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Sommario del 14/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco rientrato in Vaticano dopo gli esercizi spirituali predicati da mons. De Donatis
  • Gli auguri di Papa Francesco per i 450 anni della presenza delle Agostiniane nel Monastero dei Santi Quattro Coronati a Roma
  • Nomine episcopali in Germania e Tanzania
  • Prima predica di Quaresima di padre Cantalamessa: abbiamo bisogno di un ritorno all'interiorità
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Mons. Zenari: serve il coraggio di idee nuove per uscire dal dramma
  • La crisi in Ucraina fa crollare le Borse. Domenica il referendum in Crimea
  • Adly Mansour: l'Egitto avrà un nuovo capo di Stato entro l'estate
  • Carpi: avviati progetti imprenditoriali grazie a donazione di Benedetto XVI
  • Il ricordo di Chiara Lubich a sei anni dalla morte: in corso le fasi preliminari della causa di beatificazione
  • L'"Evangelii Gaudium" di Papa Francesco al centro dei Dialoghi in Cattedrale
  • Premio Templeton al sacerdote cattolico ceco Tomas Halik
  • Giornata mondiale del sonno: buone abitudini e un buon riposo liberano da disturbi d'ansia e nuove patologie
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Nigeria: respinto attacco di Boko Haram a Maiduguri. L’Onu denuncia abusi dell’esercito
  • Darfur: nel nord avanzano i ribelli, 50 mila sfollati in poche settimane
  • Raid israeliani su Gaza mentre prosegue il lancio di razzi dalla Striscia ma senza vittime
  • Pakistan: attentati contro forze dell’ordine. Almeno 19 morti
  • Sud Sudan: contingenti dei Paesi del Corno d’Africa affiancheranno le truppe Onu
  • Orissa: tre condanne per lo stupro di suor Meena durante i pogrom anticristiani del 2008
  • Nuova Zelanda: documento dei vescovi sull’educazione cattolica nelle scuole
  • I vescovi irlandesi: la famiglia, dono di Dio che la Chiesa protegge e custodisce
  • Appello del Secam per l’autonomia economica della Chiesa africana
  • Messico: Pom americane riunite per dare seguito all’impegno missionario nel continente
  • India: l’arcidiocesi di Bangalore celebra l’Anno della riconciliazione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco rientrato in Vaticano dopo gli esercizi spirituali predicati da mons. De Donatis

    ◊   Papa Francesco è rientrato oggi verso le 11.30 in Vaticano, a bordo di un pullman, assieme ai suoi collaboratori di Curia, dopo aver concluso in mattinata gli esercizi spirituali della Quaresima nella Casa Divin Maestro di Ariccia. Il Papa ha ringraziato di cuore mons. Angelo De Donatis, per la sua capacità di aver seminato – ha detto – il “buon seme della Parola di Dio”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Sono circa le 10, quando nella cappella della Casa dei Paolini ad Ariccia la voce di mons. Angelo De Donatis, che per sei giorni ha guidato in un intenso viaggio spirituale il particolare gruppo seduto di fronte, tace per fare spazio a quella di Papa Francesco. E le parole del Papa sono quelle di un uomo sinceramente colpito dall’esperienza vissuta:

    “Don Angelo, io vorrei ringraziarla a nome mio e di tutti noi, per il suo aiuto in questi giorni, il suo accompagnamento, il suo ascolto… Noi adesso torniamo a casa con un buon seme: il seme della Parola di Dio. E’ un buon seme, quello. Il Signore invierà la pioggia e quel seme crescerà. Crescerà e darà il frutto”.

    I due ultimi “semi” gettati ieri pomeriggio e stamattina da mons. De Donatis hanno il volto di Pietro e Maria di Magdala, ciascuno colto nell’istante di un momento spartiacque in cui la propria vita passa da una dimensione a un’altra. Dell’Apostolo, mons. De Donatis scinde con acume gli istanti del suo rinnegamento di Gesù. Mentre il Maestro viene processato al primo piano del Sinedrio, nel cortile sottostante va in scena, dice, il “processo a Pietro”. È già “triste”, ha notato il predicatore, che in quel frangente Pietro non stia fra gli amici di Gesù, bensì fra i servi. Ma ancor più doloroso è osservarlo mentre davanti ai servi nega dapprima di conoscere Gesù, poi di far parte della cerchia dei suoi discepoli, poi perfino di essere un galileo. Tre “livelli” di rinnegamento che, ha spiegato mons. De Donatis, si traducono in un rinnegare Dio, la Chiesa e se stesso. Il gallo che canta è l’abisso della vergogna, ma proprio in quel momento Pietro incrocia lo sguardo di Gesù, in cui – ha osservato mons. De Donatis – Pietro coglie un abisso di perdono, tanto illimitato proprio perché “non meritato” e quindi “gratuito”. Questa, ha affermato il predicatore, è l’esperienza più vera della fede: quando il cristiano passa dalle “promesse solenni” e “buoni propositi”, anche un po’ moralistici, del voler “fare del bene per” Gesù – da un’idea di Chiesa come “supermarket di valori morali” – al fare un’esperienza personale di misericordia. Quella che fa sentire “redenti”, dopo la quale crolla la pretesa di amare Gesù per primi, ma si comprende che è sempre Dio che dona per primo l’amore e quello che conta per un cristiano è la risposta a questo amore, “che non importa ciò che facciamo, ma che diventiamo simili a Cristo”.

    Nella meditazione conclusiva di stamattina, mons. De Donatis si è invece soffermato sulla scena della Maddalena, nel momento in cui, davanti al sepolcro vuoto, piange perché non trova più Gesù. Le singole azioni della donna – ha evidenziato il predicatore – mostrano come Maria di Magdala non riconosca Gesù finché non è Lui stesso a chiamarla. Gesù, ha notato mons. De Donatis, la porta “gradualmente” alla fede, perché lo “Spirito è il maestro delle lente maturazioni”. E la voce è il segno della chiamata, di una “vocazione”, che porta “subito” – come afferma il Vangelo – Maria Maddalena al bisogno dell’annuncio, al condividere la buona notizia con tutti gli altri. Che bella, ha concluso mons. De Donatis, una evangelizzazione così, “per attrazione e contagio”. E su quest’ultimo seme gettato, arriva il suggello delle genuine parole di apprezzamento di Papa Francesco per la sapienza mostrata in questi giorni dal seminatore:

    "Perché lei è stato il seminatore, e sa farlo, sa farlo! Perché lei, getta giù di qua, getta di là senza accorgersene – o facendo finta di non accorgersene [ride] – ma segna, va al centro, va al segno. Grazie per questo. E le chiedo di continuare a pregare per questo 'sindacato di credenti' [ride] - tutti siamo peccatori, ma tutti abbiamo la voglia di seguire Gesù più da vicino, senza perdere la speranza nella promessa, e anche senza perdere il senso dell’umorismo - e a volte salutarli da lontano. Grazie, padre".

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    Gli auguri di Papa Francesco per i 450 anni della presenza delle Agostiniane nel Monastero dei Santi Quattro Coronati a Roma

    ◊   Messaggio di Papa Francesco per i 450 anni della presenza delle monache agostiniane nel Monastero dei Santi Quattro Coronati, a Roma. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Papa auspica che questo anniversario possa rinsaldare le religiose “per sostenere la quotidiana opera della Chiesa che cammina tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” e chiede “di perseverare nella preghiera” a sostegno del suo ministero petrino. Era il 12 marzo del 1564 quando il Monastero dei Santi Quattro Coronati accolse una comunità di claustrali agostiniane. Oggi la comunità conta 13 monache, 2 novizie e 2 postulanti. Nel Libro del Memoriale del Monastero, tra i tanti eventi, si ricorda anche l’ospitalità data ad alcuni ebrei, come chiesto da Pio XII. Al microfono di Tiziana Campisi, suor Giuliana D’Agostini ci fa conoscere questa comunità monastica:

    R. – Queste donne avevano sperimentato, incontrato Gesù e si consacrarono attente alle esigenze del tempo. Questo amore grato a Dio e attento ai fratelli è stato sempre la molla che ha caratterizzato le nostre sorelle che ci hanno preceduto.

    D. – Cosa significa per voi abitare in un luogo che ha una vita monastica di 450 anni?

    R. – Essere inserite in un solco di santità, di fedeltà alla Chiesa, di amore grato a Gesù, all’uomo. Il monastero poggia le sue fondamenta su costruzioni romane. Nel chiostro c’è il secondo battistero romano, rinvenuto da poco. Le pietre che calpestiamo sono le medesime che hanno calpestato Pietro e Paolo: mi piace pensarlo. Mi piace pensare anche che sono pietre dove i primi cristiani hanno poggiato le loro impronte, i cristiani che hanno ascoltato per primi le parole di Paolo, la Lettera ai Romani.

    D. - Quali sono le pagine più significative della vostra storia?

    R. – E’ difficile sintetizzare 450 anni di storia. Le monache sono state sempre fedeli all’intuizione originaria, fedeli alla Chiesa di Roma, alla città, alle esigenze di ogni uomo. Il secolo scorso, per esempio, ha avuto due guerre mondiali. Nella prima hanno condiviso ogni cosa, dal pane all’erba dell’orto. Nella seconda hanno aperto, per ordine di Pio XII, persino le porte della clausura per accogliere i fratelli ebrei, i partigiani.

    D. – Cosa significa oggi essere una monaca agostiniana?

    R. – Essere donna di comunione, donna che ogni giorno cerca Dio, donna che si lascia guidare dalla Parola, per avere luce per lei e per la vita di ogni uomo che l’avvicina, donna aperta al dialogo, con ogni fratello. Posso sintetizzare con tre parole dell’omelia che Papa Francesco ha fatto ai cardinali il giorno dopo la sua elezione: una donna che cammina con Dio, che edifica la Chiesa con una vita di comunione, che confessa nella semplicità e fedeltà di ogni giorno l’amore che la abita. Penso che queste siano proprio le cose importanti di una donna agostiniana.

    D. – 450 anni di storia, tanti avvenimenti nel corso di questi secoli, ma tale e quale è la vostra vita monastica. Eppure la vostra clausura è nel pieno centro di Roma…

    R. – Sì, siamo al centro di Roma, la città eterna, questo si respira. Ogni evento della Chiesa è nostro in modo particolare. L’eco si vive. Penso al giubileo. Noi abbiamo vissuto l’esperienza del chiasso dei giovani, ma era un’eco bella. Anche i giovani che venivano a condividere la nostra vita. Ecco, la nostra vita contemplativa ha gli stessi ritmi dell’inizio: cambiano le persone, lo stile, ma è Dio che ha chiamato le prime, che ha chiamato noi, che chiamerà, facendo con ogni persona, con ogni sorella, una storia di vita per la Chiesa e per gli uomini. Le modalità, certo, cambiano, ma è sempre Lui che muove ciascuna di noi e la Chiesa.

    D. - Come vedete il prossimo futuro della vostra vita monastica?

    R. – Il futuro lo conosce Dio. Prego che le sorelle che verranno si mettano nelle mani di Dio, si lascino portare per gridare con la vita l’amore che le abita. I mezzi, i modi, li suggeriranno la Chiesa e il progresso tecnico.

    (La comunità monastica cura un sito web: www.monacheagostinianesantiquattrocoronati.it.).

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    Nomine episcopali in Germania e Tanzania

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia di Mons. Franz Vorrath all’ufficio di Vescovo Ausiliare di Essen (Germania), per raggiunti limiti di età, e ha nominato Vescovo Ausiliare della diocesi il Rev.do Wilhelm Zimmermann, del clero della medesima diocesi, finora Prevosto di St. Urbanus a Gelsenkirchen e Canonico non-residenziale della Cattedrale di Essen, assegnandogli la sede titolare vescovile di Benda. Il Rev.do Wilhelm Zimmermann è nato il 16 giugno 1948 a Gelsenkirchen. Dopo un tirocinio di commerciante, ha svolto per alcuni anni questo mestiere, prima di conseguire la maturità nel 1973. In seguito, ha compiuto gli studi filosofico-teologici. È stato ordinato sacerdote il 30 maggio 1980 ed incardinato nella diocesi di Essen. Dopo il servizio pastorale in qualità di Vice-Parroco a Hattingen, nel 1984 è stato nominato Responsabile diocesano della pastorale giovanile, nonché Preside dell’Unione dei Giovani Cattolici Tedeschi (BDKJ) per la diocesi di Essen. In pari tempo ha svolto un ministero pastorale a Essen-Steele-Königssteele. Nel 1985 è stato nominato Vicario della Cattedrale di Essen e nel 1989 Segretario particolare del Vescovo, S.E. Mons. Franz Hengsbach. Dal 1991 era, in pari tempo, Parroco della Cattedrale di Essen e, dal 1992, anche Decano del Decanato Essen-Mitte. Nel 1996 è stato nominato Canonico onorario della Cattedrale di Essen e Parroco della Parrocchia St. Gertrud a Essen. Dal 2002 è Prevosto di St.Urbanus a Gelsenkirchen-Buer e dal 2004 è anche Decano della città di Gelsenkirchen. Nel 2008, infine, è stato nominato Canonico non-residenziale della Cattedrale di Essen.

    Il Papa ha nominato Arcivescovo dell’arcidiocesi di Songea (Tanzania) Mons. Damian Denis Dallu, finora Vescovo di Geita.

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    Prima predica di Quaresima di padre Cantalamessa: abbiamo bisogno di un ritorno all'interiorità

    ◊   Trovare tempi di silenzio, praticare il digiuno non solo dal cibo ma anche dagli eccessi del benessere, vincere ciò che distoglie dalla volontà di Dio. La Quaresima del cristiano deve essere fatta di questo, ha detto stamani padre Raniero Cantalamessa nella prima delle meditazioni proposte alla Curia. Il predicatore della Casa Pontificia, oggi, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, ha offerto una riflessione sul senso dei quaranta giorni che precedono la Pasqua, mentre nelle prossime settimane, alla presenza del Papa, svilupperà le grandi verità di fede attingendo agli insegnamenti dei Padri della Chiesa latina. Il servizio di Tiziana Campisi:

    Dal Vangelo alla vita di ognuno di noi: se Gesù si è recato nel deserto per 40 giorni, vi ha digiunato e lì è stato anche tentato, cosa tocca a noi fare per imitarlo? Padre Raniero Cantalamessa ha trasposto ogni gesto di Cristo nel nostro oggi; così per noi andare nel deserto è scegliere dei tempi di silenzio, trovare spazi per se stessi, ritrovare la parte più vera di sé stando di fronte a Dio. E’ insomma l’appello del ritorno al cuore lanciato da Sant’Agostino:

    “Tornare al cuore significa, dunque, tornare a ciò che c’è di più personale e più intimo in noi. Purtroppo l’interiorità è un valore in crisi … ci sono delle cause remote, per così dire, a questa nostra difficoltà di rientrare in noi stessi e la più universale è il fatto che noi siamo composti di anima e corpo, di spirito e materia e quindi siamo come su un piano inclinato, ma inclinato purtroppo verso il basso, non verso l’alto, cioè inclinato verso l’esteriore, verso il molteplice, il visibile … di un ritorno all’interiorità abbiamo bisogno soprattutto noi, clero e vita consacrata”.

    E allora occorre abbandonare il frastuono, le distrazioni, le diverse forme della cultura moderna, gli strumenti della tecnologia, e quindi riviste, libri, tv, internet e dispositivi digitali, che invadono l’intimità del cuore, dissipano le nostre energie. Diventa questo il digiuno da praticare oggi. Gesù si privò di cibo, quest’epoca richiede un digiunare diverso:

    “Il digiuno oggi più significativo si chiama … sobrietà … privarsi volontariamente di piccole o grandi comodità, di quanto è inutile e a volte è dannoso alla salute. Questo digiuno è solidarietà con i poveri … un tale digiuno è contestazione di una mentalità consumistica, in un mondo che ha fatto della comodità, dell’usare, dell’uso, del comprare, ha fatto il suo scopo, il meccanismo che tiene in piedi tutto il sistema. Privarsi di qualcosa non strettamente necessario, dell’oggetto di maggior lusso, è più efficace, forse, che non infliggersi delle penitenze scelte da se stesso”.

    Ma è soprattutto il digiuno delle immagini che padre Cantalamessa raccomanda, quelle che veicolano violenza, sensualità, che fanno leva sugli istinti più bassi e che danno una falsa idea della vita, perché illustrano un mondo bello, sano e perfetto, ricco di cose al punto da indurre alla ribellione chi non possiede quanto viene insistentemente mostrato:

    “Un altro digiuno alternativo è il digiuno dalle parole cattive. Non sono solo le bestemmie, naturalmente, neppure solo le parolacce; sono le parole taglienti, negative, che mettono in rilievo sempre l’aspetto più debole del fratello, che generano il sospetto o alimentano il sospetto e quindi seminano discordia”.

    C’è da evitare allora quanto può generare malcontento, frustrazione e risentimento, o neutralizzare l’effetto delle parole che feriscono chiedendo scusa. Infine il predicatore della Casa Pontificia ha ricordato che anche noi subiamo le tentazioni di Satana, proprio come Gesù nel deserto. Intelligenza perversa e pervertitrice, il Diavolo usa cose buone come strumenti per staccare l’uomo da Dio. Allora è una cosa buona il denaro se usato correttamente e la sessualità è un dono di Dio, ma se spinti all’eccesso si trasformano in idoli e divengono distruttivi. E allora l’andare nel deserto, ha spiegato padre Cantalamessa, è cercare un dialogo profondo con Dio staccandosi da tutto. “Dio ha voluto in Cristo prendere un volto umano, un cuore umano, per aiutarci ad amarlo come sappiamo amare noi – ha concluso il predicatore della Casa Pontificia – lo Spirito Santo che spinse Gesù nel deserto, oggi spinge anche noi nel deserto per questo, per ritrovarci con Dio”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il seme buono: il Papa alla conclusione degli esercizi spirituali ad Ariccia.

    C'era una volta la Siria: in prima pagina, intervista di Luca Possati al presidente della Croce rossa italiana sulla crisi nel Paese arabo.

    Meglio tardi che mai: l'Fmi scopre i rischi dell'austerity.

    Colazione da mamma e poi partenza per Varsavia: il prefetto Cesare Pasini sui diari di Achille Ratti, visitatore apostolico in Polonia, pubblicati dall'Archivio segreto vaticano.

    Il volto uniforme del popolo: Juan Carlos Scannone sulla Chiesa secondo Papa Francesco.

    Quelle radici profonde nascoste nelle fiabe: intervista di Roberto Genovesi a Claudio Villa, disegnatore delle copertine di "Tex Willer".

    L'arte di comunicare: a Lucetta Scaraffia il premio Euanghelion.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Mons. Zenari: serve il coraggio di idee nuove per uscire dal dramma

    ◊   “Una catastrofe umanitaria inconcepibile”, così l’Onu definisce la situazione in Siria alla vigilia del terzo anniversario dall’inizio della crisi che ha prodotto, secondo gli ultimi dati, più di nove milioni di sfollati e tre milioni di civili ancora intrappolati in aree circondate dalla violenza. E sul futuro è il presidente Assad a esprimere oggi la sua sfiducia, bocciando la Conferenza di "Ginevra 2" come un "terreno non valido per una soluzione pacifica”. Dunque, una Siria ferita e divisa, davanti alla quale però "non possiamo perdere la speranza": questo in sintesi il pensiero del nunzio apostolico a Damasco, mons Mario Zenari. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:

    R. – Proprio in questi giorni, fuori Damasco vedevo la primavera che sta arrivando con irruenza, i mandorli in fiore, e pensavo: quand’è che si vedrà la cosiddetta Primavera araba, una Siria rinnovata, che è poi nell’intenzione e nel desiderio di tutti? Purtroppo, qui da tre anni la gente invece si trova con un gelo, con queste statistiche terribili. Però, di fronte a questo quadro, credo che non dobbiamo perdere la fiducia, la speranza, quello che continuamente insomma ci dice il Santo Padre e che recentemente anche i vescovi cattolici di Siria, riuniti in Assemblea plenaria, hanno richiamato, incoraggiando i fedeli a mantenere la fiducia, a fare leva sulla forza della preghiera e a dare la testimonianza della solidarietà in questo momento così difficile.

    D. – Tutte le grandi organizzazioni che sono attive in Siria, oltre a dare dati, in queste ore lanciano appelli, chiedono azioni urgenti, chiedono di mettere in campo tutte le azioni possibili. Se lei dovesse fare un appello alla diplomazia internazionale che sembra allo stallo dopo "Ginevra 2", cosa si sentirebbe di dire?

    R. – Direi questo: lavoriamo tutti quanti affinché si trovi il modo di sbloccare questa situazione. C’è bisogno di avere coraggio per cercare possibilità sempre nuove per uscire da questo tunnel.

    D. – Che fine ha fatto quel pluralismo così ricco, così bello, il pluralismo religioso e etnico della Siria?

    R. – Io voglio sperare che non sia andato perduto. Questa convivialità, in particolare tra musulmani e cristiani era esemplare: è stata molto disturbata in questi ultimi due anni da questo estremismo. Ma, voglio sperare, che possa essere restaurata.

    D. – In particolare, i cristiani siriani hanno risentito di questo clima cupo che si è creato in questi tre anni, facendo molto, ma anche pagando un duro prezzo. Cosa dire loro?

    R. – I cristiani hanno sofferto come tutti i cittadini siriani. Sono stati sotto i bombardamenti, hanno dovuto spostarsi, sono sfollati interni. L’ultimo di questi tre anni di conflitto è stato un po’ più duro per loro in certe località. Quindi, farei leva ancora su questo messaggio di speranza dei vescovi siriani che incoraggiano a cercare, nel limite del possibile, di rimanere qui, nella loro terra. I cristiani rappresentano, per così dire, un’apertura, una finestra sul mondo, con il loro sentimento così universale. Ho sentito anch’io dei capi religiosi musulmani che si sono detti dispiaciuti di certi attacchi che certe comunità cristiane hanno subito, che hanno rigettato certi comportamenti da parte di estremisti. Inoltre, vogliono e desiderano che i cristiani rimangano.

    D. – Come vede oggi la Siria a tre anni dall’inizio della rivolta? Un Paese diviso e in rovina, che lotta per la sopravvivenza?

    R. – Ci sono delle immagini che colpiscono, immagini e statistiche che veramente fanno male. Credo, naturalmente, sia necessario vedere anche la reazione che c’è da parte di tanta gente che non accetta questa situazione e che dice “Basta!” a questo clima di violenza. Spero che questa maggioranza silenziosa, che per il momento non ha la possibilità di esprimersi a tutti i livelli sociopolitici, possa emergere sempre di più.

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    La crisi in Ucraina fa crollare le Borse. Domenica il referendum in Crimea

    ◊   La diplomazia al lavoro nel tentativo di disinnescare la crisi in Ucraina. A Londra oggi l’incontro tra il segretario di Stato americano Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov. Le autorità britanniche parlano di colloqui difficili e intensi, che avvengono a due giorni dal referendum sull’indipendenza della Crimea dove permane la tensione. Intanto, mentre l’Occidente ipotizza sanzioni contro Mosca, la situazione ucraina sta avendo conseguenze negative sui mercati finanziari, con il crollo delle principali Borse, in particolare quella di Mosca. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Margherita Paolini, coordinatrice scientifica di Limes:

    R. – Questo era inevitabile che si verificasse, perché viviamo ormai in un mondo globalizzato e gli interessi del mondo occidentale in Russia, così come quelli russi ne mondo occidentale, ormai sono abbastanza ben ramificati da diversi anni. Magari l’interscambio è molto più forte con quello europeo, ma c’è anche con il sistema americano. Il problema, quindi, è che si possano infliggere delle sanzioni – per ora minacciate, poi via via sempre più approfondite. C’è una specie di guerra a bassa intensità che certamente può avere conseguenze economiche più gravi per la Russia che già da qualche tempo – non solo in coincidenza con la crisi ucraina – aveva risentito di una situazione finanziaria non dico traballante, ma molto incerta.

    D. – Ci potrebbero essere conseguenze negative anche sul fronte del gas, un capitolo delicato per tutta l'Europa?

    R. – Però, c’è una differenza sostanziale tra i Paesi europei del Nord e quelli del Sud, perché i Paesi del Nord hanno dei gasdotti che passano fuori dall’Ucraina, proprio per una volontà precisa di Mosca di bypassarla in direzione dei clienti più importanti, come la Germania. E non solo per il gas, ma anche per il petrolio: la Germania è il primo importatore di petrolio russo. Il problema è, invece, per quelli del sud-mediterraneo. E siamo noi, alla fine, tra i Paesi del Sud che prendiamo la quota più rilevante del gas che passa attraverso l’Ucraina: ne importiamo 25 miliardi di metri cubi. E non pensiamo che ora, perché sta avvicinandosi la primavera, il discorso si renda più lieve, perché in estate se ne consuma quasi quanto in inverno, in quanto quello che non si consuma in riscaldamento si consuma per i refrigeratori. Quindi, bisogna essere molto attenti. Abbiamo anche pochissimo gas che viene dal Mediterraneo: tutte le nostre forniture tradizionali si sono illanguidite. C’è la situazione libica, e anche l’Algeria che in questo momento produce meno di quello che avrebbe dovuto perché non ha avuto investimenti sufficienti per mettere in produzione nuovi giacimenti. Insomma, diciamo che la situazione è un po’ critica. Quindi, speriamo che questa cosa si risolva. Però, l’Italia in questo ambito deve cercare di svolgere una parte importante, insomma, che sia di pressione ma anche di mediazione, per evitare uno scenario di questo tipo.

    D. – Quante sono le possibilità che qualcuno interrompa il flusso di gas verso l’Occidente?

    R. – Parecchie. Qui si sta facendo un gioco al rialzo; magari, molto è tattico ma non sappiamo quanto poi ad un certo punto possa diventare vero. La Russia potrebbe chiudere i rubinetti ai Paesi occidentali, come conseguenza delle sanzioni, ovvero potrebbe essere l’Ucraina che chiude i rubinetti per fare un ricatto forte alla Russia. Oppure la Russia che ha timore di far passare il gas per l’Europa, visto che bloccherebbe quello dell’Ucraina attraverso il territorio dell’Ucraina stessa. Però, siccome l’uscita di questi tubi è proprio in zone occidentali molto russofone, questo può impedirne il transito.

    D. – Cosa dire del referendum di domenica?

    R. – Dovrebbe essere un referendum ad alta frequenza, insomma, perché la maggioranza della popolazione è su questa lunghezza d’onda. Però, teniamo conto che ci sono anche dei gruppi come appunto i tatari, che sono assolutamente contrari; ci sono delle perplessità. Certamente sarebbe vinto, ma è un processo che viene completamente negato, in questi termini, dal governo centrale ucraino. Quindi, quale sostenibilità può avere questa cosa? Anche per la stessa Russia lascia il discorso della base di Sebastopoli comunque in un limbo pericoloso. Forse la proposta che può venire da Kiev di farne invece una cosa autorizzata, sebbene in termini più blandi, potrebbe essere più sicura perché anche sul fronte terrorismo ci sono già minacce da parte di frange legate ai movimenti islamisti del Caucaso di entrare in un conflitto a bassa intensità. Quindi è molto pericoloso e non so quanto convenga entrare in questo tunnel.

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    Adly Mansour: l'Egitto avrà un nuovo capo di Stato entro l'estate

    ◊   L'Egitto avrà un nuovo presidente “eletto” entro due mesi e mezzo. Così si è espresso il presidente ad interim, Adly Mansour, mentre il Paese è stretto dalla morsa delle contestazioni per la destituzione dell’esponente dei Fratelli musulmani, l’ex capo di Stato, Muhammad Morsi. Anche oggi si registrano proteste al Cairo e Alessandria. Nonostante il rinvio delle presidenziali, previste per aprile, Mansour si dice “ottimista sul futuro” dell’Egitto. Intanto, l'esercito ha accusato la Fratellanza di essere responsabile dell'attentato, di ieri, contro un bus di militari al Cairo costato la vita a un ufficiale. Nel nord del Sinai, sette miliziani sono stati uccisi in seguito a un raid condotto dall'esercito. Sul fronte politico, l'ex capo di Stato maggiore egiziano, Sami Anan, ha annunciato che non si candiderà alle prossime consultazioni. Restano due i candidati in corsa: il "nasserista" Hamdeen Sabahi e il favorito ministro della Difesa e capo di Stato maggiore, Abdel-Fattah al-Sisi, il quale però ancora non ha formalizzato la propria candidatura. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Claudio Lo Jacono, presidente dell’Istituto per l’Oriente:

    R. – Siamo alla ricerca di un maggiore equilibrio nel Paese, dove accanto ai militari ci sono i Fratelli musulmani, ci sono i salafiti, ci sono i cosiddetti laici… Siamo in un periodo di instabilità. Il fatto stesso che si rimandi a data delle elezioni di alcuni mesi dà l’idea di come l’Egitto abbia grosse difficoltà: di ordine pubblico e di contrapposizione, anche violenta.

    D. – Il capo di Stato maggiore, al-Sisi, per ora non ha formalizzato la sua candidatura, eppure tutti lo danno come favorito alle presidenziali…

    R. – Non c’è dubbio che al-Sisi voglia presentarsi. D’altra parte, lo ha detto: “Mi chiama il popolo”, il che sta a significare la sua volontà di costituire l’ennesimo presidente militare dell’Egitto dall’epoca di Neguib e poi di Nasser. Però, è vero che ancora non ha compiuto i passi necessari per poter rendere valida la sua candidatura: probabilmente, anche lui si rende conto che la situazione è fluida. Lo stesso consenso che era molto forte nei confronti del Consiglio supremo delle Forze armate è vagamente annacquato, ora. Mi sembra che si voglia anche prendere tempo per cercare di portare la situazione in una condizione di maggiore stabilità.

    D. – Come nel Sinai, che di fatto non riesce ad essere stabilizzato…

    R. – Il Sinai, poi, d’altra parte è difficilissimo poterlo controllare: lo stesso territorio che caratterizza questa penisola rende impossibile presidiarla. Ci sono, tra l’altro, anche le componenti tribali che costituiscono sempre un po’ una spina nel fianco del potere centrale. Sicuramente, le tribù dei beduini del Sinai hanno un orecchio simpatizzante nei confronti dei fautori del disordine.

    D. – Le presidenziali, dunque, non porteranno automaticamente la stabilità nel Paese?

    R. – Naturalmente, la situazione – con le nuove elezioni e con al-Sisi probabilmente nuovo presidente della Repubblica – non cambierà assolutamente. Io mi aspetto più qualche cosa di nuovo dalle elezioni legislative, qualora si potessero tenere in un’atmosfera di relativa libertà di espressione del voto. Ma questo vuol dire che debbono poter partecipare i Fratelli musulmani…

    D. - …che ora sono fuorilegge?

    R. – Che ora sono fuorilegge. Per cui, se non faranno parte del quadro politico, non ci sarà nessuna soluzione.

    D. – Cioè, rimarrà una situazione instabile?

    R. – I militari dovranno rassegnarsi a trattare con la Fratellanza musulmana cedendo in qualche cosa, facendo però accettare anche l’idea che uno Stato che voglia essere democratico, per quanto islamico, debba mantenere un atteggiamento di correttezza nei confronti della separazione dei poteri e che ogni potere sia controllato da un altro.

    D. – Si riferisce all’ex presidente Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, prima legittimamente eletto e poi destituito?

    R. – L’arma forte che ha la Fratellanza musulmana è quella di dire che c’è stato un colpo di Stato che ha deposto un presidente legittimamente eletto. Dimenticano magari di dire che questo presidente ha poi compiuto tutta una serie di atti di eversione della Costituzione, come per esempio avocare a sé qualsiasi potere, anche nei confronti della magistratura che avrebbe dovuto controllare in qualche modo il suo operato, come in tutti i Paesi del mondo: questo viene dimenticato. Tutta una seria di atti di assoluta eversione, della presidenza Morsi, sono finiti ampiamente nel dimenticatoio, e si ricorda soltanto l’atto di eversione delle forze armate che hanno deposto un presidente eletto. E questa situazione, purtroppo, è la spina nel fianco che non si risolverà tanto facilmente: la pacificazione degli animi non può arrivare con la mano dei militari soltanto.

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    Carpi: avviati progetti imprenditoriali grazie a donazione di Benedetto XVI

    ◊   Sono diversi i progetti finanziati attraverso “Fides et Labor”, il piano di finanza sociale della diocesi di Carpi per sostenere le idee imprenditoriali di giovani che non possono accedere al finanziamento delle banche. Il fondo è nato da una donazione, effettuata nel 2012, da Benedetto XVI. Su questa iniziativa si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina:

    R. – Lunedì scorso abbiamo finanziato i primi otto progetti per un totale di 80 mila euro. C’è un grande spettro di attività: si passa da progetti legati ad Internet, allo sviluppo di radio, ad una pasticceria, al recupero di un ristorante, etc… Questi ragazzi veramente ci hanno dimostrato, con grande sorpresa, proprio la loro grande voglia di lottare e di credere che per loro c’è un futuro. Quindi mi verrebbe da dire, se mi è concesso, che se altre diocesi potessero seguire questo esempio, riusciremmo a realizzare quasi 9 mila progetti di lavoro per altrettanti giovani. Quello che mi ha colpito è stato proprio il senso di gratitudine di questi ragazzi, perché hanno trovato qualcuno che dà loro fiducia. Molti di questi non sono praticanti, ma hanno riconosciuto questa grande attenzione della Chiesa nei loro confronti, un’attenzione che non si aspettavano.

    D. – Quali sono le modalità con cui i ragazzi hanno accesso a questo credito?

    R. – Una volta che si è accertato che vivono in diocesi, si valuta il progetto che loro presentano. C’è una Commissione, costituita da un professore universitario, da un esponente della diocesi, da due imprenditori, da un notaio, da un avvocato e da un commercialista. Valutano la fattibilità del loro progetto. Poi, dopo, viene valutato il tipo di finanziamento che è necessario per dare corso al progetto. Anche il finanziamento, che viene concesso loro, è diverso a seconda della tipologia del progetto. Quello che vorrei sottolineare è che questo finanziamento viene dato senza interessi e con un aspetto puramente fiduciario. Noi attendiamo, cioè, che questi ragazzi, una volta raggiunti i risultati, restituiscano il finanziamento che è stato loro dato per dare la possibilità ad altri giovani di potere accedere a questo tipo di aiuto e di sostegno.

    D. – Ricordiamo che il Fondo, di circa 300 mila euro, è nato dalla donazione effettuata nel 2012 da Benedetto XVI in visita nelle zone terremotate. Come ha accolto questa iniziativa il Papa emerito?

    R. – Sono andato ad incontrarlo il giorno prima della concessione dei finanziamenti. Il Papa emerito è rimasto molto sorpreso di questa iniziativa. E ha commentato: “Ma come? I miei poveri 100 mila euro - volendo dire che erano pochi per le necessità di una diocesi terremotata - hanno ottenuto tanto valore e sono stati così valorizzati?”. Questa è una cosa che l’ha sorpreso molto, ma piacevolmente. Poi ha commentato: “Questo è il modo in cui la fede deve tradursi in opere, perché questo è veramente il modo per dimostrare la vicinanza della Chiesa alle persone ed anche per la Chiesa – ha proprio fatto questo commento – per credere nella Provvidenza”. E’ rimasto davvero piacevolmente sorpreso. Gli avevo portato poi tutte le schede dei ragazzi che avevano ricevuto il finanziamento, il tipo di progetto e la motivazione per cui era stato dato il finanziamento. Li ha letti veramente con un’attenzione che mi ha colpito, commentando anche, addirittura, quando ha visto che c’era un pasticcere ... e proprio con un sorriso ha detto: “Beh, mi piacerebbe ricevere i pasticcini di questo pasticcere”. Allora gli abbiamo promesso che i primi pasticcini saranno mandati a lui, come segno di gratitudine.

    D. – Anche Papa Francesco è a conoscenza dell’esistenza di questo Fondo?

    R. – A Papa Francesco lo presenterò il 24 marzo, quando lo incontrerò. Gli presenterò proprio questo tipo di progetto, proponendolo anche – se vuole proporlo – alle diocesi italiane. Potrebbe essere, infatti, veramente un aiuto molto concreto. E’ vero che tante iniziative di aiuto sono presenti nelle diocesi, però questo tipo di progetto - a noi almeno risulta - è unico in Italia. Una diocesi che si fa promotrice di finanziamenti – e ribadisco – senza interessi o anche, eventualmente, a fondo perduto. Non è detto, infatti, che necessariamente questi soldi ci siano restituiti. Ma è proprio qui, però, che subentra il discorso secondo il quale noi dobbiamo credere veramente nella Provvidenza. Noi speriamo che qualcun altro sia disponibile ad aumentare e ad accrescere il nostro Fondo per poter venire veramente in soccorso a tutte le richieste che stanno arrivando.

    D. - Sostenere i giovani, dunque, ed educarli alla speranza, nonostante la crisi significa anche dare coraggio attraverso iniziative concrete come questa...

    R. – Esatto. Vorrei solo leggere un commento che mi è arrivato da uno di questi ragazzi che ha ricevuto il finanziamento. Dice che questo finanziamento ci dà una mano non solo da un punto di vista economico, ma ci aiuta – questa realtà di “Fides et Labor” – a conoscere il mondo, anche quello della burocrazia, che non riusciremmo mai a superare senza l’aiuto di esperti. Credo che anche questo sia un aspetto che valga la pena sottolineare: non solo un aiuto economico, ma proprio l’accompagnamento per districarsi nel mondo della burocrazia che i giovani purtroppo non conoscono, perché non hanno mai avuto modo di doverlo affrontare. E tante volte, di fronte alla burocrazia, si sentono scoraggiati trovandosi in un magma che sembra non avere nessun tipo di solidità o possibilità di uscita. Il fatto che vengano accompagnati anche in questo ha dato loro un senso profondo di speranza. Non si sono sentiti semplicemente dire: “Va bene, ti diamo i soldi, arrangiati”. Ma sentono che insieme a loro ci sono un accompagnamento e un’amicizia che continua e che va oltre il finanziamento. E permette, poi, di costruire delle relazioni umane, fondate sulla fiducia, sull’amicizia. Delle relazioni umane che interagiscono tra di loro.

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    Il ricordo di Chiara Lubich a sei anni dalla morte: in corso le fasi preliminari della causa di beatificazione

    ◊   In molte città del mondo si ricorda oggi Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, nel sesto anniversario della morte avvenuta a Rocca di Papa il 14 marzo 2008. Celebrazioni di ringraziamento ed eventi di vario tipo saranno occasione per riflettere sui diversi profili della sua figura e per confrontarsi con la sua eredità tutta centrata sull’obiettivo della fraternità universale. Di Chiara Lubich sono in corso le fasi preliminari della causa di beatificazione dopo la richiesta formale al vescovo di Frascati, mons. Raffaello Martinelli, firmata lo scorso 7 dicembre dall’attuale presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce. Del significato di questo traguardo, Gabriella Ceraso ha parlato con la postulatrice, Lucia Abignente:

    R. - Il 7 dicembre era un giorno significativo per noi: ricorreva il 70.mo della consacrazione di Chiara a Dio. Maria Voce ripeteva che questo atto invitata tutti noi a una santità ancora più grande, costruendola giorno per giorno. Penso che questo sia corrispondente a quello che è stato sempre il desiderio di Chiara. Si può dire che Chiara abbia teso alla santità per tutta la vita. Il desiderio di Chiara non era tanto il guardare alla santità canonizzata, ma il portare a Dio le persone e semmai parlare di una santità insieme, di una santità di popolo, di aiutarsi l’un l’altro a far sì che Dio fosse il tutto della nostra vita.

    D. - Nella quotidianità questo che significava?

    R. - Per esempio l’importanza di vivere in pienezza quello che Dio ci chiede, momento per momento, ma anche di far sì che alla base di tutte le nostre azioni ci sia l’amore e l’amore scambievole: una caratteristica tipica del cammino di Chiara, che lei ha voluto vivere anche con persone di altre Chiese, con persone di altre religioni.

    D. - Guardando alla figura femminile di Chiara, alla sua spiritualità, al suo pensiero, alle sue opere - a suo parere - qual è il contributo che lei può dare o ha dato alla vita della Chiesa?

    R. - La vocazione ad essere Maria, che è stata tipica del cammino di Chiara. Lei diceva: quando la donna è altra Maria - il che significa vergine, madre, sposa, ma soprattutto portatrice di Dio - allora la donna può fare molto per tutti, perché la donna, se è donna, è il cuore dell’umanità. Ripensando a quello che il Papa diceva nell’Evangelii Gaudium, quando parla di Maria come stella della nuova evangelizzazione, penso che anche nel comportamento di Chiara ci sia stato sempre questo stile mariano, che è stato anche la capacità di cogliere i segni di Dio nella storia. Per cui Chiara è stata attenta alle sfide che venivano, le ha colte e ha dato una risposta credendo al disegno di Dio sull’umanità e anche una risposta piena di speranza, piena di fiducia per l’avvenire.

    D. - Lei lavora e si occupa del Centro Chiara Lubich, che è un centro particolare proprio perché custodisce il patrimonio letterario, ma anche video, audio che riguarda Chiara. Le chiedo se in questi anni di lavoro sono emersi degli aspetti inediti, che poco si conoscono…

    R. - Da un punto di vista storico, mi sembra che sempre di più emerga la profonda fedeltà di Chiara a Dio e alla Chiesa. Il che non è stato indolore! Anche se nel corso della sua vita, Chiara non ha parlato tanto di quanto avesse sofferto. Gli anni dai Cinquanta fino al ’62 sono stati anni molto intensi di prove: da una parte la certezza che Dio volesse qualcosa da lei; dall’altra la difficoltà proprio perché donna, che questo qualcosa di nuovo venisse approvato. Io penso che col tempo questo patrimonio sarà sempre di più donato a tutti, e anche scoperto. Certamente non è l’unico aspetto, perché nel patrimonio che lei ci ha lasciato penso che verrà più in luce la dottrina che riguarda un patrimonio teologico molto forte e anche le varie discipline. Io penso che siamo ai primi anni, che c’è tutto un percorso da fare e che ci sono tante piste che riveleranno la grandezza di questo carisma che Dio ha donato al mondo.


    Nel telegramma di cordoglio inviato per il giorno dei funerali di Chiara Lubich, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI riconosceva in lei, tra l’altro, la testimonianza di un’esistenza “spesa nell’ascolto dei bisogni dell’uomo contemporaneo in piena fedeltà alla Chiesa e al Papa” ed esprimeva l’auspicio “che quanti l’hanno conosciuta e incontrata ne seguano le orme mantenendone vivo il carisma”. Sentiamo al microfono di Adriana Masotti, Joaquin Salzberg, un giovane argentino impegnato nel Centro mondiale dei Giovani del Movimento:

    R. – Nel Movimento dei Focolari ho trovato un sogno: “Che tutti siano uno” quindi, lo scopo dell’unità, del mondo unito e questo è qualcosa per cui io voglio vivere e questo è ciò che Chiara Lubich ha insegnato a tanti. Rispecchia molto anche la mia vita personale perché sono figlio di padre ebreo e di madre cristiana e questa esperienza del dialogo interreligioso che Chiara ha sviluppato ha significato nella mia vita questo paradosso: ho conosciuto il Movimento attraverso mio padre che era ebreo. Io ringrazio Chiara per questo, perché sono riuscito a vivere tante cose insieme a mio padre, a vivere questa diversità di credi come una ricchezza che ci fa essere persone migliori e non in conflitto tra noi, grazie proprio all’ esperienza che Chiara ha portato avanti.

    D. – Dopo la morte di Chiara tutti i membri del Movimento hanno sentito di doversi assumere una responsabilità maggiore per garantire il proseguimento della sua Opera. Tu come stai vivendo questa cosa?

    R. – Prima di tutto vorrei dire che io Chiara l’ho incontrata solo una volta, quando avevo otto anni, in Argentina. Da bambino partecipavo sempre al Movimento dei Focolari insieme ai miei genitori; quando ho compiuto 15 anni però mi sono allontanato – nell’adolescenza ero un po’ ribelle - ma nel 2008, quando Chiara è partita per il Cielo, ho sentito subito un sentimento di responsabilità ma anche di entusiasmo e ho sentito la voglia di lavorare per uno scopo così grande, ovvero, quello del mondo unito che era il sogno di Chiara, perché era quello di Gesù e anch’io sento che questo oggi è veramente il mio sogno.

    D. – Recentemente il Movimento ha maturato una convinzione, quella che è necessario aprirsi ancora di più alle necessità di tutta l’umanità. È un andare a largo in piena sintonia con Papa Francesco. Come vivi anche da giovane questa dimensione, questa proposta…

    R. – La vivo come una necessità. Mi sembra che sia una cosa logica: se il desidero è volere un mondo unito, è necessario parlare con tutti, andare verso tutti, specialmente verso quelli che sono più lontani, così come dice Papa Francesco, come ha fatto Chiara nella sua vita e come io cerco di fare, e come vorrei riuscire sempre di più. La vivo veramente come una sfida ma che mi trasmette tanto entusiasmo.

    D. – Il fascino dei primi tempi del Movimento, a Trento, quello di una vita semplice basata solo sul Vangelo… I giovani di oggi del Movimento sentono questo fascino di mettere in pratica le parole di Gesù?

    R. – E’ un’esperienza sempre forte quando ti rendi conto che ciò che è stato scritto tantissimo tempo fa può essere una cosa da vivere anche oggi e che offre tante opportunità per una vita piena. Ci sono tante esperienze che ho fatto e che fanno tanti altri giovani del Movimento sul vivere il Vangelo.

    D. – Quale volto, quale immagine di Dio ti si è svelato grazie alla spiritualità di Chiara?

    R. – Ciò che Chiara mi ha mostrato è in realtà quanta curiosità devo avere verso Dio, quanta curiosità nel poter conoscerlo, nel poter arrivare sempre di più a ciò che Lui è. Uno dei punti più forti di cui ci parlava Chiara era “Dio Amore”: l’altro giorno riguardavo un video dove Chiara ci presentava la figura di Dio come “Amore”, Dio che ci ama immensamente. Questa è una realtà che ti riempie di gioia e ti fa capire veramente quanto uno deve vivere questo amore nella sua vita personale. Come Dio ci ama immensamente, così io sento che devo amare immensamente tutti, tutta l’umanità.

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    L'"Evangelii Gaudium" di Papa Francesco al centro dei Dialoghi in Cattedrale

    ◊   “Il profumo del Vangelo in città”. E’ questo il filo conduttore dei tre incontri del nuovo ciclo dei “Dialoghi in Cattedrale”, che si è aperto ieri sera a Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano, e che per questa edizione ha come fulcro l’Esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii gaudium”. Protagonisti della prima serata sono stati il padre gesuita Francesco Occhetta, e Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, che si sono confrontati sul tema “Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero”. Prossimi appuntamenti, il 27 marzo e il 10 aprile. Il servizio di Marina Tomarro.

    Far conoscere a tutti la bellezza del messaggio dell’Evangelii Gaudium perché, come scrive Papa Francesco, “Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero”. Con questo obiettivo si è aperto il primo appuntamento dei Dialoghi in cattedrale, che ormai dal 1996 fanno parte della tradizione quaresimale romana. Il cardinal vicario Agostino Vallini:

    "Vogliamo offrire alla città, soprattutto al mondo laico, la possibilità di riflettere su temi al confine tra fede e storia nelle diverse dimensioni che possono interessare la vita quotidiana. Sono occasioni preziose che sento di incoraggiare".

    Quest’anno l’apertura ha coinciso con il primo anniversario del Pontificato di Papa Francesco. Ascoltiamo ancora il porporato:

    "Una grande esperienza di Dio e dell’uomo perché il Papa è un grande uomo di fede, proprio perché vive e sperimenta l’amore del Signore e lo trasmette con i gesti e la semplicità che tutti conosciamo. Questa è una cosa bella".

    Nell’Esortazione apostolica il Santo Padre ricorda che l’uomo nel cercare Dio è “traballante”, perciò bisogna discernere i segni dei tempi, per guardare il mondo attraverso la conoscenza di Cristo. Il commento del padre gesuita Francesco Occhetta:

    R. - Dio non si nasconde a coloro che vivono l’esperienza con Lui: generano fraternità, generano idee di giustizia buona, generano capacità di vivere una giustizia umana. Quelle dinamiche che la società a volte perde ma che nel credente, nella dimensione spirituale, è possibile recuperare e rilanciare.

    D. – Cosa vuol dire quando parliamo di una contemplazione attiva di Papa Francesco?

    R. – Contemplazione attiva vuol dire che lui vive da monaco nella città; contempla come Dio si muove nella città, lo vede e prega dove lui fa diventare la sua vita una preghiera vivente.

    E forte è l’invito a non scoraggiarsi anche di fronte al male, smettendo così di fare del bene, ma continuare a conservare quella speranza che ci arriva direttamente da Dio. Ascoltiamo la riflessione di Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo:

    R. – La speranza è il motore dell’uomo, la speranza di fare del bene ma non inteso in senso astratto ma come valore fondante di quella che è l’umanità all’interno dell’uomo stesso: alleviare quindi il dolore di chi ti sta vicino, proteggere la vita, farla crescere, curarla. Sono tutti elementi caratterizzanti, fondanti della natura umana. Soddisfare questi elementi vuol dire essere felici e vivere nella luce della speranza di un futuro che è sicuramente migliore proprio per come è costituito l’uomo. Nel momento in cui questo elemento viene a cessare entra il buio: il buio è caos ed il caos è il male.

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    Premio Templeton al sacerdote cattolico ceco Tomas Halik

    ◊   Sacerdote e filosofo, ma non solo. È l’accademico ceco Tomas Halik, 65 anni, il vincitore del premio Templeton 2014. L’annuncio ieri a Londra. Negli anni Sessanta si laurea in sociologia, filosofia e psicologia all’Università di Praga, negli anni Settanta studia teologia e - bollato dal regime comunista dell’allora Cecoslovacchia come “nemico” - viene ordinato segretamente sacerdote nella Germania Est. Per anni porta avanti una vasta rete segreta di studiosi, teologi, filosofi e studenti dedicata a coltivare le basi intellettuali e spirituali per uno Stato democratico. Divenuto stretto collaboratore dell’ex presidente Vaclav Havel, si contraddistingue per l’impegno a favore della tolleranza e del dialogo tra popoli, religioni e orientamenti politici diversi, nonché per i rapporti con i non credenti. Ascoltiamo mons. Tomas Halik al microfono di Philippa Hitchen:

    R. – Many of my teachers, they were priests, they spent many years in the comunist …
    Molti dei miei insegnanti sono stati sacerdoti che hanno passato tanti anni nei campi di concentramento comunisti, nelle prigioni e nelle miniere di uranio. Le possibilità di scrivere e pubblicare erano rarissime. Molti di loro sono morti durante il comunismo. Attraverso questa loro esperienza di prigionia, scoprirono qualcosa che sarebbe stato importante per i messaggi del Concilio Vaticano II. In prigione incontrarono molte persone non cattoliche, alcuni non credenti, e scoprirono che avevano qualcosa in comune; percepirono questa persecuzione come una possibilità di purificazione della Chiesa. Mi dissero: “Abbiamo sognato che la Chiesa del futuro sarà veramente una Chiesa al servizio degli oppressi e dei poveri”. Penso che questo sia esattamente il messaggio del Vaticano II, importante anche per Papa Francesco.

    D. – Tutto ciò riecheggia il messaggio di Papa Francesco, nei giorni in cui ricordiamo il primo anniversario del suo Pontificato. Quale pensa possa essere l’impatto degli insegnamenti di Papa Francesco?

    R. – I think he is a spiritual man who is showing the nearness to the people…
    Penso che Papa Francesco sia un uomo spirituale che sta dimostrando la sua vicinanza alle persone. Ho scritto un libro, che si chiama “Touch the Wounds”, “Tocca le ferite”, e si riferisce ad una scena del Vangelo di San Giovanni, quando San Tommaso tocca le ferite di Cristo e pensa: “Questo è il mio Signore e il mio Dio”. Penso che i problemi, la miseria del nostro mondo, la miseria sociale, siano le ferite odierne di Cristo. Quando noi ignoriamo le ferite di Cristo non abbiamo diritto di dire: “Mio Signore e mio Dio”.

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    Giornata mondiale del sonno: buone abitudini e un buon riposo liberano da disturbi d'ansia e nuove patologie

    ◊   Ricorre oggi, 14 marzo, la Giornata Mondiale del sonno organizzata dal "World Sleep Day Commitee" dell’Associazione Mondiale Medicina del Sonno. Lo slogan di quest’anno è “Sonno riposante, buon respiro, corpo sano”. Una migliore conoscenza del sonno e una maggior ricerca in questo campo potranno aiutare a ridurre l’impatto negativo dell'insonnia sulla società. Fra le regole da seguire per una buona igiene del sonno, coricarsi e svegliarsi alla stessa ora, non bere alcolici, non mangiare pesante e non fare attività fisica prima di andare a dormire. Il professore Giacomo Della Marca, ricercatore di neurologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, consiglia alcune regole da seguire al microfono di Eliana Astorri:

    R. – Le cause più frequenti sono i disturbi dell’ansia, oppure i disturbi dell’umore. Ci sono però molte persone che dormono male perché hanno cattive abitudini di sonno e questa è la parte su cui noi possiamo agire in maniera più efficace.

    D. – Viste le differenti cause, significa che la medicina del sonno richiede un approccio multidisciplinare?

    R. – Sì, questo è assolutamente vero. La medicina del sonno è nata come disciplina multidisciplinare: neurologi, psichiatri, pneumologi, otorinolaringoiatri ed altri specialisti hanno messo assieme le loro competenze e hanno costituito un corpus di conoscenze che è l’attuale medicina del sonno.

    D. – Quali sono i passi da fare quando ci si rende conto che si dorme poco, oppure male…

    R. – La prima cosa è sottoporsi ad una visita medica. Molto spesso il proprio medico di famiglia è già in grado di dare informazioni ed indicazioni corrette. Quando il disturbo è persistente, quando non risponde bene alle terapie – o quando si pensa che ci possano essere dietro meccanismi più complessi – allora si può far ricorso ai laboratori del sonno che in Italia sono purtroppo pochi. Questi laboratori non hanno la possibilità di affrontare i problemi di un così vasto numero di pazienti con difficoltà di sonno, però sono attrezzati per venire incontro a tutte le esigenze diagnostiche e terapeutiche. Esiste, inoltre, un’Associazione, l'Aims (Associazione italiana di medicina del sonno), che riunisce questi laboratori, li coordina e permette che la gestione dei pazienti, le indicazioni di terapia, le diagnosi siano uniformi, o più o meno, su tutto il territorio nazionale.

    D. – Verso quale direzione è mirata la ricerca nel campo della medicina del sonno?

    R. – La ricerca nel campo della medicina del sonno ha tanti filoni attivi e importanti, ma la ricerca medica in questo momento è soprattutto finalizzata alla prevenzione: la capacità di valutare qual è l’impatto del cattivo sonno, delle patologie del sonno sulla nostra salute e sui fattori di rischio. Su questo tipo di argomenti c’è un interesse crescente. Oggi, 14 marzo, è la Giornata mondiale dei disturbi del sonno e lo scopo di questa giornata è precisamente quello di richiamare l’attenzione su alcuni importanti disturbi, come l’insonnia, le difficoltà di respirazione, perché conoscere, trattare ed eliminare questi disturbi ci permette di aumentare molto il nostro livello di benessere e di ridurre il rischio di sviluppare altre patologie.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Nigeria: respinto attacco di Boko Haram a Maiduguri. L’Onu denuncia abusi dell’esercito

    ◊   Non si fermano le violenze nel nord della Nigeria. Dopo l'attacco degli estremisti islamici in quattro villaggi, che ieri ha seminato decine di vittime, stamani è stato respinto un assalto contro la principale caserma della città settentrionale di Maiduguri, teso a liberare diversi militanti del gruppo fondamentalista Boko Haram. Secondo fonti militari, gli aggressori hanno subito diverse perdite e si contano cinque feriti fra i soldati di Abuja. Di segno opposto la versione del gruppo terroristico, che parla di numerosi insorti evasi. Operazioni di terra e aeree sono state avviate per braccare i miliziani che avrebbero compiuto l’attacco allo scopo di incrementare il numero di combattenti, impoverito dai bombardamenti sui loro nascondigli. Durante gli scontri di oggi, i residenti in preda al panico hanno lasciato le loro case nella città che ha dato i natali della rete terroristica Boko Haram. E assieme alle nuove violenze arriva la dura denuncia del commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, secondo la quale le forze di sicurezza nigeriane avrebbero commesso abusi – fra i quali torture e detenzioni illegali – nel combattere il terrorismo, “creando terreno fertile per il reclutamento di Boko Haram”. (M.G.)

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    Darfur: nel nord avanzano i ribelli, 50 mila sfollati in poche settimane

    ◊   Nuova fiammata di violenze nella martoriata regione sudanese del Darfur. Un gruppo ribelle ha annunciato la conquista di una cittadina nel nord, poche ore prima dello scadere di un ultimatum posto dal governo centrale di Khartoum per il ritiro dalle località conquistate nelle ultime settimane. Lo riferiscono fonti di stampa locali citate dalla Misna. Ad annunciare la presa di Mellit, circa 80 chilometri a nord del capoluogo regionale El Fasher, è stato un portavoce dell’Esercito di liberazione del Sudan, guidato da Minni Minnawi. Secondo il responsabile, la cittadina è caduta ieri pomeriggio dopo scontri tra ribelli e militari, che hanno causato un numero imprecisato di morti e feriti. Nella stessa regione operano le milizie di Musa Hilal, già comandante dei famigerati “janjaweed” alleati di Khartoum, entrati ora in rotta di collisione con il governo centrale. Le loro forze sarebbero presenti nella zona di Saraf Umra, epicentro di un conflitto tra comunità rivali per il controllo di alcune miniere d’oro. Secondo le Nazioni Unite, scontri armati in corso sia nel nord che nel sud del Darfur hanno costretto in poche settimane circa 50 mila persone a lasciare le loro case. (M.G.)

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    Raid israeliani su Gaza mentre prosegue il lancio di razzi dalla Striscia ma senza vittime

    ◊   Non ha retto il fragile cessate-il-fuoco su Gaza. L'aviazione israeliana ha attaccato la scorsa notte sette obiettivi nella Striscia di Gaza, in risposta ai lanci di missili verso Israele. Fonti interne alla Striscia non segnalano vittime e riferiscono che a essere colpite sono state postazioni del Fronte popolare di Liberazione della Palestina. Dal canto loro, le autorità dello Stato ebraico riferiscono che stamane almeno due missili sono caduti sul territorio israeliano, portando così a 70 i razzi lanciati dalla Striscia dallo scorso mercoledì. “Continueremo a rispondere – ha detto il portavoce militare - all'aggressione che arriva da Gaza”. Secondo i media, ieri sera l'esercito ha dispiegato il sistema di difesa antimissili "Iron Dome" a Beersheba e vicino ad Ashdod in modo da impedire a razzi Grad lanciati dalla Striscia di raggiungere le città. (M.G.)

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    Pakistan: attentati contro forze dell’ordine. Almeno 19 morti

    ◊   E’ di 19 morti e una sessantina di feriti il bilancio di una serie di attentati che oggi hanno insanguinato le città di Peshawar e Quetta, in Pakistan. In entrambe le località, nel mirino dei terroristi sono finiti gruppi di militari e poliziotti pakistani, che infatti contano diverse vittime. Gli attacchi di oggi arrivano mentre è in corso una difficile mediazione tra le diverse fazioni dei talebani, per determinare la strategia da seguire durante la prossima tornata di colloqui con il governo centrale di Islamabad. (M.G.)

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    Sud Sudan: contingenti dei Paesi del Corno d’Africa affiancheranno le truppe Onu

    ◊   Entro metà aprile contingenti militari di Etiopia, Kenya, Rwanda, Burundi e Gibuti saranno dispiegati in Sud Sudan per garantire il rispetto di una tregua tra le parti in conflitto. L’impegno è stato assunto oggi ad Addis Abeba, in occasione di un vertice dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad). L’annuncio, di cui riferisce la Misna, è stato dato a margine di una riunione ad Addis Abeba da Seyoum Mesfin, inviato speciale dell’organismo per il Sud Sudan. “Che siano cento, duecento, mille o 1500, dovranno essere sul terreno”, ha sottolineato il diplomatico in riferimento alla consistenza numerica dei contingenti, ancora da definire. L’ipotesi del dispiegamento dei soldati era stata già avanzata nei giorni scorsi. Lo stesso Mesfin aveva parlato di “una forza neutrale e deterrente”, incaricata tra l’altro di mettere in sicurezza le installazioni petrolifere del Sud Sudan. Il dispiegamento dovrà avvenire d’intesa con l’Unione Africana e con l’Onu, responsabile a Juba di una missione di peacekeeping che dovrebbe aumentare da 6.800 a 12.000 effettivi. Dallo scorso dicembre, il conflitto tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e i ribelli legati al suo ex vice, Riek Machar, ha provocato migliaia di vittime e costretto circa 900 mila a lasciare le proprie case. Allo stesso tempo, sta mettendo in ginocchio un’economia fondata sul petrolio. Ormai da settimane, nelle aree contese del nord e del nordest del Paese, la produzione di greggio è bloccata o fortemente ridotta. A tentare una mediazione tra le parti, oltre all’Igad, è il Sudafrica. Ieri, si è conclusa una missione a Juba di Cyril Ramaphosa, vicepresidente dell’African National Congress (Anc). Attraverso una nota, il Ministero degli esteri di Pretoria riferisce che “l’inviato speciale” ha incontrato Kiir e avuto conversazioni con altri protagonisti della crisi, tra i quali il presidente ugandese, Yoweri Museveni, l’unico capo di Stato africano ad avere già inviato truppe in Sud Sudan. (M.G.)

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    Orissa: tre condanne per lo stupro di suor Meena durante i pogrom anticristiani del 2008

    ◊   Sono ancora molte le ferite aperte nella comunità cristiana dello stato indiano dell’Orissa a seguito dei brutali pogrom condotti dai fondamentalisti indù nell’agosto 2008. Dopo oltre 5 anni, questa mattina una corte distrettuale di Cuttack ha condannato tre persone e assolto altre sei per lo stupro di gruppo subito da suor Meena. Secondo quanto riferisce AsiaNews, in origine erano 10 le persone accusate della violenza sulla religiosa. Nove erano state arrestate, una non è mai stata trovata. Suor Meena, dell'Istituto religioso delle Servitrici, lavorava nel Centro pastorale Divyajyoti a K Nuagaon (distretto di Kandhamal). Il 25 agosto del 2008, insieme a un sacerdote è stata presa, picchiata, denudata e trascinata per il villaggio. I fondamentalisti indù, che volevano bruciarla viva assieme al prete, ha desistito dall'assassinio della religiosa che però è rimasta vittima di abusi. Solo alla fine, in tarda serata, mentre continuavano ad essere ingiuriati e malmenati, sono stati liberati dalla polizia. Lo zio della religiosa è mons. John Barwa, vescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, che l'ha sostenuta e accompagnata nel lungo percorso di riabilitazione e durante il processo. Nel 2010, l'Alta corte dell'Orissa ha trasferito il caso da una corte distrettuale di Kandhamal a quella di Cuttack, poiché la vittima aveva espresso preoccupazione per la sua vita. (M.G.)

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    Nuova Zelanda: documento dei vescovi sull’educazione cattolica nelle scuole

    ◊   “L’educazione cattolica dei bambini in età scolare”: è il titolo dell’ampio documento pubblicato recentemente dalla Conferenza episcopale della Nuova Zelanda, a firma del suo presidente, l’arcivescovo John Dew. Suddiviso in quindici sezioni, il documento affronta numerosi temi, sia generali (ad esempio, la natura e gli obiettivi della scuola cattolica), che più particolari (come il sistema scolastico locale). Ampio spazio viene inoltre dedicato alla formazione dei docenti ed al contributo che le scuole cattoliche offrono nella costruzione del bene comune. “Questo documento – spiegano i presuli nella presentazione – sottolinea i principi che devono sostenere le scuole cattoliche, insieme all’attenzione ed alla preoccupazione della Chiesa per i giovani”. “La cattolicità della nostre scuole – si legge ancora – è la ragione della loro esistenza”. Per questo, i vescovi di Wellington affermano che “ogni istituto di formazione non esiste da solo”, perché “tutte le scuole cattoliche della Nuova Zelanda sono parte di una rete che opera in base ai principi del bene comune, così da assicurare che la qualità della formazione offerta arrivi in tutto il Paese”. Indirizzato ai dirigenti, al personale ed ai parroci responsabili degli istituti educativi cattolici, il documento mira a “rafforzare il sistema scolastico” della Chiesa locale, ponendo anche particolare attenzione ai giovani che abbandonano la scuola. “Ogni membro delle comunità di fede delle nostre scuole – prosegue il testo – ha il compito di portare la Buona Novella di Cristo a coloro che ha il privilegio di servire”. Un incarico “tanto più gioioso” quando sono “i più giovani a condividere l’amore di Gesù e la missione della sua Chiesa”. Quindi, la Conferenza episcopale della Nuova Zelanda ricorda le parole di Papa Francesco che invita i cristiani alla “freschezza di essere popolo di Dio”, perché “ogni generazione di credenti cerca di comprendere con chiarezza la natura e lo scopo dell’essere discepoli di Gesù”. In questo senso, i presuli di Wellington ribadiscono la necessità di “contribuire efficacemente alla trasmissione della fede alle future generazioni”. Infine, il documento episcopale richiama la necessità di porre “l’incontro con Cristo al centro dell’educazione cattolica” e colloca le scuole cattoliche “nel cuore della missione evangelizzatrice” della Chiesa. (I.P.)

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    I vescovi irlandesi: la famiglia, dono di Dio che la Chiesa protegge e custodisce

    ◊   “La famiglia, dono di Dio basato sull’amore tra un uomo e una donna ed aperto alla vita, è un dono che la Chiesa cerca di proteggere e custodire”: è quanto scrivono i vescovi irlandesi in una dichiarazione pubblicata in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia, che si terrà ad ottobre in Vaticano. “Sostenere il matrimonio e la famiglia è il fulcro della dottrina della Chiesa – si legge nel testo – Il matrimonio è un sacramento, un segno dell’amore di Dio che rispecchia l’amore di Cristo per la Chiesa”. Quindi, i presuli sottolineano che “come cellula fondamentale della società, la famiglia è essenziale per la formazione dei membri della società stessa”, perché è “un luogo in cui la generosità, la tenerezza, il perdono, la stabilità, la cura, l’accettazione e la verità possono essere insegnati ed imparati”. Tanto più che “i genitori sono i primi ed i migliori insegnanti dei loro figli riguardo alla fede”. I vescovi di Dublino, poi, si soffermano sul questionario preparatorio al Sinodo, le cui risposte sono già state inviate a Roma, alla segreteria generale dell’Assise: pur senza entrare nel dettaglio dei risultati, i presuli evidenziano che essi “identificano le grandissime sfide che la famiglia in Irlanda si trova oggi ad affrontare, comprese le ristrettezze economiche, la disoccupazione, l’emigrazione, le violenze domestiche, gli abusi, le infedeltà”. Altre risposte, inoltre, “esprimono particolare preoccupazione per il supporto limitato che lo Stato dà al matrimonio e alla famiglia”. Il questionario fa rilevare anche alcune difficoltà che i credenti hanno riguardo alla dottrina della Chiesa su “i rapporti al di fuori del matrimonio, la convivenza di coppie non sposate, i divorziati risposati, la pianificazione familiare, la procreazione assistita, l’omosessualità”. In questi ambiti, evidenziano i vescovi, “gli insegnamenti della Chiesa sono visti come non realistici, non compassionevoli, inadatti a migliorare la vita”, facendo sentire alcuni fedeli “colpevoli ed esclusi”. In quest’ottica, la Conferenza episcopale riconosce “la propria responsabilità nel presentare ai fedeli la dottrina della Chiesa su matrimonio e famiglia in un modo positivo e coinvolgente, pur mostrando compassione e misericordia nei confronti di coloro che hanno difficoltà ad accettare e a vivere tale dottrina”. Infine, i vescovi annunciano, per il 14 giugno, una conferenza speciale su matrimonio e famiglia organizzata dal Consiglio episcopale responsabile del settore. (A cura di Isabella Piro)

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    Appello del Secam per l’autonomia economica della Chiesa africana

    ◊   La Chiesa in Africa deve fare il possibile per raccogliere fondi a livello locale, così da supportare in modo autonomo i propri programmi pastorali e socio-economici. È quanto emerge dall’incontro dei segretari generali del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar), che si conclude oggi a Johannesburg, in Sudafrica. “È tempo che l’Africa non dipenda troppo dalle risorse finanziarie provenienti dai partner stranieri”, afferma padre Nicholas Afriye, segretario generale della Conferenza episcopale del Ghana, suggerendo, quindi, l’istituzione di un Comitato per la raccolta-fondi, gestito dal Secam. Tale organismo, spiega, “dovrebbe identificare le risorse e le opportunità presenti nel continente”. Padre Afriye auspica, poi, l’implementazione di collette annuali che possano contribuire realmente alle necessità della Chiesa locale ed esorta i vescovi a coinvolgere maggiormente i laici in questo settore. Nel corso dell’incontro, si è tenuto anche un seminario sull’uso dei social network, e sono stati presentati alcuni rapporti preparatori in vista dell’indizione, nel 2015, di un Anno della riconciliazione a livello continentale e regionale, la cui approvazione sarà stabilita successivamente dal Secam. Intitolato “Il ruolo dei segretari generali delle Conferenze episcopali nazionali e regionali nei processi di riconciliazione, good governance, bene comune e transizione democratica in Africa, alla luce delle Esortazioni apostoliche Ecclesia in Africa e Africae Munus”, il Convegno vede la presenza, tra gli altri, di mons. Stephen Brislin, presidente della Conferenza episcopale sudafricana, del nunzio apostolico nel Paese, mons. Mario Roberto Cassari, e di Hyppolyt Pul, coordinatore regionale del Catholic Relief Service in Africa, il quale presenta una relazione sul tema “Analisi dei principali conflitti in Africa ed il ruolo degli organismi regionali e continentali nei processi di riconciliazione”. (I.P.)

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    Messico: Pom americane riunite per dare seguito all’impegno missionario nel continente

    ◊   “Valutare la partecipazione all'ultimo Congresso missionario americano (CAM 4 - COMLA 9), prendere in considerazione le conclusioni dei 22 forum svoltisi durante il Congresso, riflettere e proporre linee di azione per proseguire il processo iniziato al Congresso, alla luce dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, per rispondere alle sfide della missione ad gentes in un mondo multiculturale e secolarizzato”. Sono questi i propositi della decima Assemblea dei direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in America, che si chiude oggi dopo cinque giorni di lavori presso la sede delle POM del Messico (OMPE). Secondo una nota delle POM del Messico ripresa dalla Fides, alla riunione partecipano 18 direttori nazionali provenienti da tutto il continente. Ieri, si è svolto l’incontro con il nunzio apostolico in Messico, mons. Christophe Pierre, che ha presentato una riflessione in chiave missionaria sul pontificato di Papa Francesco ad un anno dalla sua elezione. (M.G.)

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    India: l’arcidiocesi di Bangalore celebra l’Anno della riconciliazione

    ◊   Un Anno dedicato alla riconciliazione: è l’iniziativa lanciata in questi giorni dall’arcidiocesi di Bangalore, in India. Avviato in tempo di Quaresima, l’evento si concluderà il 13 febbraio 2015, in coincidenza con le celebrazioni per il Giubileo di platino dell’arcidiocesi, a 75 anni dalla sua fondazione. “Beati gli operatori di pace – spiega l’arcivescovo locale, mons. Bernard Moras – è il motto scelto per questo speciale Anno”, voluto dopo aver visto “l’impatto negativo causato dalle incomprensioni e dalle divisioni all’interno della comunità” e con l’obiettivo di “riportare la vera armonia, la comprensione reciproca e l’unità tra i fedeli, a tutti i livelli”. L’iniziativa viene portata avanti dalle parrocchie e dalle comunità locali sia attraverso celebrazioni liturgiche, che tramite servizi e programmi a carattere sociale. Lo scopo primario dell’Anno, aggiunge padre Anthony Swamy, responsabile delle Comunicazioni sociali della Chiesa di Bangalore, è quello di “promuovere un vero spirito familiare tra i diversi gruppi locali e di instaurare la vera amicizia cristiana”. Materiale informativo e preghiere appositamente composte per l’Anno della riconciliazione verranno distribuiti in tutte le parrocchie diocesane. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 73

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