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Sommario del 04/03/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: oggi ci sono cristiani condannati perché hanno una Bibbia
  • Nomina episcopale di Papa Francesco negli Usa
  • Tweet del Papa: tutti sbagliamo, impariamo a riconoscerlo e a chiedere scusa
  • Il card. Abril y Castelló nuovo presidente della Commissione cardinalizia dello Ior
  • Card. Turkson: preoccupano ideologie che provano a riscrivere diritti umani o a crearne nuovi
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina, Putin parla di colpo di Stato. La Chiesa locale: i russi tornino nel proprio Paese
  • Egitto: Hamas dichiarato fuorilegge, sequestrati beni dei fondamentalisti
  • Sud Sudan: 900 mila sfollati. Una missionaria comboniana: "La gente ha perso la speranza"
  • Belgio: Re Filippo firma la legge sull'eutanasia per i minori, ignorate le cure palliative
  • Sacerdote ucciso, per il vescovo Galantino: un uomo sempre pronto per tutti
  • Italia, alcol e giovani: mezzo milione a rischio dipendenza. Emanuele Scafato: servono prevenzione e norme
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Brasile: Campagna di Fraternità contro la tratta di esseri umani
  • Polonia: preoccupazione dei vescovi per la situazione in Ucraina
  • Congo: i vescovi dicono no a elezioni indirette perchè temono frodi e manipolazioni
  • Siria. L'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo: in Quaresima preghiere e digiuni per chiedere il dono della pace
  • Iraq. Mons. Sako: fermare l’esodo per preservare origini e storia dei cristiani iracheni
  • Pakistan. Minacce a giudici e avvocati: restano in carcere due cristiani accusati di blasfemia
  • India. Kandhamal: i cristiani "vivono nel terrore per colpa dei fondamentalisti indù"
  • Coree. Riunificazioni familiari: Seoul propone a Pyongyang di "stabilizzare gli incontri"
  • Filippine: “La povertà disumanizza il Paese”: messaggio dei vescovi per la Quaresima
  • Indonesia. Roghi nelle foreste a Sumatra: 30mila persone colpite da fumo e smog
  • Colombia: la Chiesa chiede lo smantellamento delle bande criminali
  • Messico: il Mercoledì delle ceneri, 200 sacerdoti nelle carceri per portare speranza
  • Cerimonia di apertura del 27.mo Capitolo generale dei Salesiani
  • Inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Europea di Roma
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: oggi ci sono cristiani condannati perché hanno una Bibbia

    ◊   “La Croce è sempre nella strada cristiana”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Il Papa ha incentrato la sua omelia sulle persecuzioni dei cristiani e ha avvertito che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa. Quindi, ha affermato che la vita cristiana non è “un vantaggio commerciale”, ma “è semplicemente seguire Gesù”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Gesù aveva appena finito di parlare sul pericolo delle ricchezze e Pietro gli domanda cosa riceveranno i discepoli che hanno lasciato tutto per seguirlo. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questo confronto, narrato dal Vangelo odierno, e subito ha sottolineato che Gesù “è generoso”. In verità, risponde il Signore, “non c’è nessuno che abbia lasciato” la famiglia, la casa, i campi che “non riceva già ora in questo tempo, cento volte tanto”. Forse, ha commentato il Papa, Pietro pensa che “andare dietro Gesù” sia una “bella attività commerciale”, perché ci fa guadagnare cento volte tanto. Ma Gesù aggiunge che accanto a questo guadagno ci saranno persecuzioni:

    “Come se dicesse: ‘Sì, voi avete lasciato tutto e riceverete qui, in terra, tante cose: ma con la persecuzione!’. Come un’insalata con l’olio della persecuzione: sempre! Questo è il guadagno del cristiano e questa è la strada di quello che vuole andare dietro a Gesù, perché è la strada che ha fatto Lui: Lui è stato perseguitato! E’ la strada dell’abbassamento. Quello che Paolo dice ai Filippesi: ‘Si abbassò. Si è fatto uomo e si abbassò fino alla morte, morte di croce’. Questo è propria la tonalità della vita cristiana”.

    Così anche nelle Beatitudini, ha proseguito il Papa, quando Gesù dice: “Beati voi quando vi insulteranno, quando sarete perseguitati a causa del mio nome”, “è una delle Beatitudini la persecuzione”. I discepoli, ha rammentato, “subito dopo la venuta dello Spirito Santo, hanno cominciato a predicare e sono cominciate le persecuzioni: Pietro è andato in carcere”, Stefano è stato ucciso e poi “tanti discepoli fino al giorno d’oggi”. “La Croce – ha ammonito – è sempre nella strada cristiana!” “Noi – ha ribadito – avremo tanti fratelli, tante sorelle, tante madri, tanti padri nella Chiesa, nella comunità cristiana”, ma “anche avremo la persecuzione”:

    “Perché il mondo non tollera la divinità di Cristo. Non tollera l’annuncio del Vangelo. Non tollera le Beatitudini. E così la persecuzione: con la parola, le calunnie, le cose che dicevano dei cristiani nei primi secoli, le diffamazioni, il carcere… Ma noi dimentichiamo facilmente. Ma pensiamo ai tanti cristiani, 60 anni fa, nei campi, nelle prigioni dei nazisti, dei comunisti: tanti! Per essere cristiani! Anche oggi… ‘Ma oggi abbiamo più cultura e non ci sono queste cose’. Ci sono! E io vi dico che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa.”

    Tanti fratelli e sorelle, ha proseguito, “che danno testimonianza di Gesù, offrono la testimonianza di Gesù e sono perseguitati”. Cristiani, ha constatato con amarezza, che non possono neppure avere la Bibbia con sé:

    “Sono condannati perché hanno una Bibbia. Non possono portare il segno della croce. E questa è la strada di Gesù. Ma è una strada gioiosa, perché mai il Signore ci prova più di quello che noi possiamo portare. La vita cristiana non è un vantaggio commerciale, non è un fare carriera: è semplicemente seguire Gesù! Ma quando seguiamo Gesù succede questo. Pensiamo se noi abbiamo dentro di noi la voglia di essere coraggiosi nella testimonianza di Gesù. Anche pensiamo - ci farà bene - ai tanti fratelli e sorelle che oggi - oggi! - non possono pregare insieme, perché sono perseguitati; non possono avere il libro del Vangelo o una Bibbia, perché sono perseguitati”.

    Pensiamo, ha detto ancora, a quei fratelli che “non possono andare a Messa, perché è vietato”. Quante volte, ha affermato, “viene un prete di nascosto, fra di loro, fanno finta di essere a tavola, a prendere un tè e lì celebrano la Messa”, “perché non li vedano”. “Questo – ha avvertito il Papa - succede oggi”. Pensiamo, ha concluso, se siamo disposti “a portare la Croce come Gesù? A portare persecuzioni per dare testimonianza di Gesù”, come “fanno questi fratelli e sorelle che oggi sono umiliati e perseguitati”; “questo pensiero ci farà bene a tutti”.

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    Nomina episcopale di Papa Francesco negli Usa

    ◊   Negli Usa, Papa Francesco ha nominato Vescovo Ausiliare di Portland in Oregon mons. Peter Leslie Smith, del clero dell’arcidiocesi di Portland in Oregon, finora Vicario Generale e Moderatore della Curia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tubune in Mauritania.

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    Tweet del Papa: tutti sbagliamo, impariamo a riconoscerlo e a chiedere scusa

    ◊   Tweet di Papa Francesco, lanciato questa mattina dal suo account @Pontifex: “Nella vita tutti facciamo tanti sbagli. Impariamo a riconoscere i nostri errori e a chiedere scusa”.

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    Il card. Abril y Castelló nuovo presidente della Commissione cardinalizia dello Ior

    ◊   I membri della Commissione Cardinalizia dello IOR, Istituto per le Opere di Religione, hanno nominato oggi il cardinale Santos Abril y Castelló come loro presidente. In base allo Statuto dell’Istituto, ricorda un comunicato della Sala Stampa vaticana, i membri della Commissione sono nominati dal Papa per un periodo di cinque anni. La Commissione Cardinalizia è convocata dal cardinale presidente almeno due volte l'anno ed esamina le relazioni sui principali processi di business e la strategia generale, presentate dal presidente del Consiglio di Sovrintendenza. Infine, la Commissione vigila sulla fedeltà alle disposizioni statutarie e nomina i membri del Consiglio di Sovrintendenza.

    L’attuale Commissione Cardinalizia è stata nominata dal Santo Padre nel gennaio 2014 ed è composta dai Cardinali: Santos Abril y Castelló (arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore), Thomas Christopher Collins (arcivescovo di Toronto), Pietro Parolin (segretario di Stato), Christoph Schönborn (arcivescovo di Vienna) e Jean-Louis Tauran (presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso).

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    Card. Turkson: preoccupano ideologie che provano a riscrivere diritti umani o a crearne nuovi

    ◊   Nel giorno in cui Papa Francesco ha ricordato le persecuzioni che colpiscono ancora troppi cristiani in varie parti del mondo, il tema della libertà religiosa è stato affrontato anche dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, in un Convegno sui diritti umani organizzato dalla Conferenza episcopale slovacca per oggi a Bratislava. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La guerra in nome di Dio e Dio “nascosto” nel privato di un'esistenza. Sono i due avversari di una normale vita religiosa. La Chiesa lo afferma da sempre, nonostante le persecuzioni di tanti suoi figli, e alimentando il dialogo con chi, pur di altra fede, condivide la verità per cui non si può strumentalizzare Dio per scopi di violenza, né lo si può cancellare dalla vita pubblica. A ribadirlo ancora una volta è stato il cardinale Peter Turkson a Bratislava, dove un Convegno ha fatto il punto su come la Chiesa intenda i diritti umani. Quello alla libertà religiosa, ha dichiarato il cardinale Turkson, “riassume la libertà di ciascuno a vivere secondo la propria comprensione più profonda della verità”. La libertà di religione, ha soggiunto, “è inseparabile dalla libertà di pensiero e di coscienza” e include sia la possibilità di cambiare credo, sia quella di manifestare la propria fede personalmente o in comunità. Riecheggiando a distanza Papa Francesco, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha ripetuto che oggi “i cristiani sono il gruppo religioso che soffre la persecuzione nel maggior numero di Paesi a causa della propria fede” e si è appellato a tutti i governi affinché proteggano i diritti dei loro cittadini, “qualunque sia la loro religione”.

    Certamente le sole leggi non bastano. Per possedere una mentalità rispettosa di questo diritto è necessaria – ha affermato il cardinale Turkson – una efficace “educazione religiosa”, che faccia comprendere all’uomo “il contributo positivo che la fede genuina può offrire”. E tale educazione deve guardarsi dalla “concezione relativista” che “restringe il campo di applicazione” di tutti i diritti umani, alla cui base c’è sempre – ha detto – “la dignità intrinseca di ogni persona”. Ciò li rende “universali, inalienabili ed inviolabili” e non soggetti alle mutevoli e contingenti visioni politiche o culturali. E sul punto, il cardinale Turkson si è detto preoccupato di quelle “ideologie che provano a riscrivere i diritti dell’uomo o a crearne dei nuovi”, come “la promozione dei così detti ‘diritti riproduttivi’ che nascondono il dramma dell’aborto”, l’eutanasia anche per i minori, l’ideologia di "genere", i matrimoni omosessuali. La Chiesa cattolica, ha concluso, è e resta vero “attore protagonista” nello sforzo “di fare dei diritti dell’uomo una realtà”, poiché essa “sostiene continuamente la dignità intrinseca della persona" e il "diritto alla vita, dal concepimento fino alla morte naturale, come il primo tra tutti i diritti dell’uomo e la pre-condizione per tutti gli altri”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Più martiri oggi che in passato: Messa del Papa a Santa Marta.

    Ripensare alla morte per cambiare vita: Oddone Camerana su arte funeraria e pratiche di lutto.

    Parallele che si incontrano all’infinito: la lectio magistralis del cardinale Gianfranco Ravasi dedicata alle nuove sfide del dialogo tra morale e scienza.

    La sfida del non ancora: il cardinale Giuseppe Bertello all’Università Europea di Roma.

    Che il digiuno alimenti Cristo che ha fame: Manuel Nin su Severo di Antiochia e le porte della Quaresima.

    Corpo a corpo spirituale: Enrico Rusconi sul mercoledì delle ceneri secondo Frederik W. Faber.

    Un articolo di Rossella Fabiani dal titolo “Nell’isola che non c’è”: l’archeologo Paolo Gallo racconta dieci anni di missioni in Egitto.

    Un anno in un mosaico: il direttore Dario Edoardo Viganò sulle iniziative del Centro televisivo vaticano per l’anniversario di Pontificato.

    Riesplode nel Darfur l’emergenza profughi.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina, Putin parla di colpo di Stato. La Chiesa locale: i russi tornino nel proprio Paese

    ◊   Il leader del Cremlino, Vladimir Putin, definisce la caduta dell'ormai ex presidente ucraino Ianukovich e la conseguente instaurazione di un nuovo governo a Kiev "un'azione incostituzionale" e "una presa del potere con le armi". Secondo Putin, al momento "non c'è la necessità" di inviare truppe russe in Ucraina, anche se "la possibilità rimane". In ogni caso, il presidente russo sottolinea che "la Russia si riserva il diritto di ricorrere a tutti i mezzi per proteggere i russi in Ucraina". E poi Putin avverte: Mosca non riconoscerà le presidenziali ucraine fissate per il 25 maggio se si svolgeranno in una atmosfera di terrore. Le dichiarazioni di Putin fanno seguito all'annuncio da parte della Gazprom: a partire da aprile la Russia cancellerà lo sconto sul gas concesso a dicembre all'Ucraina. Da parte sua, gli Stati Uniti sospendono le trattative in corso con la Russia per aumentare gli scambi commerciali e gli investimenti. Mosca risponde spiegando che se sarà oggetto di sanzioni sarà costretta a lasciare il dollaro per altre valute e creare il proprio sistema di calcolo e pagamenti. Per sentire la voce della Chiesa nella crisi ucraina, Fausta Speranza ha intervistato padre Mykhaylo Dymyd dell'Università cattolica di Leopoli:

    R. - Il popolo è molto calmo ma anche ansioso. In tutto il Paese ci sono tanti volontari che si offrono se necessario a difendere il Paese. Tutti sentono il bisogno di unità, unità che va oltre la lingua, la religione e le origini. Queste cose in Ucraina non sono mai state un problema. L’Ucraina è sempre stata un Paese con tante persone di origini diverse.

    D. - In tutto questo, qual è la voce della Chiesa?

    R. - Sul mio profilo Facebook tanta gente mi chiede: “Ma adesso che noi preghiamo insieme, forse possiamo anche raggiungere l’unità di tutte le Chiese in Ucraina”. La gente quindi ne risente di tutto questo. Oggi, un vescovo legato al Patriarcato di Mosca ha scritto chiaramente che noi dobbiamo dire che l’invasore è la Russia. Noi chiediamo quindi alla Russia di tornare nel proprio Paese perché noi possiamo farcela da soli. Lo stesso vescovo lo conferma e questo offre grande speranza, perché vuol dire che tutti noi cerchiamo la verità ed anche se è molto difficile la troviamo e la esprimiamo. Il Consiglio delle organizzazioni religiose di Kiev, dove ci sono rappresentanti della Chiesa greco cattolica, della Chiesa cattolica romana, di diverse confessioni ortodosse - ci sono tre grandi rami della Chiesa ortodossa in Ucraina - tutti hanno firmato un documento per chiedere all’esercito russo di lasciare l’Ucraina, perché l’Ucraina non ha bisogno di loro ma può farcela da sola. Io voglio ringraziare tutti quelli che nel mondo hanno pregato per la pace in Ucraina e questo aiuta il popolo ucraino a essere calmo in questa “tempesta” che sta vivendo. Volevo dire inoltre che il popolo ucraino confida nella sua grande fede in Dio.

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    Egitto: Hamas dichiarato fuorilegge, sequestrati beni dei fondamentalisti

    ◊   Dopo i Fratelli musulmani, ora messa fuori legge anche Hamas. Lo ha deciso oggi in Egitto la Corte per le questioni urgenti, che ha così vietato tutte le attività del movimento fondamentalista palestinese che ha sede nella Striscia di Gaza. Il Tribunale ha anche ordinato il sequestro dei beni e della sede di Hamas al Cairo. Sulle conseguenze della decisione in Egitto e in tutto il Medio Oriente, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, analista politico:

    R. – Sicuramente, è anche un tentativo da parte dei militari di mettere sotto controllo il Paese e tutto il territorio. E, naturalmente, il fatto che l’Egitto sia diventato anche uno dei terreni di ripiego delle formazioni palestinesi questo ha suggerito al regime militare egiziano di adottare tale misura.

    D. – Potrebbero esserci ricadute negative sulla situazione israelo-palestinese?

    R. – Certamente, questo provvedimento del governo egiziano costituisce per Hamas un duro colpo. E’ difficile, però, dire quanto questo possa influenzare la questione israelo-palestinese. Hamas, comunque, ha le proprie radici in Palestina, a Gaza, e quindi l’Egitto costituisce per Hamas un terreno di ripiego e anche di riorganizzazione. Ma è difficile che questa singola misura abbia un’influenza decisiva nel contesto mediorientale. Rimane da vedere quale sarà, poi, la reazione di Hamas nei confronti del governo egiziano e quali saranno, anche ed eventualmente, le reazioni di alcune formazioni egiziane che sono alleate o comunque hanno in simpatia Hamas.

    D. – E' una decisione – questa egiziana – che va in conflitto con i tentativi della comunità internazionale, soprattutto degli Stati Uniti, di riportare il dialogo con Hamas sul piano politico?

    R. – Credo che il Cairo abbia voluto anche dare un segnale proprio agli Stati Uniti e all’Europa sulla sua intenzione di separare le vicende interne che il Paese sta vivendo – tra l’altro, con la disapprovazione della comunità internazionale, vista la sospensione dei risultati delle elezioni, con la messa fuori legge dei Fratelli musulmani e con la futura elezione di un militare alla testa dello Stato. Quindi, un segnale in questo senso che dice anche che la questione israelo-palestinese non ha invece a che fare con le vicende interne dello Stato. E quindi l’Egitto, che si è sempre proposto come un attore, un protagonista della soluzione israelo-palestinese, ecco che in questo modo forse vuole proiettarsi comunque su questo scenario. Il fatto poi di avere messo fuori legge Hamas non impedirà poi di sedersi comunque ad una discussione sul futuro del Medio Oriente. Anzi, lo porterà su posizioni forse di maggiore chiarezza e di forza.

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    Sud Sudan: 900 mila sfollati. Una missionaria comboniana: "La gente ha perso la speranza"

    ◊   Sono stati aggiornati al 20 marzo i colloqui di pace per una soluzione politica al conflitto esploso nel Sud Sudan il 15 dicembre scorso e costato la vita ad almeno 10 mila persone. Lo riferiscono i mediatori dell'Autorità intergovernativa dello sviluppo (Igad), che parlano di progressi nel round di negoziati che si è concluso, ieri sera, in Etiopia tra governativi e ribelli. La situazione sul terreno, tuttavia, resta molto difficile. Oggi l'Unicef ha denunciato 900 mila sfollati, metà dei quali sono bambini. Lo testimonia suor Elena Balatti missionaria comboniana appena giunta a Juba da Malakal, capoluogo dello Stato petrolifero dell’Alto Nilo, da dove è dovuta fuggire dopo l’ultimo assalto dei ribelli, fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar, che hanno saccheggiato case e aggredito la popolazione locale con indicibili violenze. Gabriella Ceraso l’ha raggiunta telefonicamente a Juba:

    R. - In questi due mesi, dal 24 dicembre al 18 febbraio del 2014, la città di Malakal, ha cambiato di mano 5 volte, e poi è rimasta nelle mani delle forze ribelli. Gli abitanti di Malakal, che sono calcolati intorno ai 250 mila, hanno lasciato la città. Progressivamente la situazione è andata peggiorando. Elementi ribelli hanno saccheggiato il cortile della chiesa, le poche proprietà rimaste alla gente che vi si era rifugiata e parte delle nostre case, le macchine e oltre a questo ci minacciavano. Perciò abbiamo lasciato la nostra casa, la cattedrale, e ci siamo spostati verso la chiesa presbiteriana ma anche lì la situazione era la stessa e quindi ci siamo spostati alla base delle Nazioni Unite.

    D. - Le Nazioni Unite stanno facendo un lavoro importante? Quante persone riescono ad aiutare?

    R. - Le Nazioni Unite hanno cercato di fare del proprio meglio per fronteggiare un’emergenza di queste proporzioni, cioè ventimila persone rifugiate presso il loro campo. Le Nazioni Unite hanno la possibilità di negoziare direttamente con il capo dei ribelli, con i capi militari e anche i capi politici. Perciò per i capi militari e politici della ribellione è conveniente mantenere un’immagine a livello internazionale; fino ad ora non hanno generalmente lasciato che le loro forze attaccassero le loro basi. In questo senso, la semplice presenza delle Nazioni Unite sul territorio è importante perché la popolazione vi può trovare rifugio, anche se le condizioni di vita sono estremamente difficili dal momento che manca tutto. Però almeno hanno una certa sicurezza.

    D. – Per queste persone cosa augurarsi da un processo di pace che sembra andare avanti, per ora con molto a fatica, in Etiopia?

    R. - C’è da augurarsi che questo processo di pace porti frutti concreti al più presto, che la stabilità torni in tutte quelle aree. La stagione delle piogge renderà la vita nei campi per i rifugiati ancora più difficile. C’è da augurarsi che i negoziati di pace portino frutto così che la gente possa tornare, anche se non nelle città, ma almeno nei villaggi, e che possa cominciare a coltivare, possa avere di nuovo speranza di avere un proprio Paese, un proprio territorio.

    D. - A livello di Chiesa, localmente, che cosa potete fare ora e che presenza è rimasta sul territorio?

    R. – La diocesi di Malakal, al momento, ha pochissimo personale sul territorio. Il resto del personale è rifugiato in gran parte a Juba, nella capitale. In attesa dell’evolversi degli eventi, c’è stato un incontro ieri, e l’amministratore apostolico della diocesi ha previsto che per qualche mese non ci sarà la possibilità di un ritorno, almeno nelle città. Le operazioni militari infatti non sono concluse, né da una parte né dall’altra.

    D. - Le persone che lei ha assistito, che guarda ogni giorno negli occhi come stanno, in che condizioni sono e quali sono le loro aspettative?

    R. - Le persone che ho preferito guardare sono i bambini piccoli. Non si rendono conto, anche se sono già traumatizzati, loro danno una speranza. I giovani invece hanno perso la speranza. Molti di loro vogliono lasciare il proprio Paese, perché hanno perso la speranza in un futuro vivibile in tempi brevi per il Sud Sudan. Le persone di una certa età e anche gli adulti e gli anziani guardano a tutto questo come qualcosa che non ha senso. Bisogna tener presente che a Malakal in due mesi ci sono stati cinque combattimenti nella città. Questo mette a durissima prova la speranza di chiunque. Nonostante ciò, la gente tornerà quando si sarà stabilità, non adesso, ma quando ci sarà un po' di stabilità, un accordo a livello politico, la gente tornerà a coltivare e a cercare di sopravvivere nelle proprie zone di origine.

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    Belgio: Re Filippo firma la legge sull'eutanasia per i minori, ignorate le cure palliative

    ◊   Con la firma di re Filippo, il Belgio è il primo Paese a legalizzare l’eutanasia per i minorenni senza limiti di età. A nulla sono valse le 210 mila firme raccolte on line in tutto il mondo. Secondo il provvedimento, d’ora in avanti potrà essere praticata l'eutanasia a quei minori, che si trovano di fronte a "sofferenze fisiche insopportabili e inguaribili, in fase terminale", se richiesta da loro stessi e "con l'accordo dei genitori" e di un medico. Uno psicologo dovrà certificare la "capacità di giudizio" del bambino. “Anziché restare accanto ai genitori disperati e ai bambini sofferenti si è scelta la via più breve”, dichiara Ferdinando Cancelli, chef de clinique nel servizio di Medicina Palliativa dell’Ospedale di Bellerive di Ginevra. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – Il mondo delle cure palliative ha reagito in modo unanime, sconvolto di fronte ad un provvedimento di questo tipo che pone il Belgio ad essere il primo Paese al mondo ad avere una legge di questo tipo, ancora prima dell’Olanda – perché l’Olanda ha fissato un tetto di età a 12 anni. Si può solo dire che chi ha approvato questa legge, probabilmente conosce anche molto poco tutte le possibilità che la medicina palliativa oggi offre per stare accanto ai bambini, in particolare, affetti da una malattia terminale oppure dalle conseguenze causate da un incidente … La medicina palliativa offre molti strumenti: anche di fronte a quelle che la legge definisce “le sofferenze fisiche insopportabili e non lenibili”, si può comunque mettere in atto una sedazione palliativa che, senza abbreviare la vita del paziente – in questo caso, del piccolo paziente – concorre ad annullarne praticamente la sofferenza. Secondariamente, è molto più difficile pensare che uno psicologo e un medico possano accollarsi il compito di stabilire la capacità di intendere e di volere di un paziente già estremamente provato e sofferente, per di più – e questa è forse la cosa più grave – con l’assenso dei genitori.

    D. – E’ questo l’aspetto più inquietante che, a detta di molti, sembra capovolgere la logica della vita che lega un genitore ad un figlio …

    R. – Ma certo! Giustamente, i responsabili religiosi in Belgio definiscono questo un atto – cito testualmente – “che non solamente uccide, ma distrugge un po’ alla volta i legami che esistono nella nostra società”. Credo proprio che consentire l’uccisione del proprio figlio, effettivamente sia una cosa che rischia di scardinare proprio dal di dentro uno dei legami più forti della famiglia umana. Quindi, è un qualcosa che va anche ben al di là della medicina: direi che ha anche ricadute sociali e umane imprevedibili.

    D. – Lei, da esperto, scrive: “Anziché restare accanto ai genitori disperati e ai bambini sofferenti, la politica ha scelto la via più breve” …

    R. – Perché l’eutanasia – o il suicidio assistito – sono sempre la via più breve. Ci rendiamo conto perfettamente che la sofferenza umana rimarrà comunque qualcosa di ineludibile, ma sicuramente l’abbreviare le cose in questo modo non offre la possibilità e il tempo, a nessuno, per riuscire a far fronte alla situazione. E’ veramente una scorciatoia pericolosa, tra l’altro una scorciatoia che la medicina non dovrebbe mai offrire, in quanto comunque il dare la morte non rientra assolutamente nei compiti del medico.

    D. – E le cure palliative, nella sua esperienza, rappresentano una importante via da percorrere in un momento drammatico come quello che può vivere una famiglia con un bambino malato in fase terminale?

    R. – Noi abbiamo rilevato che, effettivamente, le domande di eutanasia – quindi, le domande di morte – sono molto più rare nei reparti di medicina palliativa che non negli altri reparti. Questo è un dato che interroga molto: ci suggerisce che effettivamente, quando per il malato facciamo tutto quello che si può fare – dal punto di vista medico, quindi farmacologico, assistenziale, infermieristico, psicologico, dal punto di vista dell’assistenza spirituale, del volontariato – cala drasticamente il numero di richieste di morire in anticipo.

    D. – Chi muove delle critiche a questo provvedimento sostiene che questa legge è frutto più di un accanimento ideologico che di una reale, sostanziale domanda di ricorso all’eutanasia per minori …

    R. – Assolutamente sì. Ma questo è un dato che noi rileviamo in tutti i Paesi – io in questo momento sto lavorando in Svizzera – e dappertutto è sotto gli occhi dei professionisti un accanimento di tipo mediatico che tende a distorcere i dati, a partire dai questionari che vengono somministrati alla popolazione. Perché, quando in un questionario si chiede alla popolazione se si preferisce vivere tra atroci sofferenze oppure accedere all’eutanasia o al suicidio assistito, probabilmente anche io sceglierei di avere la vita abbreviata, di fronte ad un’alternativa così terribile; viene ignorata del tutto la strada delle cure palliative.

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    Sacerdote ucciso, per il vescovo Galantino: un uomo sempre pronto per tutti

    ◊   “Ha dato la vita per quei poveri per i quali s’era sempre speso con tutte le sue energie”: è così che il vescovo della diocesi di Cassano allo Ionio, mons. Nunzio Galantino, ricorda padre Lazzaro Longobardi. Il sacerdote, da 27 anni parroco della frazione di Sibari di Cassano, è stato ucciso il 2 marzo con una spranga di ferro. Ascoltiamo mons. Galantino intervistato da Maura Pellegrini Rhao:

    R. – Un sacerdote di 69 anni: nella prima parte della sua vita sacerdotale, lui era nei Padri Redentoristi ed era approdato qui, nella nostra terra, in seguito a una missione popolare. Avendo un po’ visto la situazione delle campagne del nostro territorio, aveva chiesto di poter continuare questa sua presenza, e quindi si ritrova poi incardinato nella nostra diocesi proprio per questo desiderio di lavorare nelle campagne, di lavorare stabilmente in un territorio. Con il tempo, lui poi ha maturato questa attenzione particolare soprattutto per gli immigrati: difatti, proprio la piana di Sibari segna la presenza di tanti immigrati. D’altra parte, per quel che riguarda la sua figura, mi sembra che l’abbiano testimoniata in maniera abbastanza chiara i fedeli per l’atteggiamento costernato che hanno vissuto e che stanno vivendo, ma anche per la partecipazione che c’è stata ieri alla Santa Messa che ho celebrato.

    D. – Era un uomo sempre pronto ad aiutare il prossimo: cosa vuole dire a chi, dopo quanto è successo, è portato a pensare che non convenga mettersi in gioco così?

    R. – Finché succedono queste cose, significa che il nostro impegno è ancora troppo poco, vuol dire che queste persone sono ancora non la norma. Quando questo stile diventerà veramente il sentire comune, come ci sta invitando a fare in maniera pressante Papa Francesco, sarà un po’ più difficile che avvengano questi delitti. Ripeto: proprio il fatto che succedano questi episodi terribili non significa che dobbiamo smettere, anzi, dobbiamo intensificare il nostro impegno, vuol dire che c’è bisogno ancora di più di Vangelo, di maggiore accoglienza, c’è bisogno di far diventare normalità l’accoglienza agli immigrati.

    D. – Di che cosa può essere sintomo un avvenimento del genere?

    R. – Che quello che noi facciamo è ancora troppo, troppo poco e non sempre è supportato anche da altre realtà che sono chiamate ad affrontare questo problema. Molto spesso, i nostri interventi sono interventi episodici, sono interventi parziali, sono interventi settoriali. Ma qui, o si interviene seriamente mettendoci insieme, progettando insieme e davvero allargando un po’ i nostri orizzonti e comprendendo che questo è non solo un problema, ma anche una bella risorse per il nostro territorio. Finché non incominceremo a pensare anche in maniera alternativa, noi – purtroppo – saremo costretti ancora a contare morti per malavita, morti per delinquenza ordinaria, morti anche per disperazione. Direi che il nostro lavoro c’è, il nostro impegno c’è ma non è sufficiente e non potrà essere sufficiente finché ci sarà un impegno costante anche da parte di altre agenzie. Risolve il problema un sussulto di legalità, ma da parte di tutti, la convinzione che sia possibile lavorare in una direzione diversa. L’esperienza cristiana va vissuta soprattutto per strada, e non solo all’interno della nostre chiese.

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    Italia, alcol e giovani: mezzo milione a rischio dipendenza. Emanuele Scafato: servono prevenzione e norme

    ◊   Il consumo di alcol tra i giovani: un fenomeno diffuso e sottovalutato in Italia tanto che sarebbero mezzo milione i ragazzi a rischio di dipendenza. Roberta Gisotti ha intervistato il dott. Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità:

    A volte cominciano ad 11 anni e a 16 sono consumatori abituali di bevande alcoliche nocive per la loro salute. Si va dagli ‘shortini’, cocktail dolci venduti a pochi euro ai ‘binge drinking’ una bravata che fa ingurgitare sei bicchieri di alcol alla volta a due milioni di giovani tra i 16 e i 24 anni. Mode, tendenze, stili di vita che sacrificano i ragazzi agli enormi interessi economici che sono dietro la vendita di alcol e preparano una società sempre più schiava di consumi anche letali come l’alcol. Il 17 per cento delle intossicazioni etiliche, fino al coma, registrate nei Pronto soccorsi riguarda adolescenti tra i 13 e 16 anni, in parte destinati all’alcolismo come ci conferma il dott. Scafato:

    D. - Noi sappiamo che in Italia esistono almeno 60 mila pazienti alcol dipendenti in carico ai servizi sanitari; di questi l’1% - poco più di un migliaio – ha un’età inferiore ai 19 anni e questo è un fatto che desta molta preoccupazione, alla luce dell’esperienza che ci vogliono almeno dagli 8 ai 10 anni - dipende da quella che è la carriera alcolica delle persone – per la dipendenza. In ogni caso si tratta di soggetti che hanno cominciato davvero presto a consumare e ad abusare di bevande alcoliche. Quindi, il problema che si pone è cercare di capire come poter intercettare un comportamento a rischio per evitare l’alcol dipendenza. È un discorso molto complesso che comunque merita un’attenzione maggiore, tenuto conto di queste mode e tendenze che si diffondono rapidamente anche tramite Internet e che invitano non solo al bere smodato ma all’intossicazione alcolica. È qualcosa quindi da tenere sotto stretta sorveglianza.

    D. – Mode e tendenze: sappiamo che oggi bevono alcol i ‘bambini’ - perché è così che li dobbiamo chiamare - in prima e seconda media...

    R. – Assolutamente sì. Quando siamo andati in giro nelle scuole per la Campagna del ministero della Salute “Non perderti in un bicchiere”, abbiamo verificato che la prevalenza dei consumatori è notevole. In ogni caso è un problema noto anche agli insegnanti ma spesso non è noto ai genitori, che invece abilitano in famiglia il consumo alcolico a soggetti giovani che non hanno la capacità di metabolizzare alcol.

    D. – Sicuramente c’è una strategia di interessi economici per indurre i più giovani a bere...

    R. – La cultura del bere è legata sostanzialmente alle pressioni ed al bere della società; che poi la società sia fatta oggetto di pressioni da parte del marketing questo è fuori dubbio. Oggi, siamo sostanzialmente consumatori immersi in un mercato; però non dobbiamo mai dimenticare che siamo noi a poter scegliere, siamo noi che facciamo il mercato e non il contrario. Incominciare, quindi, a parlare con i ragazzi, così come facciamo noi nelle scuole; verificare attentamente anche i messaggi che arrivano perché quando troviamo un messaggio del tipo: “Bevi responsabilmente” dove “bevi” è un imperativo che non dà margini di manovra, è chiaro che bisogna fare quello che c’è da fare come adulti per incominciare a fornire elementi di giudizio che possano consentire alla persona di fare scelte informate, soprattutto sapendo quello che si sceglie, con tutti i rischi e con tutte le conseguenze che può comportare.

    D. – A questa deriva ci si può in qualche modo opporre, sappiamo anche che ci sono divieti che nessuno osserva per la vendita degli alcolici ai minori; gli stessi minori non sanno che è fatto loro divieto di bere...

    R. – Il fatto che non lo sappiano non credo che sia vero; loro sanno perfettamente che è vietata la vendita e la somministrazione ai minori di anni 18, dal decreto Balduzzi e quindi, da un anno e mezzo. Il problema è un problema di cultura, soprattutto degli adulti: non dovrebbe mai esistere un adulto che dà alcol nonostante sia a conoscenza di un divieto di legge e soprattutto di un articolo del Codice penale - il 698, che esiste fin dal 1932 - e che sono previste ammende e sanzioni fino all’arresto. Allora agire sulla cultura di questi individui, che sono adulti in grado di intendere e di volere, può voler dire incrementare anche la tutela dei nostri ragazzi.

    D. – Dalla sua esperienza, dal suo osservatorio avete riscontrato che le campagne rivolte a ridurre comportamenti e stili di vita a rischio, hanno effetto?

    R. – La prevenzione è importantissima: bisogna fare educazione, prevenzione però bisogna fare anche le norme. Se lei pensa che è diminuita la mortalità sulle strade italiane e soprattutto nelle classi di età più giovanili perché è stata adottata una norma che vieta il consumo di alcol al di sotto dei 21 anni, questo ci dice che quando la prevenzione è accompagnata da normative che vengono spiegate alla popolazione e ai giovani allora il risultato c’è. Quindi, la norma serve perché non è un proibizionismo ma è una normale politica di controllo che serve a tutelare la salute delle persone e soprattutto a bilanciare la promozione del prodotto, che è così forzata ed così evidente, rispetto alla promozione della solute che invece molto spesso non è oggetto nemmeno di supporto finanziario, in tempi di scarse risorse.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Brasile: Campagna di Fraternità contro la tratta di esseri umani

    ◊   Domani, Mercoledì delle ceneri, la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) aprirà ufficialmente a Brasilia la Campagna di Fraternità 2014, che quest’anno affronta il tema “Fraternità e tratta di esseri umani”, con lo slogan “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5,1). L'evento sarà trasmesso in diretta dai media di ispirazione cattolica. La nota inviata all’agenzia Fides dalla Cnbb riferisce che il lancio della Campagna sarà presieduto dal vescovo ausiliare di Brasilia e Segretario generale della Cnbb, mons. Leonardo Ulrich Steiner, con la partecipazione di rappresentanti del governo, della società civile e delle comunità religiose. Nell’occasione verrà letto il messaggio di Papa Francesco per la Campagna 2014.

    Il manifesto della Campagna di Fraternità vuole illustrare la crudeltà della tratta di esseri umani. Le mani incatenate e tese simboleggiano la situazione di dominio e di sfruttamento di fratelli e sorelle vittime della tratta e la loro impotenza. La mano che tiene le catene è la forza coercitiva del traffico, che sfrutta le vittime. L'ombra nella parte superiore del manifesto, rappresenta le violazioni alla fraternità e alla solidarietà. Le catene spezzate e avvolte nella luce vogliono ricordare le persone che hanno sofferto per questo crimine e aspettano la liberazione. Quella speranza si nutre dell’ abbandono di Gesù Cristo sulla croce, per superare le situazioni di morte e così garantire la libertà di tutti. "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" (Gal 5,1), in particolare coloro che soffrono ingiustizie, come quella attuale, del traffico di esseri umani, rappresentata dalle mani in basso. (R.P.)

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    Polonia: preoccupazione dei vescovi per la situazione in Ucraina

    ◊   “Coloro che sceglieranno fra la pace e la guerra si assumono la responsabilità davanti a Dio e agli uomini per le illegalità e le vittime”, scrivono i vescovi polacchi di rito bizantino in una speciale dichiarazione stilata in considerazione dell’aggravarsi della situazione in Crimea. Preoccupati per la guerra “che potrebbe facilmente travalicare le frontiere dell’Ucraina”, e “portare molta tristezza e morti”, i vescovi invitano a “non perdere la speranza che verranno sfruttate tutte le possibilità di una pacifica soluzione del conflitto”.

    In occasione della Quaresima, che nella Chiesa greco-cattolica è iniziata ieri - riferisce l'agenzia Sir - i presuli chiedono che tutte le preghiere e i sacrifici dei fedeli vengano offerti per la pace in Ucraina. “La vittoria di Maidan è stata pagata con il sangue e la sofferenza dei giovani, con la determinazione e la solidarietà della società civile ucraina, con il sostegno materiale e spirituale degli ucraini nella diaspora, delle persone di buona volontà di tutta Europa e del mondo, in particolare i polacchi che in questa drammatica situazione dell’Ucraina non hanno avuto tentennamenti e così come una volta avevano costruito la democrazia nel proprio Paese oggi sostengono l’Ucraina”, ha detto domenica il vescovo ausiliare dell’arcieparchia di Przemysl e Warszawa, Eugeniusz Popowicz, durante una speciale liturgia per la pace in Ucraina celebrata nella cattedrale della Dormizione di Maria a Varsavia.

    Il presule ha ringraziato la Polonia per il sostegno dato e, fra gli altri, per aver accolto negli ospedali di numerose città una quarantina di feriti negli scontri di Kiev. In Polonia, mentre le autorità nazionali esprimono crescente preoccupazione per l’escalation dell’offensiva russa in Ucraina, si moltiplicano gli appelli alla preghiera per un’equa soluzione del conflitto, e sono sempre più numerose le iniziative di raccolta fondi della Caritas per il popolo ucraino.

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    Congo: i vescovi dicono no a elezioni indirette perchè temono frodi e manipolazioni

    ◊   Il suffragio indiretto non consolida la democrazia: così la Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo (Cenco) si oppone all’ipotesi avanzata dalla Commissione elettorale indipendente (Ceni) per la prossime elezioni amministrative. Le consultazioni, la cui data è ancora da stabilire, riguardano le province, i comuni e le amministrazioni locali e si dovrebbero svolgere tramite “suffragio indiretto”, che concede il diritto di voto solo ad un gruppo ristretto di rappresentanti o delegati che dovranno, a loro volta, eleggere i componenti delle amministrazioni. In una nota a firma di padre Léonard Santedi, segretario generale della Cenco, i vescovi sottolineano che tale metodo “non consolida la democrazia” ed è “a rischio di manipolazione dei voti e di corruzione”. Per questo, i presuli chiedono che “le consultazioni amministrative si svolgano a suffragio diretto non solo per rafforzare la democrazia, ma anche per permettere alla popolazione, che detiene la sovranità, di esercitare il proprio diritto di voto, riconosciuto dalla Costituzione”. Infine, la Cenco domanda alla Ceni di organizzare le consultazioni, attese dal 2011, entro il primo trimestre del 2015. (I.P.)

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    Siria. L'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo: in Quaresima preghiere e digiuni per chiedere il dono della pace

    ◊   In Siria le Chiese di rito orientale sono già entrate nella Quaresima, il tempo liturgico durante il quale il cristiano si dispone, con un cammino di conversione, a vivere in pienezza il mistero della resurrezione di Cristo nella sua memoria annuale. Per il terzo anno consecutivo, l'inizio della Quaresima viene vissuto dai cristiani siriani in un Paese dilaniato dalla guerra civile. “Nelle nostre parrocchie”, riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati, “abbiamo celebrato l'inizio della Quaresima già nel pomeriggio di domenica scorsa. I fedeli sono venuti in gran numero e la partecipazione è stata intensa. Quest'anno intensificheremo le occasioni di preghiera, penitenza e digiuno per chiedere con più forza che il cammino verso la resurrezione di Cristo sia benedetto dal dono della pace”.

    Nella parte centrale di Aleppo – conferma l'arcivescovo Marayati – la situazione è di stallo apparente. Ma anche nella giornata di ieri un colpo di mortaio caduto vicino a una scuola nel quartiere di al-Khadilieh ha provocato la morte di un bambino e di un adulto. Mentre in una località periferica precedentemente controllata dai miliziani dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil, gruppo della rete di al-Qaida) gli attivisti di altre fazioni anti-Assad hanno rinvenuto una fossa comune con almeno sei cadaveri. Di recente i miliziani dell'Isil hanno abbandonato alcune località della regione di Aleppo in seguito all'offensiva di altri gruppi armati d'insorti siriani. (R.P.)

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    Iraq. Mons. Sako: fermare l’esodo per preservare origini e storia dei cristiani iracheni

    ◊   "Se abbandoniamo l'Iraq, saremo tagliati fuori per sempre dalle nostre origini e dalla nostra storia", perché il futuro della comunità "è legato al nostro impegno e all'impatto che esso avrà". "Il nostro futuro è qui, non certo nelle nazioni della diaspora". È un richiamo accorato, forte e definitivo quello lanciato da mons, Louis Raphael I Sako, patriarca caldeo d'Iraq, durante un incontro con i fedeli alla parrocchia di San Giuseppe a Baghdad. Il simposio, al quale hanno partecipato diverse personalità della Chiesa caldea - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha affrontato le "crisi" che attraversano la nazione e le "sfide" poste dall'emigrazione. L'esodo senza fine dei cristiani d'Iraq, la cui popolazione si è pressoché dimezzata dall'invasione statunitense nel 2003, è infatti uno dei temi chiave del patriarca, una sfida attorno alla quale si gioca la sopravvivenza della comunità nel Paese e in tutto il Medio oriente.

    Mons. Sako spiega che i cristiani del Medio Oriente differiscono dai concittadini musulmani, perché hanno dovuto preservare la fede "a fronte di enormi sacrifici", ed è "disdicevole" che i governi musulmani li trattino alla stregua di "cittadini di serie b" nella loro terra. Le Crociate e il Colonialismo, prosegue, hanno rafforzato questo (presunto) "legame con l'Occidente". Ai problemi legati alla sicurezza, alle persecuzioni e alle violenze, aggiunge ancora, di recente si è unito un altro fenomeno: mafia e criminalità che "incentivano la migrazione" offrendo agevolazioni, in base a un piano politico specifico.

    "Abbandonare il Paese - continua il patriarca - significa dare un taglio netto alla storia e alla civiltà della nazione, adattandosi a modelli occidentali in termini di linguaggio, costumi, morale, società, famiglia, cultura e istruzione". Per farla breve, chiosa, emigrare significa "strappare le radici ed è una forma particolare di morte. Siamo nati in Iraq - avverte Mar Sako - e siamo qui per rispondere a un piano divino, la responsabilità di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo a quanti vivono accanto a noi". Se i cristiani abbandonano in massa il Paese, si chiede il patriarca, "chi testimonierà il Cristo?", mentre le chiese verranno "trasformate in musei e pietre morte, se non completamente distrutte". L'emigrazione, rilancia, è un "tradimento" della patria e una "fuga dalle responsabilità".

    Mar Sako parla infine della "presunta felicità" di quanti emigrano, che in realtà nella maggior parte dei casi si rivela essere solo un "miraggio". "La miseria dell'alienazione e il problema occupazionale, il rischio di perdere tutto... Non pensate di trovare lavoro, denaro e prosperità tanto facilmente" continua il patriarca caldeo. Al contrario, egli propone alcuni punti fermi dai quali partire per rilanciare la presenza cristiana in Iraq e in Medio oriente: rafforzamento dell'istruzione, investimenti e attività economiche, nuove abitazioni e posti di lavoro. Per far questo è necessaria maggiore coesione e unità di intenti fra i vari gruppi politici, creare una Lega caldea e difendere i diritti dei cristiani nelle situazioni di difficoltà. (R.P.)

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    Pakistan. Minacce a giudici e avvocati: restano in carcere due cristiani accusati di blasfemia

    ◊   Due cristiani innocenti, Shafaqat Emmanuel, paralitico, e sua moglie, Shagufta Kausar, accusati di “blasfemia via sms” restano nel carcere di Toba Tek Singh: l’Alta Corte di Lahore ha infatti rifiutato la richiesta di rilascio su cauzione, inoltrata dagli avvocati difensori. In precedenza, anche un tribunale di primo grado aveva negato la richiesta di cauzione. Come denuncia in una nota inviata a Fides la Fondazione “World Vision in Progress” (Wvip), che sta seguendo il caso, “i giudici dell’Alta Corte si erano inizialmente convinti degli argomenti della difesa. Ma, dopo le pressioni dei leader religiosi musulmani e le minacce di estremisti di Gojra, i giudici hanno negato la cauzione, affermando che il caso si concluderà entro due mesi. Musulmani radicali avevano già minacciato gli avvocati della difesa molte volte. Lettere minatorie sono giunte anche alla nostra Ong, per scoraggiarci a difendere la coppia. In risposta alle minacce, mentre il caso era davanti al tribunale di primo grado, abbiamo depositato una petizione di trasferimento del caso all’Alta Corte. Ma anche questi giudici sembrano parziali”.

    Il rischio è, secondo l’Ong, che l’Alta Corte commini la pena di morte a un uomo infermo e 35 anni di carcere alla moglie. Shafaqat ora si trova nell’ospedale del carcere, a causa di molteplici piaghe da decubito e presto avrà bisogno di un intervento chirurgico. “Non sappiamo per quanto tempo Shafaqat potrà sopravvivere in carcere, senza assistenza, nelle sue condizioni” nota l’Ong.

    “In Pakistan continua a perpetrarsi una grave ingiustizia con l’uso improprio della legge di blasfemia. E i giudici non hanno la forza di ripristinare la giustizia” dice a Fides Farrukh H.Saif, di Wvip.

    Shafaqat Emmanuel e sua moglie, Shagufta Kausar, erano stati arrestati a Gojra a luglio 2013 per il presunto invio di messaggi di testo Sms blasfemi ai musulmani locali. La Sim card del telefono era intestata alla donna, ma Shagufta aveva denunciato lo smarrimento del cellulare un mese prima dell’episodio e aveva chiesto diverse volte di bloccare la Sim. I due hanno subito torture da parte della polizia che ha estorto loro una confessione. I loro quattro figli ora vivono insieme al nonno. (R.P.)

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    India. Kandhamal: i cristiani "vivono nel terrore per colpa dei fondamentalisti indù"

    ◊   "La vita dei cristiani del Kandhamal è un trauma continuo, perché vivono nel terrore dei gruppi radicali indù". Lo afferma all'agenzia AsiaNews Sajan George presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), dopo l'ennesimo attacco avvenuto nello Stato dell'Orissa contro la minoranza religiosa. Il 27 febbraio scorso diversi militanti del Sangh Parivar (ombrello che raccoglie organizzazioni e movimenti hindutva, ndr) hanno danneggiato una sala di preghiera in costruzione nel villaggio di Pradhanpada, minacciando i 15 cristiani impegnati nei lavori.

    Dopo l'attacco le autorità hanno dispiegato sul territorio circa 70 agenti delle forze dell'ordine per garantire la sicurezza. La polizia ha arrestato due persone e ha lanciato una caccia all'uomo per gli altri aggressori. Kunwar Vishal Singh, sovrintendente di polizia del distretto di Kandhamal, spiega che c'è la volontà di risolvere la questione in maniera amichevole, poiché l'incidente è legato a "dispute familiari" legate al terreno su cui sorgerà la sala di preghiera. Il funzionario ha invece negato la matrice religiosa dietro i fatti.

    Tuttavia, Sajan George definisce l'attacco "vergognoso" e ricorda che "nonostante siano passati cinque anni dai pogrom dell'Orissa, la comunità cristiana continua a non avere giustizia e a sopravvivere a quotidiani atti di discriminazione e boicottaggio. Questo nuovo episodio, a pochi giorni dall'inizio della Quaresima, ha il chiaro obiettivo di intimidire e minacciare la libertà religiosa e di culto nel Kandhamal". (R.P.)

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    Coree. Riunificazioni familiari: Seoul propone a Pyongyang di "stabilizzare gli incontri"

    ◊   Il governo della Corea del Sud ha proposto alla controparte del Nord di "stabilizzare su base regolare" le riunificazioni dei familiari divisi dalla Guerra di Corea, che ha diviso in due la penisola. Parlando durante le celebrazioni per l'indipendenza coreana dal dominio giapponese - avvenuta il 1° marzo 1919 - la Presidente Park Geun-hye ha detto: "Anche nel Nord ci sono familiari che hanno subito la separazione. Sono convinta che Pyongyang dovrebbe agire per risollevare quelle persone dal dolore e dall'angoscia. Il tempo passa per tutti".

    Le riunificazioni familiari - riporta l'agenzia AsiaNews - sono iniziate per la prima volta nel 1985. Rappresentano un "gesto di buona volontà" da parte dei governi di Seoul e Pyongyang, che tuttavia non sono mai riusciti a renderle istituzionali. Per partecipare, i cittadini che possono dimostrare di avere un parente ancora in vita dall'altra parte del confine si sono registrati presso il ministero sudcoreano dell'Unificazione: all'inizio erano 130mila, oggi ne restano in vita poco più di 71mila. Tra alti e bassi, l'ultimo round di incontri si è svolto dal 20 al 25 febbraio scorsi.

    Per il momento, il governo della Corea del Nord non ha risposto alla proposta della Park. Secondo diversi analisti, il regime guidato da Kim Jong-un è riluttante ad aumentare il numero di incontri fra i familiari divisi perché teme che l'influenza dello stile di vita sudcoreano e un maggior numero di notizie sulla vita in un Paese democratico potrebbero allentare la propria presa sul potere. L'appello della Park rappresenta un passo avanti nei colloqui inter-coreani. Sin dalla sua elezione, la presidente - esponente del Partito conservatore - ha chiarito che il Sud "porterà avanti i propri programmi" militari ed economici "nonostante le minacce del Nord". Proprio in questi giorni sono in corso le esercitazioni militari annuali fra la Corea del Sud e gli Stati Uniti, che Pyongyang ha più volte definito "una provocazione".

    Nel corso di questi "war games", l'esercito del Nord ha lanciato 6 missili a corto raggio nelle proprie acque territoriali definendoli "un esperimento bellico". Washington ha chiesto al regime stalinista di "interrompere queste attività ostili", ma diversi esperti assicurano che i lanci "non rappresentano una vera minaccia. Sono più un modo per affermare la propria posizione". (R.P.)

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    Filippine: “La povertà disumanizza il Paese”: messaggio dei vescovi per la Quaresima

    ◊   “La povertà nella Filippine degrada e disumanizza milioni di persone. Iniziando questo tempo quaresimale nell'Anno dei Laici, vi invitiamo a riflettere sulla povertà, in particolare su quella che contraddice il Regno di Dio, e su quella che aiuta a promuovere il Regno”: è quanto dicono i vescovi filippini in un messaggio firmato dal presidente della Conferenza episcopale, mons. Socrates Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan, diffuso all’inizio della Quaresima. Nel testo, pervenuto all’agenzia Fides, si ricorda che il tasso di povertà del Paese si attesta a oltre il 20%, secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica. Ciò significa che un filippino su cinque vive in una famiglia che guadagna meno del necessario per soddisfare i bisogni essenziali. Questo è “uno scandalo inaccettabile”, dicono i vescovi.

    Il presidente della Conferenza ricorda che esistono diverse forme di povertà: “La miseria, che degrada e disumanizza, che va contrastata con ogni mezzo; e la povertà che paradossalmente umanizza e santifica”, che è quella scelta da Cristo. “Incontriamo tali forme opposte di povertà in tre dimensioni dell'esistenza umana: materiale, morale e spirituale”, ha spiegato. Se la povertà materiale significa mancanza di casa, di cibo, esclusione dall’assistenza medica e dallo sviluppo, quella morale percorre la nazione filippina nella vasta diffusione della corruzione, che i Vescovi definiscono “un cancro pervasivo”. A questo livello urge “cercare la verità e ripristinare l'integrità”: il silenzio indifferente, infatti, “contribuisce al peggioramento di un sistema corrotto”. La povertà spirituale emerge, poi, nelle forme di solitudine e disperazione, nell’intolleranza religiosa, nel relativismo e nell’aver smarrito il senso di trascendenza.

    La povertà “sana”, quella evangelica – nota il messaggio – si esprime nella sobrietà di vita, nello scegliere l’essenziale per la vita quotidiana, nel semplificare le esigenze personali, nel non rincorrere il consumismo. E’ una semplicità che si vive anche nelle relazioni con il prossimo, fatta di umiltà, che “lascia spazio all’altro” e che è intrisa di “misericordia e solidarietà”. (R.P.)

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    Indonesia. Roghi nelle foreste a Sumatra: 30mila persone colpite da fumo e smog

    ◊   Il fumo provocato dagli incendi nelle foreste di Sumatra, in Indonesia, sta causando problemi respiratori e gravi danni alla salute di oltre 30mila persone, facendo innalzare in modo preoccupante il livello di inquinamento della regione. Lo riferisce l’agenzia AsiaNews. Sutopo Nugroh, portavoce della National Disaster Management Agency, riferisce che "i casi di infezioni respiratorie e altre malattie quali polmonite, asma e irritazioni agli occhi e alla pelle sono in continuo aumento".


    La Protezione Civile era pronta a usare aerei ed elicotteri per domare le fiamme, ma i mezzi sono rimasti a terra a causa della ridotta visibilità. Una coltre densa e spessa di smog rendeva le operazioni troppo rischiose. Gli investigatori sono alla ricerca di prove per incriminare compagnie o singoli finanziatori (di Indonesia e Singapore), che avrebbero assunto agricoltori e abitanti della zona per dare fuoco ad ampie porzioni di foresta. La polizia ha fermato 28 persone, sospettate di aver appiccato il fuoco. (V.G.)

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    Colombia: la Chiesa chiede lo smantellamento delle bande criminali

    ◊   Vescovo, sacerdoti, religiosi e laici delle diocesi di Quibdó e Istmina-Tadó esortano le autorità di controllo e le forze di sicurezza ad avviare un’azione immediata per smantellare le organizzazioni criminali che continuano a intimidire e a minacciare la popolazione civile. Il comunicato è stato reso noto dopo il tragico attentato in un supermercato della capitale del Dipartimento di Chocó nel quale hanno perso la vita 4 persone e 15 sono rimaste ferite. La regione del Chocó é stata da sempre crocevia della guerriglia, dei paramilitari e delle bande criminali che tengono in ostaggio una popolazione povera e a maggioranza indigena, afro-americana e meticcia.

    Inizialmente i sospetti delle autorità locali sono andati alla guerriglia delle Farc le quali però hanno smentito le accuse, in un comunicato pervenuto dall’Avana dove si svolgono i negoziati tra il governo e il gruppo ribelle. Nella nota la Chiesa locale condanna “l’abbandono della regione da parte dello Stato”, denuncia la corruzione che genera tanta violenza nella zona e chiede al governo azioni concrete e coraggiose che promuovano lo sviluppo integrale di una popolazione vittima dell’impoverimento materiale e morale. La nota afferma che gli atti violenti contro la popolazione civile obbediscono a situazioni di miseria economica, alle migrazioni forzate dal conflitto armato, alla corruzione, all’egoismo, all’odio, alla mancanza di lavoro, di educazione, di salute e del rispetto dei diritti fondamentali della persona umana. La Chiesa del Chocó chiede alla popolazione di non arrendersi ed a continuare con fede e tenacia a lavorare per la pace. (A cura di Alina Tufani)

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    Messico: il Mercoledì delle ceneri, 200 sacerdoti nelle carceri per portare speranza

    ◊   Domani, Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, circa 200 sacerdoti si recheranno nelle carceri dello stato di Nuevo León (Messico), per una celebrazione che includerà l'imposizione delle ceneri ai detenuti: lo segnala mons. Rogelio Cabrera López, arcivescovo di Monterrey, in una nota inviata all’agenzia Fides. Un gruppo sarà nella prigione di Topo Chico, un altro in quella di Apodaca e un altro ancora nelle carceri di Cadereyta. "Vogliamo che questo gesto aiuti tutti, per primi noi sacerdoti, a prendere coscienza del dovere di aiutare i nostri fratelli che sono in condizioni peggiori, e porti una parola di speranza e di incoraggiamento ai nostri fratelli nelle carceri" ha spiegato mons. Cabrera. Inoltre i detenuti che lo chiederanno, potranno anche confessarsi.

    Quest’anno l'arcivescovo presiederà l'imposizione delle ceneri nella cattedrale di Monterrey alle 7 del mattino, per poi recarsi con il primo gruppo di sacerdoti dai detenuti a Topo Chico. Infatti ha ottenuto un permesso di 2 ore (dalle 10 fino alle 12) per assistere i detenuti in questa occasione particolare. “La Quaresima è il momento giusto per lasciare ogni superficialità – sottolinea l'arcivescovo - la stessa che minaccia e distrugge la dignità umana. E’ un momento speciale in cui dobbiamo impegnarci non solo a fare sacrifici come privarci di qualche alimento, ma dobbiamo chiederci cosa fare per aiutare concretamente chi ha più bisogno". Il lavoro della Chiesa cattolica nelle carceri è diventato in Messico una grande sfida, nel clima di violenza in cui purtroppo continua a vivere la società: molti detenuti infatti continuano a dirigere dal carcere l’attività delle bande criminali all’esterno. La Chiesa è intervenuta con decisione quando si è trattato il problema delle carceri nel Paese. (R.P.)

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    Cerimonia di apertura del 27.mo Capitolo generale dei Salesiani

    ◊   Alla presenza di numerose autorità ecclesiastiche e religiose, ha avuto luogo ieri mattina, la solenne cerimonia d’apertura del Capitolo Generale della Congregazione Salesiana (CG27). Nel messaggio di apertura il Rettor Maggiore, Don Pascual Chávez, ha spiegato: “ci preoccupa non il futuro della Congregazione, quasi fosse una questione di sopravvivenza, quanto la nostra capacità di profezia”. Come primo atto: la liturgia d’invocazione dello Spirito Santo. Quindi è stato intronizzato il Vangelo, di cui è stato letto un passo (Gv 21, 20.22-24) ed è stato recitato l’articolo delle Costituzioni che descrive il Capitolo Generale; quindi tutta l’assemblea ha innalzato dapprima una preghiera a Don Bosco, poi il canto Veni, Creator Spiritus.

    Immediatamente dopo Don Chávez ha tenuto il discorso d’apertura: “la Congregazione – ha ricordato – è chiamata in questo Capitolo a rinnovarsi in forma tale da avere la freschezza delle origini, lo slancio missionario della sua adolescenza, il dinamismo della sua gioventù, la santità della sua maturità”. Essa si presenta unita, ma “l’unità della Congregazione non significa uniformità. È evidente pertanto che il Capitolo deve aprire le porte ad una discussione che tenga conto di tutti questi elementi. Tutti sono liberi di esprimere i loro pensieri circa il compito della Congregazione oggi e a riguardo delle sfide più urgenti. Allo stesso tempo tutte le proposte devono ritrovarsi nella linea e nello spirito del Vangelo, nella fedeltà a quanto ci indicano le Costituzioni. Certamente leggi e tradizioni, che sono puramente accidentali, possono essere cambiate, ma non ogni cambiamento significa progresso. Bisogna discernere se tali cambiamenti contribuiscano veramente a riaffermare l’identità, a rinsaldare l’unità, a promuovere la vitalità, la santità della Congregazione”.

    Ogni Capitolo costituisce una tappa importante che proietta la Congregazione verso un nuovo sessennio. Ma “il CG27 – sottolinea Don Chávez – punta a qualcosa di nuovo e di inedito. Ci spinge l’urgenza della radicalità evangelica. Siamo chiamati a tornare all’essenziale, ad essere una Congregazione povera per i poveri, e a ritrovare ispirazione dalla stessa passione apostolica di Don Bosco.” Prima di concludere, il Rettor Maggiore ha ringraziato i Consiglieri per la collaborazione leale, generosa e qualificata e invitato l’assemblea ad una presenza attiva: “A tutti voi, carissimi confratelli, dunque la parola, ma anche l’invito ad aprire il cuore allo Spirito, il grande Maestro interiore che ci guida sempre verso la verità e la pienezza di vita”.

    Il cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, nel suo intervento ha preso spunto dalla Lettera di convocazione del Rettor Maggiore Don Chávez, nella quale ci si domanda: “quale vita consacrata è necessaria e significativa per il mondo di oggi?” e ha sintetizzato la risposta nell’espressione: "vivere la profezia della comunione e della fraternità". Si tratta di passare dalla sequela Christi individuale alla sequela Christi comunitaria, e, parafrasando Santa Teresa d’Avila, costruire oltre il “castello interiore” anche il “castello esteriore”: andare a Dio insieme ai fratelli e le sorelle. Spiritualità di comunione sul modello della Trinità: ecco il paradigma per la realtà odierna nella quale si è chiamati a essere costruttori di comunità oltre che consumatori. Per rendere concreto ogni giorno lo “spirito di famiglia” - ha sottolineato il card. Braz de Aviz - caratteristico dell’esperienza educativa e spirituale di Don Bosco. (R.P.)

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    Inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Europea di Roma

    ◊   Questa mattina si è tenuta la cerimonia d'inaugurazione dell’Anno Accademico 2013 -2014 dell’Università Europea di Roma. L’incontro è stato aperto dal saluto e dalla relazione di padre Luca Gallizia, rettore dell’Ateneo. E' seguita la Lectio Magistralis del card. Giuseppe Bertello, sul tema “Identità e missione dell’università cattolica oggi. Mostrare l’armonia fra fede e ragione”. Il card. Giuseppe Bertello è presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e membro del gruppo di otto cardinali chiamati da Papa Francesco come consiglieri nel governo della Chiesa.

    All'inaugurazione è intervenuto, Gianni Letta, sul tema “L’università come luogo di formazione alla responsabilità”. Nel corso dell’incontro è stata presentata la prima raccolta di articoli scritti dagli studenti del Laboratorio di comunicazione dell’Università Europea di Roma, che gli stessi studenti hanno consegnato al card. Bertello, come dono per Papa Francesco. Questo Laboratorio rappresenta uno dei progetti di responsabilità sociale che gli studenti dell’Università scelgono come parte integrante del loro percorso. Una mostra fotografica permetterà di cogliere lo spirito di servizio e attenzione al disagio sociale che questi programmi intendono promuovere nei giovani studenti. E' stato inoltre presentato e distribuito un volume con i risultati dell’attività di ricerca realizzata dai docenti dei differenti corsi di laurea. La cerimonia si è conclusa con la premiazione dei migliori studenti.

    L’Università Europea di Roma ha iniziato le sue lezioni nell’ottobre 2005 ed ha tra i suoi obiettivi principali la formazione della persona. Una formazione che consenta non solo l’acquisizione di competenze professionali ad alto livello, ma che orienti anche lo studente ad una crescita personale e morale e sviluppi uno spirito di servizio per gli altri. (A cura di Carlo Climati)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 63

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