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Sommario del 23/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: incontrare Gesù ci cambia la vita, la misericordia è più grande dei pregiudizi
  • Messaggio del Papa alla diocesi di Juba in Sud Sudan: basta violenze, senza pace non c'è sviluppo
  • Il cordoglio del Papa per la morte del Patriarca Ignazio Zakka Iwas: uomo di pace coraggioso e saggio
  • Corso sul Foro interno. Il card. Piacenza: i sacerdoti sappiano "abitare il confessionale" con cuore paterno
  • Verso la visita del Papa in Corea: la gioia del rettore del Pontificio Collegio Coreano
  • La santità di Giovanni XXIII raccontata in un libro di Stefania Falasca
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina: Kiev teme attacco dei soldati russi schierati al confine
  • In prima linea per i migranti: la testimonianza dei difensori dei diritti umani in Messico
  • Musica e integrazione: primo disco di un gruppo musicale formato da rifugiati
  • Nasce a livello europeo la Carta dei diritti del malato di cancro
  • In un libro del medico Giorgio Gazzolo, la sindrome di asperger oltre gli stereotipi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nigeria: 17 morti per attacco di "Boko Haram" contro un mercato
  • Kenya: attacco armato in una chiesa, almeno 3 morti
  • La contraerea turca abbatte un caccia siriano nel suo spazio aereo
  • Francia al voto per il primo turno delle amministrative
  • Senegal: la Chiesa auspica coordinamento nei colloqui di pace per la Casamance
  • La "Fazenda esperanza" per il recupero di giovani tossicodipendenti arriva in Cile
  • Libia: tecnico italiano scomparso, si teme il sequestro
  • Francia: al via il primo maggio, il Giubileo delle apparizioni mariane a Laus
  • Conclusa a Bose la sessione del Comitato “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese
  • Thailandia: nasce il primo monastero benedettino
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: incontrare Gesù ci cambia la vita, la misericordia è più grande dei pregiudizi

    ◊   “Il Signore è più grande dei pregiudizi”. E’ quanto affermato da Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro, dedicato all’incontro tra Gesù e la donna samaritana, raccontato dal Vangelo domenicale. Il Papa ha sottolineato che tutti siamo alla ricerca dell’acqua viva della Misericordia ed ha soggiunto che la Quaresima è il tempo opportuno per “guardarci dentro”. Il Pontefice ha infine dato appuntamento, venerdì prossimo, alla Giornata penitenziale “24 ore per il Signore”. Sarà, ha detto, "una festa del perdono". Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Un gesto che supera “le barriere di ostilità”, un dialogo che “rompe gli schemi di pregiudizio nei confronti delle donne”. Papa Francesco sintetizza così l’incontro tra Gesù e la donna Samaritana al pozzo, narrato dal Vangelo. E mette l’accento su quel “dammi da bere” pronunciato dal Signore:

    “La semplice richiesta di Gesù è l’inizio di un dialogo schietto, mediante il quale Lui, con grande delicatezza, entra nel mondo interiore di una persona alla quale, secondo gli schemi sociali, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgere la parola. Ma Gesù lo fa! Gesù non ha paura. Gesù quando vede una persona va avanti, perché ama. Ci ama tutti. Non si ferma mai davanti ad una persona per pregiudizi!

    Gesù, soggiunge il Papa, pone la Samaritana “davanti alla sua situazione, non giudicandola ma facendola sentire considerata, riconosciuta, e suscitando così in lei il desiderio di andare oltre la routine quotidiana”. Quella di Gesù del resto, prosegue il Papa, “era sete non tanto di acqua, ma di incontrare un’anima inaridita”. Gesù, infatti, “aveva bisogno di incontrare la Samaritana per aprirle il cuore: le chiede da bere per mettere in evidenza la sete che c’era in lei stessa”:

    “La donna rimane toccata da questo incontro: rivolge a Gesù quelle domande profonde che tutti abbiamo dentro, ma che spesso ignoriamo. Anche noi abbiamo tante domande da porre, ma non troviamo il coraggio di rivolgerle a Gesù! La Quaresima, cari fratelli e sorelle, è il tempo opportuno per guardarci dentro, per far emergere i nostri bisogni spirituali più veri, e chiedere l’aiuto del Signore nella preghiera”.

    E anche oggi, esorta il Pontefice, dobbiamo seguire l’esempio della Samaritana e chiedere l’acqua che ci disseterà in eterno. Il Vangelo, rileva poi Francesco, “dice che i discepoli rimasero meravigliati che il loro Maestro parlasse con quella donna”.

    “Ma il Signore è più grande dei pregiudizi, per questo non ebbe timore di fermarsi con la Samaritana: la misericordia è più grande del pregiudizio. Questo dobbiamo impararlo bene! La misericordia è più grande del pregiudizio e Gesù è tanto misericordioso, tanto!”

    Ecco allora che la Samaritana “corse in città a raccontare la sua esperienza straordinaria. Era andata a prendere l’acqua del pozzo, e ha trovato un’altra acqua, l’acqua viva della misericordia che zampilla per la vita eterna”. “Ha trovato l’acqua – ribadisce il Papa – che cercava da sempre” e annuncia a quel villaggio che "la condannava e rifiutava" di aver incontrato il Messia:

    “Uno che le ha cambiato la vita, perché ogni incontro con Gesù ci cambia la vita. Sempre. E’ un passo più avanti, un passo più vicino a Dio. E così ogni incontro con Gesù ci cambia la vita. Sempre! Sempre è così”.

    In questo Vangelo, prosegue, troviamo anche noi lo stimolo a “lasciare la nostra anfora”, simbolo di tutto ciò che "apparentemente è importante, ma che perde valore di fronte all’amore di Dio":

    Tutti ne abbiamo una o più di una! Io domando a voi, anche a me: ‘Qual è la tua anfora interiore, quella che ti pesa, quella che ti allontana da Dio?’ Lasciamola un po’ da parte e col cuore sentiamo la voce di Gesù che ci offre un’altra acqua, un’altra acqua che ci avvicina al Signore”.

    Anche noi, è l’invito del Papa, siamo dunque “chiamati a riscoprire l’importanza e il senso della nostra vita cristiana, iniziata nel Battesimo e, come la Samaritana, a testimoniare” la gioia dell'incontro con il Signore:

    “Testimoniare la gioia dell’incontro con Gesù, perché ho detto che ogni incontro con Gesù ci cambia la vita ed anche ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia, quella gioia che viene da dentro. E così è il Signore. E raccontare quante cose meravigliose sa fare il Signore nel nostro cuore, quando noi abbiamo il coraggio di lasciare da parte la nostra anfora”.

    Al momento dei saluti ai pellegrini, almeno 40 mila, il Papa ha ricordato la ricorrenza della Giornata Mondiale della Tubercolosi, invitando a pregare “per tutte le persone colpite da questa malattia, e per quanti in diversi modi le sostengono”. Quindi, ha sottolineato che venerdì e sabato prossimi si vivrà “uno speciale momento penitenziale”, chiamato “24 ore per il Signore” che inizierà con la Celebrazione nella Basilica di San Pietro:

    “Sarà - possiamo chiamarla così - la festa del perdono, che avrà luogo anche in molte diocesi e parrocchie del mondo. Il perdono che ci dà il Signore si deve festeggiare, come ha fatto il padre della parabola del figliol prodigo, che quando il figlio è tornato a casa ha fatto festa, dimenticandosi di tutti i suoi peccati. Sarà la festa del perdono”.

    Dal Papa, infine, anche un saluto ai partecipanti e agli organizzatori della Maratona di Roma. “Un bell’evento sportivo - ha detto - della nostra città”.

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    Messaggio del Papa alla diocesi di Juba in Sud Sudan: basta violenze, senza pace non c'è sviluppo

    ◊   Un “pressante appello” a porre fine alle violenze in Sud Sudan, assicurare gli aiuti umanitari e promuovere la pace: è quanto chiede Papa Francesco in un messaggio inviato alla diocesi di Juba. Il testo, a firma del segretario di Stato, Pietro Parolin, è stato letto stamani dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che ha presieduto la Messa nella Cattedrale di Santa Teresa a Juba, a conclusione di cinque giorni di visita nel Paese. Il servizio di Isabella Piro:

    “Senza pace non può esserci sviluppo”: lo scrive a chiare lettere Papa Francesco nel suo messaggio all’arcivescovo di Juba, mons. Paulino Lukudu Loro. Un’affermazione quanto mai calzante per il Sud Sudan: nazione giovane, divenuta indipendente solo tre anni fa, nel dicembre del 2013, che ha visto esplodere un conflitto etnico tra le forze governative del presidente Kiir, di etnia dinka, e quelle fedeli all'ex vicepresidente Machar, di etnia nuer. Una guerra che, sottolinea il Pontefice, è costata la vista a persone innocenti, provocando divisioni e causando “povertà, fame, malattie, morte”. “Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questa realtà”, sottolinea il Papa, che non dimentica “la drammatica situazione” di sfollati e rifugiati costretti all’esilio, in condizioni “abiette per la loro dignità”, in cui non sono considerati più persone, bensì “statistiche senza nome”.

    Di qui, “il pressante appello” del Pontefice affinché tutte le parti in causa, con il supporto della comunità internazionale, pongano fine alle violenze, assicurino “l’accesso agli aiuti umanitari per i bisognosi” e cerchino “senza sosta soluzioni pacifiche, per far prevalere il bene comune sugli interessi particolari”. Per questo, il messaggio pontificio richiama la necessità di “promuovere la cultura dell’incontro”, che implica innanzitutto il rifiuto dell’egoismo e la capacità di vedere nell’altro “non un nemico, ma un fratello da accettare e con cui lavorare insieme”. L’impegno a creare un clima sociale “costruttivo”, afferma il Papa, deve prevalere sulla “brama di potere” personale, con il “chiaro riconoscimento che gli esseri umani, con le loro legittime aspirazioni morali, etiche e sociali”, vengono sempre “prima dello Stato e dei diversi poteri che cercano di sottometterli”.

    Guardando, poi, al tempo di Quaresima, “momento privilegiato per intraprendere un percorso di purificazione e conversione della mente e del cuore”, il Papa esorta alla “conversione delle coscienze alla giustizia, alla fraternità ed alla condivisione”. Il messaggio si conclude con l’affermazione chiara che “la Chiesa cattolica condanna ogni atto di violenza e lavora generosamente nella ricerca di un clima di dialogo, riconciliazione e pace tra tutti i membri della società”.

    Iniziata il 19 marzo, la visita del cardinale Turkson in Sud Sudan è legata all’iniziativa quaresimale promossa dalla Chiesa locale e intitolata “Quaranta giorni di preghiera, digiuno e carità per la giustizia, la pace e la riconciliazione”. Nei giorni scorsi, il porporato ha presieduto la Messa di dedicazione della nuova Parrocchia di San Giuseppe a Juba ed ha avuto diversi incontri con i vescovi e le autorità locali. In particolare, mercoledì il porporato ha incontrato il presidente Kiir e i membri del governo, ai quali ha consegnato il messaggio del Papa.

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    Il cordoglio del Papa per la morte del Patriarca Ignazio Zakka Iwas: uomo di pace coraggioso e saggio

    ◊   Un leader “spirituale straordinario” che ha guidato il suo popolo con coraggio e saggezza in tempi molto difficili. E’ quanto scrive Papa Francesco in un telegramma di cordoglio per la morte del patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente Ignazio Zakka Iwas, spentosi il 21 marzo scorso, in un ospedale in Germania, all’età di 80 anni. Nel telegramma il Pontefice sottolinea che il patriarca è stato un uomo “di dialogo e pace” con i fedeli di ogni religione in un Medio Oriente lacerato da conflitti che hanno seminato morte e distruzione, in particolare in Iraq e Siria. Papa Francesco rammenta poi che il patriarca Ignazio Zakka Iwas ha preso parte al Concilio Vaticano II come “osservatore” e ne sottolinea il grande contributo nel rafforzare la comunione tra la Chiesa siro-ortodossa e la Chiesa cattolica. Nato a Mosul, in Iraq, Ignazio Zakka Iwas era primate della Chiesa siro-ortodossa dal 1980. In precedenza era stato vescovo metropolita di Mosul, poi di Baghdad e Bassora. Diventato patriarca, ha vissuto e lavorato a Damasco, sede della Chiesa siro-ortodossa. Venerdì prossimo, il corpo del patriarca sarà trasferito dalla Germania in Libano e poi in Siria, dove si svolgeranno i funerali.(A.G.)

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    Corso sul Foro interno. Il card. Piacenza: i sacerdoti sappiano "abitare il confessionale" con cuore paterno

    ◊   È giunto al 25.mo appuntamento il Corso che, annualmente, la Penitenzieria Apostolica organizza in Vaticano sul Foro interno. Da domani pomeriggio a venerdì 28 marzo, circa 500 tra sacerdoti e seminaristi vicini all’ordinazione parteciperanno a giornate di approfondimento inerenti al Sacramento della Riconciliazione. Ad aprire i lavori sarà il penitenziere maggiore, il cardinale Mauro Piacenza. Roberto Piermarini lo ha intervistato:

    D. - La Chiesa parla di conversione e di misericordia. È questo il tema privilegiato della predicazione quaresimale. Come attua tutto ciò?

    R. - La Chiesa non solo annuncia la conversione e il perdono ma, allo stesso tempo, è segno di tutto questo, segno che porta riconciliazione con Dio e con i fratelli. Quindi è certamente un segno di pace efficace nel mondo. La celebrazione del Sacramento della Riconciliazione si inserisce nel contesto dell’intera vita ecclesiale, soprattutto in rapporto al mistero pasquale celebrato nell’Eucarestia e - direi certamente - facendo riferimento al Battesimo vissuto, alla Confermazione e alle esigenze del comandamento della carità, dell’amore. E’ sempre una celebrazione gioiosa dell’amore di Dio che dona se stesso, distruggendo il nostro peccato quando siamo disposti a riconoscerlo con umiltà.

    D. - Che incidenza ha nella vita sociale il Sacramento della Penitenza?

    R. - Si tende alla riconciliazione piena secondo la logica del “Padre nostro”, le Beatitudini e il comandamento dell’amore. E’ una via di purificazione dai peccati ed anche un itinerario verso l’identificazione con Cristo. Questo cammino penitenziale è oggi, come sempre, di estrema importanza, come fondamento per costruire una società che viva la comunione. Anche - ed ecco l’incidenza - nel modo di leggere le vicende di questo mondo così come ci sbalzano anche dalle cronache quotidiane e dalle situazioni sociali credo si debba sempre tenere presente la realtà del peccato originale. Il non voler tenere presente che l’uomo ha una natura ferita, incline anche al male, provoca ben gravi errori in campo educativo, in campo politico, ecc.

    D. - Si devono confessare anche i peccati veniali?

    R. - Quando si entra nella dinamica evangelica del perdono diventa facile comprendere l’importanza di confessare anche i peccati lievi e le imperfezioni. Perché questo? Perché viene fuori una decisione di progredire nella imitazione di Cristo, nel percorrere la via dello Spirito e con il desiderio di trasformare davvero la propria vita in espressione della misericordia divina verso gli altri. In questo modo si entra in sintonia con i sentimenti di Cristo “che solo - come dice San Paolo alla Lettera ai Romani e nella prima Lettera di San Giovanni - ha espiato per i nostri peccati” (cf Rom 3,25; 1 Gv 2,1-2). Quindi, certo, i peccati gravi devono essere confessati; le imperfezioni e tutto il resto è bene confessarlo.

    D. - Come deve essere la confessione?

    R. - La confessione dovrebbe essere chiara, semplice, integra dei propri peccati. La “conversione”, come ritorno ai progetti del Padre, implica - e questa è quindi un’altra caratteristica - il pentimento sincero e pertanto l’accusa chiara e la disposizione a riparare alla propria condotta. Così si torna ad orientare la propria esistenza sul cammino dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Il penitente, davanti a Cristo risorto presente nel Sacramento (ma anche in qualche modo anche nel ministro), confessa i propri peccati, esprime il proprio pentimento e si impegna a corrispondere alla grazia di Dio per potersi emendare. La grazia del Sacramento della Riconciliazione è grazia di perdono che arriva fino alla radice del peccato commesso dopo il Battesimo e guarisce le imperfezioni e le deviazioni, dando al credente la forza per la “conversione” vera.

    D. - Papa Francesco esorta i sacerdoti ad essere misericordiosi. Cosa significa in concreto?

    R. – E’ quanto mai importante che il confessore sappia accogliere il penitente. E la prima accoglienza è remota ed è costituita dalla preghiera e dalla penitenza che il sacerdote deve fare per quanti si accosteranno alla Confessione. Occorre poi “abitare il confessionale”, ovvero starci con orari che vadano incontro ai fedeli e con un cuore incandescente di paternità. L’aiuto, durante la confessione, tende alla vera conoscenza di sé, alla luce della fede, in vista di un atteggiamento di contrizione e di proposito di conversione permanente, intima per superare l’insufficiente risposta all’infinito amore misericordioso di Dio. La carità pastorale spinge il sacerdote confessore alla massima disponibilità nell’accoglienza delle pecore ferite, anzi ad andare loro incontro per ricondurle all’ovile. Papa Francesco usa spesso un’espressione icastica nel presentare la Chiesa quando dice: “É come un Ospedale da campo”. Questa espressione così chiara ha fatto fortuna. Ebbene percorrendo la stessa espressività si potrebbe dire che la Confessione è come un reparto di urgenza di tale Ospedale. Il confessore è pastore, padre, maestro, educatore, giudice misericordioso, medico che deve aiutare a riprendere il pieno vigore.

    D. - Quale formazione per un Confessore?

    R. - Si richiede un’accurata formazione per esercitare proficuamente il ministero del confessore. Occorre una delicata sensibilità spirituale e pastorale, una preparazione teologica, morale e pedagogica veramente seria in modo da riuscire a comprendere il vissuto del penitente. Quindi bisogna saper vedere dove vive il penitente, la società che ha attorno, il contesto familiare … Tutto ciò dovrebbe far parte non solo della formazione iniziale, ma anche di quella permanente del clero. Il Corso sul Foro Interno che faremo in questi giorni è un piccolo contributo per la formazione del buon confessore.

    D. - Si parla anche di gioia. In che senso?

    R. - Sì, il Sacramento della Riconciliazione è un grandissimo dono, un dono anche per noi sacerdoti che, pur chiamati ad esercitare questo ministero, abbiamo le nostre mancanze da farci rimettere; quindi siamo penitenti e confessori nello stesso tempo. La gioia di perdonare e la gioia di essere perdonati vanno insieme. Quindi in questa sede auguro a tutti: confessori e penitenti di poter sperimentare questa gioia cristallina. E’ il mio più cordiale augurio pasquale!

    D. - Voi organizzate ora un Corso sul foro interno: vuole dirci del suo svolgimento?

    R. - La Penitenzieria Apostolica, ormai da 25 anni organizza un Corso sul Foro Interno a servizio dei sacerdoti novelli o di recente ordinazione e dei seminaristi prossimi all'ordinazione presbiterale. Nel corrente anno tale Corso si svolgerà da domani a venerdì 28 marzo presso la sede della Penitenzieria, nel Palazzo dei tribunali, in Piazza della Cancelleria, 1. Gli iscritti sono al momento circa cinquecento appartenenti ai vari continenti. Dopo la lectio magistralis del cardinale penitenziere maggiore sul tema “...rinnovare l’incontro personale con Gesù Cristo” (Evang. Gaudium, n.3) si alterneranno il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, monsignor reggente, i prelati della Penitenzieria e i diversi officiali della stessa. Le varie relazioni saranno seguite da dibattito. Il tutto si svolgerà nel pomeriggio dalle 15.30 in poi. Alle ore 12.00 di venerdì 28 avremo il dono dell’udienza con il Santo Padre per la Penitenzieria, per tutti i penitenzieri ordinari e straordinari delle quattro Basiliche papali, ma l’udienza sarà allargata anche a tutti i partecipanti al Corso. Nel pomeriggio dello stesso venerdì, alle ore 16.30, nella Basilica di San Pietro ci sarà una celebrazione penitenziale presieduta dal Santo Padre il quale, fra l’altro, confesserà alcuni dei presenti. Si presteranno ad ascoltare le confessioni anche i superiori e gli officiali della Penitenzieria, unitamente ai penitenzieri ordinari e straordinari, per un numero complessivo di circa 60 confessori. Il rilievo che si vuole riservare alla pratica della confessione verrà poi sottolineato da un’interessante promozione, da parte del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, di “24 ore per il Signore. Il perdono di Dio è più forte del peccato”. A partire dalla celebrazione in San Pietro si svolgerà una giornata per lasciarsi riconciliare con Dio. Alle ore 20.00 le Chiese Sant’Agnese in Agone, Santa Maria in Trastevere, SS.me Stimmate rimarranno aperte con servizio confessioni. Sabato 29 poi altrettanto in Sant’Agnese in Agone dalle 10.00 alle 16.00 e alle ore 17.00 celebrazione conclusiva di ringraziamento presieduta da mons. Rino Fisichella presso la Chiesa di Santo Spirito in Sassia. Tali iniziative hanno coinvolto anche numerose diocesi in Italia e nel mondo che sono state molto entusiaste di questa proposta in ordine alla nuova evangelizzazione.

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    Verso la visita del Papa in Corea: la gioia del rettore del Pontificio Collegio Coreano

    ◊   Fondato nel 1990 e inaugurato da Papa Woytila nel 2001, il Pontificio Collegio Coreano è una delle Istituzioni culturali più autorevoli che ospita sacerdoti e seminaristi di tutto il mondo. Anche qui fervono i preparativi in vista della visita ad agosto di Papa Francesco in Corea del Sud. Il servizio di Davide Dionisi:

    "Che in questo Collegio si respiri ogni giorno l’atmosfera del Cenacolo!" L’invito di Giovanni Paolo II, rivolto nel 2001, ai sacerdoti del Pontificio Collegio Coreano in occasione dell’inaugurazione dell’Istituzione, riecheggia ancora lungo i corridoi e le stanze. Ma l’atmosfera che si respira in questi giorni è quella dei grandi eventi. La notizia della visita di Papa Francesco, ha confermato che la scelta vocazionale di chi studia e vive nel Collegio è stata quella giusta ed oggi si arricchisce di nuovi contenuti con il viaggio di un Pontefice tanto amato e ammirato dai coreani. E’ lo stesso rettore, Don Jong-su John Kim a descrivere le emozioni e l’entusiasmo dei giovani studenti.

    R. - Siamo tutti contenti e lieti. Questa visita sarà un passo verso la pace tra due Coree ancora in tensione tra loro. Quindi tutti i coreani, non soltanto i cattolici - anche i non credenti - hanno accolto questa visita del Papa.

    D. Può scattarci un’istantanea della Chiesa in Corea?

    R. - La Chiesa coreana ha una storia unica. Il cattolicesimo coreano è stato introdotto da laici, non credenti, non cattolici: un gruppo di eruditi coreani che hanno studiato il cattolicesimo come una filosofia, una scienza occidentale. Dopo questo studio hanno trovato un’altra cosa: la fede! Quindi uno di essi è stato battezzato in Cina, a Pechino; dopo di questo è tornato in Corea e ha battezzato un altro suo collega. Da lì è iniziato il cattolicesimo in Corea. Questa storia è unica al mondo! In Corea, il cattolicesimo è l’unica religione che sta crescendo. Nel Paese ci sono tante altre religioni; quella più diffusa è il buddismo, poi il confucianesimo - molto influente nella società -, il protestantesimo conta otto milioni di fedeli e il cattolicesimo solamente cinque. Però il cattolicesimo è molto influente nella società coreana. La Chiesa cattolica in Corea era quella che riceveva aiuto dagli altri, però ora sta cambiando per dare aiuto agli altri impegnandosi in missioni verso l’Est, verso l’Africa e verso l’Europa.

    D. Qual è la situazione attuale tra le due Coree? Che impegno ha assunto la Chiesa in questo ambito?

    R. - A tutti coloro che mi hanno chiesto quale sia la situazione attuale tra le due Coree, rispondo sempre in questo modo: la situazione in Corea è molto pacifica, però c’è tensione; c’è pace, però c’è tensione. La Chiesa coreana si dedica nell’impegno di ricongiungere le due Coree, ma il dialogo tra due governi è difficile. La Chiesa deve trovare un altro passo, un’altra strada, aiutando economicamente, offrendo sostegno umano. Deve continuare ad aiutare la Corea del Nord. Questa strada, in futuro, può aprire alla possibile riunificazione delle due Coree.

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    La santità di Giovanni XXIII raccontata in un libro di Stefania Falasca

    ◊   “Giovanni XXIII, in una carezza la rivoluzione”. E’ il titolo di un libro della giornalista Stefania Falasca, pubblicato in questi giorni dalla Rizzoli in vista della Canonizzazione di Papa Roncalli, il 27 aprile prossimo assieme a Giovanni Paolo II. Il volume ripercorre la storia della Causa di Canonizzazione di Giovanni XXIII e si sofferma sulle motivazioni che hanno portato alla proclamazione della sua santità da parte di Papa Francesco. Alessandro Gisotti ha chiesto a Stefania Falasca di spiegare l’eccezionalità di questa Canonizzazione:

    R. – E’ una canonizzazione che certamente rappresenta un gesto significativo perché ha una procedura eccezionale: quella della canonizzazione pro gratia, cioè Giovanni XXIII viene iscritto tra i Santi per grazia, quindi in assenza di un miracolo, che normalmente è la prassi di una Causa di Canonizzazione. Le ragioni principali sono due: la prima è l’eccezionale vastità del culto liturgico che già ha Giovanni XXIII; l’altro motivo è che la richiesta era venuta dagli stessi Padri del Concilio Vaticano II, che auspicarono addirittura un’immediata Canonizzazione come atto del Concilio stesso.

    D. – Questa Canonizzazione, ovviamente, ha tanto a che vedere anche con il Concilio Vaticano II: in qualche modo, con la Canonizzazione di Papa Roncalli si rinnova l’urgenza dell’attuazione del Concilio …

    R. – Una spinta in questo senso ma soprattutto nel suo insieme, nell’insieme che è stato l’evento del Concilio. Nella autentica ispirazione di Giovanni XXIII, è stata questa la sua idea-chiave: la continuità nel rinnovamento, la fedeltà nel progresso che sono proprie di un evento dello Spirito. La memoria di Giovanni XXIII è quindi quella di un Papa del Concilio che interroga allora sul modo in cui i cristiani di oggi guardano il mondo e come vi operano. Gli stessi ortodossi consideravano Giovanni XXIII un Santo, e lo consideravano come Patrono del movimento ecumenico avviato appunto da Giovanni XXIII. Ci fu una riunione importante in cui, da parte dei cattolici venne proposto Josafat, come patrono di questo cammino ecumenico, ma gli stessi ortodossi russi chiesero Papa Giovanni.

    D. – Se uno vuole trovare con immediatezza un anello di congiunzione tra i due Papi, tra Roncalli e Bergoglio, pensa subito alla misericordia …

    R. – Sicuramente è essenzialmente questo. Nel discorso che Papa Francesco ha pronunciato il 3 giugno scorso, diceva appunto che in Roncalli c’era questo aspetto preponderante della bontà: l’essenziale! Un prete con questo aspetto legato alla paternità ecclesiale, alla paternità profonda, come la intende Jorge Mario Bergoglio, dell’esercizio del ministero sacerdotale ma anche petrino. E' questa concezione della Chiesa, questo senso di “padre” ma anche “madre” che allarga le braccia. E noi abbiamo quasi una sorta di incarnazione di questa figura iconica della visione della Chiesa materna. La medicina della Chiesa è la misericordia: l’ha detto Giovanni XXIII appunto nel discorso inaugurale del Concilio Vaticano II. Quindi, è chiaro che le affinità tra questi due pontefici ci sono, soprattutto nel solco di un comune sentire la Chiesa, di un comune sentire con la Chiesa.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina: Kiev teme attacco dei soldati russi schierati al confine

    ◊   Si tiene oggi a Kiev la manifestazione per l’unità dell'Ucraina, mentre cresce la preoccupazione per la presenza di truppe russe al confine. Il servizio di Eugenio Bonanata:

    Le truppe russe sono pronte ad attaccare l'Ucraina "in qualsiasi momento". E’ lo scenario evocato dal segretario del consiglio nazionale ucraino davanti a migliaia di manifestanti riuniti nel centro di Kiev. L’obiettivo di Putin – ha spiegato – non è solo la Crimea ma tutta l’Ucraina. Il riferimento è alle truppe di Mosca ammassate alla frontiera. Quelle stesse forze che, secondo il Cremlino, sono impegnate in semplici esercitazioni senza alcuna violazione dei trattati internazionali. Eppure anche il Pentagono teme incursioni nel Paese. E oggi il comando Nato in Europa ha evocato le possibili conseguenze in altre aree vicine, parlando di “una minaccia” per regioni come la Transnistria, in Moldavia. Il tutto alla vigilia del tour europeo del capo della Casa Bianca Obama che servirà anche per rinsaldare i rapporti con gli alleati. E poi c’è l’imminente incontro tra i ministri degli esteri di Stati Uniti e Russia, Kerry e Lavrov, che discuteranno del dossier della crisi ucraina a margine del vertice sulla sicurezza nucleare che si svolgerà domani e martedì a l’Aja, in Olanda. Intanto, in Crimea le forze russe hanno espugnato un gran numero di basi militari ucraine, senza incontrare troppa resistenza da parte dei soldati di Kiev. Nella lista anche unità navali da combattimento e un sottomarino. Mosca sostiene che molti militari siano passati formalmente dalla loro parte. Kiev, invece, promette di accogliere quelli che torneranno in patria come eroi.

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    In prima linea per i migranti: la testimonianza dei difensori dei diritti umani in Messico

    ◊   Diventare vittime di tratta di persone, traffico di organi, sfruttamento sessuale e lavorativo. Sono i rischi che corrono i migranti, uomini, donne e bambini, che tentano di raggiungere gli Stati Uniti attraverso il Messico e che cadono nelle maglie della criminalità organizzata. Negli anni, per contrastare questo drammatico business, sono aumentati i difensori dei diritti umani dei migranti. Francesca Sabatinelli ne ha incontrati due, giunti in Italia con l’appoggio della onlus Soleterre, che cerca di dar loro voce in tutto il mondo:

    Sono un esercito in aumento, perché aumentano drammaticamente anche tutte le persone per le quali lottano. Sono i difensori dei diritti umani dei migranti in Centro America, Messico e Caribe. Sono organizzazioni, singoli, civili e religiosi, che lavorano ogni giorno a contatto con coloro che finiscono nella rete della criminalità organizzata, diventando vittime di soprusi e violenze lungo la "ruta del migrante". A controllare il percorso di queste persone sono i cartelli della droga, i trafficanti che sequestrano per il pagamento del riscatto o che chiedono cifre enormi per un passaggio in treno che porti i migranti in fuga dalla povertà dei loro Paesi verso gli Stati Uniti. 50 milioni di dollari è il giro di affari che ogni anno ruota attorno ai migranti, tutti ci guadagnano dallo sfruttamento di questi “illegali”, anche le autorità messicane, colluse con il crimine organizzato. Le vittime, ufficiali o desaparecide, sono migliaia, un numero imprecisato, impossibile da fornire.

    Accanto a loro ci sono i difensori, aiutano le migliaia di migranti che ogni anno attraversano il confine messicano, li ospitano nei loro "albergue", le strutture di accoglienza. Anche loro sono nel mirino dei criminali, che li minacciano, ma senza esito, perché nessuno li ferma. Così come nessuno ha fermato Frate Tomàs Gonzàles Castillo, conosciuto da tutti come “Frate Tempesta”, francescano, opera a Tenosique, al confine con il Guatemala. E’ uno dei luoghi più pericolosi, la prima fermata in Messico per i sudamericani e i centroamericani diretti negli Usa, una rotta controllata dagli “Zetas”. Fray Tomàs da anni denuncia sequestri, estorsioni, traffico di esseri umani, per questo è stato minacciato, ma lui continua perché i migranti continuano ad aver bisogno di lui.

    R. – No baja, aumenta! Aumenta en toda la región. Ahora estamos recibiendo…
    Il numero di queste persone non diminuisce, aumenta! E aumenta in tutta la regione. Adesso arrivano molti provenienti dell’America Centrale, soprattutto da Honduras e dal Salvador, che chiedono rifugio in Messico poiché c’è una forte violenza criminale nei loro Paesi. Bambini, bambine ed adolescenti che arrivano totalmente soli: è aumentato molto il numero dei minori che sono totalmente soli! Anche di donne… E’ chiaro poi che la donna e il minore sono i più vulnerabili per la violenza in Messico. Una donna può essere violata moltissime volte durante tutto il tragitto; un minore, soprattutto se femmina, se bambina, può essere vittima potenziale della tratta delle persone ed essere destinata al lavoro forzato, alla schiavitù sessuale o a qualsiasi altra cosa.

    Suor Leticia Gutierrez, suor Leti, scalabriniana, è diventata punto fermo per i migranti e per chi difende i loro diritti. Con il suo impegno ha permesso la costruzione di 66 nuovi rifugi, ogni suo sforzo è teso a creare e rafforzare in Messico una rete di Difensori di Diritti Umani dei Migranti. Ed è lei a dirci che la soluzione per finire questo massacro esiste:

    R. – Claro que hay una solución! Para empezar, los mismos estados tenias que…
    Certo che c’è una soluzione! Anzitutto gli stessi Stati dovrebbero affrontare la questione dei migranti in modo diverso. C’è un libero transito di merci, c’è un libero transito nel commercio, dovrebbe quindi esserci anche un libero transito per le persone! E questo perché partono dal loro luogo di origine a causa della povertà, della miseria, e delle poche opportunità di sviluppo che le persone hanno per il futuro. Le autorità dovrebbero farsi carico del problema migratorio in modo diverso. In Messico intendiamo presentare una petizione alle autorità sul libero transito almeno per coloro che vogliono raggiungere il Messico o gli Stati Uniti per cercare una vita migliore. Non è possibile che si continui ad uccidere, che si continui a portare il peso di queste morti – sempre più morti! – sulle spalle. Questo non è più possibile! Tutti i giorni muoiono migranti proprio a causa di questa politica restrittiva.

    R. – Hay una involución, un retroceso en las políticas migratorias a nivel mundial…
    C’è una involuzione, una regressione nelle politiche migratorie a livello mondiale. Lo vediamo in Europa, lo vediamo negli Stati Uniti. Ad esempio, due delle condizioni della riforma migratoria degli Stati Uniti sono: ampliare il muro (una barriera di sicurezza costruita dagli Stati Uniti lungo la frontiera al confine tra USA e Messico ndr) e aumentare di mille persone in più la polizia di frontiera statunitense. Questa è una regressione! E’ necessaria una soluzione strutturale globale!

    D. – Entrambi siete stati, come tanti altri difensori dei diritti umani, minacciati di morte…

    R. – Nosotros no somos héroes, no somos súper-hombre ni súper-mujeres: somos …
    Noi non siamo degli eroi! Non siamo né superuomini né superdonne: siamo persone comuni, normali, reali, che hanno deciso di consacrarsi e che, per non tradire l’umanità e per vedere nelle persone che soffrono Gesù stesso, stanno facendo quello che stanno facendo. E noi andiamo avanti! E vogliamo dare la nostra vita, e lo diciamo veramente! Ci è toccato fare questo, è molto difficile! Abbiamo paura, perché siamo esseri umani: c’è pianto, c’è fatica, c’è sudore, c’è stato sangue, però noi andiamo avanti! E non soltanto andiamo avanti per Cristo e per carità: no! Andiamo avanti perché vogliamo giustizia! Vogliamo perseguire coloro che stanno facendo tanto danno nel governo e che hanno permesso tutto questo!

    R. – Ver a el otro, ver a la otra…
    Vedere l’altro assassinato, vedere l’altra assassinata, è un qualcosa che non può lasciarti con le braccia incrociate. Io credo che tutti noi, donne e uomini impegnati con i migranti, lo siamo sì per una risposta di fede, ma lo siamo anche come risposta di fraternità, perché non possiamo continuare a lasciare che uccidano i migranti e che uccidano anche noi per farci stare zitti, in silenzio. Non possiamo continuare a sopportare che uccidano tutta l’umanità in questi fratelli e sorelle.

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    Musica e integrazione: primo disco di un gruppo musicale formato da rifugiati

    ◊   Si chiama “Kermesse” ed è un gruppo musicale composto da rifugiati che vivono in Italia. Grazie a un laboratorio musicale promosso dall’associazione “Prime Italia” hanno realizzato, dopo un anno e mezzo di lavoro, il loro primo disco, esempio di integrazione tra culture diverse. Il servizio di Davide Maggiore:

    Una sinfonia di suoni e nazionalità asiatiche, africane e sudamericane. Così definisce il risultato del progetto Guglielmo Micucci, presidente di “Prime Italia”, che racconta ai nostri microfoni i primi passi dell’iniziativa, nata dal contatto diretto con i rifugiati:

    “Ci siamo resi conto come molti di loro portassero dai loro Paesi delle competenze anche musicali: chi aveva usato degli strumenti, chi aveva cantato e chi aveva anche semplicemente il desiderio di poter esprimere le proprie emozioni, i propri sentimenti attraverso la musica. Abbiamo iniziato gradualmente a creare un gruppo di persone, che ha poi costituito un laboratorio. All’interno di incontri periodici, ha realizzato questo cd, che ha preso il nome di “Kermesse” - da dove poi nasce anche il nome del gruppo stesso”.

    La scelta della musica come mezzo d’integrazione ha anche un significato dal punto di vista ideale e culturale, prosegue Micucci:

    “Questo strumento ci permetteva di entrare più facilmente in contatto con queste persone e soprattutto - e questa è un po’ la peculiarità di questo lavoro - ci permetteva anche di mostrare a queste persone quali fossero le nostre origini musicali: quindi un rapporto paritario, per mettere insieme - veramente in una grande kermesse - tradizioni di tutti i Paesi, inclusa l’Italia”.

    Le canzoni che compongono il cd "Kermesse", e che il gruppo sta iniziando a eseguire anche dal vivo, hanno le loro radici nella storia stessa dei rifugiati, nel viaggio che li ha portati ad abbandonare le terre d’origine e nella loro nuova quotidianità, raccontata agli operatori di “Prime Italia” e poi trasformata in suoni ed armonie grazie anche alla collaborazione del musicista italiano Antonio Bevacqua. A spiegarlo è ancora Guglielmo Micucci:

    “I testi di queste canzoni parlano della loro storia, della loro migrazione - purtroppo, a volte, forzata - delle cose che hanno lasciato nei loro Paesi di origine e delle speranze che loro hanno: la speranza del futuro, di quello che loro vorrebbero e potrebbero realizzare”.

    In qualche caso, il lavoro nel laboratorio musicale ha portato alla scoperta di nuove abilità e talenti personali. È accaduto ad Abdoulaye, che in Costa d’Avorio lavorava da giornalista, ed era stato chiamato a scrivere alcuni testi del disco:

    “Io non ho mai cantato, ma la storia che io volevo raccontare, che ho scritto, la volevo raccontare in maniera un po’ più personale: quindi mi hanno detto 'Vai, prova a prendere il microfono… Prova a cantare e vediamo che faremo…'. Così ho preso il microfono e ho cantato. Hanno trovato che la voce era bella: è così che ho iniziato a cantare”.

    Ed è ancora Abdoulaye a spiegare quale messaggio ha voluto trasmettere in questo modo, attraverso le sue parole e la sua voce:

    “Alla fine noi dobbiamo sempre lavorare, sempre andare avanti, perché stiamo vivendo un momento difficile. Dobbiamo avere coraggio, perché il futuro può essere interessante. Questo è quello che io racconto in questa canzone”.

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    Nasce a livello europeo la Carta dei diritti del malato di cancro

    ◊   Nasce la Carta Europea dei Diritti del Malato di Cancro, che punta a risolvere le disuguaglianze tra le persone affette da neoplasie in Europa. Nel 2013, solo in Italia, si sono state registrate più di 350 mila diagnosi e 173 mila decessi a causa di tumori. Al microfono di Elisa Sartarelli, il presidente dell’European Cancer Patient Coalition, Francesco De Lorenzo:

    R. – E’ stata presentata al Parlamento europeo a Strasburgo ed è una Carta scritta da malati, clinici e ricercatori. Che poi sia in vigore, nel senso che se ne sia già tenuto conto sul piano delle modifiche da apportare, attraverso iniziative politiche, è un auspicio, ma non è ancora una certezza. Va fatta una precisazione ovviamente: il Parlamento europeo, la Commissione Europea, non hanno un’influenza diretta sul servizio sanitario nazionale dei vari Paesi. L’Europa, però, sia attraverso il Parlamento che attraverso la Commissione, è in grado di imporre alcuni comportamenti che vengono poi considerati vincolanti. E’ proprio grazie all’iniziativa, che è stata presa dal Parlamento europeo, per esempio, se oggi tutti i Paesi europei hanno accettato di inserire come obbligatorio, per le iniziative per la prevenzione, gli screening per ridurre il rischio di avere diagnosi tardive nel cancro della mammella, del colon e della cervice, cioè dell’utero.

    D. – Cosa garantisce questa Carta ai malati, che prima non avevano?

    R. – Oggi noi sappiamo che buona parte dei tumori sono prevenibili: ci sono screening che consentono di fare diagnosi molto precoci per il tumore alla mammella, per il tumore al colon, per il tumore all’utero, e si sono già presentate altre iniziative possibili per ridurre il carico di malattia. Allora, se noi riduciamo il numero di persone che arrivano ad una fase tardiva, per cui non possono essere salvate dalle cure esistenti, noi dedichiamo più risorse a quei malati, che essendo colpiti dal tumore al polmone, al pancreas, al fegato e dai tumori cerebrali, che non sono prevenibili, possono avere più attenzione e più risorse. Poi, il diritto di accedere a tutte le informazioni sulle loro condizioni di salute e, soprattutto, di partecipare attivamente alle scelte terapeutiche; quindi strategie informative chiare e comprensibili per i pazienti, per accedere al miglior livello di assistenza e la certificazione di qualità dei centri e delle parti presso le quali si è in cura. Si offre ai malati la possibilità di scegliere, oggi che è possibile, di andare in centri di eccellenza, presenti in tutta Europa, utilizzando una direttiva, che anche in Italia sta per essere approvata, che consente di andare all’estero nei centri di eccellenza, soprattutto per i tumori rari. Oggi, dunque, con le direttive sull’assistenza transfrontaliera, è possibile per i malati di cancro andare, in caso di tumori rari, in centri di eccellenza, che esistono in tutta Europa. Diciamo, quindi, che questa iniziativa, che è stata condivisa dai Parlamentari, consentirà anche di seguire e di monitorare se l’applicazione della direttiva, che concede la possibilità di andare in questi centri di eccellenza, venga effettivamente rispettata. E poi garantire ai malati di cancro, ovunque essi risiedano, il diritto alla cura. In Romania, per esempio, non sono disponibili per i malati di cancro neanche i chemioterapici. I prezzi dei farmaci chemioterapici, infatti, sono molto bassi e le varie aziende farmaceutiche, in questi Paesi, non li commercializzano. Abbiamo fatto, quindi, filmati a malati e parenti che dalla Romania si recano in Austria, comprano questi farmaci per poi portarli a casa e curarsi o per curare i loro parenti. Questo è inaccettabile in un’Europa che vuole essere Europa unita.

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    In un libro del medico Giorgio Gazzolo, la sindrome di asperger oltre gli stereotipi

    ◊   “Gatta ci cova? Ve lo spiega un asperger”. E' il tema di un libro che si sofferma sulle difficoltà ma anche sulle risorse delle persone affette dalla "sindrome di Asperger". Una sindromce che provoca gravi difficoltà di comunicazione. L’autore del libro, Giorgio Gazzolo, medico e scrittore affermato, parla del suo lavoro nell'intervista di Maura Pellegrini Rhao:

    R. – La sindrome di Asperger riguarda quelle persone che hanno una grave difficoltà a capire le metafore, in quanto sono persone che vorrebbero una comunicazione piana, senza sottintesi, senza giri di parole, senza barocchismi … tutte cose che ci sono, purtroppo, anche nei media.

    D. – Cosa intende quando dice di riflettere sul nostro modo neurotipico di comunicare e di relazionarci agli altri?

    R. – Neurotipico è una parola che riguarda appunto le persone comuni, quelle che girano per la strada, quelle che "non sono bizzarre e che non sono strane", che magari hanno una vita – anagraficamente parlando – normale, cioè una moglie, i figli eccetera: questi sono i neurotipici.

    D. – Confrontarsi con l’altro avendone cura: un accorgimento da tenere presente in ogni situazione?

    R. – Pensi quanto può pesare un malinteso: specialmente un malinteso che regge, che continua e può avvelenare non soltanto un rapporto con una certa persona, ma anche molto di più: può dilagare come una macchia d’inchiostro su una tovaglia pulita …

    D. – Tutti i giorni troviamo chi usa le parole in modo distorto e differenti dal loro vero significato …

    R. – Pensiamo soltanto a quanto sono nocive le sigle: noi siamo bombardati da sigle e siamo bombardati anche da parole che sono un po’ misteriose. Per esempio, le “riforme strutturali”: escluso che riguardino lo strutto, i giornalisti si riempiono un po’ la bocca di questa parola – “strutturale” – ma poi, in pratica, per le persone che hanno un cervello che è volto a comprendere il lato più tranquillo e più piano di una comunicazione, “strutturale” vuol dire tutto e non vuol dire niente …

    D. – E per quanto riguarda il suo libro, dal titolo: “Gatta ci cova: ve lo spiega un Asperger” …

    R. – Questo libro, in fondo, è la storia di due persone di cui una è affetta dalla sindrome di Asperger, ed è lui, e lei assolutamente no: lei è volitiva, lei è "di questo mondo". Invece un soggetto Asperger è un po’ di un altro mondo, è un po’ "un marziano". Però, è un marziano che vuole la sincerità, che cerca gli altri per avere un assenso e soprattutto per ottenere dagli altri una comunicazione piana, giusta, sincera soprattutto. Ma poi, tutti noi cerchiamo la sincerità, e alle volte ci troviamo un po’ sbalestrati da certe comunicazioni che non sono quelle che vorremmo sentire. Adesso si cerca di vedere, soprattutto in America, dove sono stati pubblicati da parte di soggetti affetti da questa sindrome, libri di grandissimo successo e quello che più comunemente si sente dire è il fatto che molti soggetti Asperger siano stati molto famosi: il pianista Glenn Gould, lo stesso Mozart, Einstein … dicono che questi personaggi fossero un po’ bizzarri nel loro modo di parlare o di porsi nei confronti degli altri, però fossero anche potentemente geniali …

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nigeria: 17 morti per attacco di "Boko Haram" contro un mercato

    ◊   In Nigeria, attacco contro un mercato nel Nord del Paese. Il bilancio è di almeno 17 morti. Le autorità locali hanno attribuito la responsabilità al gruppo islamista di "Boko Haram". L’episodio è avvenuto nella tarda serata di ieri nei pressi di Bama, nello Stato di Borno. Si è trattato di un’esplosione provocata probabilmente da una granata. Nella regione, come in altri Stati settentrionali, vige lo stato di emergenza imposto dal governo nel tentativo di arginare gli attacchi di "Boko Haram" che dal 2009 hanno causato oltre 6 mila vittime. (E.B.)

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    Kenya: attacco armato in una chiesa, almeno 3 morti

    ◊   In Kenya almeno tre persone sono state uccise durante un attacco armato avvenuto in una chiesa nel distretto di Likoni a sud di Mombasa, la principale città turistica costiera del Paese. Lo ha riferito la polizia locale precisando che un gruppo di uomini ha fatto irruzione all'interno del luogo di culto aprendo il fuoco contro i fedeli che partecipavano alla Messa domenicale. Dopo il raid, che ha provocato una decina di feriti, gli autori si sono dati alla fuga. (E.B.)

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    La contraerea turca abbatte un caccia siriano nel suo spazio aereo

    ◊   La difesa antiaerea turca ha abbattuto un caccia siriano che avrebbe compiuto una violazione dello spazio aereo. Il velivolo era impegnato in un bombardamento diretto contro il Nord della Siria ed è stato colpito subito dopo aver sconfinato. Successivamente ha preso fuoco ed è caduto in territorio siriano. Il governo di Ankara ha confermato la notizia diffusa dall'Osservatorio siriano dei diritti umani. Dal canto loro, fonti militiari siriane hanno denunciato l'accaduto peralando di "un'aggressione flagrante" da parte della Turchia. (E. B.)

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    Francia al voto per il primo turno delle amministrative

    ◊   Urne aperte stamattina in Francia per il primo turno delle amministrative. Sono circa 45 milioni i francesi coinvolti, compresi i cittadini dell'Unione Europea residenti nel Paese. Lo scrutinio rappresenta il primo grande test elettorale per i socialisti e il presidente Hollande, in costante calo di popolarità dopo 22 mesi di governo. D'altro canto c'è la destra che è alle prese con diverse questioni giudiziarie. Secondo gli osservatori potrebbe approfittarne l'estrema destra guidata da Marine Le Pen. Attenzione puntata soprattutto su Parigi dove la sfida per il nuovo sindaco è tra due donne: la socialista Anne Hidalgo, data in leggero vantaggio, e l’esponente dell’UMP Nathalie Kosciusko-Morizet. Tra le incognite anche l'astenzione, prevista al 40%. I seggi chiuderanno alle 20 e il secondo turno si terrà il prossimo 30 marzo. (E. B.)

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    Senegal: la Chiesa auspica coordinamento nei colloqui di pace per la Casamance

    ◊   “Non bisogna precipitarsi, la pace si costruisce mettendo pietra su pietra, perché dopo non crolli tutto”: lo ha affermato il vescovo di Ziguinchor, in Senegal, mons. Paul Abel Mamba Diatta, riferendosi alla situazione della Casamance, dopo aver incontrato nei giorni scorsi il capo dello Stato, Macky Sall, in visita nel sud del Paese. Il presule, si legge sul portale www.ferloo.com, auspica che si faccia ordine nella molteplicità dei mediatori del conflitto e spiega che occorrono “compromessi, concessioni per avanzare in vista del bene comune che è la pace”. “Sono ottimista – ha aggiunto mons. Diatta – perché c’è la volontà ferma di andare verso la pace”. Per il vescovo di Ziguinchor è necessario che i mediatori si coordinino e che le iniziative siano orientate nello stesso senso per evitare il rischio di privilegiare taluni interessi. (T.C.)

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    La "Fazenda esperanza" per il recupero di giovani tossicodipendenti arriva in Cile

    ◊   La Diocesi di Talca ha aperto le porte alla "Fazenda Esperanza", una comunità terapeutica legata alla Chiesa cattolica del Brasile, nata 30 anni fa per il recupero di giovani tossicodipendenti. “Speriamo che la Fazenda Esperanza, diventi al più presto, un luogo di accoglienza dove le persone vittime di una vita difficile, con dipendenze di diversa indole, con depressioni profonde, possano ritrovare in se stessi Dio e la propria vita”, ha detto mons. Horacio Valenzuela, vescovo di Talca, durante la fondazione giuridica della comunità, lo scorso 12 marzo. All’atto hanno assistito i fondatori brasiliani della comunità, padre Hans Stapel, Nelson Giovanelli e Marcelo Rodrigues. Con la visita che Benedetto XVI fece alla sede della comunità nel corso del suo viaggio in Brasile per l’inaugurazione della V Conferenza dei vescovi di America Latina e i Caraibi, nel 2007, la "Fazenda Esperanza" ha fatto conoscere il grande lavoro che per 30 anni ha portato avanti per favorire il recupero e il reinserimento sociale di migliaia di giovani brasiliani in difficoltà. Oggi, ci sono 95 comunità in 15 Paesi, gestite da oltre tre mila giovani, in gran parte ex tossicodipendenti ospitati nelle Fazenda. La casa aperta a Talca è nata dopo la visita di padre Sergio Diaz, parroco di Villa Prat insieme a un gruppo di laici, per conoscere l’esperienza della "Fazenda Esperanza" ad Aparecida. In seguito, un gruppo di 22 tossicodipendenti cileni è stato accolto nella sede brasiliana per la riabilitazione e per la formazione integrale che li permetterà essere i primi gestori e animatori della comunità di Talca. Mons. Valenzuela ha affermato che questo percorso per “far arrivare la comunità in Cile e nella diocesi sarà, senza dubbio, un’esperienza molto positiva perché tantissime persone possano ritrovare speranza nella vita”. (A.T.)

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    Libia: tecnico italiano scomparso, si teme il sequestro

    ◊   Preoccupazione per il tecnico italiano del quale ieri si sono perse le tracce nella regione della Cirenaica, in Libia. L’ipotesi prevalente è quella di un sequestro a scopo di estorsione. L’uomo, che soffre di diabete e che ha bisogno di insulina, lavora per una società di costruzioni veneta e si trovava a Tobruk per un sopralluogo di collaudo. Intanto, nel Paese è sempre alta la tensione per il controllo dei terminal petroliferi. Nelle ultime 48 ore gli scontri tra esercito e separatisti dell’Est hanno provocato almeno 16 feriti. E ieri si è conclusa la vicenda della nave carica di greggio che i ribelli della Cirenaica avevano sottratto alle forze regolari. La Marina Militare statunitense ha riconsegnato la nave alle autorità di Tripoli dopo averla abbordata nei giorni scorsi a largo di Cipro. (E.B.)

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    Francia: al via il primo maggio, il Giubileo delle apparizioni mariane a Laus

    ◊   In occasione del 350.mo anniversario delle apparizioni mariane a Laus, in Francia, il Santuario di Nostra Signora di Laus ha indetto, a partire dal primo maggio 2014 un anno giubilare mariano. Costruito sul luogo delle manifestazioni della Vergine Maria alla povera e semplice giovane Benedetta Rencurel, iniziate nel maggio 1664 e durate circa quattro mesi, il Santuario è da sempre meta di numerosi pellegrinaggi che attirano i fedeli in questo luogo situato nelle Alpi del Nord. Il riconoscimento ufficiale delle apparizioni da parte della Chiesa cattolica è avvenuto solo recentemente, nel 2008. (G.P.)

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    Conclusa a Bose la sessione del Comitato “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese

    ◊   Presso il Monastero di Bose, si è conclusa la sessione di dialogo del Comitato permanente “Fede e Costituzione”, la commissione teologica del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec) con sede a Ginevra, in Svizzera. Alle tre giornate di studio – che si sono svolte dal 19 al 21 marzo – organizzate dallo stesso Comitato svizzero, hanno partecipato alcuni rappresentanti e teologi delle diverse confessioni cristiane. Gli incontri, che si situavano apertamente nella prospettiva ecclesiologica del testo pubblicato nel 2013, intitolato “La Chiesa: verso una visione comune”, hanno avuto un duplice obiettivo. Come spiegato a Radio Vaticana da fratel Matthias Wirz, monaco del Monastero di Bose, da un lato si è discusso del documento comune per comprendere come questo è stato recepito dalle diverse comunità cristiane nella sua ragion d’essere, ovvero nella definizione degli elementi essenziali che permettano un accordo su ciò che si definisce “Chiesa”; dall’altro lato, si è analizzato un aspetto più “tecnico” relativo alla composizione della stessa commissione teologica del Cec. Proprio su quest’ultimo punto – sottolinea fratel Wirz, originario di Losanna – si sono soffermati maggiormente i partecipanti, discutendo della composizione della commissione da un punto di vista geografico oltre che confessionale, del suo riordino e della scelta dei suoi nuovi membri. Infatti, si è passati da 120 a 40 componenti ponderando nell’insieme la presenza di esperti sia uomini che donne, di teologi e di persone impegnate nell’ecumenismo sul piano pastorale e scegliendo un moderatore. Inoltre, grande considerazione è stata data alle chiese dei Paesi in via di sviluppo. Le nomine non sono state ancora ufficializzate da parte del Cec. (G.P.)

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    Thailandia: nasce il primo monastero benedettino

    ◊   In Thailandia, il vescovo della diocesi di Chiang Mai, mons. Francis Xavier Vira Arpondratana, è pieno di entusiasmo perché la Chiesa cattolica locale ha il primo monastero benedettino del Paese. La notizia può essere considerata "storica" dato che, pur essendoci già sette monasteri di clausura femminile (carmelitane e clarisse), è la prima volta che prende vita un monastero maschile nella "Terra del Sorriso". Alla cerimonia di inaugurazione, celebrata il 18 gennaio scorso – riferisce AsiaNews - era presente anche l'arcivescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo, che ne aveva suggerita e appoggiata la realizzazione. Il monastero si trova nella zona periferica della città di Chiang Mai, nel Nord della Thailandia. Dispone di dieci celle per i monaci, otto stanze di foresteria per gli ospiti e una cappella al pian terreno. La vita dei cinque monaci, tutti originari del Vietnam (compreso l'abate Stephane che si è ritirato per l'età ed ha deciso di venire a vivere nella nuova fondazione thailandese) segue l'antica regola di San Benedetto, alternando momenti di preghiera con quelli di lavoro con la coltivazione di mais, riso e alberi da frutta. L'importanza della fondazione benedettina, oltre che esprimere una fioritura e vivacità della chiesa vietnamita, rappresenta un primo concreto gesto di "nuova evangelizzazione", nel senso che viene messa al primo posto non tanto un'opera educativa o di sostegno sociale, quanto quello che rappresenta il fondamento anche della religione buddista, cioé la vita monastica e contemplativa.


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 82

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.