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Sommario del 10/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa in Sud Corea dal 14 al 18 agosto. Beatificherà un gruppo di martiri dell'800
  • Esercizi spirituali. Mons. De Donatis: fuggire fariseismo e stoicismo, la fede è incontro con Dio
  • Mons. Xuereb: vi racconto il mio anno accanto a Papa Francesco, parroco del mondo
  • Nomina episcopale in Australia
  • Benedetto XVI al Simposio di Morogoro: nei miei libri ho cercato di rendere Gesù di nuovo visibile
  • Sinodo sulla famiglia: il card. Kasper spiega le sue proposte
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina: ultimi giorni per una soluzione diplomatica prima del referendum in Crimea
  • Preghiera per la pace dalla diocesi di Roma, per condividere la sofferenza dell'Ucraina
  • Siria. Mons. Zenari: sollievo per liberazione delle suore di Maalula, si spera per gli altri
  • Siria. “Acs”: la minoranza cristiana è la più esposta ai rapimenti
  • Governo. Zamagni: creare posti di lavoro con più imprese e armonia famiglia-lavoro
  • Omicidi in famiglia. Mons. Rolla (Lecco): Dio non è lontano da questi drammi
  • Ragazzi abruzzesi al Santuario di San Gabriele a 100 giorni dall'esame di maturità
  • Fede, arte e cultura a Roma: restaurata la chiesa dei Cappuccini a Via Veneto
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: negli Usa “la piattaforma dei religiosi per la pace”
  • Somalia: offensiva contro gli Shabaab. Cadute altre città
  • Fanar: con un comunicato finale conclusa l'Assemblea panortodossa
  • Iraq: la Chiesa caldea in soccorso degli sfollati di Falluja e Ramadi
  • Egitto. La Chiesa copta ortodossa: evacuare i cristiani copti dalla Libia
  • Pakistan: Chiesa cattolica in aiuto alle popolazioni del Sindh, colpite dalla siccità
  • India. Attacco ad una sala di preghiera cristiana in Orissa: due arresti
  • India. Spostare le elezioni previste il Giovedì Santo: richiesta dei cristiani di Goa
  • Venezuela. Il vescovo di Maracay: “Non c’è pace senza giustizia”
  • Argentina: intervento della Chiesa sul dilagare della droga
  • Usa-Messico: i vescovi ricorderanno le migliaia di emigranti morti alla frontiera
  • Ccee: incontro su famiglia e presenza della Chiesa nella società
  • Univ. salesiana: incontro con Giovanni Allevi nel 25.mo della Facoltà di Scienze delle Comunicazioni sociali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa in Sud Corea dal 14 al 18 agosto. Beatificherà un gruppo di martiri dell'800

    ◊   Papa Francesco compirà il suo terzo viaggio apostolico in Corea del Sud dal 14 al 18 agosto. Le date della visita sono state ufficializzate oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede. L’occasione, precisa la nota, è data della sesta Giornata della Gioventù Asiatica, che si svolgerà nella diocesi di Daejeon. Ma, ha precisato ai media il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, il Papa presiederà anche la cerimonia di Beatificazione di un gruppo di martiri coreani. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “In Asia si deve andare. Perché Papa Benedetto non ha avuto tempo di andare in Asia ed è importante”. È il 28 luglio dell’anno scorso, la Gmg brasiliana si è appena conclusa e mentre l’aereo sul quale conversa amabilmente con i giornalisti sta lasciando il continente americano per riportarlo in quello europeo, Papa Francesco a un tratto spinge lo sguardo ancora più a oriente. Nelle sue parole c’è l’impulso personale di un pastore abituato a considerare centro dalla sua missione ogni periferia, ma c’è in filigrana anche la forza di una “visione”, quella che 15 anni fa, alla vigilia del Giubileo, Giovanni Paolo II affermava a chiare lettere nell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Asia: “Come nel primo millennio la Croce fu piantata sul suolo europeo, nel secondo millennio su quello americano e africano, nel terzo millennio si potrà sperare di raccogliere una grande messe di fede in questo continente così vasto e vivo”. Il Papa che tra un mese e mezzo sarà proclamato Santo parlava per esperienza, avendo per due volte – nel maggio dell’84 e nell’ottobre dell’89 – raggiunto la parte meridionale della penisola divisa dal 38.mo parallelo e soprattutto da una mai sopita rivalità fratricida. Papa Francesco si prepara a seguirne le orme 25 anni dopo, avendo in cuore un pensiero ben definito, già espresso il 13 gennaio scorso nell’udienza al Corpo diplomatico accreditato in Vaticano:

    “In occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni. L’Asia, infatti, ha una lunga storia di pacifica convivenza tra le sue varie componenti civili, etniche e religiose”.

    Un viaggio dunque per parlare di pace in una terra che vive una guerra fredda da 50 anni e per abbracciare i giovani protagonisti di quella che può essere considerata una sorta di “Gmg” asiatica. Ma nel cuore di Papa Francesco c’è e ci sarà soprattutto la sorte della piccola Chiesa locale, minoranza che di tanto in tanto le cronache mostrano viva e intraprendente e che, come tutte le Chiese di missione, siede sulle spalle dei giganti che l’hanno fondata a prezzo del sangue. Questo particolare riconoscimento arriverà proprio da Papa Francesco che, nel corso della visita, eleverà agli onori degli altari il Servo di Dio Paolo Yun Ji-chung, laico, e 123 suoi compagni, uccisi in odio alla fede tra il 1791 e il 1888, per i quali il Papa stesso aveva firmato un mese fa il decreto di Beatificazione.

    Da Seul, il cardinale Andrew Yeom Soo-jung ha subito ringraziato con un messaggio Papa Francesco “per aver ricordato i giovani dell’Asia e i fedeli coreani e per aver deciso – scrive – di intraprendere un così lungo viaggio nel nostro Paese”. Nella Messa di ringraziamento per la creazione dei nuovi cardinali, rivela il porporato, “il Santo Padre mi ha rivolto parole affettuose dicendomi che egli veramente ama la Corea”. “Prego – conclude – affinché la visita di Papa Francesco porti riconciliazione e pace nella penisola coreana. Spero che questa possa essere un’occasione per tutta l’Asia di sentire la pace di Nostro Signore. Spero anche che questa visita possa essere occasione perché i poveri e gli emarginati ritrovino la speranza”.

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    Esercizi spirituali. Mons. De Donatis: fuggire fariseismo e stoicismo, la fede è incontro con Dio

    ◊   Il Papa insieme alla Curia Romana, si è trasferito da ieri, ad Ariccia, nei pressi di Roma, nella residenza paolina del Divin Maestro, per seguire gli Esercizi spirituali quaresimali, predicati da mons. Angelo De Donatis, parroco di San Marco Evangelista al Campidoglio, dedicati al tema “La purificazione del cuore”. Ieri, nella meditazione introduttiva pomeridiana, mons. De Donatis si è soffermato sulla disposizione interiore per iniziare gli esercizi spirituali, ricordando la necessità di aprirsi all’ascolto dello Spirito Santo, per prepararsi a vivere un rapporto profondo e personale con Dio, in modo da comprendere veramente tutta la realtà e il nostro posto nell’ottica della giusta luce, che viene dal Padre. Nel secondo giorno di meditazione, mons. De Donatis si è riferito, stamane, al brano evangelico della tempesta sedata, per sottolineare come il mondo, anziché riconoscere la presenza e l’opera di Dio, se ne spaventa, e questo avviene quando nei cuori non abita più Cristo, ma una religione sterile, quella di un Dio tremendo, orribile, che non usa misericordia. Da qui il monito a fuggire il fariseismo, secondo cui dal peccato ci alziamo da soli, e la prassi dell’ascesi tratta dallo stoicismo: “bisogna fare questo, io farò questo”. Ma il Signore, ha sottolineato il predicatore, arriva attraverso altre vie. E così ci fa capire che entrambi questi atteggiamenti non rappresentano la strada giusta. È necessario dunque purificare il nostro animo dalle false immagini di Dio per poter iniziare un vero cammino di vita autentica. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Mons. Xuereb: vi racconto il mio anno accanto a Papa Francesco, parroco del mondo

    ◊   Ricorre giovedì prossimo il primo anniversario dall’elezione di Papa Francesco alla Cattedra di Pietro. Un anno straordinario per la vita della Chiesa, un “tempo della misericordia” come il Pontefice stesso ha più volte sottolineato. Tra le persone che più da vicino hanno accompagnato il Santo Padre in questi dodici mesi intensissimi c’è il suo segretario particolare, mons. Alfred Xuereb, nominato recentemente dal Papa segretario generale della Segreteria per l’Economia del Vaticano. In questa intervista esclusiva alla Radio Vaticana, al microfono di Alessandro Gisotti, mons. Xuereb ripercorre questo primo anno con Francesco a partire proprio da quell’indimenticabile 13 marzo di un anno fa:

    R. – Lei mi fa rivivere tante emozioni e anche tantissimi ricordi molto profondi: erano momenti particolari, che sicuramente rimarranno nella Storia. Un Papa che lascia il suo Pontificato … Dal 28 febbraio, il giorno ultimo del Pontificato di Papa Benedetto, quando abbiamo lasciato per sempre il Palazzo Apostolico, fino al 15 marzo, quindi fino a due giorni dopo l’elezione del nuovo Papa, io sono rimasto con il Papa emerito a Castel Gandolfo per tenergli compagnia e anche per aiutarlo nel suo lavoro di segreteria. Il momento del distacco da Papa Benedetto per me è stato un momento molto struggente, perché ho avuto la fortuna di vivere per cinque anni e mezzo con lui e lasciarlo, distaccarmi da lui è stato un momento molto difficile. Le cose erano precipitate, io non sapevo che proprio in quel giorno avrei dovuto fare le valigie e lasciare Castel Gandolfo e anche lasciare Papa Benedetto. Ma dal Vaticano mi chiedevano di fare in fretta, fare le valigie e andare a Casa Santa Marta perché Papa Francesco stava persino aprendo lui la posta, da solo: non aveva un segretario che lo aiutasse. In quella mattinata sono passato più volte in cappella per avere lume, perché mi sentivo anche un po’ confuso. Però ero certo, avevo la netta sensazione che io fossi guidato dall’Alto e mi rendevo conto che stava succedendo qualcosa di straordinario, anche per la mia vita. Sono poi entrato nello studio di Papa Benedetto piangendo e, con un nodo alla gola, ho cercato di dirgli quanto ero triste e quanto fosse difficile il mio distacco da Lui. L’ho ringraziato per la Sua benevola paternità. Gli ho rassicurato che tutte le esperienze vissute nel Palazzo Apostolico con lui mi hanno tanto aiutato a guardare meglio “alle cose di lassù”. Poi mi sono inginocchiato per baciargli l’anello, che non era più quello del Pescatore, e lui, con sguardo di paternità, di tenerezza, come sa fare lui, si è alzato in piedi e mi ha benedetto.

    D. – Che ricordo ha del suo primo incontro con Papa Francesco?

    R. – Mi ha fatto entrare nel suo studio, mi ha accolto con la sua ormai nota cordialità, e devo dire che mi ha fatto anche un scherzo, uno scherzo – se così posso dire – da Papa! Aveva una lettera in mano e con tono serio mi disse: “Ah, ma qui abbiamo dei problemi, qualcuno non ha parlato molto bene di te!”. Io ammutolii, ma poi capii che si riferiva alla lettera che Papa Benedetto gli aveva inviato per informarlo che lui mi aveva lasciato libero e che poteva chiamarmi al suo servizio. In questa lettera, Papa Benedetto aveva avuto la bontà di elencare alcuni miei pregi. Poi Papa Francesco mi ha invitato a sedermi sul divano e lui accanto a me, su una sedia. Mi ha chiesto – con molta fraternità – di aiutarlo nel suo gravoso compito. Infine ha voluto sapere qual è il mio rapporto con i Superiori e con altre persone di certa responsabilità. Gli ho risposto che ho un buon rapporto con tutti, almeno per quanto mi riguarda.

    D. – Cosa la colpisce della personalità di Papa Francesco, avendo il privilegio di vivere ogni giorno accanto a Lui?

    R. - La sua determinazione. Una convinzione che sono sicuro che gli viene dall’Alto, perché è uomo profondamente spirituale che cerca nella preghiera l’ispirazione da Dio. Per esempio, la visita a Lampedusa lui l’ha decisa perché dopo alcune volte che è entrato in cappella, gli è venuta in continuazione questa idea: andare di persona a incontrare queste persone, questi naufraghi, e piangere sui morti. E quando lui ha capito che gli venivano in mente più volte, allora è stato sicuro che Dio la voleva. L’ha fatta, anche se non c’era molto tempo per prepararla. Lo stesso metodo lui lo usa per la scelta delle persone che chiama a collaborare con lui da vicino.

    D. – Cosa invece la colpisce guardando al Pastore Francesco, alla sua dimensione pubblica, a come in fondo esercita il ministero petrino?

    R. – Qualcun altro mi ha fatto una domanda simile, e rispondo dicendo che mi viene in mente spontaneamente la figura del missionario. Quel classico missionario che parte, va tra gli indigeni per far conoscere loro il Vangelo, Gesù Cristo …. Ecco, io vedo in Francesco il missionario che sta chiamando a sé la folla, quella folla che magari si sente smarrita, con l’intento di riportarla al cuore del Vangelo. E’ diventato – per così dire – il parroco del mondo e sta incoraggiando quanti si sentono lontani dalla Chiesa a ritornare con la certezza che troveranno il loro posto nella Chiesa. Lui vede nel clericalismo e nella casistica dei forti ostacoli affinché tutti si possano sentire amati dalla Chiesa, accompagnati da essa. Invece, parroci e sacerdoti ci dicono quasi quotidianamente quante persone sono tornate alla Confessione e alla pratica della fede per l’incoraggiamento di Papa Francesco, specialmente quando ci ricorda che Dio non si stanca mai di perdonarci. Lui, come avete visto, ha un’attenzione speciale per i malati, e questo perché lui vede in loro il corpo di Cristo sofferente. E dimentica completamente i suoi malanni. Per esempio, nei primi mesi del suo Pontificato aveva un forte dolore a causa della sciatica che si era ripresentata. I medici gli avevano consigliato di evitare di abbassarsi ma lui, trovandosi davanti a malati in carrozzella o a bambini infermi nei loro passeggini si china su di loro comunque e fa sentire la Sua vicinanza. Così pure, per esempio, è successo durante la celebrazione eucaristica a Casal del Marmo la sera del Giovedì Santo durante la lavanda dei piedi. Nonostante senz’altro il dolore che avrà sentito, si è inginocchiato davanti a ciascuno dei dodici giovani detenuti per baciar loro i piedi.

    D. – Papa Francesco sembra instancabile, a guardarlo negli incontri, nelle udienze… Come vive la sua quotidianità anche di lavoro, a Casa Santa Marta?

    R. – Mi creda, non perde un solo minuto! Lavora instancabilmente. E quando sente il bisogno di prendere un momento di pausa, non è che chiude gli occhi e non fa niente: si mette seduto e prega il Rosario. Penso che almeno tre Rosari al giorno, li prega. E mi ha detto: “Questo mi aiuta a rilassarmi”. Poi riprende, riprende il lavoro. Riceve una persona dopo l’altra: il personale della portineria di Santa Marta ne è testimone. Ascolta con attenzione e ricorda con straordinaria capacità quanto sente e quanto vede. Si dedica alla meditazione presto, la mattina, preparando anche l’omelia della Messa a Santa Marta. Poi, scrive lettere, fa telefonate, saluta il personale che incontra e si informa sulle loro famiglie.

    D. – Uno dei doni più belli di questo primo anno di Pontificato sono senz’altro gli incontri tra Papa Francesco e Papa Benedetto. Lei, che è come un anello di congiunzione tra loro, cosa può dirci di questo “rapporto fraterno”?

    R. – In una recente intervista, Papa Francesco ha rivelato questo: che lui lo consulta, chiede di sapere il suo punto di vista. Sarebbe una grande perdita non attingere a questa grande fonte di saggezza e di esperienza! Infatti, da subito l’ha chiamato: è come avere il nonno in casa è, come dire, avere il saggio dentro casa. Ecco, da subito Papa Francesco ha visto questa presenza come un dono inestimabile, simile a quel vescovo saggio appena eletto che trova un sapiente sostegno nel suo vescovo emerito. E’ significativo – per esempio – il fatto che abbia voluto inginocchiarsi nella cappella a Castel Gandolfo non sul suo inginocchiatoio, ma accanto a Papa Benedetto. E poi, ha voluto la sua presenza nell’inaugurazione della statua di San Michele Arcangelo qui, nei Giardini Vaticani … e l’ha convinto a partecipare al Concistoro che c’è stato per i nuovi cardinali. E’ una presenza che arricchisce il Pontificato di Papa Francesco.

    D. – Da ultimo, cosa le sta dando personalmente questo servizio al Papa Francesco, dopo aver servito da vicino Benedetto XVI e, ricordiamolo, anche Giovanni Paolo II?

    R. - Mi rendo conto che il Signore mi sta conducendo per vie veramente misteriose. Non avrei mai immaginato di poter compiere questo tipo di servizio. Ma Dio è così. Altrimenti siamo noi i programmatori della nostra via di santità. Io trovo un grande aiuto nella luminosa testimonianza di affidamento a Dio che ho avuto la grazia di cogliere di persona da Papa Giovanni Paolo II, dal Papa Emerito, Benedetto, il quale – è diventato un modo per sorridere – ogni volta che si trovava davanti ad una situazione difficile amava incoraggiarci dicendo: “Il Signore ci aiuterà”. Ecco, ovviamente il sostegno sia umano che spirituale nella preghiera, che so che fa anche per me Papa Francesco, mi è di grande conforto.

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    Nomina episcopale in Australia

    ◊   In Australia, Papa Francesco ha nominato vescovo della Diocesi di Rockhampton il sacerdote Fabian McCarthy, del clero di Brisbane, finora vicario episcopale e parroco a Hendra. Il neo presule è nato a Toowoomba, nello Stato di Queensland, il 13 settembre 1950. Ha compiuto gli studi primari nella Greenmount State School di Toowoomba e quelli secondari presso il Downlands College, della stessa città. Avendo ottenuto il Baccellierato in Scienze Applicate e, in seguito, un titolo in Business Studies, ha poi lavorato per alcuni anni come chimico industriale e farmacista prima di entrare nel Seminario Nazionale St. Paul di Kensington, Sydney, dove ha completato gli studi ecclesiastici. E’ stato ordinato sacerdote il 19 agosto 1978 per l’arcidiocesi di Brisbane. Ha poi ricoperto i seguenti incarichi: Vice Parroco di Gympie (1978-1983); Vice Parroco di Paradise (1983-1985); Presidente delle Pontificie Opere Missionari e Direttore dell’Ufficio per i Migranti e i Rifugiati (1985-1990); Parroco di Laidley (1990-1993); Parroco di Paradise (1993-1996); Decano foraneo di South Coast (1995-2006); Direttore della Formazione Permanente del Clero (1996-2000); Rettore del Seminario Provinciale di Brisbane (2001-2009); Amministratore della Parrocchia di Wavell Heights (2003-2004); Parroco di Redcliffe City (2009-2013); Decano foraneo di Brisbane Northern Rivers (2009-2013); Parroco di Hendra (dal 2013); Vicario Episcopale per il Clero (dal 2013). È stato, inoltre, Giudice del Tribunale Provinciale, Direttore del Programma per il Diaconato, Membro del Consiglio Presbiterale e del Comitato per le Nomine dei Sacerdoti.

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    Benedetto XVI al Simposio di Morogoro: nei miei libri ho cercato di rendere Gesù di nuovo visibile

    ◊   “Il fatto che nel nostro tempo” la figura di Gesù “venga sempre più respinta e diventi inaccessibile a causa di molteplici discussioni e opinioni, per la Chiesa è una preoccupazione che non ci deve dare pace”. Così il Papa emerito nell’indirizzo di saluto ai 400 partecipanti al Seminario di studi in lingua inglese sul tema “Di dove sei?”. La figura e il messaggio di Gesù nella trilogia “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger. È il secondo appuntamento in Africa, dopo l’analogo Simposio in lingua francese che ha avuto luogo in Benin lo scorso settembre. Benedetto XVI confida nel messaggio che, spinto da preoccupazione, ha scritto i suoi libri “nel tentativo di rendere” la figura di Gesù “di nuovo visibile”, cercando “di cogliere tutte le possibilità di una vicinanza più profonda a Gesù offerte dall’attuale teologia”, sforzandosi “di superare i motivi che si oppongono al nostro avvicinarsi a Lui”. Quindi l’auspicio che le giornate di studio di Morogoro “contribuiscano ad annunciare con nuova forza il Vangelo e a guidare gli uomini alla acque della Vita che egli ci apre”. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Sinodo sulla famiglia: il card. Kasper spiega le sue proposte

    ◊   Esce oggi nelle librerie italiane il volume “Il Vangelo della famiglia” del cardinale Walter Kasper (Ed. Queriniana). Il libro contiene il testo integrale della Relazione introduttiva tenuta dal porporato tedesco al recente Concistoro straordinario sul tema della famiglia. Tra i temi più caldi, la questione dell’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione. Philippa Hitchen ha chiesto allo stesso cardinale Walter Kasper di parlarci di questo testo:

    R. – "Il Vangelo della famiglia" vuol dire che Dio vuole bene alla famiglia e che la famiglia è fondata da Dio dall’inizio della Creazione: è la più antica istituzione dell’umanità. Gesù Cristo ha fatto il suo primo miracolo durante le nozze di Cana: lui ha apprezzato la famiglia e l’ha elevata a Sacramento, e questo vuol dire che l’amore fra l’uomo e la donna è integrato nell’amore di Dio. Per questo è un Sacramento. Oggi dobbiamo di nuovo rafforzare questa realtà in un periodo in cui c’è una crisi della famiglia nelle attuali condizioni di crisi economica e delle condizioni di lavoro, e dobbiamo dare il nostro aiuto perché la grande maggioranza dei giovani vuole una famiglia, vuole un rapporto stabile, per tutta la vita. La felicità degli uomini dipende anche dalla vita familiare.

    D. – Lei propone un approccio più tollerante verso le famiglie in difficoltà, senza negare la natura indissolubile del Sacramento del matrimonio: che cosa propone, esattamente?

    R. – Io propongo una via al di là del rigorismo e del lassismo: è ovvio che la Chiesa non si può adottare soltanto allo “statu quo”, ma non di meno dobbiamo trovare una via di mezzo che era la via della morale tradizionale della Chiesa. Ricordo soprattutto Sant’Alfonso de’ Liguori, che voleva questa via tra i due estremi, e questa è quella che dobbiamo trovare anche oggi; è anche la via di San Tommaso d’Aquino nella sua “Summa Theologica”: quindi, mi trovo in buona compagnia, con la mia proposta. Non è contro la morale, non è contro la dottrina ma piuttosto a favore di un’applicazione realistica della dottrina alla situazione attuale della grande maggioranza degli uomini, e per contribuire alla felicità delle persone.

    D. – Lei parla dell’abisso tra la dottrina attuale della Chiesa e la pratica di tanti cattolici. Alcuni danno la colpa a gruppi che promuovono una politica aggressiva contro il concetto tradizionale di famiglia …

    R. – E’ ovvio che ci sono persone e gruppi che hanno un interesse politico contro la famiglia: questo è chiaro. Ma la Chiesa è sempre stata contestata, in tutta la sua storia. Ma non ci sono soltanto questi interessi ideologici e politici: ci sono anche problemi economici, problemi che riguardano le condizioni lavorative e che oggi sono molto gravi. Le condizioni di vita nella società sono cambiate molto e molti hanno difficoltà a realizzare il proprio progetto di felicità. La maggioranza dei giovani, però, vuole un rapporto stabile, una famiglia stabile, ma non ci riesce; e la Chiesa, a sua volta, deve aiutare le persone che si trovano in difficoltà.

    D. – Lei fa il paragone con il modo in cui il Concilio Vaticano II ha portato una vera rivoluzione nei rapporti ecumenici e interreligiosi, senza negare il Magistero della Chiesa. Lei, quindi, è ottimista per il fatto che il Sinodo sulla famiglia porterà lo stesso tipo di rivoluzione?

    R. – Io non parlerei di una rivoluzione, quanto piuttosto di un approfondimento e di uno sviluppo, perché la dottrina della Chiesa è un fiume che si sviluppa e così anche la dottrina sul matrimonio si è sviluppata. Così penso che questo attuale sia un passo simile a quello del Concilio, dove c’erano posizioni della Curia Romana contro l’ecumenismo e contro la libertà religiosa; il Concilio ha conservato la dottrina vincolante – e anche qui, io voglio conservare la dottrina vincolante – ma ha trovato una via per superare quelle questioni e ha trovato una via d’uscita. Ed è quella che anche noi dobbiamo trovare, oggi. E così, non si tratta di una novità, quanto di un rinnovamento della prassi della Chiesa, che è sempre necessario e possibile.

    D. – La sua relazione ai cardinali dovere rimanere riservata e invece è uscita sulla stampa. E ha riacceso un dibattito …

    R. – Ma sì, è necessario avere un dibattito, e in realtà lo aspettavo e l’avevo detto anche al Papa: all’inizio, ci sarà un dibattito. E il Papa ha detto: “Va bene. Vogliamo un dibattito. Non vogliamo una Chiesa che dorme, vogliamo una Chiesa vivace”. Questo è normale. Ma non era un documento segreto: un testo che è nelle mani di 150 persone non può essere segreto, sarebbe molto irrealistico e utopico. Quindi, io ho pensato di pubblicare il testo e mi è stato detto che ero libero di pubblicarlo. Ma quello che ha fatto un quotidiano italiano, cioè pubblicarlo senza autorizzazione, è contro la legge. Secondo me, in questo modo hanno sabotato la volontà del Papa. Loro vogliono chiudere la discussione, mentre il Papa vuole una discussione aperta nel Sinodo. Poi, dipenderà dal Sinodo e dal Papa, il risultato. Io ho fatto una proposta, come mi ha richiesto di fare il Papa, e si vedrà come procederà la discussione, nei prossimi due anni.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Fame di Dio: all’Angelus il Papa ricorda che la strada della fede passa anche attraverso il buio e il dubbio.

    Il parroco del mondo: il testo integrale dell’intervista di Alessandro Gisotti a monsignor Alfred Xuereb.

    Non di solo pane: il cardinale segretario di Stato al convegno per la gestione dei beni ecclesiastici degli istituti religiosi concluso domenica.

    Colazione da mamma e poi partenza per Varsavia: il prefetto Cesare Pasini sui diari di Achille Ratti, visitatore apostolico in Polonia, pubblicati dall’Archivio segreto vaticano.

    Ecco come sarà il futuro Museo Egizio: il nuovo direttore dell’istituzione torinese, Christian Greco, anticipa i suoi programmi.

    Fondamenti nuovi: Mario Hernandez Sanche-Barba su Francisco de Vitoria e il diritto internazionale.

    Dopo oltre tre mesi liberate le suore rapite in Siria.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina: ultimi giorni per una soluzione diplomatica prima del referendum in Crimea

    ◊   Resta alta la tensione tra Russia e Ucraina. Si cerca di risolvere la crisi per vie diplomatiche, ma Mosca difende quelli che definisce “i legittimi interessi della popolazione della Crimea”. E Kiev ribadisce che non intende cedere parte del proprio territorio. Stati Uniti e Cina concordano sulla necessità di una “soluzione pacifica” e chiedono che sia rispettata l’integrità territoriale dell’Ucraina. Sul terreno, intanto, si registrano scontri tra manifestanti filorussi e dimostranti ucraini. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La Crimea ha il diritto di annettersi alla Russia ed è legittimo il referendum indetto, per il prossimo 16 marzo, nella regione ucraina. E’ quanto ha dichiarato il presidente russo, Vladimir Putin, nei colloqui telefonici con la cancelliera tedesca, Angel Merklel, e con il premier britannico, David Cameron. Angela Merkel ha invece affermato che si tratta di una consultazione non legittima. Durante le telefonate, è stato anche ribadito il comune interesse nel trovare “una soluzione diplomatica” alla crisi in Ucraina. Ma resta alta la tensione tra Mosca e Kiev. Putin accusa le autorità ucraine “di essere inermi di fronte alle offese compiute dalle forze ultranazionaliste e radicali”. Il primo ministro ucraino, Arseni Iatseniuk – che mercoledì sarà ricevuto a Washington dal presidente americano, Barack Obama – ribadisce che Kiev “non cederà un centimetro del suo territorio alla Russia”. Intanto, il governo filorusso di Crimea si è detto pronto ad accogliere gli osservatori Osce a condizione che non siano rappresentanti di soli Paesi della Nato. E il deposto presidente ucrainao, Viktor Ianukovich, ha annunciato che domani parteciperà a una conferenza stampa a Rostov, in Russia. Sul terreno infine, ieri si sono registrati scontri a Sebastopoli, in Crimea, tra manifestanti filorussi e dimostranti ucraini. L’interveneto della polizia ha impedito che la situazione degenerasse.


    Sulla crisi ucraina e sugli sforzi della diplomazia per trovare una soluzione, Amedeo Lomonaco ha intervistato Fabrizio Dragosei, inviato del Corriere della Sera:

    R. – La diplomazia sta tentando di riprendere in mano le redini della vicenda, ma purtroppo ci sono difficoltà a fare passi avanti. Se non si riesce a mettere in contatto diretto Mosca con Kiev – e questo per ora non si riesce a fare – sarà difficile andare avanti. Nel frattempo, domenica, arriva questa scadenza del referendum della Crimea, che sicuramente porterà poi ad un fatto compiuto, che difficilmente sarà reversibile. La Crimea, che sappiamo essere in grande maggioranza abitata da cittadini di etnia russa, voterà sicuramente a favore dell’accorpamento con la Federazione russa. A quel punto, sarà certamente molto difficile riuscire a fare marcia indietro. Abbiamo, quindi, veramente pochi giorni, poche ore, perché la diplomazia riesca a riprendere in mano la situazione.

    D. – E intanto Mosca giudica legittimo il referendum, l’Ucraina invece non intende cedere parte del proprio territorio. La via diplomatica, indicata da Stati Uniti ed Unione Europea, in questo momento sembra una delle poche soluzioni ipotizzabili...

    R. – E’ anche ipotizzabile che si arrivi a un rimpasto di governo a Kiev, perché francamente è anche abbastanza curioso che in questo governo nato dalla cacciata di Yanukovich non ci sia neanche un personaggio che rappresenti la parte russofona. Io credo che forse se a Kiev ci fosse un rimpasto di governo, se il governo accettasse di trattare con le autorità della Crimea che hanno convocato il referendum, a quel punto questa parte avrebbe le carte in regola per chiedere a Mosca di bloccare il referendum e di riportare le sue truppe, che sono in Crimea, nelle basi russe previste dall’accordo con l’Ucraina.

    D. – Per la Russia il gas è realmente un’arma per ricattare l’Occidente?

    R. – Il gas russo in questo momento è un’arma abbastanza spuntata. Certamente, l’Europa dipende dalla Russia per gran parte delle sue forniture e l’Ucraina ancora di più. Però, siamo in primavera, le temperature sono miti e tutti i depositi, sia quelli ucraini sia quelli dei Paesi dell’Europa centrale e occidentale – parliamo di Italia, Germania, Repubblica Ceca e Ungheria – sono pieni di gas. Quindi, se la Russia tagliasse le forniture, dovrebbe tagliarle veramente per un periodo molto lungo – parliamo di mesi – per avere delle conseguenze. Si spera che la crisi non duri così tanto.

    D. – Quali effetti avrebbero le sanzioni contro la Russia?

    R. – Se effettivamente l’Occidente decidesse di varare quelle sanzioni di cui si è parlato, cioè il congelamento dei beni di tutti i personaggi russi coinvolti nella vicenda ucraina – e questo potrebbe coinvolgere ad esempio tutti i deputati della Duma, che sono centinaia e hanno sicuramente parecchi "asset" fuori del loro Paese – e se ci fosse un blocco dei visti, queste sarebbero sicuramente misure pesanti. Misure pesanti che, però, porterebbero poi inevitabilmente a delle contromisure e certamente ad un inasprimento veramente notevole della situazione, ad un clima non diciamo di guerra fredda, ma sicuramente a un clima degli anni passati, che in questo momento francamente nessuno vuole. Anche perché una volta, prima della Seconda Guerra mondiale, ci si chiedeva se fosse il caso di morire per Danzica, perché Danzica era il nodo sul quale si scontravano Polonia e Germania. Oggi, sicuramente in Europa e negli Stati Uniti nessuno ha intenzione di morire per l’Ucraina. E, d’altra parte, le colpe di quanto sta accadendo non sono così chiare e definite come si potrebbe pensare o come lo erano, certamente, nei rapporti tra Polonia e Germania nazista. L’Ucraina non ha tutte le ragioni, la Russia non ha tutti i torti.

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    Preghiera per la pace dalla diocesi di Roma, per condividere la sofferenza dell'Ucraina

    ◊   La Conferenza episcopale italiana, ha invitato ieri, tutte le chiese d’Italia a pregare per la pace in Ucraina. Anche a Roma, l’Ufficio diocesano per la Pastorale delle migrazioni, in collaborazione con la comunità greco-cattolica ucraina della capitale, ha organizzato nella serata presso il santuario di Santa Maria in Portico in Campitelli, una Veglia di preghiera per implorare il dono della pace nell’ex Repubblica sovietica, presieduta dal vescovo ausiliare mons. Matteo Zuppi. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro:

    “Il digiuno e la preghiera sono le armi con cui si vince il demone della violenza, perché in Ucraina la gente possa riedificare le fondamenta, ma ci vuole l’impegno di tutti, in particolare della comunità internazionale, perché prevalga il dialogo tra le parti, evitando quei gesti avventati che provocherebbero solo enormi sofferenze”. Così il vescovo Matteo Zuppi ha invocato la pace nella Veglia di preghiera per il governo di Kiev. Ascoltiamo il suo commento.

    R. - È l’importanza di intercedere per una situazione, come quella dell’Ucraina, anche mettendo in pratica quello che Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium ha chiesto: l’intercessione come lievito nel seno della Trinità; intercessione per cercare la sua forza, il suo amore perché si manifestino con maggiore chiarezza nel popolo. Poterlo fare con la comunità ucraina di Roma credo esprima anche il senso della Chiesa di Roma; le varie situazioni e le varie difficoltà che le componenti portano con sé - pensiamo alla Chiesa ucraina - le viviamo insieme in questa fraternità.

    D. - Quanto la Chiesa può dare una mano nei negoziati di pace?

    R. - Credo possa dare un grande aiuto, soprattutto perché le Chiese in Ucraina hanno scelto di parlare, di incontrarsi. Soprattutto, chiedere il dialogo come unica via per comporre le divergenze. Credo che in un Paese con radici cristiane così profonde, questa possa rappresentare una grammatica comune di intendimento e capacità di superare le difficoltà.

    E all’incontro di preghiera che si è svolto nello stile ecumenico di Taizè, ha partecipato la comunità greco-cattolica ucraina presente nella capitale. Il coordinatore nazionale don Marco Semehn.

    Noi ci incontriamo con i nostri fedeli in tre comunità di Roma. Se si comincia a parlare dell’Ucraina notiamo che tutti piangono: nessuno di noi poteva veramente immaginare che ci potesse essere il rischio di una guerra. Già i 90 giorni di scontri in piazza Maidan hanno portato immensi sacrifici: sono 100 tra ragazzi, studenti, professionisti, artisti, poeti che sono morti perché esprimevano i loro diritti. Poi c’è gente che muore negli ospedali a causa delle ferite riportate durante questi 90 giorni di scontri. Ognuno di noi pensava che fosse tutto finito con questo sacrificio ma poi si è aggiunto il problema della Crimea che porta dolore a tutte le donne, alle famiglie perché ci sono figli e nipoti coinvolti. Loro però pregano.

    Ma come stanno vivendo in Ucraina questa situazione? Ascoltiamo la testimonianza di Andrej Hawlic che vive in Italia da tre anni, e che ha lasciato nell’ex Repubblica sovietica tutta la sua famiglia d’origine.

    La situazione è che nessuno è più sicuro di niente; la speranza è che domani al risveglio sia tutto finito e nessuno vuole pensare che la situazione possa peggiorare. Tutti pregano e sperano che i potenti di questo mondo possano fare in modo che non ci siano più né gli scontri, né la guerra. Vivono con la speranza, ma finché non si risolverà questa situazione non si potrà mai sapere cosa potrebbe succedere; poi la situazione in Crimea e la tensione che sta vivendo tutta l’Ucraina. Stanno nascendo comunque una profonda conversione, speranza ed unità tra il popolo. Questa è una cosa bella in tutta questa sofferenza.

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    Siria. Mons. Zenari: sollievo per liberazione delle suore di Maalula, si spera per gli altri

    ◊   Sono tornate a Damasco le tredici suore ortodosse liberate ieri alla frontiera siro-libanese, dopo tre mesi di prigionia. Le religiose erano state prelevate agli inizi dello scorso dicembre nel convento di Santa Tecla a Maalula, villaggio a maggioranza cristiana a nord della capitale siriana. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Ha generato molto sollievo, e con questo anche speranze, la liberazione delle 13 suore ortodosse di Maalula, che per tre mesi sono rimaste nelle mani degli uomini della Jabhat an Nusra, gruppo di ribelli affiliato ad al-Qaida. “Non ci hanno fatto mancare nulla”: hanno assicurato le religiose parlando dei loro rapitori, precisando di essere state trattate bene e smentendo che i miliziani avessero rimosso le croci dai loro abiti. Come contropartita per la liberazione delle suore, e di tre loro assistenti, sono state rilasciate oltre 150 siriane detenute nelle carceri di Damasco. In questi mesi, delle suore erano stati diffusi due video che avevano indotto a credere che si sarebbe arrivati a una felice conclusione del rapimento. L'arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria:

    R. - È stato un sollievo e una soddisfazione generale, una schiarita in questo periodo così nuvoloso che non lascia ancora intravedere la luce dell’uscita da questo tunnel. È stata una notizia che ci aspettavamo, pregavamo per la liberazione di queste religiose che erano tenute in ostaggio dall’inizio di dicembre. Attualmente, le religiose si trovano a Damasco. Questa sera ci sarà un incontro di preghiera (nella chiesa greco-ortodossa della Santa Croce, Damasco - ndr) per rendere grazie al Signore per questo esito felice.

    D. - Al sollievo per la liberazione delle suore si alterna ovviamente il pensiero che va a tutte le altre persone ancora nelle mani dei sequestratori…

    R. - Speriamo che questa bella notizia, che ha portato una soddisfazione generale, possa aprire la porta anche per la liberazione dei due vescovi ortodossi - dei quali fra poche settimane ricorrerà un anno da quando sono stati presi in ostaggio - e che possa aprire anche la porta alla liberazione dei tre preti, tra cui Paolo Dall’Oglio, gesuita, e anche dei tanti altri sequestrati, sia siriani che stranieri.

    D. - Fanno sperare le dichiarazioni delle suore che hanno sottolineato di essere state sempre trattate con attenzione da parte dei rapitori?

    R. - Sì, questo si sapeva. Il caso di queste religiose ortodosse è un po’ diverso dagli altri: già dall’inizio era possibile avere comunicazioni, si sapeva dov’erano, in una casa messa a disposizione da un cristiano: c’era quindi questo collegamento. Naturalmente, c’era sempre un po’ di ansia, aumentata in queste ultime settimane perché quella zona, la cittadina di Yabroud, ultimamente era diventata teatro di aspri combattimenti tra l’esercito siriano e questi gruppi di ribelli. Si temeva per la loro incolumità, ma grazie a Dio ieri è arrivata questa bella notizia e così sono state liberate.

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    Siria. “Acs”: la minoranza cristiana è la più esposta ai rapimenti

    ◊   Finalmente libere le suore scomparse più di tre mesi fa dal convento ortodosso di Maalula, a nord ovest di Damasco. Le religiose si trovano ora in Libano in attesa di ritornare in Siria. La notizia è stata accolta con gioia da tutta la comunità cristiana che aveva seguito con apprensione la vicenda. Anche Papa Francesco, nell’udienza generale del 4 dicembre scorso, aveva chiesto la loro liberazione. Il servizio di Marina Calculli:

    Sono arrivate ieri nel tardo pomeriggio in Libano le 13 suore libanesi, rapite all’inizio di dicembre scorso nel loro convento di Santa Tecla a Maaloula, in Siria, assieme a 3 cameriere. Ad accoglierle è stato un convoglio di 30 macchine giunto ad Arsal, la località libanese nella valle della Beqaa dove sono state rilasciate le suore. In cambio il regime di Bashar al-Asad libererà 153 attiviste antigovernative rinchiuse nelle carceri siriane. Le religiose sono state trattenute nelle montagne della zona di Qalamun dalla “Jabhat al-Nusra”, una delle principali milizie islamiste che in Siria combattono contro il regime di Damasco. Le suore, in realtà, sono sempre rimaste in contatto con i rappresentanti della chiesa ortodossa siriana e hanno sempre confermato la versione della “Jahbat al-Nusra”: non un rapimento ma una custodia. Pare che a condurre la negoziazione per il rilascio delle religiose sia stata da un lato l’intelligence libanese, più vicina al regime siriano, e dall’altra il Qatar, uno dei protettori e finanziatori della Jabhat al-Nusra.


    Su questa attesa liberazione delle suore di Maalula, Alessandro Gisotti ha raccolto il commento di Marta Petrosillo, portavoce dell’Associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre”:

    R. – E’ veramente una notizia meravigliosa! Nel mese scorso si era detto che i negoziatori avevano perso le tracce delle 13 suore rapite e poi, questo tweet annunciato da al Arabiya che diceva che sarebebro state liberate a breve, poche ore prima dell’annuncio ufficiale della liberazione. E’ una notizia che ovviamente noi di “Aiuto alla Chiesa che soffre” accogliamo con gioia, e speriamo che si possano risolvere anche tante altre questioni che ci sono molto a cuore, in Siria, in particolare quella di padre Dall’Oglio e dei due vescovi di Aleppo, rapiti nello scorso aprile.

    D. – Quella dei rapimenti è proprio una delle piaghe che si accompagna a questa terribile guerra civile in Siria: è un’altra realtà molto grave …

    R. – Assolutamente! E’ una realtà molto grave e giustamente poco conosciuta, perché i casi sono moltissimi e colpiscono in particolar modo la minoranza cristiana, che essendo debole è anche più esposta a questo tipo di situazioni. Abbiamo moltissimi casi di rapimenti per riscatto e moltissimi casi si risolvono molto male.

    D. – Questa vicenda dice anche dell’impegno della Chiesa, dei religiosi come dei laici, in Siria, che non vanno via e che poi rischiano sulla propria pelle queste conseguenze …

    R. – Sicuramente. Ci sono stati tantissimi annunci, tantissimo impegno da parte della Chiesa tutta, in particolare del patriarca Béchara Raï, del nunzio, mons. Zenari … E’ vero: la Chiesa in Siria per i cristiani, ma non solo per i cristiani, è proprio l’unico punto fermo. Abbiamo tantissime testimonianze da diverse città della Siria e ci dicono che senza la Chiesa i cristiani, i fedeli sarebbero persi. E c’è da testimoniare che non solo i cristiani beneficiano della presenza della Chiesa, del sostegno della Chiesa: abbiamo tante realtà cattoliche, come la Caritas, come il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, che sostengono tutta la popolazione: oltre l’80 per cento dei casi assistiti non sono cristiani.

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    Governo. Zamagni: creare posti di lavoro con più imprese e armonia famiglia-lavoro

    ◊   Al centro dell’attenzione in Italia vi è la questione del taglio delle tasse, annunciato ieri dal premier. Matteo Renzi ha detto che mercoledì per la prima volta si taglieranno le tasse di 10 miliardi di euro. E il rilancio della crescita e dell’occupazione, partendo dalla riduzione delle tasse sul lavoro, è anche il tema che oggi il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, porta all'Eurogruppo. Sempre di oggi i dati sulla produzione industriale: per l’Istat a gennaio è aumentata dell1,0% rispetto al mese precedente e dell’1,4% rispetto a gennaio 2013. Sulle misure annunciate da Renzi, Debora Donnini ha sentito Stefano Zamagni, professore di Economia all’Università di Bologna:

    R. – Il taglio del cuneo fiscale e in parte dell’Irap va nella direzione giusta. Dobbiamo, però, sempre ricordarci che si tratta di misure emergenziali, cioè a breve termine. Quello di cui soffre il “sistema Italia” nel suo complesso è un calo veramente pericoloso di produttività e, soprattutto, del tasso di imprenditorialità. Ho motivo di ritenere che Renzi faccia questo nell’immediato, non penso voglia terminare il suo progetto di trasformazione dell’economia italiana solo con queste misure.

    D. – La Commissione Europea, la scorsa settimana, ha lanciato un richiamo all’Italia: ha chiesto che l’Italia agisca in modo urgente per mettere mano al debito pubblico molto elevato e alla debole competitività. Questo è un tema che negli anni passati è stato toccato poco?

    R. – Non è che sia il debito pubblico in assoluto ad aumentare, perché aumenta in relazione al Pil: se questo è calante o è stagnante, è ovvio che quel rapporto aumenta. Quindi, bisogna agire sul Pil, cioè bisogna far partire tutta una serie di iniziative che sono possibili per aumentare il tasso di partecipazione lavorativa. Come? Primo, pluralizzando il mercato delle imprese. Non si può pensare di andare avanti solo con le imprese di tipo capitalistico. Questo è l’errore che molti continuano a fare. Ci sono imprese non capitalistiche, che si chiamano “cooperative sociali”, “imprese sociali”, che essendo caratterizzate da tecnologie ad alta intensità di lavoro sono in grado di assorbire occupazione nel giro di breve termine. Noi però ci ostiniamo a pensare che tutti coloro che cercano lavoro debbano essere inseriti dentro le imprese capitalistiche, quelle che per intenderci devono vedersela sui mercati globali con i competitors come Cina, India, Brasile e così via. Questo è un errore gravissimo. Con alcuni provvedimenti – ne basterebbero pochi – si potrebbero immediatamente creare posti di lavoro, agendo sulle imprese sociali, come l’Europa ci sta dicendo. Secondo: è quello che riguarda il problema della cosiddetta armonizzazione tra i tempi di lavoro e i tempi di vita familiare. Noi, infatti, vogliamo che le donne lavorino, ma che la famiglia non ne risenta in maniera distruttiva. Si chiama armonizzazione il mettere d’accordo i due obiettivi, non conciliazione, perché con la conciliazione noi chiediamo alla famiglia, in particolare alle donne, di adeguarsi alle esigenze delle imprese. Loro, quindi, si adeguano, fanno anche carriera, ma la famiglia si distrugge.

    D. – I dati Istat, resi noti oggi, sull’indice della produzione industriale dicono che a gennaio è aumentata dell’1% rispetto al mese precedente, e dell’1,4% rispetto a gennaio 2013. Secondo lei, è un segnale positivo?

    R. – Che il sistema industriale italiano abbia un nucleo anche piuttosto grosso di imprese che vanno per la maggiore, lo sappiamo da tempo. Basti pensare alle imprese del comparto del distretto industriale dell’Emilia Romagna e così via, che sono all’avanguardia a livello europeo. Il punto non è quello, il punto si chiama “jobless grow”, che vuol dire “crescita senza occupazione”. Il fatto che aumenti la produzione industriale dell’1,4 rispetto all’anno scorso non ci assicura che aumentino nella stessa proporzione anche i posti di lavoro. Le nuove tecnologie, i nuovi processi produttivi resi possibili dalla terza rivoluzione industriale, consentono di aumentare i livelli produttivi anche senza aumentare nella stessa misura i livelli occupazionali. E noi abbiamo bisogno invece di dare lavoro a tutti, perché tutti devono poter lavorare.

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    Omicidi in famiglia. Mons. Rolla (Lecco): Dio non è lontano da questi drammi

    ◊   Sconcerto nell’opinione pubblica per i recenti e drammatici fatti di cronaca in ambito familiare. L’ultima tragedia avvenuta a Lecco, e oggi sulle prime pagine di tutti i giornali, ha suscitato sentimenti di smarrimento e impotenza. L’arcidiocesi di Milano ha invitato alla preghiera. Ma cosa può dire la fede di fronte a queste tragedie? Paolo Ondarza lo ha chiesto a mons. Maurizio Rolla, vicario episcopale per la zona pastorale di Lecco:

    R. – E’ una domanda tagliente… La fede non sta dopo queste cose, la fede sta prima. Non si può pensare che anche queste tragedie non abbiano una misericordia, un perdono, una pacificazione: il Signore non è sordo, il Signore non è cieco, il Signore non è lontano. Io questa cosa la dico, anche se magari la gente dice: “Parole, parole al vento…”. A me non pare. Perché altrimenti continuiamo a parlare di fede, continuiamo a dire che Dio è con noi tutti i giorni e poi, quando ci sono queste cose qui, sparisce tutto? E allora, di fronte alla tragedia, di fronte alla Croce il Signore ci ha detto: “E’ da qui che attiro il mondo, è qui che si capisce cosa vale un uomo, cosa vale una donna”. Ecco, noi cristiani forse non abbiamo questa percezione profonda di annunciare che il Cristo è Colui che mette nelle tragedie o nelle cose più turpi, da cui scaturisce un’impotenza tragica, quel segno di dignità e quel segno di somiglianza all’amore di Dio che non permette di trovarci paurosi o addirittura angosciati e abbattuti da ciò che sta avvenendo.

    D. – Cosa dire sulla solitudine esistenziale che spesso caratterizza tragedie come queste?

    R. – Questa cosa ci interroga e qualche responsabilità sicuramente noi, che siamo vicini, l’abbiamo. D’altra parte, c’è anche una percezione di solitudine che talvolta non è comprensibile oppure non si riesce ad intercettare. Questa forse è la nostra precarietà, che dobbiamo accettare: talvolta siamo proprio impotenti, ma non perché vogliamo essere impotenti o perché non vogliamo fare.

    D. – Cioè, c’è una parte della mente umana insondabile che sfugge a qualsiasi responsabilità di chi è vicino a queste situazioni?

    R. – Credo che non solo una parte, ma spesso la maggior parte della mente umana, del cuore umano, sfugge ai nostri calcoli e ai nostri aiuti… Questo non vuol dire che non dobbiamo sempre stare comunque allerta e vicini al nostro prossimo, non possiamo mai pensare di essere a posto. Però, non possiamo nemmeno pensare di essere superuomini o superdonne, dotati di poteri extrasensoriali…

    D. - …anche perché questo genererebbe, forse, solo un senso di colpa di fronte al quale non si può far nulla…

    R. - …che poi non sarebbe più neanche un senso di colpa, ma sarebbe addirittura un prometeico senso di onnipotenza, che è insulso e forse anche improprio nei confronti della nostra natura umana.

    D. – Cosa dire della grande responsabilità dell’informazione nel veicolare questi fatti di cronaca? Il rischio è che come effetto si provochi solo lo spavento e che, di fronte a tanta violenza, ci si senta solo impotenti e minacciati…

    R. – E’ vero. Non possiamo pensare che nel trattare queste notizie così violente che entrano nelle nostre case, non si possa fare qualcosa di meglio, qualcosa di più, senza negare la realtà tragica. Però, si potrebbe sicuramente, con maggiore forza e intelligenza, penetrare nelle case della gente con una speranza diversa, senza troppo gossip, con una mentalità meno da scoop, con una condizione meno da pugno nello stomaco. Queste cose sono subliminali, talvolta anche molto impercettibili, ma sono importantissime per ciò che lasciano dentro! Invece, noi forse non comunichiamo con amabilità. Nemmeno le tragedie sappiamo raccontarle lasciando ai bambini, ai ragazzi, alle nuove generazioni un piccolo segno di speranza, che non è ingenuità, ma è vero nutrimento.

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    Ragazzi abruzzesi al Santuario di San Gabriele a 100 giorni dall'esame di maturità

    ◊   Al Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, a Teramo, c’è oggi l’incontro di 12 mila studenti delle ultime classi delle superiori, provenienti da tutto l’Abruzzo, per festeggiare i 100 giorni all’esame di maturità. Un ritiro spirituale con preghiera, confessioni, Messa e momenti di festa. Veronica Giacometti ne ha parlato con padre Natale Panetta, rettore del Santuario di San Gabriele:

    R. – Ricordo che è una manifestazione spontanea, nata dai giovani, che vogliono venire qui al Santuario di San Gabriele a trovare San Gabriele a 100 giorni dagli esami. Quindi, è nata spontaneamente, è cresciuta, e per i tanti giovani che preparano gli esami è diventata anche un prepararsi anche psicologicamente, non solo spiritualmente, a questo evento, gli esami di maturità, appunto a 100 giorni dal loro svolgimento.

    D. – Perché proprio San Gabriele? Perché è la figura di questo santo a proteggere i maturandi?

    R. – Quando è morto era ancora un giovane studente e, pur avendo già fatto scelta di vita religiosa, ha continuato gli studi di teologia e filosofia in preparazione degli esami. E’ morto prima di completare quegli studi che gli servivano per prepararsi al sacerdozio. I giovani vedono in San Gabriele uno di loro. E anche patrono dei giovani e compatrono della Gioventù cattolica italiana.

    D. – Qual è il programma della giornata? Quali sono gli orari e le attività principali?

    R. - Prima di tutto, i ragazzi non vengono costretti a venire in Chiesa ma sono invitati ad accostarsi al Sacramento della confessione, anche perché siamo in Quaresima e una buona confessione fa sempre bene. Poi, oltre alle confessioni in cui ci sono 20-25, miei confratelli disponibili ad ascoltare i giovani, ci sono due sante messe in cui il santuario, il nuovo santuario, che può contenere anche cinque, seimila persone, si riempie di giovani. E’ una messa festosa, gioiosa, in cui loro vengono coinvolti.

    D. – Famosa è la benedizione delle penne…

    R. – Dopo la santa messa c’è un gesto che non è di scaramanzia ma è un gesto che simboleggia questa giornata: all’esterno del santuario si benedicono le penne che i giovani useranno per gli esami. Questo interessa molto ai giovani ma è una postilla di questa giornata non è il momento principale. Venire al San Gabriele come classe, incontrarsi, venire con un gruppo, incontrare sotto la cripta San Gabriele che sta nell’urna, confessarsi, partecipare alla Santa Messa, tutto fa diventare questa giornata un momento in cui i ragazzi si ritrovano per prepararsi in questi 100 giorni che mancano agli esami.

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    Fede, arte e cultura a Roma: restaurata la chiesa dei Cappuccini a Via Veneto

    ◊   Dopo un restauro durato quasi due anni, la chiesa di Santa Maria Immacolata dei Cappuccini, in Via Veneto a Roma, torna al proprio splendore: sono infatti rivenuti alla luce preziosi capolavori dell'arte italiana, quasi del tutto dimenticati. Alla presentazione del restauro, stamani, anche il ministro generale dei Frati Minori Cappuccini, frà Mauro Jöhri. Il servizio di Giada Aquilino:

    La tradizione dei frati assegna il Crocifisso ligneo, che accoglie i fedeli a Santa Maria Immacolata, al disegno di Michelangelo. Del Domenichino invece il "San Francesco d’Assisi sorretto dall’Angelo dopo le stimmate". Il "San Michele Arcangelo" è di Guido Reni. Col restauro, torna all’antico splendore la chiesa dei Cappuccini a Via Veneto, in un complesso voluto da papa Urbano VIII Barberini, che raccoglie le testimonianze più esemplari della pittura romana del 1600, ispirata alle forme sia classiciste sia neovenete dell’arte, con una singolare adesione al nascente Barocco. Daniela Porro, soprintendente per il patrimonio storico-artistico e museale di Roma:

    “L’interno della chiesa è stato completamente restaurato: duemila metri quadrati di superficie pittorica. Ricordo, in particolare, il dipinto della volta a botte del Cocetti, del ‘700, raffigurante l’'Assunzione della Vergine'; e poi il pavimento ottocentesco; 29 fra tavole e tele, che decorano le dieci cappelle laterali; il coro settecentesco, realizzato da abili frati intagliatori. E anche l’altare marmoreo, il cui restauro ha portato ad una scoperta: i marmi, infatti, provengono dalla Fabbrica di San Pietro ed è stata ritrovata pure la firma dell’artefice, lo scultore Luca Fancelli. E’ stata poi restaurata una bellissima scultura in stucco, raffigurante l’'Immacolata', un’opera del ‘700, la cui superficie era completamente coperta da pitture successive: è del Maini ed è particolarmente bella ed importante, perché il modello è servito per la scultura d’argento realizzata per la Cattedrale di Lisbona, andata perduta. Il restauro, infine, non ha riguardato soltanto la chiesa superiore, ma anche la facciata: il portone ligneo ed un rilievo”.

    A maggio prossimo, un ciclo di conferenze approfondirà il restauro effettuato. Ce ne parla lo storico dell’arte Giorgio Leone, progettista e direttore dei lavori:

    “Abbiamo cercato di fare un restauro che interessasse tutta la chiesa. Abbiamo preso la chiesa in consegna, dopo tutta la progettazione, a marzo del 2012, e la riconsegniamo oggi, dopo avere restaurato praticamente tutto e in parte fatto degli interventi di manutenzione: dalle tele alle pitture murali, ai legni, ai marmi ed anche agli ex voto e a tutte le lampade. Abbiamo concepito un sistema di illuminazione nuovo, per facilitare proprio la visione delle tele, delle pale d’altare, che sono sicuramente oggetto di devozione, mantenute così da sempre dai Cappuccini, ma che sono al contempo dei capisaldi della pittura italiana”.

    Nei due anni di lavori, tanti i fedeli e i pellegrini che hanno atteso il ricupero di quella che è comunemente chiamata "chiesa dei romani". Ce ne parla il rettore, padre Rinaldo Cordovani:

    R. – La particolarità è che si tratta della prima chiesa a Roma dedicata all’Immacolata Concezione di Maria. I Cappuccini hanno la spiritualità della regola francescana: i Francescani hanno avuto sempre il culto, oltre che del Cristo Crocifisso, del Cristo del presepe, a La Verna e Greccio, anche della Madre di Gesù. San Francesco diceva: “Dobbiamo venerare Maria, perché ha reso Dio nostro fratello”. E qui abbiamo questa soddisfazione di avere, grazie a Urbano VIII e a suo fratello, Antonio Barberini, che era frate cappuccino, la prima chiesa a Roma dedicata all’Immacolata concepita senza peccato originale.

    D. – Padre, un’altra particolarità della chiesa dei Cappuccini a Via Veneto è la cripta...

    R. – La cripta custodisce i resti dei Cappuccini della prima generazione, quindi 1529-1530. L’opera d’arte che poi è stata realizzata nel cimitero, con i resti mortali dei frati, verso la metà del ‘700, ha un messaggio di vita. San Francesco diceva: “Laudato sii mi Signore per sora luna, le stelle, sora acqua”. Ma diceva anche: “Laudato sii mi Signore per sora nostra morte corporale”. E in questa spiritualità francescana della morte che è sorella – perché chiude la vita del tempo ma apre quella dell’eternità – è stata fatta quest’opera d’arte cimiteriale, che è un messaggio di vita, di resurrezione, di eternità.

    Un traguardo importante per i Cappuccini stessi quello del restauro della chiesa di Santa Maria Immacolata. Padre Gianfranco Palmisani, provinciale romano dei Frati Minori Cappuccini:

    R. - Per noi, questa è la chiesa madre, la chiesa dell’Ordine, direi. Oggi, infatti, ci sono i Cappuccini del Lazio, ma nel passato questa era anche la chiesa della Curia generale, quindi del ministro generale dell’Ordine. E’ una chiesa, dunque, importantissima per tutto l’Ordine cappuccino del mondo.

    D. – Dal 1600 ad oggi, il messaggio che avete trasmesso qual è?

    R. – La vita di fraternità, da San Francesco, perché per noi la testimonianza della fraternità è l’elemento, il messaggio più importante.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: negli Usa “la piattaforma dei religiosi per la pace”

    ◊   Mons. Dieudonné Nzapalainga e da Oumar Kobine Layama, rispettivamente arcivescovo e imam di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, sono da sabato negli Stati Uniti per cercare di sostenere la causa del loro Paese, sconvolto dalla più grave crisi della sua storia. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, a loro si unirà il Pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche, proveniente dall’Arabia Saudita dove illustrato alle autorità locali la situazione centrafricana.

    I tre leader religiosi hanno creato la “piattaforma dei religiosi per la pace”, una struttura molto attiva nel cercare di riportare la pace in Centrafrica e nella ricerca di aiuti internazionali per il martoriato Paese. Prima di partire per gli Stati Uniti, mons. Nzapalainga e l’imam Kobine hanno visitato insieme Bossangoa e a Bozoum nel nord del Paese, per lanciare un messaggio di pace e speranza alle popolazioni così duramente provate dalla violenze dei ribelli Seleka e delle vendette dei gruppi anti balaka. Il viaggio dei tre leader religiosi negli Stati Uniti avviene mentre al Palazzo di Vetro dell’Onu si dibatte sulla possibilità di inviare in Centrafrica una missione delle Nazioni Unite per stabilizzare il Paese. (R.P.)

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    Somalia: offensiva contro gli Shabaab. Cadute altre città

    ◊   Almeno 30 presunti militanti di Al Shabaab sono stati arrestati dalle forze somale e dai militari etiopici che le sostengono in due città della regione sud-occidentale di Bakool appena sottratte al controllo del gruppo islamista: lo riferisce l’emittente locale Radio Shabelle, che definisce i centri riconquistati “strategici”. Le retate di presunti militanti sono in corso nel capoluogo Hudur e a Waajid, città riprese nel fine-settimana da forze etiopiche operanti nel quadro della missione militare dell’Unione Africana in Somalia (Amisom).

    I due centri sono stati riconquistati dopo l’inizio di una nuova offensiva contro Al Shabaab giovedì. Un’offensiva che dovrebbe estendersi ad altre regioni della Somalia meridionale confinanti con l’Etiopia. A confermarlo le notizie relative a combattimenti tra unità di Amisom e militanti di Al Shabaab in corso a Burdhubo, una cittadina della regione di Gedo, immediatamente a sud di Bakool.

    A seguito dell’integrazione delle truppe etiopiche, a gennaio, la missione dell’Unione Africana può contare su circa 22.000 effettivi. Il suo sostegno al governo di Mogadiscio è stato decisivo, a partire dal 2011, per il ritiro di Al Shabaab dalla capitale e da diverse città della Somalia centro-meridionale. (R.P.)

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    Fanar: con un comunicato finale conclusa l'Assemblea panortodossa

    ◊   Con la solenne liturgia bizantina officiata dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I e con la partecipazione da tutti i capi delle Chiese ortodosse giunti a Costantinopoli, si sono conclusi ieri i lavori della Synaxis (l'Assemblea) voluta proprio da Bartolomeo. Durante la solenne liturgia - riferisce l'agenzia Asianews - è stato letto il comunicato finale, firmato da tutti eccetto che dai rappresentanti della Chiesa di Antiochia, i quali per protesta non hanno partecipato alla liturgia e non hanno firmato il comunicato. Il motivo: la Synaxis non ha voluto discutere la disputa tra il patriarcato di Antiochia e quello di Gerusalemme su chi dovrebbe avere la giurisdizione sulla Chiesa ortodossa nel Qatar. Bartolomeo e gli altri capi ritengono che tale disputa sia una questione bilaterale, da risolvere in quell'ambito.

    Nel comunicato si è fissato per il 2016 il Sinodo panortodosso, proprio a Costantinopoli. Nel settembre 2014 si riunirà la Commissione preparatoria panortodossa, che terminerà i suoi lavori entro la Pasqua del 2015. Seguirà a metà del 2015 e prima del Sinodo, la Conferenza panortodossa. Si è anche stabilito che l'approvazione dei lavori avverrà con il voto all'unanimità. Nel comunicato si sottolinea che la Synaxis è stata convocata perché la Chiesa ortodossa deve dare la sua risposta alle sfide contemporanee della società, caratterizzata da un sempre più intenso pluralismo e multiculturalismo.

    Nel comunicato si esprime "il sostegno e l'ammirazione per il martirio e la testimonianza" di tutte le popolazioni cristiane dell'Africa e del Medio Oriente, vittime di tremende persecuzioni perfino in quelle terre dove "Cristo è nato e da dove la Buona Novella ha cominciato a diffondersi in tutto il mondo". Una menzione particolare è fatta per i cristiani di Siria, condannando qualsiasi forma di terrorismo e insulti di natura religiosa, facendo appello per la liberazione dei Metropoliti Boulos e Yohanna e di tutti i sacerdoti, e monaci e suore del Monastero di Santa Tecla (poi liberate in serata - ndr).

    Per la crisi che sta colpendo l'Ucraina, si prega "per negoziati pacifici e riconciliazione spirituale", condannando le occupazioni violente di luoghi sacri, invitando i fratelli cristiani separati [la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Kiev - ndr] a ritornare in comunione con la Sacra Chiesa Ortodossa.

    Riferendosi alla crisi economica che colpisce il nostro pianeta, il comunicato ritiene che questa crisi costituisca una forte minaccia per la giustizia sociale, la coesistenza umana e la pace nel mondo. Gli egoismi, l'avidità, l'edonismo e il conseguente abuso di potere, disprezzano la sacralità della natura umana e di conseguenza sono contrari alla fraterna solidarietà e la vera giustizia. Si rileva pure che tale crisi non è solo di natura economica, ma anche spirituale e morale. Per questo la Chiesa è chiamata ad esprimersi in modo profetico. Essa è preoccupata per quelle tendenze che disprezzano e corrodono i principi della fede cristiana e perciò riafferma i valori quali la dignità umana, la sacralità della vita umana dall'inizio alla fine, il dono della creazione, il rispetto dell' ambiente, l'unione tra l'uomo e la donna, espressione dell'unione di Cristo con la sua Chiesa.

    Con la Synaxis, conclude il comunicato, s' è data l'occasione per riconfermare il valore della sinodalità nella tradizione ortodossa, riconfermando la reciproca collaborazione e comunione fra le Chiese e con Gesù Cristo. Proclamare "il messaggio dell'Ortodossia" va di pari passo con il dialogo con popoli e culture, con gli altri cristiani e con le popolazioni di altre fedi. (R.P.)

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    Iraq: la Chiesa caldea in soccorso degli sfollati di Falluja e Ramadi

    ◊   Una rappresentanza di alti responsabili e volontari della Chiesa caldea, guidata dal patriarca Louis Raphael Sako, si è recata nelle aree della capitale irachena dove hanno trovato rifugio gli sfollati delle città di Ramadi e Falluja, portando con sé aiuti e beni di prima necessità da distribuire tra la gente fuggita dalla proprie case da quando, lo scorso gennaio, le due città sono cadute sotto il controllo di milizie legate a al Qaida. L'iniziativa di solidarietà ha avuto luogo sabato scorso.

    Il patriarca Sako, accompagnato da alcuni stretti collaboratori – compreso il suo vescovo ausiliare Sleiman Warduni – ha preso parte alla distribuzione di alimenti, coperte, medicinali e vettovaglie, esprimendo in questo modo solidarietà concreta ai rifugiati e auspicando che lo Stato torni presto a esercitare il proprio legittimo controllo su tutto il territorio nazionale, così da “proteggere i cittadini e prendersi cura di loro”. Il gesto di solidarietà – ha voluto aggiungere il patriarca Sako - “rispecchia veramente l'unità nazionale e lo spirito di cittadinanza che ci lega gli uni agli altri. Le nostre case e le nostre chiese sono aperte a tutti, ora che siamo nel tempo di Quaresima”. I destinatari dell'intervento di soccorso guidato dal patriarca Sako appartenevano tutti a gruppi familari musulmani.

    Dall'inizio di gennaio 2014 gruppi armati anti-governativi – comprese le formazioni jihadiste dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) – controllano Falluja e alcuni quartieri di Ramadi, città che si trovano soltanto a 60 e a 100 chilometri a ovest di Baghdad. Secondo dati diffusi dalla Mezzaluna Rossa, a metà gennaio già più di 13mila famiglie avevano abbandonato la sola città di Falluja. (R.P.)

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    Egitto. La Chiesa copta ortodossa: evacuare i cristiani copti dalla Libia

    ◊   In seguito alla strage dei 7 lavoratori copti ortodossi massacrati a Bengasi lo scorso 23 febbraio, la Chiesa copta ortodossa, attraverso il vescovo Pacomio, ha sollecitato le autorità civili competenti a favorire in tutti modi l'evacuazione dalla territorio libico dei copti emigrati in quel Paese per motivi di lavoro e che ora vogliono tornare in Egitto. Lo rivela - come riportato da fonti egiziane consultate dall'agenzia Fides - il giurista Tharwat Bakhit, avvocato di Cassazione e presidente dell'Osservatorio egiziano per i diritti umani. La notizia è stata confermata dal portavoce del Ministero degli Esteri egiziano Bar Abdel-Aty, il quale ha riferito che sono in corso fitti contatti con la segreteria del Patriarca Tawadros II per stilare le liste di copti che dalla Libia vogliono tornare in Egitto.

    Domenica 23 febbraio i sette egiziani erano stati prelevati nelle loro abitazioni da uomini armati. I loro corpi sono stati ritrovati il giorno successivo in una località alla periferia della città. Le vittime sono state uccise da colpi d’arma da fuoco al petto e alla testa. Negli ultimi giorni, in Egitto, si susseguono i pronunciamenti e le manifestazioni dei copti – come la catena umana davanti alla locale sede dell'Onu convocata per domenica dal Movimento giovanile Maspero – per chiedere ammonizioni ufficiali e sanzioni conto il governo libico, accusato di immobilismo davanti alla strage e alle altre violenze perpetrate contro i cristiani da bande criminali d'impronta islamista. (R.P.)

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    Pakistan: Chiesa cattolica in aiuto alle popolazioni del Sindh, colpite dalla siccità

    ◊   La Chiesa cattolica pakistana organizza veglie di preghiera e raccolte fondi per le vittime della siccità nel Sindh; nella giornata di ieri si è tenuta una speciale celebrazione a favore di oltre 2mila villaggi, sparsi nella provincia meridionale del Paese. Nelle varie parrocchie sono stati allestiti dei Centri di raccolta, per finanziare iniziative immediate di aiuto e soccorso alla popolazione, sempre più a rischio fame e malattie. I volontari - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno avviato i primi progetti di assistenza, per fronteggiare una crisi devastante che ha causato - negli ultimi tre mesi - la morte di oltre 130 bambini.

    Il Primo Ministro del Pakistan Mian Nawaz Sharif, assieme ad alti funzionari governativi della provincia del Sindh, ha raggiunto il distretto sud-orientale di Thar e ha incontrato la popolazione locale. L'area ospita la più importante comunità indù al di fuori dell'India con oltre 2,3 milioni di persone, la maggior parte delle quali dedite all'agricoltura e a lavori di bassa manovalanza.

    L'esecutivo centrale e locale hanno assicurato il massimo impegno per fronteggiare la crisi, ma la situazione è drammatica e gli interventi si sono rivelati sinora inefficaci. Il sindaco della cittadina di Bhari ha annunciato un fondo di 200 milioni di rupie per la popolazione, cui si è unito un progetto comune promosso dalla società civile in aiuto ai più piccoli. Dal suo account Twitter il leader del Partito popolare pakistano (Ppp) Bilawal Bhutto Zardari ha lanciato una richiesta di aiuto all'associazione dei medici pakistani, chiedendo loro "massimo sostegno" in una situazione di emergenza per la "grave carenza di dottori".

    Il Pakistan è spesso teatro di gravi disastri naturali fra cui terremoti, alluvioni e ondate cicliche di siccità con conseguenti carestie. Fonti ospedaliere riferiscono che nel solo distretto di Tharparkar sono morte oltre 120 persone negli ultimi tre mesi, a dispetto delle stime ufficiali del governo del Sindh che parlano di un numero di vittime inferiore alla metà. A causa della malnutrizione nel mese di febbraio sono deceduti 32 minori.

    Secondo il bilancio fornito dall'ospedale di Mithi Taluka, nel dicembre scorso sono morti 38 bambini per la mancanza di cibo e acqua; almeno 42 le vittime registrate a gennaio e 36 nel mese di febbraio. Solo in questi primi giorni di marzo sono morti almeno cinque bambini. (R.P.)

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    India. Attacco ad una sala di preghiera cristiana in Orissa: due arresti

    ◊   Due persone sono state arrestate dopo l’attacco ad una sala di preghiera cristiana in costruzione in Orissa. In seguito all’episodio, che ha ridestato l’incubo degli attacchi anticristiani, il governo dell’Orissa ha schierato 70 agenti di polizia nel villaggio di Pradhanpada, nel distretto di Kandhamal, in Orissa. L’attacco è avvenuto il 6 marzo scorso, da parte di un gruppo di integralisti indù. Come riferito all'agenzia Fides, l’intervento della polizia intende prevenire ulteriori problemi e ripristinare la normalità. Nell’incidente gli integralisti hanno attaccato la struttura in costruzione per ostilità verso la fede cristiana e accusando le famiglie cristiane che ne curavano l’edificazione di voler fare “proselitismo”.

    Dopo la denuncia presentata dai cristiani, alcuni leader dell’amministrazione del distretto, di organizzazioni della società civile e di comunità religiose locali si stanno adoperando per una composizione amichevole della questione. Fonti di Fides affermano che nel distretto di Kandhamal la tensione resta sotto traccia nella società e i fedeli continuano a vivere in uno stato di paura. Il distretto è stato teatro dei massacri anticristiani del 2008, che fecero 100 morti e oltre 50mila sfollati. A diversi anni dalle violenze estremiste, numerosi colpevoli restano liberi, mentre continuano le discriminazioni verso quanti sono tornati nella propria casa, nell’inerzia del governo e della polizia. (R.P.)

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    India. Spostare le elezioni previste il Giovedì Santo: richiesta dei cristiani di Goa

    ◊   La Chiesa di Goa si oppone alla decisione di tenere le elezioni generali nello Stato il 17 aprile, giorno che coincide con il Giovedì Santo. Come appreso da Fides, la richiesta di un rinvio è stata espressa pubblicamente dall’arcivescovo di Goa e Daman, mons. Filipe Neri Ferrao, che ha inviato una lettera alla Commissione elettorale dell’India. La domanda ha trovato convinto sostegno di cattolici, attivisti sociali e alcuni partiti politici a Goa che, come riferito a Fides, hanno a loro volta presentato una petizione alla Commissione elettorale dell'India per chiedere di cambiare la data di voto, anticipandola a mercoledì.

    Nelle missiva, l’arcivescovo informa che il Giovedì Santo è uno dei giorni più solenni dell’anno liturgico, e che la data delle elezioni si tradurrebbe, per molti fedeli cattolici, in un grave conflitto tra doveri religiosi e doveri costituzionali, soprattutto perché oltre il 40% di quanti sono impegnati negli uffici elettorali sono cristiani, che si vedrebbero impossibilitati a frequentare le celebrazioni religiose.

    Nella petizione presentata dalle organizzazioni, si specifica che “il Giovedì Santo è un giorno sacro per la comunità cristiana ed è l’inizio del Triduo Pasquale”, ha spiega l’avvocato cattolico Aires Rodrigues, chiedendo alle autorità di rispettare le festività di tutte le comunità religiose e affermando che gli elettori cristiani troverebbero difficoltà a osservare il dovere civico del voto. I cristiani sono quasi il 30% della popolazione di Goa. La petizione spiega che “il Giovedì Santo ha una notevole importanza per la vita della comunità cristiana, dato che è il giorno in cui si fa memoria dell’Ultima Cena di Cristo, costituisce la fine del periodo quaresimale e si trova nel mezzo della Settimana Santa”. Altra proposta è quella di posticipare il voto dopo la Pasqua. (R.P.)

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    Venezuela. Il vescovo di Maracay: “Non c’è pace senza giustizia”

    ◊   Tutto ciò che riguarda la pace deve basarsi principalmente sulla volontà di dialogo da entrambe le parti, uno dei passi da fare per avere la pace è proprio accettare le differenze e fare uso della buona volontà: lo ha affermato ieri, domenica, il vescovo della diocesi di Maracay in Venezuela, mons. Rafael Ramón Conde Alfonzo, riferendosi alla situazione nazionale.

    La nota inviata all’agenzia Fides riferisce la parole del vescovo: "Ci sono diversi elementi che devono essere presi in considerazione se si vuole veramente la pace in Venezuela. Occorre partire dal fatto che tutti noi abbiamo diversi modi di pensare, ed entrambe le parti devono accettare questa realtà. Per avere la pace ci deve essere la giustizia, perché non può esserci la pace, se non c'è la giustizia".

    Purtroppo il clima di violenza non si ferma nel paese: ieri negli scontri è morta un'altra persona a Merida. Diversi sindaci dei comuni vicini alla capitale hanno denunciato alla stampa l'intervento violento della polizia contro la popolazione che manifestava, avvertendo che ormai stanno perdendo autorità per poter controllare le proteste. Circa un mese di manifestazioni in tutto il territorio venezuelano hanno causato 21 morti, mentre il Presidente Maduro ha convocato un terzo incontro per mercoledì prossimo. (R.P.)

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    Argentina: intervento della Chiesa sul dilagare della droga

    ◊   Il vescovo della diocesi di Neuquén e primo vicepresidente della Conferenza episcopale argentina, mons. Virginio Domingo Bressanelli, ha affermato che "non sarebbe male" che i funzionari pubblici venissero sottoposti agli esami medici per assicurarsi che non siano dipendenti da droghe. La nota inviata all’agenzia Fides da una fonte locale, riferisce che il vescovo si è espresso così commentando la proposta del sindaco di questa località argentina, Horacio Quiroga, sulla possibilità di sottoporre ad una rinoscopia tutti i funzionari del governo.

    “Penso che sarebbe bene - ha detto mons. Bressanelli - prima di tutto perché è un modo per sapere che il funzionario è una persona sana, poi per confermare la fiducia di tutti in questa persona, dal momento che sappiamo che purtroppo ormai la droga è entrata a tutti i livelli della società. In definitiva, salvaguardare la salute della società è importante” ha aggiunto il vescovo, che poi ha citato come esempio il governatore di Chubut, che ha già fatto il test.

    Il sindaco di Neuquén aveva detto nei giorni scorsi che se lo Stato vuole combattere il narcotraffico, deve avere l'autorità morale di contare fra i suoi membri persone pulite e sane al riguardo. Mons. Bressanelli ha voluto ampliare il suo commento, nella nota giunta a Fides, affermando che "è molto preoccupato perché ogni giorno cresce il consumo di droga fra i più giovani, e il Paese vive una realtà tremenda e di conflitto a questo riguardo".

    "Dobbiamo pensare a nuove politiche per difendere i giovani e i bambini da questo flagello. A volte ci sono delle leggi, ma le leggi sono nell'aria, perché non c'è confronto con la realtà concreta, e la realtà concreta si combatte con le azioni" ha precisato. "Dovremmo anche affrontare le cose dal punto di vista educativo, offrire qualcosa di diverso ai giovani. Alcuni giovani non vedono futuro, non hanno alcun sostegno familiare, non hanno famiglia, la loro formazione è insufficiente e quindi vanno a cercare la felicità in ciò che sembra la cosa più facile" ha aggiunto il vescovo. Mons. Bressanelli conclude mettendo in luce che questo problema "non si risolve con la criminalizzazione e il carcere. La strada deve essere diversa, in modo che i bambini e i giovani riescano a scoprire il senso della loro vita e una prospettiva futura".

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    Usa-Messico: i vescovi ricorderanno le migliaia di emigranti morti alla frontiera

    ◊   Il 30 marzo ed il 1° aprile i vescovi degli Stati Uniti e i vescovi del Messico si incontreranno alla frontiera tra i due Paesi (a Nogales, in Arizona) per camminare insieme lungo il confine tra le due nazioni americane, dove negli ultimi anni sono morti circa 6 mila latinoamericani che cercavano di arrivare negli Stati Uniti. La nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America (Usccb), riferisce che il 1° aprile alle ore 9, i vescovi degli Stati Uniti e i vescovi del Messico concelebreranno l'Eucaristia in memoria delle migliaia di persone morte cercando una vita migliore.

    L'iniziativa, espressamente ispirata alla visita pastorale di Papa Francesco sull'isola di Lampedusa (8 luglio 2013), è stata promossa dalla Commmissione per le migrazioni della Usccb. Il comunicato sottolinea: "Il proposito di questo viaggio è mettere l'accento sulla sofferenza umana causata da un sistema migratorio fallimentare, questione che nel dibattito nazionale sull'immigrazione è spesso sottovalutata”.

    Mons. Eusebio Elizondo, vescovo ausiliare di Seattle e presidente della Commissione per le Migrazioni, sottolinea il tema centrale della "dimensione umana dell’immigrazione", perché la questione "riguarda esseri umani" e non solo "temi economici e sociali". “Quanti sono morti o vengono deportati quotidianamente - aggiunge mons. Elizondo - hanno il medesimo valore e la medesima dignità innata che Dio ha donato a tutte le persone”. Il presule statunitense inoltre sottolinea: “La frontiera tra Stati Uniti e Messico è la nostra Lampedusa” e ricorda il viaggio di Papa Francesco e le sue parole di condanna della "globalizzazione dell'indifferenza" e della "cultura dello scarto".

    A novembre 2013 sul confine venne celebrata una singolare Eucaristia per commemorare le vittime dell’emigrazione: l’altare infatti era diviso in due dalla rete metallica che segnava la frontiera. Da una parte c’era il vescovo di El Paso (Texas, Usa) e dall’altra il rappresentante del vescovo di Ciudad Juárez (Chihuahua, Messico). (R.P.)

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    Ccee: incontro su famiglia e presenza della Chiesa nella società

    ◊   Le sfide sulla famiglia, il crescente numero di convivenze, la presenza della Chiesa nella società. Sono alcuni dei temi affrontati nel corso dell’incontro dei presidenti e dei cardinali delle Conferenze episcopali dell’Europa centro-orientale, che si è tenuto a Varsavia, su invito del cardinale Peter Erdő, presidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee), e di mons. Józef Michalik, presidente della Conferenza episcopale polacca. Presenti cardinali, arcivescovi e vescovi da Ungheria, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina, Lituania, Bielorussia e Polonia, nonché il nunzio apostolico in Polonia.

    “Di fronte alle diverse sfide sorte nelle attuali società nei confronti della famiglia, dovute anche a un forte cambiamento verso la società secolarizzata, le Chiese - riporta una nota del Ccee di sintesi dell’incontro ripresa dall'agenzia Sir - hanno provato a trovare risposte adeguate. La riflessione ha sottolineato soprattutto la difficile situazione della famiglia, il crollo demografico e l’aumento di famiglie divise, ma anche lo sforzo pastorale, indirizzato alla riscoperta della vita familiare a una nuova mentalità riguardo all’apertura alla vita e all’educazione religiosa. I vescovi hanno sottolineato il ruolo dei movimenti ‘pro familia’, le stesse famiglie coinvolte nella pastorale e le iniziative indirizzate alla difesa del matrimonio fra un uomo e una donna come per esempio il referendum in Croazia”.

    I presuli si sono interrogati pure sulla “preparazione al matrimonio e alla vita familiare, non soltanto all’avvicinarsi del matrimonio, ma già nell’età giovanile”: questa “deve toccare il tema di cosa significhi essere famiglia” e, riguardo ai “metodi di lavoro pastorale”, “la testimonianza della vita familiare risulta essere il più convincente metodo nella preparazione al matrimonio e alla famiglia”. Di fronte alla crescente presenza di convivenze senza alcuna formalità istituzionale e altre situazioni difficili, invece, “i vescovi hanno insistito sulla necessità di avere parrocchie che siano vere comunità accoglienti”, “mostrando l’amore di Dio per tutti: amore che non entra in conflitto con le esigenze di verità sul matrimonio”.

    Infine, circa la “presenza della Chiesa nella società”, è stato sottolineato l’impiego di “notevoli risorse nella formazione dei giovani sia nelle parrocchie sia nelle scuole”, “un’apertura all’appoggio pubblico all’attività di utilità pubblica della Chiesa” che si verifica in alcuni Paesi, l’impegno della Chiesa per la “formazione morale senza la quale non esiste stabilità sociale” e il “ruolo di riconciliazione che la Chiesa svolge sia a livello nazionale sia tra le diverse nazioni”. Da ultimo, una preghiera “per l’Ucraina che vive un momento molto delicato, auspicando che la situazione venga presto chiarita nella pace per il bene di tutti”. (R.P.)

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    Univ. salesiana: incontro con Giovanni Allevi nel 25.mo della Facoltà di Scienze delle Comunicazioni sociali

    ◊   “Comunicazione e Musica. Incontro con il compositore filosofo Giovanni Allevi”. Il titolo dell’evento promosso dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale (Fsc) della Pontificia Università Salesiana (Ups), a Roma, in occasione delle celebrazioni del suo XXV di fondazione. L’appuntamento è per sabato 15 marzo, alle ore 17, nell’Aula Paolo VI dell’Ateneo, dove il Maestro Allevi – dopo aver visitato la sede della Facoltà – suonerà alcuni brani del suo ampio repertorio e dialogherà con i partecipanti, rispondendo alle domande preparate dagli studenti.

    Al maestro Allevi sarà conferito dalla Fsc un riconoscimento di speciale benemerenza nel campo della Comunicazione sociale e per l’attenzione al mondo giovanile. L’incontro culturale si pone a suggello delle attività previste per la Giornata dell’Università, dedicata al tema “Perché studio all’Ups? Abbiamo un ideale da scoprire e da realizzare insieme!”, che avrà luogo il mattino di mercoledì 12 marzo e dell’incontro “Open Future” di orientamento per gli studenti delle scuole superiori e delle loro famiglie alla Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale, che si svolgerà nella sede della Fsc sabato pomeriggio 15 marzo, dalle 15 alle 16.30.

    L’ingresso nell’Aula Paolo VI per incontrare il maestro Allevi sarà possibile solo con biglietto di invito, da ritirarsi a partire da oggi presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale o l’Ufficio studenti dell’Ups, in piazza dell’Ateneo salesiano, 1. (A cura di Roberta Gisotti)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 69

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.