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Sommario del 30/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’Università “Notre Dame” dell'Indiana: coraggio nel difendere l’identità cattolica
  • Papa Francesco: dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa
  • I vescovi austriaci dal Papa. Mons. Küng: sono le famiglie a darci speranza
  • L'Isle-Verte, il cordoglio del Papa per l'incendio che ha distrutto una residenza per anziani
  • Il Papa nomina mons. Corbellini presidente ad interim dell'Aif
  • Rinuncia e nomina episcopale in Ciad
  • Tweet del Papa: un cristiano sorride, diamo della fede una testimonianza gioiosa
  • P. Lombardi: su Benedetto XVI "Rolling Stone" è di una "rozzezza sorprendente"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Difficile l'accordo a Ginevra. Domenico Quirico: si rischia "somalizzazione"
  • Iraq, bomba fa strage in un mercato di Baghdad
  • Centrafrica. Testimonianza di una volontaria medico: in atto un eccidio, il Papa ci aiuti
  • Sud Sudan: ripresi gli scontri, Machar accusato di alto tradimento
  • Turchia e Iran rafforzano le proprie relazioni diplomatiche e commerciali
  • Fiat Chrysler Automobiles. Mons. Nosiglia: sfida per Torino ma si tutelino i lavoratori
  • Rapporto Caritas-Migrantes: 5 milioni gli immigrati in Italia, nascite in aumento
  • Rapporto Eurispes: ceto medio sempre più povero, cala la fiducia nelle istituzioni
  • Perugia. Inaugurato il "Villaggio della Carità-Sorella Provvidenza"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sochi: appello Onu per tregua olimpica e soluzione dei conflitti
  • Vertice Celac: America Latina e Caraibi "zona di pace"
  • Iraq: ucciso un cristiano a Mossul
  • Iran: scarcerato un cristiano che era in prigione perchè “convertito”
  • Pakistan: i cristiani di Karachi, vittime della mafia dei terreni, chiedono aiuto alla Chiesa
  • Rapporto Unicef sulla condizione dell'infanzia nel mondo
  • Iraq. Il patriarca Sako: unità, dialogo e missione le sfide della Chiesa caldea
  • Patriarca maronita Rai: il Libano ha bisogno di un presidente
  • Unione Africana: il nuovo Presidente è Ould Abdel Aziz. Il 2014 anno della "sicurezza alimentare"
  • Cristiani e musulmani pregano insieme per la pace in Ciad e Centrafrica
  • Congo: nel Katanga oltre 500 mila sfollati da 66 villaggi distrutti dai guerriglieri
  • Filippine: i vescovi chiedono ai laici di stare in prima fila per difendere la vita
  • Spagna: i vescovi ribadiscono il diritto alla vita e alla libertà di educazione
  • Spagna. Nasce Caritas castrense: i militari al servizio di chi soffre
  • America Latina: violenza, insicurezza e delinquenza, le sfide della pastorale giovanile
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’Università “Notre Dame” dell'Indiana: coraggio nel difendere l’identità cattolica

    ◊   In udienza dal Papa, questa mattina, una delegazione dell’Università cattolica di "Notre Dame", giunta dallo Stato dell'Indiana, negli Usa, in occasione dell’inaugurazione di una nuova sede dell’Ateneo a Roma. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Il grazie di Francesco al Consiglio direttivo dell’istituzione accademica, fondata nel 1842 da padre Edward Sorin, membro della Congregazione della Santa Croce:

    "Fin dalla sua fondazione, l’Università Notre Dame ha dato un notevole contributo alla Chiesa nel vostro Paese, con il suo impegno nell’educazione religiosa dei giovani e nell’insegnamento di un sapere ispirato dalla fiducia nell’armonia tra fede e ragione nel perseguimento della verità e della rettitudine".

    Impegno rilanciato con l’apertura della sede romana dell’Ateneo, occasione per gli studenti – ha osservato Francesco – di venire in contatto con “le ricchezze storiche, culturali e spirituali della Città Eterna”, “aprendo le loro menti e i loro cuori” alla continuità tra la fede di Pietro e Paolo, dei confessori e martiri di ogni epoca, e la fede “trasmessa loro nelle famiglie, nelle scuole e nelle parrocchie”.

    Ricordiamo che l’Università di Notre Dame ha sollevato in anni recenti ampio dibattito in ambito accademico cattolico, per avere assegnato nel 2009 la Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza al presidente degli Stati Uniti Obama, nonostante la sua posizione politica in favore del diritto all’aborto.

    “L’ispirazione che ha guidato padre Edward Sorin”, ha sottolineato il Papa, “rimane centrale, nelle mutate circostanze del XXI secolo, per l’identità che contraddistingue l’Università e il suo servizio alla Chiesa e alla società americana”.

    “A tale riguardo, è essenziale una coraggiosa testimonianza delle Università cattoliche nei confronti dell’insegnamento morale della Chiesa e della difesa della libertà di sostenere tali insegnamenti”.

    Insegnamenti “proclamati – ha ricordato Papa Francesco – con autorità dal Magistero dei Pastori", "nelle e attraverso le istituzioni formative della Chiesa”.

    “Auspico che l’Università Notre Dame continui ad offrire la sua indispensabile e inequivocabile testimonianza a questo aspetto della sua fondamentale identità cattolica, specialmente di fronte ai tentativi, da qualsiasi parte essi provengano, di diluirla”.

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    Papa Francesco: dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa

    ◊   “Non si capisce un cristiano senza Chiesa”: lo ha affermato stamani Papa Francesco durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il Pontefice ha indicato tre pilastri del senso di appartenenza ecclesiale: l’umiltà, la fedeltà e la preghiera per la Chiesa. Il servizio di Sergio Centofanti:

    L’omelia del Papa è partita dalla figura del re Davide, come viene presentata dalle letture del giorno: un uomo che parla col Signore come un figlio parla con il padre e anche se riceve un “no” alle sue richieste, lo accetta con gioia. Davide – osserva Papa Francesco – aveva “un sentimento forte di appartenenza al popolo di Dio”. E questo – ha proseguito – ci fa chiedere su quale sia il nostro senso di appartenenza alla Chiesa, il nostro sentire con la Chiesa e nella Chiesa:

    “Il cristiano non è un battezzato che riceve il Battesimo e poi va avanti per la sua strada. Il primo frutto del Battesimo è farti appartenere alla Chiesa, al popolo di Dio. Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda”.

    Il “sensus ecclesiae” – ha affermato - è “proprio il sentire, pensare, volere, dentro la Chiesa”. Ci sono “tre pilastri di questa appartenenza, di questo sentire con la Chiesa. Il primo è l’umiltà”, nella consapevolezza di essere “inseriti in una comunità come una grazia grande”:

    “Una persona che non è umile, non può sentire con la Chiesa, sentirà quello che a lei piace, a lui piace. E’ questa umiltà che si vede in Davide: ‘Chi sono io, Signore Dio, e che cosa è la mia casa?’. Con quella coscienza che la storia di salvezza non è incominciata con me e non finirà quando io muoio. No, è tutta una storia di salvezza: io vengo, il Signore ti prende, ti fa andare avanti e poi ti chiama e la storia continua. La storia della Chiesa incominciò prima di noi e continuerà dopo di noi. Umiltà: siamo una piccola parte di un grande popolo, che va sulla strada del Signore”.

    Il secondo pilastro è la fedeltà, “che va collegata all’ubbidienza”:

    “Fedeltà alla Chiesa; fedeltà al suo insegnamento; fedeltà al Credo; fedeltà alla dottrina, custodire questa dottrina. Umiltà e fedeltà. Anche Paolo VI ci ricordava che noi riceviamo il messaggio del Vangelo come un dono e dobbiamo trasmetterlo come un dono, ma non come una cosa nostra: è un dono ricevuto che diamo. E in questa trasmissione essere fedeli. Perché noi abbiamo ricevuto e dobbiamo dare un Vangelo che non è nostro, che è di Gesù, e non dobbiamo – diceva Lui – diventare padroni del Vangelo, padroni della dottrina ricevuta, per utilizzarla a nostro piacere”.

    Il terzo pilastro – ha detto il Papa – è un servizio particolare: “pregare per la Chiesa”. “Come va la nostra preghiera per la Chiesa? – domanda Papa Francesco - Preghiamo per la Chiesa? Nella Messa tutti i giorni, ma a casa nostra, no? Quando facciamo le nostre preghiere?”. Pregare per tutta la Chiesa, in tutte le parti del mondo. “Che il Signore –ha concluso il Papa - ci aiuti ad andare su questa strada per approfondire la nostra appartenenza alla Chiesa e il nostro sentire con la Chiesa”.

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    I vescovi austriaci dal Papa. Mons. Küng: sono le famiglie a darci speranza

    ◊   Una Chiesa dal volto anziano e che tende a “spopolarsi”. Ma anche una Chiesa che trae nuova linfa vitale dai Movimenti ecclesiali, richiamando un buon numero di giovani. Sono i volti della Chiesa in Austria, i cui vescovi sono stati ricevuti oggi insieme da Papa Francesco, al termine della loro visita ad Limina, durante la quale il Papa ha consegnato loro il discorso preparato per l'occasione. Mons. Klaus Küng, vescovo di St. Pölten, spiega nell’intervista di Stefano Leszczynski, come soprattutto la pastorale familiare sia, anche in vista del Sinodo di ottobre, un punto di partenza per rilanciare la vita ecclesiale austriaca:

    R. – La pastorale familiare è diventata molto più difficile, anche per la diminuzione della pratica della fede. Un 95% di quelli che partecipano alla preparazione matrimoniale, già convivono e a volte hanno anche figli. Quindi, sono battezzati, ma non evangelizzati, si può dire… Allo stesso tempo, bisogna però rendersi conto che esiste un buon numero di famiglie giovani che si sforzano veramente di realizzare una vita cristiana seria. E queste danno speranza.

    D. – E’ una situazione difficile: le sfide pastorali sono tante, però potrebbe anche essere una buona occasione per rilanciare e interrogarsi in maniera nuova su come è cambiata la società…

    R. – E’ vero. E’ interessante vedere come adesso la grande maggioranza della popolazione, soprattutto i giovani, abbiano il desiderio di avere una famiglia – si potrebbe dire, anche se non mi piace questa espressione – “tradizionale”. Vogliono una famiglia, composta da un uomo o una donna, per tutta la vita. E’ un’occasione per la Chiesa – e penso sia anche un’urgenza grande – di annunciare il Vangelo sulla vita e sulla famiglia. Per avere una vita felice è necessario l’amore e questo senza famiglia, a lungo andare, non è possibile!

    D. – Come si stanno preparando le comunità locali a vivere il prossimo Sinodo per la famiglia?
    R. – Lo scopo del questionario preparatorio non è quello di cambiare la dottrina della Chiesa, ma vedere se questa dottrina della Chiesa sia conosciuta e come sia accettata. Si vede che molta gente non conosce bene quello che dice la Chiesa. Per incarico della Conferenza episcopale, ho inviato i questionari anche ai Movimenti. Si vede che è possibile vivere quello che insegna la Chiesa: c’è un numero molto attivo di famiglie che vedono come una missione importante mostrare anche agli altri il cammino che insegna nostro Signore.

    D. – A questo punto, in che modo la Chiesa austriaca e il Pontificio Consiglio per la Famiglia potrebbero trovare un modo di collaborare per promuovere la famiglia?

    R. – Io penso che uno dei compiti importanti del Consiglio e anche della Conferenza episcopale sia proprio quello di fare un buon networking, facendo conoscere le esperienze positive che ci sono in molti Paesi, da noi come anche in Italia, negli Stati Uniti, in Francia… C’è la necessità di essere creativi: nelle diocesi, la famiglia deve essere il soggetto dell’annuncio del Vangelo.

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    L'Isle-Verte, il cordoglio del Papa per l'incendio che ha distrutto una residenza per anziani

    ◊   Il Papa ha espresso il suo profondo cordoglio per le numerose vittime provocate dall’incendio avvenuto nella notte del 22 gennaio a L’Isle-Verte, nel Quebec, in Canada, che ha distrutto una residenza per anziani. In un messaggio a firma del segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, e inviato a mons. Pierre-André Fournier, arcivescovo di Rimouski, Papa Francesco “si unisce in preghiera al dolore delle famiglie colpite dal lutto ed affida le vittime alla misericordia di Dio, affinché siano accolte nella sua luce”. Esprime, quindi, “la sua vicinanza spirituale ai feriti ed ai loro familiari, così come ai vigili del fuoco ed ai soccorritori che hanno svolto un grande lavoro di solidarietà, reso difficile dalle condizioni meteorologiche”. In segno di conforto, il Santo Padre imparte, infine, una particolare benedizione apostolica a tutte le persone toccate da questa tragedia.

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    Il Papa nomina mons. Corbellini presidente ad interim dell'Aif

    ◊   Il Papa ha accolto la richiesta del cardinale Attilio Nicora di essere sollevato dall'incarico di presidente dell'Autorità di Informazione Finanziaria ed ha nominato presidente ad interim dell’Aif mons. Giorgio Corbellini, vescovo titolare di Abula, che conserva gli uffici di presidente dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica e della Commissione Disciplinare della Curia Romana.

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    Rinuncia e nomina episcopale in Ciad

    ◊   Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Doba in Ciad, presentata da mons. Michele Russo, dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, in conformità al canone 401 - paragrafo 2 del Codice di Diritto Canonico, e ha nominato come amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della medesima diocesi il vescovo della diocesi ciadiana di Lai, mons. Miguel Angel Sebastián Martínez, appartenente al medesimo Istituto religioso.

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    Tweet del Papa: un cristiano sorride, diamo della fede una testimonianza gioiosa

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Non posso immaginare un cristiano che non sappia sorridere. Cerchiamo di dare una testimonianza gioiosa della nostra fede”.

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    P. Lombardi: su Benedetto XVI "Rolling Stone" è di una "rozzezza sorprendente"

    ◊   Ha fatto il giro del mondo il lungo articolo dedicato a Papa Francesco dalla rivista “Rolling Stone”, che riserva al Papa anche la copertina dall’ultimo numero. Ma il contenuto del pezzo suscita la critica della Sala Stampa della Santa Sede. “L'articolo di Rolling Stone – ha affermato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi – è un segno dell'attenzione che le novità del Papa Francesco attira negli ambienti più diversi. Purtroppo – osserva – l'articolo stesso si squalifica cadendo nell'abituale errore di un giornalismo superficiale, che per mettere in luce aspetti positivi di Papa Francesco pensa di dover descrivere in modo negativo il Pontificato di Papa Benedetto, e lo fa con una rozzezza sorprendente. Peccato. Non è questo – conclude padre Lombardi – il modo di fare un buon servizio neppure al Papa Francesco, che sa benissimo quanto la Chiesa deve al suo Predecessore".

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Non è un mondo per bambini: rapporto annuale sullo stato dell’infanzia.

    In difesa della libertà d’insegnamento: nel discorso ai membri dell’università Notre Dame il Papa ribadisce il diritto di educare ai valori morali della Chiesa.

    E' così nell’uomo perché è così in Dio: María Prades López sul documento della Commissione teologica internazionale su monoteismo e violenza.

    Per superare il letargo: l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, su primato e collegialità nella Chiesa secondo Papa Francesco.

    Ora non aspettiamo altre Amina: Zouhir Louassini su democrazia e diritti umani in Marocco.

    Samaritani alla Grande Guerra: Giovanni Cerbo racconta la missione umanitaria dei delegati religiosi durante il primo conflitto mondiale.

    Il Cantico delle creature in Parlamento: inaugurata alla Camera dei deputati la mostra su San Francesco.

    Sotto le bombe l’arte è necessaria: vita quotidiana a Beirut in un reportage di “Le Figaro”.

    Franco La Cecla sui pasti caldi su due ruote a Mumbai.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Difficile l'accordo a Ginevra. Domenico Quirico: si rischia "somalizzazione"

    ◊   In Siria non si arrestano gli scontri, mentre l’Organizzazione internazionale Human Rights Watch, ha accusato il regime di Bashar al-Assad di aver ''cancellato interi quartieri con bulldozer ed esplosivi. Intanto a Ginevra il primo round del negoziato di pace si avvia alla fase finale, senza passi in avanti significativi. Massimiliano Menichetti:

    A Ginevra domani si chiude il primo round di negoziati tra opposizione e regime siriano seduti intorno ad un tavolo dopo tre anni di combattimenti che hanno ucciso 130mila persone. 114 nelle ultime 24 ore. Per ora nessun accordo è stato siglato, neanche sul fronte umanitario. Il mediatore internazionale, Lakhdar Brahimi, ostenta ottimismo e ribadisce che le parti "stanno ancora parlando”. Speranze sono riposte nella seconda tornata d’incontri che potrebbe partire già la prossima settimana. In questo scenario l’organizzazione internazionale Human Rights Watch, accusa il regime di Assad di aver ''cancellato interi quartieri” con bulldozer ed esplosivi: 140 ettari situati nella provincia di Hama e attorno Damasco. Intanto l'Onu è riuscita stamani a far entrare aiuti alimentari nel campo profughi palestinese di Yarmuk, a sud della capitale: 20mila le persone affamate e strette dalla morsa del freddo in una zona contesa tra opposizione e militari. Drammatica anche la situazione dei sequestri in Siria, sarebbero oltre 20mila i rapiti, tra i quali padre Paolo Dall’Oglio, scomparso nel luglio scorso a Raqqa. Domenico Quirico inviato speciale de La Stampa, sequestrato per 152 giorni, nel 2013, in Siria:

    R. - Padre dall’Oglio è un testimone ma anche un uomo che ha parlato a favore di una rivoluzione che risale a tre anni fa. Nel frattempo, la situazione è profondamente cambiata: sul terreno sono arrivati attori che prima non c’erano, ad esempio i jihadisti, o i gruppi delinquenziali travestiti da gruppi rivoluzionari che hanno radicalmente modificato la situazione, hanno modificato la nostra analisi ed anche i rischi che si corrono a condividere il dolore e la sofferenza dei siriani. Oggi in Siria ci sono 22 milioni di ostaggi, da una parte e dall’altra; ostaggi di guerra, dell’orrore, della violenza…

    D. – Tante e contraddittorie sono le notizie sulla sorte dei rapiti in Siria…

    R. – E’ importante capire chi ha rapito chi, perché se uno cade nelle mani di un gruppo jihadista è una cosa; se uno capita nelle mani di un gruppo di delinquenti/rivoluzionari a cui si aggiunge l’esistenza - di cui non ho le prove ma è quasi certa - di gruppi “governativi” travestiti da gruppi jihadisti – perché oggi in Siria è possibile anche questo – allora il problema cambia. Essere preso dall’uno e dall’altro modifica radicalmente le probabilità di uscirne; cambia la durata del sequestro, le condizioni del sequestro… Ci sono tante variabili. La situazione in Siria cambia ad una velocità impressionante: me ne sono accorto io stesso che ero andato lì a gennaio e avevo trovato una certa situazione; sono tornato a marzo e ne ho trovata una completamente diversa. Si può dire che sono rimasto “vittima” della rapidità del mutare delle condizioni della situazione.

    D. – A Ginevra sono allo stesso tavolo opposizione e governo siriano…

    R. – Il problema è che un attore fondamentale di questa tragedia non c’è a Ginevra. Dov’ è Jabhat al-Nusra? Dove sono i gruppi che si richiamano ad Al Qaeda? Non parteciperanno mai perché non prendono ordini da nessuno. Temo purtroppo che Ginevra sia una grande “figurazione comunicativa” da cui non uscirà niente, forse solo qualche elemento umanitario. I gruppi che sono rappresentati dal braccio politico della rivoluzione siriana, sul terreno non contano niente. Vi posso dare un esempio personale e pratico: non sono riusciti a tirarmi fuori dalla Siria in cinque mesi…

    D. – Qual potrà essere il futuro del Paese?

    R. – Richiamo un'altra volta un Paese tragico e disperato: la Somalia. La “somalizzazione” è il rischio, cioè la partizione del territorio, che sarà diviso a seconda dei gruppi che lo controllano: una parte controllata dal governo, sostanzialmente le grandi città, la frontiera con il Libano e la zona alawita; i gruppi jihadisti di varia natura e nome controlleranno la parte Est del Paese, i confini con l’Iran e con la Turchia; poi ci saranno gruppi più piccoli che sono quelli che rimangono della “nebulosa” dell’armata siriana libera, ovvero, il braccio armato della Prima rivoluzione siriana che si è disintegrata, scomparsa e che controlla altre piccole parti di territorio. Questi gruppi “tosano” la popolazione, esercitano il sequestro come metodo per finanziarsi e non necessariamente per comprare munizioni; questa è un’altra realtà che ho potuto verificare di persona: i soldi dei sequestri non servono per comprare le armi e per battersi contro Bashar, ma spesso servono ai militanti che fanno parte delle brigate di questi gruppi rivoluzionari e delinquenziali per vivere bene.

    D. – Ci sono due vie – hai detto - che si possono seguire dopo un sequestro: la vendetta e la rabbia; ed il perdono. Che posto ha adesso quella terribile esperienza del rapimento nella tua vita?

    R. – Il mio giudizio e la mia riflessione sulla Siria è la considerazione che, mentre io non sono più sequestrato ed ho un’altra vita, per milioni di siriani invece questa possibilità non c’è; la loro vita è un campo profughi. Quindi il mio rapporto con loro non può che essere la conseguenza di questa constatazione.

    D. – Stai andando in Ucraina, un altro terreno caldo in questi giorni. Con che spirito vai?

    R. – Vado per vedere - come in molti altri posti del mondo che io ho attraversato - se siamo di fronte ad una Primavera, ovvero, l’esplosione di una volontà di trasformare il mondo, o se tutto questo è un’altra cosa. Come faccio sempre credo sia quel ciclo fondamentale del mestiere che facciamo, per cui prima di partire non bisogna dire nulla. Vado senza alcun pregiudizio. Questo è l’unico atteggiamento che conosco.

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    Iraq, bomba fa strage in un mercato di Baghdad

    ◊   Situazione sempre più instabile in Iraq. Dopo i sanguinosi attentati di ieri, anche stamani una bomba esplosa in un mercato di Baghdad ha causato almeno sei morti e 20 feriti. Un gruppo di uomini armati ha anche occupato il Ministro per i Diritti Umani, prendendo in ostaggio alcuni dipendenti. Immediato il blitz delle forze dell’ordine che hanno ucciso diversi miliziani, liberando i sequestrati. Oltre 900 le vittime di attacchi solo nel mese di gennaio. Sui motivi di questa recrudescenza delle violenze nel Paese del Golfo, Giancarlo La Vella ha intervistato Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere della Sera:

    R. – Alla base di tutto, sostanzialmente c’è il fallimento della politica del primo ministro sciita, Nouri al-Maliki, che non è stato capace di inglobare la grossa minoranza sunnita del Paese – circa il 35% della popolazione –- nella sua politica. Da quando c’è stato il ritiro americano, nell’estate 2011, di fatto i sunniti non sono più una voce forte, almeno proporzionale alla loro presenza, nel governo dell’Iraq. Questo è il grande dramma. I sunniti si sono sentiti esclusi, addirittura occupati dalle milizie sciite del governo al-Maliki nelle loro regioni. Gli stessi leader locali continuano a dire che se lui continua ad escluderli, alla fine vincerà la “fronda”, cioè vinceranno gli estremisti, o addirittura i gruppi filo al-Qaeda, cosa che è avvenuta.

    D. – Secondo lei, la ripresa degli attentati in Iraq dipende da una ricaduta negativa della situazione siriana?

    R. – Sì, ma il fatto che in Siria sia cresciuta la guerra civile, il fatto che i gruppi dell’estremismo sunnita abbiamo avuto terreno facile in Siria, ha favorito questo collegamento. Di fatto, quello che sta crescendo è una sorta di repubblica semi-autonoma, estremista sunnita che va da Aleppo, Homs, Hama, scende per il deserto ad est ed arriva ad Al-Anbār.

    D. – E’ plausibile secondo lei, proprio su questo aspetto, che da qui a breve ci si possa trovare con una cartina geografica ridisegnata in qualche modo?

    R. – Sì, c’è questa tendenza. Come ad esempio è avvenuto in Libia, dove i confini coloniali costruiti e disegnati dall’Italia nel ‘911 sono messi in dubbio con la divisione tra Tripoli e Bengasi. Certamente, tendenze di questo genere ci sono in Siria, in Giordania ed anche in Iraq. Poi, quanto effettivamente la cosa sarà permessa dalla comunità internazionale e dagli stessi governi nazionali dobbiamo ancora vederlo. Ma certamente le "primavere arabe" hanno imposto questo trend.

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    Centrafrica. Testimonianza di una volontaria medico: in atto un eccidio, il Papa ci aiuti

    ◊   Ancora violenze nella Repubblica Centrafricana, teatro da quasi un anno di sanguinosi scontri commesse dai ribelli Seleka e dalle milizie anti-Balaka. Sono almeno 10 i combattenti uccisi oggi dai soldati francesi nel corso di uno scontro vicino ad un campo di detenzione per ex ribelli a Bangui. Il presidente del Paese, Catherine Samba-Panza, ha chiesto all’Onu l’invio di caschi blu. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La Repubblica Centrafricana è dilaniata da un sanguinoso conflitto, rimasto come altri nella "periferia mediatica". È dal 24 marzo del 2013, da quando il governo del presidente François Bozizé è stato rovesciato dalle milizie del gruppo islamista Seleka, guidato da Michel Djotodia, che il Paese è scosso da violenze. Per ristabilire la pace, l’Onu ha dato il via libera a una missione europea di peacekeeping a sostegno dei militari della missione Misca, guidata dall’Unione Africana, e ai 1.600 soldati francesi già dispiegati sul territorio. Si stima che dall’inizio del conflitto siano state uccise più di duemila persone. Molte delle vittime sono bambini. Gli sfollati sono oltre un milione. Il Paese, con quattro milioni e mezzo di abitanti, è precipitato in una crisi umanitaria senza precedenti. Intanto, si è da poco formato un nuovo governo. Lo scorso 20 gennaio, dopo le dimissioni di Djotidia, il parlamento ha eletto come capo di Stato Catherine Samba-Panza, prima donna presidente nella storia della Repubblica Centrafricana. Ha l’arduo compito di guidare l’esecutivo di transizione per riportare l’ordine nel Paese, devastato dagli scontri tra i miliziani di Seleka e i combattenti di anti-Balaka (cioè "anti-machete"). Queste ultime sono formazioni nate nel nord del Paese su impulso dell’ex presidente Bozizé per proteggere le popolazioni dai banditi che imperversano nella regione. Si tratta di combattimenti definiti, spesso, come interreligiosi. La realtà, invece, è più complessa: non tutti i membri di Seleka sono musulmani e non sono in gran parte cristiani i miliziani anti-Balaka. Recentemente molti ribelli di Seleka, disarmati dalle truppe francesi, sono tornati in Ciad. Continuano invece a essere armati i combattenti anti-Balaka. La situazione resta estremamente grave e le vittime sono soprattutto civili. In varie zone del Paese, le missioni cattoliche che accolgono rifugiati e malati sono le uniche ancora in grado di assistere e proteggere la popolazione civile.

    Nella Repubblica Centrafricana, è dunque sempre più grave il dramma umanitario. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente la dottoressa Patrizia Emiliani, medico volontario presso l’ospedale delle missioni cattoliche a Bimbo, città non lontana dalla capitale Bangui:

    R. – Viviamo prigioniere, perché siamo accerchiate dai Balaka che controllano tutto il territorio intorno a noi. E’ chiaro che la situazione è tesa, perché questi sono armati e i francesi non li hanno mai disarmati. E quindi compiono azioni di saccheggio, durante la notte sparano… C’è tensione.

    D. – C’è dunque tensione, ma nella vostra zona continuano ad arrivare persone in fuga da varie zone del Paese…

    R. – La gran parte della popolazione di Bangui si è rifugiata a Bimbo. Si calcola che qui ci siano rifugiati prevalentemente presso le missioni cattoliche. Ci saranno circa 90 mila persone. Altrettante sono ospitate presso case private. La situazione è veramente precaria. Il problema umanitario a Bimbo è grande. La fame, soprattutto… Noi, personalmente, diamo assistenza gratuita a tutti quelli che si presentano qui all’ospedale. Li curiamo per quello che possiamo, perché non abbiamo più farmaci. Però, cure di emergenza per la malaria, per le anemie che qui imperversano, riusciamo ancora a garantirle. Ma è cosa di qualche giorno…

    D. – Attualmente, in città quali sono le strutture in grado ancora di offrire assistenza sanitaria?

    R. – Adesso, attualmente, c’è l’ospedale comunitario che è gestito da Medici senza frontiere che fa un lavoro enorme, però è prevalentemente traumatologia. Qui all’ospedale civico di Bimbo c’è sempre il solito problema: non hanno farmaci, se ce li hanno, spariscono; i centri sanitari sono chiusi perché il personale non va a lavorare e quindi alla fine tutto si ripiega qui, su Bimbo, da noi. C’è Emergency in città ed anche loro fanno un grande lavoro. Assicurano la chirurgia al complesso pediatrico… Però, la popolazione è tanta, quindi siamo come una goccia in un oceano.

    D. – Quali sono, in un momento così drammatico, le principali emergenze sanitarie?

    R. – Le emergenze sanitarie in questo momento sono prevalentemente la malnutrizione, che è grave e acuta, con picchi di anemia che fanno paura. Tra tutti i bambini che vengono qui – noi visitiamo una media di 50-60 bambini al giorno – non c’è nessuno che supera gli 8 grammi di emoglobina. Quindi, veramente stanno male. Poi, c’è la malaria che fa disastri. Si prevede che nei prossimi mesi ci sarà un’ecatombe.

    D. – Aiutate tutti, senza alcuna distinzione…

    R. – Assolutamente. Noi non facciamo alcun tipo di distinzione: né politica, né razziale, né di religione. Qui abbiamo nascosto parecchi bambini, anzi siamo andati a recuperare dei musulmani che lavoravano presso altre missioni cattoliche e con l’ambulanza li abbiamo portati in salvo, perché qui li ammazzano. Per questo, parecchi di loro sono all’arcidiocesi a Bangui, dove l’arcivescovo li protegge all’interno dell’arcivescovado.

    D. – La Repubblica Centrafricana è dunque un Paese segnato da violenze e da tragedie. Quale è il vostro appello?

    R. – Il nostro appello è che qualcuno venga a calmare questa gente. Io non so se il Santo Padre possa intervenire. Ma che lo faccia, perché qui veramente è un genocidio. E’ una cosa impossibile! I francesi, malgrado quello che dicono in Francia, non riescono a controllare la situazione. Li abbiamo chiamati: ci sono dei religiosi che hanno avuto bisogno di aiuto, loro non vanno. Dunque, qui ci vuole qualcuno che riesca a smuovere la coscienza, soprattutto delle Nazioni Unite. Che vengano qui, rapidamente, perché più aspettano e più la gente muore. Qui veramente è un genocidio grande. E un disastro! La gente viene uccisa a colpi di machete, li fanno a pezzi…

    D. – Atrocità di cui siete testimoni…

    R. – Io ho visto delle scene in città … Il nostro nunzio, il nunzio ad interim, don Andrea, ha vissuto una situazione, due domeniche fa, veramente allucinante. Davanti al portone della nunziatura è stato aggredito un signore musulmano che passava, poveraccio, non c’entrava niente… L’hanno preso a sassate, poi l’hanno lapidato, l’hanno tagliato a pezzi, bruciato... E don Andrea che gridava: aiutateci! Chiamava i francesi. Ma nessuno si è presentato...

    D. – Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha autorizzato il dispiegamento di una forza europea per sostenere quella, già presente, nella Repubblica Centrafricana. La speranza è che si possa ristabilire l’ordine nel Paese…

    R. – Abbiamo sentito questo. Dicono che l’Unione Europea abbia autorizzato questa missione. Anche l’Onu dice che manderà soldati, ma fino a oggi non abbiamo visto nessuno. Qui ci sono 1.600 uomini della missione francese e ce ne sono altri 6.000 dell’interforza africana, la Misca, però pattugliano solo le strade principali. Hanno disarmato tutti i Seleka ma non disarmano i Balaka. E questi nei quartieri fanno di tutto: ammazzano la gente e la tagliano a pezzi! Io ho lavorato in tanti Paesi africani, ma francamente una situazione così non l’avevo mai vista. Nemmeno in Rwanda è stato così.

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    Sud Sudan: ripresi gli scontri, Machar accusato di alto tradimento

    ◊   L'ex vice presidente del Sud Sudan e capo dei ribelli, Riek Machar, è stato accusato di alto tradimento insieme a sette degli altri 13 politici implicati nel presunto tentativo di colpo di Stato del 15 dicembre. Una notizia che giunge dopo l'accordo sul cessate il fuoco, raggiunto nei giorni scorsi ad Addis Abeba, ma non rispettato. Adesso, un'altra occasione per la fine delle ostilità tra governativi e ribelli potrebbe essere la sessione ordinaria del Consiglio esecutivo dell'Unione Africana, come sostiene Marco Massoni, segretario generale dell'Institute for Global Studies. Lo ha intervistato Filippo Passantino:

    R. - Sicuramente Machar ha fatto il passo più lungo della gamba, perché ovviamente si è messo contro tutti. Sta di fatto che c’è una opposizione fra una illegittimità costituzionale interna e una legittimità internazionale, che non può essere misconosciuta da parte dei Paesi che fanno parte del gruppo dei volonterosi che tentano la mediazione: il fallimento della negoziazione in corso deriva proprio da questa frizione che c’è fra lo scollamento della politica interna, che è collassata, con la legittima azione che inevitabilmente si vuole dare da parte dell’Unione Africana come piattaforma intergovernativa nei confronti dei dialoganti.

    D. - Le trattative devono coinvolgere anche Machar, nonostante lo stato d’accusa?

    R. - Secondo me, è inevitabile mettere al tavolino per forza, sempre e comunque tutti, perché entrambe le parti - Machar da un lato e Salva Kir dall’altra - hanno perso comunque legittimità nei confronti delle proprie popolazioni, dei propri cittadini e anche degli interlocutori esterni.

    D. - Il dialogo, però, si fa sempre più difficile per via della ripresa degli scontri…

    R. - Non è facile dialogare con fazioni, movimenti, partiti politici che sono sempre stati abituati più al conflitto che alla mediazione, che porta i risultati di lungo termine. Movimenti di liberazione che hanno condotto al successo di una autonomia, di una indipendenza - in questo caso Sud Sudan - dopo decenni di conflitto e di guerra non necessariamente si trasformano legittimamente in referenti politici all’altezza di gestire un Paese fin dall’inizio. Decisamente il ruolo di una organizzazione economico-regionale, come quella dell'Igad e altrettanto l’Unione Africana come legittima e unica piattaforma intergovernativa africana - che comunque raccoglie tutti gli Stati dell’Africa, ad eccezione del Marocco - è in grado sicuramente di avere la piena legittimità nelle negoziazioni. Ricordiamo che in questi ultimi anni le negoziazioni anche per il Darfur, le negoziazioni anche per la stessa pace fra i due Paesi - Sudan e Sud Sudan - sono state condotte con risultati evidentemente alterni, però importantissimi, proprio dall’Unione Africana, da personalità africane, che sono state capaci di dimostrare la propria autorevolezza in patria, nei propri Paesi e poi - dopo - con un servizio anche nei confronti degli altri Paesi cugini dello stesso continente.

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    Turchia e Iran rafforzano le proprie relazioni diplomatiche e commerciali

    ◊   Turchia e Iran rafforzano le proprie relazioni attraverso la firma di tre accordi di cooperazione bilaterale. E’ il risultato della prima missione diplomatica a Teheran del premier turco Erdogan, dopo l’elezione del presidente iraniano Rohani. Gli osservatori parlano di un evento-chiave per tutto il Medioriente e di un possibile riavvicinamento politico tra i due Paesi, che hanno posizioni divergenti sulla guerra in Siria. Salvatore Sabatino ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste, se questo accordo può cambiare gli equilibri in campo:

    R. – Sì, certamente, anche perché i due governi li vogliono cambiare e questo è sicuramente effetto del disgelo siriano delle ultime settimane. La Turchia è, a questo riguardo, sicuramente meno aggressiva, e l’Iran più negoziale. La strategia della Turchia è quella di entrare economicamente nella regione, nel momento in cui si stanno allentando le sanzioni, che hanno comunque danneggiato negli ultimi anni l’economia turca. I due Paesi, un tempo distanti - non dimentichiamo che sono confinanti proprio nell’area del Kurdistan – stanno riprendendo questi rapporti, soprattutto su gas, petrolio e patto bancario. Questi, diciamo, sono i due pilastri, oltre l’interscambio, su cui si basa questo nuovo rapporto.

    D. – Da una parte abbiamo il neo-ottomanesimo di Erdogan, dall’altra le aperture di Rohani, dopo l’era di Ahmadinejad. Cosa dicono al mondo questi due Paesi in fatto di geopolitica e di rapporti internazionali?

    R. – Sicuramente uno degli obiettivi è la stabilizzazione della situazione siriana e, come dire, una spartizione delle aree d’influenza della Turchia, sempre più protesa verso la sponda del Mediterraneo e dell’Iran, che comincia ad esercitare la sua influenza invece nell’area mediorientale. Questa suddivisione delle aree d’influenza, secondo me, è destinata a durare nel tempo, perché non confligge, anzi, rafforza entrambi i governi ed entrambe le posizioni. E di questa nuova situazione ne dovranno tenere conto sia gli Stati Uniti sia l’Europa, che, comunque, su molti punti finiscono per perdere terreno.

    D. – Non bisogna nemmeno sottovalutare che Iran e Turchia, entrambi i Paesi non arabi, continuano ad avere un ruolo fondamentale per l’intera area mediorientale...

    R. – Sì, devo dire che anche se non viene sostanzialmente messo in evidenza da quasi nessuna fonte, io ritengo che questo accordo sia anche un accordo che, in qualche modo, tenda a contenere l’espansionismo saudita. L’Arabia Saudita ha svolto un grande ruolo negli ultimi anni, espandendo la propria attività negoziale strategica ed economica. Ho la sensazione che l’asse Turchia-Iran serva molto a contenere anche questo.

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    Fiat Chrysler Automobiles. Mons. Nosiglia: sfida per Torino ma si tutelino i lavoratori

    ◊   La Fiat ha confermato che non ridurrà gli investimenti in Italia. Lo ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, a un giorno dalla nascita del nuovo gruppo "Fiat Chrysler Automobiles". La sede legale sarà in Olanda, quella fiscale in Gran Bretagna. Il numero uno Marchionne assicura: “Nessun impatto per l'occupazione". Dall’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, l’appello perché siano tutelati i lavoratori già duramente provati dalla crisi. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – Dal punto di vista delle prospettive di sviluppo dell’azienda, certamente il fatto è rilevante. Certo, bisognerà continuare ad affidarsi all’abilità del gruppo dirigente, per conquistare condizioni vantaggiose in un mercato che sappiamo quanto è difficile. Il successo della Chrysler, però, sembra indicare che gli strumenti non mancano.

    D. – Le sedi del nuovo gruppo saranno in Olanda e Gran Bretagna: quali le ricadute per la città di Torino e per la sua tradizione industriale legata all’automobile, legata alla Fiat?

    R. – E’ stato detto e ridetto che, sì, le sedi ovviamente sono state spostate. Torino, però, rimarrà un polo produttivo importante, non tanto diciamo dal punto di vista direzionale, ma dal punto di vista della presenza dei lavoratori, delle dirigenze e così via. Certo, lì c’è un patrimonio di persone qualificate sotto il profilo della ricerca o sotto il profilo della qualità stessa dei lavoratori e di tutti coloro che hanno fatto grande la Fiat e questo deve restare. In questo modo, la Fiat diventa sempre di più un punto di riferimento produttivo, che trascina poi gli imprenditori, sia italiani che esteri, a guardare a Torino e all’Italia.

    D. – Come far sì che questo patrimonio di conoscenza, questo personale qualificato, cui faceva riferimento, maturato a Torino e in Italia dalla Fiat, non vada perso? La sua gente è preoccupata in questo momento?

    R. – Certamente può sembrare, spostando l’asse portante al di fuori di Torino. Io credo di no invece, almeno da come mi è stato garantito... Io sono stato a vedere questa sede ed è veramente qualificata. Qui a Torino, tra l'altro, abbiamo il Politecnico, che è una delle Università più rinomate nel nostro Paese, e probabilmente anche in Europa. C’è uno stretto rapporto, quindi, anche tra Università, Politecnico e questi centri di progettazione di nuovi modelli, di qualità anche delle auto. Questo è un patrimonio veramente da non perdere assolutamente e che comunque io penso resterà. Resterà, anche perché adesso riprenderà la produzione a Mirafiori. Questi operai sono ormai in cassa integrazione da tre o quattro anni. E’ giusto, quindi, che sentano in concreto che questo accordo li favorisce. La città ha bisogno anche di questo. E la città, però, certamente deve fare la sua parte, deve anche mettere in moto tante situazioni – infrastrutture, trasporti, reti di comunicazione – deve diventare una città che accoglie una multinazionale.

    D. – Perché è importante che anche in questa vicenda la Chiesa dica la sua opinione?

    R. – Qui a Torino, c’è una tradizione fortissima d’intervento da parte della Chiesa sul piano del lavoro. Poi, io penso prima di tutto ci siano le persone, migliaia e migliaia di lavoratori, dirigenti, l’indotto. Bisogna quindi salvaguardare le famiglie, salvaguardare l’occupazione. Oggi, c’è una situazione difficilissima: il 40% dei giovani da noi è senza lavoro e moltissimi sono i disoccupati. Torino, quindi, sta soffrendo molto la crisi. Questo segno di speranza mi auguro abbia una ricaduta positiva proprio nella nostra società. La Chiesa non può non dare la sua valutazione e anche invitare sempre di più a mettere al centro non solo l’economia, la finanza, la produzione, ma anche il lavoro. Il capitale più importante, insomma, è il lavoratore, la persona che lavora.

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    Rapporto Caritas-Migrantes: 5 milioni gli immigrati in Italia, nascite in aumento

    ◊   La crisi ha frenato l’arrivo di immigrati in Italia, ma comunque la loro presenza rimane consistente: circa cinque milioni tra regolari e irregolari. Lo afferma il Rapporto Caritas-Migrantes, presentato oggi a Roma. Il ministro dell’Integrazione, Cecilie Kyenge, ha aggiunto che le prossime settimane saranno decisive per la riforma della cittadinanza. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Nel 2012, circa il 3% della popolazione mondiale ha lasciato il proprio Paese per andare a vivere in un altro. E l’Italia ha fatto la sua parte. Nel 2013, ci sono stati circa 334 mila stranieri in più rispetto al 2012, ma questo è dovuto in primo luogo all’apporto alla natalità dato dalle donne straniere. Sono infatti aumentate le partenze di chi decide di tornare a casa o va verso altri Paesi della Ue. D’altronde, le condizioni di lavoro sono peggiorate con la crisi: basta dire che il reddito medio delle famiglie immigrate è solo il 56% di quello degli italiani. Oliviero Forti, tra curatori del dossier Caritas-Migrantes:

    “Gli immigrati, chiaramente, costituiscono l’aspetto più vulnerabile della società e quindi per primi vivono il problema della casa, il problema del lavoro, e vivono anche il problema di un progetto migratorio fallito, che li porta in molti casi a tornare nei propri Paesi di origine”.

    Caritas e Migrantes poi definiscono anacronistico il sistema attuale per la cittadinanza. La discussione sul disegno di legge per far passare uno "ius soli" temperato è già iniziata e il ministro per l’integrazione, Cecile Kyenge, definisce cruciali le prossime settimane:

    “Anche all’interno del parlamento e del mondo politico la consapevolezza dell’importanza della cittadinanza, per i nati in Italia, è ormai un dato appurato, perché i genitori hanno fatto un percorso d’integrazione. Non dimentichiamo, però, anche quelli che non sono nati in Italia ma che, essendo arrivati presto, comunque hanno fatto un percorso sul territorio”.

    Per il ministro, questo è un tema sentito da gran parte della popolazione.

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    Rapporto Eurispes: ceto medio sempre più povero, cala la fiducia nelle istituzioni

    ◊   L’Italia assiste a una progressiva pauperizzazione del ceto medio. E’ quanto emerge dal Rapporto Eurispes, presentato questa mattina a Roma. Diminuisce la fiducia degli italiani verso le istituzioni, ma aumenta quella verso la Chiesa cattolica per “l’effetto Bergoglio”. Il servizio è di Elvira Ragosta:

    Arranca l’Italia del rapporto Eurispes 2014, che fotografa una società defluente. Il ceto medio diventa sempre più povero e più del 30% della popolazione non riesce ad arrivare a fine mese con le proprie entrate. Il potere d’acquisto cala per 7 italiani su 10. Rispetto allo scorso anno, si fa meno ricorso ai "compro oro", ma un terzo del campione in intervistato ha detto di farne ancora uso per pagare le spese mediche. Mentre il ceto medio impoverisce, i ricchi diventano sempre più ricchi, perché – spiega l’Eurispes – hanno i mezzi per cogliere le opportunità della crisi. E se continua a diminuire la fiducia verso le istituzioni, aumenta invece il tentativo di sfidare la fortuna: un terzo degli intervistati ha dichiarato di giocare al lotto, Superenalotto e ai "gratta e vinci". Il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara:

    "Questo è un Paese che ha grandissime risorse, che ha grandissime potenzialità. Lo sforzo che dobbiamo fare è, secondo me, quello di riuscire a trasformare la potenza in energia. Questo Paese può reagire alla crisi, così come sta facendo in molti settori, ma quella che evidentemente manca è una regia, un progetto di insieme che porti, in tempi relativamente brevi, il Paese fuori dalle 'secche'. Noi abbiamo dedicato anche all’interno del Rapporto grande spazio al Mezzogiorno. Quello che vediamo è un Sud abbandonato a se stesso, abbandonato a una deriva di separatezza, come se una parte del Paese abbia cominciato a pensare che tutto sommato non vale la pena di sforzarsi per recuperare una parte importante del nostro territorio".

    E nel Rapporto di quest’anno c’è anche un capitolo dedicato a “l’effetto Bergoglio”:

    "Abbiamo visto un notevole miglioramento dell’indice di fiducia della Chiesa rispetto all’anno scorso. Evidentemente, c’è un effetto di trascinamento prodotto e provocato da Papa Francesco sul quale si concentra un consenso unanime. Il Papa raccoglie un consenso assolutamente trasversale – destra, sinistra, centro, credenti e non credenti. E' una figura che ha ridato slancio e senso alla Chiesa mondiale".

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    Perugia. Inaugurato il "Villaggio della Carità-Sorella Provvidenza"

    ◊   Inaugurazione ieri pomeriggio a Perugia del “Villaggio della Carità-Sorella Provvidenza”, pronto ad accogliere chi è in difficoltà. Quarantotto le persone che potranno essere ospitate in sei ampi appartamenti, ma il Villaggio offrirà anche ascolto, assistenza medica, alimenti e generi di necessità. E ancora, attività dirette a favorire l’educazione alla convivenza tra le persone e opportunità di volontariato. Adriana Masotti ne ha parlato con Daniela Monni, direttore della Caritas perugina:

    R. – E’ un po’ un villaggio, proprio come dice il nome, perché è fatto da più unità. E’ una grande palazzina che ci è stata data in comodato per 20 anni dalla Provincia dei Frati Cappuccini. Si compone di sei appartamenti, una grande lavanderia. Al piano terra c’è il Centro d’ascolto della nostra Caritas diocesana, la sede dell’Associazione perugina di volontariato che raggruppa tutti i volontari che animano sia il carcere, sia l’ospedale in città, e al piano seminterrato ospiterà poi un emporio solidale: quindi, sono tante cose diverse che vengono unite in questo posto e tutto questo è successo un po’ per caso …

    D. – Cosa vuol dire “per caso”?

    R. – Per caso perché, come Caritas diocesana, non avevamo un posto per lo stoccaggio dei viveri quando ci venivano donati. Quindi, avevamo chiesto al nostro vescovo, mons. Bassetti, se potevamo trovare qualche posto in diocesi. Quasi un anno fa, ci dice: “Forse l’abbiamo trovato, un posticino…”. Sono andata a vederlo, pensando di andare a vedere un piccolo garage, e invece c’erano tutti questi spazi… quasi 2.000 metri. E così, un pezzetto per volta, l'abbiamo attrezzato: ad esempio, l’emporio è stato finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, lo stabile, che non si presentava agibile, ha avuto il contributo della Conferenza episcopale italiana… Tante cose che pian piano si sono unite. Anche la disponibilità dei medici cattolici a collaborare con noi e quindi c’è anche un consultorio dove loro verranno… Sono quindi diverse le organizzazioni che ci hanno dato la disponibilità per collaborare a questa opera che è un’opera della Provvidenza, proprio come recita il suo nome: “Sorella Provvidenza”.

    D. – Questo villaggio potrà ospitare persone o famiglie: quante e chi?

    R. – Negli appartamenti arriviamo a 48 posti letto. Si è pensato soprattutto a famiglie che si trovano magari in uno stato improvviso di crisi anche a causa, purtroppo, della perdita del lavoro e che ovviamente non sono proprietari di casa. E’ una sistemazione in ogni caso temporanea per uno o due anni: infatti, noi collaboriamo con le istituzioni e quindi siamo una sorta di cuscinetto in questo spazio, per accompagnare le persone in un momento non semplice.

    D. – Il personale che lavorerà per le varie necessità del Villaggio è tutto volontario?

    R. – E’ ovvio che una struttura di questo genere non si può reggere soltanto su personale dipendente, perché altrimenti sarebbe ingestibile, per questo beneficia anche della presenza di tanti volontari. Abbiamo questa co-presenza che è una grande ricchezza.

    D. – Voi dite che questo Villaggio vuol essere anche un luogo dove ci si educa alla convivenza: in che senso?

    R. – A noi, hanno colpito molto le parole che dice spesso il Papa – chiedere “permesso”, dire “grazie” e “scusa” – e abbiamo detto che dovrebbero essere un po’ il pilastro della convivenza in questa opera che altrimenti potrebbe essere non facile. Però, è proprio la parte educativa quella che a me sta tanto a cuore. C’è una sala molto bella nella quale noi abbiamo intenzione di svolgere incontri educativi, sia per gli operatori, per le Caritas parrocchiali, ma anche per le persone, perché chi viene spesso non ha bisogno solo di “cose”, ma ha bisogno di essere accompagnato a leggere una povertà piuttosto che ad affrontarla. Quindi, è un Villaggio dove non si verrà a prendere solo il pacco o a fare la spesa con la tessera a punti: è un luogo dove si viene per portare e per ricevere.

    D. – Che cosa vuole rappresentare questa opera nel contesto del vostro territorio?

    R. – Guardi, di fronte alle cifre bruttissime della disoccupazione e della povertà anche nella nostra regione, ci sembrava che l’unica cosa che si potesse contrapporre fosse un segno, un dono. Di sicuro, questo non risolve i problemi della povertà a Perugia, però ci auguriamo che sia un segno che richiami la città a questo dono permanente, perché potrà andare avanti – quest’opera – solo nella misura in cui si scommetterà la vita di tante persone, sia per il tempo sia per le risorse.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sochi: appello Onu per tregua olimpica e soluzione dei conflitti

    ◊   Ad una settimana dall’apertura delle Olimpiadi invernali di Sochi, il presidente dell‘Assemblea generale delle Nazioni unite, John Ashe, ha rivolto oggi dal Palazzo di vetro un appello agli Stati membri affinché rispettino l‘antica tradizione di cessazione delle ostilità. “Faccio solennemente appello a tutti gli Stati membri affinché dimostrino il proprio impegno per la tregua olimpica durante i Giochi olimpici e paralimpici di Sochi 2014”, e affinché intraprendano “azioni concrete a livello locale, nazionale, regionale e mondiale per promuovere e rafforzare una cultura di pace e armonia basata sullo spirito della tregua”, ha detto Ashe. La simbolica tregua - riferisce l'agenzia Sir - inizierà una settimana prima della XXII edizione dei Giochi olimpici invernali (7-23 febbraio) e durerà fino a una settimana dopo la chiusura dell’XI edizione dei Giochi paralimpici invernali (7-16 marzo). Da Ashe un appello anche alle parti di tutti gli attuali conflitti armati del mondo a “concordare con coraggio veri cessate il fuoco reciproci per tutta la durata della tregua olimpica, offrendo così l‘opportunità di pacifica soluzione delle controversie”, e l’annuncio che la bandiera dell’Onu sventolerà sul Parco olimpico. L’Assemblea Onu coopera con i Comitati olimpico e paralimpico internazionali affinché lo sport sia strumento di pace, dialogo e riconciliazione durante e oltre lo svolgimento dei Giochi. (R.P.)

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    Vertice Celac: America Latina e Caraibi "zona di pace"

    ◊   America Latina e Caraibi sono stati proclamati ‘Zona di pace’, libera da armi nucleari, al termine del secondo vertice della Comunità dell’America Latina e dei Caraibi (Celac) riunito all’Avana. “Consapevoli che la pace è il bene più alto e desiderio legittimo di tutti i popoli e che la sua conservazione è un elemento sostanziale dello sviluppo e dell’integrazione dell’America Latina e dei Caraibi, proclamo solennemente questa, una zona di pace” ha detto il presidente cubano Raul Castro, davanti ai rappresentanti dei 33 Paesi dell’organizzazione che hanno rinunciato congiuntamente a ricorrere all’uso della forza per risolvere i conflitti transfrontalieri. La proclamazione - riferisce l'agenzia Misna - costituisce l’accordo di maggior valore simbolico adottato dalla Celac, che comprende tutti i Paesi delle Americhe ad eccezione degli Stati Uniti e del Canada. I Paesi membri dell’organizzazione hanno quindi preso un impegno permanente ad una soluzione pacifica delle controversie, per eliminare per sempre l’uso e la minaccia della forza nella regione, ha detto Castro, presidente di turno della Celac. Tra i 30 capi di Stato e di governo presenti, anche i Presidenti del Cile, Sebastian Piñera e del Perù, Ollanta Humala, incontratisi per la prima volta dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia che, il 27 gennaio, ha accolto le istanze di Lima modificando in suo favore la frontiera marittima tra i due Paesi. (R.P.)

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    Iraq: ucciso un cristiano a Mossul

    ◊   Si chiamava Laith Hadi Behnam, aveva 57 anni ed era un cristiano di confessione siro ortodossa di Mossul. Nel pomeriggio di mercoledì 29 gennaio, i suoi ignoti assassini lo hanno ucciso a colpi di pistola nella sua officina situata nell'area industriale di al-Karama, nella parte occidentale della città. Secondo la ricostruzione fornita dal website siriaco ankawa.com, l'uomo è stato freddato per essersi rifiutato di costruire e applicare silenziatori a delle armi da fuoco, come gli era stato richiesto dai suoi assassini circa una settimana fa. Laith Hadi era conosciuto da tutti come un esperto meccanico. Laith Hadi era sposato e aveva un figlio di 16 anni. (R.P.)

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    Iran: scarcerato un cristiano che era in prigione perchè “convertito”

    ◊   Davoud Alijani, iraniano cristiano convertito al cristianesimo dall’islam e leader della “Assemblea di Dio” nella città di Ahwaz, è stato rilasciato dal carcere di Karoon il 13 gennaio scorso, 20 giorni prima del termine in cui scadeva il suo tempo di prigionia. Come riferito all'agenzia Fides dalla Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw), Alijani ha raccontato di aver subìto in carcere maltrattamenti fisici e psicologici e che spesso le guardie gli chiedevano di riconvertirsi all’islam. Alijani era stato arrestato il 23 dicembre 2011 durante una celebrazione del Natale nella chiesa dell’Assemblea di Dio ad Ahwaz, insieme con il Pastore Sabokrouh e sua moglie, e con l’altro leader laico Naser Zamen-Dezfuli. I quattro sono rimasti in carcere fino a febbraio 2012. Al Pastore Sabokrouh è stato vietato di organizzare incontri di culto ad Ahwaz. A ottobre 2012, i quattro cristiani sono stati condannati a un anno di prigione con l'accusa di “conversione al cristianesimo e di macchinazioni contro la Repubblica islamica attraverso l'evangelizzazione”. Convocati in tribunale a maggio 2013, sono stati arrestati e mandati in prigione per scontare la pena. Il 4 dicembre 2013 sono stati rilasciati il pastore Sabokrouh, sua moglie e Naser Zamen-Dezfuli. Ora anche Alijani è stato liberato. Mervyn Thomas, presidente di Csw, dichiara in una nota inviata a Fides: “Mentre accogliamo con favore il rilascio di Alijani, ricordiamo che queste persone sono state arrestate e condannate solo per aver celebrato il Natale nella loro chiesa, legalmente registrata. Tale attività non merita le accuse politiche per cui sono stati condannati. Negare alle minoranze religiose la libertà di manifestare la loro fede nel culto e nella comunione con gli altri viola l'articolo 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, firmata dall’Iran. Esortiamo il governo iraniano a non criminalizzare la conversione religiosa e a rilasciare tutti i prigionieri di coscienza incarcerati con false accuse politiche”. (R.P.)

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    Pakistan: i cristiani di Karachi, vittime della mafia dei terreni, chiedono aiuto alla Chiesa

    ◊   I cristiani di Horizon Plaza, quartiere di Karachi, sono vittime di continui episodi di abusi, violenze e discriminazioni nella completa indifferenza, se non connivenza, di forze di polizia e istituzioni. Dietro gli attacchi vi sarebbero, come spesso accade, interessi economici e lotte per il possesso di terreni sui quali avviare affari e iniziative commerciali. Anche le organizzazioni pakistane che si battono per i diritti umani nulla hanno potuto per sbloccare la situazione e restituire serenità e sicurezza alla gente. Ora la comunità lancia un appello alla Chiesa cattolica, perché intervenga in loro difesa. Interpellato dall'agenzia AsiaNews padre George Montgomery, sacerdote diocesano a Karachi, conferma l'interesse per la vicenda, che è al vaglio dei giudici in tribunale anche se finora non si hanno sviluppi significativi. "Chiediamo giustizia per quanti soffrono" aggiunge il prete, che definisce "traballante" la situazione in tema di sicurezza nella metropoli a sud del Paese. "La mafia delle terre - spiega - approfitta della situazione e colpisce i gruppi più emarginati". Il dramma della comunità cristiana di Horizon Plaza ha inizio nel 2011, quando alcuni signorotti della zona - col sostegno di partiti politici di primo piano - occupano in modo illegale appartamenti e case, cacciando gli inquilini con regolari diritti e proprietà. La denuncia degli abusi alla polizia non dà esito, mentre gli occupanti commettono ogni sorta di abusi e prevaricazioni sui residenti, in particolare le donne. Nemmeno una petizione all'Alta corte, tuttora pendente, sortisce alcun effetto. Ogni appello all'autorità politica e istituzionale è sinora caduto nel vuoto. Nel frattempo gli attacchi contro edifici e proprietà dei cristiani sono aumentati; per questo alla comunità non è rimasta altra soluzione che provare a rivolgersi alla Chiesa cattolica pakistana. Controversie su terreni e proprietà sono emerse più volte anche in passato: nell'ottobre 2011 due fratelli cristiani di Faisalabad sono stati sequestrati da una famiglia musulmana di proprietari terrieri per la quale lavoravano. Dietro il sequestro vi sarebbero state delle dispute economiche fra i latifondisti e i braccianti, nell'assoluta indifferenza della polizia. Un mese più tardi a pagare con la vita è l'attivista cattolico Akram Masih, padre di quattro figli, assassinato dalla mafia delle terre per le sue battaglie in favore dei diritti dei più poveri, in particolare i cristiani. Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Violenze, abusi o episodi di discriminazione contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, in particolare i cristiani da tempo obiettivo di fondamentalisti o di gruppi affiliati alla criminalità. (R.P.)

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    Rapporto Unicef sulla condizione dell'infanzia nel mondo

    ◊   Nel mondo sono 2,2 miliardi i bambini e gli adolescenti, pari al 31% della popolazione globale: stanno meglio rispetto a 25 anni fa, molti però ancora muoiono per malattie ''banali'', quali la diarrea. A contarli è stata l'Unicef che ha presenta il suo rapporto ''La condizione dell'infanzia nel mondo in numeri''. La pubblicazione del documento segna anche l'avvio delle celebrazioni del 25.mo anniversario della Convenzione sui diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, approvata
    dall'Assemblea generale dell'Onu il 20 novembre del 1989. ''Nel mondo ogni bambino conta: contarli tutti li rende visibili e identificarli permette di rispondere alle loro necessità e promuovere i loro diritti attraverso maggiori impegni e innovazioni'', commenta il presidente di Unicef-Italia, Giacomo Guerrera, lo studio realizzato principalmente attraverso ''Indagini campione a indicatori multiple (Mics)'' condotte a domicilio in oltre 100 paesi. Ne deriva la registrazione di sostanziali progressi relativamente alle condizioni di salute dei bambini nel mondo: circa 90 milioni, ad esempio, sarebbero morti prima dei 5 anni se il tasso di mortalità infantile fosse rimasto ai livelli del 1990. A partire da questo stesso anno il miglioramento della nutrizione ha ridotto del 37% il ritardo della crescita (malnutrizione cronica). D'altra parte, malattie curabili come polmonite e diarrea restano le principali malattie killer dei bambini: sono più di 1.400 i bambini che muoiono ogni giorno, in media, a causa di malattie diarroiche dovute a ad acqua contaminata, mancanza di servizi igienico sanitari e scarsa igiene personale. I giovani tra i 15 e i 24 anni rappresentano, poi, circa il 39% dei nuovi adulti con infezione da Hiv. Il rapporto sottolinea che nel mondo 230 milioni di bambini sotto i cinque anni - uno su tre - non sono mai stati registrati anagraficamente. Ufficialmente, sono bambini che non esistono. Inoltre, il 15% dei bambini lavoratori svolge un lavoro che viola il diritto alla protezione da sfruttamento economico, all'istruzione e al gioco. L'11% delle giovani donne si è sposato prima di aver compiuto 15 anni. Nonostante decadi di impegno, circa 57 milioni di bambini in età di scuola primaria non la frequentano. A livello mondiale, solo il 64% dei maschi e il 61% delle femmine in età da scuola secondaria sono iscritti, rispettivamente, il 36% e 30% nei paesi meno sviluppati. Ciononstante, l'iscrizione alla scuola primaria è aumentata anche nei paesi meno sviluppati: nel 1990 solo il 53% dei bambini in questi paesi era ammesso a scuola mentre dal 2011 il tasso ha raggiunto l'81%. Molte più ragazze oggi frequentano la scuola, ma nel 2011 ancora circa 31 milioni di bambine in età scolare risultavano analfabete.

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    Iraq. Il patriarca Sako: unità, dialogo e missione le sfide della Chiesa caldea

    ◊   "La Chiesa caldea in Iraq e nel mondo ha attraversato un periodo difficile e ha fronteggiato molte criticità" come la massiccia emigrazione, la mancanza di unità, l'aggiornamento della liturgia, la frammentazione e l'isolamento. Ora è giunto il momento di rivolgersi alla preghiera "per rileggere gli eventi nella prospettiva del Vangelo", per camminare "con onestà e fiducia nella luce del Signore e sotto la sua guida". È quanto afferma Mar Louis Raphael I Sako nella lettera pastorale rivolta a vescovi, sacerdoti, suore e fedeli in occasione del primo anniversario dalla elezione a p atriarca caldeo, avvenuta il 31 gennaio 2013 durante il Sinodo a Roma. L'ex arcivescovo di Kirkuk è succeduto a Sua Beatitudine Emmanuel Delly III, dimissionario per raggiunti limiti di età, e fin dall'inizio del mandato ha posto l'attenzione sulle grandi sfide della Chiesa caldea: l'esodo dei fedeli, il dialogo interreligioso con i musulmani e la rinascita delle comunità d'oriente, le prime protagoniste del cammino di evangelizzazione in Asia. Sua Beatitudine rivolge un pensiero ai cristiani in Iraq e "ai fratelli in Siria e Libano", che oggi vivono esperienze quotidiane di "terrore e instabilità, migrazione, fragilità politica ed economica" e ai quali vanno "la mia solidarietà, la mia vicinanza e le mie preghiere". A loro, ma soprattutto alla comunità caldea, Mar Sako rinnova l'invito a "far rivivere il carisma" originario: "Il martirio durante le persecuzioni, la saldezza nella fede; il dono della vita monastica per vivere appieno il Vangelo, il dono della missione, della predicazione e dell'inculturazione". "La nostra Chiesa - aggiunge - è invitata a ricostruire ciò che è stato distrutto o falsato, riunire i dispersi, riportare [in patria] gli emigrati". Nella lettera pastorale Sua Beatitudine ripete a più riprese il valore dell'unità e della comunione, che liberano dalle "divisioni, interne ed esterne" e impediscono di "chiudersi in noi stessi per motivi di natura geografica, confessionale o personale". Mar Sako sottolinea ancora il ruolo dei laici, uomini e donne, che godono della stessa dignità di "figli di Dio" e degli "stessi diritti" in seno alla Chiesa. Essi sono "partner, non semplici spettatori" e "li incoraggiamo a partecipare in modo attivo alla vita della Chiesa e alla vita pubblica, per una presenza reale ed effettiva". Il Patriarca afferma di nutrire "grandi aspettative" in vista delle elezioni politiche di fine aprile 2014 e invita la comunità cristiana a partecipare per diventare protagonista attiva nella storia e nella vita della nazione. Da ultimo, Sua Beatitudine lancia un appello all'unità anche fra le varie Chiese, in particolare quelle orientali, che devono guardare al Papa con rinnovata fiducia. E non manca un richiamo ai rapporti con la maggioranza musulmana irakena, rinnovando l'impegno a un dialogo fondato sul "rispetto reciproco" quale fondamento "per la pace e la cooperazione". Egli auspica che la Chiesa possa trovare una "nuova metodologia" e un nuovo "linguaggio teologico" rispettando in prima istanza il valore assoluto della "libertà religiosa". E si rivolge in special modo "alle voci dell'islam moderato", per promuovere una "coesistenza pacifica" e affinché respingano in modo netto "la logica di violenza contro i cristiani". (R.P.)

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    Patriarca maronita Rai: il Libano ha bisogno di un presidente

    ◊   Eleggere subito un nuovo Presidente, lavorare per l'unità del Paese e rispettare la Costituzione: sono alcuni dei punti affrontati dal card. Beshara Rai, patriarca della Chiesa maronita, in una intervista rilasciata al quotidiano libanese As' Safir. Il porporato sottolinea che "il Libano ha bisogno di un Presidente" e che il continuo rinvio delle "elezioni significa la morte". Il Paese vive da quasi otto mesi una fase di stallo politico e di scontro all'interno dell'islam fra sciiti e sunniti, frutto della guerra in Siria. Nati come politici, i contrasti sono sfociati in diversi atti di violenza a Tripoli (Libano settentrionale) e nella stessa capitale Beirut. Rai punta il dito contro quelle persone che "vogliono dividere il Paese secondo il proprio punto di vista, invece di contribuire alla sua unione". Il cardinale - riferisce l'agenzia AsiaNews - rivolge il suo appello anzitutto ai cristiani, che rappresentano circa il 40% della popolazione e che a causa di estremismo e crisi politica continuano ad emigrare all'estero. "I cristiani - spiega Rai - devono svolgere il loro ruolo nel Paese e nel mondo arabo. La Primavera araba fiorirà solo attraverso il Libano". Per il porporato il mondo arabo si sta frammentando e i cristiani "non devono cadere nella trappola del settarismo, che li condurrebbe verso la totale scomparsa dal Libano e dal Medio Oriente. Previste per il maggio 2013, le elezioni politiche e presidenziali sono state più volte rimandate in questi mesi a causa della guerra in Siria e dei veti incrociati dei due blocchi politici che si contrappongono nel Paese: la coalizione dell'8 marzo, guidata dal movimento sciita Hezbollah (insieme alla Corrente Patriottica Libera del generale maronita Michel Aoun); e quella del 14 marzo formata dai leader politici sunniti e cristiano maroniti. Il Presidente attualmente in carica è Michel Suleiman, eletto nel 2008 dopo un accordo di mediazione fra le varie fazioni politiche e religiose. (R.P.)

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    Unione Africana: il nuovo Presidente è Ould Abdel Aziz. Il 2014 anno della "sicurezza alimentare"

    ◊   Il Presidente della Mauritania Mohamed Ould Abdel Aziz è stato eletto nuovo Presidente di turno dell’Unione Africana. La notizia giunge da Addis Abeba dove è in corso in questi giorni il vertice dei capi di Stato del continente. Nel rilevare l’incarico dal suo predecessore - riferisce l'agenzia Misna - il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn, Ould Abdel Aziz ha dichiarato a nome suo e della Mauritania di essere “onorato” e di voler ricoprire il ruolo “con la serietà e la responsabilità che richiede”. Il vertice, preceduto da quello dei ministri degli Esteri e dal Consiglio africano per la pace e la sicurezza, è dedicato ai temi dell’agricoltura e della sicurezza alimentare. In apertura dei lavori, la presidente della commissione dell’Ua Nkosazana Dlamini-Zuma ha dichiarao il 2014 “anno della sicurezza alimentare in Africa”. A tenere banco, per necessità e urgenza, nell’ordine del giorno dei colloqui in corso fino a domani sera, saranno inoltre le crisi in Centrafrica e Sud Sudan. (R.P.)

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    Cristiani e musulmani pregano insieme per la pace in Ciad e Centrafrica

    ◊   “La chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è stata celebrata in modo del tutto particolare in Ciad perché è coincisa con la terza Giornata nazionale della coabitazione pacifica” afferma una nota inviata all’agenzia Fides da padre Clément Marie Bonou, dei Francescani d’Immacolati di Maria. “Si tratta - spiega il religioso - di un’iniziativa organizzata congiuntamente dall’arcidiocesi di N’Djamena, dal Consiglio Superiore degli Affari Islamici e dall’Intesa delle chiese e delle missioni evangeliche in Ciad al fine di promuovere il dialogo interreligioso e permettere ai ciadiani di diverse confessioni religiose di vivere in un clima di amore e di pace”. La Giornata doveva essere celebrata il 28 novembre ma è stata posticipata a causa della morte, il 19 novembre, dell’arcivescovo di N’Djamena, mons. Mathias Ngarteri Mayadi, che è stato il promotore dell’iniziativa. “La presenza del Presidente della Repubblica e dei membri del suo governo denota il bisogno di tutti di operare perché regni la pace e l’unità nella regione dell’Africa Centrale attualmente sconvolta dai disordini” commenta padre Bonou, con un chiaro riferimento alla crisi nella confinante Repubblica Centrafricana, dove soldati ciadiani fanno parte delle Missione dell’Unione Africana incaricata di contribuire a riportare l’ordine nel Paese, dove la convivenza tra le comunità cristiane e musulmane è messa a dura prova dai recenti avvenimenti. “Nelle loro preghiere, i leader delle tre grandi comunità religiose, tra i quali mons. Joachim Kouraleyo Tarounga, vescovo di Moundou in rappresentanza della Chiesa cattolica, hanno chiesto a Dio di benedire il Ciad e di accordare la grazia alle autorità nazionali. Una preghiera unanime è stato rivolta per la pace nella Repubblica Centrafricana”. (R.P.)

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    Congo: nel Katanga oltre 500 mila sfollati da 66 villaggi distrutti dai guerriglieri

    ◊   Sono più di 500mila le persone costrette a sfollare dai loro villaggi a causa delle violenze commesse dai miliziani indipendentisti Bakata Katanga nella provincia del Katanga, nel sud della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Lo riferisce Radio Okapi, secondo la quale sono 66 i villaggi incendiati negli ultimi 5 mesi nel triangolo formato dai territori di Mitwaba, Manono, Pweto, oltre che nel territorio di MalembaNkulu. I miliziani in questo modo intendono punire le popolazioni locali che avrebbero appoggiato l’esercito negli scontri dello scorso novembre. Secondo il coordinatore dell’Ong Meedaf, i Bakata Katanga incendiano interi villaggi, compresi scuole, Centri sanitari e chiese, a volte senza depredare nulla e senza uccidere nessuno. I Bakata Katanga sembrano propugnare idee secessioniste ma secondo la stampa congolese dietro questo gruppo si nasconderebbe uno scontro per la successione al Presidente Kabila, quando questi dovrà lasciare il potere nel 2016, perché non potrà più candidarsi. La provincia del Katanga è stata protagonista del più grave tentativo secessionista della storia congolese all’indomani dell’indipendenza del Paese dal Belgio (30 giugno 1960). Dopo tre anni di guerra condotta con l’appoggio dei Caschi Blu dell’Onu, il governo centrale era riuscito a riportare l’ordine nella provincia, una delle più ricche della Rdc, per la presenza di importanti miniere di rame e di cobalto. (R.P.)

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    Filippine: i vescovi chiedono ai laici di stare in prima fila per difendere la vita

    ◊   I laici cattolici delle Filippine "devono partecipare in maniera attiva alla causa pro-life e intensificare i propri sforzi a difesa dei valori cattolici". È l'invito lanciato dal vescovo di Antipolo, mons. Gabriel Reyes, in occasione del "Mese per la vita" che la Chiesa celebra in febbraio. Secondo il presule "è necessario l'impegno dei cattolici a favore delle nascite. Devono essere campioni dei poveri, dei deboli e degli innocenti". Il vescovo - riferisce l'agenzia AsiaNews - è presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, e partecipa da sempre alle varie attività che si svolgono in febbraio. Quest'anno, le Filippine festeggiano il 27mo anno di impegno per la vita: "Combattiamo una guerra spirituale, e i nostri laici dovrebbero essere in prima fila nella sfera temporale per aiutare tutti a costruire il Regno di Dio. Mi riferisco alla sfera politica, economica, comunicativa e virtuale". La difesa dei nostri valori più profondi, riprende mons. Reyes, "è il motivo più valido per alzarsi in piedi e far sentire la nostra presenza. Vita, famiglia e matrimonio non possono essere messi in discussione. Dobbiamo tenere lontana la cultura della morte dalla nostra nazione. Come dice papa Francesco, un popolo che non si prende cura dei suoi anziani e dei suoi giovani non ha futuro, perché abusa sia della sua memoria che delle sue promesse". Il "Mese per la vita" di quest'anno ha come tema "Anno dei laici, Anno della vita: mano nella mano per una nazione pro-life". La Chiesa e le varie realtà cattoliche locali hanno organizzato incontri e seminari sulla difesa dei non nati e sulle varie questioni etiche relative al concetto di vita. Il mese si aprirà il 2 febbraio ("domenica della vita") con una celebrazione eucaristica presso la chiesa di Sant'Agostino Intramuros. (R.P.)

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    Spagna: i vescovi ribadiscono il diritto alla vita e alla libertà di educazione

    ◊   Il diritto alla vita e la libertà di scelta per l’ora di religione nelle scuole sono stati i punti focali della 230.ma riunione della Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola (Cee). Al termine dei lavori, svoltisi il 28 e 29 gennaio a Madrid, i presuli hanno diffuso una nota in cui ribadiscono, innanzitutto, “il valore sacro della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale”. In particolare, la Cee fa riferimento all’approvazione, nel dicembre scorso, da parte del governo spagnolo, di una proposta di legge che rende l’aborto non più un diritto, ma un reato depenalizzato in determinate circostanze: fino alla 14.ma settimana in caso di stupro e fino alla 22.ma in caso di gravi rischi per la salute fisica o psichica della donna. Per le 16enni e 17enni, inoltre, per abortire è richiesto il permesso dei genitori. Pur vedendo in questa proposta normativa “un passo avanti positivo rispetto alla legislazione attuale”, che considera l’aborto come un diritto della donna fino alla 14.ma settimana di gravidanza e lo permette fino alla 22.ma, nel caso in cui il feto abbia gravi deformità, i vescovi iberici sottolineano che “il diritto alla vita di un essere umano innocente è un patrimonio comune alla ragione umana”, e non riguarda solo i cattolici, ma tutte le confessioni religiose, i non credenti e ogni uomo di buona volontà. Di qui, l’affermazione che “una legge sull’aborto, per quanto restrittiva, è comunque una legge ingiusta”, perché “nessuno, in nessuna circostanza, ha il diritto di togliere la vita ad un essere umano”. “L’aborto non è una soluzione – continua la Cee – e il nascituro non è il problema”. Per questo, i presuli sottolineano la necessità di potenziare il sostegno e la solidarietà alle gestanti in difficoltà. Al secondo punto dell’ordine del giorno, la Commissione permanente ha posto la questione sull’ora di religione nelle scuole: attualmente, tale insegnamento è tornato obbligatorio nelle scuole elementari e medie, dopo essere stata facoltativa durante l’esecutivo di Zapatero. Ora, i presuli auspicano che l’obbligo si applichi anche per la scuola d’infanzia ed il liceo, affinché “i genitori possano esercitare il diritto di educare i propri figli in modo conforme alle proprie convinzioni religiose e morali”. Tra gli altri documenti esaminati dalla Cee, anche l’Istruzione pastorale “Custodire e promuovere la memoria di Gesù Cristo”, nell’ambito del progetto catechetico della Chiesa di Madrid, che culminerà nella prossima pubblicazione di “Testimoni del Signore”, il catechismo destinato ai bambini tra i 10 e i 14 anni. Infine, i presuli si sono preparati all’imminente visita ad limina, che li vedrà a Roma tra il 24 febbraio e l’8 marzo. L’udienza collettiva con Papa Francesco è prevista per lunedì 3 marzo, alle ore 12.00. (A cura di Isabella Piro)

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    Spagna. Nasce Caritas castrense: i militari al servizio di chi soffre

    ◊   Tutto per la carità. Parafrasando il motto delle Forze Armate di Spagna, Tutto per la patria, è nata nei giorni scorsi Caritas castrense. “L’obiettivo è quello di coinvolgere gli agenti cattolici della Guardia Civile, della Pubblica Sicurezza e dell’Esercito nel volontariato e nei progetti di sostegno e di aiuto a chi soffre e a chi è in difficoltà” ha spiegato il direttore generale, Manuel Breton, nel presentare il neonato organismo. “Caritas castrense lavorerà al fianco di Caritas Spagna nell’auspicio di dar vita a nuovi Centri di assistenza parrocchiali” ha aggiunto Francisco Bravo, delegato di Azione Sociale. Oltre al supporto dei militari e delle loro famiglie, le Forze Armate metteranno a disposizione un numero di telefono per rispondere alle esigenze degli anziani e delle persone sole. Bravo ha citato il caso di una coppia di anziani che si trovano in seria difficoltà a causa della mancanza di denaro per far fronte ad un prestito e per mantenere i loro due figli disoccupati . “Questa è una delle situazioni di cui ci stiamo occupando” ha spiegato l’esponente di Azione Sociale . Non sono previsti interventi solo in patria. Caritas castrense, per esempio, ha raccolto 18mila euro per la ricostruzione di alcune zone colpite dal terremoto nelle Filippine. Altri 9 mila euro sono stati destinati ai disoccupati e altri fondi, provenienti dal Callao, in Perù, richiesti direttamente dal vescovo locale, serviranno per il recupero di aree andate completamente distrutte. I militari in Spagna sono 300mila, il 70% dei quali è cattolico. Le forze armate, nel loro complesso, possono contare su 90 cappellani in attivo. (A cura di Davide Dionisi)

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    America Latina: violenza, insicurezza e delinquenza, le sfide della pastorale giovanile

    ◊   Partire dai problemi e dalle risorse dei giovani per ravvivare la pastorale giovanile nella regione delle Ande: questa realtà è stata al centro delle riflessioni delle delegazioni riunite nella città boliviana di Cochabamba, per il XIII Incontro regionale convocato dal Consiglio Episcopale Latinoamericano, Celam. Giovani, sacerdoti e vescovi di Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia hanno analizzato le realtà giovanili della regione, che pur essendo abbastanza diverse, incontrano alcuni punti in comune non sempre positivi. In primo luogo, si è parlato della violenza, dell’insicurezza e della delinquenza che minacciano ogni ambito della loro vita, dalla formazione e inserimento sociale e familiare alla tutela della propria vita. Al secondo posto, i delegati hanno esaminato il tema della proliferazione dei mezzi di comunicazione e dei social network per sottolineare che anzichè allargare i rapporti interpersonali e promuovere lo scambio culturale, portano i giovani a vivere in una realtà virtuale, fatta di isolamento, egoismo ed edonismo. Infine, si è parlato dell’importanza dell’impegno e della spiritualità dei giovani nella Chiesa e del loro contributo per vincere le sfide e per ravvivare la pastorale per i giovani della regione. Il responsabile della pastorale per i giovani del Celam, mons. Mariano Parra, ha ricordato che dal 2008, la Chiesa latinoamericana, insieme alla Missione continentale, porta avanti un processo di rivitalizzazione della pastorale giovanile con istrumenti e meccanismi focalizzati ad aiutare i giovani ad assumere la sfida di essere testimoni di Gesù Cristo nelle proprie realtà. (A cura di Alina Tufani)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 30

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.