrontando sono connessi tra loro. Certamente, abbiamo adesso grandissimi problemi in termini di sviluppo delle persone e delle società, le loro aspirazioni, dove stanno andando… Abbiamo un certo numero di conflitti che nascono a causa della povertà e del sottosviluppo… Il mondo si sta impoverendo sempre più. Dunque, la gente vede deluse le proprie ambizioni e questo porta le persone a situazioni disperate.

D. – Quanto è importante mantenere i legami tra la Chiesa cattolica e i governi del mondo? I critici potrebbero dire: “Voi rappresentate una religione, non avete bisogno di mantenere relazioni politico-diplomatiche”…

R. – It’s a question of History...
E’ una questione storica, ci siamo evoluti così. Nella mia esperienza, ho riscontrato veramente una minima ostilità verso la Santa Sede in quanto entità. Piuttosto, si riconosce in essa un grande valore. Si riconosce anche che lavoriamo e diamo un contributo ovviamente fondato sulla nostra fede, ma anche nell’esperienza e nella storia della nostra Chiesa.

D. – Chi è stato per lei di maggiore ispirazione in questo servizio che l’ha portata in giro per il mondo e che adesso la riporta a Roma?

R. – Well, I’ve always been very inspired by…
Mi hanno molto ispirato le tante persone con cui ho lavorato, i nunzi che ho servito negli anni passati… Ovviamente, quando poi sono andato in Burundi, nel 2004, sono succeduto all’arcivescovo Michael Courtney, che era stato assassinato. Succedere a un uomo che aveva compiuto il sacrificio supremo è stato davvero molto importante. Sono anche stato molto incoraggiato da tante delle persone con cui ho lavorato in Segreteria di Stato. Incontri, occasionalmente, anche con dei “carrieristi”, ma devo dire che la maggior parte delle persone con cui ho lavorato aveva motivazioni veramente molto alte. Ecco perché sono sempre convinto che sia un ministero e un contributo molto valido. Non sono proprio sicuro che fare il diplomatico pontificio sia una vocazione, perché credo ci si debba impegnare molto a preservare gelosamente la vocazione sacerdotale in mezzo a tutto questo, se vuoi fare qualcosa di veramente positivo. Certamente, però, è una chiamata all’interno della Chiesa che penso sia ancora molto valida e possa dare un grande contributo alla Chiesa in termini di comunicazione e di rappresentanza, perché “spiega” le Chiese locali a Roma e Roma alle Chiese locali.

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Card. Hummes: il Papa vicino alle popolazioni dell'Amazzonia

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Papa Francesco ha molto a cuore l’Amazzonia, prova ne sono i periodici incontri con il cardinale Claudio Hummes, che nella Conferenza episcopale del Brasile ricopre l’incarico di responsabile per la pastorale dell’immenso polmone verde latinoamericano. Il porporato racconta, al microfono di Cristiane Murray, alcuni particolari del suo recente incontro col Papa: 

"Io visito le prelature, le diocesi dell’Amazzonia. Sono 56 le circoscrizioni ecclesiastiche. E sono venuto, ancora una volta, per raccontare al Papa un po’ quello che si fa lì, per raccontare molte  cose  di questa Chiesa bellissima, viva, che però ha anche tante necessità. C’è una grande mancanza di missionari,  missionarie, e anche di necessità materiali perché non hanno neanche quello di cui c’è bisogno per le strutture fondamentali. La struttura pastorale e quella missionaria sono fondamentali. Allora, tutti noi sappiamo quanto lui apprezzi la questione dell’Amazzonia e quanto sia attento a questa grande responsabilità che la Chiesa ha in Amazzonia. Ho anche raccontato della rete ecclesiale della Pan-Amazzonia che è una rete che è stata creata con gli altri Paesi che hanno una parte dell’Amazzonia che sono 9 Paesi, incluso il Brasile. Abbiamo creato questa rete e il Papa già in quel momento,  quando è stata creata, in settembre, ha detto che sarà un’esperienza di fraternità e di solidarietà fra le Chiese che lavorano in Amazzonia. Gli ho anche portato la prima lettera che abbiamo scritto, come rete, alle Chiese di questi 9 Paesi. Una lettera che senz’altro siamo felici che lui abbia ricevuto. E’ stato veramente un incontro molto buono perché lui incoraggia sempre,  spinge,  benedice e si rallegra di questo cammino della Chiesa in Amazzonia".

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Mons. Tomasi all'Onu: eliminare residuati bellici, troppe vittime innocenti

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“Le guerre e i conflitti armati sono sempre un fallimento della politica e dell’umanità”. Così l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, intervenuto alla Conferenza degli Stati firmatari della Convenzione che vieta o limita l'uso di armi convenzionali, eccessivamente dannose o con effetti indiscriminati, che risale al 1983. Il servizio di Roberta Gisotti: 

“Il diritto umanitario” – ha affermato mons. Tomasi - dovrebbe mantenere una dimensione umana essenziale per rendere possibile la coesistenza nazionale e internazionale”. E “quando la comunità internazionale non riesce a preservare la pace non dovrebbe accettare un secondo fallimento”, ha ammonito il rappresentante della Santa Sede, riferendosi al rispetto del V Protocollo della Convenzione, che riguarda lo smaltimento dei residuati bellici esplosivi, adottato nel 2003, “uno sforzo modesto – ha sottolineato il presule - per evitare che persone innocenti diventino vittime a conflitto concluso”.

“L’adesione non è solo un obbligo di Legge” - ha aggiunto – “è in primo luogo un dovere morale verso le persone e un dovere politico per riportare la pace.” “I molti recenti conflitti in Medio Oriente, Nord Africa, Europa, richiamano – ha osservato mons. Tomasi - la nostra responsabilità riguardo i residuati bellici esplosivi o di ordinanza abbandonati”. Per questo è necessario “lo stretto rispetto” dell’articolo 4 del Protocollo che fissa “l’obbligo di fornire informazioni (inclusi avvisi alle popolazioni civili) sul tipo di munizioni impiegate o abbandonate, e sulle aree interessate”. Senza osservare questo articolo sarebbe infatti impossibile applicare le altre disposizioni del Protocollo. E se “è vero che la prima responsabilità è dello Stato interessato”, “è anche un obbligo la cooperazione internazionale”.

“La maggior parte degli attuali conflitti coinvolgono” infatti - ha ricordato l’osservatore della Santa Sede -  “soggetti nazionali, regionali e internazionali”, “statali” e “non statali”, e la maggioranza dei belligeranti in conflitto sono “Paesi in via di sviluppo, che non sempre hanno sufficienti strumenti per superare le conseguenze di conflitti armati sul loro territorio”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Cicatrici profonde: drammi sociali ed emergenze umanitarie al centro della lettera di Papa Francesco al primo ministro australiano in vista del G20 a Brisbane.

Il prete non s'improvvisa: messaggio del Pontefice all'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana.

Maggiore rapidità ed efficienza: istituito un collegio per l'esame dei ricorsi sui delitti più gravi.

Quanto è importante uno stile plurale: Ezio Bolis sul volume "Giovanni XXIII e Paolo VI: i Papi del Concilio".

Appuntamento con la cometa: Pietro Benvenuti illustra un'inedita missione nello spazio.

Quel Rockwell che non fa ridere: Danilo Eccher recensisce una mostra, al Museo della Fondazione Roma, dedicata alle opere dell'illustratore americano.

So apprezzare un buon soffritto: intervista di Franco Gervasio a Paolo Conte; un articolo, del 1975, di Roberto Vecchioni sul sacro "spaventosamente razionale" (riproposto da "Vita e Pensiero") e la recensione di Marcello Filotei di "Snob", l'ultimo cd del cantautore astigiano.

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Oggi in Primo Piano



Egitto. Elezioni entro il 2015. Non cessa minaccia fondamentalista

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Le elezioni politiche in Egitto si terranno entro il 2015. Lo ha annunciato  il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi. Grandi assenti i Fratelli musulmani, messi al bando. In questo scenario non diminuisce la minaccia fondamentalista: i jihadisti di Ansar Beit al-Maqdis, legati precedentemente ad al-Qaeda, hanno  giurato fedeltà allo Stato Islamico. Sulle prospettive in vista del voto Paolo Ondarza ha intervistato Valentina Colombo, ricercatrice di Storia dei Paesi islamici all’Università Europea di Roma: 

R. – Sin dalla cosiddetta “Primavera araba”, tutte le elezioni che sono avvenute hanno visto come vincente non tanto un partito, quanto l’astensionismo. Quindi, parlare di un Egitto “pronto” a ritornare alle urne, questa forse è un’espressione forse troppo grande, troppo importante per un Paese come l’Egitto che deve ancora imparare l’uso della democrazia. Certamente, gli egiziani – non tutti – andranno a votare; questa volta i grandi assenti, perlomeno sulla carta, e questo lo scopriremo nei prossimi mesi, saranno certamente i Fratelli musulmani, messi al bando.

D. – Come si comporteranno gli elettori dei Fratelli musulmani?

R. – Qui bisogna vedere quali saranno gli ordini impartiti dall’alto. La maggior parte dei leader dei Fratelli musulmani sono in prigione o comunque sono fuori dal Paese. Questo non significa però che i Fratelli musulmani non agiscano: il loro web-site, il loro sito, è aggiornato, ogni settimana viene pubblicata la lettera della settimana … Quindi bisognerà capire quale ordine impartiranno: se chiederanno il boicottaggio, se impartiranno l’ordine di ribellione … Una cosa è certa: i Fratelli musulmani non staranno a guardare, tenendo presente che il movimento dei Fratelli musulmani è un movimento che parte dal basso e vede, a livello territoriale, di radicamento territoriale, ancora molte persone che fanno riferimento a loro …

D. – Certo è che la defenestrazione di Morsi, dei Fratelli musulmani, non ha arrestato atteggiamenti fondamentalisti: proprio ieri, il principale gruppo jihadista Ansar Beit al-Maqdis ha giurato fedeltà allo Stato islamico …

R. – Teniamo presente che l’aspirazione al califfato, sin dal 1924, quando l’istituzione califfale era stata abolita da Ata Türk, è il sogno ideale di tutti i movimenti legati all’estremismo islamico: Fratelli musulmani, Ansar Beit al-Maqdis, Stato Islamico e tutto il mondo dell’estremismo islamico ha un fine ultimo che è il califfato. Il califfato  per Abu Bakhr al-Baghdadi è il califfo autoproclamato; il califfato per i Fratelli musulmani è semplicemente il raggiungimento del potere … Quindi, questo sogno è presente in tutti loro: hanno semplicemente modalità diverse per raggiungere il fine. Teniamo anche presente che Ansar Beit al-Maqdis in Egitto ha svolto la funzione un po’ del braccio armato anche dei Fratelli musulmani.

D. – Quale futuro si prospetta per l’Egitto?

R. – L’Egitto, in questo momento, con al-Sisi, ha recuperato sicurezza a livello interno; l’Egitto, in questo momento, è “protetto” dall’Arabia Saudita, in parte da alcuni Stati occidentali. Quindi è un Paese che sta cercando di riaffiorare da una crisi profondissima con uno scopo ben preciso: quello di riaffermare la sicurezza interna e quindi di far ripartire la più grande e principale fonte di introiti del Paese, il turismo. Se riuscirà a fare questo, l’Egitto forse potrà guardare avanti.

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Palestinesi ricordano Arafat nel 10.mo della morte

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In un clima di forte tensione oggi i palestinesi celebrano il decimo anniversario della morte di Yasser Arafat, storico leader dell’Olp. Stamani un giovane palestinese è morto in seguito alle ferite, dopo essere stato colpito dall'esercito israeliano nel corso di scontri nei pressi nel campo profughi di Aroub, a Nord di Hebron. Intanto, il presidente Abu Mazen accusa gli estremisti di Hamas di voler impedire la ricostruzione di Gaza e l’unità palestinese. Un esempio, questo, di come oggi il fronte palestinese sia fortemente diviso. Quanto ha influito su questa situazione la politica di Arafat? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, analista politico del Corriere della Sera

R. – L’errore che Arafat ha compiuto, e che oggi vediamo come conseguenza della sua politica, è stato quella di non creare una eredità strutturale al suo posto. C’è soltanto Mahmud Abbas-Abu Mazen – persona di grande valore, di grande serietà, uno studioso – che non ha però né il carisma, né la grinta e neanche il coraggio nel prendere delle decisioni assolutamente imprevedibili come sapeva fare invece Arafat. Oggi paradossalmente il fronte palestinese non è diviso soltanto in due parti, ma forse addirittura in tre: abbiamo la componente laica, cioè la componente storica dell’Olp; poi abbiamo la componente di Hamas, che è quella integralista, che ha vinto le elezioni del 2006, e che continua ad avere un forte seguito in Palestina; e poi abbiamo gli infiltrati, che sono sunniti, estremisti contrari all’Olp, ma anche ad Hamas. Ora l’Arafat inventivo, che sapeva cogliere con una rapidità incredibile ogni situazione, forse oggi si sarebbe inventato qualcosa, ne era capace. “Ha una straordinaria saggezza”, gli aveva riconosciuto perfino l’ex presidente israeliano, Shimon Peres; a volte, però, aveva anche una ambiguità che – sempre per usare le parole di Peres – si avvicinava anche a una certa “incapacità” di affrontare davvero le cose. La sua saggezza, però, lo aveva sempre guidato e forse oggi un Arafat in sella qualche cosa potrebbe fare.

D. - Sul fronte del negoziato con gli israeliani: c’è qualcosa che lui avrebbe potuto ottenere?

R. - Uno dei problemi più importanti è naturalmente Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese. Su questo punto ci fu una proposta fatta da Barak sia a Camp David e sia – subito dopo – a Taba, ma Arafat la aveva rifiutata! Ecco, Arafat – ad un certo punto – cominciò a dire di no a tutto, anche se l’accordo era praticamente fatto. E io devo dire che più che a Camp David, era cosa fatta a Taba: ma ormai Arafat era avvitato in una certa sua mania di persecuzione e preferì – e questo fu un gravissimo errore – invece di continuare a trattare e a discutere, benedire l’inizio della Seconda Intifada. Vorrei solo aggiungere una cosa: quando Arafat comincia a rendersi conto che il processo di pace diventava sempre più difficile da realizzare? Il giorno in cui fu ucciso il primo ministro israeliano Rabin. Da quel giorno, era il mese di novembre 1995, Arafat cominciò a perdere fiducia su quella che era stata la sfida più grande, quella cioè finalmente di aver accettato lo Stato di Israele e di aver stretto la mano al suo primo ministro.

D. - Quello che preoccupa oggi l’Occidente è l’avanzata del sedicente Stato Islamico. Un fronte unito palestinese guidato da Arafat, oggi cosa avrebbe potuto fare?

R. - Arafat avrebbe cercato di allearsi con Hamas contro lo Stato Islamico, contro queste infiltrazioni, a costo di dover concedere qualcosa. E in questo caso avrebbe potuto vendere anche questa proposta al governo di Israele. In effetti, se andiamo a ragionare su quello che è accaduto a Gaza, è vero che Netanyahu ha scatenato questa guerra, però si è ben guardato dall’annientare Hamas; anzi ha sempre detto l’esatto contrario, proprio perché anche Netanyahu ha timore di queste infiltrazioni di terroristi, non soltanto nel mondo palestinese, ma anche nello stesso Israele.

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India: 8 donne morte dopo sterilizzazione, decine in ospedale

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Otto donne sono morte in India in seguito a un intervento di sterilizzazione e oltre cinquanta sono in condizioni gravi. L’operazione, a cui si sono volontariamente sottoposte 83 donne, residenti nello Stato orientale di Chhattisgarh, era stata promossa dal governo per contenere le nascite. Sulla reazione dell’opinione pubblica Corinna Spirito ha intervistato la giornalista ed esperta del mondo indiano Maria Grazia Coggiola, raggiunta telefonicamente a Nuova Delhi: 

R. – E’ un incidente molto grave, avvenuto tra l’altro nel collegio elettorale del ministro della Sanità del Chhattisgarh; quindi, a maggior ragione, doveva essere fatto con più attenzione. Le autorità locali hanno sospeso quattro medici, che hanno lavorato in questo campo sanitario. E’ stata aperta un’inchiesta. Il governo ha subito stanziato dei risarcimenti per le famiglie delle vittime, per quelle che sono state ricoverate.

D. – Il 37 per cento delle donne indiane si sottopone alla sterilizzazione. Come sta reagendo l’opinione pubblica di fronte alla morte di queste donne?

R. – Questi programmi sono abbastanza all’ordine del giorno e coinvolgono le fasce più deboli della popolazione: giovani donne "volontariamente" si sottopongono alla sterilizzazione e ricevono una somma di denaro. Chiaramente, quindi, c’è una volontà del governo di effettuare il controllo delle nascite. Ultimamente, in India, ci sono stati molti scandali di mala politica e questa era un’operazione governativa, quindi c’è sempre il discorso del governo che non funziona. Per questo, dunque, c’è molto risentimento: un’operazione di salute pubblica, che invece ha creato questa tragedia. Ci sono stati anche altri casi, per esempio nelle campagne, di vaccinazioni in cui sono morti dei bambini, che hanno causato allo stesso modo rabbia nell’opinione pubblica. Con una popolazione così vasta, chiaramente questi incidenti succedono. Il fatto che emergano a livello nazionale, rivela probabilmente anche un discorso politico sotto.

D. – Per controllare le nascite, il governo utilizza soltanto questi incentivi per la sterilizzazione oppure ci sono anche altre proposte?

R. – No, questa è una delle tecniche che adottano di più. Non c’è effettivamente a livello nazionale una campagna pubblicitaria o di controllo delle nascite; è sempre stato un discorso che l’India non ha mai affrontato, a differenza della Cina. Ci sono delle iniziative a livello statale. Per esempio, c’è una specie di "regola dei due figli", ma non è una cosa obbligatoria e non ha niente a che vedere con quello che è invece avvenuto in Cina. L’India è una democrazia e un’imposizione di questo tipo sulla vita privata delle persone non sarebbe assolutamente accolta. Quando è stata fatta, negli anni ’70, è stata vista come una misura autoritaria e sicuramente osteggiata. Non è perseguibile in India un’imposizione dall’alto, perché i valori democratici sono molto forti.

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Bagnasco: irresponsabile creare nuove figure in ambito familiare

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Si è aperta, ieri pomeriggio, ad Assisi l’Assemblea generale straordinaria della Conferenza episcopale italiana, con la prolusione del presidente, il cardinale Angelo Bagnasco. I lavori, sui temi della vita e della formazione permanente dei presbiteri, termineranno giovedì 13 novembre. Nelle parole introduttive del porporato i riferimenti alle sofferenze sociali e politiche italiane, alle urgenze relative alla famiglia e al lavoro, ma anche alle persecuzioni dei cristiani nel mondo di fronte alle quali la coscienza civile tace. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Il ”nichilismo si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti”. E’ forte l’immagine che il cardinale Bagnasco consegna in apertura del suo discorso, per indicare l’"assenza di scopo", di ”risposte”, la “svalutazione dei valori” contro cui occorre sprigionare nuove energie. Il riferimento va alla famiglia, “costituita da uomo e donna nel totale dono di sé”, e “sorgente di futuro”. “Irresponsabile”, afferma il porporato, “indebolirla creando nuove figure” che - seppur con “distinguo pretestuosi” hanno l’unico scopo di “confondere la gente e di essere una specie di cavallo di Troia di classica memoria” - “per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano”. I figli non sono “oggetti”, non sono “a servizio dei desideri degli adulti”, hanno diritto “ad un papà e ad una mamma”. Il cardinale ricorda quindi i risultati e il valore del recente Sinodo sul tema, che ha accolto l'eco di famiglie e figli fragili, ha pensato alla prassi sacramentale di divorziati e risposati con cura pastorale e ha ribadito la necessità di una educazione affettiva incisiva", della "preparazione al matrimonio più adeguata", e ha evidenziato, nonostante i tanti segnali di crisi, ”il desiderio di famiglia sempre vivo, specie tra i giovani”.

Poi, inevitabile, il riferimento a Gaza e al Medio Oriente che il presidente dei vescovi ha da poco visitato. Nelle sue parole l’appello è ad una soluzione internazionale equa e definitiva nel rispetto dei diritti e ad una riconciliazione che sia “della memoria e delle coscienze”. Poi le parole forti sull’inaccettabile “pervicace progetto di eliminare la presenza cristiana” dalla Terra Santa come da altre regioni sia del Medio Oriente che dei Balcani, attraverso una persecuzione evidente o subdola; sulla connivenza internazionale e su una "coscienza civile che finge di non vedere e tace di fronte a un’ingiustizia che sa di genocidio e raggiunge l'abiezione di crimine contro l'umanità". E' una sconfitta, aggiunge il cardinale, dell'intera civiltà.

Tema centrale dell’Assemblea che si apre oggi è la formazione e la vita del clero. A questo proposito il cardinale Bagnasco ne ricorda le difficoltà ma anche la realtà di servizio e soprattutto, come direttive di lavoro, indica, sulla scorta del magistero papale che il sacerdote non è un "solista del bene", ma è "chiamato a vivere la fraternità presbiteriale con realismo" ."La via maestra", aggiunge,"non è l’autoreferenzialità ma il farci dono".

Infine, come sua consuetudine, una parola importante del cardinale Bagnasco va all'Italia con l’incitamento a non scoraggiarsi e a tenere desta la speranza. Preoccupa il calo dell’occupazione e la rassegnazione al non lavoro. “Si sta perdendo una generazione”, “che cosa sarà di tanti giovani?” si chiede il cardinale. L'auspicio è la non delocalizzazione del patrimonio industriale, un maggiore sostegno alle famiglie e un’attenzione ulteriore alle scuole cattoliche e ai centri di formazione professionale, i cui contributi sono insufficienti e giungono in ritardo. Infine, rivolgendosi alla classe politica italiana alla ricerca di un “patto sociale” che faccia ripartire il Paese come nel Dopoguerra, il presidente dei vescovi suggerisce - davanti a quelle che definisce "macerie dell'alfabeto umano" e ad una crisi culturale oltre che economica - di rimettere a fuoco il senso stesso dello stare insieme e del lavorare insieme - in altre parole "rifondare la politica"- ricordando che è “l’ascolto delle sofferenze che illumina e guida" ogni forma alta di “servizio”.

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Delrio: messa in sicurezza del territorio è priorità per il governo

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“Il governo ha messo da subito la prevenzione e la messa in sicurezza al centro della sua agenda". Lo ha detto il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti oggi alla riunione degli Stati generali di #Italiasicura, la struttura di missione di Palazzo Chigi nata lo scorso luglio contro il dissesto idrogeologico. Presenti anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Graziano Delrio, il capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, e i presidenti delle Commissioni Ambiente di Camera e Senato, On. Ermete Realacci e Sen. Giuseppe Marinello. 7 miliardi in sette anni, le risorse che il governo è pronto a mettere a disposizione per un piano di tutela del territorio. Il servizio di Adriana Masotti

Enti, amministrazioni e associazioni, Protezione Civile, Ministeri, Regioni, Comuni, geologi e volontariato, insieme, per far partire finalmente la più urgente delle opere pubbliche: far sì che l'Italia non sia più indifesa da frane e alluvioni. Questo il senso degli Stati generali del dissesto idrogeologico nel corso dei quali è stato presentato un Piano strutturale di prevenzione, opere e interventi per i prossimi anni. "Abbiamo bisogno di un salto culturale - ha detto Erasmo d'Angelis, direttore di #Italiasicura, il clima cambia ma dobbiamo cambiare anche noi". "Vogliamo fare prevenzione in maniera appropriata, efficace, perché - prosegue D’Angelis - ormai molti territori non reggono più l'urto nemmeno di piogge appena più abbondanti della norma". E ha a che fare con un cambio vero di mentalità l’annuncio del ministro Galletti: "In questo Paese non ci saranno mai più condoni edilizi, perché sono dei tentati omicidi alla tutela del territorio", che poi aggiunge: "La situazione è in netto peggioramento. La prima battaglia non è di tipo burocratico o di risorse, ma è di tipo culturale". Come esiste un problema di opere non fatte."Non è un problema di risorse - continua il ministro dell’Ambiente - ma di spendere bene quelle che ci sono". E riferisce di 2,3 miliardi di euro che bisogna sbloccare subito prima di parlare di nuovi fondi. In quanto a questi afferma che il governo è pronto a mettere a disposizione 7 miliardi in sette anni per un piano di prevenzione per la tutela del territorio: 5 miliardi arriveranno dai fondi strutturali europei e 2 miliardi dal cofinanziamento delle Regioni. Riguardo a bonus da concedere ai privati che intendono investire contro il dissesto, dice che per il momento non esiste, ma "è un'ipotesi che si può prendere in considerazione". Quello del dissesto idrogeologico "è un tema che ha la priorità assoluta per il governo", ha confermato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Delrio, assicurando che dal governo c'è una "grande disponibilità per piano che consenta di non piangere più vittime e di dire che è stato fatto tutto il possibile di fronte a una delle più grandi emergenze che abbiamo". “Abbiamo perso per strada 20 anni" sulla messa in sicurezza del territorio, ha detto nel suo intervento il capo della Protezione civile, Gabrielli, ora "non dobbiamo lasciare soli i sindaci ad affrontare le emergenze", ha aggiunto, sottolineando che "bisogna sviluppare un patto sociale in cui i cittadini e le istituzioni prendano coscienza della situazione in cui vive il Paese, "Dobbiamo far sì - ha concluso Gabrielli - che tutti i Comuni siano dotati di piani di protezione civile conosciuti dalla gente e che possano salvare le vite umane".

Presente agli Stati generali il presidente del Consiglio nazionale dei Geologi, Gianvito Graziano. Questo il suo commento: 

R. - Il commento è assolutamente positivo, perché non era per nulla scontato che il governo intraprendesse questa strada di attenzione nei confronti del territorio e quindi una politica nei confronti della difesa del territorio e della difesa del suolo. Soltanto qualche hanno fa si investiva pochissimo, nelle ultime finanziarie c’era qualcosa come 30 milioni di euro, che è una cifra assolutamente ridicola rispetto alle esigenze anche di un solo anno o anche di una sola regione. Non era per nulla scontato, anche perché fino a qualche tempo fa si continuava a pensare addirittura a condoni edilizi: quanto di più grave si possa pensare nei confronti di una politica attenta per il territorio. Quindi questo cambio di rotta - il ministro ha annunciato infatti “niente più condoni”; il ministro ha annunciato “andiamo avanti con la legge di riduzione di consumo” - mi sembra un cambio di rotta quantomeno politica. Io trovo che sia molto importante, perché così come i condoni o l’annuncio dei condoni creavano le condizioni per nuovo abusivismo, spero succeda ora l’esatto contrario: una politica di attenzione per il territorio sia lo start-up di comportamenti virtuosi nei confronti del territorio, anche a livello locale. Quindi sono molto contento di questo!

 D. - Si è parlato di risorse, ma si è parlato anche di una necessità di cambio culturale…

 R. - Sì. Le risorse sono una delle due gambe, secondo me, di una politica seria di prevenzione. L’altra è la cultura e forse per certi versi è addirittura più importante, perché la cultura, nei confronti della prevenzione, significa tante cose: significa avere cittadini consapevoli, che sappiano comportarsi nel momento dell’emergenza; significa avere cittadini che sanno che noi una condizione di rischio zero non l’avremo e quindi dovremo convivere con un rischio, ma che deve essere ovviamente un rischio accettabile… Significa quindi tante cose. Io parlo anche per una classe professionale che rappresento, come geologo, bisogna anche avere progetti migliori, progetti di qualità; bisogna raggiungere obiettivi condivisi e soprattutto avere progetti che inseriscano compiutamente - e purtroppo la nostra norma italiana non lo prevede, ma stiamo lavorando come unità anche su questo - che inseriscano l’opera nel territori e configurino gli scenari successivi alla realizzazione di questa opera. Troppe volte, ad esempio, abbiamo fatto una strada che ha cambiato il corso delle acque e abbiamo avuto zone che si sono allagate… questo non deve più succedere".

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L'Aquila, il giorno dopo la sentenza di assoluzione

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Ampio dibattito dopo la sentenza di ieri della Corte d’Appello dell’Aquila, che ha assolto sei tra scienziati e membri della Commissione Grandi Rischi, ribaltando così la sentenza di primo grado, con l’unica condanna a due anni dell’ex vice capo della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis. “Noi sismologi abbiamo fatto tutto il possibile, non abbiamo mai escluso terremoti”, dichiara Enzo Boschi, all’epoca presidente dell’Ingv, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, tra gli assolti. Ma gli aquiliani e i parenti delle vittime sono sotto choc. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Ieri hanno gridato vergogna, e oggi lo ripetono, più sommessamente, in una città che non si dà pace, che non trova spiegazioni a una sentenza che per gli aquilani è indegna. Pensano tutti a quei 309 morti che, dicono, senza colpevoli non avranno giustizia. “Siamo basiti per questo capovolgimento perfetto della precedente sentenza”, dice la senatrice Enza Blundo, già presidente dell’Associazione aquilana “Cittadini per i Cittadini”, al microfono di Fabio Colagrande:

R. – Non era assolutamente una condanna alla scienza, come si è fatto credere, ma si trattava di una giusta condanna per chi in maniera assolutamente professionale - così era stato detto a tutti i cittadini - era venuto in città per esaminare ciò che stava accadendo, tranquillizzando poi con un’affermazione di falso scientifico. Dire, infatti, che le scosse, quando ce ne sono molte, scaricano energia, è un falso scientifico. Ma dico di più: questa affermazione ha determinato il comportamento degli aquilani. 

D. – Come vive oggi la città, ancora fortemente ferita da quel sisma?

R. – Io torno all’Aquila tutti i fine settimana, perché ho una famiglia lì e la mia vita è lì. Cosa dire? E’ una situazione drammatica, perché i cittadini sono stati presi in giro fin dall’inizio. E attualmente, vivendo nei progetti casa, in queste case removibili, che sono state costruite senza minimamente rispettare i bisogni del territorio, adesso si ritrovano con abitazioni che si stanno danneggiando, con un’amministrazione che non si è presa cura della manutenzione, con le ditte che le avevano costruite fallite poco dopo la fine della costruzione, quindi ditte ad hoc costituite per costruire, e con delle bollette allucinanti, che vengono imposte perché l’amministrazione deve coprire i suoi buchi amministrativi e quindi fa pagare a metri quadri e non a consumo effettivo. Ancora una volta gli anziani, già penalizzati all’epoca, perché messi all’ultimo posto nella tutela dei diritti della loro persona, penalizzati da queste iniziative assurde. Per quelli che hanno venduto, il Comune non ha fatto neppure gli atti, non ha completato l’atto di passaggio di proprietà e adesso si trovano a pagarci anche le tasse. E’ veramente una città in ginocchio.

Dall’Ingv arriva la dichiarazione del presidente, Stefano Gresta, che a nome suo e dei suoi ricercatori, assicura la vicinanza ai parenti delle vittime, e che però esprime la sua soddisfazione per il proscioglimento di Giulio Selvaggi, già direttore del Centro nazionale terremoti e dell’allora presidente dell’Istituto, Enzo Boschi. I due colleghi, spiega Gresta, “hanno sempre agito con correttezza, nel rispetto dei ruoli e delle proprie competenze”:

R. – Un terremoto, come quello che si è verificato all’Aquila, non si poteva prevedere. E io credo nell'onestà intellettuale di ricercatori che per una vita hanno studiato la sismicità dell’Italia, che sanno che l’Abruzzo è una delle regioni a pericolosità sismica più alta, e che hanno fatto riferimento alla carta della pericolosità sismica. Ecco, io penso che non potesse uscire un messaggio addirittura tranquillizzante. E' vero che però ci sono diverse cose strane nella storia. Il fatto, per esempio, che sia scomparso l’audio di quella riunione (riunione della Commissione il 30 marzo 2009, una settimana prima del scossa devastante - ndr) è una cosa che lascia pensare. Nella concitazione del momento, infatti, evidentemente, qualcosa è stato mal gestito. Però, ripeto, i miei colleghi, la parte scientifica, certamente hanno l’onestà intellettuale su una zona che è riconosciuta altamente sismica di non poter tranquillizzare con una sequenza sismica in atto.

D. – Sono completamente di opinione diversa le persone che hanno vissuto quel terremoto, le persone che hanno perso i loro cari e forse anche molti altri italiani. Proprio in virtù della sismicità e della pericolosità della zona, c'è chi biasima il fatto che sia stata minimizzata la situazione...

R. – Le rispondo con l’esempio di quello che è successo lo scorso anno in Italia. Abbiamo avuto dodici o tredici sciami sismici, con magnitudo che è arrivata anche oltre 4, ma nessuno di questi ha avuto una evoluzione che ha poi portato ad una scossa di tipo disastroso. Questo ci fa comprendere quanto sia difficile fare una previsione sull’evoluzione di una sequenza, seppur durata oltre due mesi come all’Aquila, al momento della fatidica riunione del 31 marzo 2009. Una sequenza che in altre parti di Italia si è verificata, e anche nello stesso aquilano nel passato, senza che seguisse una scossa poi catastrofica. Era poco probabile, ma non impossibile che si verificasse una scossa. Questo è stato il tenore delle dichiarazioni. Ripeto, la carta della pericolosità mostra come la zona dell’Aquila sia una delle zone a più elevata pericolosità sismica in Italia. Dopo di che, umanamente, è chiaro che tutti noi, io per primo, comprendiamo il dolore e la costernazione dei familiari delle vittime. L’aver centrato, però, l’attenzione sugli scienziati, sulla possibilità di prevedere o non prevedere il terremoto, ha spostato in realtà i riflettori da quello che invece deve essere il vero obiettivo: ci si difende dal terremoto costruendo in maniera tale che le case, le costruzioni, non crollino. Questo è il problema della prevenzione. 

D. – Un altro dei punti che viene sollevato è il fatto di aver detto che quando ci sono molte scosse questo scarica energia. Questo è stato definito un falso scientifico, è così?

R. – Assolutamente sì, nel senso che un terremoto di magnitudo circa 6, come si è verificato all’Aquila è circa mille volte più grande di un terremoto di magnitudo 4, ed è circa 30 mila volte più grande di un terremoto di magnitudo 3. Per cui, tutte le scosse che si erano verificate, a partire da gennaio fino a marzo, erano una piccola parte dell’energia che è in gioco se si deve verificare un grosso terremoto. Il ricercatore che lo ha affermato in qualche intervista, ha commesso un grosso errore, ma nei bollettini, nei comunicati ufficiali dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, e nelle dichiarazioni degli scienziati, nel corso di quella riunione, mai e mai si era detto che lo scarico di energia precedente fosse un segno buono e che potesse evitare il verificarsi di una scossa catastrofica.

D. – Io le chiedo: allora non ci sono responsabili?

R. – Le responsabilità sono di chi ha costruito abitazioni in una zona che da sempre è sismica, di chi ha costruito in maniera tale che un terremoto di magnitudo 6, che in Paesi civili, come Stati Uniti e Giappone, non provoca assolutamente il collasso delle strutture, abbia in realtà portato al crollo delle abitazioni, degli edifici e alla morte delle persone.  

 

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Nella Chiesa e nel mondo



Capi delle Chiese di Gerusalemme visitano la Spianata delle Moschee

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Una delegazione di patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme ha compiuto, ieri una visita presso la Spianata delle Moschee, l’Haram al Sharif. L'area della Città Santa è tornata al centro di tensioni dopo che alcuni gruppi estremisti ebraici hanno inscenato manifestazioni per rivendicare il possesso della zona dell'antico Tempio di Salomone, dove sorgono da molti secoli due dei massimi santuari dell'Islam.

Nella delegazione, come riportano le fonti ufficiali del patriarcato latino di Gerusalemme, erano presenti il patriarca latino Fouad Twal, il vescovo William Shomali (che è vicario patriarcale per Gerusalemme e Palestina del patriarcato latino), l’arcivescovo greco-melchita Joseph-Jules Zerey e padre Ibrahim Faltas. A seguito della visita, la delegazione dei Capi delle Chiese ha diffuso una dichiarazione congiunta, insieme al Consiglio del Waqf islamico di Gerusalemme, la Fondazione pubblica incaricata della gestione dei luoghi sacri musulmani.

Nella dichiarazione - riferisce l'agenzia Fides - si ribadisce la necessità di non modificare unilateralmente lo statu quo, ossia la serie di norme e consuetudini codificate che regolano l'uso e l'accesso ai Luoghi Santi nella Città Vecchia di Gerusalemme. Inoltre viene riaffermato il “diritto dei musulmani alla preghiera e alla libertà di accesso alla moschea di Al-Aqsa” e la sua proprietà esclusiva a vantaggio dei musulmani di tutto il mondo.

Nel testo si ricorda il ruolo di custodia dei Luoghi Santi cristiani e musulmani di Gerusalemme esercitato dalla Monarchia hashemita, e si fa riferimento anche alla modalità specifica – aperta e rispettosa del diritto alla preghiera e alla pratica religiosa - con cui venne applicato a Gerusalemme il Patto di Omar Ibn Al Khattab, il trattato storico che regolava la convivenza tra cristiani e musulmani ai tempi dei primi Califfi Ommayyadi. (R.P.)

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Iraq: quasi due milioni di sfollati privi di assistenza

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Secondo i dati ufficiali, l’aumento della violenza in Iraq ha causato circa 1.8 milioni di sfollati da gennaio 2014. Quasi la metà ha trovato rifugio nelle scuole, nei campi sfollati o negli edifici dismessi del Kurdistan iracheno. Tuttavia la situazione resta molto precaria per centinaia di migliaia di persone.

Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides dalla ong Medici Senza Frontiere (Msf), si stima che il solo Governatorato di Dahuk ospiti più di 465 mila sfollati e le autorità locali stanno cercando di far fronte alle loro nuove esigenze. Le cattive condizioni di vita, il sovraffollamento e la mancanza di servizi igienico-sanitari stanno mettendo seriamente a rischio la salute di queste persone. Ora che le temperature iniziano a scendere è pronto un solo campo sfollati, mentre altri due sono in fase di completamento.

A Dahuk Msf svolge consultazioni mediche in tre cliniche mobili. A Zakho, uno dei campi meno attrezzati, l’ong si sta preparando a installare latrine, docce e punti di lavaggio per ridurre il rischio di epidemia.

Nell’Iraq Centrale, la situazione umanitaria è sempre più preoccupante. Centinaia di migliaia di persone sono rimaste bloccate nelle zone colpite dal conflitto e controllate dalle forze ribelli e hanno pochissime possibilità di fuggire. Nel Governatorato di Anbar, gravemente colpito dal conflitto, ci sono più di 370 mila sfollati.

Le condizioni di sicurezza sono precarie e rendono difficile l’assistenza umanitaria. Nonostante l’instabile situazione di sicurezza a Kirkuk, le attività mediche di Msf proseguono in due punti della città: una moschea e una chiesa. Solo in questo mese due medici e due infermieri ha effettuato oltre 600 visite.

Nella provincia di Anbar, l’ong supporta l’ospedale principale di Heet dove vengono effettuate ogni settimana più di 700 visite mediche. Si tratta di una zona dove dal 2 ottobre sono scoppiati pesanti scontri tra i combattenti del sedicente Stato Islamico e l’esercito iracheno. Heet, che ospita oltre 100 mila sfollati, fino ad oggi era uno degli ultimi rifugi sicuri per le popolazioni in fuga dalla violenza ad Anbar, zona difficilmente raggiungibile dagli aiuti umanitari. (R.P.)

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Iraq: celebrata di nuovo una Messa nella Piana di Ninive

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La chiesa caldea di San Giorgio, nel villaggio di Tel Isqof, in una zona della Piana di Ninive contesa tra jihadisti dello Stato Islamico (Is) e truppe curde Peshmerga, è stata riaperta dopo mesi di abbandono: domenica scorsa un sacerdote vi ha celebrato la liturgia eucaristica, davanti a un gruppo di giovani. Lo conferma all'agenzia Fides don Paolo Thabit Mekko, sacerdote caldeo di Mosul. “Quella di domenica scorsa - riferisce a Fides p. Paolo - è la prima messa celebrata in una chiesa di quei villaggi della Piana di Ninive abbandonati dalla popolazione cristiana a inizio agosto, davanti all'avanzata dei miliziani dell'IS”.

Tel Isqof, a nord di Mosul, è uno dei pochi villaggi della Piana attualmente tornati sotto il controllo dei Peshmerga, dopo che i miliziani dell'IS sono stati respinti. A soli 15 chilometri c'è Tilkaif, ancora nelle mani dei jihadisti. Si tratta di villaggi in gran parte rimasti deserti dopo la fuga di massa di agosto, in un'area attraversata dalla linea del fronte.

“Un gruppo di giovani uomini, attualmente rifugiati in Kurdistan, sono voluti andare fin lì con un sacerdote per poche ore, con l'intento di aprire la chiesa, far suonare le campane e partecipare alla celebrazione della Messa. Dopo la liturgia sono ritornati al nord, nei luoghi dove al momento vivono come profughi”. L'iniziativa ha avuto anche un valore simbolico: “è stato un modo per dire che non ce ne andiamo dalle nostre terre, e che coltiviamo con tenacia la speranza di tornare presto nelle nostre case e nelle nostre chiese” ripete padre Paolo, anche lui attualmente rifugiato a Ankawa, distretto a maggioranza cristiana di Erbil. (R.P.)

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Messico: la Chiesa condanna corruzione e menzogne

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“Viviamo in un Paese molto corrotto, dove alla gente e ai politici non importa di vivere o meno nella verità” ha lamentato il vescovo di Campeche, mons. José Francisco Gonzalez, nella sua omelia di domenica scorsa, durante la Messa celebrata in cattedrale. Il vescovo ha ricordato la tragica scomparsa degli studenti di Ayotzinapa (Guerrero) con queste parole: “Quello che è successo ad Iguala non è un caso isolato”.

Quindi ha chiesto a tutti di non coprire o proteggere nessuno, ma al contrario, denunciare e far notare i politici irresponsabili, in quanto occorre mostrare la corruzione e le menzogne in cui vivono perché si sono allontanati da Dio e dalla verità. Infine ha ricordato che "Gesù ha purificato il Tempio, che era diventato un covo di ladri e di corrotti, e questo è ciò che manca nel nostro Paese".

L'agenzia Fides continuano a pubblicare le reazioni di missionari e comunità cattoliche in tutto il Messico alla terribile vicenda dei 43 studenti di Ayotzinapa . A Veracruz Mons. Eduardo Patiño Leal, vescovo di Córdoba, domenica scorsa ha esortato: "Dobbiamo unirci tutti in Messico, e dire basta a queste bande”. Il Paese soffre un grande dolore ed è molto provato dinanzi alla crudeltà con cui la criminalità organizzata opera, in collusione con alcuni membri della polizia municipale, come per la presunta esecuzione dei 43 studenti di Ayotzinapa. Secondo le fonti di Fides, il vescovo ha sottolineato che la società messicana è danneggiata da tali crimini che per lo più rimangono irrisolti.

Mentre nel Paese continuano innumerevoli manifestazioni contro le autorità corrotte, ad Iguala, una trentina di famiglie si sono unite ai fedeli cattolici e ad altri organismi laici per continuare a cercare nella zona i resti delle persone scomparse. Il "Frente Igualteco por la Dignidad y la Paz Social" ha chiesto a tutte le famiglie di rompere il silenzio e abbandonare la paura in cui sono vissute sotto l'amministrazione del sindaco Abarca Velázquez, arrestato in quanto si presume legato alla banda criminale Guerreros Unidos, per trovare le fosse comuni e dare cristiana sepoltura ai resti di tanti familiari scomparsi. (R.P.)

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Chiesa boliviana: non discriminare le scuole cattoliche

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Lo Stato dà attenzione prioritaria alle scuole pubbliche e discrimina le scuole "private": la denuncia viene dall’arcivescovo emerito di Cochabamba, mons. Tito Solari. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides da fonti locali, mons. Solari ha spiegato che la Costituzione dello Stato e la Nuova Legge sulla Pubblica Istruzione 070 rispettano il diritto dei genitori sulla scelta del tipo di educazione che vogliono per i loro figli, ma a volte la scelta è condizionata dall'atteggiamento del governo, che discrimina gli istituti scolastici gestiti dalla Chiesa attraverso le congregazioni religiose o le cooperative.

“I genitori hanno libertà da scegliere, ma tale scelta può essere condizionata quando questi istituti non godono delle stesse condizioni delle scuole pubbliche - ha detto mons. Solari -. Le scuole ‘private’ non hanno alcun sostegno dal comune per infrastrutture, servizi e materiali. Quando il Ministero distribuisce materiale per le scuole pubbliche, dovrebbe offrirlo anche alle altre scuole, in modo che non siano discriminate”.

L'arcivescovo ha evidenziato che l'attuazione pratica della riforma del sistema educativo deve essere basata sulla giustizia, l'equità, il servizio, “e non ci sia discriminazione fra studenti o fra i ragazzi, né tra una scuola e un'altra, così tutti possono sentirsi figli della Bolivia, figli dello stesso Paese". La Bolivia sta realizzando un cambio storico riguardo alla pubblica istruzione nel Paese.

Moltissime scuole sono gestite dalla Chiesa (324 materne, 879 primarie, 365 secondarie), solo quelle di “Fe y Alegria” (Gesuiti) sono più di 400. La Bolivia ha cambiato la sua Costituzione nel 2009 e con essa la Legge sulla Pubblica istruzione. Nel 2010 ci sono stati accordi importanti sulla gestione delle scuole nel rispetto della loro natura, adesso si stanno gradualmente applicando in tutto il Paese. (R.P.)

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Argentina: Plenaria vescovi su famiglia e Congresso eucaristico

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La Conferenza episcopale argentina (Cea) eleggerà le cariche per il prossimo triennio, durante la 108.ma Assemblea plenaria iniziata ieri con la Santa Messa presieduta dal presidente dell’episcopato, mons. José María Arancedo, alla Casa di ritiro “Il Cenacolo” nella località del Pilar. Le elezioni comprendono la Commissione esecutiva, il presidente, due vice-presidenti e il segretario generale, le 20 Commissioni episcopali e i Consigli degli affari economici e giuridici.

Dopo le votazioni che si svolgeranno fino a giovedì, i vescovi argentini rifletteranno sul cammino programmatico della Cea sulla base dell'Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco e il percorso della Missione continentale contenuta nel documento di Aparecida.

Un capitolo speciale sarà dedicato al recente Sinodo straordinario sulla famiglia con un riepilogo degli argomenti più importanti, le ripercussioni e la scelta dei delegati al Sinodo ordinario del 2015. Infine, l’andamento della pastorale sociale e il resoconto dei preparativi del Congresso eucaristico nazionale che avrà luogo a Tucumàn nel 2016. (A cura di Alina Tufani)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 315

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.