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Sommario del 23/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: il comunicatore sia come il Buon Samaritano, il suo potere è la prossimità
  • Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, mons. Celli: dialogo non significa relativismo
  • Papa Francesco: gelosie, invidie e chiacchiere dividono e distruggono le comunità cristiane
  • Udienze e nomine pontificie
  • Tweet del Papa: come Maria custodiamo in noi la luce accesa a Natale e portiamola ovunque
  • Davos. Il card. Onayekan: dal Papa l'appello a mettere al centro dell'economia la dignità della persona
  • Mons. Chullikatt all'Onu: processo di pace in Medio Oriente sia "ringiovanito"
  • Mons. Mamberti: Usa e S. Sede rafforzino cooperazione per giustizia e pace nel mondo
  • Accordo Musei Vaticani-Enea per tutela del patrimonio culturale e ambientale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Conferenza di pace sulla Siria: giornata di lavori a porte chiuse. Domani si riprende a Ginevra
  • Siria. Mons. Tomasi: l'unica alternativa alla guerra è il dialogo, positivo l'inizio dei negoziati
  • Ucraina nel caos. Oggi scade l'ultimatum dei manifestanti: nuove elezioni o parte offensiva
  • Sud Sudan: 600 mila civili in fuga dal conflitto tra esercito e ribelli
  • Roma. Teoria del "gender" a scuola. Forum famiglie: no all'educazione sessuale di Stato
  • Le coop in tempo di crisi: più produzione e più lavoro
  • Presentata la seconda edizione aggiornata del volume "Rifugiati, profughi, sfollati" di Nadan Petrovic
  • A Bologna cerimonia funebre per Claudio Abbado
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: sede della Caritas ad Aleppo colpita da un razzo
  • Iraq: istituita una nuova provincia nell'area cristiana della Piana di Ninive
  • Pakistan: la Chiesa promuove una Giornata di preghiera per la pace
  • India. Presentato ai vescovi il Rapporto sulle persecuzioni anticristiane: oltre 4 mila i casi
  • Davos: il premier giapponese Abe chiede di fermare il riarmo dell'Asia
  • Centrafrica: l’arcivescovo e l’imam di Bangui chiedono l'intervento dell'Onu
  • Belgio. I vescovi: no all'eutanasia. Rispettare il valore della vita
  • Messico: la Chiesa impegnata “con le vittime della violenza"
  • Brasile. L’arcivescovo di Rio: le carceri non rieducano e sono in crisi
  • Argentina-Cile. La Crociata di Maria: 200 giovani percorrono 400 km a piedi lungo le Ande
  • Cei: lunedì a27 gennaio l via i lavori del Consiglio episcopale permanente
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: il comunicatore sia come il Buon Samaritano, il suo potere è la prossimità

    ◊   Il vero potere della comunicazione è la “prossimità”. E’ quanto sottolinea Papa Francesco nel suo Messaggio per la 48.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - che si celebra il prossimo primo giugno - e pubblicato oggi. Nel Messaggio incentrato sul tema “comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”, il Papa paragona il comunicatore al Buon Samaritano che si fa prossimo agli altri. Ampio spazio viene dato nel documento all’ambiente digitale: anche qui, esorta il Papa, il cristiano è chiamato ad offrire la sua testimonianza e a raggiungere le “periferie esistenziali”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    In un mondo che diventa “sempre più piccolo”, ma dove permangono divisioni ed esclusioni, i media “possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni gli altri”. Papa Francesco muove da qui per sviluppare la riflessione del suo primo Messaggio per le comunicazioni sociali. La cultura dell’incontro, osserva, “richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri”. In questo, prosegue, i media ed Internet in particolare possono aiutarci, offrendoci “maggiori possibilità di incontro e di solidarietà fra tutti”. Tuttavia, avverte il Papa, ci sono degli “aspetti problematici”, innanzitutto la “velocità dell’informazione” che “supera la nostra capacità di riflessione e giudizio”. “L’ambiente comunicativo – prosegue – può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci”. Del resto, “il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo”, senza dimenticare poi chi, “per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali” e “rischia di essere escluso”.

    Questi limiti reali, precisa il Papa, non giustificano però “un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica”. E invita, anche nell’ambiente digitale, a “recuperare un certo senso di lentezza e di calma”. Abbiamo bisogno di “essere pazienti”, ribadisce il Papa, “se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta”. Ecco perché bisogna “apprezzare l’esperienza umana come si manifesta nelle varie culture e tradizioni”. E così “sapremo anche meglio apprezzare i grandi valori ispirati dal Cristianesimo”, come la visione dell’uomo, il matrimonio e la famiglia, la distinzione tra sfera religiosa e sfera politica.

    “Come allora – si interroga Papa Francesco – la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro?”. E per i cristiani, rimarca, “che cosa significa incontrare una persona secondo il Vangelo?” A queste domande, Papa Francesco risponde prendendo spunto dalla Parabola del Buon Samaritano e sottolineando la dimensione della “prossimità”. “Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il buon samaritano – soggiunge – non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada”. Gesù, sottolinea il messaggio, “inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro”. “Mi piace – annota il Papa – definire questo potere della comunicazione come “prossimità”.

    Continuando ad intrecciare la riflessione con la Parabola del Buon Samaritano, il Papa avverte dunque che quando “la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada”. Oggi, è il suo monito, “noi corriamo il rischio che alcuni media ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro prossimo reale”. Non basta “semplicemente essere connessi – aggiunge – occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero”, perché “non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi”. E rileva che “non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione” e, ancora, “la rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane”. Il Papa ribadisce che “la neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento”. “Il coinvolgimento personale – soggiunge – è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore”. E “proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali”.

    Il Papa si sofferma sulle strade digitali, “affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza”. “Aprire le porte delle chiese – afferma – significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri”, sia “perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti”. Il Papa si chiede se oggi siamo capaci di “testimoniare una Chiesa che sia “casa di tutti”. La comunicazione, evidenzia, “concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa” e ribadisce che “anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore”. “La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi – è l’avvertimento del Papa – ma con la volontà di donare se stessi agli altri”. Cita dunque l’episodio dei discepoli di Emmaus e spiega che “occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo”. Il Messaggio mette quindi l’accento sulla dimensione del dialogo. “Dialogare – scrive il Papa – significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte”. Dialogare, prosegue, “non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute”.

    L’icona del Buon Samaritano, è l’augurio del Papa, “ci sia di guida”, “la nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria”. “La nostra luminosità – afferma ancora – non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo” lungo il cammino. “Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale – esorta ancora – è importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo”. In questo contesto, conclude il Papa, “la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio”.

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    Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, mons. Celli: dialogo non significa relativismo

    ◊   Il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del prossimo primo giugno è stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. A riflettere sul tema “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”, al centro dell’evento, mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, e Chiara Giaccardi, docente alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, introdotti dal direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Il servizio di Giada Aquilino:

    Il primo Messaggio che Papa Francesco scrive in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali trova radici nei discorsi che il Pontefice l’estate scorsa ha tenuto in Brasile, rivolgendosi ai vescovi locali e a quelli del Celam, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium e nella parabola evangelica del Buon Samaritano. Lo ha sottolineato mons. Claudio Maria Celli, secondo cui il documento appare “profondamente francescano”, riscoprendo tra l'altro che “comunicazione è favorire prossimità”:

    “Non è solamente comunicazione di dati, una comunicazione informativa, ma c’è questa valenza profondamente umana: quella di una prossimità. Proprio su questa ‘falsariga’ del Vangelo di Luca, Papa Francesco può sottolineare che chi comunica si fa prossimo. E il Buon Samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada. E quindi, ecco l’altra sottolineatura: comunicare significa prendere consapevolezza di essere umani e di essere figli di Dio”.

    Rispondendo alle domande dei giornalisti, soffermatisi sull’invito del Papa alla pazienza, a ricuperare - di fronte alla velocità dell’informazione del mondo globalizzato - “un certo senso di lentezza e di calma”, mediante la capacità a “fare silenzio per ascoltare”, mons. Celli ha riflettuto su come si possa oggi “valutare, ponderare, assimilare” ciò che “arriva” dai media, attraverso “una dimensione più umana” anche nell'uso dei mezzi che la tecnologia mette a disposizione. E sull’affermazione del Pontefice che dialogare non significa rinunciare “alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche e assolute”, mons. Celli ha notato come tale concetto sia “in sintonia con tutto quello che è stato l'insegnamento della Chiesa”, ricordando anche precedenti interventi al riguardo di Benedetto XVI:

    “Non parliamo di un relativismo: direi che oggi ormai è diventato quasi un cliché, quando si analizzano certi discorsi di Papa Francesco. Secondo me, qui proprio è il capire che non è la dimensione della fede e del Vangelo che si relativizza, ma come io vivo il Vangelo e vivo quella fede”.

    In questo contesto si inserisce la “cultura dell’incontro”, sollecitata dal Santo Padre e su cui si è soffermata la prof.ssa Chiara Giaccardi, notando come la parola ‘incontro’ sia “programmatica” nell’Evangelii Gaudium - in cui ricorre una trentina di volte - e “fondamentale” per rileggere la comunicazione e i suoi mezzi. In particolare la rete, ha detto, “costruisce un ambiente che dobbiamo essere capaci di abitare”:

    “Il Papa ci dice anche questo: non è che la rete toglie spazio alle relazioni faccia a faccia, ma la sfida è come valorizzare l’incontro, utilizzando sia le strade digitali sia le strade in cui possiamo incontrare faccia a faccia. Questa è quindi una prima sottolineatura: evitare il determinismo e dare il primato, invece, alla dimensione antropologica. La seconda anche è molto importante, e secondo me è una piccola ‘rivoluzione copernicana’ che rompe un luogo comune: la comunicazione non è trasmissione di contenuti, ma è riduzione di distanze, costruzione di prossimità”.

    Direttamente collegato è il tema dell’‘ascolto’, nel flusso vorticoso dell’informazione :

    “Alcuni canali hanno l’obbligo della velocità, però c’è anche lo spazio per l’ascolto, l’approfondimento, la comprensione. Quindi, credo che non sia la corsa di tutti ad arrivare primi, oggi, ciò che può definire in maniera positiva lo scenario della comunicazione; credo che ci si debba rassegnare al fatto che primi arriveranno alcuni e che altri hanno altri ruoli, i quali invece contemplano, anzi, richiedono questa pazienza di ricostruire contesti, di ascoltare le voci, di offrire piste di interpretazione che magari non portano a un giudizio definitivo ma che aiutano a comprendere”.

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    Papa Francesco: gelosie, invidie e chiacchiere dividono e distruggono le comunità cristiane

    ◊   I cristiani chiudano le porte a gelosie, invidie e chiacchiere che dividono e distruggono le nostre comunità: è l’esortazione lanciata da Papa Francesco, stamani, nella Messa presieduta a Santa Marta nella sesta giornata di preghiera per l’unità dei cristiani. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    La riflessione del Papa è partita dalla prima lettura del giorno che parla della vittoria degli israeliti sui filistei grazie al coraggio del giovane Davide. La gioia della vittoria si trasforma presto in tristezza e gelosia per il re Saul di fronte alle donne che lodano Davide per aver ucciso Golia. Allora, “quella grande vittoria – afferma Papa Francesco - incomincia a diventare sconfitta nel cuore del re” in cui si insinua, come accadde in Caino, il “verme della gelosia e dell’invidia”. E come Caino con Abele, il re decide di uccidere Davide. “Così fa la gelosia nei nostri cuori – osserva il Papa - è un’inquietudine cattiva, che non tollera che un fratello o una sorella abbia qualcosa che io non ho”. Saul, “invece di lodare Dio, come facevano le donne d’Israele, per questa vittoria, preferisce chiudersi in se stesso, rammaricarsi” e “cucinare i suoi sentimenti nel brodo dell’amarezza”:

    “La gelosia porta ad uccidere. L’invidia porta ad uccidere. E’ stata proprio questa porta, la porta dell’invidia, per la quale il diavolo è entrato nel mondo. La Bibbia dice: ‘Per l’invidia del diavolo è entrato il male nel mondo’. La gelosia e l’invidia aprono le porte a tutte le cose cattive. Anche divide la comunità. Una comunità cristiana, quando soffre – alcuni dei membri – di invidia, di gelosia, finisce divisa: uno contro l’altro. E’ un veleno forte questo. E’ un veleno che troviamo nella prima pagina della Bibbia con Caino”.

    Nel cuore di una persona colpita dalla gelosia e dall’invidia – sottolinea ancora il Papa - accadono “due cose chiarissime”. La prima cosa è l’amarezza:

    “La persona invidiosa, la persona gelosa è una persona amara: non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia, sempre guarda ‘che cosa ha quello ed io non ne ho’. E questo lo porta all’amarezza, un’amarezza che si diffonde su tutta la comunità. Sono, questi, seminatori di amarezza. E il secondo atteggiamento, che porta la gelosia e l’invidia, sono le chiacchiere. Perché questo non tollera che quello abbia qualcosa, la soluzione è abbassare l’altro, perché io sia un po’ alto. E lo strumento sono le chiacchiere. Cerca sempre e vedrai che dietro una chiacchiera c’è la gelosia e c’è l’invidia. E le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità. Sono le armi del diavolo”.

    “Quante belle comunità cristiane” – ha esclamato il Papa – procedevano bene, ma poi in uno dei membri è entrato il verme della gelosia e dell’invidia e, con questo, la tristezza, il risentimento dei cuori e le chiacchiere. “Una persona che è sotto l’influsso dell’invidia e della gelosia – ribadisce – uccide”, come dice l’apostolo Giovanni: “Chi odia il suo fratello è un omicida”. E “l’invidioso, il geloso, incomincia ad odiare il fratello”. Quindi, conclude:

    “Oggi, in questa Messa, preghiamo per le nostre comunità cristiane, perché questo seme della gelosia non venga seminato fra noi, perché l’invidia non prenda posto nel nostro cuore, nel cuore delle nostre comunità, e così possiamo andare avanti con la lode del Signore, lodando il Signore, con la gioia. E’ una grazia grande, la grazia di non cadere nella tristezza, nell’essere risentiti, nella gelosia e nell’invidia”.

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    Udienze e nomine pontificie

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il cardinale Camillo Ruini, vicario generale emerito di Sua Santità per la Diocesi di Roma; mons. Celestino Migliore, arcivescovo tit. di Canosa, nunzio apostolico in Polonia; mons. Miguel Maury Buendía, arcivescovo tit. di Italica, nunzio apostolico in Kazakhstan, Kyrgyzstan e Tadjikistan; mons. Héctor Rubén Aguer, arcivescovo di La Plata (Argentina); mons. Eduardo María Taussig, vescovo di San Rafael (Argentina). Il Santo Padre riceve questo pomeriggio mons. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi e mons. Adolfo Armando Uriona, F.D.P., vescovo di Añatuya (Argentina). Il Papa ha ricevuto ieri il cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio.

    Il Santo Padre ha nominato prelati uditori del Tribunale della Rota Romana mons. Antonio Bartolacci, finora capo della Cancelleria del medesimo Tribunale, e padre Manuel Saturino da Costa Gomes, S.C.I., finora docente di Diritto Canonico presso la Facoltà di Teologia e direttore dell’Istituto Superiore di Diritto Canonico nella Universidade Católica Portuguesa, giudice del Tribunale Patriarcale di Lisbona.

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    Tweet del Papa: come Maria custodiamo in noi la luce accesa a Natale e portiamola ovunque

    ◊   Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Come Maria, custodiamo in noi la luce accesa a Natale, portiamola dappertutto, nella vita di ogni giorno”.

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    Davos. Il card. Onayekan: dal Papa l'appello a mettere al centro dell'economia la dignità della persona

    ◊   Ha avuto vasta eco il Messaggio del Papa, inviato al Forum economico globale, in corso a Davos, in Svizzera, fino al 25 gennaio. Fra i 2.500 partecipanti sono presenti capi di Stato e di governo, ong e rappresentanti religiosi. Per la Chiesa cattolica, oltre al cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, si segnalano alcuni porporati fra cui il cardinale John Onayekan, arcivescovo di Abuja, in Nigeria. Debora Donnini lo ha raggiunto al telefono:

    R. - La prima cosa che mi ha colpito è il fatto che il prof. Klaus Schwab, fondatore e direttore generale di tutta l’organizzazione, all’apertura dei lavori del Forum abbia deciso di far leggere dal cardinale Turkson il Messaggio del Santo Padre. Questo vuol dire che il prof. Schwab per il modo in cui lui stesso ha presentato il Santo Padre - lo vuole far vedere come una voce autorevole nel mondo d’oggi. L’appello del Santo Padre non poteva esser rilanciato in maniera più efficace di come lui abbia fatto.

    D. – Qual è stato l’impatto del Messaggio del Papa al Forum?

    R. – Alcune persone che ho incontrato si sono congratulate con me perché il Messaggio del Santo Padre era molto bello e diretto. Ho visto inoltre che anche altri capi religiosi con cui ho parlato lo hanno molto apprezzato. Appena finito il Messaggio, chiusa la sessione, siamo usciti e si poteva già leggere sugli schermi delle televisioni una frase presa dal Messaggio del Papa: la ricchezza dovrebbe servire l’umanità, non dominarla.

    D. – Il Papa chiede un senso di responsabilità rinnovato e sottolinea che l’equità non deve essere solo economica ma deve basarsi su di una visione trascendente della persona per ottenere una più equa distribuzione delle ricchezze…

    R. – Ha sottolineato due principi importanti. Il primo è quello della dignità della persona: non importa chi è ricco o povero, bianco o nero, ogni essere umano ha una dignità che viene da Dio che ha creato l’uomo a sua immagine. Il secondo principio altrettanto interessante è l’idea del bene comune dell’umanità; questo vuol dire che non si possono tollerare casi dove la dignità dell’uomo viene completamente trascurata a causa della fame, delle malattie e delle guerre che causano tanti dolori…

    D. – Lei sta partecipando al Forum di Davos, dove sono presenti circa 2.500 persone, tra cui capi di Stato e di governo, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon… Quale impressione ha? Dove si sta andando?

    R. – Ci si deve render conto che questo Forum è “tutto” speciale, perché raggruppa ed include tanta gente: capi di Stato, capi delle grandi industrie e delle compagnie finanziarie. Secondo me, questo Forum dona un’occasione veramente preziosa a tutti coloro che “muovono il mondo” affinché mettano insieme le loro idee, ma non si trova abbastanza spazio per la dimensione religiosa, spirituale e per i valori etici. So però che il prof. Schwab è molto interessato a questo aspetto e sta cercando un modo per rimediare. Spero che attraverso i contatti che sta allacciando con i capi religiosi, inclusa la Santa Sede, si possa mettere insieme un piccolo gruppo all’interno del Forum per promuovere di più la dimensione religiosa, spirituale.

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    Mons. Chullikatt all'Onu: processo di pace in Medio Oriente sia "ringiovanito"

    ◊   “Ginevra 2”, la “speranza” per la Siria. Il negoziato israelo-palestinese, la “necessità” per arrivare a una pace attesa da troppo tempo. Davanti alla sessione del Consiglio di sicurezza Onu, riunito per discutere della situazione generale del Medio Oriente, e di quella palestinese in particolare, Mons. Chullikatt – osservatore vaticano presso le Naizoni Unite di New York – ha ribadito lunedì scorso la posizione della Santa Sede sui entrambi i fronti. La sintesi del suo intervento nel servizio di Alessandro De Carolis:

    “Le decisioni coraggiose sono raramente facili” e, anzi, possono essere politicamente “impopolari”. E tuttavia, di fronte alla realtà del conflitto in Medio Oriente, tutti coloro che vi guardano con speranza “vedono la necessità di un cambiamento”. Mons. Chulikatt non si nasconde dietro un linguaggio di opportunità. Soprattutto perché la pace tra israeliani e palestinesi non è questione che ancora possa essere dibattuta procedendo per sofismi diplomatici:

    “Peace is not simply the absence of war but…
    La pace non è semplicemente l'assenza di guerra, ma richiede che le esigenze della giustizia siano soddisfatte per tutti i popoli e le comunità. La mia delegazione, di conseguenza, unisce la sua voce ancora una volta a quella di tutti gli uomini di buona volontà che accolgono, con grande speranza, la ripresa di trattative dirette, serie e concrete, in modo che un ringiovanito processo di pace possa portare a migliori prospettive per il futuro”.

    Lo sguardo dell’osservatore vaticano si sposta poi inevitabilmente sulla Siria e sui negoziati in corso in Svizzera. Nelle sue parole riecheggiano quelle, tante, di Papa Francesco sulla vanità di uno scontro basato sulle armi e quelle, ribadite dalla Santa Sede, per un immediato cessate-il-fuoco, per un altrettanto rapido sostegno alle vittime del conflitto, dentro e fuori la Siria, per un sostegno internazionale realmente interessato a ricostruire un futuro per questo Paese:

    “May the Geneva II talks (…) be an occasion…
    Possano i colloqui di Ginevra II (…) essere l'occasione per una rinnovata riflessione sui criteri necessari per offrire un nuovo inizio a questa bella nazione, lasciata in preda a un’indescrivibile distruzione e alla perdita di vite umane! (…) L'urgenza di ricostruire la pace trionfi sulla soluzione di altre questioni politiche e sociali, anche se tale ricostruzione certamente dovrà comprendere nuove forme di partecipazione politica e di rappresentanza che garantiscano la voce e la sicurezza di tutti i gruppi che chiamano la Siria loro casa”.

    Non c’è tempo per tentativi appena abbozzati o soluzioni di corto respiro, insiste mons. Chullikatt. Che riconferma l’apprezzamento vaticano per i negoziati del Consiglio di sicurezza e della Germania con l’Iran, per l’annosa questione nucleare, ma soprattutto conclude con uno sguardo alla precarietà dei cristiani che progettano o hanno già messo in pratica una fuga dal Medio Oriente, a causa della guerra in Siria ma anche per i fondamentalismi che li minacciano:

    “Interreligious dialogue and reconciliation…
    Saranno necessari dialogo interreligioso e riconciliazione per ristabilire l'equilibrio nel ricco e complesso pluralismo della società siriana. La Santa Sede è pronta a sostenere tutte le comunità religiose nei loro sforzi per giungere a nuove comprensioni e al ripristino della fiducia, dopo questi anni di violenza, di vendetta e recriminazioni”.

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    Mons. Mamberti: Usa e S. Sede rafforzino cooperazione per giustizia e pace nel mondo

    ◊   Il 10 gennaio di 30 anni fa, la Santa Sede e gli Stati Uniti stabilivano relazioni diplomatiche piene. Per celebrare questa ricorrenza, l’ambasciata statunitense presso la Santa Sede ha promosso una mostra fotografica nel Palazzo della Cancelleria a Roma. All’inaugurazione della mostra, ha preso parte anche il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Giovanni XXIII che sorride ad Eisenhower, Paolo VI che riceve il primo presidente cattolico Kennedy e, ancora, i tanti cordiali incontri tra Giovanni Paolo II e Reagan, che proprio 30 anni fa vollero che si stabilissero relazione diplomatiche tra Washington e la Sede Apostolica. Sono alcuni degli scatti storici della rassegna fotografica al Palazzo della Cancelleria. Una mostra che racconta anche le visite a Benedetto XVI dei presidenti Bush e Obama, in attesa che quest’ultimo si rechi in Vaticano il prossimo 27 marzo. Il promotore della mostra, l’ambasciatore americano presso la Santa Sede, Kenneth F. Hackett, ha fatto proprio riferimento a questo atteso appuntamento nel suo intervento:

    "As we celebrate our thirtieth, we celebrate a strong and very positive…
    Nella ricorrenza di questo trentennale, celebriamo una relazione forte e molto positiva, la cui importanza è stata recentemente sottolineata con la visita del segretario di Stato americano, John Kerry, in Vaticano dove ha incontrato mons. Parolin. Guardiamo ora al 27 marzo, quando il presidente Barack Obama si recherà in visita da Papa Francesco”.

    All’evento inaugurale ha preso parte anche mons. Dominique Mamberti, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, che ha espresso un particolare augurio:

    “It is my wish that the friendship and cooperation...
    Auspico che l’amicizia e la cooperazione tra la Santa Sede e gli Stati Uniti d’America si rafforzino sempre più nella famiglia delle nazioni, affinché il mondo possa progredire nell’edificazione della pace, della giustizia e della fratellanza”.

    Sul significato e il valore di questa mostra per il trentennale dei rapporti Usa-Santa Sede, abbiamo raccolto il commento di Mario Mesquita, vicecapo missione dell’ambasciata americana presso il Vaticano:

    “Il significato è la celebrazione dell’anniversario dei rapporti e anche il ruolo della Chiesa nel mondo. Infatti, nelle foto in mostra vediamo anche Rosa Parks, Martin Luther King junior e altri esempi della cultura americana che hanno reso visita al Santo Padre nel corso degli anni. Sono un segno dell’importanza della Santa Sede e del ruolo della Chiesa negli Stati Uniti”.

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    Accordo Musei Vaticani-Enea per tutela del patrimonio culturale e ambientale

    ◊   Siglato in Vaticano l’accordo tra Enea e Musei Vaticani in ambito di tutela dei beni culturali. Tra i punti chiave: le nuove tecnologie e la tutela dell’ambiente. Durante l’incontro, Federica Baioni ha intervistato il commissario di Enea, Giovanni Lelli, e Ulderico Santamaria, dirigente del Laboratorio Scientifico dei Musei Vaticani:

    R. – Secondo noi, è un accordo emblematico, perché stigmatizza l’incontro fra le alte tecnologie, sviluppate per contesti diversi naturalmente dai beni culturali, con i beni culturali. Perché è emblematico? Perché si è riusciti veramente a far incontrare un’inespressa domanda di tecnologie per la conservazione, per la preservazione, per la diagnostica dei beni culturali, con l’alta tecnologia. E poter fare delle scansioni, a 25 metri di distanza, di volte – quindi di superfici tridimensionali, a colori – rappresentandole con una precisione del decimo di millimetro dà la possibilità di avere delle diagnostiche rapide su grandi superfici, senza mettere le impalcature e così via. Quindi, è una cosa molto, molto valida, che consente anche una maggiore fruizione dei beni culturali. E poi, ultima cosa, l’ingegnerizzazione a questo fine di questi dispositivi è anche un’occasione di promozione industriale, quindi di posti di lavoro. Noi siamo molto orgogliosi di questo.

    D. – Dott.Santamaria, il privilegio storico è molto importante, perché c’è una continuità da quel gabinetto del ’35, quando i suoi predecessori iniziarono a fare ricerca, al giorno d’oggi, con questa collaborazione con Enea. Ci vuole parlare di questo lasso di tempo e di questo progresso che i Musei Vaticani hanno fatto ad oggi?

    R. – I Musei Vaticani, proprio in questo, sono partiti dalla missione fondamentale, che è quella di utilizzare le opere d’arte per testimoniare la fede nel mondo. La Chiesa ha nei Musei Vaticani la sua sentinella. E’ molto importante che la tecnologia non prevalga, ma che si ponga in equilibrio. Il nostro studio non ha il fine di sviluppare una tecnologia che poi non porta benefici e utilità alla storia. Quindi, vogliamo usare la tecnologia per la storia e dagli anni ’30-’35 la tecnologia è entrata e sviluppiamo nuova tecnologia. Con questo accordo, pensiamo di poterne inventare, più che applicare soltanto, ancora di innovativa, non per il gusto dell’indagine, ma proprio perché abbiamo una missione che ci viene affidata dalla Chiesa.

    D. – Si è parlato anche di un aspetto molto importante, che è quello ambientale. Mi soffermerei su questo punto, per capire quanto sia a cuore, questo aspetto ambientale, ai Musei Vaticani?

    R. – E’ tantissimo a cuore, a cominciare appunto dall’interno dei Musei, ma anche dall’esterno, dove siamo interessati a tutelare la salute dei visitatori e delle opere d’arte e degli operatori, ma soprattutto a non dimenticarci che facciamo parte di un sistema più grande dei Musei. E tutto ciò che noi produciamo di inquinanti non rimane nei Musei o, viceversa, ciò che arriva da fuori può inquinare i Musei. Quindi, in questo contesto, stiamo sviluppando metodologie ecocompatibili, come i solventi “green”, che diventano quasi routine nei nostri lavori di restauro, ma anche nelle operazione dei laboratori. E non dimenticandoci mai, però, il rispetto dell’opera d’arte. E’ chiaro che non vogliamo danneggiare l’opera d’arte per salvare l’ambiente. Vogliamo non danneggiare nessuno: salvare l’ambiente e salvare le opere d’arte.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Connessi ma scandalosamente distanti: messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.

    La voce dei più deboli: tweet del Pontefice in occasione della Marcia per la vita a Washington.

    Una crisi senza soluzione militare: intervento della Santa Sede alla conferenza internazionale sulla Siria.

    Quando Pio XII aprì le porte delle Ville Pontificie: ricordato a Castel Gandolfo il settantesimo anniversario dello sbarco di Anzio.

    Nel libro “L’oste dell'ultima ora”, la ricostruzione letteraria di un singolare personaggio che lo scrittore Valerio Massimo Manfredi immagina incrociare la vicenda del figlio di un falegname di Nazaret.

    Un articolo di Cristian Martini Grimaldi dal titolo “La terra in cui il gregge anticipò i pastori”: solo laici alle origini della Chiesa coreana.

    Prima che la pioggia del tempo cancelli le loro tracce: Vicente Carcel Orti illustra il suo studio sulle radici storiche della persecuzione religiosa in Spagna.

    Tra Goya e René Girard: Silvia Guidi sugli orrori del presente nei quadri di Luca Palazzi.

    Tra le pietre della prigione del Battista: Gyozo Voros fa il punto della situazione sulle campagne archeologiche di scavo nella cittadella del Macheronte.

    Per l’unità tra cattolici e riformati: Matthias Türk sulle relazioni con la Federazione luterana mondiale e la Conferenza dell'Unione di Utrecht.

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    Oggi in Primo Piano



    Conferenza di pace sulla Siria: giornata di lavori a porte chiuse. Domani si riprende a Ginevra

    ◊   Conferenza di pace sulla Siria: giornata di lavori a porte chiuse. Domani si riprende a Ginevra
    A Montreux, in Svizzera, si continua a discutere sulla pace in Siria nonostante la prima giornata di lavori faccia emergere un discreto pessimismo sulla possibilità di una soluzione. Restano, infatti, distanti le posizioni del regime e dei ribelli sul possibile governo di transizione. Il servizio è di Marina Calculli:

    Dopo la prima giornata di botta e risposta tra i rappresentanti del regime e dell’opposizione siriana, le polemiche non si fermano. L’opposizione è tornata a criticare i toni del ministro degli Esteri siriano, Walid Muallem: “Il regime si comporta come una mafia”. Ma, nonostante il pessimismo, si va avanti. In queste ore il delegato Onu, Lakhdar Brahimi, è riunito a porte chiuse con le delegazioni delle due parti per convincerle a proseguire da domani i negoziati a Ginevra, con l’obiettivo di raggiungere un cessate il fuoco. “Le negoziazioni non saranno né brevi né semplici” – previene il ministro degli Esteri russo Lavrov, che sostiene il regime di Bashar al-Assad. Intanto dall’Iran, il grande escluso di questa conferenza, il presidente Rouhani fa appello perché si organizzino elezioni presidenziali libere in Siria. Un’impresa certamente non facile, mentre sul terreno la guerra continua violentemente. Ma la situazione più critica vede, in realtà, attualmente interessati gruppi di ribelli jihadisti contro i qaedisti dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante). Secondo una Ong locale, i morti negli ultimi venti giorni sono circa 1400. In un messaggio video è intervenuto persino il capo di al-Qaeda, al-Zawairi, che ha fatto appello perché “si metta immediatamente fine alla guerra tra fratelli”.

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    Siria. Mons. Tomasi: l'unica alternativa alla guerra è il dialogo, positivo l'inizio dei negoziati

    ◊   Sui risultati della Conferenza di Montreux per la pace in Siria e alla vigilia dei negoziati diretti tra governo di Damasco e opposizione armata, Gabriele Beltrami ha raccolto il commento di mons. Silvano Maria Tomasi, presente all’incontro come capo della Delegazione della Santa Sede:

    R. - Si è conclusa la Conferenza Internazionale sulla Siria a Montreux, detta Ginevra 2, che ha cercato di dare un messaggio e mettere delle priorità nella ricerca di pace nella Siria e nel Medio Oriente. Una quarantina di Paesi hanno partecipato a questo evento attraverso la presenza dei loro ministri degli Esteri. I lavori della Conferenza sono stati diretti personalmente dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, alla presenza del segretario di Stato americano John Kerry e del ministro degli Esteri della Federazione Russa Lavrov. Hanno dato un messaggio forte, assieme a tutti gli altri ministri presenti e delegazioni di Paesi: la Comunità internazionale vuole che si arrivi ad una soluzione operativa, pratica, del conflitto in Siria. Questo messaggio forte della comunità internazionale speriamo porti frutto nei prossimi 2-3 giorni, quando per la prima volta s'incontreranno a Ginevra la delegazione del governo di Bashar El Assad e la delegazione dell'opposizione.

    D. - Quali sono stati, secondo lei, i punti forza di questo incontro di Montreux?

    R. - Il fatto che la Conferenza è stata tenuta è già, di per sé, un passo molto positivo perché mostra che, nonostante le forti divergenze che esistono e l'animosità quasi in certi momenti tra espressioni di un gruppo o dell'altro che sono in campo nel conflitto siriano c'è l'urgenza di cominciare a parlare. Allora questa sensibilità della Comunità internazionale ha preso forme molto concrete: quasi tutti i Paesi sono intervenuti e hanno fatto delle dichiarazioni ufficiali che impegnano questi governi a ingaggiarsi nella ricerca della pace. Tra le priorità elencate in tutti questi interventi, c'è anzitutto la convinzione unanime che non c'è una soluzione militare nel conflitto siriano: bisogna cercare un'alternativa, che è quella del dialogo. Secondo, si è affermato da parte di quasi tutti che il primo passo richiesto dalla sofferenza delle famiglie che hanno avuto più di 130 mila morti e che sono in esilio - perché ci sono milioni di rifugiati - è il cessate-il-fuoco, ponendo fine a questo ammazzarsi, a questa distruzione continua che sta andando avanti. Allo stesso tempo, un terzo punto - che è stato ribadito con forza - è quello di avere un accesso immediato agli aiuti umanitari per tutte le persone che ne hanno bisogno in Siria: dato che scuole, ospedali, cliniche sono state distrutte e quindi mancano i medicinali, mancano gli aiuti di prima necessità e, in certi posti, manca anche il cibo per la popolazione. Se non si trova una strada immediata di apertura totale di accesso alle persone bisognose, almeno che ci siano dei corridoi umanitari attraverso i quali strutture internazionali, come l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, possano agire.

    D. - Negli interventi dei delegati a Montreux non sono mancate tensioni e accuse reciproche: ritiene che ciò influirà sui lavori che continueranno a Ginevra?

    R. - Certo, nello scambio di opinioni, di punti di vista e di interpretazioni del conflitto, durante questa giornata molto intensa e interessante che abbiamo speso a Montreux, ci sono state espressioni molto dure, attacchi reciproci, però alla fine la delegazione del governo siriano ha riaffermato la sua volontà di incontrarsi venerdì con l'opposizione e l'opposizione ha fatto la stessa, così che per la prima volta abbiamo un incontro delle parti in conflitto che può portare a un minimo di accordo, che potrebbe essere quello, appunto, di porre fine - se non in tutto il territorio della Siria, cominciare almeno in una parte - ad atti di violenza e di distruzione, cominciando così un processo graduale di intesa che porti soprattutto ad accettare quello che è posto come condizione preliminare da parte di tutti, praticamente: l'attuazione del comunicato e degli accordi di Ginevra 1, che richiede un governo di transizione, un inizio di lavoro per una nuova Costituzione e, quindi, elezioni libere. Su questa strada è possibile mettere le premesse per la costruzione della pace in Siria. C'è molto da fare! Siamo agli inizi, ma il bilancio di questa giornata - secondo me - è abbastanza positivo, nel senso che c'è la comunità internazionale impegnata a sostenere con nuovi e sostanziali impegni finanziari le esigenze di assistenza umanitaria; la volontà politica di appoggiare il processo di pace e di sostenerlo in tutte le maniere possibili; c'è il primo incontro tra le parti in conflitto, perché la soluzione del problema della Siria deve venire dai siriani: sono loro che devono programmare il loro futuro e la comunità internazionale può aiutarli, ma è da loro che deve venire la risposta. Infine, direi, c'è questa invocazione universale da parti di quelli che soffrono, dei morti, delle vittime, dei bambini, che a centinaia di migliaia sono stati costretti a scappare, che tocca la coscienza del mondo e che per solidarietà e per dovere umanitario ci impone di muoverci nella direzione della pace.

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    Ucraina nel caos. Oggi scade l'ultimatum dei manifestanti: nuove elezioni o parte offensiva

    ◊   Notte senza scontri a Kiev, ma stasera scade l'ultimatum di 24 ore che l'opposizione ucraina ha lanciato al presidente Ianukovich dopo i violenti scontri degli ultimi giorni tra polizia e manifestanti nel centro di Kiev in cui sono morte cinque persone. I leader dell'opposizione hanno chiesto al capo di Stato di indire nuove elezioni, altrimenti i manifestanti "passeranno all'offensiva". Nel frattempo Usa e Ue hanno minacciato di imporre sanzioni al governo ucraino, scatenando la dura reazione di Mosca, che ha parlato “intollerabili interferenze straniere”. Una situazione, dunque, di grande tensione. Ma può avere ripercussione tutto questo sui già fragili rapporti tra Mosca, Washington e Bruxelles? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vice-direttore di Famiglia Cristiana, esperto di Est europeo:

    R. – Sicuramente, anche perché la questione ucraina ha ormai preso una piega drammatica, come sappiamo dai morti. Quindi, drammatica nelle strade, nelle piazze, ma drammatica anche dal punto di vista politico, perché mentre le autorità ucraine hanno reagito con violenza, dall’altra parte bisogna riconoscere di come sia rituale dei dirigenti importanti delle istituzioni europee andare in Ucraina a sostenere i dimostranti.

    D. – Queste frizioni che sono in corso in questo momento tra Washington e Mosca, invece, sono pericolose?

    R. – Sono pericolose, nel senso che certamente sono un fattore violento di instabilità. Sono, però, anche le frizioni che registriamo ovunque ci siano degli interessi contrastanti e, praticamente, interessi contrastanti tra Stati Uniti e Russia ci sono ovunque. Basti pensare alla Siria - nella conferenza di Ginevra in corso, le posizioni tra russi e americani sono lontanissime - basti pensare all’Iran, basti pensare a qualunque situazione in cui gli interessi strategici dei due Paesi siano divergenti e, ripeto, lo sono praticamente sempre.

    D. – La situazione che si è venuta a creare evidenzia ancora di più che l’Ucraina resta un Paese dalle due anime. Non si tratta solo del patto di adesione all’Unione Europea o di interessi economici, che vengono mossi dalle grandi potenze, ma ci sono anche delle enormi differenze all’interno del Paese...

    R. – Assolutamente, basta seguire il corso del fiume Dnepr e si trovano due Paesi diversi. Se ne trova uno ad Est molto più russofilo, anche russofono ed economicamente più legato alla struttura che fu dell’Urss, che con una parziale riforma è poi diventata quella russa. Mentre ad Ovest del Dnepr c’è un’Ucraina, che ha tutt’altra economia più orientata sui servizi, più moderna possiamo dire, e certamente più incline a guardare ad Occidente. Va detto che c’è un’ulteriore sottolineatura, che andrebbe tenuta in conto, prima di emettere giudizi, ed è che all’interno del fronte di opposizione e di protesta ci sia un fronte filoeuropeo ed un fronte soprattutto antirusso. Questa è una differenza un po’ sottile, ma non ininfluente.

    D. – C’è il rischio che dalle proteste si passi a qualcosa di più pericoloso e in che modo sarebbe possibile in questo momento procedere verso un vero atto di riconciliazione?

    R. – Il timore che possa succedere anche di peggio di quello che è successo finora ce l’ho, perché registro con grossa preoccupazione, e anche con un certo scandalo, che tutti giocano sulla pelle degli ucraini: gli americani, i russi, in parte anche i funzionari e i dirigenti dell’Unione Europea, che stanno tutti buttando benzina su un fuoco, che decisamente può divampare. Credo che le cancellerie, soprattutto quelle delle potenze, dovrebbero fare l’operazione opposta: dovrebbero calmare la situazione e semmai poi discutere di politica. La questione dell’Ucraina, infatti, non si risolve in un patteggiamento a due, tra Ucraina e Unione Europea, ma si risolve in un patteggiamento almeno a tre, cioè fra Russia, Unione Europea ed Ucraina. L’Ucraina, infatti, sconta anche l’irrisolto e spesso critico rapporto che c’è proprio tra la Russia e l’Unione Europea.

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    Sud Sudan: 600 mila civili in fuga dal conflitto tra esercito e ribelli

    ◊   Sud Sudan tra i Paesi in emergenza umanitaria a causa del sanguinoso conflitto che oppone da metà dicembre le truppe del presidente Salva Kiir di etnia Dinka e i miliziani fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar, rimosso nel luglio scorso, di etnia Nuer. E un appello a favore della popolazione stretta tra i due fronti, perseguitata e stremata, giunge dall’Unicef. Roberta Gisotti ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce in Italia del Fondo Onu per l’infanzia:

    Stallo nei colloqui di pace per il Sud Sudan, in corso ad Addis Abeba in Etiopia, mediati dall’Igad, l’autorità intergovernativa che raggruppa sette Paesi dell’Africa dell’Est. E mentre corrono notizie di stragi e atrocità sul campo, l’Onu punta il dito su entrambe le parti in conflitto. Andrea Iacomini, quali ultime notizie abbiamo?

    R. - In Sud Sudan la situazione è davvero difficile! Ci sono quasi mezzo milione di sfollati e questo numero è cresciuto rapidamente all’interno del Paese, mentre 86 mila sono fuggiti nei Paesi vicini. 70 mila di questi sfollati hanno trovato rifugio presso i centri di protezione della missione delle Nazioni Unite e in questi centri il dato che emerge è che l’80 per cento sono donne e bambini. Dunque una situazione complessa. L’Unicef ha più volte ricordato alle parti coinvolte nel conflitto gli impegni e gli obblighi proprio derivanti dal diritto internazionale e nazionale e il rispetto delle leggi che, tra le altre cose, vietano anche la partecipazione dei bambini nei conflitti armati.

    D. - Gli aiuti stanno arrivando? C’è bisogno di raccoglierne altri?

    R. - La situazione è questa: il 21 gennaio è atterrato all’aeroporto di Giuba il primo di due aerei che trasportava medicinali per il trattamento della malattia, della polmonite, della diarrea, ma anche alimenti terapeutici come vitamine, antibiotici e anche antidolorifici per i bambini. Naturalmente si tratta di aiuti che comprendono dei kit chirurgici, attrezzature per facilitare la distribuzione dell’acqua, che è fondamentale in questa situazione, servizi igienici, ma anche tende e teloni di plastica. Il secondo aereo è arrivato questa mattina con scorte mediche ed acqua. Sono aiuti essenziali perché salvano la vita di migliaia di bambini e donne che, di fatto, in queste condizioni, in Sud Sudan, hanno un disperato bisogno di aiuto. Abbiamo evidenze di bambini che muoiono per malnutrizione e per malattie, in particolare il morbillo e la malaria sono molto diffuse: malattie che peraltro potrebbero essere prevenute in condizioni di pace. Quindi il nostro appello - quello più urgente! - è di nuovo rivolto - lo ripeto - a tutte le parti coinvolte nel conflitto, affinché assicurino almeno che questi aiuti umanitari vengano trasportati e vengano distribuiti in condizioni di sicurezza a tutti i bambini vittime di questo conflitto. Ricordiamo che ogni giorno che perdiamo, lo perdiamo nei confronti dei bambini del Sud Sudan: e questo è inaccettabile!

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    Roma. Teoria del "gender" a scuola. Forum famiglie: no all'educazione sessuale di Stato

    ◊   No a ogni forma di bullismo e discriminazione, ma no anche a un indottrinamento ideologico nelle scuole. Così il Forum delle famiglie del Lazio critica il progetto di educazione per le scuole superiori "lecosecambiano@Roma", promosso in linea con le direttive Ue dalla Giunta capitolina per il contrasto dell’omofobia e della transfobia. L’iniziativa prevede incontri in aula con testimonial del mondo dello spettacolo ed esponenti delle associazioni Lgbt. Il servizio di Paolo Ondarza:

    La teoria del gender arriva sui banchi di scuola a Roma. A denunciarlo è il Forum delle Famiglie. Tutto nasce dal progetto del comune di Roma "lecosecambiano@Roma" che prevede, nelle scuole che ne faranno richiesta, un’indagine conoscitiva sui diversi orientamenti sessuali, incontri con esponenti delle associazioni "Lgbt" (ovvero lesbiche gay bisex e transgender), per sensibilizzare i ragazzi e promuovere una visione positiva di questa realtà e infine un concorso con premiazione il 17 maggio Giornata Ue contro l’omofobia. Emma Ciccarelli, presidente del Forum delle Famiglie del Lazio:

    R. - Anzitutto, non c’è stata una concertazione con le Associazioni familiari! Non vogliamo che i nostri figli abbiano un’educazione sessuale di Stato, ma che ciascuna famiglia possa avere la libertà e la possibilità di scegliere come educare alla sessualità i proprio figli.

    D. - L’adolescenza è un periodo in cui l’identità, anche quella sessuale, non ha raggiunto una piena maturazione…

    R. - Perfettamente. Quotidianamente, siamo impegnati sul fronte educativo e l’adolescenza è un momento di forte vulnerabilità. Dipende da come vengono trattati certi temi, che non sono assolutamente tabù. Noi chiediamo, come famiglie, di essere partecipi nella strutturazione di certi interventi. Noi contestiamo questo intervento, che è legato al bullismo di tipo omofobico: noi non riconosciamo questo tipo di termine, ma preferiamo parlare più in generale di bullismo perché per noi la persona ha valore a prescindere dalle sue scelte, dai suoi orientamenti sessuali.

    D. - E proprio in relazione a un episodio iscritto nella categoria del "bullismo omofobico", voi - come Forum del Lazio - chiedeste al sindaco Marino un tavolo sull’emergenza educativa in generale… Di questo appello cosa ne è stato?

    R. - Niente, non c’è stato seguito. E questo ci dispiace e ci induce a pensare che ci sia veramente il desiderio di non coinvolgere i cittadini nelle scelte dell’amministrazione.

    D. - Tante famiglie si sono rivolte a voi, esprimendo preoccupazioni…

    R. - Sì. Il bando dovrebbe essere uscito nel mese di dicembre: da fine dicembre, e ancora in questi giorni, continuiamo a ricevere telefonate di famiglie preoccupate, perché non riescono a capire il significato di questa iniziativa. Il Forum è rappresentante di 50 Associazioni nel Lazio, ma non è rappresentante soltanto - e questo ci tengo a precisarlo - della famiglia cattolica, ma di tutte le famiglie sposate in chiesa o sposate solo civilmente: famiglie separate, famiglie con genitori single, famiglie che vivono la fragilità… Vorrei che fosse ben chiaro che la nostra posizione è una posizione di dialogo con tutte le forze politiche. Voglio anche aggiungere che le lamentele che ci arrivano dalle famiglie riguardano questioni della quotidianità scuola: le strutture fatiscenti, i programmi che non vengono completati perché manca il materiale didattico, organico carente, sicurezza molto precaria… Ci hanno segnalato queste priorità.

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    Le coop in tempo di crisi: più produzione e più lavoro

    ◊   Le cooperative, in Italia, hanno retto meglio delle altre aziende alla crisi. Nel 2011, ad esempio, hanno generato una produzione superiore ai 120 miliardi di euro, con un aumento dell’occupazione dell’8% tra il 2007 e il 2011. Un apporto fondamentale in tanti settori, come i servizi per l’assistenza alle persone. Alessandro Guarasci:

    E’ un esercito produttivo che ha continuato a generare benessere anche nei momenti più bui dell’economia. Il “secondo rapporto sulle cooperative ai tempi della crisi”, presentato a Roma, parla di almeno 60 mila aziende che danno lavoro ad almeno 1 milione e 300 mila persone. E nel 2001 sono aumentati investimenti e produzione. I settori in cui la cooperazione è più forte sono l’agricoltura e i servizi, in particolar modo l’assistenza alle fasce più deboli. In questi anni sono stati compressi gli utili. Ora bisogna riavviare l’economia. Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative:

    “Sui mercati interni, i consumi hanno bisogno di un’iniezione di fiducia. L’iniezione di fiducia arriva mettendo più soldi in tasca e soprattutto ai redditi medio bassi. Il credito è l’altro tema. Le imprese hanno ancora difficoltà di accesso al credito e soffrono, perché hanno grandi crediti nei confronti della pubblica amministrazione e le banche oggi non scontano neanche più il credito”.

    Secondo il presidente dell'Alleanza delle Cooperative e di Legacoop, Giuliano Poletti, è ora di semplificare le regole per creare lavoro. Bene dunque il job act di Renzi:

    “C’è bisogno di cambiare un po’ di regole. La cosa che diciamo, ma che dicono tutti, è che le regole non producono di per sé occupazione, però avere regole più semplici e più definite certamente può aiutare. Noi continuiamo a pensare che, ad esempio, rispetto ai meccanismi che sono stati ipotizzati, sia previsto il tema della partecipazione dei lavoratori. Per noi questo è un grande tema. Scegliere non solo un tema di cambiamento di regole, ma anche una logica, che è quella che io sostengo, di partecipazione attiva dei cittadini, e in questo caso dei lavoratori all’impresa, sia un modo importante. Ma è chiaro che la partecipazione attiva di un lavoratore all’impresa vuol dire che anche il sistema di remunerazione cambia. Se tu sei, infatti, dentro la tua impresa, non puoi immaginare che solo il contratto nazionale risolva il problema della tua remunerazione; devi averne una parte che è connessa all’esito. La partecipazione attiva dei lavoratori nell’impresa è una chiave, per fare meglio anche dal punto di vista economico”.

    Le cooperative chiedono che il loro ruolo sia valorizzato durante il semestre di presidenza italiano della Ue.

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    Presentata la seconda edizione aggiornata del volume "Rifugiati, profughi, sfollati" di Nadan Petrovic

    ◊   Dalla Costituzione italiana, era il 1948, ad oggi: tutta la storia della tutela da parte dell’Italia del diritto d’asilo spiegata in un volume, la cui seconda edizione, aggiornata, è stata presentata ieri al centro Astalli di Roma. L’autore di “Rifugiati, profughi, sfollati” è Nadan Petrovic, esperto delle politiche d’asilo, collaboratore in passato anche delle Nazioni Unite, della Commissione Europea, dell’Oim. In questa nuova stesura Petrovic si sofferma su eventi epocali che hanno posto la penisola di fronte ad ulteriori sfide, come gli arrivi a seguito della cosiddetta ‘primavera araba’, ai quali Petrovic dedica un intero capitolo. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – L’episodio dell’emergenza Nordafrica è stato significativo sotto vari punti di vista. Da un lato ci ha dimostrato ciò che spesso viene ignorato: che l’Italia è tra i Paesi con maggior numero di richieste di asilo, non con il minor numero, nel panorama dei Paesi cosiddetti industrializzati, viene subito dopo gli Stati Uniti, la Francia e spesso davanti alla Germania, alla Gran Bretagna, all’Olanda. E quindi, il numero delle domande è stato particolarmente rilevante durante l’emergenza nordafricana. La seconda cosa è che, nonostante una ormai pluridecennale esperienza in materia di asilo e di accoglienza, questo evento ci ha trovati ancora una volta impreparati, di nuovo si è dovuti ricorrere alle misure straordinarie, molte delle quali era abbastanza chiaro agli addetti ai lavori che non avrebbero funzionato. Si sono commessi un po’ gli stessi errori degli anni passati. Allo stesso tempo, però, cerco di valorizzare anche il buono che ne è arrivato, ossia un maggiore protagonismo del sistema delle Regioni, finora completamente assenti dalle politiche nazionali d’asilo.

    D. – Le falle nel sistema di asilo italiano sono evidenti e pubbliche, resta però in piedi una sorta di conflitto di competenze tra Italia e Unione Europea. Le polemiche nate dopo le centinaia di morti a Lampedusa, nell’ottobre scorso, ne sono la prova …

    R. – L’Italia è tra i Paesi più esposti in riferimento a questo flusso, ma non è l’unica, ci sono la Grecia, Malta e, ultimamente, addirittura la Bulgaria. Direi che quell’episodio, nelle sue dimensioni così catastrofiche, ci è servito da un lato a evidenziare con maggiore forza che gli arrivi all’isola di Lampedusa sono un tema di arrivi nell’Unione Europea. Di fronte ad una tragedia di quelle dimensioni, questo tema finalmente si è capito, grazie anche alla presenza sull’isola della presidente della Commissione (Cecilia Malmström n.d.r.) e del presidente del Parlamento europeo (Manuel Barroso n.d.r.). Diciamo che nell’agenda europea hanno iniziato ad entrare alcuni temi di interesse, che stanno a cuore all’Italia. Dall’altro lato, però, è stato di maggiore insegnamento quello che è successo da Lampedusa in poi, e che ha dimostrato che gli italiani continuano a ‘non essere sempre pronti all’esame’. Un esempio: tutti hanno visto le scene dei trattamenti riservati ai migranti, molti dei quali richiedenti protezione internazionale. C’è poi un tema che io direi essere la priorità nel sistema italiano, il problema principale non è come si accolgono le persone appena arrivate, ma ciò che accade poi a queste persone nei mesi successivi. Perché, se spesso siamo molto accoglienti nelle primissime fasi dell’arrivo, è vero anche che poi le persone alle quali riconosciamo anche un ampio spettro di diritti, riconoscendo loro lo stato di rifugiato, rimangono senza qualsiasi forma di sostegno, tant’è vero che le grandi aree metropolitane sono piene di rifugiati che hanno occupato gli stabili, che dormono alle stazioni ferroviarie o sotto i ponti, in assenza di un qualsiasi programma strutturato di supporto all’integrazione.

    D. – Il sottotitolo del suo libro è: “Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi”. Allora, le chiedo: cosa l’Italia oggi ancora non ha capito dell’accoglienza a rifugiati, profughi e sfollati?

    R. – Viene molto ignorato, nel dibattito pubblico, che l’Italia in passato è stato uno dei pochi Paesi che abbia utilizzato la possibilità, prevista in sede di Convenzione di Ginevra, di accogliere solo rifugiati provenienti dal continente europeo, e quindi questo veniva tradotto in pochi casi di dissidenti, prevalentemente dall’Est europeo. Di tutti gli altri, l’Italia non doveva occuparsi, è questo, secondo me, che sta alla base di una certa specializzazione italiana alla prima accoglienza. La situazione cambia con la legge Martelli del 1990. C’è stato un decennio di arrivi molto intensi, provenienti quasi tutti però dall’area balcanica, e quindi, a mio giudizio, si è preso un abbaglio che ha portato a credere che l’Italia non fosse ancora un Paese d’asilo, arrivando tutte le problematiche da una situazione molto specifica in un’area molto vicina, limitrofa all’Italia. Solo verso la fine degli anni Novanta si inizia a capire, per un insieme di motivi, che ci si deve iniziare ad occupare di questo fenomeno. In questi anni sono stati fatti alcuni importanti progressi però, nel complesso, non si è ancora riusciti a costruire un dispositivo compiuto: questa sarà la sfida per i prossimi anni.

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    A Bologna cerimonia funebre per Claudio Abbado

    ◊   Si sono tenute nella notte nella Basilica di Santo Stefano a Bologna le esequie in forma strettamente privata del maestro Claudio Abbado, scomparso il 20 gennaio a 80 anni nella sua casa bolognese, dopo una lunga malattia. Attorno al feretro, alla chiusura della camera ardente rimasta aperta per due giorni, solo la famiglia del maestro e l'amico don Giovanni Nicolini che ha guidato la cerimonia. Ad accompagnare l'estremo saluto anche alcuni musicisti che intorno all'una hanno suonato un breve brano caro al direttore d'orchestra. Il feretro è stato quindi portato al cimitero di Borgo Panigale per la cremazione, come disposto dallo stesso Abbado. Si è chiusa così una lunga vita interamente dedicata alla musica sin dall’età di sette anni. Lo ricorda al microfono di Gabriella Ceraso il suo amico e direttore della Filarmonica della Scala, Ernesto Schiavi:

    R. – Abbado si può definire proprio un amico della musica: un amico intelligente, colto e sensibile. Ha restituito alla Scala di Milano, all’Italia, a tutto il mondo, tantissimo.

    D. – Un uomo rigoroso, un artista serio, molto sensibile. Penso che nella fondazione della Filarmonica a cui il maestro ha contribuito abbia portato anche una sua idea di fare musica…

    R. – Lui definiva sempre suonare, eseguire un concerto, come fare musica insieme e questo viene da una cultura che nasce dalla sua formazione anche viennese, che nasce dalla musica da camera, dal suonare in pochi e poi in tanti, che non è altro che un numero aggiuntivo. Ma il valore filosofico ed anche sociale è quello di lavorare per fare le cose insieme.

    D. – Io le giro una frase, me la commenti: “La musica è necessaria alla vita, può cambiarla, può migliorarla e addirittura in alcuni casi può salvarla”. Lo diceva il maestro…

    R. – Questo viene anche dalle sue esperienze, ad esempio con il sistema "Abreu" in Venezuela. Tornò folgorato da come la musica potesse diventare una forma di socialità organizzata: salvare anche gli emarginati, dando loro un interesse e creando una struttura. Per cui, la funzione della musica è esattamente anche questa.

    D. – Il presidente Napolitano ma non solo, ricordando l’amico Abbado, ha citato anche i tanti giovani che il maestro ha formato e seguito nel tempo come studenti, e che ora sono grandi professionisti. Perché questa passione per i ragazzi?

    R. – Perché lui è un ragazzo, è rimasto un ragazzo. Poi, è chiaro, che la grande professionalità, la sua internazionalità creava in questi giovani giustamente una forma di emulazione e di interesse. Credo fosse proprio il piacere di stare con i giovani bravi, che sapessero lavorare bene ma che dessero anche a lui entusiasmo continuo - la Mahler, l'ECO (European Contemporary Orchestra - ndr) - sono orchestre formate da giovani di tutta Europa - ma è soprattutto il mettere insieme tutte queste culture, in cui lui ha sempre trasmesso il suo entusiasmo ed ha anche ricevuto entusiasmo, come linfa anche per se stesso.

    D. – Di solito, di un direttore di orchestra quando sale sul podio si guarda il gesto e dal gesto si risale a una concezione, a un’idea della musica, ma anche all’essere umano. Dal gesto del maestro cosa si deduce?

    R. – Il gesto è fatto di due parti. Una parte è il linguaggio, la scuola: Abbado aveva un gesto molto bello di scuola mitteleuropea, con una mano sinistra molto espressiva, un senso del ritmo e una coordinazione straordinaria. Poi, dal gesto, oltre alla scuola, si può risalire al carattere: si vede un carattere perentorio, carattere di forza ma mai forza muscolare, sempre forza di pensiero, che si trasmette attraverso la perentorietà ma anche la rotondità. Questo era il suo gesto.

    D. – Che cos’era che veramente lo appassionava?

    R. – Era proprio il pensare un’opera o un brano musicale nella sua interezza, da cima a fondo. Quello che credo lo appassionasse era proprio l’idea globale del pezzo. Infatti, era un direttore in cui, non conoscendolo nella concertazione, si poteva pensare che fosse noioso, perché ripeteva sempre, lavorava e ripeteva. Non ci si accorgeva però che in questa noiosità delle ripetizioni lui arrivava poi a un’idea finale che era la sua e di cui tu, musicista, ti accorgevi poco durante il lavoro, te ne accorgevi poi al momento dell’esecuzione.

    D. – Quindi, più che una nota - come diceva lei - è la magia della musica che lui voleva ricreare…

    R. – Lui voleva creare quello che era stato scritto dal compositore dalla A alla Z, nella sua interezza, dandolo fedelmente. Questo era quello che lui voleva sempre, al di là dei particolari.

    D. – In queste ore, non solo Milano, non solo Bologna, non solo l’Italia, ma anche Berlino, Vienna, Salisburgo lo ricordano. Molti teatri gli stanno dedicando le prime di alcuni spettacoli, o comunque un pensiero. Cos’è che rende un maestro tanto amato a livello mondiale?

    R. – Credo che a livello mondiale passino alcune cose. Una è la preparazione, la capacità, la tecnica, la visione musicale. Un’altra cosa è il carisma, il personaggio, la statura del personaggio, quindi la profondità e la capacità di comunicare. Evidentemente se il mondo – non solo Milano – risponde così, vuol dire che Claudio queste cose le aveva tutte.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: sede della Caritas ad Aleppo colpita da un razzo

    ◊   Una sede della Caritas siriana ad Aleppo è stata colpita ieri da un razzo. Lo rende noto l’ufficio stampa della Caritas Internationalis. Nessuno è rimasto ferito, ma uno degli uffici ha subito danni. Il Centro colpito è punto di riferimento per le famiglie siriane povere in cerca di cibo, assistenza e generi di prima necessità. L’attacco è avvenuto intorno alle ore 16.00, mentre il parroco e membro della Caritas di Aleppo, padre Toni Ghazi, stava raggiungendo la sede insieme ad alcuni bambini. Il missile è finito dentro la sala d’attesa della sede Caritas, ma fortunatamente non è esploso. Commentando l’episodio, il segretario generale della Caritas Internationalis, Michel Roy, ha ribadito l’urgenza di “un cessate-il-fuoco immediato come primo passo nella ricerca di una soluzione pacifica” per il conflitto in Siria. (R.B.)

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    Iraq: istituita una nuova provincia nell'area cristiana della Piana di Ninive

    ◊   Il Consiglio dei Ministri iracheno ha approvato martedì scorso un piano che prevede l'istituzione di una nuova provincia indipendente nel territorio corrispondente alla Piana di Ninive, la regione del nord del Paese che rappresenta una tradizionale area d'insediamento delle popolazioni cristiane irachene. La proposta di creare un'unità amministrativa apposita per la Piana di Ninive viene fortemente sostenuta da rappresentanti politici cristiani, che vedono in tale misura uno strumento per frenare la diminuzione delle comunità cristiane – quella caldea, quella sira e quella assira – tradizionalmente radicate nel territorio. Se il progetto verrà portato a compimento, la nuova unità amministrativa avrà giurisdizione su una popolazione formata per almeno il 40% da cristiani e sarà dotata di un proprio budget, propri strumenti amministrativi e proprie forze dell'ordine. La prospettiva imboccata dal governo iracheno è stata accolta con favore in molti ambienti delle comunità cristiane irachene della diaspora. Robert DeKalaita, membro esecutivo del Chaldean Assyrian Syriac Council of America, ha descritto l'iniziativa del governo iracheno come “un sogno divenuto realtà”, presentandolo come “il primo passo verso una soluzione pratica della condizione critica vissuta dalla nostra gente per dieci anni”. Mentre il politico locale Dildar Zebari, membro e già vice-presidente del consiglio dell'unità amministrativa provinciale che al momento ancora comprende la Piana di Ninive, ha affermato che la decisione del governo iracheno obbedisce a pressioni provenienti dall'estero e non tiene conto delle reali aspirazioni delle comunità locali. “I figli di Ninive” ha detto Zebari a fonti irachene consultate dall'agenzia Fides “sostengono lo spirito di cittadinanza irachena che implica sostegno condiviso verso le istituzioni dello Stato, e non volontà di separare Ninive dal resto dell'Iraq”. (R.P.)

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    Pakistan: la Chiesa promuove una Giornata di preghiera per la pace

    ◊   La Chiesa cattolica pakistana ha indetto una giornata nazionale di preghiera per domenica 26 gennaio, per sensibilizzare i fedeli e la popolazione civile sui molteplici attacchi e attentati che hanno insanguinato il Paese in queste prime settimane del 2014. Padre Robin Azeem dell'arcidiocesi di Lahore, spiega all'agenzia AsiaNews che "il Pakistan sta attraversando un momento cruciale" caratterizzato da una "incertezza" generale e diffusa. "È tempo di restare uniti - aggiunge - per questo abbiamo indetto un momento di preghiera speciale per la pace" che coinvolge tutta la nazione. Il sacerdote chiede "unità contro il terrorismo e la violenza confessionale", assieme al "sostegno per l'esercito" per qualsiasi decisione prenderanno "finalizzata al bene della nazione". La giornata di preghiera contro il terrorismo è anche un tributo alla memoria di due cittadini, Aitzaz Hassan, giovane studente di Hangu e Ch. Aslam Khan, il super-poliziotto di Karachi, fra i massimi esperti di antiterrorismo, assassinati da estremisti islamici. "Celebriamo il [loro] sacrificio - conclude - e condanniamo con forza la mentalità estremista e ogni qualsiasi altra cospirazione, perpetrata contro la nostra madrepatria". Da una decina di anni il Pakistan è attraversato da una crescente ondata di terrorismo, che negli ultimi tempi ha subito una ulteriore accelerazione. Nella guerra contro il terrorismo - in cui il Paese, almeno sulla carta, è schierato con le forze di coalizione internazionali guidate dagli Stati Uniti - sono morte migliaia di persone innocenti. Di recente Islamabad ha tentato di intavolare colloqui di pace coi talebani e altri gruppi estremisti, in special modo nella provincia di Khyber Pukhtunkhwa dove si sono registrati 214 attacchi in quattro anni. Dietro la lunga scia di sangue la mano talebana: i membri di Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp) hanno rivendicato la responsabilità di tutti questi attacchi e minacciano di continuare, mentre l'esercito ha iniziato una vasta operazione per colpire le roccaforti estremiste. Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, ma negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation e che ha investito soprattutto i musulmani sciiti e i cristiani. (R.P.)

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    India. Presentato ai vescovi il Rapporto sulle persecuzioni anticristiane: oltre 4 mila i casi

    ◊   Sono oltre 4.000 i casi di violenza anticristiana registrati nel 2013, operati soprattutto da gruppi estremisti indù attivi nel Paese. Gli episodi includono l’omicidio di 7 fedeli, fra cui un minore; abusi e percosse su 1.000 donne, 500 bambini e circa 400 preti di diverse confessioni; attacchi a oltre 100 chiese e luoghi di culto cristiano. Sono le cifre contenute nel nuovo “Rapporto sulle persecuzioni 2013” elaborato da un forum di enti e organizzazioni cristiane nella società civile indiana, e inviato all’agenzia Fides. Il Rapporto è stato presentato nei giorni scorsi al card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Conferenza episcopale dell’India. Come riferito a Fides, Il documento è stato redatto grazie alla collaborazione fra le associazioni “Catholic Secular Forum” (Csf), “All India Christian Council”, “Evangelical Fellowship of India”, “Global Council of Indian Christians”, “World Watch Monitor”. Hanno consegnato il Rapporto ai vescovi i due laici cattolici Joseph Dias e il giudice Michael Saldanha, rispettivamente Segretario e presidente di Csf. Sui 4.000 incidenti, documentati in modo dettagliato nel testo inviato a Fides, oltre 200 sono gravi casi di persecuzione avvenuti soprattutto in alcuni Stati: spiccano il Karnataka dove, nonostante il cambio di governo, la persecuzione cristiana è più diffusa; e il Maharashtra che “sembra essere il prossimo laboratorio dell’estremismo indù” nota il testo. Altri Stati nella “top-ten” delle persecuzioni sono: Andra Pradesh, Chhattisgarh, Gujarat, Orissa, Madhya Pradesh, Tamil Nadu, Kerala. Il Rapporto esamina anche le falle nel sistema giuridico indiano, che permettono la diffusione delle violenze e l’impunità dei colpevoli. Le leggi “sotto accusa” sono l’Ordine presidenziale del 1950, che nega ai dalit cristiani e di altre minoranze i diritti riconosciuti ai dalit indù; le leggi anti-conversione, in vigore in sette Stati indiani come Orissa, Arunachal Pradesh, Madhya Pradesh (dove le pene sono state inasprite), Rajasthan, Gujarat, Chhattisgarh, Himachal Pradesh. Il Rapporto rileva che una legge globale per fermare la violenza, presentata lo scorso anno, resta ferma in Parlamento, che non l’ha ancora esaminata e discussa. Nella maggior parte di casi esaminati, “la polizia rifiuta di registrare le denunce” e i mass media indiani omettono di riportare le notizie o le minimizzano, conclude il testo. (R.P.)

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    Davos: il premier giapponese Abe chiede di fermare il riarmo dell'Asia

    ◊   Ieri, nel suo discorso in occasione del World Economic Forum in corso nella cittadina svizzera di Davos, il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha chiesto al mondo di intervenire per evitare “una corsa agli armamenti” in Asia e non rischiare un conflitto regionale dalle conseguenze catastrofiche. “Se fossero scossi pace e stabilità in Asia, i contraccolpi per il mondo intero sarebbero enormi”, ha avvisato Abe. “I benefici della crescita asiatica non devono essere sprecati nell’espansionismo militare”, ha concluso il premier giapponese, senza menzionare la Cina che Tokyo ritiene stia diventando una crescente minaccia per il suo Paese e per altri vicini. Nei rapporti tra Pechino e Tokyo - riferisce l'agenzia Misna - pesano fortemente la contesa territoriale sulle isole Senkaku (per i cinesi continentali Diaoyu e per Taiwan Daiyoutai). Pretattica quella di Abe, dunque, in vista dell’intervento di oggi nella stessa sede del ministro degli Esteri cinese WangYi , ma anche una problematica reale, che ha al centro i rapporti tra le due potenze continentali indispensabile alleati sul piano commerciale ma anche sotto pressione dei rispettivi nazionalismi e in competizione per materie prime e strategie regionali. Anche con ampie e crescenti capacità militari. Come confermato anche lo scorso settembre in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, da un lato Shinzo Abe segnala il rapporto con Pechino come “uno dei più importanti per il Giappone” e insiste per il dialogo, dall’altro non nasconde la preoccupazione per la crescente forza militare cinese. “Ci troviamo davanti a un vicino le cui spese militari sono almeno doppie delle nostre e seconde soltanto a quelle degli Stati Uniti – aveva ricordato a New York -. Inoltre, la Cina ha accresciuto le sue spese militari, in modo tutt’altro che trasparente, di oltre il 10% all’anno negli ultimi due decenni”. (R.P.)

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    Centrafrica: l’arcivescovo e l’imam di Bangui chiedono l'intervento dell'Onu

    ◊   Il nuovo Presidente della Repubblica Centrafricana, la signora Catherine Samba-Panza, presta giuramento oggi, in un Paese devastato dagli scontri tra gli ex ribelli Seleka e le milizia anti-balaka. Sovente descritta come conseguenza di un conflitto interreligioso che oppone i cristiani ai musulmani, la situazione centrafricana deriva in realtà dal tracollo delle istituzione statali, come hanno sottolineato l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga e l’imam Oumar Kobine Layama, presidente della Comunità islamica centrafricana, che si trovano in visita a Parigi. I due capi religiosi sono impegnati in un tour delle capitali europee per chiedere aiuto e sostegno al loro Paese. L’arcivescovo e l’Imam che si sono prodigati per pacificare gli animi nel corso di diverse visite congiunte in chiese e moschee dove hanno trovato rifugio migliaia di sfollati, riferiscono che mentre la situazione a Bangui è relativamente sotto controllo, il resto del Paese è alla mercé di Seleka e degli anti-balaka. Felicitandosi per l’elezione della Presidente Samba-Panza, (definita “una donna di ferro” dall’imam Kobine Layama) mons. Nzapalainga ha insistito sul fatto che il nuovo Capo dello Stato si trova di fronte ad un compito improbo perché l’amministrazione statale è completamente collassata. “Su 36 ministeri, solo due funzionano, la difesa e l’amministrazione del territorio” ha detto all’Afp l’arcivescovo. “Lo Stato è fallito. Occorre ricostruire l’amministrazione con uomini e mezzi, perché possa dispiegarsi su tutto il territorio e permettere al Paese di essere uno Stato”. I due leader religiosi chiedono che la missione militare africana attualmente dispiegata nel Paese (Misca) divenga parte di una forza più ampia sotto l’egida dell’Onu, per mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale. Attualmente vi sono in Centrafrica 6.000 tra militari francesi della forza Sangaris e quelli africani della Misca. Troppo pochi per controllare un Paese vasto quanto la Francia e il Lussemburgo, ha sottolineato mons. Nzapalainga. “Con le forze dell’Onu, il Centrafrica non sarà più un affare africano o europeo, ma mondiale” ha concluso l’arcivescovo. (R.P.)

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    Belgio. I vescovi: no all'eutanasia. Rispettare il valore della vita

    ◊   Ribadiscono il no all’eutanasia e sottolineano la possibilità di morire con dignità i vescovi del Belgio, riuniti in Assemblea a Grimbergen. In una nota diffusa ieri, i presuli sottolineano di sentirsi “fortemente interpellati” dalla proposta di legge in discussione alla Camera, relativa all’eutanasia sui minori. Un progetto che mira a estendere il quadro legale per autorizzare, in determinate condizioni, l’eutanasia sui minori previo il parere di uno psicologo che attesti la capacità di discernimento del ragazzo. Solo i minori che vivono sofferenze fisiche insopportabili e non curabili, in fase terminale, potranno, sotto la supervisione di un team di medici e con il consenso dei genitori, beneficiare dell’eutanasia che essi stessi hanno richiesto. Ma perché “legiferare in una materia così delicata?”, si chiedono i presuli, che sollevano poi cinque obiezioni. La prima riguarda “il divieto di uccidere, uno dei fondamenti della società”: “Aprire la porta all’eutanasia sui minori, invece, significa correre il rischio di estenderla ai disabili, ai malati mentali, a coloro che sono stanchi di vivere”. In pratica, scrive la Chiesa belga, significa “trasformare il senso della vita umana ed accordare il valore di umanità solo a coloro che sono in grado di riconoscere la dignità della propria vita”. La seconda obiezione riguarda l’ambito medico-scientifico: “Ci si dimentica il ruolo della sedazione per calmare il dolore e l’importanza delle cure palliative, che preparano serenamente alla morte”, notano i vescovi, ricordando quindi – come terzo elemento – la necessità di una riflessione accurata sulla morte, affinché non sia “un tabù”, ma si possa raggiungere “con dignità, rispettando il valore della vita umana”. L’obiezione successiva riguarda invece la sofferenza: è normale temerla, affermano i presuli, ma quando, malgrado tutto, essa è presente, è importante capire come affrontarla non solo per il malato, ma anche per i suoi familiari. Infine, la Conferenza episcopale belga si sofferma sulla dimensione spirituale: “Nella questione dell’eutanasia si gioca tutto il senso della vita”, scrive, e per i cristiani tale senso si ritrova nella dimensione pasquale che vede la passione, la morte e la risurrezione di Cristo. Di qui, l’invito a tutte le istituzioni cristiane affinché propongano “un approccio etico” in questo contesto. (A cura di Isabella Piro)

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    Messico: la Chiesa impegnata “con le vittime della violenza"

    ◊   I vescovi del Messico esortano le autorità a risolvere il problema della violenza che affligge la comunità in diversi luoghi del Paese, in modo che i cittadini "possano vivere in pace, come è loro diritto". La nota, inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale del Messico (Cem), ricorda che per raggiungere la pace si richiede uno sforzo coordinato di tutti per risolvere la situazione in maniera globale e inclusiva. Si ribadisce "l'impegno e la volontà della Chiesa cattolica di continuare a lavorare nella pastorale con le vittime della violenza e per la ricostruzione del tessuto sociale, per la promozione di una cultura del rispetto dello Stato di diritto e della pace". I vescovi messicani esprimono solidarietà a mons. Miguel Patiño Velázquez, vescovo di Apatzingán, che nella sua Lettera pastorale del 15 gennaio sottolineava che "la popolazione si aspetta un'azione più efficace da parte dello Stato contro coloro che stanno causando questo caos". Il documento è stato presentato alla fine della settima sessione del Consiglio Permanente della Cem, composto dal Consiglio di presidenza e dai vescovi rappresentanti le 18 province ecclesiastiche del Paese. (R.P.)

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    Brasile. L’arcivescovo di Rio: le carceri non rieducano e sono in crisi

    ◊   L'arcivescovo di Rio de Janeiro, mons. Orani João Tempesta, recentemente nominato cardinale da Papa Francesco, ha messo in discussione il sistema carcerario brasiliano, evidenziando che le prigioni del Paese “non rieducano” i reclusi. Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, l'arcivescovo ha incontrato la Presidente del Brasile, Dilma Rousseff, nel palazzo presidenziale, a Brasilia, martedì scorso, e in questa circostanza ha manifestato la sua preoccupazione per le carceri del Brasile, che sono in una situazione di crisi tremenda. “Per quanto si possa dire che ci sono nuove carceri, non si riesce ancora ad ottenere che la gente che vi risiede sia ri-educata, che acquisisca un modo corretto di vivere e possa tornare nella società” ha detto l’arcivescovo. Le sue parole sono state ampiamente riprese dalla stampa in quanto la situazione delle carceri brasiliane ha attirato l'attenzione delle organizzazioni internazionali dopo le violenze dello scorso anno avvenute nelle prigioni dello stato di Maranhao, dove 62 persone sono morte nel corso del 2013. Nel 2014 il centro penitenziale di Pedrinhas, uno dei più violenti del Paese, sempre nello stato di Maranhao, ha già registrato tre morti, l'ultimo il 21 gennaio. La realtà di Pedrinhas riflette la situazione del sistema carcerario brasiliano. Secondo un recente studio ufficiale, pubblicato dalla stampa locale, le carceri del Brasile possono accogliere 306.497 detenuti, ma alla fine del 2011 i detenuti erano 514.582. Il ministro della giustizia ha annunciato la costruzione di nuovi locali per le carceri, con l’obiettivo di raggiungere 62.000 nuovi posti prima della fine del 2014, anche se questi non copriranno l'attuale deficit di 208.000 posti. (R.P.)

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    Argentina-Cile. La Crociata di Maria: 200 giovani percorrono 400 km a piedi lungo le Ande

    ◊   Sono partiti lo scorso 16 gennaio da Mendoza, in Argentina, i duecento ragazzi del Movimento Apostolico di Schoenstatt e percorreranno a piedi ben 400 chilometri, lungo la Cordigliera delle Ande, per arrivare il prossimo 1 febbraio a Santiago del Cile. E’ la Crociata di Maria ed ha come obiettivo quello di testimoniare l’unità tra i popoli e di rinnovare la propria fede. I ragazzi, provenienti dalla Germania, Argentina, Brasile, Cile, Messico, Uruguay e Paraguay, ripercorreranno l’itinerario dell’Esercito di liberazione del Generale San Martín, il cosiddetto Passo “de los Libertadores” e nel cammino verso Santiago faranno tappa al Cristo Redentore, al confine tra Cile e Argentina, al Santuario di Santa Teresa delle Ande e al santuario di Maipù. Con loro, le bandiere dei Paesi partecipanti al pellegrinaggio, l’immagine della Vergine, la croce pellegrina e la fiaccola donata dai ragazzi europei che nel mese di ottobre partecipano al pellegrinaggio che va da Pompei a Shoenstatt. “Vogliamo portare il fuoco della fede per le vie del mondo” hanno fatto sapere i giovani. La giornata dei pellegrini inizia presto. Alle 4 del mattino, colazione e preghiera e poi la partenza all’alba. E’ prevista una sosta di 15 minuti ogni ora per una camminata di sette ore al giorno. La prima ora di marcia avviene in silenzio, nelle successive si canta e si recita il santo rosario. Non mancano i momenti di svago, così come gli incontri di preparazione alla Messa. I luoghi di pernottamento sono i più disparati: sotto i ponti, lungo le rive dei ruscelli, sulle pendici delle coline o, quando va bene, anche negli ostelli. Molti di questi ragazzi sono impegnati nei loro Paesi al servizio del prossimo perché hanno voluto rispondere all’appello di Papa Francesco ed essere così “protagonisti del cambiamento e costruttori di una Chiesa più bella e artefici di un mondo migliore”. Non si sentono mai soli. Ad accompagnarli nella “Crociata di Maria”, giunta alla sua sesta edizione (la prima si tenne nel 1999) ci sono centinaia di persone che li accompagnano spiritualmente con le loro preghiere. Quest’anno il pellegrinaggio ha un significato speciale per i partecipanti perché coincide con il centenario della fondazione del Movimento di Shoenstatt. (A cura di Davide Dionisi)

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    Cei: lunedì a27 gennaio l via i lavori del Consiglio episcopale permanente

    ◊   Inizia a Roma lunedì prossimo, 27 gennaio, per concludersi giovedì 30, la sessione invernale del Consiglio episcopale permanente. A darne notizia è l’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, che informa che tra i temi all’ordine del giorno, oltre alla prolusione del cardinale presidente, Angelo Bagnasco, che aprirà i lavori alle 17.30 di lunedì, è previsto “un primo esame dell’esito delle consultazioni delle Conferenze episcopali regionali sulle indicazioni di Papa Francesco in merito a una migliore valorizzazione delle stesse, delle Commissioni episcopali, del lavoro del Consiglio permanente e dell’Assemblea generale, nonché rispetto alle modalità di nomina delle diverse figure della Presidenza”. Ai membri del Consiglio sarà, quindi, presentata una “Sintesi” relativa alle risposte delle diocesi al Documento preparatorio della terza Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicato a “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. I lavori del Consiglio permanente proseguiranno con l’approvazione di una Lettera-invito in vista dell’iniziativa “La Chiesa per la scuola”, in programma a maggio, e con la presentazione del testo delle “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, come risultante dalle modifiche suggerite dalla Congregazione per la Dottrina della fede. Venerdì 31 gennaio, alle ore 12, presso la Sala Marconi di Radio Vaticana (Piazza Pia, 3), si terrà la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale, con mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 23

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.