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Sommario del 11/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: il rapporto con Gesù salva i sacerdoti da mondanità e idolatria del 'dio Narciso'
  • Papa Francesco: le esperienze di amicizia aiutano la riconciliazione tra le Chiese
  • Ileana Argentin racconta l'incontro con il Papa: grande vicinanza ai disabili, impegno a superare ogni barriera
  • Tweet del Papa: nessun anziano sia “esiliato” nelle nostre famiglie
  • Altre udienze e nomine di Papa Francesco
  • Anno giudiziario vaticano. Il Pg: forte impulso nella prevenzione del riciclaggio nei primi mesi del nuovo Pontificato
  • Il card. Sandri consacra vescovo il vicario di Aleppo: tacciano le armi in Siria, si aprano corridoi umanitari
  • L'elemosiniere del Papa celebra i funerali del senza tetto polacco morto vicino al Vaticano: "Ai poveri la dignità di figli di Dio"
  • Vescovi Usa, Canada, Ue e Sudafrica in Terra Santa. Mons. Kenney: ridare coraggio ai cristiani
  • Caso mons. Wesolowski, nessuna richiesta di estradizione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Studente pakistano muore sventando strage. Bhatti: eroico esempio contro l'estremismo
  • Centrafrica: l'Ue studia l'invio di nuove forze militari
  • Siria: attesa per la riunione dell'opposizione, in programma a Parigi
  • Timor Est: annuncia le dimissioni il premier Gusmao, simbolo dell'indipendenza
  • Il dramma di Haiti a quattro anni dal terremoto: i bambini ancora prime vittime
  • In piazza a Roma per la famiglia e la libertà di espressione
  • La vicenda della bimba a Rapallo. L'avvocato Ruo: l'allontanamento dalla famiglia è l'ultima spiaggia
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Israele: morto l'ex premier Ariel Sharon, era in coma dal 2006
  • Venezuela: i vescovi esortano il governo al dialogo per la riconciliazione e il bene comune
  • Congo, il padre gesuita de la Kethule denuncia "gigantesco traffico di bambini"
  • Mozambico: assistenza sanitaria per neonati di donne sieropositive e malati di Aids indigenti
  • Vietnam: i Gesuiti celebrano i 400 anni di missione con uno speciale Anno Santo
  • Portogallo: le Chiese firmeranno una dichiarazione di riconoscimento del Battesimo
  • Marcia della pace, mons. Bertolone: "Far cadere i muri interiori"
  • Sermig: a Firenze il quarto incontro mondiale dei giovani per la pace
  • Messina: l’accoglienza della diocesi ai profughi
  • Iraq: tra le nuove lingue ufficiali anche il siriaco e l'armeno
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: il rapporto con Gesù salva i sacerdoti da mondanità e idolatria del 'dio Narciso'

    ◊   Il vero sacerdote, unto da Dio per il suo popolo, ha un rapporto stretto con Gesù: quando questo manca, il prete diventa “untuoso”, un idolatra, devoto del ‘dio Narciso’: è quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta stamani a Santa Marta. Hanno concelebrato il cardinale Angelo Bagnasco e un gruppo di sacerdoti dell’arcidiocesi di Genova. Il servizio di Sergio Centofanti:

    L’omelia di Papa Francesco è tutta dedicata ai sacerdoti. Commentando la prima lettera di San Giovanni, laddove dice che abbiamo la vita eterna perché crediamo nel nome di Gesù, il Papa si chiede come sia il rapporto dei sacerdoti con Gesù, perché “la forza di un sacerdote è in questo rapporto”. “Gesù, quando cresceva in popolarità – osserva - andava dal Padre”, si ritirava “in luoghi deserti a pregare”. “Questa è un po’ la pietra di paragone di noi preti – ha affermato - se andiamo o non andiamo a trovare Gesù; qual è il posto di Gesù Cristo nella mia vita sacerdotale? Un rapporto vivo, da discepolo a Maestro, da fratello a fratello, da pover’uomo a Dio, o è un rapporto un po’ artificiale … che non viene dal cuore?”:

    “Noi siamo unti dallo Spirito e quando un sacerdote si allontana da Gesù Cristo può perdere l’unzione. Nella sua vita, no: essenzialmente ce l’ha … ma la perde. E invece di essere unto finisce per essere untuoso. E quanto male fanno alla Chiesa i preti untuosi! Quelli che mettono la loro forza nelle cose artificiali, nelle vanità, in un atteggiamento … in un linguaggio lezioso … Ma, quante volte si sente dire con dolore: ‘Ma, questo è un prete-farfalla!’, perché sempre è nelle vanità … Questo non ha il rapporto con Gesù Cristo! Ha perso l’unzione: è un untuoso”.

    Il Papa ha quindi aggiunto:

    “Noi sacerdoti abbiamo tanti limiti: siamo peccatori, tutti. Ma se andiamo da Gesù Cristo, se cerchiamo il Signore nella preghiera – la preghiera di intercessione, la preghiera di adorazione – siamo buoni sacerdoti, benché siamo peccatori. Ma se ci allontaniamo da Gesù Cristo, dobbiamo compensare questo con altri atteggiamenti … mondani. E così, tutte queste figure … anche il prete-affarista, il prete-imprenditore … Ma il prete che adora Gesù Cristo, il prete che parla con Gesù Cristo, il prete che cerca Gesù Cristo e che si lascia cercare da Gesù Cristo: questo è il centro della nostra vita. Se non c’è questo, perdiamo tutto. E cosa daremo alla gente?”.

    “Il nostro rapporto con Gesù Cristo, rapporto di unti per il suo popolo – ha esortato il Papa - cresca in noi” sacerdoti “ogni giorno di più”:

    “Ma, è bello trovare preti che hanno dato la loro vita come sacerdoti, davvero, e di cui la gente dice: ‘Ma, sì, ha un caratteraccio, ha questo, ha quello … ma è un prete!’. E la gente ha il fiuto! Invece, quando la gente vede i preti – per dire una parola – idolatri, che invece di avere Gesù, hanno i piccoli idoli … piccoli … alcuni devoti del ‘dio Narciso’, anche … Quando la gente vede questi, la gente dice: ‘Poveraccio!’. Quello che ci salva dalla mondanità e dall’idolatria che ci fa untuosi, quello che ci conserva nella unzione, è il rapporto con Gesù Cristo. E oggi, a voi che avete avuto la gentilezza di venire a concelebrare qui, con me, auguro questo: ma perdete tutto nella vita, ma non perdete questo rapporto con Gesù Cristo! Questa è la vostra vittoria. E avanti, con questo!”.

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    Papa Francesco: le esperienze di amicizia aiutano la riconciliazione tra le Chiese

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto, stamani, in Vaticano il Comitato Cattolico per la Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse e le Chiese Ortodosse Orientali, in occasione del 50.mo di istituzione per volere il Paolo VI. Nell’udienza, il Papa ha sottolineato che le esperienze di amicizia e condivisione aiutano il cammino di riconciliazione tra le Chiese. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Il Concilio Vaticano II non era ancora concluso quando Paolo VI istituì il Comitato cattolico per la collaborazione con le Chiese ortodosse. Il Pontefice è ritornato con la memoria a 50 anni fa quando, anche con questa inedita iniziativa, Papa Montini rafforzava l’impegno ecumenico:

    “Il cammino di riconciliazione e di rinnovata fraternità tra le Chiese, mirabilmente segnato dal primo storico incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora, aveva bisogno anche di esperienze di amicizia e di condivisione che nascessero dalla conoscenza reciproca fra esponenti delle diverse Chiese, e in particolare tra i giovani avviati al ministero sacro”.

    Oggi come 50 anni fa, ha ricordato, il Comitato distribuisce borse di studio a religiosi e laici, provenienti dalle Chiese Ortodosse e dalle Chiese Ortodosse Orientali, che desiderano completare gli studi teologici presso istituzioni accademiche della Chiesa Cattolica, “e sostiene altri progetti di collaborazione ecumenica”. Il Papa ha dunque espresso gratitudine ai benefattori e al Consiglio di gestione del Comitato e li ha incoraggiati a continuare la propria missione. Il Pontefice ha quindi rivolto “un saluto speciale” a quanti stanno “completando” gli studi teologici a Roma. “La vostra permanenza in mezzo a noi – ha detto – è importante per il dialogo tra le Chiese di oggi e soprattutto di domani”:

    “Auguro che ognuno di voi possa avere una gioiosa esperienza della Chiesa e della città di Roma, arricchente sotto il profilo spirituale e culturale, e che possiate sentirvi non ospiti, ma fratelli tra fratelli. Sono sicuro, d’altra parte, che con la vostra presenza voi siete una ricchezza per le comunità di studio che frequentate”.

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    Ileana Argentin racconta l'incontro con il Papa: grande vicinanza ai disabili, impegno a superare ogni barriera

    ◊   Questa mattina Papa Francesco ha ricevuto in udienza l’on. Ileana Argentin, disabile, nota per il suo impegno, le sue responsabilità e la sua competenza nel campo delle disabilità, prima nell’ambito del Comune di Roma e ora in quello del Parlamento italiano. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    L’on. Argentin, informa padre Federico Lombardi, si era rivolta al Papa con una lettera personale, chiedendo di potergli presentare diverse problematiche attinenti la disabilità. Il Papa ha risposto dopo breve tempo, invitandola per un colloquio, che ha avuto luogo questa mattina nel Palazzo Apostolico ed è durato circa mezz’ora. Il tema principale su cui l’on. Argentin ha parlato al Pontefice è stato il sostegno da dare in particolare ai genitori delle persone gravemente disabili, che vivono con grande preoccupazione la prospettiva di quanto potrà avvenire ai figli dopo la loro morte e la difficoltà a prendersene cura da parte delle loro sorelle e dei loro fratelli. Sono stati anche toccati altri argomenti, ad esempio il superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e nelle strutture ecclesiastiche. Il Papa, sottolinea il direttore della Sala Stampa vaticana, ha manifestato grande attenzione e interesse per tutto quanto gli è stato detto dall’on. Argentin e ha assicurato, con espressioni di grande cordialità, la sua partecipazione e il suo incoraggiamento per tutte le persone e iniziative che si impegnano ad affrontare con sempre maggiore impegno e consapevolezza i problemi legati alle disabilità.


    Poco dopo l'udienza, Alessandro Gisotti ha chiesto all'on. Ileana Argentin di raccontare l'esperienza dell'incontro con Papa Francesco:

    R. – E' stata una grande emozione... la sua solarità, una grande luce. E’ stato un momento “magico”, se mi posso esprimere in questi termini, quando l’ho incontrato. E’ esattamente come si vede in televisione: una persona umana, vera. Mi ha reso veramente felice. Questa è la sensazione che ho provato.

    D. – Papa Francesco l’ha ascoltata con grande attenzione sulla tematica della disabilità, e in particolare sui problemi delle persone e dei genitori …

    R. – Certamente. Abbiamo parlato per più di mezz’ora, lungamente, di disabilità. Io sono andata da lui per chiedere che le nostre rivendicazioni di diritti venissero affiancate da questa fede. Io sono cattolica, ho sempre creduto, ma Papa Francesco ha fatto veramente la differenza per il mondo dell’handicap. E’ bastato quando ha baciato quel ragazzo disabile in piazza, la prima volta, per far cadere il primo muro, quello del pregiudizio. Quindi sono andata da lui con la speranza che potessimo continuare a lavorare insieme, soprattutto sul rispetto ed il riconoscimento dei genitori.

    D. – Un altro tema che è stato toccato nel vostro colloquio è il superamento delle barriere architettoniche: qui c’è molto da fare negli edifici pubblici, ma anche nelle strutture ecclesiastiche. Cosa ha detto il Santo Padre?

    R. – Che si sarebbe impegnato in prima persona. Io gli ho detto: "Sa, i politici in campagna elettorale tagliano i nastri delle scale e delle discese. Ma poi succede un gran macello, subito dopo"... Anche nelle chiese abbiamo questo tipo di problema. E lui mi ha detto che si sarebbe impegnato in prima persona. Poi abbiamo parlato delle mamme dei ragazzi disabili e della paura che hanno di morire per non lasciarli soli: e lì mi ha detto che dobbiamo parlarne, perché più ne parliamo e più la gente capirà che il genitore di un disabile non ha neanche il "lusso di morire". Devo dire che Papa Francesco, invece, ha sorriso quando gli ho detto: “Quando vado in confessionale mi dicono sempre che porto la croce di Dio e che quindi non devo avere una pena da estinguere”. Lui ha riso molto... Poi mi ha anche ringraziato per avergli fatto capire la sofferenza delle famiglie.

    D. – Da questo incontro immagino che lei trovi anche nuova forza – ne ha tanta, ma anche nuova, no? – per il suo impegno per i diritti delle persone disabili …

    R. – Dicevo al Santo Padre che l’esperienza di questa mattina mi ha dato una carica ancora più forte. C’è necessità che anche noi disabili smettiamo di pensare a noi personalmente e a ricordare che ci sono tanti altri che non hanno neanche voce per parlare. E su questo ci siamo salutati dicendo di non mollare e di andare avanti!

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    Tweet del Papa: nessun anziano sia “esiliato” nelle nostre famiglie

    ◊   “Nessun anziano dovrebbe essere come 'esiliato' nelle nostre famiglie. Gli anziani sono un tesoro per la società”. E’ il tweet lanciato da Papa Francesco sul suo account @Pontifex, seguito da oltre 11 milioni di follower.

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    Altre udienze e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; Mons. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero.

    In Australia, il Papa ha eretto l’Eparchia di St. Thomas the Apostle of Melbourne dei Siro-Malabaresi ed ha nominato primo Vescovo Eparchiale S.E. Mons. Bosco Puthur, trasferendolo dalla sede titolare di Foraziana e dall’incarico di Vescovo di Curia della Chiesa Arcivescovile Maggiore di Ernakulam-Angamaly. Il Papa, nel contempo, ha nominato S.E. Mons. Bosco Puthur all’ufficio di Visitatore Apostolico per i fedeli Siro Malabaresi residenti in Nuova Zelanda.

    In India, Il Santo Padre ha nominato all’ufficio di Visitatore Apostolico per i Siro-Malabaresi residenti in India fuori del territorio della Chiesa Arcivescovile Maggiore, S.E. Mons. Raphael Thattil, Vescovo titolare di Buruni e Ausiliare di Trichur.

    Papa Francesco ha concesso il Suo Assenso all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Caldea del Rev.do Sac. Habib Al-Naufali alla sede Arcieparchiale di Bassorah dei Caldei, del Rev.do P. Yousif Thomas Mirkis, O.P, alla sede Arcieparchiale di Kerkūk dei Caldei e del Rev.do Sac. Saad Sirop all’ufficio di Vescovo Ausiliare della Metropolia Patriarcale di Babilonia dei Caldei, al quale è stata assegnata la sede titolare vescovile di Hirta. Il Papa ha assegnato la sede titolare vescovile di Foraziana a S.E. Mar Bawai Soro, in servizio pastorale nell’Eparchia di Saint Peter the Apostle of San Diego dei Caldei (CA), U.S.A.

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    Anno giudiziario vaticano. Il Pg: forte impulso nella prevenzione del riciclaggio nei primi mesi del nuovo Pontificato

    ◊   Nei primi mesi di Pontificato di Papa Francesco sono venute a compimento importanti innovazioni, già anticipate in alcune disposizioni emanate da Benedetto XVI, in materia di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, nel costante impegno di adeguamento della legislazione vaticana alla normativa sia internazionale sia comunitaria. Così il Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, nella relazione per l’inaugurazione dell’85.mo Anno giudiziario vaticano, tenutasi stamani presso l’Aula delle Udienze nel Palazzo dei Tribunali. Per l’occasione, è stata celebrata la Messa nella Cappella del Governatorato, presieduta dal cardinale Raymond Leo Burke, presidente della Corte di Cassazione. Il servizio di Debora Donnini:

    La relazione del Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, si concentra sulle importanti innovazioni venute a compimento con il Pontificato di Papa Francesco e già anticipate in alcune disposizioni emanate da Benedetto XVI, in materia di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Nel discorso vengono ricordati il Motu Proprio di Benedetto XVI “Per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario” del 30 dicembre 2010 e la legge N. CXXVII che riguarda la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo. Con il Motu Proprio – si ricorda – viene costituita l’Autorità di Informazione Finanziaria, Aif.

    Cogliendo la sostanza e le conseguenze dell’adattamento del diritto vaticano alla normativa sovranazionale, soprattutto comunitaria, si è potuto rilevare come la Città del Vaticano da “enclave” dell’Italia tenda progressivamente a divenire “enclave” dell’Unione Europea, capace di recepire le realtà ordinamentali esterne, senza derivarne contaminazioni estranee alla sua natura e conformazione:

    “Questa recezione di normative comunitarie è particolarmente evidente nell’attività legislativa prodotta nei primi mesi del Pontificato di Sua Santità Francesco, caratterizzati da un forte impulso nell’ambito della legislazione penale, in particolare - come detto - nella prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e si colloca nell’ambito degli impegni assunti nel 2009, con l’adesione del Vaticano alla Convenzione monetaria europea e ai correlati obblighi”.

    Nella Relazione si ricorda il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della Pace celebrata il primo gennaio 2014 nel quale ci si sofferma sui mali che contrastano la dimensione della fraternità, fra i quali i traffici illeciti di denaro e la speculazione finanziaria. Su questi presupposti ecclesiali - si sottolinea - si comprende l’attività normativa dell’attuale Pontificato, che si è concretizzata nella Lettera apostolica in forma di Motu Proprio e nelle tre leggi emanate l’11 luglio 2013.

    Nella relazione si auspica anche la creazione all’interno del Corpo della Gendarmeria di un’apposita sezione o gruppo dedicato alla criminalità di natura economico-finanziaria. Si affronta anche il tema della cooperazione internazionale nella quale è evidente l’impegno della Santa Sede attuato con particolare intensità a partire dal 2012 per un adeguamento sempre più stringente alle direttive sovranazionali, soprattutto per quanto riguarda la criminalità finanziaria e di matrice terroristica. Si ricorda che per quanto riguarda i rapporti con la Repubblica italiana nel 2013 sono pervenute 5 richieste di rogatorie penali e che a tutte è stata data esecuzione. Per la prima volta nella storia dello Stato, poi, nel mese di luglio l’Ufficio del Promotore di Giustizia ha inoltrato una rogatoria alla Procura della Repubblica di Roma in merito ad una vicenda di riciclaggio. Si sottolinea anche che il Promotore di Giustizia ha ricevuto 5 rapporti dall’Autorità di Informazione Finanziaria in ordine a operazioni sospette di riciclaggio per le quali sta svolgendo indagini. Infine si esprime apprezzamento al Corpo della Gendarmeria anche per le attività più collegate direttamente con gli organi giudiziari: attività nelle quali – si evidenzia – ha effettuato indagini di contrasto alla criminalità informatica.

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    Il card. Sandri consacra vescovo il vicario di Aleppo: tacciano le armi in Siria, si aprano corridoi umanitari

    ◊   È “la pace autentica, la vera pace di cui ha grandemente bisogno l’umanità oggi” quella invocata dal card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali. L’appello arriva dal Libano, esattamente da Beirut, in occasione dell’ordinazione episcopale di mons. Georges Abou Khazen, dell’Ordine dei Frati Minori, vicario apostolico di Aleppo, la capitale cristiana della Siria, martoriata dalla guerra. Il card. Sandri ha rivolto il suo pensiero “alle immani sofferenze che si consumano da sin troppo tempo” in Siria e ha ricordato i due metropoliti, il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi e il siro-ortodosso Youhanna Ibrahim, rapiti lo scorso aprile e dei quali “non si sa più nulla”. Ribadendo, poi, che “anche nelle situazioni di lontananza, povertà e dolore”, Dio “non si dimentica dell’uomo” e gli “è accanto”, il card. Sandri ha manifestato la speranza che l’ordinazione episcopale di mons. Abou Khazen possa essere, per la Siria, “l’aurora” di un tempo in cui la giustizia sostituirà l’odio e la letizia risplenderà sul lutto. Sergio Centofanti ha raggiunto telefonicamente il card. Leonardo Sandri a Beirut, chiedendogli innanzitutto cosa desideri portare in Libano:

    R. - Porto con me tutta la fratellanza di Papa Francesco, tutta la sua vicinanza per questa tribolata regione del mondo. Non possiamo perdere la speranza di vedere spuntare l’alba di un nuovo giorno di pace e di riconciliazione e di unione fra tutti quelli che desiderano il bene dell’umanità.

    D. - Quali sono le proposte della Chiesa di fronte al dramma umanitario che sta vivendo la popolazione civile in Siria?

    R. - Quello che la Chiesa desidera è che ci sia al più presto un cessate-il-fuoco, un armistizio, che tacciano le armi e si aprano i corridoi umanitari e arrivino a tutti quelli che stanno soffrendo, da una parte e dall’altra, soprattutto innocenti, bambini, donne… Quindi, in questo senso, tutta la Chiesa sta pregando e lavorando perché si realizzino questi piccoli-grandi obiettivi umanitari.

    D. - Il nuovo vicario avrà ad Aleppo, una città martoriata dalla guerra…

    R. - Esattamente! Lui andrà proprio come pastore in una delle zone dove più imperversa la guerra, dove più c’è odio e separazione. Va come rappresentante di Cristo, come il Buon Pastore, per unire tutti nell’amore.

    D. - Come si può aiutare questa piccola minoranza cristiana che sta soffrendo in Siria?

    R. - Da parte di tutta la comunità internazionale è necessario un appoggio affinché si raggiungano questi obiettivi minimi di riconciliazione e di pace, che poi sono grandissimi. Sarebbe una grande gioia per il mondo intero se si raggiungessero nella prossima conferenza di Ginevra! Tutta la comunità cristiana di tutto il mondo può poi collaborare attraverso le Caritas per far giungere alla Caritas Libano, alla Caritas Siria e alla Caritas Giordania tutto l’appoggio materiale possibile, per poter sollevare questi fratelli da tante sofferenze. Mi permetta, infine, un saluto dal Libano a tutta la comunità cattolica del mondo, a tutti i fratelli cristiani, perché collaborino con la preghiera affinché Gesù porti la pace a questa regione. E grazie a voi per l’aiuto che date attraverso le informazioni, in modo tale che tutti possano prendere coscienza sia della gravità della situazione, sia anche della necessità di collaborare al più presto possibile con tutti.


    Sul significato di questo viaggio, Hélène Destombes ha sentito mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria:

    “E’ molto significativa per noi questa vicinanza, ci dà il senso della solidarietà. Per noi tutti questi gesti del Santo Padre, la preghiera per la Siria del settembre scorso, tutti i suoi appelli, sono gesti per dire che la Chiesa non è lontana e questo è molto importante. Penso anche che la presenza del cardinale Sandri sia una testimonianza di comunione tra Oriente ed Occidente. E’ molto significativo per noi e per tutti gli altri cristiani in Siria, in Libano e in Medio Oriente”.

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    L'elemosiniere del Papa celebra i funerali del senza tetto polacco morto vicino al Vaticano: "Ai poveri la dignità di figli di Dio"

    ◊   In un clima di grande serenità e di famiglia si sono svolti, questo venerdì pomeriggio, nella cappella della Pontificia Università Urbaniana i funerali dell’uomo di 63 anni trovato morto la notte del 10 dicembre scorso, sulla salita del Gianicolo, proprio nei giardini antistanti l’Università. Il suo nome era Alexander Pawlewski, era tra le tante persone senza fissa dimora della zona vaticana di cui si prende cura da trent’anni la Comunità di Sant’Egidio, che ha organizzato i funerali. A celebrare la funzione, mons. Konrad Krajewski, elemosiniere di Papa Francesco, dinanzi agli studenti universitari e ad alcuni compagni di strada di Alexander. C’era per noi Gabriella Ceraso:

    E’ stata una cerimonia semplice con tanti fiori, canti e aperta a quanti con la preghiera hanno voluto salutare Alexander Pawlewski, 63 anni di origine polacca, restituendogli il calore e l’amore mancati in vita e in morte. Proprio quello che nell’omelia ha voluto sottolineare padre Policarpo Nowak della Segreteria di Stato: “Con la crisi economica, spirituale e morale di oggi - ha detto - i cuori di molti si raffreddano e tanti muoiono in condizioni disumane. Dobbiamo difenderci dal male più diffuso: l’egoismo, l’indifferenza, offrendo più tempo al prossimo e riconoscendogli soprattutto la dignità di figlio di Dio”.

    Un cartone per dormire, una coperta per coprirsi e l’anonimato: questo ha invece segnato la vita di Alexander, che tutt’oggi nonostante lo sforzo delle istituzioni e le testimonianze dei suoi compagni di strada, non ha un volto, né una famiglia che lo abbia cercato o voluto. “Una solitudine comune a molti che vivono in strade e che ferisce”, dice Carlo Santoro della Comunità di Sant’Egidio:

    “Riteniamo che le persone per la strada, i poveri, siano esattamente come noi e come noi hanno diritto a un bel funerale, calcolando che spesso, invece, si tratta di persone che muoiono da sole e che nessuno sa che sono morte”.

    Alexander fa parte di quegli “ultimi” che il Papa definisce la “Carne di Cristo sofferente”, quelli che non fanno notizia in una società dominata dalla cultura dello scarto. Francesco a loro arriva proprio attraverso mons. Krajewski, il suo elemosiniere che in tanti, tra i senza tetto della zona vaticana, chiamano in confidenza “padre” e che ha voluto celebrare i funerali di Alexander:

    “Mons Krajewski rappresenta la vicinanza del Papa. Invita un po’ tutta la città a ridiventare famiglia che sta accanto ai poveri, accanto ai chi soffre, a chi non ha nessuno. Spesso i poveri restano molto nell’anonimato: noi proviamo un po’ a farli emergere”.

    “Quando incontriamo i poveri abbiamo stima di loro o li umiliamo?”: ha chiesto padre Novak ancora nell’omelia, concludendo che Cristo si è fatto uomo scegliendo la povertà” e quindi ribadendo che “i poveri sono i veri e privilegiati parenti di Gesù, come di Maria. Trattiamoli e guardiamoli così, dunque”.

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    Vescovi Usa, Canada, Ue e Sudafrica in Terra Santa. Mons. Kenney: ridare coraggio ai cristiani

    ◊   Inizia oggi a Gerusalemme il tradizionale pellegrinaggio del Coordinamento dei vescovi di Nord America, Canada, Sud Africa e Unione Europea per il sostegno alla Terra Santa. Quali le speranze di questa nuova missione? Ci risponde mons. William Kenney, vescovo ausiliare di Birmingham, membro delal delegazione episcopale. L’intervista è di Susan Hodges:

    R. – My hope, of course, is that we may encourage the Christian people …
    La mia speranza è ovviamente riuscire a dare nuovo coraggio ai cristiani che incontreremo a Gaza e in altri luoghi. Il loro timore immagino sia sempre che la situazione in Terra Santa possa peggiorare. In questi ultimi vent’anni – tanti sono gli anni in cui io vengo regolarmente in Terra Santa – la situazione è andata peggiorando ed io sospetto che ci sia meno speranza oggi di quanta ce ne fosse prima. Invece, spero che saremo capaci di portare incoraggiamento agli uomini e alle donne cristiani che incontreremo.

    D. – Papa Francesco si recherà in Terra Santa a maggio: questo potrà rappresentare uno stimolo per la soluzione dei problemi dell’area?

    R. – It will, I’m sure. But whatever diplomacy the Vatican can bring to …
    Sono sicuro che sarà così. Qualsiasi tipo di diplomazia il Vaticano possa mettere in campo, sono sicuro che la visita del Papa sarà un grande stimolo.

    D. – Vi recherete anche a Gaza. Con una particolare attenzione … perché?

    R. – Because I think that it one of places which is most endangered …
    Perché credo che sia una zona particolarmente a rischio, una delle zone in cui le persone soffrono maggiormente. Nell’ambito della comunità locale, quella cristiana è davvero molto piccola – e questo genera un altro problema – anche se credo che siano ragionevolmente ben trattati dai loro vicini: ma la comunità cristiana è davvero molto piccola e fa parte di quella popolazione che più soffre. La comunità cristiana mantiene alcune scuole, frequentate anche da molti musulmani, e questo fa parte delle iniziative volte ad incoraggiare tutto ciò che unisce le persone.

    D. – La situazione in Terra Santa è dunque andata peggiorando. Quali i motivi?

    R. – Well, when I first went out, then of course the Wall did not exist and there …
    Bè, quando sono andato per la prima volta, ovviamente il Muro non c’era ancora e c’era ancora la speranza che si potesse raggiungere un accordo di pace; negli anni ‘90, la Santa Sede aveva avviato i negoziati per un accordo che ancora non è pienamente raggiunto; c’erano molti elementi che davano spazio alla speranza, allora, rispetto ad oggi. Come sa, molti cristiani se ne sono andati dalla Terra Santa, in questo periodo. Quindi, purtroppo ci sono tanti elementi che possono indurre a non essere particolarmente fiduciosi … La mia opinione è che bisognerebbe creare una situazione che unisca le persone, che le faccia incontrare, non che le separi: mentre questo è quello che si tende a fare …

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    Caso mons. Wesolowski, nessuna richiesta di estradizione

    ◊   Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, interpellato dai giornalisti ha risposto ad alcune domande a proposito della situazione dell’ex nunzio nella Repubblica Dominicana, mons. Józef Wesolowski. La Procura Distrettuale di Varsavia – ha detto padre Lombardi - ha chiesto alla nunziatura in Polonia alcune informazioni relative allo status dell’ex nunzio. “Contrariamente a quanto circolato in alcune notizie di stampa – ha proseguito - non si può quindi assolutamente parlare di ‘richiesta di estradizione’. La nunziatura, ha dato risposte relative allo status diplomatico di mons. Wesolowski e alla sua attuale residenza. Dal punto di vista canonico, mons. Wesolowski è sottoposto alla indagine della Congregazione per la Dottrina della Fede ed è in attesa di giudizio. Essendo anche cittadino vaticano in quanto membro del servizio diplomatico – ha concluso padre Lombardi - la competenza penale sul suo caso appartiene anche agli Organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, che stanno compiendo l’iter documentario e testimoniale necessario per il giudizio di loro competenza”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Come dev’essere il prete: Messa del Papa a Santa Marta.

    Un passaggio epocale: Mario Ponzi sull’apertura dell’anno giudiziario del tribunale vaticano.

    Compromesso in Siria il futuro di un’intera generazione: secondo Ban Ki-moon in tre anni di conflitto sono andati perduti decenni di sviluppo.

    Teologico e dunque storico: Yves Simoens sulla rivalutazione storica del Vangelo secondo Giovanni

    Pensava al futuro più che ai voti: Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, illustra la lezione di Robert Schuman all’Unione europea del XXI secolo.

    Emilio Ranzato mette in evidenza leggerezza e impegno nel film “La mafia uccide solo d’estate” di Pierfrancesco Diliberto.

    Elogio della fragilità: Claudio Toscani recensisce il primo romanzo della scrittrice anglo-americana Taiye Selasi, che racconta le contraddizioni del Ghana attraverso la storia di una famiglia.

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    Oggi in Primo Piano



    Studente pakistano muore sventando strage. Bhatti: eroico esempio contro l'estremismo

    ◊   Ha fatto il giro del mondo la notizia dello studente pakistano di 14 anni, che ha sventato una strage lanciandosi su un attentatore suicida, pronto a far saltare in aria una scuola con 2mila alunni nel distretto di Hangu. L’azione è stata poi rivendicata da un gruppo settario sunnita. Ora tutto il Pakistan chiede per questo giovane che ha dato la vita per salvare quella dei suoi compagni, il massimo riconoscimento al valore previsto dall’esercito. Il servizio di Cecilia Seppia:

    Appena il giovane Aitazaz ha visto un detonatore sbucare sotto la tunica di un kamikaze, non ha esitato. Gli ha tirato un sasso, l’ha inseguito, strattonato per il giubbotto, fino a gettarglisi addosso e ad attutire con il suo corpo, l’esplosione fortissima, che avrebbe provocato una strage. E’ accaduto lunedì alla Ibrahimzai School nel distretto di Hangu, nella provincia del Khyber, ma solo ieri Mudassar, cugino del ragazzo, lo ha raccontato ai media. “Ho cercato di dissuaderlo, ha detto, ma lui era troppo coraggioso, il migliore di tutti anche in classe”. Per lui, eroe bambino, migliaia di articoli, omaggi commossi di Facebook e Twitter e gli appelli al governo perché gli conferisca il massimo riconoscimento al valore, generalmente riservato all’esercito. I suoi compagni ora lo chiamano “Aitazaz cuor di leone”. Qualche reporter locale lo ha definito martire nella guerra contro i talebani. E poi Malala, la ragazzina che nel 2012 si prese un colpo di pistola in testa per aver sfidato il divieto di studiare nel distretto dello Swat, ha offerto alla famiglia del ragazzo 3.500 euro. La scuola, teatro di questo drammatico episodio, aspetta la visita del premier Sharif che ha ribadito di voler intensificare la lotta al terrorismo.


    Ascoltiamo il commento di Paul Bhatti, presidente dell’associazione Apma (“All Pakistan Minority Alliance”):

    R. – Questo gesto da una parte fa dolore, perché un giovane ha perso la vita. D’altra parte, quanto accaduto da un grande messaggio perché per la gente del posto, specialmente i bambini e gli alunni delle scuole, in una zona particolarmente colpita dal terrorismo estremista, questo giovane ha dimostrato questo coraggio e questa sensibilità. E’ un messaggio molto positivo! Io ringrazio il presidente e il primo ministro che hanno proposto di assegnare a questo studente il riconoscimento di una medaglia al coraggio: questo riconoscimento è tra i più prestigiosi, in Pakistan.

    D. – Quindi, abbiamo detto un gesto coraggioso, certamente, che però ci induce anche a riflettere su come questa gente – i giovani, in particolare – in Pakistan vivano in un clima di perenne terrore: in qualunque momento infatti può saltar fuori un kamikaze e uccidere persone innocenti in nome di chissà cosa …

    R. – Sì: questa certamente è una cosa che va sottolineata. Dall’altra parte, voglio dire che in Pakistan ci sono scuole religiose che giustificano questo tipo di formazione kamikaze in nome della religione. La sensibilità dimostrata da questo studente condanna, in qualche modo, quel tipo di educazione e di ideologia che sta distruggendo il Paese. Perciò, da parte degli studenti che hanno potuto vedere da vicino come l’intenzione del kamikaze fosse di uccidere loro e i loro compagni, ci sarà di certo la condanna di questo tipo di ideologia che invece alcuni giustificano – perché per la religione lo stanno già facendo – e questo sarà un grande messaggio che il coraggio di questo ragazzo saprà trasmettere.

    D. – A rivendicare l’attacco è stato un gruppo settario sunnita. Ovviamente, parliamo di lotte intestine tra sunniti e sciiti, parliamo della piaga del terrorismo, della mancata tutela delle minoranze religiose: a che punto siamo, su questo fronte?

    R. – La tutela delle minoranze religiose e l’insorgere di estremismi, in Pakistan, sono direttamente proporzionali all’instabilità del Paese. Il Pakistan, ultimamente, sta diventando ulteriormente instabile: lo è dal punto di vista dell’economia, a causa della disoccupazione che sta aumentando. Il Paese sta soffrendo in maniera incredibile, e questi atti sono direttamente proporzionali. Se il Paese sta soffrendo, se il Paese diventa instabile, chiaramente le minoranze che fanno parte dei gruppi maggiormente emarginati ed oppressi, soffrono molto di più. Noi abbiamo un’associazione, che era stata fondata da mio fratello minore Shabbaz, che si chiama “Alleanza di tutte le minoranze del Pakistan” e con questa abbiamo programmato, per i prossimi mesi, varie attività di dialogo interreligioso. Abbiamo proposte ben precise da presentare al primo ministro e al gabinetto dei ministri, che sono volte a tutelare le minoranze religiose. E vedo qualche segnale positivo: indirettamente, attraverso alcuni ministri, ho mandato questo messaggio al primo ministro, e vedo reazioni positive. Tra queste proposte, ad esempio, il diritto al doppio voto, l’eliminazione dalle scuole di alcune materie d’insegnamento che portano la discriminazione religiosa nel Pakistan; pure, la formazione di alcune aziende affinché creino maggiori possibilità di lavoro per le donne, svantaggiate in Pakistan.

    D. – Lei ha parlato di tante proposte che sono, immagino, anche sul tavolo del governo. Però, per il premier Sharif, comunque resta predominante la questione della lotta al terrorismo …

    R. – Sì, certo: infatti, finché non ci sarà pace in Pakistan, finché non sarà eliminato il terrorismo in Pakistan, nessuno potrà avere beneficio. L’economia non potrà riprendersi, non ci sarà educazione, non ci sarà armonia, in Pakistan.

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    Centrafrica: l'Ue studia l'invio di nuove forze militari

    ◊   Ancora violenze in Centrafrica, all’indomani delle dimissioni del presidente Djotodia e del suo primo ministro Tiangaye. Nella capitale Bangui si registrano almeno tre morti e diversi saccheggi, da parte dei ribelli musulmani "Seleka" e delle milizie cristiane anti-Balaka. E mentre comincia l’evacuazione degli stranieri presenti nel Paese, l’Unione europea studia l’invio di nuove forze militari. Per un commento sulla complessa situazione centrafricana, ascoltiamo Anna Bono, docente di Storia dei paesi e delle istituzioni africane all’Università di Torino, intervistata da Antonella Pilia:

    R. - Nel breve periodo io sono molto preoccupata perché non ci si può nascondere il fatto che la situazione è arrivata a un livello critico estremo, in un Paese in cui la popolazione si è ritrovata improvvisamente divisa su basi religiose. Il timore è che sia troppo tardi per impedire una strage, perché è uno stillicidio di morte, di aggressioni, di violenze… Altro fattore molto importante da aggiungere è che questa crisi si sta ripercuotendo nei Paesi circostanti e rischia di diventare una crisi regionale di proporzioni notevoli. E’ certo, per esempio, che nel confinante Congo siano presenti sia i miliziani dell’ex coalizione "Seleka" sia truppe centrafricane, che sconfinano seminando il panico nella popolazione del Congo. Lo stesso accade anche in Camerun.

    D. - Quali scenari politici si aprono, dunque, nel Paese?

    R. - Si vedrà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane cosa può comportare questo cambiamento. Bisogna aspettare che si sappia quali possano essere le personalità politiche idonee a sostituire il presidente e il primo ministro. E’ chiaro che si cerca di trovare dei nomi che accontentino tutte le categorie del Paese.

    D. - Alcune organizzazioni chiedono un rafforzamento del contingente militare. Secondo lei potrebbe essere decisivo?

    R. - Può essere decisivo, però è una situazione veramente molto delicata. Per esempio, per quanto riguarda il contingente francese che è già attivo da mesi nel Paese, la popolazione cristiana - che è la maggioranza - lo accusa con veemenza di non aver fatto il possibile, di non aver agito con abbastanza decisione; d’altra parte, la popolazione islamica accusa questo contingente, con altrettanta veemenza, di essere dalla parte degli anti-Balaka, cioè dei cristiani che si sono organizzati in gruppi militari e che, a loro volta, aggrediscono le comunità islamiche. Dall’esterno - sia militarmente che diplomaticamente - la storia ci insegna che è più facile creare problemi che non risolverli. Sono i centrafricani che devono riuscire a trovare un modo di risolvere questa crisi: finché non c’è una volontà e una capacità oggettiva delle forze politiche e sociali del Paese - che comunque si stanno muovendo - non si può, a mio avviso, pensare che interventi esterni, per quanto energici, siano risolutivi.

    D. - Lei come guarda a questa possibilità?

    R. - Sono molto preoccupata, perché quando i vicini - persone e famiglie che prima vivevano relativamente in armonia - sono ostili fra di loro e si armano gli uni contro gli altri, vuol dire che si è rotto un equilibrio e non è facile. Bisogna sempre ricordare che in Africa il fattore tribale è un fattore identitario molto forte e radicato, che facilmente innesca conflitti e scatena dei mostri, dei demonii… A questo proposito, ricordo il Rwanda e il genocidio del ’94; ma penso anche quello che sta succedendo in Sud Sudan, in piena guerra civile, dove i protagonisti sono due etnie: i dinka e i nuer.

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    Siria: attesa per la riunione dell'opposizione, in programma a Parigi

    ◊   Resta sempre tesa la situazione in Siria. Negli ultimi giorni sono stati 500 i morti negli scontri tra gruppi ribelli e miliziani qaedisti, nel Nord del Paese. In attesa della riunione "Ginevra 2", in calendario il 22 gennaio a Montreaux, domani a Parigi è in programma il vertice degli “Amici della Siria” per cercare di trovare una posizione compatta all’interno dell’opposizione. In merito, Benedetta Capelli ha intervistato Marco Pizzigallo, ordinario di Relazioni internazionali all'Università Federico II di Napoli:

    R. - È auspicabile che vengano sciolte tutte le riserve e cadano veti incrociati. Io mi auguro una posizione condivisa che se non altro potrà molto agevolare, sul piano diplomatico, a rendere meno impervio e meno accidentato il cammino della conferenza "Ginevra 2", convocata per il 22 gennaio. Quello delle opposizioni è un fronte al cui interno ci sono varie componenti. A creare molta preoccupazione il fronte anti Assad composto da miliziani più o meno, direttamente o indirettamente, collegati a gruppi che fanno capo al radicalismo militante e che, quindi, sono su posizioni estreme.

    D. – L’incognita per "Ginevra 2" invece è rappresentata sempre dalla posizione iraniana, mentre la Russia negli ultimi giorni ha ribadito il suo forte sostegno ad Assad…

    R. – Sì. Il punto qui è cruciale: la Russia e l’Iran che fanno parte del "problema siriano", devono anche far parte della soluzione. Dobbiamo lasciare campo alla diplomazia, quindi fare sì che la riunione sia il massimo della rappresentatività possibile. Si deve trovare una road map nella quale prima di tutto imporre il cessate-il-fuoco a tutte le parti, quindi liberare il popolo siriano; in secondo luogo porre le basi per una transizione al dopo regime che deve essere guidata dalla Comunità internazionale.

    D. – Riguardo ad Assad, negli ultimi tempi, a livello di terreno, la sua posizione si è rafforzata…

    R. – Perché Assad ha potuto contare sull’appoggio risolutivo e determinante delle milizie armate Hezbollah che provenivano dal Libano. Da un lato abbiamo quel che resta delle truppe siriane leali al regime di Assad – e che sono prevalentemente di confessione alawita – queste sono aiutate dalle milizie Hezbollah anch’esse di ispirazione sciita. Questa alleanza ha fatto registrare sul campo dei passi avanti. Dall’altro lato, ripeto, abbiamo un fronte abbastanza composito delle opposizioni.

    D. – Il Nord del Paese è sconvolto da questa battaglia tra gruppi ribelli e miliziani qaedisti. C’è anche – secondo molti osservatori – il rischio di balcanizzazione della Siria…

    R. – Il rischio è reale. Le milizie comunque – direttamente o indirettamente collegate alla galassia qaedista – sono molto attive anche in altri Paesi dello scacchiere mediorientale, basta pensare all’Iraq o all’onda d’urto che potrebbe colpire il Libano. Il pericolo è reale, ma l’antidoto non può essere la radicalizzazione delle posizioni o la speranza che da Ginevra esca una soluzione che vada bene solo ad uno degli attori. Tutti gli attori interni o esterni alla crisi siriana – ma non estranei ad essa – devono fermarsi ed evitare di proseguire su questa strada e cercare, a tutti i costi, di imboccare la via della soluzione diplomatica.

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    Timor Est: annuncia le dimissioni il premier Gusmao, simbolo dell'indipendenza

    ◊   Il primo ministro di Timor Est, Xanana Gusmao, ha annunciato che, a settembre, lascerà la guida della più giovane nazione dell'Asia. Gusmao è stato il leader del movimento indipendentista timorese durante i 24 anni di occupazione indonesiana, dal 1975 al 1999. A giugno del 2012 era stato rieletto premier dell’ex colonia portoghese, per un mandato di 5 anni. Gusmao - che probabilmente raggiungerà la moglie in Australia, dove sta seguendo un ciclo di cure - ha annunciato di voler lasciare l’incarico perché “è arrivato il momento di preparare le nuove generazioni a guidare” il Paese. Sulla figura di Xanana Gusmao e sulle speranze per Timor Est, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Dili suor Giannina Spaggiari, delle Figlie di Maria Ausiliatrice - le Suore salesiane di Don Bosco -, missionaria nel Paese dal 2001:

    R. - Xanana Gusmao è stato capo degli indipendentisti, per lungo tempo nascosti nelle foreste: li ha guidati dal 1975 al 1999, praticamente fino a quando ci sono state le elezioni, vinte dai timoresi che volevano l’indipendenza. Tant’è vero che un suo collaboratore, anch’egli timorese, Taur Matan Ruak, è adesso presidente della Repubblica. Sono arrivata a Dili nel 2001: il 22 maggio 2002, c’è stata una grande festa per l’indipendenza, hanno alzato la bandiera timorese, è stato emozionante. Ricordo il periodo in cui l’Assemblea costituzionale – di cui faceva parte anche Gusmao – era riunita per scrivere la prima Costituzione timorese e formare il primo governo locale. In quell’epoca c’era come governatore transitorio - dopo l’indipendenza votata e conquistata, ma non ancora realizzata - Sérgio Vieira de Mello, un brasiliano dell’Onu, che purtroppo qualche tempo dopo è morto in un’esplosione in Iraq. Il 22 maggio del 2002, appunto, il primo governo tutto timorese ha cominciato a governare il Paese; Gusmao fu eletto presidente della Repubblica e José Ramos Horta primo ministro. Nel tempo le cariche si sono anche invertite.

    D. - Che Paese è oggi Timor Est?

    R. - Il Paese oggi sta attraversando una crisi grande in questo senso: a Timor c’è molto petrolio e tante nazioni ‘premono’ sul Paese: qui non esistono industrie locali e anche dal punto di vista alimentare - per esempio - Timor è ancora colonizzato, perché viene tutto da fuori, dall’Australia, dalla Cina, dall’Indonesia. Ha poi bisogno di tecnici: manda i giovani a studiare all'estero, ma molte volte i giovani non ritornano; accetta ditte straniere, specialmente dalla Cina, che vengono a costruire ponti, palazzi. I timoresi però non se ne rendono ancora conto, perché sono felici di essere finalmente al governo, indipendenti. Timor inoltre produce riso, ananas, banane e grano turco: produce molto, ma non è industrializzato e le vie di comunicazione sono precarie.

    D. - Invece c’è un aspetto positivo da sottolineare?

    R. - Un desiderio forte di affermazione, di indipendenza; una religiosità cattolica, anche se con poca formazione, ma questo è un po’ nel mondo intero. C’è da dire però che la religiosità ha ancora radici nella cultura animista e nelle antiche credenze del luogo. Noi andiamo avanti con un processo di evangelizzazione, cercando nella cultura locale quegli elementi che possano essere evangelizzati, come per esempio il senso della fraternità. Nel Vangelo si parla dei “fratelli di Gesù”, delle “sorelle di Gesù”: qui a volte è difficile capire chi sia davvero fratello o cugino o nonno, perché c’è un senso di comunione e di comunità molto forte.

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    Il dramma di Haiti a quattro anni dal terremoto: i bambini ancora prime vittime

    ◊   A quattro anni dal terremoto Haiti resta un cumulo di macerie. Decine di migliaia di persone vivono ancora in tende o baracche, mentre la malnutrizione colpisce la maggior parte dei bambini; uno su due non ce la fa a superare i tre anni di vita. Una situazione drammatica, dunque, quella che vive l’isola caraibica, dove i fondi raccolti dalla comunità internazionale all’indomani del sisma sono spesso scomparsi o addirittura non sono mai stati stanziati. Nonostante le mille difficoltà, però, ogni anno giungono ad Haiti centinaia di volontari, pronti a sostenere in tutte le attività la popolazione locale. La Fondazione Francesca Rava è una delle Onlus che recluta volontari; persone che hanno, però, bisogno di essere supportati a gestire l’emergenza, perché inconsapevoli del dramma che vivranno in prima persona. Aiutare loro a comprendere quanto sta accadendo è uno dei compiti di Roselìne, giovane haitiana referente della Fondazione Rava sull’isola. Salvatore Sabatino l’ha intervistata:

    R. – Qui, la situazione è molto difficile. Quando arrivano qui persone che vengono dall’Europa, mostro loro le realtà degli slum, mostro loro come vivono gli haitiani, in modo che possano comprendere la situazione drammatica della popolazione. Quando sono qui, riescono a capire cosa significa quando diciamo che “una persona sta morendo di acqua, di fame”: toccano con mano la situazione e capiscono molto bene.

    D. – Qual è la cosa più difficile da far capire a chi arriva ad Haiti?

    R. – La cosa più difficile da far capire è il fatto che muoiono i bambini. Ad Haiti, muore un bambino su due, ogni giorno. La cosa ancora più difficile da far comprendere è che una persona su tre non ha da bere e non ha cibo. Per una persona che non è del posto, è molto difficile comprendere tutto questo.

    D. – Sono trascorsi quattro anni dal terremoto del 2010. Che tipo di emergenza vive oggi Haiti?

    R. – Haiti è sempre stato un Paese dell’emergenza, e oggi, a quattro anni dal terremoto, restano ancora molti problemi da risolvere, in particolare per quanto riguarda la ricostruzione. C’è poca sicurezza e tanta violenza, soprattutto in uno slum, che è il maggiore, dove ogni tanto scoppiano guerre tra bande rivali. Tutto questo accade perché la gente ha fame, perché non hanno nulla da fare, non hanno un lavoro e per questo aumenta l’aggressività. Del denaro di cui si dice che sia arrivato ad Haiti, si sono perse le tracce, e il popolo vive in una situazione ancora precaria.

    D. – In questo momento, con tutte le difficoltà che ci sono in quello che da molti viene descritto come un inferno, c’è comunque la speranza per un futuro migliore, o c’è più rassegnazione e rabbia, in questo momento?

    R. – Il popolo haitiano è un popolo che vive di speranza e quindi spera sempre che il domani sia migliore. Noi lo speriamo, perché non si può rimanere in questa situazione e pensare che verrà il peggio: si deve sempre pensare in positivo; anche se non accade, bisogna però pensarlo. Però, noi siamo così, siamo fatti così: pensiamo positivo, pensiamo che il domani sarà migliore!

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    In piazza a Roma per la famiglia e la libertà di espressione

    ◊   In piazza per garantire la libertà di espressione e preservare matrimonio e famiglia. Questo sabato alle 15.30 in piazza Santi Apostoli a Roma la Manif pour tous Italia organizza una manifestazione con l’adesione di tutte le associazioni cattoliche impegnate nella difesa della famiglia e contro la proposta di legge Scalfarotto sul contrasto all’omofobia, definita una “legge bavaglio”. Al microfono di Paolo Ondarza il portavoce dell’organizzazione Filippo Savarese:

    R. - Noi saremo in piazza per dire che il decreto legge Scalfarotto contro l’omofobia lede questo principio - libera espressione delle opinioni -, perché sostanzialmente andrà a punire coloro i quali credono che il matrimonio sia l’unione esclusiva tra un uomo ed una donna.

    D. - Voi riproponete l’esperienza della Manif pour tous, il movimento francese sorto dopo l’approvazione della legge contro l’omofobia. Lì, si è verificata questa imposizione di un pensiero unico?

    R. - Si è verificata in toni drammatici. Manif pour tous ha per logo una famiglia stilizzata tinta di rosa. Ecco, al giorno d’oggi, chi gira in Francia, a Parigi, per la strada, con una maglietta con quel logo addosso, viene fermato dalla gendarmeria e se non si toglie la maglietta - che è considerata ormai un motivo politico - viene condotto in questura e riceve la sanzione tipica di chi manifesta senza l’autorizzazione. Questa è un’estremizzazione da contrastare e bisogna far di tutto perché in Italia non si instauri questo clima di pensiero dominante che, volendo evitare delle discriminazioni, ne crea di reali e molto peggiori.

    D. - Quando lei dice: “Chi gira con questa maglietta”, si riferisce ad un caso che è accaduto: una persona che girava con una maglietta rappresentante appunto questa famiglia – padre, madre con i due bambini - è stata fermata ...

    R. - È possibile trovare delle cronache in Rete ...

    D. - Ma, si sono verificati altri casi nel momento in cui lei dice: “Chi gira anche oggi con questa maglietta”?

    R. – Sì, si sono verificati dei casi: un ragazzo è stato fermato, il papà di una famiglia che stava passeggiando per il parco è stato fermato dalla gendarmeria, la quale gli ha chiesto di togliersi questa maglietta. Ma, questa stessa immagine era stata usata da un importante istituto di credito per promuovere una polizza per le famiglie. Qui, si usava questo logo in modo neutro. Questa banca è sta accusata di comportamento omofobico. È iniziata una gogna mediatica, e la banca ha dovuto ritirare questa immagine dal proprio sito. È un po’ come il “caso Barilla” in Italia.

    D. - È paradossale, anche perché Manif pour tous vuol dire proprio Manifestazione per tutti, cioè consentire a tutti di potersi esprimere, non imporre un pensiero unico ...

    R. - Perché noi crediamo che le ragioni che sosteniamo siano ragioni di natura antropologica, e la ragione umana può aderire a queste argomentazioni qualunque siano le convinzioni e le strutture politiche, religiose. Ne è la prova il fatto che moltissime persone di orientamento omosessuale condividono questa nostra posizione. All’evento parteciperà il presidente di Homovox, un’associazione di omosessuali francese, per dire che quello che sta accadendo non è espressione di un’unica comunità di omosessuali o altre categorie simili, ma è un movimento ideologico che riguarda soltanto una piccola parte.

    D. – Dunque, una manifestazione laica che coinvolge tante sigle; prima citavamo Homovox, ma non sarà la sola ...

    R. - Non sarà la sola, tant’è vero che in Francia le manifestazione erano caratterizzate dal fatto che i partecipanti brandivano non la Bibbia, ma il Codice civile che riconosceva la natura reale del matrimonio nella società. Quando noi diciamo che la famiglia è una società naturale fondata su un uomo ed una donna, non citiamo la Bibbia ma citiamo la Costituzione italiana all’articolo 29. Quindi, sicuramente le religioni, la filosofia, gli studi antropologici danno un sostegno, possono dare una comprova, ad un fatto che, però, per natura e per ragione può essere comprensibile a chiunque.

    D. - Secondo quel diritto naturale che però oggi si tende a sovvertire in nome di una nuova teoria che ha tutte le caratteristiche di un’ideologia, quella del gender ...

    R. - Sì, ha tutte le caratteristiche di una dittatura, perché l’aspetto più tragico dell’ideologia del gender non è tanto e non solo nei contenuti - che sono deprecabili perché negano il fatto evidente che le presone sono divise in maschi e femmine - ma soprattutto nei metodi che sono del tutto impositivi. Basti pensare che uno dei cavalli di battaglia di chi sostiene l’ideologia del gender è quella di indottrinare i giovani - i giovanissimi - fin dalle scuole dell’infanzia, addirittura, con questi nuovi concetti che non hanno alcuna base scientifica - ma solo puramente ideologica - violando il diritto veramente sacro di ogni famiglia di scegliere liberamente l’indirizzo educativo dei propri figli. Questo è tragico!

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    La vicenda della bimba a Rapallo. L'avvocato Ruo: l'allontanamento dalla famiglia è l'ultima spiaggia

    ◊   Fa discutere in questi giorni la vicenda di Rapallo dove una bimba di quattro anni è stata prelevata all’asilo dai servizi sociali di Santa Margherita Ligure e dalla polizia su disposizione del Tribunale dei minori di Genova che ha deciso l'allontanamento della piccola dalla madre. Per i giudici, la donna di 34 anni, di origini romene, "ha dimostrato in questi anni un livello di grave inadeguatezza e irresponsabilità genitoriale, non mettendosi in grado di provvedere autonomamente al mantenimento e alla cura della figlia nonostante i molti e cospicui sostegni offerti" e la bambina veniva a trovarsi in condizioni che ne mettevano a rischio la salute psicofisica e le prospettive evolutive. La donna si difende dicendo di aver sempre collaborato con i servizi sociali. “Lavoravo in nero per poter portare qualcosa in casa – ha detto - ho rifiutato il lavoro a Sestri Levante perché era un lavoro notturno e non potevo lasciare la bambina". Stupore della direttrice dell’istituto frequentato dalla bimba e da parte delle altre mamme che dicono di voler aiutare la donna. Senza entrare nei particolari di questa vicenda, per approfondire la questione dei minori allontanati dai genitori, Debora Donnini ha sentito l’avvocato Maria Giovanna Ruo, presidente dell’associazione “Cammino”, Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia e i Minorenni:

    R. - Naturalmente non parlo del caso perché non lo conosco - bisogna conoscere gli atti prima di parlare di un caso - però certamente posso richiamare i principi di diritto che presiedono l’esercizio di quella che da febbraio - visto che ieri è uscito il decreto legislativo attuativo della legge 219, del 2012 – si chiamerà “responsabilità genitoriale”. Sono un insieme di doveri e poteri attribuiti ai genitori, in funzione del benessere dei figli. Anche i genitori naturalmente hanno dei diritti, ma il diritto prioritario è quello della persona minore di età che si deve sviluppare al meglio. Quando i genitori non sono in grado di esercitare questa responsabilità nell’interesse dei figli deve intervenire lo Stato, prima di tutto come sostegno ai genitori, aiutarli anche a consapevolizzarsi rispetto a quali sono le esigenze dei figli, non soltanto con provvidenze ma anche con percorsi di consapevolizzazione, di aiuto, sostegno psicologico e quant’altro. L’allontanamento della famiglia è veramente l’estrema ratio, l’ultima spiaggia, perché tendenzialmente - per principio di diritto - si presume che i genitori siano i migliori garanti del superiore interesse del minore, coloro che lo possono meglio attuare. Se ciò non succede, in casi limite, si può arrivare anche all’allontanamento che però dovrebbe essere sempre accompagnato da un percorso di sostegno con una consapevolizzazione del genitore rispetto alle sue carenze, che possono anche essere “non volute” ma ciò non toglie che la persona di età minore abbia bisogno invece di una cura non carenziale. Le modalità, poi, dovrebbero essere al massimo rispettose, ove possibile, della fiducia che bisogna avere nelle istituzioni e la fiducia la devono avere sia i genitori, sia i figli perché se questo nesso fiduciario si interrompe drammaticamente, è molto difficile ripristinarlo.

    D. – Prelevare un minore all’improvviso da un asilo è certamente traumatico per il bambino ...

    R. – In linea di massima dovrebbe veramente essere limitato a casi estremi, dove c’è un pericolo per la vita, per una esecuzione serena perché un bambino si sente tradito, si sente minacciato dalle istituzioni se viene allontanato dai propri genitori con quello che lui avverte come un inganno. Genitori che possono essere inaccudenti secondo la nostra prospettiva ma a cui può voler bene. Ci sono rarissimi casi in cui si dovrebbe ricorrere ad azioni di questo genere: quando c’è in pericolo il benessere psicofisico del bambino, la sua stessa vita, perché i genitori si oppongono assolutamente e si temono atti di violenza; allora, in questo caso è il male minore ma è comunque un male. Inoltre, poi il bambino deve essere aiutato a recuperare la fiducia, perché credo che chiunque si metta nella situazione di una persona che crede di andare in un luogo e poi va in un altro, si sentirebbe tradito e minacciato, da quel momento in poi.

    D. – In base alla sua esperienza di avvocato e presidente dell’associazione Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia e i Minorenni, cosa succede quando avvengono questi allontanamenti? Come si potrebbe migliorare la questione?

    R. – Succede che c’è una ferita profondissima nel bambino: sono stata curatore di minori allontanati in questo modo. Ricordo da parte di alcuni di loro una chiarissima denuncia di una modalità che avevano sentito come brutale, come non necessaria. Bisognerebbe che non ci fossero tagli alla spesa sociale, perché poi è possibile fare tutto anche con la preparazione degli addetti ai lavori, ma bisogna investire su queste cose. Purtroppo allo stato attuale, ormai da anni, si assiste a tagli alla spesa sociale che hanno messo in ginocchio il nostro stato di welfare, e questo sicuramente non aiuta.

    D. – Comunque l’allontanamento secondo lei deve essere di estrema ratio

    R. – Sì, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo per cui vivere insieme – genitori e figli – è un diritto fondamentale, protetto dell’articolo 8 della Convenzione sui diritti umani. Direi che molto più autorevolmente di me, lo dice la Corte europea dei diritti dell’uomo.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella Festa del Battesimo del Signore, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù viene battezzato da Giovanni nel Giordano. Uscito dall’acqua, una voce dal cielo dice:

    «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

    Sul significato di questa Festa ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    A Natale abbiamo contemplato l’Emanuele, il Dio che si è fatto uomo per stare con noi. Oggi lo vediamo al fiume Giordano che viene battezzato da Giovanni Battista. Un battesimo che non gli toglie nessuna colpa, perché è l’Agnello senza macchia, ma che lo consacra con la missione che il Padre gli affida: Colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo fa peccato in nostro favore, perché in Lui possiamo diventare giustizia di Dio (cf 2 Cor 5,21). Ed ecco si aprono i Cieli – quel Cielo che l’uomo avevo chiuso col peccato – e dai Cieli aperti scende su Cristo la pienezza della Presenza divina, lo Spirito Santo. Il compiacimento di Dio torna a mettere la sua dimora tra i figli dell’uomo. In questo scenario del Giordano, che aveva visto il primo esodo, quando Israele uscì dall’Egitto ed entrò nella Terra Promessa, ha ora inizio un nuovo esodo, quello di Gesù Cristo, la sua Pasqua da questo mondo al Padre. In questo esodo Gesù non è “solo”: ci unisce a sé, si fa uno con la Sua Sposa. Ecco la meraviglia della festa che celebriamo: oggi la Chiesa, lavata dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo suo Sposo. Tutti gli uomini, sono invitati al battesimo che seppellisce nell’acqua l’antico modo di vivere, l’uomo vecchio, per dare all’uomo una vita ed uno spirito nuovo. Il battesimo è un “dono”, poiché è dato a coloro che non hanno nulla; è grazia, perché viene elargito anche ai colpevoli e seppellisce il peccato nell'acqua…; è illuminazione, perché è luce sfolgorante; è veste, perché copre la nostra vergogna; è lavacro, perché ci lava; è sigillo, perché ci custodisce ed è il segno della signoria di Dio” (cf S. Gregorio Nazianzeno, citato in CCC 1216).

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Israele: morto l'ex premier Ariel Sharon, era in coma dal 2006

    ◊   È morto oggi in Israele l’ex primo ministro Ariel Sharon. Lo ha riferito la locale radio dell’esercito. Sharon aveva 85 anni e da otto era in coma per le conseguenze di un ictus. Già generale dell’esercito, esponente del partito Likud, più volte ministro in vari governi israeliani a partire dagli anni ottanta (era titolare del portafoglio della Difesa all’inizio delle operazioni in Libano nel 1982), fu eletto primo ministro nel 2001: durante il suo mandato fu costruita la barriera tra Israele e la Cisgiordania ed ebbe luogo il ritiro dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza. Alla vigilia delle elezioni del 2006, fondò il partito centrista Kadima, ma non poté assistere alla realizzazione del suo progetto, a causa dell’ictus che lo colpì il 4 gennaio 2006. (D.M.)

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    Venezuela: i vescovi esortano il governo al dialogo per la riconciliazione e il bene comune

    ◊   Il governo venezuelano e i vescovi della Conferenza Episcopale hanno raggiunto un accordo per lavorare insieme nella costruzione di uno “spazio di pace” nel paese. In dichiarazioni all’agenzia Efe, il ministro dell’Interno Miguel Rodriguez, ieri, dopo un incontro con i vescovi riuniti in Assemblea plenaria da martedì scorso, ha affermato che insieme hanno trovato alcuni punti di convergenza per intraprendere progetti rivolti all’educazione dei giovani ai valori e alla lotta contro il consumo di droghe. La riunione con l’alto funzionario del governo ha avuto come cornice la pubblicazione dell’Esortazione pastorale “Dialogo e Pluralismo”, nella quale i vescovi venezuelani hanno rinnovato il loro rifiuto a ogni forma di esclusione e segregazione politica da parte dei diversi attori politici nazionali. Nella presentazione del documento ai giornalisti, il presidente dell’episcopato venezuelano, mons. Diego Padrón, ha segnalato come positivo l’iniziativa del presidente Maduro di convocare “un dialogo con i governatori provinciali e i sindaci che non appoggiano il suo progetto politico e che rappresentano gran parte della popolazione”. Tuttavia, il presidente dell’episcopato ha avvertito che per la riuscita di questo dialogo “devono essere rispettati i diritti costituzionali e l’autonomia delle provincie, delle regioni e dei municipi”. Nel documento, i vescovi manifestano ancora una volta la loro preoccupazione per il problema della delinquenza e per l’insicurezza in tutto il Paese. Altri argomenti trattati nel documento sono l’inefficienza dei servizi sanitari per mancanza di strumenti e di materiale essenziale negli ospedali; l’assenza di continuità nel progetto di costruzione di abitazioni; la diminuzione del potere di acquisto, conseguenza dell’inflazione; la continua carenza di prodotti alimentari di prima necessità provocata anche dall’usura, dalla speculazione e dal contrabbando. Il documento critica la politica del governo di voler impiantare un’egemonia comunicativa, “con limitazioni e censure ai mezzi di comunicazione, il che rappresenta una violazione della libertà di espressione e d’informazione garantita dalla Costituzione nazionale”. Infine, il documento episcopale ribadisce la preoccupazione della Chiesa per le politiche in campo educativo. “Il governo nazionale vuole imporre un nuovo curriculum scolastico di educazione media e superiore, ideologizzato e politicizzato”, denunciano i vescovi, che vedono in queste azioni un elemento in più di conflitto per le famiglie che rivendicano il proprio diritto a scegliere l’educazione da impartire ai propri figli. Il presidente dell’episcopato venezuelano, mons. Diego Padrón, ha aggiunto che durante il colloquio con il ministro dell’Interno si è parlato dell’educazione religiosa e delle istituzioni della Chiesa cattolica che collaborano al miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie e a progetti di sviluppo sociale. I rapporti tra il governo e la Chiesa Cattolica negli ultimi anni è stato caratterizzato da alti e bassi; non poche sono state le critiche e gli attacchi contro le autorità ecclesiastiche. Il ministro ha assicurato che ci saranno altri incontri per trattare temi d’interesse sociale e collaborare in progetti orientati al bene comune. (A.T.)

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    Congo, il padre gesuita de la Kethule denuncia "gigantesco traffico di bambini"

    ◊   Un “gigantesco” traffico di bambini nelle città di Kikwit e Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo: a denunciarlo è il padre gesuita Henri de la Kethule che ha lanciato un appello perché le autorità pongano fine a quanto sta accadendo da almeno nove mesi nella regione di Bandundu. Secondo quanto ha raccontato il religioso all’emittente congolese Radio Okapi, all’origine di questo turpe traffico vi sarebbe un’organizzazione criminale che sfruttando il suo nome - ben noto a Kikwit per le opere di bene - convince i genitori ad affidare loro i propri figli perché abbiano una vita migliore a Kinshasa, mentre in realtà lo scopo sarebbe quello di venderli al miglior offerente. Alle famiglie verrebbe infatti prospettata la sistemazione dei bambini in un fantomatico orfanotrofio aperto dal gesuita. Padre Henri de la Kethule è assai popolare per il suo impegno in ambito sanitario e da anni porta avanti una campagna volta a far conoscere una forma di anemia diffusa nella Repubblica Democratica del Congo. “Prendono due bambini alla volta – spiega padre de la Kethule a Radio Okapi – perché questi bambini che vengono sottratti alle loro famiglie, non si sentano improvvisamente soli”. Il religioso chiede dunque alle autorità di aprire un’inchiesta allo scopo di porre fine all’orribile traffico, ma soprattutto perché i bambini vengano protetti. (T.C.)

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    Mozambico: assistenza sanitaria per neonati di donne sieropositive e malati di Aids indigenti

    ◊   Assistenza e cure per i malati di Aids in Mozambico. Ad occuparsene è l’ospedale generale di Marrere che assiste una popolazione di circa 300 mila abitanti, tra cui le persone che vivono negli slums della grande città di Nampula, distante 14 km dall’ospedale. Si tratta dell’unica struttura ospedaliera della zona che accetta il ricovero degli ammalati di Hiv-Aids, affidati alle Missionarie Comboniane. Attenzione particolare - come racconta Fides - è riservata alle donne e ai bambini sieropositivi, sia per quanto riguarda la diagnosi tempestiva, sia per l’aiuto morale e materiale una volta accertato l'esistenza del virus. Oltre all’assistenza medica, le suore assicurano programmi di educazione alimentare e la distribuzione di cibi locali arricchiti. In particolare, sono previsti la distribuzione di latte vaccino alle madri durante tutto il periodo dell’allattamento e un programma alimentare per i bambini fino a 5 anni. Per le madri vengono organizzati incontri di educazione alimentare, tenuti da un nutrizionista, per insegnare quali sono i cibi più nutrienti per i bambini durante le diverse fasi della crescita. Per garantire assistenza medica alla popolazione, che è impossibilitata a raggiungere l’ospedale, è stato avviato un programma di visita domiciliare. (F.P.)

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    Vietnam: i Gesuiti celebrano i 400 anni di missione con uno speciale Anno Santo

    ◊   Il 18 gennaio prossimo la Compagnia di Gesù in Vietnam darà l’avvio a uno speciale Anno Santo in preparazione al quattrocentesimo anniversario dell’arrivo dei primi missionari gesuiti nel Paese asiatico. Ne dà notizia l’agenzia Eglise d’Asie, ripresa da L’Osservatore Romano, che ricorda come il 18 gennaio 1615 i primi figli spirituali di sant’Ignazio, accompagnati da alcuni cristiani giapponesi, sbarcarono nel porto di Hôi An, nel Vietnam centrale. Sebbene altri missionari fossero in precedenza già arrivati nel Paese per annunciare il Vangelo, questo resta l’episodio, più noto e certo, cui si fa risalire la storia dell’evangelizzazione in Vietnam. In questa occasione, i gesuiti vietnamita hanno aperto in rete un sito speciale (www.loanbaotinmung.net). Un articolo pubblicato sul sito ha annunciato che questo anno santo inizierà il 18 gennaio 2014 per terminare il 18 gennaio dell’anno successivo. L’anno santo si aprirà con una messa solenne presieduta dal vescovo di My Tho, Paul Bùi Van Ðoc, nella cattedrale di Notre-Dame di Ho Chí Minh. L’iniziativa, si legge ancora su L’Osservatore Romano, intende favorire il rinnovamento dei membri della Compagnia di Gesù in Vietnam e di tutti coloro che seguono la spiritualità ignaziana. Esso contribuirà anche a rafforzare lo spirito missionario e aiuterà i cristiani vietnamiti a conoscere meglio la storia della missione nel loro Paese. Prima dell’arrivo dei gesuiti, infatti, tentativi di evangelizzazione isolati erano già avvenuti nel corso del XVI secolo. Per esempio, alcuni annali segnalano nel 1533 la presenza di un occidentale, denominato «I-Ni-Khu», impegnato nella diffusione del cristianesimo nella regione di Nam Dinh. Successivamente, nel 1550 e nel 1580, si segnala la presenza di alcuni domenicani. Nel 1584 sarà la volta di quattro francescani. Sarà però con l’arrivo dei gesuiti — il cui primo sbarco si registrò appunto il 18 gennaio 1615 — che il processo di evangelizzazione si confermò in maniera costante. I gesuiti ebbero un ruolo importante nell’elaborazione di una scrittura nazionale e di una catechesi adatta per il popolo vietnamita. (I.P.)

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    Portogallo: le Chiese firmeranno una dichiarazione di riconoscimento del Battesimo

    ◊   Rappresentanti di varie Chiese cristiane del Portogallo, tra cui quella Cattolica, Presbiteriana, Metodista e Ortodossa, firmeranno, il prossimo 25 gennaio, a Lisbona, una dichiarazione di riconoscimento mutuo del Sacramento del Battesimo. Il presidente della Commissione Episcopale di Missione e Nuova Evangelizzazione, mons. Antonio Couto, che ha accompagnato il dialogo ecumenico, ha dichiarato all’Agenzia Ecclesia della Conferenza episcopale portoghese che si tratta di un “avvenimento di portata nazionale” che viene a “coronare molti anni di lavoro”. L’atto della firma avrà luogo simbolicamente nel giorno conclusivo della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani con una celebrazione ecumenica nazionale nella cattedrale Lusitana (Chiesa Anglicana) di San Paolo. I responsabili dell’organizzazione della storica celebrazione ecumenica hanno ribadito che l’importanza del riconoscimento mutuo del Battesimo è un passo in più nel cammino del dialogo ecumenico tra le Chiese che sigleranno l’accordo. “Questo passo concreto – si legge nel comunicato congiunto delle Chiese cristiane - riafferma le tante cose che ci uniscono in Cristo come i suoi discepoli, come un popolo di battezzati chiamati a essere nel mondo e per il mondo un segno credibile del Vangelo”. La cerimonia che sigla l’accordo avrà luogo in “un contesto orante che riunirà la gerarchia, i fedeli e soprattutto i giovani delle diverse Chiese nell’ascolto della Parola e nell'impegno per la causa della riconciliazione e dell'unità”, aggiunge la nota nella quale si ricorda il testo del paragrafo n.3 del decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, Unitatis Redintegratio, nel quale si dichiara che tutti i cristiani “giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore”. Infine, il comunicato congiunto delle Chiese cristiane del Portogallo che firmeranno l’accordo ha ricordato che il beato Giovanni Paolo II nel n. 42 della enciclica sulla Unità dei Cristiani Ut Unum Sint sottolineava che “il riconoscimento della fraternità non è la conseguenza di un filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia ma esso si radica nel riconoscimento dell'unico Battesimo e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera”. Proprio sulle affermazioni del beato Papa polacco, che sarà canonizzato nel prossimo aprile, il comunicato ricorda che il riconoscimento del Battesimo “va ben al di là di un atto di cortesia ecumenica e costituisce una basilare affermazione ecclesiologica” . Pertanto come stabilito dal direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo questo riconoscimento reciproco e ufficiale del Battesimo va siglato insieme alle implicazioni teologiche, pastorali e ecumeniche del caso. (A.T.)

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    Marcia della pace, mons. Bertolone: "Far cadere i muri interiori"

    ◊   “Una marcia non è fine a se stessa, continua negli animi, produce onde che vanno lontano, fa sorgere problemi, orientamenti, attività”. Lo ha detto ieri sera, come riferisce il Sir, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, mons. Vincenzo Bertolone, al termine della “Marcia della pace” che si è svolta nel comune di Borgia. Dopo un primo momento di riflessione la marcia, promossa dalla Commissione diocesana Giustizia, pace e salvaguardia del Creato, ha raggiunto la chiesa parrocchiale di san Giovanni Battista. Per l’arcivescovo, ognuno “deve far cadere i muri dentro le proprie teste, spezzare il proprio fucile. Non aspettiamo che siano gli altri a disarmarsi, incominciamo noi!”. L’arcivescovo ha poi parlato della polemica che sta coinvolgendo alcuni Comuni per la costruzione di una discarica di oltre 40 ettari in una zona “già troppo compromessa e colpita dietro la giustificazione dell’energia pulita e del progresso tecnologico”. “Noi tutti vogliamo strutture che diano lavoro e pane ai nostri giovani e se tale discarica è legale e sana, siamo contenti per coloro che, secondo giustizia e legalità, troveranno un’occupazione”, ha detto mons. Bertolone, ma allo stesso tempo “non vogliamo per i nostri figli strutture che diano pane avvelenato, condito con scorie tossiche”. (D.M.)

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    Sermig: a Firenze il quarto incontro mondiale dei giovani per la pace

    ◊   Sarà una “veglia per svegliarci e per svegliare”, il quarto appuntamento mondiale "Giovani della pace", promosso dal Sermig Arsenale della Pace fondato da Ernesto Olivero. Crediamo - hanno spiegato al Sir gli organizzatori, commentando il tema dell’incontro che si svolgerà a Firenze l’8 marzo prossimo - che in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, uno dei più difficili della nostra storia, possano avvenire gesti profetici e di effettivo cambiamento e che da noi, dal nostro Paese possa partire un grande segnale di speranza”. “Sarà un appuntamento con la coscienza - continuano - per dire i ‘no’ e i sì’ che possono avviare un cambiamento in ognuno di noi, nella società, nel mondo intero”. La scelta di Firenze è legata alla figura di Giorgio La Pira, sindaco della città negli anni Cinquanta e Sessanta, che in quegli anni, spiegano gli organizzatori, “ci ha fatto capire che l‘incontro e il dialogo tra culture, schieramenti e religioni diverse è possibile e ci ha trasmesso la passione di provarci. Ci ha dato fiducia e l‘Arsenale della Pace, trent‘anni fa, è iniziato a partire da questo sogno”. In attesa di definire i dettagli del programma, il Sermig invita tutti coloro che sono interessati a partecipare ad iscriversi e a dare disponibilità anche per l’organizzazione dell’evento. (D.M.)

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    Messina: l’accoglienza della diocesi ai profughi

    ◊   La diocesi di Messina ha offerto, attraverso il suo ufficio Caritas, l’accoglienza a più di 100 profughi di varie nazionalità. Per trenta giorni, a partire dal 7 gennaio, resteranno in tre strutture di altrettante parrocchie. L’adeguamento di un’altra struttura consentirà la disponibilità di 60 posti entro il mese di febbraio. Questi i numeri indicati in una nota diffusa dal Sir. Inoltre, la diocesi sta procedendo all'organizzazione di un centro di accoglienza interamente dedicato ai minori non accompagnati a Villafranca. “La Chiesa di Messina - prosegue la nota emessa dalla curia - sta accogliendo anche i minori non accompagnati nell’istituto delle suore Figlie del Divino Zelo e nell’istituto delle suore Cappuccine di Pistunina dato in gestione all’Ai.Bi., associazione che su tutto il territorio nazionale si occupa di minori mediante le adozioni e l’affido temporaneo”. (F.P.)

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    Iraq: tra le nuove lingue ufficiali anche il siriaco e l'armeno

    ◊   Il Parlamento iracheno ha riconosciuto anche il siriaco e l'armeno tra le lingue ufficiali del Paese, così come quella dei Turkmeni. La legge in materia - approvata dalla Camera dei Rappresentanti negli scorsi giorni - rappresenta il punto d'arrivo di dieci anni di sforzi e mobilitazioni per far riconoscere a livello legislativo una norma già prefigurata nella Costituzione. Il principio espresso dalla Carta fondamentale è un’espressione dell'uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini iracheni. Di fatto, fino ad oggi, le uniche lingue riconosciute come ufficiali dall'amministrazione pubblica erano l'arabo e il curdo. Il provvedimento – riferiscono fonti locali consultate dall'Agenzia Fides – è stato accolto con soddisfazione dalle comunità cristiane interessate. “Il siriaco, la lingua di Cristo, la lingua dei nostri antenati, di Babilonia e dell'Assiria è tornato a essere una lingua ufficiale in Iraq” ha dichiarato Yonadam Kanna, parlamentare iracheno e segretario generale dell'Assyrian Democratic Movement. La legge troverà applicazioni concrete soprattutto nelle aree più densamente popolate dai cristiani armeni e siri, come la Piana di Ninive e i Governatorati di Dahuk e Erbil. Nel momento drammatico vissuto dal Paese, di nuovo ferito dagli scontri settari e aggredito anche militarmente dalle milizie jihadiste, il provvedimento legislativo riafferma la vocazione plurale, interetnica e interconfessionale come la strada per garantire il futuro dell'Iraq come Nazione. (D.M.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 11

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.