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Sommario del 18/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Rai: mai abdicare a servizio pubblico, informare rispettando le persone
  • Il Papa sostiene la Marcia per la vita in Francia: tenete viva l’attenzione
  • Altre udienze e nomine di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: le guerre spezzano tante vite, penso specialmente ai bambini derubati della loro infanzia
  • Medjugorje, terminati i lavori della Commissione d'inchiesta
  • Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il card. Koch: superare divisioni con urgenza
  • Dicastero per la Famiglia, Caritas e calcio italiano insieme per le famiglie in Siria
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Kabul: 21 morti in un attentato talebano, condanna di Ban Ki-moon
  • Obama cambia le regole delle intercettazioni: nuovo equilibrio tra privacy e lotta al terrorismo
  • Ucraina, poteste. Mons. Gudziak: un movimento pacifico che va ascoltato
  • Estorsioni a 14 parroci nel ragusano. Mons. Urso: gesti disperati spia della crisi
  • 800 letti, 2000 pasti: Progetto Arca per i senza dimora di Milano, Roma e Napoli
  • Le Associazioni di volontariato a Roma per lottare contro l'esclusione sociale
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: nuovi scontri, attaccata una Chiesa cattolica
  • L'arcivescovo di Québec: divieto dei simboli religiosi previsto da Carta dei valori è liberticida
  • Usa. Rapporto del Pew Reserch Center: sempre più violata la libertà religiosa nel mondo
  • Kenya. Settimana per l’Unità dei Cristiani. I vescovi: porre fine alle divisioni politiche ed etniche
  • Vietnam: i Gesuiti aprono le celebrazioni per i 400 anni della loro presenza nel Paese
  • Austria. Successo del questionario proposto dalla Chiesa in vista del Sinodo sulla famiglia
  • Il 26 gennaio Giornata nazionale della gioventù in Rwanda
  • Regno Unito. I vescovi: utilizzare anche i social network per aiutare chi soffre di depressione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Rai: mai abdicare a servizio pubblico, informare rispettando le persone

    ◊   Tenete sempre alto il “livello etico della comunicazione”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza di stamani ai dirigenti e dipendenti della Rai, ricevuti in Aula Paolo VI, in occasione del 90.mo di inizio delle trasmissioni radiofoniche e del 60.mo di quelle televisive. Il Pontefice ha messo l’accento sulla collaborazione tra la Rai, la Radio Vaticana e il Ctv. Quindi, ha sottolineato che chi è “titolare del servizio pubblico” non può “per nessun motivo” abdicare a questa responsabilità. Prima dell’udienza, i dipendenti della Rai hanno partecipato ad una Messa, sempre in Aula Paolo VI, presieduta dal cardinale Angelo Comastri. L'indirizzo d'omaggio al Papa è stato indirizzato dal presidente della Rai, Anna Maria Tarantola. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Collaborazione. Papa Francesco è partito da qui per riflettere sullo straordinario rapporto che, nei decenni, si è andato costruendo tra la Rai e la Santa Sede. Il Papa ha rammentato eventi straordinari che la Rai ha offerto agli utenti dal Concilio Vaticano II alle elezioni dei Pontefici, dai funerali del Beato Wojtyla al Giubileo del 2000:

    “Sia sul versante della radio, sia su quello della televisione, il popolo italiano ha sempre potuto accedere alle parole e, successivamente, alle immagini del Papa e degli eventi della Chiesa, in Italia, mediante il servizio pubblico della Rai. Questa collaborazione si realizza con i due enti vaticani: la Radio Vaticana e il Centro Televisivo Vaticano”.

    Il Papa ha, anche, ricordato alcune produzioni di carattere religioso e in particolare i film Francesco di Liliana Cavani e Atti degli Apostoli di Roberto Rossellini. La Rai, ha poi osservato, “è stata testimone dei processi di cambiamento della società italiana nelle sue rapide trasformazioni, e ha contribuito in maniera speciale al processo di unificazione linguistico-culturale dell’Italia”. “Ringraziamo il Signore per tutto questo - ha proseguito - e portiamo avanti lo stile della collaborazione”. Quindi, ha sviluppato una riflessione “sul valore e le esigenze del servizio pubblico” e in particolare sulle “responsabilità per l’oggi e per il domani”.

    “A tutti voi che siete qui presenti, e a coloro che per diversi motivi non hanno potuto prendere parte a questo nostro incontro, ricordo che la vostra professione, oltre che informativa, è formativa, è un servizio pubblico, cioè un servizio al bene comune: un servizio alla verità, un servizio alla bontà e un servizio alla bellezza”.

    Tutte le professionalità che fanno parte della Rai, ha soggiunto, “sanno di appartenere ad un’azienda che produce cultura ed educazione, che offre informazione e spettacolo, raggiungendo in ogni momento della giornata una gran parte di italiani”:

    “È una responsabilità a cui chi è titolare del servizio pubblico non può per nessun motivo abdicare. La qualità etica della comunicazione è frutto, in ultima analisi, di coscienze attente, non superficiali, sempre rispettose delle persone, sia di quelle che sono oggetto di informazione, sia dei destinatari del messaggio”.

    “Ciascuno, nel proprio ruolo e con la propria responsabilità – ha poi avvertito - è chiamato a vigilare per tenere alto il livello etico della comunicazione ed evitare" comportamenti "che fanno tanto male, la disinformazione, la diffamazione e la calunnia”:

    “Vi auguro di lavorare bene, e di mettere fiducia e speranza nel vostro lavoro, per poterla anche trasmettere: ce n’è tanto bisogno!”

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    Il Papa sostiene la Marcia per la vita in Francia: tenete viva l’attenzione

    ◊   Papa Francesco appoggia la Marcia per la vita in programma questa domenica a Parigi. In un messaggio agli organizzatori, il nunzio in Francia, mons. Luigi Ventura, scrive che il Papa è stato informato dell’iniziativa e sostiene i partecipanti alla marcia, “invitandoli a mantenere viva l’attenzione su un tema così importante”. Il Papa li invita inoltre a riprendere la sua omelia del 16 giugno del 2013, in occasione della Giornata per l’Evangelium Vitae. Nel discorso al Corpo diplomatico, lunedì scorso, il Papa aveva affermato che “desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto”. (A.G.)

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    Altre udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; il card. Karl Lehmann, Vescovo di Mainz (Repubblica Federale di Germania).

    Il Papa ha nominato nunzio apostolico a Tonga mons. Martin Krebs, arcivescovo titolare di Taborenta, Nunzio Apostolico in Nuova Zelanda, Isole Cook, Fiji, Kiribati, Palau, Samoa, Stati Federati di Micronesia, Vanuatu e Delegato Apostolico nell’Oceano Pacifico.

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    Tweet del Papa: le guerre spezzano tante vite, penso specialmente ai bambini derubati della loro infanzia

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Le guerre spezzano tante vite – scrive - Penso specialmente ai bambini derubati della loro infanzia”.

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    Medjugorje, terminati i lavori della Commissione d'inchiesta

    ◊   Interpellato dai giornalisti, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha confermato che ieri ha avuto luogo l’ultima riunione della Commissione internazionale di inchiesta su Medjugorje, costituita presso la Congregazione per la Dottrina della Fede sotto la presidenza del card. Camillo Ruini nel marzo 2010. La Commissione ha così terminato i suoi lavori. Come previsto, l’esito dello studio verrà ora sottoposto alle competenti istanze della stessa Congregazione.

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    Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il card. Koch: superare divisioni con urgenza

    ◊   Inizia oggi la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani che quest’anno si svolge sul tema: “Cristo è stato forse diviso?”(1 Cor 1,13). Ieri, Papa Francesco, incontrando una delegazione ecumenica finlandese, ha incoraggiato “a non desistere” mai nello “sforzo ecumenico, fedeli a quanto lo stesso Signore Gesù ha invocato dal Padre: che tutti siano una cosa sola”. Sul significato del tema di questa Settimana, Mario Galgano ha intervistato il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani:

    R. – Ich glaube, das Thema ist ein ganz besonders herausforderndes Thema ..
    Mi sembra che il tema rappresenti una sfida particolare: è tratto dalla Prima Lettera ai Corinzi, ed è preceduto da quanto dice Paolo: la gente dice: “Io sono di Pietro, io sono di Apollo”, e poi segue la domanda: “Cristo è stato forse diviso?”. Ovviamente, Cristo mai potrà essere diviso, neanche il suo corpo può essere diviso; eppure, nella Storia si sono verificate tante scissioni, tante separazioni. Questa domanda provocatoria deve quindi tornare a porre al centro dell’ecumenismo che le separazioni non possono corrispondere alla volontà di Cristo, e che dobbiamo superarle con urgenza. Fin da bambino mi ha molto colpito, nella storia della Passione, che i soldati romani abbiano diviso tutto quello che era del Signore, fuorché la sua veste. Non l’hanno divisa, hanno voluto lasciarla intera; così anche essa è diventata, nella storia della Chiesa, segno dell’unità della Chiesa. Mi colpì, poi, il fatto che noi cristiani abbiamo invece fatto quello che i soldati non avevano ancora fatto: abbiamo stracciato la veste del Signore. Ci vorrà tanto lavoro per rimetterla insieme …

    D. – Cosa ci può dire del dialogo tra la Chiesa cattolica e i fratelli delle Chiese ortodosse?

    R. – Wir müssen unterscheiden zwischen dem Dialog der Liebe, d.h. die Beziehungen …
    Dobbiamo distinguere: il dialogo dell’amore, cioè i rapporti d’amicizia e di collaborazione e di fratellanza, procedono molto bene con molte Chiese ortodosse; io stesso ho visitato, lo scorso dicembre, la Romania e la Russia ed ho avuto contatti con le Chiese ortodosse. Per quanto riguarda il dialogo teologico, purtroppo non c’è stata più un’assemblea plenaria dal 2010, mentre stiamo preparando la prossima assemblea generale che si svolgerà in autunno in Serbia. Recentemente si è verificato un fatto che un po’ mette in difficoltà questo dialogo, ed è il documento che il Patriarcato russo ortodosso ha pubblicato sul primato, che in realtà è una presa di posizione nei riguardi del dialogo che si svolge con tutte le Chiese ortodosse. Ora dobbiamo ricominciare a cercare una strada, all’interno di questa commissione. Nel frattempo, un metropolita greco ortodosso ha preso posizione nei riguardi di questo documento e così si è aperto un dialogo intra-ortodosso sul primato, e mi sembra che anche questo sia positivo.

    D. – Invece, qual è la situazione nelle Chiese della Riforma?

    R. – Die Reformation ist natürlich ein sehr vielfältiges Phänomen und hat sehr …
    Naturalmente, la Riforma è un fenomeno dalle molte sfaccettature ed ha molti aspetti diversi. Credo che la Riforma sia stata diversa in Svizzera rispetto alla Germania; la Riforma nei Paesi nordici è stata una cosa ancora diversa: infatti, in quei Paesi non ci sono stati movimenti popolari ma un’imposizione dei re. Ora, piazzare tutto questo sotto il termine “Riforma 2017” non è proprio semplice. Comunque, nell’autunno scorso si è svolto un congresso internazionale a Zurigo per la preparazione comune della memoria della Riforma all’interno del mondo protestante, e trovo che questo sia molto positivo.

    D. – Il Pontificio Consiglio è competente anche per il dialogo con l’ebraismo: questo argomento sarà aggiunto alla Settimana di preghiera?

    R. – Der große katholische Theologe Erich Przywara, hat ja mal gesagt …
    Il grande teologo cattolico Erich Przywara ha detto che la prima grande separazione che abbiamo vissuto nel cristianesimo è stata quella tra sinagoga e chiesa e per questo la riconciliazione tra ebraismo e cristianesimo fa parte degli impegni ecumenici della Chiesa cattolica.

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    Dicastero per la Famiglia, Caritas e calcio italiano insieme per le famiglie in Siria

    ◊   Oggi e domani, in tutti i campi di calcio di Serie A sarà esposto uno striscione con la scritta “Venti di pace per le famiglie della Siria”, per richiamare l’attenzione sulla situazione delle famiglie siriane sconvolte dal conflitto, alla vigilia dei negoziati di pace di Ginevra che si apriranno il 22 gennaio. L’iniziativa è promossa dal Pontificio Consiglio per la Famiglia e Caritas italiana che, nel frattempo, proseguono a fornire aiuti concreti a sostegno della popolazione colpita. Sugli obiettivi alla base dell’iniziativa, Marco Guerra ha sentito Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana:

    R. – Vogliamo soffiare questo vento di pace assieme a Papa Francesco per la comunità internazionale. La prossima settimana, si terrà quello che potrebbe essere un appuntamento fondamentale per la pace in Siria. Speriamo, davvero, che il vento di guerra stia cambiando, che comincino a soffiare venti di pace, che tutte le parti in conflitto trovino un punto di convergenza per iniziare un percorso verso la riconciliazione e la pace in questo martoriato Paese.

    D. – Perché negli stadi, lo sport alla fine resta un veicolo straordinario anche per i messaggi di solidarietà…

    R. – Lo sport è un po’ l’emblema del giocare insieme, dello stare insieme, del superare le differenze e del fare squadra. Questo è lo spirito che vogliono comunicare tutti i giocatori, tutte le società che hanno aderito a questa iniziativa e che ringraziamo. E' un emblema per dire che tutto il mondo vuole la pace, vuole credere in questa pace, vuole credere che la comunità internazionale, che tutti anche gli attori esterni alla Siria, spingano perché si trovi questo accordo, questo punto di convergenza.

    D. – Accanto all’impegno per porre fine a conflitto, proseguono gli aiuti concreti alla popolazione colpita. Ce ne puoi parlare?

    R. – Caritas in Siria, nonostante tutte le difficoltà, ha continuato a distribuire generi umanitari, medicinali, a cercare di trovare alloggio per le persone sfollate, soprattutto per gli anziani, per le persone in difficoltà. Senza parlare poi dell’enorme sforzo fatto da tutta la Chiesa e da tutte le Caritas dei Paesi confinanti, in particolare in Turchia, in Libano, in Giordania. E poi, sappiamo bene che i rifugiati sono arrivati anche in Europa e sono sempre di più. Lo sforzo di tutta la Chiesa e della Caritas, anche solo per continuare, ha bisogno anche di un aiuto dall’esterno.

    D. – Al momento, qual è la situazione umanitaria nei campi profughi e all’interno dei confini siriani?

    R. – Il numero complessivo delle vittime ha superato i 130 mila morti. Internamente, si parla di sette milioni di sfollati ed esternamente, probabilmente, di più di tre milioni di rifugiati. Questo vuol dire che più della metà della popolazione siriana ha dovuto lasciare le proprie case. In particolare, noi sottolineiamo il tema della famiglia, perché sappiamo che le famiglie stanno soffrendo moltissimo. Abbiamo incontrato profughi: si tratta sempre di famiglie spezzate, gli uomini quasi sempre sono rimasti in Siria a combattere e che comunque sono rimasti coinvolti nella guerra, tranne i malati, gli anziani e i disabili. All’esterno, si trovano quasi sempre donne e bambini, i quali soffrono doppiamente.

    D. – Sarà affrontato anche il problema umanitario nella riunione di Ginevra. Con quali speranze si apre questo vertice?

    R. – Penso che il dramma umanitario sia il motivo principale. La speranza della gente di vedere tacere le armi e finire la violenza. Certamente, il punto di convergenza non è facile, perché le posizioni sono molto distanti sia tra governo e opposizioni, sia all’interno delle opposizioni. Inoltre, sappiamo che il sostegno dato dall’esterno a questa guerra è stato enorme, quindi già interrompere i fili delle armi, delle truppe che entrano quotidianamente nel Paese significherebbe in qualche modo togliere benzina a questo fuoco. Se poi le parti, le persone in guerra all’interno del Paese, faranno anche loro un sforzo di convergenza, finalmente la speranza di raggiungere questo percorso di pace potrebbe trovare un esito. Ora o mai più. Continuare così, sarebbe veramente la fine di questo Paese e di questa popolazione.

    D. – Il Papa nel discorso al Corpo diplomatico è tornato sulla Siria e sulla necessità di porre fine al conflitto. Per il Santo Padre, la questione siriana rimane sempre una priorità…

    R. – Direi che fin dall’inizio Papa Benedetto e adesso Papa Francesco non hanno mai cessato di far sentire la propria voce e il proprio sostegno, anche concreto, tramite tutti i dicasteri pontifici, tramite Caritas Internationalis. Questo vento di pace che il Papa ha soffiato ci vede spinti da lui perché questa iniziativa, a sua volta, possa essere una specie di grido di pace dal basso di tutti i popoli del mondo, che chiedono di cessare le ostilità.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La protezione dei bambini dagli abusi costante preoccupazione: intervento a Ginevra del capo delegazione della Santa Sede.

    La storia radice di nuovi slanci: Papa Francesco a dirigenti e dipendenti della Rai.

    Per una cultura dell’incontro e dell’accoglienza: Nicola Gori a colloquio con il cardinale Antonio Maria Vegliò in occasione della centesima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato.

    Un articolo di Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, dal titolo “Primato e sinodalità non si escludono”: il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi.

    Per chi non ho suonato la campana: in un’intervista di Silvia Guidi, don Fabian Baez racconta Bergoglio.

    Non ero pronta ma ho lasciato tutto: Claudio Toscani recensisce il libro di Lilia Bicec “Mie cari figli, vi scrivo”, dedicato all’emigrazione.

    La rivolta dei medievisti: Nicolangelo D’Acunto sul Rinascimento retrodatato.

    Pictor urbis: Antonio Paolucci sulla mostra, a Palazzo Barberini, di Antoniazzo Romano.

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    Oggi in Primo Piano



    Kabul: 21 morti in un attentato talebano, condanna di Ban Ki-moon

    ◊   Dura condanna della Comunità internazionale per l’attentato che, ieri, a Kabul ha ucciso 21 persone, tra cui 4 membri delle Nazioni Unite. Morto anche un rappresentante del Fondo Monetario Internazionale. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha condannato "nei termini più forti" l’ennesimo attentato che ieri ha colpito un ristorante libanese a Kabul, molto frequentato da stranieri che lavorano nelle vicine ambasciate. Morte 21 persone: 13 cittadini stranieri e 8 afghani. Cinque i feriti. Quattro delle vittime sono membri delle Nazioni Unite, a perdere la vita anche un rappresentante del Fondo Monetario Internazionale. “Una notizia tragica”, è stato il commento del direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, mentre l'Alto rappresentante Ue, Catherine Ashton, in un comunicato, ha condannando "fermamente" quella che ha descritto come "una "violenza spaventosa e ingiustificabile". Confermato che tra le vittime ci sono due statunitensi, un poliziotto danese dell'Eupol e un cittadino britannico. L’attacco è stato rivendicato dai talebani. Un commando è entrato in azione verso le 19.30 ora di Kabul, un primo kamikaze si è fatto esplodere davanti all'ingresso del ristorante, mentre altri due hanno aperto il fuoco riuscendo ad introdursi all'interno del locale. Il comandante della polizia locale, il generale Zahir, ha detto che lo scontro a fuoco che ne è seguito “è durato almeno due ore”, indicando che fra le vittime ci sono anche il proprietario, il manager e una guardia privata del ristorante. L’attentato - secondo un comunicato dei talebani - sarebbe stato messo in atto per "rappresaglia", dopo il raid aereo Usa di martedì notte nella provincia di Parwan, che secondo il presidente Hamid Karzai ha ucciso sette bambini e una donna.

    Entro il 2015 la Comunità internazionale lascerà l’Afghanistan, pur mantenendo un sostegno economico. Al microfono di Massimiliano Menichetti, il prof. Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

    R. - Entra in gioco un contenzioso importante: quello della morte dei civili negli attacchi delle forze alleate. Non è stato un attentato mirato se non nei termini di cercare più morti possibili nella parte occidentale, come risposta all’attacco alla provincia di Parwan, tre giorni fa. Sicuramente il tema, dal mio punto di vista, resta quello che in questo momento è al centro di ogni accordo tra il governo e gli americani: cioè ridurre le perdite di civili durante gli interventi delle forze di coalizione. A questo si accompagna l’altra unica possibilità di intervento che chi rimane in Afghanistan avrà, che sarà quella della progressiva riqualificazione sia delle forze di sicurezza locali, sia delle altre istituzioni locali, quindi il piano della formazione e dell’educazione. Sarà l’unica possibilità di continuare a mantenere ad orientare l’Afghanistan verso una strada che deve innanzitutto cercare come propria e non più essere imposta.

    D. – Si ribadisce da più parti che proprio la formazione è fondamentale per sconfiggere l’ignoranza, veicolo per quanto riguarda le stragi e le violenze…

    R. – Però non facciamoci illusioni. Formare, se significa anche educare, vuol dire tempi lunghi; formare, se significa dare competenze specifiche – quello che noi chiamiamo training – significa tempi brevi. Questi percorsi devono esser seguiti entrambi, consapevoli però del tempo con il quale si raggiungono i risultati. Quindi, formare significa dare training in questo momento per garantire sicurezza e dare training alle istituzioni che devono imparare a governare il Paese in una maniera accettabile anche dalla Comunità internazionale; dall’altra parte, dare formazione - in termini di educazione - per trovare un momento di relazione più profondo capace di costruire un Paese che sia sempre più dentro e non fuori dal comune sentire che piano piano il mondo della globalizzazione sta portando a condividere.

    D. – Da una parte Karzai cerca, anche con accordi in Pakistan, di contenere i talebani; dall’altra il movimento che vuole includerli in un processo di formazione politica. Cosa ne pensa?

    R. – Non possiamo pensare di costruire istituzioni che siano immediatamente, istituzionalmente conflittuali verso un’altra parte del Paese. Quindi, un accordo io trovo che sia fondamentale e necessario. Quello che noi possiamo fare come “internazionali” è cercare di promuovere un accordo tra tutti gli attori.

    D. – Si parla spesso di ricostruzione dell’Afghanistan. Lei come vede il percorso del Paese?

    R. – La ricostruzione deve mirare al benessere, garantire un progresso che si fondi non sulla corruzione – cosa estremamente difficile in questo momento – andare verso progetti e portare risultati a tutti. Serve sempre un’attività di ricostruzione concertate a livello locale, mai imposta: le priorità sono definite insieme alla Loya Jirga locale, alla Shura locale cioè a quei governi localmente legittimati, che rappresentando la popolazione e ne portano le istanze.

    D. – Intorno ai confini dell’Afghanistan ci sono situazioni molto complesse: la Siria, l’Iraq, il Pakistan…

    R. – Da qui la necessità di avere un Afghanistan stabile ma con forti istituzioni autonome, interne riconosciute e legittimate dalla popolazione. Potenzialmente è una grande potenza, insieme all’Iran che può essere centrale nei futuri giochi, ma parlo da qui ai 50 anni dell’area se le cose vanno in un certo modo…

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    Obama cambia le regole delle intercettazioni: nuovo equilibrio tra privacy e lotta al terrorismo

    ◊   Il governo Usa imporrà nuovi limiti allo spionaggio indiscriminato di cittadini americani e leader stranieri. Ma, ha avvertito Barack Obama, la raccolta di dati resta uno strumento fondamentale per l’attività di intelligence. Da New York, il servizio di Elena Molinari:

    "Serve un nuovo approccio alle intercettazioni". Lo ha promesso il presidente americano, illustrando in un discorso una bozza di riforma dei metodi di spionaggio della National Security Agency. "Dobbiamo creare un meccanismo che preservi le capacità di raccolta dati, ma allo stesso tempo difenda contro i rischi di nuove intrusioni", ha aggiunto il capo della Casa Bianca. Dopo gli scoop giornalistici e le crisi diplomatiche innescate dalle rivelazioni della "talpa", Edward Snowden, Barack Obama assicura dunque agli americani e agli alleati una maggiore tutela della loro privacy. Ma lascia capire che non intende fermare la raccolta a pioggia dei dati telefonici e cibernetici del suo governo. "Cambiare non sarà facile", ha ammesso infatti il presidente Usa, che ha poi delegato lo studio della riforma al Congresso e a John Podestà, ex braccio destro di Bill Clinton. Obama ha concluso che d’ora in poi l’attività dell’intelligence sarà più trasparente e lo spionaggio delle comunicazioni dei leader alleati limitato a casi eccezionali.

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    Ucraina, poteste. Mons. Gudziak: un movimento pacifico che va ascoltato

    ◊   Preoccupazione è stata espressa dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti dopo l’approvazione, in Ucraina, di un pacchetto di riforme che vieta le manifestazioni di protesta. Nel Paese, da due mesi, migliaia di persone sono scese in strada contro il governo e in favore dell'integrazione europea. La legge prevede pene fino a 15 giorni di carcere per l'installazione non autorizzata di tende o stand in luoghi pubblici. Si rischiano cinque anni in caso di blocco degli edifici governativi. Intanto, dopo il via libera delle norme, numerosi dirigenti statali si sono dimessi o sono stati sollevati dall'incarico, tra di loro anche il capo di Stato maggiore dell'esercito. Al microfono di Laura Ieraci, il commento di mons. Boris Gudziak, vescovo dell'Eparchia ucraina di San Volodymyr a Parigi:

    R. – Le proteste sono molto più che una reazione al rifiuto europeo da parte del governo ucraino. Per capire bene la situazione del Paese, è importante sapere che la storia del 20.mo secolo, in Ucraina, è stata proprio tremenda. Diciassette milioni di persone sono state uccise, in un modo o in un altro, durante tutto il secolo. Questo è, dunque, un movimento di dignità, di libertà, non solo politica ma antropologica, psicologica e spirituale. Milioni di persone hanno già partecipato negli ultimi due mesi a questo movimento del maidan, che vuol dire “piazza”, diffuso in tutta l’Ucraina. E’ un fenomeno attraverso il quale gli ucraini manifestano il desiderio di vivere in un altro modo.

    D. – Come sono coinvolte le Chiese in Ucraina in questo movimento?

    R. – Le Chiese sono, più o meno, tutte presenti. L’8 dicembre scorso, il Consiglio delle Chiese e le organizzazioni religiose ucraine hanno presentato una dichiarazione pubblica comune. In essa, si dichiara che il presidente dovrebbe ascoltare la gente, che non si può far ricorso alla violenza e che il Paese non dovrebbe essere diviso. I leader ecclesiastici hanno richiamato tutte le parti al dialogo, indicando proprio nel dialogo l’unica via d’uscita da questa crisi. Seguendo, dunque, le parole di Papa Francesco – il pastore abbia addosso "l’odore delle pecore" – la Chiesa in Ucraina cerca di essere vicino alla gente. E in queste settimane, centinaia di sacerdoti sono presenti, pregando, ascoltando le confessioni. Ogni giorno, comincia con una preghiera ecumenica, cosa che non ha precedenti. La preghiera è, dunque, pubblica in un Paese con diverse religioni che però agiscono insieme. E’ un maidan di gioia, è un’espressione di quanto è scritto nel Vangelo.

    D. – Abbiamo sentito, però, delle intimidazioni, delle minacce da parte del governo ai cittadini e pure adesso alla Chiesa...

    R. – Per la Chiesa ucraina greco-cattolica, non è una novità. Durante il 20.mo secolo, dal ‘45 all’ ‘89, tutti i vescovi sono stati arrestati e la Chiesa era clandestina. Così è stata ridotta, attraverso questa persecuzione, a 320 sacerdoti, ma ha mantenuto intatti i suoi principi. Quando è uscita dalla clandestinità, nell’89, la Chiesa ucraina greco-cattolica aveva un’autorità morale singolare nel Paese. E’ stata anche molto dinamica in questi anni. Se un tempo aveva 300 sacerdoti, con un’età media di 70 anni, oggi ha tremila sacerdoti con un’età media di 40 anni. Nonostante sia una Chiesa minoritaria, avendo cinque milioni di fedeli in un Paese di 46 milioni, probabilmente la Chiesa ucraina greco-cattolica è l’organismo più grande nella società civile. Questa minaccia, dunque, è una minaccia molto seria e c’è una grande tensione, con il controllo dei media, che è già cominciato. Le autorità di governo possono infatti cercare di controllare anche le Chiese.

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    Estorsioni a 14 parroci nel ragusano. Mons. Urso: gesti disperati spia della crisi

    ◊   Estorsioni e minacce prima di celebrare la Messa. Quattordici sacerdoti sono finiti nel mirino di due fratelli pregiudicati di Vittoria, in provincia di Ragusa, arrestati oggi dai Carabinieri. Secondo il vescovo di Ragusa, mons. Paolo Urso, questi episodi testimoniano la gravità della situazione economica. Il servizio di Filippo Passantino:

    Aggredivano i parroci anche davanti a giovani catechisti e s’impadronivano di offerte e cibo per i poveri. Due fratelli pregiudicati di Vittoria, in provincia di Ragusa, sono stati arrestati dai Carabinieri con l'accusa di estorsione, consumata e tentata rapina e danneggiamento. Le violenze venivano esercitate nei confronti di 14 sacerdoti titolari di altrettante parrocchie del luogo. Le richieste in denaro erano attuate - secondo i militari - con modalità aggressive, facendo seguire - in caso di diniego o di somme non ritenute congrue - insulti, percosse e danneggiamenti di autovetture dei religiosi. Episodi che il vescovo di Ragusa, mons. Paolo Urso, indica come spia del disagio economico:

    R. - Questo episodio testimonia la situazione di grandissima difficoltà, di drammaticità nella quale la gente vive. Questo significa che non possiamo più assumere atteggiamenti superficiali: la gente sta veramente male! E questi episodi sono la punta dell’iceberg di un malessere. Allora, è veramente fondamentale che le autorità, le istituzioni affrontino con maggiore determinazione e lungimiranza la situazione economica della gente. La comunità cristiana si sta impegnando al massimo per offrire sostegno, conforto, per dare speranza, ma è fondamentale che ci siano interventi e non chiacchiere. Interventi reali, propositivi, che diano forza e soprattutto speranza alla nostra gente.

    D. - Questo episodio testimonia un dato fondamentale: nonostante queste oppressioni i sacerdoti hanno continuato a svolgere il loro ministero con assiduità e continuità. Non si sono fatti condizionare …

    R. - No, questo assolutamente. Sono veramente gesti disperati di persone che vivono in modo drammatico questa vicenda. Nelle comunità parrocchiali i parroci non si lasciano minimamente influenzare da questi episodi; continuano il loro lavoro con una disponibilità sempre maggiore. Anche a Vittoria, dove sono avvenuti questi episodi, c’è un tipo di servizio per le persone in difficoltà che è veramente un fiore all’occhiello. Però, sono situazioni che non possiamo più affrontare da soli. Le comunità cristiane sono veramente in ginocchio, perché sono prive di risorse. Da questo, nasce l’esigenza di una richiesta determinata per un intervento significativo dal punto di vista politico e pubblico.

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    800 letti, 2000 pasti: Progetto Arca per i senza dimora di Milano, Roma e Napoli

    ◊   800 posti letto offerti e 2000 pasti distribuiti. E’ quanto Fondazione Progetto Arca Onlus riesce fare ogni giorno per le persone senza dimora specie durante l’emergenza freddo. Da Milano, attraverso Centri di accoglienza e Unità di Strada, l’azione si è allargata nell’ultimo anno anche a Roma e Napoli. Ma si può fare di più: per questo Progetto Arca ha lanciato fino al 21 gennaio una raccolta fondi a cui aderire con un SMS solidale al 45506 del valore di 2 euro. Sulla situazione italiana e sull’impegno della Fondazione Arca, Gabriella Ceraso ha parlato col presidente Alberto Sinigallia:

    R. – Con la crisi, i numeri stanno veramente aumentando molto, soprattutto gli italiani. I numeri nazionali parlano di 47 mila persone senza dimora, di cui 14 mila a Milano, 8 mila a Roma, la terza città è Palermo e poi Torino, Bologna… Per cui, numeri enormi.

    D. – Che cosa si può fare? Solo aiuto materiale – pasto caldo, coperte… – o anche altro?

    R. – Il lavoro più importante lo facciamo con l’integrazione sociale. Ogni anno, dalle 50 alla 100 persone vengono reinserite: abbiamo delle aziende che assumono queste persone.

    D. – Nonostante le tante difficoltà?

    R. – Sì, perché noi siamo un po’ un garante. Ad esempio, l’Ortomercato di Milano, l’anno scorso, ha assunto a tempo indeterminato 15 persone. Anche nella ristorazione e nelle pulizie abbiamo inserito molte persone, che hanno un grande successo. Le persone che hanno vissuto la povertà, hanno anche una grande volontà di riscatto.

    D. – E poi ci sono persone che, invece, l’aiuto lo prendono con più difficoltà…

    R. – Per questo quest’anno, attiveremo un inserimento diretto dalla strada alla casa, perché il passare attraverso il dormitorio, tante volte, demotiva le persone.

    D. – Quanto c’è la "cultura dello scarto", di cui parla Papa Francesco?

    R. – Sì. E’ un popolo invisibile, ma quando riusciamo a vedere il povero questo ci cambia la vita.

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    Le Associazioni di volontariato a Roma per lottare contro l'esclusione sociale

    ◊   “Nessuno escluso” è il titolo della quinta edizione di “Virtutes agendae”, manifestazione organizzata dal Modavi, Movimento delle associazioni di volontariato italiano (il 17 e 18 gennaio) al palazzo delle Esposizioni di Roma. Tema di quest’anno è la lotta all’esclusione sociale di cui sono vittime, tra gli altri, gli anziani in difficoltà in un mondo sempre più tecnologico, i disabili o i figli degli immigrati a cui non viene riconosciuta la cittadinanza italiana.Al microfono di Elisa Sartarelli, Irma Casula, presidente del Modavi Onlus:

    R. - Gli esclusi sono purtroppo moltissimi e appartengono a diverse categorie, a diverse fasce di popolazione. Innanzitutto sono i disoccupati, che sono ormai tantissimi nel nostro Paese; poi c’è la disoccupazione giovanile, che raggiunge un tasso del 35 per cento; i giovani che non finiscono il ciclo di studi; i nuovi poveri, le persone che vivono in uno stato di povertà assoluta o relativa; e tutte quelle mamme, tutti quei genitori che non possono godere dei servizi all’infanzia. Il nostro Paese oggi risponde soltanto per il 12 per cento alle richieste delle famiglie per i servizi all’infanzia. Così, tutte le altre donne sono costrette, ad esempio, a non poter lavorare e a vivere quindi una forma di esclusione sociale. Sono purtroppo tantissime: è un fenomeno dilagante di cui si parla, forse, a sufficienza, ma nei confronti del quale si agisce ancora troppo poco.
    D. - Quali sono le cause e le conseguenze dell’esclusione sociale?

    R. - Le cause dell’esclusione sociale, dei tanti problemi in cui versa la nostra società, vanno secondo me ricercate in un’impostazione culturale che ovviamente ha determinato questo modus vivendi. Viviamo in una società oggi impregnata sui disvalori dell’individualismo, dell’egoismo, dell’edonismo, che portano le persone a disinteressarsi dell’altro nella migliore delle ipotesi; nella peggiore a non vedere proprio l’altro! Si è concentrati su se stessi e quello che ci sta intorno non ci interessa più, e quindi non ci adoperiamo per cercare di rendere anche le condizioni di vita di chi ci sta intorno migliori o comunque uguali alle nostre. Questo, ovviamente, ha generato una scissione, una lacerazione nel tessuto sociale del Paese.

    D. - L’unione fa la forza e tutto parte dalla famiglia…

    R. – Certo! Io credo che per uscire da questa situazione devastante - se vogliamo anche disumana - la prima cosa da fare sia quella di provare a ricostruire una comunità. Oggi abbiamo perso il senso delle relazioni, il senso dell’altro e ovviamente la famiglia è la prima istituzione, il primo nucleo, è la prima comunità sulla quale sia necessario lavorare. La famiglia non va denigrata come spesso accade in questo periodo ma valorizzata. Bisogna ripartire dalla famiglia!

    D. - In quale modo le istituzioni pubbliche, il terzo settore, magari anche l’Europa, potrebbero fare dell’esclusione sociale solo un’eccezione?

    R. - L’Europa, almeno a parole e a numeri, diciamo che si è impegnata. Impone ai Paesi membri di spendere il 20 per cento dei fondi ad essi destinati per contrastare l’esclusione sociale e per contrastare la povertà. Per quanto riguarda le istituzioni italiane, bisogna vedere se saranno in grado, anche in questo caso, di saper usare questi fondi e di saperli usare bene. Bisogna che le istituzioni, ma non solo, si rendano conto che fare politiche sociali, pensare un nuovo welfare non è un qualcosa che andrà ad incidere negativamente sul bilancio dello Stato. Pensare alle categorie svantaggiate, pensare alle categorie fragili significa fare un investimento per l’Italia e per il nostro Paese. Bisogna cambiare radicalmente mentalità e capire che non ci possono essere cittadini di serie a e cittadini di serie b, ma che l’aiuto che si può dare a qualsiasi cittadino è un investimento che può essere fatto nei confronti di questo popolo e di questo Paese.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella seconda Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Giovanni Battista, vedendo Gesù venire verso di lui per essere battezzato, dice:

    «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”.

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    È un grido di esultanza quello che oggi apre il Vangelo: Giovanni il Battista vede venire a sé il Signore Gesù ed esclama pieno di gioia: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”. Lo toglie perché lo prende su di sé, sulle proprie spalle, e lo fa morire nella propria morte. Se oggi non ci rallegriamo per questo lieto annuncio è perché non abbiamo nessuna idea di cosa sia il peccato, e anche se frequentiamo la Chiesa abbiamo una conoscenza molto riduttiva di esso: pensiamo che sia una cosa buona, ma che ci è proibita. Nulla di strano che da questa idea di peccato si sia passati a non avere più alcun senso del peccato. Dio non ha creato le cose belle e buone per proibircele. Il peccato è altro. S. Agostino lo definisce: “Amore di sé fino al disprezzo di Dio” (De civitate Dei, 14,28). E perché l’amore di sé è male?, possiamo chiederci. Perché Dio, che è vita e amore, è dono di sé. Egli si dona totalmente all’altro. L’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, porta nel suo Dna questa identità esistenziale: non donarsi è non avere dentro la vita, è morire. Ecco, il peccato è morte. L’Agnello di Dio viene a prendere su di sé la conseguenza del peccato, la morte, appunto. Di qui il grido gioioso di Giovanni il Battista davanti a Cristo. La morte è vinta! Ma la gioia di questo Vangelo ha una connotazione ancora più grande se possibile: colui che prende su di sé il peccato del mondo è anche colui che “battezza nello Spirito Santo”, cioè colui che dona con libertà e liberalità divina la vista stessa di Dio, il suo Spirito Santo: ora è possibile amare, amare come Dio ama.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: nuovi scontri, attaccata una Chiesa cattolica

    ◊   Non si placano gli scontri nella Repubblica Centrafricana: almeno tre persone sono rimaste uccise a Sibut, 160km a Nord della capitale Bangui, dove sono stati attaccati anche i locali parrocchiali di una Chiesa cattolica. "Abbiamo cercato di contattare la Misca (la forza di pace africana) e la Sangaris (quella francese) per avere aiuto, ma finora non e' arrivato nessuno", ha riferito una fonte che ha voluto proteggersi con l'anonimato. I combattimenti sono scoppiati venerdì nella stazione degli autobus cittadina e nel mercato e hanno costretto gli abitanti a rinchiudersi nelle case o rifugiarsi nelle boscaglie. "La parrocchia e l'ospedale sono stati saccheggiati, l'auto del sacerdote rubata", ha raccontato ancora la fonte, aggiungendo che "ci sono stati alcuni feriti". La Misca ha reso noto di aver inviato truppe verso la cittadina, abitata da circa 25mila persone e che è un importante snodo del trasporti locali, frequentata soprattutto per il locale mercato.

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    L'arcivescovo di Québec: divieto dei simboli religiosi previsto da Carta dei valori è liberticida

    ◊   Il cardinale designato Gérald Lacroix, arcivescovo di Québec, ha ribadito le forti riserve dei vescovi sulla cosiddetta “Carta dei valori”, che vuole vietare l’esposizione di tutti i simboli religiosi, compresa la croce cristiana, in tutti gli uffici pubblici in nome della laicità. Il controverso provvedimento è stato presentato dal governo guidato dal "Parti Québequois", lo scorso novembre, ed è attualmente all’esame del parlamento. Secondo mons. Lacroix, che riceverà la berretta cardinalizia nel prossimo Concistoro del 22 febbraio, si tratta di una misura “eccessiva”. “La libertà di esprimere la nostra fede in privato e in pubblico – ha argomentato – è un diritto riconosciuto dalla nostra Carta dei diritti e delle libertà”. A preoccupare il presule sono anche le profonde divisioni che il dibattito sulla “Carta dei Valori” ha creato in Québec. La convivenza pacifica, ha detto, passa in primo luogo attraverso “l’amore e il rispetto che ci portano a riconoscere l’altro e sono la strada per la riconciliazione: questo aiuta a costruire la società”. Le parole di mons. Lacroix fanno eco al duro giudizio espresso dal presidente dei vescovi del Québec, mons. Pierre-André Fournier, secondo il quale vietare i simboli religiosi equivale a negare una parte importante del patrimonio nazionale, in nome di un “ateismo ufficiale”. Preoccupazioni sono state espresse anche dalla comunità ebraica locale. (L.Z.)

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    Usa. Rapporto del Pew Reserch Center: sempre più violata la libertà religiosa nel mondo

    ◊   Il 74% della popolazione mondiale è esposta ad alti livelli di ostilità da parte di singoli o gruppi della società, che di fatto limitano l’esercizio della libertà religiosa. Si tratta della più alta percentuale negli ultimi sei anni. Sul fronte invece delle restrizioni governative, il 64% dell’umanità vive in Paesi che limitano fortemente o impediscono addirittura la libertà religiosa e di coscienza. È quanto emerge dalla lettura dell’ultimo rapporto del "Pew Research Center’s Forum on Religion & Public Life", presentato ieri alle Nazioni Unite e ripreso da L’Osservatore Romano. Nell’ultimo anno preso in esame — i dati si riferiscono al 2012 — il numero di Paesi con un tasso molto alto di ostilità sociale contro minoranze religiose è salito a venti, rispetto ai quattordici dell’anno precedente e registra un record negativo. A questa lista, nel 2012 si sono aggiunti nuovi Paesi, soprattutto del Sudest asiatico. Ma i nuovi dati mostrano un aumento considerevole delle limitazioni di questo diritto fondamentale anche nei Paesi mediorientali e nordafricani, complici soprattutto gli sviluppi socio-politici sopraggiunti in seguito alle cosiddette primavere arabe. Inoltre, è aumentato anche il numero di governi che hanno stretto le maglie al libero esercizio di questo diritto umano fondamentale. Da quest’anno, figurano tra quelli con le più alte restrizioni anche Paesi che prima non figuravano in questa lista, come alcuni della zona caucasica. In sintesi, si può dedurre che le ostilità religiose sono aumentate in tutte le principali regioni del mondo, tranne le Americhe. La quota dei Paesi con un livello elevato o molto elevato di restrizioni governative sulla religione è rimasto più o meno lo stesso nell’ultimo anno di studio. Circa tre Paesi su dieci (29%) avevano un livello elevato o molto elevato di restrizioni governative nel 2012, rispetto al 28% nel 2011 e del venti per cento a partire da metà 2007. L’Europa ha segnato il maggiore aumento del livello medio di restrizioni governative nel 2012, seguita da vicino dal Medio Oriente-Nord Africa, l’unica altra regione in cui il livello medio di restrizioni governative sulla religione è aumentato. Tra i 25 Paesi più popolosi del mondo, alcuni hanno fatto registrare nel 2012 restrizioni governative e ostilità sociali. Come nell’anno precedente, il Pakistan ha fatto registrare il più alto livello di ostilità sociali che coinvolgono la religione. E per la prima volta il Myanmar è stato inserito tra i Paesi dove le ostilità sociali sono ritenute “molto elevate”. I due indici presi in esame — quello delle ostilità sociali e quello delle restrizioni governative — guardano anche all’incidenza delle intimidazioni, persecuzioni o violazioni contro specifici gruppi religiosi. Pertanto, secondo i dati raccolti dal Pew Research Center, i cristiani nel 2012 hanno subito una qualche forma di maltrattamento in 110 Paesi del mondo. Seguono, in questa classifica, i musulmani, che ne sono vittima in 109, poi gli ebrei in 71, e via via indù e buddisti. Comunque, non c’è comunità religiosa che non risulti essere discriminata o perseguitata almeno in qualche parte del mondo. Nello studio, sono riportati anche casi specifici di ostilità contro le minoranze religiose. Episodi di tal genere sono stati registrati nel 47% dei Paesi nel 2012, nel 38% nel 2011 e del 24% nell’ultimo anno preso in esame. In particolare sono segnalati casi in Sri Lanka, Paese a maggioranza buddista, dove spesso vengono presi di mira luoghi di culto musulmani e cristiani, e in Egitto, dove si registra un incremento degli attacchi alle chiese copte e alle attività imprenditoriali gestite da cristiani. I Paesi più virtuosi in fatto di libertà religiosa risultano essere il Giappone, il Brasile e il Sud Africa, mentre l’Italia si colloca assieme a Gran Bretagna, Francia e Germania, nella classifica dei Paesi con “ostilità sociali alte”. (I.P.)

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    Kenya. Settimana per l’Unità dei Cristiani. I vescovi: porre fine alle divisioni politiche ed etniche

    ◊   Anche la Chiesa del Kenya, come il resto dei cristiani nel mondo, celebra la Settimana di preghiera per l’unità, in programma tradizionalmente da oggi al 25 gennaio. “È forse il Cristo diviso?” è il tema scelto per quest’anno, tratto dalla prima Lettera di San Paolo ai Corinzi (1 Cor 1,13), mentre il sussidio annuale è stato preparato da un gruppo di rappresentanti delle diverse Chiese del Canada. “Il tema del 2014 – afferma mons. Peter Kairo, presidente della Commissione per l’ecumenismo della Chiesa del Kenya in una lettera in cui presenta la Settimana ai suoi fedeli – sottolinea la divisione che esiste all’interno della famiglia cristiana e l’indebolimento dello spirito di evangelizzazione nel mondo attuale”. “Nel nostro Paese – continua il presule – la divisione si vede in molti settori, come quello politico, quello etnico e quello religioso”. Di qui, l’invito rivolto ai cristiani keniani a “pregare insieme ed a condividere la Parola di Dio”. Dal suo canto, padre Charles Odira, segretario nazionale della medesima Commissione per l’ecumenismo, ricorda che “in una nazione multietnica come il Kenya, siamo talmente divisi che i legami di sangue delle tribù spesso diventano più forti del ‘sangue di Cristo’. Come possiamo dunque dire che siamo uniti?”. La lettera della Commissione è accompagnata da alcuni spunti di riflessione per le preghiere quotidiane da recitare fino al prossimo 25 gennaio. Il primo giorno, ad esempio, si suggerisce di concentrarsi sul tema “insieme”, mentre nei giorni seguenti si invita a guardare alla “gratitudine”, all'“amicizia con Cristo” e “all’annuncio del Vangelo”. (I.P.)

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    Vietnam: i Gesuiti aprono le celebrazioni per i 400 anni della loro presenza nel Paese

    ◊   La Compagnia di Gesù in Vietnam ha inaugurato uno speciale Anno Santo in preparazione al quattrocentesimo anniversario dell’arrivo dei primi missionari gesuiti nel Paese asiatico. Era il 18 gennaio 1615 quando i primi figli spirituali di sant’Ignazio, accompagnati da alcuni cristiani giapponesi, sbarcarono nel porto di Hôi An, nel Vietnam centrale. Per l’occasione, i gesuiti vietnamiti hanno aperto in rete un sito speciale (www.loanbaotinmung.net). Ad aprire l’Anno Santo – che si concluderà il 18 gennaio 2015 – una Messa solenne presieduta dal vescovo di My Tho, Paul Bùi Van Ðoc, nella cattedrale di Notre-Dame di Ho Chí Minh. Scopo dell’iniziativa è favorire il rinnovamento dei membri della Compagnia di Gesù in Vietnam e di tutti coloro che seguono la spiritualità ignaziana, nonché rafforzare lo spirito missionario e aiutare i cristiani vietnamiti a conoscere meglio la storia della missione nel loro Paese. I gesuiti hanno avuto un ruolo importante nell’elaborazione di una scrittura nazionale e di una catechesi adatta per il popolo vietnamita.

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    Austria. Successo del questionario proposto dalla Chiesa in vista del Sinodo sulla famiglia

    ◊   Più di 30 mila persone hanno risposto al questionario semplificato diffuso dalle diocesi austriache in preparazione al Sinodo straordinario dei Vescovi su famiglia ed evangelizzazione, convocato da Papa Francesco per il prossimo ottobre a Roma. È quanto riferisce l’agenzia cattolica Kathpress. Un risultato positivo che dimostra il grande interesse dei fedeli in Austria per le tematiche che saranno affrontate dai vescovi di tutto il mondo alla prossima assiste sinodale. Il questionario si basa sull’elenco delle 39 domande contenute nel documento preparatorio vaticano, diffuso il 5 novembre scorso. I risultati complessivi saranno presentati entro la fine del mese, prima della Visita ad limina dei vescovi austriaci, prevista dal 27 al 31 gennaio, nel corso della quale le domande saranno consegnate alla Segreteria generale del Sinodo. Particolarmente positiva la valutazione sulla partecipazione all’inchiesta della diocesi Graz-Seckau. Sulla base del questionario originale, la diocesi aveva elaborato una versione breve e facilmente comprensibile, adottata in seguito anche dalle diocesi di Innsbruck e di Gurk-Klagenfurt. Tale versione breve era stata pubblicata il 20 novembre 2013 sulla homepage del sito “katholische-kirche-steiermark.at” e resa accessibile dalle homepage delle diocesi di Innsbruck e Gurt-Klagenfurt. Successivamente, anche altre diocesi austriache hanno messo in rete la versione semplificata del questionario. Tra i quesiti che sembrano avere suscitato maggiore interesse, quello dell’accesso dei divorziati risposati ai Sacramenti. La stragrande maggioranza dei partecipanti all’inchiesta si è detta dell’idea che la Chiesa non risponde al suo compito di curare e conciliare se non trova il modo di integrare pienamente i divorziati risposati nella comunità e non permette loro di accostarsi ai Sacramenti della Riconciliazione e della Comunione (L.Z.)

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    Il 26 gennaio Giornata nazionale della gioventù in Rwanda

    ◊   Grande attesa, tra i ragazzi del Rwanda, per la Giornata nazionale della gioventù, che la Chiesa locale celebra ogni anno nella domenica più vicina al 31 gennaio, memoria liturgica di San Giovanni Bosco, Patrono dei giovani. Per il 2014, quindi, la Giornata ricorrerà il 26 gennaio: si tratterà della nona edizione e sarà dedicata al tema "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3), scelto da Papa Francesco a novembre 2013. Quest’anno, inoltre, l’evento assume un particolare significato perché si celebra anche il Giubileo d’argento della Commissione episcopale per la Pastorale giovanile (Cepj), istituita dai vescovi locali il 21 settembre 1989. Una celebrazione solenne è programma per il prossimo settembre a Kabgayi. Due mesi dopo, a novembre, nella diocesi di Byumba, si terrà il Forum nazionale dei giovani, un evento a carattere ecumenico al quale sono attesi giovani cristiani sia del Rwanda che dei Paesi confinanti. I dettagli del Forum saranno definiti nel corso della prossima Assemblea generale della Cepj, fissata dal 5 al 7 giugno prossimi. (I.P.)

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    Regno Unito. I vescovi: utilizzare anche i social network per aiutare chi soffre di depressione

    ◊   Si avvicina lunedì 20 gennaio, il “Blue Monday”, ossia il giorno in cui chi soffre di depressione sente ancora di più la solitudine. Secondo gli studi scientifici, infatti, il terzo lunedì di gennaio è quello in cui si avverte più fortemente il peso del ritorno alla routine quotidiana, dopo le feste natalizie. Ed è anche quello in cui si vivono maggiormente le difficoltà economiche, soprattutto se a Natale si è dovuta fare qualche spesa extra per i regali. Di qui, l’esortazione lanciata dalla Conferenza episcopale inglese per non lasciare solo chi è depresso. “Gennaio può essere un mese difficile per molte persone – afferma in una nota mons. Richard Moth, responsabile del Progetto per la cura della salute mentale dei vescovi inglesi – Un aiuto professionale, naturalmente, deve essere sempre richiesto, se necessario; tuttavia, per molti, basta un semplice gesto d’amore che allevi la solitudine”. In quest’ottica, continua il presule, “i social network e gli sms permettono a tutti di inviare, in modo semplice e immediato, un breve messaggio di vicinanza”. “Un piccolo gesto – sottolinea ancora mons. Moth – può fare la differenza nel mondo” e “portare luce là dove ci sono le tenebre”. A partire da lunedì prossimo, quindi, la Conferenza episcopale locale metterà a disposizione alcuni tweet che ciascun fedele potrà “ritwittare” ai propri follower: si tratterà di frasi brevi, ma significative, incentrate sulla speranza, sulla vicinanza di Dio ad ogni uomo e sul conforto che può offrire il pregare insieme. Ulteriori riflessioni saranno pubblicate sulla pagina Facebook dei vescovi, compresa una breve preghiera per la giornata. (I.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 18

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.