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Sommario del 15/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: il Battesimo ci rende tutti anelli di una catena di grazia
  • Papa Francesco rinnova la Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior
  • Il card. Ouellet e il prof. Carriquiry confermati presidente e segretario della Pontificia Commissione per l'America Latina
  • Nomine episcopali negli Stati Uniti e in Brasile
  • Vaticano. Mons. Georg Ratzinger festeggia i suoi 90 anni con Benedetto XVI
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Kuwait, riuniti Paesi donatori per la Siria. Mons. Jeanbart: il Paese è distrutto, aiutateci
  • Onu, emergenze 2014: 13 miliardi di dollari per assistere 50 milioni di persone
  • Egitto. Scontri e manifestazioni al secondo giorno di referendum sulla Costituzione
  • John Kerry rilancia il ruolo degli Usa in Medio Oriente
  • Delegazione episcopale a Gaza. Don Remery: c'è gente che non ha il necessario per vivere
  • Thailandia: il governo conferma le elezioni anticipate il 2 febbraio
  • Le iniziative Cei per la Giornata dei migranti e dei rifugiati del 19 gennaio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: l'attesa dei cristiani palestinesi per la visita del Papa
  • Iraq: ondata di attacchi e violenze in varie zone del Paese
  • Centrafrica. Un missionario: senza ribelli Seleka prima notte tranquilla
  • Sud Sudan: proseguono gli sconti a Malakal. Appello dei vescovi per la pace
  • Bangladesh: dopo le violenze post-elezioni attacchi alle minoranze
  • Propaganda Fide: il fiscalista Oliverio non si è mai occupato degli immobili del dicastero
  • Argentina. Il giudice Rizzi: no alla rimozione del crocifisso nelle aule di tribunale
  • Messico: la Chiesa esorta a migliorare il sistema penitenziario per costruire la pace
  • Nicaragua: si apre “l’Anno Giubilare Missionario in famiglia”, nella festa del Cristo Negro
  • Gran Bretagna: la Chiesa esorta i governi ad accogliere i rifugiati siriani
  • Myanmar: lo stupro come "arma" dell'esercito birmano
  • Svizzera: la Caritas respinge l'iniziativa contro l'immigrazione di massa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: il Battesimo ci rende tutti anelli di una catena di grazia

    ◊   Il Battesimo è il dono attraverso il quale da venti secoli la fede in Dio viene trasmessa a ogni generazione. Ed è un dono che ha bisogno di un “nuovo protagonismo” missionario da parte dei cristiani. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco, di fronte a oltre 30 mila persone in Piazza San Pietro, nella seconda udienza generale dedicata a questo Sacramento. In particolare, il Papa ha offerto sostegno ai cristiani di Terra Santa e Giordania invitandoli a essere forti nelle persecuzioni. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Giappone, inizi del 1600. La giovane Chiesa del Paese subisce una feroce persecuzione. Chi professa fede in Cristo rischia la morte e a migliaia sono uccisi, mentre i preti vengono cacciati. Papa Francesco racconta una storia emblematica per incidere nella testa e nel cuore di chi lo ascolta quanto sia potente la grazia del Battesimo. Una storia di martirio che ha un lieto fine addirittura a distanza di 250 anni:

    “Allora la comunità si ritirò nella clandestinità, conservando la fede e la preghiera nel nascondimento. E quando nasceva un bambino, il papà o la mamma lo battezzavano, perché tutti noi possiamo battezzare. Quando, dopo circa due secoli e mezzo (...) i missionari ritornarono in Giappone, migliaia di cristiani uscirono allo scoperto e la Chiesa poté rifiorire. Erano sopravvissuti con la grazia del loro Battesimo! Ma questo è grande! Il popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti”.

    Quella comunità in Giappone sopravvisse nella fede grazie a una fiamma tenuta accesa di genitore in figlio. E questo, ha riaffermato Papa Francesco, accade da sempre, fin da quando Gesù inviò i primi Discepoli a battezzare:

    “In effetti, come di generazione in generazione si trasmette la vita, così anche di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia. (…) C’è una catena nella trasmissione della fede per il Battesimo, e ognuno di noi è l’anello di quella catena, un passo avanti sempre, come un fiume che irriga. E così è la grazia di Dio e così è la nostra fede, che dobbiamo trasmettere ai nostri figli, trasmettere ai bambini, perché loro, quando siano adulti, la possano trasmettere ai loro figli”.

    Ma c’è un’altra cosa che insegna quell’antica storia dal Giappone: chi è battezzato è per sua natura missionario. “Il Popolo di Dio – spiega Papa Francesco – è un Popolo discepolo, perché riceve la fede, e missionario, perché trasmette la fede”. Per questo, asserisce, serve un "nuovo protagonismo" nei cristiani di oggi. Tra i quali può accadere, aggiunge tra gli applausi, che a essere maestro sia chi, in apparenza, venga ritenuto soprattutto discepolo:

    “Ma alcuni di voi diranno: ‘Padre, i vescovi non sono discepoli, i vescovi sanno tutto; il Papa sa tutto, non è discepolo’. Eh, anche i vescovi e il Papa devono essere discepoli, perché se non sono discepoli non fanno il bene, non possono essere missionari, non possono trasmettere la fede. Capito? Avete capito questo? E’ importante: tutti noi, discepoli e missionari!”.

    E in questo corpo unito – in cui si entra per la “porta” del Battesimo e in cui la "dimensione comunitaria non è solo una 'cornice'" – vale anche un’altra regola:

    “Nessuno si salva da solo. Questo è importante: nessuno si salva da solo. Siamo comunità di credenti, siamo popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere ‘canali’ della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati”.

    La storia della Chiesa in Giappone ritorna poco dopo, quando Papa Francesco saluta i vari gruppi in Piazza San Pietro. Il Papa individua i fedeli della Terra Santa e della Giordania e a loro in particolare indica il comportamento di chi, 400 anni fa, seppe resistere in nome di Gesù:

    “Le difficoltà e le persecuzioni, quando vengono vissute con affidamento, fiducia e speranza, purificano la fede e la fortificano. Siate veri testimoni di Cristo e del Suo Vangelo, autentici figli della Chiesa, pronti sempre a rendere ragione della vostra speranza, con amore e rispetto.

    Tra i saluti post-catechesi, da rilevare quello ai Lancieri di Aosta, autori di operazioni di soccorso in favore degli immigrati di Lampedusa. “Tutti esorto – conclude il Papa rivolto ai gruppi in piazza – a vivere con generosità il proprio impegno ecclesiale, perché il Signore riempia i cuori della gioia che solo Lui può donare”.

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    Papa Francesco rinnova la Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior

    ◊   Il Papa ha rinnovato, per il prossimo quinquennio, la Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, che risulta ora composta dai cardinali: Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna; Thomas Christopher Collins, arcivescovo di Toronto; Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; Santos Abril y Castelló, arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, e dal segretario di Stato, mons. Pietro Parolin.

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    Il card. Ouellet e il prof. Carriquiry confermati presidente e segretario della Pontificia Commissione per l'America Latina

    ◊   Il Papa ha adottato i seguenti provvedimenti nella Pontificia Commissione per l'America Latina: ha confermato presidente il cardinale Marc Ouellet e segretario il prof. Guzmán Carriquiry; ha nominato consigliere mons. Lorenzo Baldisseri, arcivescovo tit. di Diocleziana, segretario generale del Sinodo dei Vescovi; ha confermato consiglieri i cardinali: Antonio Cañizares Llovera, William Joseph Levada, Leonardo Sandri, Francesco Monterisi, e i monsignori: Jean-Louis Brugués, José Horacio Gómez, Marcelo Sánchez Sorondo; ha quindi confermato membri i cardinali: Nicolás de Jesús López Rodríguez, Jaime Lucas Ortega y Alamino, Norberto Rivera Carrera, Julio Terrazas Sandoval, Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, Juan Luis Cipriani Thorne, Cláudio Hummes, Jorge Liberato Urosa Savino, Francisco Robles Ortega, Odilo Pedro Scherer, Paolo Romeo, Raymundo Damasceno Assis, Rubén Salazar Gómez, Stanisław Ryłko; e i monsignori: Emilio Carlos Berlie Belaunzarán, Mario Antonio Cargnello, Héctor Rubén Aguer, Nicolás Cotugno Fanizzi, Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, Geraldo Lyrio Rocha, Leopoldo José Brenes Solórzano, José Guadalupe Martín Rábago, Orlando Antonio Corrales García, Juan José Asenjo Pelegrina, Franz-Josef Overbeck.

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    Nomine episcopali negli Stati Uniti e in Brasile

    ◊   Negli Stati Uniti, Papa Francesco ha nominato vescovo di Pueblo mons. Stephen J. Berg, del clero di Fort Worth, finora Amministratore Diocesano della medesima diocesi. Il neo presule è nato il 3 marzo 1951 a Miles City (Montana), nella diocesi di Great Falls-Billings. Dopo aver frequentato la Sacred Heart High School a Miles City e la Gonzaga University a Spokane (Washington), ha ottenuto il Baccellierato in Musica presso l’University of Colorado a Boulder nel 1973. Successivamente ha ottenuto il Masters in Musica (pianoforte) presso l’Eastern New Mexico University a Portales nel 1975. Dopo gli studi musicali, ha lavorato per diversi anni nel settore dell’orticoltura. Entrato in Seminario nel 1993, ha svolto gli studi ecclesiastici presso l’Assumption Seminary e l’Oblate School of Theology a San Antonio (Texas) fino al 1999. È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Fort Worth il 15 maggio 1999. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Saint Michael Parish a Bedford (1999-2001) e della Saint John the Apostle Parish a North Richland Hills (2001-2002); Parroco delle parrocchie Saint Mary a Henrietta, Saint Jerome a Bowie, Saint William a Montague e Saint Joseph a Nocona (2002-2008); Vicario Generale e Parroco della Saint Peter the Apostle Parish a Fort Worth (2008-2012); Moderatore della Curia (2010-2012); Direttore Spirituale presso il Seminario Holy Trinity a Dallas (dal 2009); Amministratore Diocesano e Amministratore Parrocchiale della Holy Name Parish a Fort Worth (dal 2012). Nel 2012 è stato nominato Prelato d’Onore. Oltre l’inglese, conosce lo spagnolo.

    In Brasile, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Bom Jesus do Gurguéia, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Ramón López Carrozas. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote Marcos Antônio Tavoni, finora parroco della Parrocchia “Cristo Redentor” a Taguatinga, nell’arcidiocesi di Brasília. Mons. Tavoni è nato il 21 aprile 1967, a São Carlos (São Paulo). Ha studiato Filosofia presso il Seminario Diocesano “João Paulo II”, a São Carlos (1989-1990) e Teologia presso il Seminario Arcidiocesano “Nossa Senhora de Fátima”, a Brasília (1991-1994). È stato ordinato sacerdote il 30 novembre 1996, per il Clero dell’arcidiocesi di Brasília. Dopo una breve esperienza a Brasília, in cui ha lavorato come Vicario Parrocchiale della Parrocchia “Imaculada Conceição”, a Taguatinga (1996-1997), è stato trasferito all’arcidiocesi di Palmas dove ha ricoperto le seguenti funzioni: Parroco delle Parrocchie “Divino Espírito Santo” (1999-2004); “Santa Teresa d’Ávila” (1999-2011) e “São João Batista”(2003-2011); Rettore del Seminario Maggiore Interdiocesano “Divino Espírito Santo” e del Centro di Studi Superiori “Mater Dei” (2008-2011); Professore di Teologia e Direttore Spirituale della “Casa Santa Marta” destinata al recupero di adolescenti incinte (2003-2011). Inoltre, ha disimpegnato diverse funzioni a livello diocesano: Moderatore del primo Sinodo Arcidiocesano di Pastorale (2000-2006); Coordinatore della Commissione per l’elaborazione del Direttorio Arcidiocesano per l’Iniziazione Cristiana (2005-2006); Vicario Episcopale della Regione “São Pedro” (2007-2008); Membro e Segretario del Consiglio Presbiterale di Palmas per due mandati. Nel 2011 è rientrato nell’arcidiocesi di Brasília, dove ha lavorato come Vicario Parrocchiale della Parrocchia “Nossa Senhora dos Pobres” – Paranoá (2011-2013). Attualmente svolge il suo ministero come Parroco della Parrocchia “Cristo Redentor” a Taguatinga, arcidiocesi di Brasília.

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    Vaticano. Mons. Georg Ratzinger festeggia i suoi 90 anni con Benedetto XVI

    ◊   Ricorre oggi il 90.mo compleanno di mons. Georg Ratzinger, fratello maggiore del Papa emerito Benedetto XVI. Stamani, nella cappella dell’ex convento Mater Ecclesiae in Vaticano, è stata concelebrata una Messa solenne di rendimento di grazie, con canti e musica. Vi hanno partecipato anche le religiose che hanno assistito e assistono mons. Georg. Si è svolta una colazione con auguri cantati, secondo l’uso caratteristico tradizionale bavarese. Quindi, pranzo festivo con ricette gradite al festeggiato. Concerto poi nel pomeriggio, alle 17.15, presso la Sala Assunta della Radio Vaticana (Palazzina Leone XIII, nei Giardini Vaticani). Ad esibirsi quattro artisti conosciuti e amici di mons. Georg (due pianisti, violino, tenore; tre uomini e una donna). Sono invitati diversi ospiti, laici, religiosi e religiose conoscenti del festeggiato e persone dell’ambiente vaticano, fra cui mons. Gerhard Müller, prossimo cardinale, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, vescovo emerito di Regensburg, che ha conosciuto bene e sostenuto il festeggiato e l’attività dei Regensburger Domspatzen, il coro della Cattedrale di Ratisbona, che mons. Georg Ratzinger ha diretto fino al 1994. Mons. Georg si è trattenuto nell’ex convento Mater Ecclesiae oltre il tempo natalizio proprio per festeggiare il suo 90° compleanno con Benedetto XVI.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Tutti discepoli e missionari: all'udienza generale il Papa prosegue le riflessioni sul Battesimo.

    Storia di un cammino: Silvia Guidi intervista il rabbino Abraham Skorka.

    Non si può manipolare il Vangelo: Humberto Miguel Yanez su evangelizzazione e morale in Papa Francesco.

    Due secoli molto lunghi: Anna Foa sulla città di Odessa raccontata dallo storico americano Charles King.

    Un articolo di Stella Seitun dal titolo "L'Iside ricomparsa": dall'Egitto a New York (passando per Genova).

    Vero prete e vero intellettuale: la prefazione di Ottavio De Bertolis al libro del gesuita Marc Lindeijer dedicato a padre Felice Cappello.

    Il dramma delle espulsioni: negli Stati Uniti le famiglie di origine ispanica chiedono aiuto a Papa Francesco.

    Sangue sul voto in Egitto.

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    Oggi in Primo Piano



    Kuwait, riuniti Paesi donatori per la Siria. Mons. Jeanbart: il Paese è distrutto, aiutateci

    ◊   I rappresentanti di 69 Paesi e 24 organizzazioni di tutto il mondo sono riuniti in Kuwait per la seconda Conferenza dei donatori per la Siria. Con gli sforzi della diplomazia internazionale concentrati su "Ginevra 2", il prossimo 22 gennaio a Montreaux, i donatori sono chiamati a rispondere all'appello senza precedenti dell'Onu per raccogliere sei miliardi e mezzo di dollari (4,75 miliardi di euro) per far fronte all'emergenza umanitaria in Siria, con più di nove milioni di persone toccate direttamente dal conflitto: la metà dell'intera popolazione del Paese, ha sottolineato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, intervenendo a Kuwait City. La guerra sta per entrare nel suo quarto anno – iniziò infatti il 15 marzo 2011 – e ha provocato fin qui 130 mila morti. Sei milioni e mezzo gli sfollati interni e almeno due milioni e 300 mila profughi in Turchia, Giordania, Iraq e Libano. Ban Ki-moon ha inoltre invocato la fine delle violenze e osservato che gli aiuti "non possono risolvere il conflitto, ma salvano vite umane". Il Kuwait ha annunciato un aiuto di 500 milioni di dollari, mentre gli Stati Uniti, con il segretario di Stato, John Kerry, hanno offerto 380 milioni di dollari supplementari per l’emergenza. Sulla situazione in Siria, Giada Aquilino ha intervistato mons. Jean Clément Jeanbart, arcivescovo di Aleppo dei greco melkiti:

    R. – La situazione umanitaria è veramente molto drammatica, in particolar modo ad Aleppo, perché in città è stata distrutta gran parte delle infrastrutture economiche, industriali, ma anche i servizi, scuole, ospedali sono stati distrutti o danneggiati. Il prodotto industriale di Aleppo rappresentava il 70% della produzione industriale siriana. Ora ci sono 1.200.000 operai senza lavoro. Questa è la situazione a livello locale, ma in tutto il Paese ci sono distruzioni, la gente non ha più un reddito, mancano lavoro, elettricità, carburante. Siamo in una situazione molto penosa.

    D. – Alla Conferenza dei Paesi donatori, si è detto che nove milioni di persone sono toccate dal conflitto in Siria. Ci sono stati 130 mila morti: se ne è parlato anche nel recente Workshop in Vaticano sulla Siria. Come affrontare questa emergenza?

    R. – Sì, 130 mila persone sono morte. E sono nove milioni le persone che soffrono in questa situazione: persone che non hanno più nulla, che si trovano in una situazione di bisogno e che non sanno come fare per sopravvivere. Ci sono almeno 57 ospedali distrutti, come anche cliniche e scuole, e persone che non hanno più una casa. Noi facciamo quello che possiamo per aiutare questa gente: aiutiamo tutti, anche quelli che non sono cristiani. Aiutiamo 400 padri di famiglia, anche se li paghiamo il 50% di quello che potevano guadagnare con il loro reddito. Credo che se gli altri Paesi vogliano venire in nostro soccorso, possano farlo aiutandoci a ritrovare un po’ di pace, di serenità, perché noi cerchiamo di fare il possibile.

    D. – Dal punto di vista diplomatico se ne parlerà a Ginevra, e in queste ore se ne discute in Kuwait. Anche il Papa continua ad invocare la pace per la Siria…

    R. – Il Messaggio del Santo Padre per Giornata per la pace quest’anno è meraviglioso! Se non si ha uno spirito di altruismo, uno spirito di carità, e vogliamo fare come Caino che ha ucciso Abele, senz’altro non arriveremo a niente.

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    Onu, emergenze 2014: 13 miliardi di dollari per assistere 50 milioni di persone

    ◊   Oltre la Siria, dati Onu mostrano che sono altri 16 i Paesi al mondo dove le popolazioni sono a rischio di vita se non arriveranno aiuti dall’estero. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Tredici miliardi di dollari – poco meno di 10 miliardi di euro – è la cifra record che l’Ufficio Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) reputa necessaria per fronteggiare nel 2014 le emergenze, che colpiscono 17 Paesi nell’intero pianeta, dove 52 milioni di persone rischiano la vita. Una stima in difetto, fatta a metà dicembre, quando non erano ancora esplose le crisi della Repubblica centrafricana e del Sud Sudan, senza contare la gravità delle emergenze in corso nelle Filippine per il tifone Hayan, che ha travolto 14 milioni di persone, e soprattutto per la guerra in Siria, che da sola assorbirà la metà degli stanziamenti previsti.

    Milioni di persone, ricorda l’Onu, hanno iniziato il nuovo anno da sfollati nel proprio Paese e da rifugiati all’estero, dipendenti dalle organizzazioni umanitarie per un posto dove dormire, per il cibo da mangiare, per l’assistenza sanitaria di base, ma anche per essere protetti da abusi e violenze.

    Gran parte degli aiuti andranno alle popolazioni africane coinvolte in conflitti. Nella Repubblica centrafricana, più di 800 mila sono sfollati e quasi mezzo milione sono affamati. Nel Sud Sudan, l’Onu conta di assistere 600 mila sfollati nei prossimi tre mesi. Altre 800 mila persone attendono soccorsi nel Sudan. Mentre nella Repubblica Democratica del Congo ci sono 2 milioni e 700 mila sfollati ed oltre 6 milioni di persone sottoalimentate, cosi anche nel Mali vi sono 2 milioni e 700 mila malnutriti. Lo spettro della fame incombe anche su 16 milioni di africani in nove Paesi della regione del Sahel. Critiche infine le condizioni di 3 milioni di somali. Nel resto del mondo, particolare attenzione l’Onu riserverà ancora ad Haiti, Myanmar ed Afghanistan.

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    Egitto. Scontri e manifestazioni al secondo giorno di referendum sulla Costituzione

    ◊   In un Egitto blindato e scosso dalle violenze, è in corso il secondo e ultimo giorno del referendum sulla nuova Costituzione. Rafforzate in tutto il Paese le misure di sicurezza dopo gli incidenti di ieri, che hanno causato la morte di almeno 11 manifestanti e l’arresto di 246 persone. Secondo la Tv Al Arabiya, una bomba questa mattina è scoppiata a Giza. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    L’Egitto è entrato nel secondo giorno del referendum con la notizia di una bomba a mano lanciata stamani contro una scuola a Giza, alle porte del Cairo, poi l'assalto di gruppi armati messi successivamente in fuga. Non ci sarebbero vittime. Manifestazioni, dei sostenitori del deposto presidente Morsi, sono in corso in varie parti del Paese. I seggi, oltre 30 mila, supercontrollati, chiuderanno alle 21. I risultati sono attesi nelle prime ore di domani: 53 milioni gli aventi diritto al voto chiamati ad esprimersi sui 247 articoli che modificano la Carta Fondamentale in senso decisamente "laico". Questo anche se la sharia, la legge islamica, rimane fonte principale di diritto. Il nuovo testo sancisce che i partiti politici non possano essere ispirati a discriminazioni "religiose, di sesso o etnia". Maggiori poteri vengono attribuiti ai militari, la nomina del ministro della Difesa, ad esempio, prevede la ratifica del Consiglio militare supremo, che dovrà approvare la candidatura. La Fratellanza musulmana continua a indire manifestazioni e incitare al boicottaggio: ieri 11 persone sono morte e 28 sono state ferite negli scontri con la forza pubblica. In questo scenario, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha lanciato un appello al rispetto e alla non violenza, sottolineando l'importanza di garantire le libertà di riunione e di espressione. Intanto, da Washington – mentre l’alta affluenza fa ipotizzare l’approvazione della Costituzione – in Egitto arriva la notizia che il Congresso statunitense si appresta a scongelare 1,5 miliardi di dollari di aiuti, bloccati dopo la deposizione del presidente egiziano, esponente delle Fratellanza, Mohamed Morsi, il 3 luglio scorso.

    Sul voto referendario, l'opinione di Claudio Lo Jacono, direttore della rivista "Oriente Moderno":

    R. – La consultazione sta andando come vogliono i militari: con una forte partecipazione di cittadini che, a prescindere da quello che c’è scritto nella Carta – molti neanche l’hanno letta – votano per il ritorno a un ordine pubblico, a un ordine sociale, che è scomparso nell’ultimo anno. La gente non ne può più di ideologie, non ne può più di disordini, non ne può più di contrapposizione, anche tra musulmani e cristiani. Ci sono molti musulmani e cristiani che non hanno assolutamente intenzione di mettersi in un clima di guerra civile. Perciò, è un referendum con un’approvazione già scontata e sostanziale: in questo momento, credo che la maggioranza della popolazione veda nei militari la diga contro il marasma più totale. Votare per avere i militari che garantiscano un ritorno a una passabile condizione economica e sociale.

    D. – Dunque, i sommovimenti che hanno inizialmente portato alla caduta di Mubarak, alla fine, si sono rivelati controproducenti?

    R. – Forse controproducenti no, perché è rimasta la convinzione – secondo me giusta – che una forte pressione della popolazione possa portare a cambiamenti istituzionali, anche grandi. Rimane questo spirito, che non vorrei neanche chiamare rivoluzionario: uno spirito di cambiamento. Certo, l’obiettivo di una democratizzazione – tra virgolette – all’occidentale è fallito. Non si possono importare moduli estranei alla vita culturale e alle tradizioni di questo grande Paese arabo, islamico e mediterraneo – non dimentichiamolo – che ha compiuto un suo cammino.

    D. – La Costituzione, di fatto, dà più poteri ai militari. In questo senso, c’è un ritorno al passato…

    R. – Sicuramente, ha più potere oggi la forza militare di quanto non potesse averne sotto Mubarak stesso o addirittura sotto Sadat. Non so quanto questo possa essere tollerato nel lungo periodo: va benissimo per uscire dall’emergenza, va benissimo per rimettersi sui binari di una accettabile condizione economica e sociale, ma non so se alle lunghe questo potrà essere conservato. Io spero di no, perché non sono assolutamente favorevole al fatto che i militari dettino – come si dice – l’agenda politica. Da questo punto di vista, però, mi rassicura il fatto che la massima parte dell’Egitto sia orientata verso un moderato cambiamento, che prescinda veramente in modo sostanziale dalle impostazioni religiose.

    D. – In questo scenario, arriva la notizia da Washington che si starebbero sbloccando 1,5 miliardi di dollari di aiuti, che erano stati fermati dopo la deposizione del presidente Morsi. Sembra un po' un saluto, un incoraggiamento a questo voto per la Costituzione...

    R. – Ma, certo. Gli Stati Uniti possono dire tante cose per l’opinione pubblica, ovviamente non possono approvare forme violente di stravolgimento dell’ordine istituzionale, fossero anche portate dai militari… Però, passata l’ondata, è evidente che quell’Egitto plasmatosi negli ultimi decenni e la stessa Giunta militare attualmente al potere in Egitto garantiscono una continuità politica ed economica, che sono fondamentali anche negli equilibri strategici non solo del Mediterraneo, ma del mondo intero.

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    John Kerry rilancia il ruolo degli Usa in Medio Oriente

    ◊   Dopo la tappa di ieri in Vaticano, prosegue il tour diplomatico del segretario di Stato americano, John Kerry. Al centro dell’iniziativa, promossa dal presidente Obama e che potrebbe restituire a Washington un ruolo da protagonista nel panorama internazionale, soprattutto la ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (Cipmo):

    R. – E’ la più seria iniziativa diplomatica da quella di Clinton del 2000, con Camp David II. Kerry si è applicato molto intensamente, arrivando prima a far incontrare di nuovo israeliani e palestinesi, che non negoziavano più dal 2010. Adesso si sta andando al dunque con una mossa abbastanza intelligente, ovvero, quella di proporre un piano quadro. E’ difficile arrivare ad un accordo di pace definitivo, ma l’idea è quella di delineare quali possono essere i contorni di una pace definitiva, quali tendenzialmente i confini, quale la soluzione per Gerusalemme o per i rifugiati; poi rinviare il tutto ad una fase negoziale – che potrà durare circa un anno – per la definizione dei dettagli.

    D. – Secondo lei, qual è il punto più delicato di un dialogo, quello israelo-palestinese, che negli ultimi tempi è sembrato sempre molto difficile…

    R. – I punti più delicati sono quello dei confini e quello della città di Gerusalemme e, ovviamente, collegata alla questione dei confini, la questione degli insediamenti. Credo che, sostanzialmente, la soluzione che Kerry stia perseguendo sia di questo tipo: dare fortissime garanzie di sicurezza a Israele, ma avere in cambio qualcosa per i palestinesi sulla questione dei confini e sulla questione di Gerusalemme, perché non bisogna dimenticare che il rapporto con la Spianata delle Moschee è ugualmente forte di quanto non lo sia quello israeliano con il Muro del Pianto. Quindi, il tema è molto complesso; le tensioni sono enormi, sia nel campo palestinese, sia nel campo israeliano. È certo che ci troviamo in uno di quei momenti decisivi e al dunque di un’iniziativa che è comunque importante.

    D. – Al centro John Kerry, dall’altra il premier israeliano Netanyahu, dall’altra ancora il presidente Abu Mazen. Secondo lei è possibile il dialogo tra questi personaggi e i loro staff?

    R. – La questione non è tanto di dialogo tra le parti, questi sono tutti uomini realisti. Anche Netanyahu è una persona concreta; la questione è il contesto e le scelte di fatto che dovranno compiere, scelte complesse, contraddittorie per entrambe le parti.

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    Delegazione episcopale a Gaza. Don Remery: c'è gente che non ha il necessario per vivere

    ◊   Prosegue in Terra Santa il tradizionale pellegrinaggio del Coordinamento dei vescovi di Nord America, Canada, Sud Africa e Unione Europea: obiettivo del viaggio è quello di sostenere la giustizia e la pace nell’area e supportare gli sforzi della Chiesa locale. La delegazione è già stata a Gerusalemme e Betlemme. Di particolare interesse la visita a Gaza. A questo proposito, la nostra inviata Susan Hodges ha intervistato uno dei membri della delegazione, don Michel Remery, vice-segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa:

    R. - È molto emozionante stare in questa terra che conosciamo soltanto da fuori per le guerre e per i problemi che ci sono e scoprire che è una terra molto antica, con una tradizione molto bella, molto profonda della nostra fede. Ci sono stati grandi Santi in questa zona. E la tradizione della Chiesa dice che Gesù, in cammino vero l’Egitto, ha avuto un momento di riposo con la sua famiglia a Gaza. Dunque, è una terra che fa parte veramente della Terra Santa.

    D. – Quale il significato di questo vostro incontro con la piccola comunità cattolica di Gaza?

    R. - Vivere questo momento insieme con la comunità, soprattutto ieri durante la Messa, è stato molto bello: abbiamo potuto pregare insieme, lodare il Signore per aver dato la sua vita per noi, per il suo Battesimo. Abbiamo poi potuto scambiare qualche parola dopo la Messa e questo mi ha fatto una grande impressione perché ho potuto parlare con gente “normale”, giovani, vecchi, che vivono in questa terra, che sono cristiani e che hanno difficoltà a vivere la loro fede a causa del modo con cui questa regione viene governata, a causa del fatto che è molto difficile uscire da questa terra. Comunque, è gente che ha espresso anche gioia per la nostra visita, gioia di poter celebrare il Natale e il Battesimo del Signore insieme a noi.

    D. – La situazione a Gaza è drammatica. Ma ci sono speranze?

    R. – Sì, soprattutto nei giovani c’è speranza: ma non sanno da dove essa venga. E’ infatti una speranza “sovrumana”: umanamente nessuno sa come risolvere la situazione, invece c’è una certa speranza che ho visto nei loro occhi. Questo è stato molto edificante perché abbiamo ascoltato anche storie molto tristi, di persone che hanno difficoltà, che non hanno il necessario per vivere. Allo stesso tempo però c’è questa testimonianza di fede cristiana molto forte. Così possiamo dire che non soltanto la nostra visita li ha edificati, ma loro, con questa fiducia, con questa speranza cristiana, hanno edificato anche noi.

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    Thailandia: il governo conferma le elezioni anticipate il 2 febbraio

    ◊   Confermata dal governo di Yingluck Sinawatra la data del 2 febbraio per le elezioni anticipate in Thailandia. La decisione è stata annunciata al termine di una riunione convocata per discutere della proposta di un rinvio del voto, formulata dalla Commissione elettorale centrale: erano stati invitati a presenziarvi rappresentanti di tutti i partiti e dei gruppi che aderiscono alle manifestazioni di piazza in corso da quasi due mesi. Quella delle elezioni è la giusta carta per mettere la parola fine alle proteste contro l’esecutivo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Emanuele Giordana, direttore di “Lettera 22”:

    R. – Quella delle elezioni è la carta più dubbia per mettere fine alle proteste, perché coloro che protestano non vogliono le elezioni del 2 febbraio e per un motivo molto semplice: queste elezioni, molto probabilmente, saranno nuovamente vinte – diciamo – dalla famiglia Shinawatra, di cui la sorella Yingluck rappresenta in questo momento il potere. Ecco quindi che le elezioni – che i dimostranti vogliono posposte e che invece il governo continua dire che si terranno il 2 febbraio – sono l’ennesimo punto di non ritorno.

    D. – Quale il ruolo del re, in un momento di grande destabilizzazione e transizione?

    R. – Ci sono due elementi che io metterei vicini: il re e l’esercito. In questo momento sono tutti e due tranquilli, stanno forse aspettando di capire quale deve essere il momento in cui entrare nuovamente in scena. Dobbiamo ricordare che tutto è cominciato nel settembre del 2006, con il colpo di Stato militare, concordato con il re, che mise Shinawatra, l’ex premier, fuori della politica thailandese e lo costrinse, di fatto, all’esilio.

    D. – La situazione sembra essere ora abbastanza tranquilla nel Paese, anche se questa notte un ordigno di modesto potenziale è scoppiato davanti all’abitazione della famiglia di Vejajiva, già premier e ora leader del Partito democratico, principale formazione – lo ricordiamo – dell’opposizione. Qual è il ruolo in questo momento di Vejajiva?

    R. – Il panorama dell’opposizione è molto variegato, ma gli elementi sono un po’ sempre gli stessi: lui, come molti altri, rappresenta una parte dell’elite thailandese, che è quella che si è opposta alle vittorie economiche di Shinawatra. In un certo senso, lo scontro che polarizza il Paese – spesso si è detto la “campagna contro la città”, perché i voti a Shinawatra arrivavano e arrivano soprattutto dalle campagne – riguarda in realtà anche uno scontro tra colossi economico-finanziari. Shinawatra riuscì a fare una politica che mise un po’ da parte la vecchia elite, che gli ha giurato una guerra senza confini. E il re è vicino a questa vecchia elite: ecco perché i giochi potrebbero decidersi nei prossimi giorni, prima delle elezioni del 2 febbraio.

    D. – Proprio dal punto di vista economico, le manifestazioni stanno di fatto paralizzando la Thailandia. Cosa rischia questo Paese, che invece si sta imponente sulla scena internazionale come un'economia emergente tra le più importanti?

    R. – Rischia molto, perché l’instabilità – come insegna la storia di tutti i Paesi, compresa quella dell’Italia – è la carta peggiore che un Paese può ritrovarsi tra le mani. E’ vero che la Thailandia è uno dei grandi Paesi emergenti, che è anche riuscita a superare una crisi economica molti anni fa, che ha messo in crisi tutti gli altri Paesi dell’area. Ma è anche vero che Bangkok deve fare attenzione ai nuovi soggetti che sono arrivati sulla scena. E non parliamo del Vietnam, che è già una potenza economica da molti anni, ma della Cambogia oppure dell’Indonesia, che è un Paese che è riuscito a raggiungere una forte stabilità politica – direi – e che quindi sta guadagnando terreno sul piano delle economie dei Paesi emergenti del Sud-Est Asiatico. La Thailandia, insomma, rischia di perdere punti.

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    Le iniziative Cei per la Giornata dei migranti e dei rifugiati del 19 gennaio

    ◊   Occorre passare dalla cultura dello scarto a una cultura dell’incontro e dell’accoglienza. E’ quanto scriveva il Papa nell’agosto scorso, nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 19 gennaio, dal titolo: “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”, e che è stata presentata oggi presso la nostra emittente. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Cento anni fa, nel 1914, subito dopo lo scoppio della Grande Guerra, Benedetto XV istituiva la Giornata per i migranti e i rifugiati, pensando ai profughi, alle famiglie espulse, che il conflitto avrebbe creato. Oggi, le guerre sono 23, generano milioni di nuovi rifugiati e profughi e decine di migliaia di loro giungono sulle coste italiane. Lo ha ricordato il direttore della Fondazione Migrante della Cei, mons. Giancarlo Perego, che ha presentato l’evento assieme a mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Migrantes, alla presenza del ministro dell’Integrazione, Cécile Kyenge. “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore” è il tema scelto da Papa Francesco perché ogni persona, spiegò lui stesso il 5 agosto scorso, “appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli”. La ricorrenza di domenica, ancora una volta, ci mette di fronte al fenomeno delle migrazioni e al stesso tempo all’incapacità di affrontarlo. Dunque, come accompagnare queste persone proprio "verso un mondo migliore". Mons. Perego:

    "E’ il Papa stesso che lo dice nel messaggio: anzitutto, attraverso una cultura diversa, passare dalla cultura dello scarto alla cultura dell’incontro. E questo significa cambiare anche il nostro alfabeto, perché tante volte l’immigrazione viene coniugata con la parola paura, con la parola diffidenza, con la parola discriminazione – lo ricorda il Papa – e cambiare queste parole con le parole accoglienza, ospitalità, tutela della dignità delle persone e investire profondamente – da una parte – in strutture, esperienze di accoglienza, anche nelle nostre comunità cristiane, ma dall’altra anche costruire, sempre di più, un’attenzione alla cooperazione internazionale, e cioè recuperare quel tema dello sviluppo integrale della persona che, dalla Populorum Progessio in poi, è sempre stata al centro del magistero sociale della Chiesa".

    Migrantes non nasconde le colpe dell’Italia, giudicata da mons. Montenegro, al pari dell’Europa, poco accogliente. Occorre cambiare la Bossi-Fini, continua il presidente della Fondazione: “Così com’è non può andare avanti – dice – è la prova ne sono i risultati”. Per mons. Perego è necessario strutturare un testo unico sul diritto di asilo, e non è l’unica urgenza:

    "La prima urgenza è non affermare una priorità, come si afferma nell’immigrazione, e poi negarla, di fatto, nei procedimenti e nei processi politici, accantonandola per questioni di interessi o per una mediazione che non la raggiunge. Oggi, è necessario fare in modo che anche la legislazione sull’immigrazione venga cambiata in Europa e in Italia, per far sì che effettivamente si consideri il fenomeno migratorio non un fenomeno estemporaneo, ma un fenomeno strutturale. Quindi, investire più in integrazione che in sicurezza: questo è il primo aspetto fondamentale. Oggi, ci sono le briciole per l’integrazione: si concentra tutto il nostro lavoro sul permesso di soggiorno, con miliardi di euro, sulla reclusione, con miliardi di euro, nei Cie, nei Centri di accoglienza temporanei, nei Centri di espulsione, e non si danno che pochi centesimi per quanto riguarda invece l’accompagnamento ai servizi sanitari, alla scuola, che sono invece i luoghi fondamentali per evitare che il fenomeno migratorio sia incontrollabile, per cercare veramente di costruire sicurezza e sicurezza sociale. Purtroppo, ci si nasconde dietro alla crisi per diminuire la qualità della nostra democrazia. Basti pensare semplicemente a come ci sia stata una caduta della tutela dei diritti dei lavoratori: sette morti arsi vivi a Prato ne sono una testimonianza, gli sfruttati delle diverse campagne dal nord al sud Italia o nella cantieristica ne sono un segno. Mentre è molto importante che la crisi sia letta anche guardando l’immigrazione, per cambiare alcuni meccanismi che tante volte creano irregolarità, ad esempio sul lavoro, e quindi non danno contribuzione anche per quanto riguarda lo Stato. E questo significa fare incontrare domanda e offerta di lavoro, significa investire in tutti i lavoratori, significa investire in modo tale che la grande massa di immigrati, che sono nel precariato, possano essere assunti con contratti che siano adeguati – oggi a parità di contratto l’immigrato prende il 30% in meno – investire in sicurezza sul lavoro. E questo significa sviluppo, questo significa uscire dalla crisi.

    La Fondazione Migrantes stessa per il nuovo anno intende porsi nuove sfide:

    "Noi stiamo investendo molto in relazioni, in conoscenza della realtà migratoria in Italia, per rendere sempre più attente le nostre comunità al fatto che la migrazione stessa sta cambiando i luoghi fondamentali della nostra vita: sta cambiando il lavoro, con 2 milioni e mezzo di lavoratori, sta cambiando la scuola, con 800 mila studenti, di cui il 47% di seconda generazione. Sta cambiando la Chiesa, con un milione di cattolici, che provengono da 100 nazionalità diverse, e sta cambiando la famiglia, con 400 mila matrimoni misti, 24 mila ogni anno. Essere attenti al fatto che la nostra comunità, la nostra città sta cambiando e costruire relazioni, superando non conoscenze, ignoranza che genera pregiudizio, che vediamo – purtroppo troppo spesso – anche nei mezzi di comunicazione sociale e anche nella politica, credo che sia il primo lavoro sul quale, come Migrantes, occorre lavorare, prima ancora che arrivare nei servizi. L’accompagnamento e la conoscenza delle persone, quindi, è ancora più importante di arrivare ad un servizio".

    I rifugiati e i migranti non perdano la speranza che anche a loro sia riservato un futuro più sicuro, era la conclusione del messaggio del Papa, che la sua domenica pomeriggio la trascorrerà nella Basilica del Sacro Cuore di Gesù a Castro Pretorio, a Roma, proprio accanto ad alcuni giovani rifugiati assistiti dai Salesiani.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: l'attesa dei cristiani palestinesi per la visita del Papa

    ◊   “Vogliamo la pace. Abbiamo bisogno di pace. Ecco cosa dirò al Pontefice quando lo vedrò”: così Vera Baboun, sindaco di Betlemme, spiega all'agenzia Sir l’attesa della sua città per la visita di Papa Francesco in Terra Santa dal 24 al 26 maggio prossimi. Momento clou della tappa a Betlemme sarà una Messa celebrata in piazza della Mangiatoia, davanti la basilica della Natività. “Una visita importante - ribadisce il sindaco di fede cristiana, come tradizione vuole nella città natale di Gesù -. Il messaggio che ci arriva è che non siamo soli. Il Papa ha il suo modo di agire, di comportarsi come vediamo nelle sue udienze, non so cosa farà qui tra i betlemiti. Sono certa che questa visita segnerà un nuovo inizio per questa terra. Il Papa, infatti, verrà dopo la ripresa dei negoziati prevista in aprile. Il Papa abbraccerà tutti”. Betlemme si sta già preparando all’evento che riverserà migliaia di pellegrini in città. “Li faremo sentire a casa loro, turisti o pellegrini che siano. Betlemme è la casa di tutti”, ricorda il sindaco, che esorta i pellegrini “a restare a Betlemme per qualche giorno e non solo per poche ore. Fermatevi da noi - è l’invito - conoscete la nostra gente, camminate nella nostra città. Non chiedo di entrare nei negozi di souvenir, quanto piuttosto nelle nostre case. Conoscete le pietre viventi di questa terra martoriata. Non lasciateci soli”. Per Nabil Shaat, già capo negoziatore per gli accordi di pace con Israele e ministro degli Esteri palestinese per 12 anni, oggi del Comitato centrale di Fatah, il più grande partito palestinese, “la visita di Papa Francesco sarà di grande sostegno e conforto per i cristiani palestinesi e non solo per quelli di Betlemme, che spero decidano sempre di più a restare in Terra Santa. La Palestina sta perdendo la sua popolazione cristiana che gioca un ruolo importante qui, specialmente per quello che riguarda la capacità di intessere relazioni, sviluppare il diritto e la libertà. Siamo Terra Santa dove cristiani, musulmani ed ebrei devono poter vivere insieme. Sarà un viaggio che produrrà non solo frutti spirituali ma anche un’influenza sul processo di pace”, spiega il politico. “La nostra speranza è che si possa vivere uno vicino all’altro, israeliani e palestinesi e che i Luoghi Santi, dovunque siano, siano aperti a tutti i fedeli delle tre religioni e siano sicuri”. Per arrivare a questo “servono decisioni coraggiose - conclude Shaat riferendosi alle recenti parole di Papa Francesco al Corpo diplomatico - e noi palestinesi siamo pronti a prenderle”. (R.P.)

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    Iraq: ondata di attacchi e violenze in varie zone del Paese

    ◊   È di almeno 46 morti il bilancio di una serie di attentati messi a segno questa mattina in diverse località del Paese, scosso da un’ondata di violenze dopo anni di relativa calma. Un attentatore suicida si è fatto esplodere a nord di Baghdad durante un funerale, mentre sette autobombe sono deflagrate dentro e intorno la capitale provocando 24 vittime. A Bohroz, nord-est di Baghdad - riferisce l'agenzia Misna - un attentatore si è fatto saltare in aria durante i funerali di un esponente delle milizie tribali sunnite ‘Sahwa’ che combattono al fianco del governo contro al Qaeda. Nei dintorni di Mossul, nel nord, sei persone tra cui tre soldati sono stati uccisi in un’imboscata di uomini armati. Intanto, a ovest, nelle riottosa provincia di Al Anbar – da settimane teatro di scontri tra l’esercito regolare e miliziani qaedisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) – le forze ribelli hanno preso il controllo di due località strategiche dopo che la polizia ha abbandonato il campo. Nelle ultime settimane i ribelli hanno conquistato diversi settori di Ramadi e Fallouja dove sono tutt’ora in corso scontri con l’esercito. (R.P.)

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    Centrafrica. Un missionario: senza ribelli Seleka prima notte tranquilla

    ◊   A Bozoum è trascorsa la prima notte tranquilla senza gli ex ribelli della Seleka: “Sono partiti tutti con un convoglio verso il Ciad e sono stati disarmati dalla Misca (la forza militare internazionale dei Paesi dell’Africa centrale a sostegno della Repubblica Centrafrica). Lo conferma oggi all'agenzia Sir padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano a Bozoum, a 325 km dalla capitale Bangui. “La Misca ha pattugliato la città tutta la notte - racconta -, ma alle 13 sono partiti verso Paoua, lasciando la città senza protezione. Speriamo che non ci siano problemi. Dovrebbero tornare domani”. Padre Aurelio ieri si è diretto verso Bossangoa. Lungo la strada diverse case sono state bruciate dalla Seleka la settimana scorsa. Qui ha incontrato i 750 sfollati che hanno trovato rifugio nella scuola biblica della Chiesa Evangelica dei Frères. “Abbiamo organizzato una piccola riunione e annunciato la partenza della Seleka, con la possibilità di tornare a casa entro uno o due giorni. Abbiamo consegnato 240 kg di riso”, aggiunge. Oggi sarà organizzato un incontro tra gli antibalaka (trad: anti-machete, i gruppi di autodifesa che si sono organizzati contro gli ex ribelli della Seleka), i rappresentanti della Misca e il Comitato di mediazione. “Lo scopo di questi incontri - precisa il missionario - è di spiegare la partenza del Seleka, calmarli e convincerli a tornare ai loro villaggi e deporre le armi”. (R.P.)

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    Sud Sudan: proseguono gli sconti a Malakal. Appello dei vescovi per la pace

    ◊   Continuano gli scontri, in Sud Sudan, per il controllo di Malakal, principale centro petrolifero della regione. Un conflitto armato scoppiato un mese fa e che finora ha provocato 10mila vittime e circa 400mila sfollati. Mentre l’Onu esprime preoccupazione ed invita le parti in causa a porre fine alle ostilità, rispettando il diritto internazionale, il vescovo di Tombura-Yambio, mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, ha lanciato catena di preghiera e digiuno per la riconciliazione. Avviata già il 12 gennaio, l’iniziativa si concluderà il 2 febbraio, Festa della presentazione del Signore. “Mi appello ai cattolici, ai cristiani, ai seguaci di ogni religione ed anche ai fratelli non credenti – scrive in una nota mons. Kussala – e ricordo che la pace è un bene che supera ogni barriere, perché appartiene a tutta l’umanità!”. Di qui, l’esortazione “a seguire, con decisione e coraggio, la via del dialogo, del perdono e dei negoziati per superare il conflitto”, in nome “di una cultura dell’incontro”. Infine, il presule chiede al Signore di “salvare il Paese da violenza, discordia, confusione, arroganza”, difendendo “la libertà”, così che il popolo sia unito e diventi un’unica nazione. (I.P.)

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    Bangladesh: dopo le violenze post-elezioni attacchi alle minoranze

    ◊   L'agenzia Fides ha avuto informazioni di attacchi a Dacca, da parte di un gruppo di estremisti islamici a danno prima di una comunità cattolica di etnia gari del distretto di Jamalpur, dove si registrano otto feriti tra cui il fratello maggiore di mons. Paolo Ponen Kubi, Vescovo di Mymensigh, poi di una parrocchia nel distretto di Sherpur, stavolta con cinque feriti e infine l’uccisione di un giovane cattolico di etnia santal, Ovidio Marandy, nel Bangladesh settentrionale. L’arcivescovo di Dacca, mons. Patrick D’Rozario, dichiara a Fides che le motivazioni per le violenze scoppiate dopo le elezioni sono ancora da chiarificare, ma pensa che i cristiani non siano in particolare pericolo rispetto invece alla minoranza indù. Inoltre afferma l’importanza di rivestire un ruolo e dare un contributo anche come minoranza all’interno di un Paese islamico, un ottimo esempio di ciò è la nomina a ministro del Welfare di Promod Mankin, un laico cattolico eletto in Parlamento, che potrà così lavorare per il bene non solo della comunità cristiana ma dell’intero Paese. (M.P.)

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    Propaganda Fide: il fiscalista Oliverio non si è mai occupato degli immobili del dicastero

    ◊   Alcuni giorni fa alcuni quotidiani nazionali hanno pubblicato la notizia che il signor Paolo Oliverio, “il fiscalista arrestato per gli affari illeciti nella gestione patrimoniale dei padri Camilliani si sarebbe occupato degli immobili della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli”. In una nota la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli smentisce che il signor Oliverio si sia “occupato” degli immobili del dicastero, di conoscerlo e di aver avuto collaborazioni. Pertanto, tali illazioni sono prive di fondamento. (R.P.)

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    Argentina. Il giudice Rizzi: no alla rimozione del crocifisso nelle aule di tribunale

    ◊   “Non voglio rimuovere la croce perché sono cattolico e perché essa stessa è il simbolo della pietà di Dio”. E’ la risposta del giudice argentino Luis Maria Rizzi alla campagna lanciata dalla App (Asociación Pensamiento Penal) e dalla Adc (Asociación por los Derechos Civiles), per la rimozione dei simboli religiosi dalle aule di tribunale argentine. In una lettera inviata al Presidente della App, Mario Juliano, Rizzi ha ribadito che non darà alcuna disposizione affinché vengano rimossi i crocifissi in quanto “ho rispetto della croce e di una persona innocente, la più innocente dei condannati a morte, e che è il simbolo della fede e dell’identità della maggior parte del nostro popolo”. Il Giudice segnala nella missiva che: “La croce non offende, né discrimina nessuno, credenti o meno, in quanto simbolo di pietà e di misericordia. Testimonia che chi lavora sotto la sua protezione è una persona che ha timore di Dio e per questo è imparziale e agisce secondo giustizia”. Rivolgendosi direttamente alle sigle che stanno sostenendo la campagna, Rizzi scrive: “La libertà religiosa che voi difendete interessa da vicino anche chi vuole avere accanto a sé la croce ed è una libertà che non costringe a rimuoverla o ad occultarla”. Il Giudice argentino giudica quella dell’App e dell’Adc una “missione triste” perché, secondo lui, “la croce è diventata un simbolo incompatibile con un mondo che confonde il bene con il male. Un mondo che tutela i diritti delle donne a scapito di quello dei bambini. Un mondo che esalta la corruzione e premia la slealtà”. Ma il giudice nel suo scritto si dice convinto che: “Cristo non ci abbandonerà, anche se ripudieremo e rimuoveremo la sua croce". (A cura di Davide Dionisi)

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    Messico: la Chiesa esorta a migliorare il sistema penitenziario per costruire la pace

    ◊   La Chiesa messicana denuncia per voce dell’arcivescovo di Acapulco, mons. Carlos Garcia Merlos, la grave situazione delle carceri della regione dove continuano a succedersi gravi episodi di violenza. La crisi del sistema penitenziario era già stata denunciata dai vescovi nel 2010, sottolineando l’assenza di adeguate politiche di reinserimento sociale. “I Centri di reclusione invece di servire al riadattamento sociale sono diventati vere e proprie università del crimine” si legge nel comunicato firmato dall’arcivescovo di Acapulco, mons. Carlos Garcia Merlos. Sovraffollamento e corruzione vengono indicati dal prelato messicano come i due elementi che aggravano la pericolosità del crimine organizzato all’interno delle carceri stesse. Una situazione difficile nell’ambito della quale la Chiesa messicana ribadisce il proprio impegno pastorale in favore di un sistema penitenziario più umano e più efficace in grado di garantire il riscatto dei detenuti e la costruzione di una pace sociale. (S.L.)

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    Nicaragua: si apre “l’Anno Giubilare Missionario in famiglia”, nella festa del Cristo Negro

    ◊   Si apre oggi in Nicaragua "l'Anno Giubilare Missionario in famiglia", in concomitanza con la celebrazione della festa patronale nazionale di Nuestro Señor de Esquipulas. La grande festa è iniziata ieri, con il pellegrinaggio di massa da tre punti diversi del paese verso il Santuario diocesano di Nostro Signore di Esquipulas per celebrare la festa religiosa in onore del “Cristo Negro”, come viene chiamato dalla popolazione del CentroAmerica (la festa si celebra infatti anche in Guatemala, Honduras, El Salvador e Messico). Le celebrazioni religiose nella città di Matagalpa quest'anno sono contraddistinte dallo slogan "90 anni per una nuova evangelizzazione", secondo quanto riferito all’agenzia Fides da una nota del vescovo di Matagalpa, mons. José Rolando Alvarez Lagos. Oltre a ricordare la scadenza dei 90 anni dalla costruzione del nuovo Santuario, “l'Anno Giubilare Missionario in famiglia" vuole sottolineare nella diocesi l’impegno missionario di tutti i battezzati, sulla scia del documento di Aparecida, e il fatto che dalla famiglia parte ogni iniziativa missionaria in tutti gli ambiti. Il pellegrinaggio al Santuario di Esquipulas è stato istituito 19 anni fa dall'allora vescovo di Matagalpa e attuale arcivescovo di Managua, il neo cardinale mons. Leopoldo José Brenes Solórzano, ed ogni anno cresce la partecipazione dei fedeli. L'anno scorso la polizia ha registrato la partecipazione di oltre 30.000 fedeli provenienti da diverse parti del paese e quest’anno ci si aspetta una affluenza ancora maggiore. (R.P.)

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    Gran Bretagna: la Chiesa esorta i governi ad accogliere i rifugiati siriani

    ◊   La grave situazione di migliaia di siriani che fuggono dalla guerra sarà al centro dell’omelia del presidente della Commissione per i migranti dell’episcopato britannico, mons. Patrick Lynch, nella messa per la Giornata Mondiale dei Migranti e dei Rifugiati, che si celebrerà domenica 19 gennaio, nella cattedrale di San Giorgio. All’omelia, mons. Lynch esorterà i governi britannico e dei Paesi europei, a trovare una soluzione affinché l’Unione Europea possa accogliere alcuni dei rifugiati dalla guerra civile in Siria. Il prelato inviterà a pregare per i genitori e i bambini della Siria, del Sud Sudan e di tutti i Paesi che per causa della violenza, della guerra o delle persecuzioni sono costretti a lasciare le loro case, le loro famiglie e la loro terra. Un pensiero particolare sarà rivolto alla comunità filippina che è stata vittima di devastazione e di disastri naturali, particolarmente dal tifone Haiyan. Il vescovo Lynch, metterà in luce l’enorme contributo della Chiesa e della società dell’Inghilterra e del Galles per appoggiare i progetti rivolti a migliorare la situazione dei migranti e dei rifugiati. Ma rivolgerà anche un ringraziamento speciale alla comunità filippina per il “meraviglioso contributo che hanno dato alle nostre parrocchie e scuole, nei nostri ospedali e nelle nostre diocesi in tutto il Paese”. Infine, mons. Lynch inviterà a pregare, insieme a Papa Francesco, per una conversione degli atteggiamenti nei confronti dei migranti, in modo che non si faccia enfasi sugli “errori” di alcuni, ma sulla rettitudine e sulla qualità della maggioranza. (A cura di Alina Tufani)

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    Myanmar: lo stupro come "arma" dell'esercito birmano

    ◊   Un rapporto della Lega delle donne birmane (Women’s League of Burma), organizzazione con base tra i rifugiati in Thailandia, ricorda che la violenza sessuale, per molti anni al centro delle accuse internazionali, resta uno strumento repressivo utilizzato dall’esercito birmano sul territorio, in particolare nelle aree di conflitto o tensione con le milizie etniche. Secondo il rapporto diffuso attraverso l’agenzia Reuters e ripreso dalla Misna, sarebbero un centinaio le donne, anche minorenni a partire dagli 8 anni di età, stuprate dai militari (28 decedute come conseguenza) dalle elezioni del novembre 2010 che hanno visto l’ascesa di un governo nominalmente civile dopo quasi un cinquantennio di duro regime militare. L’ansia di accreditare il nuovo corso birmano e di approfittare delle opportunità offerte dall’apertura del Paese e dalla graduale fine delle sanzioni, ha spinto molte diplomazie a lasciare cadere l’attenzione riguardo ad abusi che ancora persistono in una realtà che resta fortemente dominata dagli uomini in divisa, direttamente attraverso privilegi loro concessi dalla costituzione, oppure attraverso prestanome civili. Un altro punto a favore, secondo le organizzazioni per i diritti umani e l’opposizione politica, di una revisione della costituzione del 2008. L’esercito birmano, uno dei più agguerriti in Asia, ha raramente individuato e punito i responsabili di violazioni dei diritti umani per le violenze sulla popolazione civile. In un suo rapporto sul Myanmar, anche Human Rights Watch ha descritto come “un problema serio” l’utilizzo della violenza sessuale da parte dei militari. Lo scorso ottobre 133 organizzazioni dei diversi gruppi etnici del Paese, hanno inviato un messaggio al Presidente Usa Barack Obama, al premier britannico James Cameron e al suo omologo australiano Tony Abbott per esprimere preoccupazione per la crescente cooperazione militare con il Myanmar, nonostante che il rapporto sui diritti umani del dipartimento di Stato Usa, nel 2012 sottolineasse la presenza degli stupri come strumento di controllo del territorio, ancora sostanzialmente impunito, in particolare negli Stati Shan e Kachin. (R.P.)

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    Svizzera: la Caritas respinge l'iniziativa contro l'immigrazione di massa

    ◊   Il 9 febbraio, la Svizzera sarà chiamata al voto sull’iniziativa contro l’immigrazione di massa, promossa da alcuni partitici politici e che chiede allo Stato di porre limiti ai migranti, fissando tetti massimi per i permessi per stranieri e richiedenti l‘asilo. Un’iniziativa che la Caritas locale respinge con forza: in una nota diffusa sul suo sito web, l’organismo caritativo sottolinea come tale iniziativa “tenti di opporre tra loro la libera circolazione degli individui e la politica del diritto di asilo”. Se, infatti, “l’iniziativa dovesse essere accettata, bisognerà attendersi degli inasprimenti insostenibili del diritto d’asilo, il che violerebbe gli obblighi internazionale in questo settore”. Inoltre, la Caritas fa una considerazione: “Il numero di rifugiati varia molto da un anno all’altro e il numero di domande d’asilo è oscillato tra i 10mila e i 40mila all’anno, nel corso dell’ultimo ventennio”, anche a causa “delle crisi politiche nel mondo”. Cosa fare dunque? La Caritas lo chiede in modo provocatorio: “Estradare o espellere i rifugiati nei Paesi in cui sono perseguitati? Inasprire ulteriormente la concessione del ricongiungimento familiare, il che rappresenterebbe una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo?”. Per questo, l’organismo caritativo conclude la sua dichiarazione affermando ancora una volta che “la libera circolazione delle persone e la politica d’asilo sono opposte l’una all’altra; i diritti fondamentali dei richiedenti asilo non saranno rispettati e continueranno ad essere indeboliti, con il conseguente indebolimento del clima generale”. Se questa è “proprio l’intenzione di coloro che propongono l’iniziativa”, allora – è l’appello finale della Caritas – “la popolazione svizzera è chiamata a rifiutare un simile degrado del diritto d’asilo”.(I.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 15

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.