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Sommario del 07/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: mettere alla prova il nostro cuore per ascoltare Gesù, non i falsi profeti
  • Il Papa visita il presepe vivente: iniziamo l'anno con Gesù che vince il demonio e resta con noi
  • Brasile. Il Papa alle Comunità di Base: siamo tutti chiamati a evangelizzare e dialogare col mondo
  • Nomina episcopale di Papa Francesco in Canada
  • Tweet del Papa: Lasciamo un posto libero a tavola per chi manca del necessario o è rimasto solo
  • Segreteria di Stato: titolo di "monsignore" concesso solo dopo i 65 anni di età
  • Radio Vaticana: il canale 105 lancia "I giochi dell'armonia", temi e voci ispirati dal Papa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Al Qaeda fa strage di 50 attivisti ad Aleppo
  • Tunisia, nuova Costituzione pari diritti alle donne. Prof. Sala: "Passo rilevante"
  • Cresce l'esercito dei baby kamikaze, fenomeno figlio della povertà da combattere con l'educazione
  • Tasse: è caos sulla casa. Domani per i Comuni l'aumento della Tasi
  • Scuola “Sentinelle di Pasqua”: incontri e preghiera per aiutare altri giovani
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Cina: Papa Francesco eletto tra i 10 “uomini-chiave del 2013”
  • Egitto: i copti ortodossi festeggiano un Natale "blindato", ma senza violenze
  • Egitto. Natale copto ortodosso: il presidente Adli Mansour visita il patriarca Tawadros
  • Natale ortodosso. Il Patriarca Kirill: "Dio non è più lontano ma in mezzo a noi"
  • Mons. Lazzarotto e mons. Twal sul Papa in Terra Santa: un appello alla pace e al dialogo
  • Terra Santa: la visita annuale del Coordinamento dei vescovi di Usa ed Europa
  • Sud Sudan: appello di pace del leader cristiani
  • Centrafrica: per l'Onu il Paese è "sull'orlo della catastrofe"
  • Senegal: per Casamance segnali di pace
  • Bangladesh: dopo le elezioni cristiani e indù vivono nella paura
  • Sri Lanka: il vescovo di Mannar chiede inchiesta internazionale sui crimini di guerra
  • Myanmar. Giornalisti in piazza per protestare contro la condanna al carcere di una collega
  • Cile: la Chiesa sul conflitto in Araucania chiede di ascoltare il popolo Mapuche
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: mettere alla prova il nostro cuore per ascoltare Gesù, non i falsi profeti

    ◊   Il cristiano sa vigilare sul suo cuore per distinguere ciò che viene da Dio e ciò che viene dai falsi profeti. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, la prima dopo le festività natalizie. Il Papa ha ribadito che la via di Gesù è quella del servizio e dell’umiltà. Una via che tutti i cristiani sono chiamati a seguire. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Rimanete nel Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa esortazione dell’Apostolo Giovanni, contenuta nella Prima lettura. Un “consiglio di vita”, ha osservato, che Giovanni ripete in modo “quasi ossessivo”. L’Apostolo indica “uno degli atteggiamenti del cristiano che vuole rimanere nel Signore: conoscere cosa succede nel proprio cuore”. Per questo avverte di non prestare fede a ogni spirito, ma di mettere “alla prova gli spiriti”. E’ necessario, ha evidenziato il Papa, saper “discernere gli spiriti”, discernere se una cosa ci fa “rimanere nel Signore o ci allontana da Lui”. “Il nostro cuore – ha soggiunto – sempre ha desideri, ha voglie, ha pensieri”. Ma, si è chiesto, “questi sono del Signore o alcuni di questi ci allontanano dal Signore?” Ecco allora che l’Apostolo Giovanni ci esorta a “mettere alla prova” ciò che pensiamo e desideriamo:

    “Se questo va nella linea del Signore, così andrai bene, ma se non va… Mettete alla prova gli spiriti per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. Profeti o profezie o proposte: ‘Io ho voglia di far questo!’. Ma questo non ti porta al Signore, ti allontana da Lui. Per questo è necessaria la vigilanza. Il cristiano è un uomo o una donna che sa vigilare il suo cuore. E tante volte il nostro cuore, con tante cose che vanno e vengono, sembra un mercato rionale: di tutto, tu trovi di tutto lì... E no! Dobbiamo saggiare – questo è del Signore e questo non è – per rimanere nel Signore”.

    Qual è, dunque, il criterio per capire se una cosa viene da Cristo oppure dall’anticristo? San Giovanni, ha affermato il Papa, ha un’idea chiara, “semplice”: “Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo, venuto nella carne, è di Dio. Ogni spirito che non riconosce Gesù non è di Dio: è lo spirito dell’anticristo”. Ma cosa significa, dunque, “riconoscere che il Verbo è venuto in carne?” Vuol dire, ha osservato il Pontefice, “riconoscere la strada di Gesù Cristo”, riconoscere che Lui, “essendo Dio, si è abbassato, si è umiliato” fino alla “morte di croce”:

    “Quella è la strada di Gesù Cristo: l’abbassamento, l’umiltà, l’umiliazione pure. Se un pensiero, se un desiderio ti porta su quella strada di umiltà, di abbassamento, di servizio agli altri, è di Gesù. Ma se ti porta sulla strada della sufficienza, della vanità, dell’orgoglio, sulla strada di un pensiero astratto, non è di Gesù. Pensiamo alle tentazioni di Gesù nel deserto: tutte e tre le proposte che fa il demonio a Gesù sono proposte che volevano allontanarlo da questa strada, la strada del servizio, dell’umiltà, dell’umiliazione, della carità. Ma la carità fatta con la sua vita, no? Alle tre tentazioni Gesù dice di no: ‘No, questa non è la mia strada!’”.

    Il Papa ha, quindi, invitato tutti a pensare proprio a cosa succede nel nostro cuore. A cosa pensiamo e sentiamo, a cosa vogliamo, a vagliare gli spiriti. “Io metto alla prova quello che penso, quello che voglio, quello che desidero – ha domandato – o prendo tutto?”:

    “Tante volte, il nostro cuore è una strada, passano tutti lì… Mettere alla prova. E scelgo sempre le cose che vengono da Dio? So quale sono quelle che vengono da Dio? Conosco il vero criterio per discernere i miei pensieri, i miei desideri? Pensiamo questo e non dimentichiamo che il criterio è l’Incarnazione del Verbo. Il Verbo è venuto in carne: questo è Gesù Cristo! Gesù Cristo che si è fatto uomo, Dio fatto uomo, si è abbassato, si è umiliato per amore, per servire tutti noi. E l’Apostolo Giovanni ci conceda questa grazia di conoscere cosa succede nel nostro cuore e avere la saggezza di discernere quello che viene da Dio e quello che non viene da Dio”.

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    Il Papa visita il presepe vivente: iniziamo l'anno con Gesù che vince il demonio e resta con noi

    ◊   Una grande folla festante ha accolto ieri pomeriggio, Papa Francesco che si è recato in visita privata alla rappresentazione del Presepe vivente fatta dalla parrocchia di Sant'Alfonso Maria de' Liguori alla periferia di Roma nord. Il Santo Padre è stato accompagnato dal cardinale vicario, Agostino Vallini, e dal vescovo del settore nord mons. Guerino Di Tora. Il servizio di Marina Tomarro:

    “Iniziamo l'anno con Gesù, egli rimane con noi e vince il male e preghiamo, preghiamo per tutti, soprattutto per i bambini che nasceranno e per i nonni che sono la saggezza E grazie per l'accoglienza, per il vostro fervore cristiano e per questo bel presepe vivente che avete fatto". Così Papa Francesco ha salutato e benedetto i parrocchiani della chiesa di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, accorsi numerosi all'annuncio della sua visita nella loro comunità. Ad attenderlo, oltre 100 bambini che lo hanno accolto con grande mazzo di rose rosse e a cui il Papa ha rivolto alcune domande:

    “Gesù rimane con noi?

    Sì!

    Anche il diavolo rimane con noi?

    No!

    Gesù vince il diavolo?

    Sì!

    Il diavolo vince tutti noi?

    No!

    Siete bravi, eh? Complimenti ai catechisti!”

    E il Santo Padre ha voluto visitare sia la chiesa che il presepe vivente collocato accanto a essa, dove è stata ricostruita una piccola Betlemme, con botteghe che ricordano i mestieri tipici dell'epoca come falegnami calzolai, e fabbri. Il Pontefice si è fermato qualche minuto davanti ad ognuna di esse, per salutare gli oltre 200 figuranti che hanno partecipato alla sacra rappresentazione, ma soprattutto si è recato alla capanna della natività dove lo attendeva il piccolo Francesco, che ha avuto il ruolo di Gesù Bambino e che ha ricevuto il Sacramento del Battesimo proprio ieri mattina. E grande è stata l’emozione per questa visita inaspettata. Ascoltiamo alcuni commenti:

    R. – E’ stata, soprattutto, una grande emozione, indescrivibile: sono rimasta senza parole. E’ una persona, infatti, veramente meravigliosa. Ci resta nel cuore e ci trasmette veramente amore.

    R. – Una meraviglia! Una grazia enorme che il Signore ci ha fatto. Una cosa fantastica! Vederlo, poterci parlare è semplicemente bellissimo. E’ una grazia ed anche una benedizione per questa parrocchia, per tutti i parrocchiani e soprattutto per i bambini.

    D. – Tu interpreti Giuseppe, cosa ti ha detto il Papa?

    R. – Mi ha chiesto quando mi sposerò. Gli ho detto che è in progetto, ma non so ancora quando, ecco.

    R. – Siamo contenti di quello che lui sta facendo. Papa Francesco è vicino ai poveri, vicino alla gente semplice come noi e vogliamo seguirlo in quello che lui sta dicendo, soprattutto nella tenerezza e nell’amore verso tutti.

    E la visita di Papa Francesco rimarrà un evento storico per questa chiesa. Ascoltiamo il parroco, don Dario Criscuoli:

    R. – Mi rimarrà un risveglio nella fede, perché il Papa ci ha confermati nella fede, come ho detto più volte. Ci ha detto che bisogna continuare così, che il diavolo non vuole tutto questo. E mi ha detto: “Tu non scoraggiarti! Vai avanti, perché se il diavolo non vuole le cose, bisogna farle”.

    D. – Cosa cambierà da oggi nella sua parrocchia?

    R. – Cosa cambierà non lo so, dipende dal cuore di ciascuno di noi. Sicuramente, però, l’auspicio che io faccio, come parroco, è che ci siano dei frutti di conversione, che la gente conosca il Signore e cominci ad aprirsi veramente alla sua volontà.

    D. – Questa visita è stata annunciata qualche giorno fa. Quanto è stata grande la sorpresa per lei e per i suoi parrocchiani?

    R. – Sorpresa grandissima, perché mi ha chiamato e mi ha detto: “Appena ho letto la lettera, ho detto ‘io là ci devo andare’”. Siamo stati contenti di averlo qui e ancora non ci credo.

    E ad accompagnare il Santo Padre c’era anche il cardinale vicario Agostino Vallini:

    R. – Vuol dire che il Papa segue, ascolta. Ha ricevuto una lettera da parte dei ragazzi della parrocchia, che l’hanno invitato a visitare il presepe vivente, ed è venuto a visitarlo, passando un pomeriggio diverso, incontrando tante persone e incoraggiandole al bene.

    D. – Quanto sono importanti per la diocesi di Roma questi esempi?

    R. – Sono importanti perché è il vescovo che visita il suo popolo. Non dimentichiamo che il Papa è il vescovo di Roma e quindi lui incontra il suo popolo.


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    Brasile. Il Papa alle Comunità di Base: siamo tutti chiamati a evangelizzare e dialogare col mondo

    ◊   “L’evangelizzazione è un dovere di tutta la Chiesa, di tutto il Popolo di Dio”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un messaggio al 13.mo incontro nazionale delle Comunità ecclesiali di base brasiliane, al via oggi nella città di Juazeiro do Norte. Tema dell’incontro, che si chiuderà l’11 gennaio prossimo, è “Giustizia e profezia al servizio della vita”. Il Papa sottolinea che “tutti dobbiamo essere pellegrini, nelle zone rurali come nelle città, portando la gioia del Vangelo ad ogni uomo e ad ogni donna”.

    Il Papa, che affida i partecipanti alla protezione della Madonna di Aparecida, sottolinea il ruolo che le Comunità di base hanno nella “fondamentale missione evangelizzatrice della Chiesa”. “Molte volte – afferma il Pontefice richiamando l’Evangelii Gaudium – apportano un nuovo fervore evangelizzatore e una capacità di dialogo con il mondo che rinnovano la Chiesa”. Al tempo stesso, avverte il Papa sempre riprendendo la sua prima Esortazione Apostolica, “è molto salutare” che le comunità di base “non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo, e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare”. Papa Francesco rivolge infine ai partecipanti all’evento l’esortazione di San Paolo ai Corinzi: “Guai a me se non predicassi il Vangelo”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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    Nomina episcopale di Papa Francesco in Canada

    ◊   In Canada, Papa Francesco ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Ottawa il rev.do Christian Riesbeck, C.C., cancelliere della medesima arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare di Tipasa di Numidia.

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    Tweet del Papa: Lasciamo un posto libero a tavola per chi manca del necessario o è rimasto solo

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Lasciamo un posto libero a tavola: un posto per chi manca del necessario, per chi è rimasto solo”.

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    Segreteria di Stato: titolo di "monsignore" concesso solo dopo i 65 anni di età

    ◊   La Segreteria di Stato ha stabilito che d’ora in poi l’unico titolo onorifico di “monsignore” sarà quello di “Cappellano di sua Santità” e sarà attribuito a sacerdoti oltre i 65 anni di età e non più, come in passato, dai 35. Il titolo continuerà invece a essere usato, tra gli altri, per i vescovi e negli Uffici della Curia Romana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La missione, nella sua essenza e verità, e non l’alone di prestigio che ne deriva. Si può cogliere questo insegnamento, particolarmente caro a Papa Francesco, tra le righe della recente disposizione della Segreteria di Stato che, con una lettera circolare inviata alle nunziature, chiede di informare i singoli episcopati “che d’ora in poi nelle Diocesi l’unico ‘titolo ecclesiastico’ onorifico che verrà concesso (e a cui corrisponderà l’appellativo di ‘monsignore’) sarà quello di ‘Cappellano di Sua Santità’, e sarà attribuito solo a sacerdoti che abbiano compiuto il 65.mo anno di età”.

    L’uso dell’appellativo, prosegue la direttiva, rimane invece “invariato” quando sia “connesso a certi uffici importanti”, come quello di vescovo o di vicario generale della diocesi. E nessuna variazione interesserà in merito anche in seno alla Curia Romana, sia per ciò che concerne i titoli sia circa l’uso dell’appellativo “monsignore”, “essendo connesso – si precisa – agli uffici affidati, al servizio svolto”. Tale norma, chiarisce la Segreteria di Stato, “non ha effetto retroattivo”, per cui chi abbia “ricevuto un titolo in precedenza lo conserva”. Inoltre, la disposizione non introduce novità nemmeno per ciò che riguarda le onorificenze pontificie per laici.

    “E’ stato giustamente osservato – si legge in chiusura della nota informativa – che già Paolo VI, nel 1968, aveva ridotto a tre (rispetto ai precedenti, più numerosi) i titoli ecclesiastici onorifici. La decisione di Papa Francesco si pone quindi nella stessa linea, come ulteriore semplificazione”.

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    Radio Vaticana: il canale 105 lancia "I giochi dell'armonia", temi e voci ispirati dal Papa

    ◊   Da oggi prende il via una nuova fascia di programmazione, intitolata “I giochi dell’armonia”, sul canale 105 FM della Radio Vaticana. La nuova fascia vuole offrire agli ascoltatori temi e voci che aiutino a conoscere e a partecipare al cammino che Papa Francesco sta proponendo a tutti gli uomini del nostro tempo. Un cammino volto al rinnovamento interno della Chiesa e al dialogo con il mondo attuale. Il titolo, “I giochi dell’armonia”, prende spunto dalle parole pronunciate da Papa Francesco in occasione della Pentecoste, nel maggio scorso, “nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo, Lui è proprio l’armonia”. In onda dal lunedì alla domenica alle ore 7.00 (in replica alle 17.35, esclusa la domenica), e alle 21.00, la trasmissione avrà una durata di 25’. L’edizione serale delle ore 21.00, sempre di 25’ dal lunedì alla domenica, avrà un taglio di approfondimento con puntate monografiche di letteratura, incontri, personaggi, prosa, pastorale, catechesi e Magistero.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In Terra Santa sulle orme di Paolo VI: Papa Francesco annuncia che dal 24 al 26 maggio si recherà ad Amman, Betlemme e Gerusalemme.

    A cinquant'anni dal viaggio di Paolo VI in Terra Santa, il testo dell'udienza che Papa Montini tenne, al ritorno, il 15 gennaio, l'articolo della teologa Adriana Zari pubblicato sull'"Osservatore della domenica" del 12 gennaio e il contributo che Jean Guitton scrisse su "L'Osservatore Romano", il primo gennaio, presentando il pellegrinaggio che il Pontefice si apprestava a realizzare.

    Augusto Pessina ai magi del nostro tempo.

    Il bimbo e il fanciullo: una poesia di Marco Beck tratta dalla raccolta "Sarai raggiante. Variazioni poetiche sul tema della Natività".

    Alessando Scafi recensisce la mostra, alla Brunei Gallery, della School of Oriental and African Studies a Londra.

    Il motore di ogni crescita sociale: Javier Echevarria Rodriguez sul decennale dell'associazione Harambee Africa International.

    Nell'informazione internazionale, la parità fra uomo e donna sancita in Tunisia e l'appello dell'Onu per aiutare la Repubblica Centroafricana.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Al Qaeda fa strage di 50 attivisti ad Aleppo

    ◊   In Siria, ha suscitato clamore e sta facendo il giro del mondo la notizia dell’uccisione di almeno 50 attivisti per mano di miliziani di Al Qaeda ad Aleppo. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    Sono stati portati nell’ex ospedale oftalmico di Aleppo. Qui sono stati uccisi, uno a uno, in quello che appare una vera e propria punizione collettiva. La notizia è stata diffusa da attivisti sul posto. Il crimine sarebbe stato compiuto da uomini dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante, formazione qaidista presente in Siria e da giorni sotto attacco da parte degli insorti locali. Almeno 34 jihadisti erano poco prima rimasti uccisi nel corso degli scontri avvenuti nella provincia di Idlib. L'unione dei giornalisti di Aleppo ha condannato stamani quello che definisce il "vergognoso massacro", affermando che tra le persone uccise figurano anche medici che lavoravano negli ospedali da campo della regione di Aleppo. Ma non è l’unica notizia di morte che giunge dalla Siria: almeno 10 civili, tra cui bambini, sono rimasti uccisi in seguito a un raid aereo sferrato dall'aviazione siriana sulla città di Bzaa.

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    Tunisia, nuova Costituzione pari diritti alle donne. Prof. Sala: "Passo rilevante"

    ◊   A tre anni dall’inizio della primavera araba, la Tunisia si sta dotando di una nuova Costituzione che sembra allontanare i timori di una svolta islamica fondamentalista. La Carta è all’esame dell’Assemblea costituente, che prevede di adottarla entro il 14 gennaio, terzo anniversario della rivoluzione contro il deposto presidente Ben Ali. Nel nuovo testo è sancita la natura laica dello Stato, il divieto della tortura, la libertà di opinione, pensiero, espressione e informazione, oltre che la parità legale dei sessi approvata ieri. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Massimo Papa, ordinario di Diritto musulmano e dei Paesi islamici, all’Università Tor Vergata di Roma:

    D. – Prof. Papa, un aspetto – questo della parità legale deis essi – certo importante per i diritti umani delle donne, sovente ignorati in molti Paesi arabi...

    R. – A me sembra che sia un fatto assolutamente rilevante. Innanzitutto, perché conferma – o per lo meno consolida – una tradizione di natura laica della stessa Tunisia, già avviata ai tempi degli anni Cinquanta, con Habib Bourguiba. Ricordiamo che la Tunisia è stata da sempre additata come il Paese più avanzato, più moderno sotto il profilo del diritto di famiglia, avendo già dagli anni Cinquanta abolito istituti tipici del diritto tradizionale islamico, come il ripudio, la poligamia e concesso il divorzio a pari condizioni. Certamente, rimaneva anche lì una rivoluzione incompiuta, se si considera – ad esempio – che tutto il diritto successorio rimaneva ancora fortemente radicato nelle regole sharaitiche. Fatto sta che questo articolo 20, così come approvato ieri – il fatto che tutti i cittadini e le cittadine abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri e che siano uguali innanzi alla legge, senza discriminazione alcuna – è una pietra miliare nello sviluppo di un ordinamento sulla via della democratizzazione.

    D. – Perché, allora, ci sono state critiche da parte di organizzazioni umanitarie?

    R. – Perché si sarebbe, magari, voluta una formula più specifica con il riconoscimento e l’attribuzione di diritti e anche divieti e discriminazioni fondati magari su motivi di razza, religione e sesso. La verità è che si tratta di una formula un po’ di compromesso tra le forze più moderniste, laiche e le forze legate a al-Nahda, cioè alle forze islamiche radicali. Qualche anno fa, circolò un progetto di riforma della Carta costituzionale tunisina che avrebbe dovuto sancire la complementarietà delle donne rispetto all’uomo: complementarietà è un concetto proprio tipico del diritto tradizionale islamico secondo il quale la donna non è perfettamente uguale, ma è complementare al marito.

    D. – Lei crede che questa svolta liberale sia il frutto politico di un dibattito interno o piuttosto da collegarsi alla "lezione" egiziana?

    R. – Entrambe le cose, per la verità. Io credo che l’adozione di principi di sharia all’interno della Costituzione abbia una valenza non soltanto giuridica, ma fortemente politica, in considerazione dello stretto collegamento della natura tra diritto e religione. La sharia è la legge sacra dell’islam e comporta la reintroduzione dei valori della morale e della religione islamica all’interno dell’ordinamento. Il fatto che non sia stata adottata la sharia tra le fonti del diritto, rappresenta sicuramente un punto di svolta e un freno alla deriva islamica che invece ha avuto luogo nei Paesi confinanti, a cominciare – appunto – dall’Egitto con le note vicende che tutti conosciamo, ma anche nella stessa vicina Libia dove, invece, per la prima volta i principi della sharia vengono introdotti nella Carta costituzionale. Sicché, la Tunisia sembra confermare invece questa tendenza in quel solco della tradizione moderata dell’islam, esattamente come ha fatto il Marocco con la Costituzione nel 2011: nel preambolo della Carta costituzionale, il Marocco si richiama alla tradizione islamica moderata. Cosa debba essere, poi, di fatto e come debba essere interpretata, questo è tutto un altro problema, appunto, di interpretazione del Supremo Consiglio degli Ulema. In Tunisia, invece manca un organo religioso di riferimento, ma sarà la Corte costituzionale poi, di volta in volta, a riempire di contenuto le norme costituzionali.

    D. – Quindi, un processo di democratizzazione che va anche incoraggiato, sostenuto e vigilato dall’estero?

    R. – Io in queste forme di tutorato e di tutela credo poco. Una democrazia è saldamente radicata soltanto se nasce dall’interno e se è fortemente condivisa. E’ chiaro che, in questo momento, in Tunisia c’è un dibattito molto articolato, assai vivace, sulle varie posizioni di correnti islamiche radicali e correnti più riformiste. Certamente, la crisi economica – che pure ha investito la Tunisia, evidentemente – è uno dei fattori che il prossimo governo dovrà tenere in considerazione. L’islam può costituire infatti una bandiera attorno alla quale stringersi nei momenti di crisi e di sofferenza, anche economica. La religione è capace di dare dignità a un popolo che per oltre 50 anni ha subito una forte dittatura, con la complicità anche dell’Occidente, questo non occorre negarlo. Questi regimi sono stati tenuti in sella con la connivenza e la complicità dei Paesi occidentali. Poi, improvvisamente si è scoperto che anche le popolazioni arabe avevano diritto a proprie rivendicazioni democratiche… Questo significa, però, che sarà un processo lungo.

    D. – Quindi, un processo di democratizzazione che ha e avrà i suoi tempi di maturazione…

    R. – Assolutamente. Quello che mi preme sottolineare e che spesso sfugge all’occhio occidentale, ai non addetti ai lavori: il fatto che ci siano delle posizioni all’interno della società, soprattutto tunisina. Penso a Yadh ben Achour o ad altri intellettuali che da sempre lottano per un’interpretazione moderna dell’Islam e della tradizione giuridica islamica. Ci sono posizioni molto, molto articolate, non così facilmente riconducibili ad uno schieramento islam radicale e modernista, ma questo è frutto – appunto – di un dialogo che ha appena preso le mosse e che richiederà i propri tempi. E forse l’Occidente dovrebbe osservare, con il dovuto rispetto, questi tentativi che si stanno compiendo dall’interno.

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    Cresce l'esercito dei baby kamikaze, fenomeno figlio della povertà da combattere con l'educazione

    ◊   Cresce l’esercito di "baby-kamikaze", come ci racconta la recente storia della bimba afghana di 10 anni arrestata due giorni fa, nella provincia di Helmand, poco prima di farsi esplodere: era stata convinta a farsi saltare dal fratello, un capo talebano. Come lei, sono molti i bambini utilizzati in questo orribile modo in diversi Paesi, come l’Afghanistan o l’Iraq. Bambini vittime del fondamentalismo, ma non solo, come spiega al microfono di Francesca Sabatinelli, Simona Lanzoni, di Fondazione Pangea onlus, da anni attiva in Afghanistan:

    R. - Il filo rosso che unisce non sono solo la guerra o le rivendicazioni dei popoli, ma sono soprattutto la povertà e la mancanza di educazione in cui si trovano le popolazioni. Molto spesso i bambini vengono affidati a scuole, soprattutto religiose - le madrase - dove viene loro fatto, in un certo senso, il lavaggio del cervello, viene loro insegnato a obbedire in maniera dogmatica ad alcune regole e poi a coinvolgere, di conseguenza, gli altri. Ma questo perché c’è una totale mancanza di un governo e quindi di tutta una struttura di scuole.

    D. - Si parla di bambini afghani che vengono però addestrati in Pakistan?

    R. - Sì. Nel periodo d’oro dei talebani, quindi prima del 2001, la tradizione nasce in Pakistan dove i bambini o venivano rapiti o, per estrema povertà, venivano mandati nelle madrase a volte anche dagli stessi genitori, pensando che lì potessero avere almeno un pasto caldo al giorno. In questi posti poi, in realtà, veniva loro fatto il lavaggio del cervello, anche attraverso prove corporali estremamente dure, prove fisiche, per far superare qualsiasi limite e quindi poter poi utilizzare questa schiera di bambini, e anche di adulti, a seconda delle strategie del momento, decise dai capi.

    D. - Mai come in questo caso l'Afghanistan mette sullo stesso piano uomo e donna: in una società che non ha mai riconosciuto diritti all’essere femminile, per quanto riguarda la pratica dei kamikaze, bambini e bambine subiscono eguale sorte…

    R. - Sì, quello sì. Da un lato le donne non valgono niente, dall’altro invece… Bisogna comunque pensare che i bambini in generale, ma ancor più una bambina, non vengono sottoposti ai controlli che invece vengono fatti sicuramente a persone adulte. Una bambina inoltre ha una certa capacità e facilità nel passare inosservata. Questo vuol dire che è una nuova strategia del terrore, decisamente peggiore e che, in qualche modo, spiazza.

    D. - La Fondazione Pangea è presente in Afghanistan da molti anni. Tu stessa conosci molto bene quel Paese: che percezione avete della risposta della popolazione a questo crescente fenomeno?

    R. – L’utilizzo dei bambini-kamikaze colpisce l’animo di tutti: i bambini sono un momento di innocenza e di rispetto per tutta la popolazione afghana. L’uso dei bambini genera disprezzo, soprattutto perché anche la religione musulmana non parla mai di kamikaze e tantomeno di uso dei bambini come kamikaze. E’ qualche cosa di ripugnante, che la popolazione afghana sente. Proprio per questo, Fondazione Pangea lavora con le madri - e con tutto il resto della famiglia - per cercare anche di assicurare poi un’educazione a questi bambini.

    D. - Pangea ha certificato negli anni, purtroppo, la strumentalizzazione drammatica di bambini. Oggi, noi parliamo dei bambini kamikaze, ma non dimentichiamo i bambini corrieri di droga…

    R. - Assolutamente sì. Sappiamo benissimo che l’Afghanistan è il più grosso produttore di oppio e quindi, poi, anche di oppio che va trasformato in eroina. Molto spesso i bambini sono stati “riempiti”: i loro organi venivano cioè riempiti di ovuli, di eroina e di oppio da lavorare, e venivano fatti passare dal confine, dall’Afghanistan al Pakistan e viceversa. E poi venivano semplicemente operati e mandati - purtroppo! - al macello del traffico degli organi.

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    Tasse: è caos sulla casa. Domani per i Comuni l'aumento della Tasi

    ◊   Revisione del sistema fiscale, in particolare sugli immobili. E’ una delle priorità che il governo Letta ha ritrovato sul tavolo alla ripresa dei lavori del nuovo anno. Ma sulla casa regna ancora la confusione totale, in relazione sia alle aliquote comunali sia alle scadenze. Cambiamenti in arrivo probabilmente già da domani con la riunione di maggioranza al Senato sul decreto Imu- Bankitalia. Intanto, non convincono le rassicurazioni del ministro dell’Economia, Saccomanni, sul calo delle tasse a partire da quest’anno. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    “Saccomanni non si rende conto della crisi del Paese”, tuona l’opposizione. “Speriamo che le sue promesse siano vere!”, ribattono cauti Confindustria e sindacati; mentre Confcommercio stamani avverte: “La pressione fiscale nel 2013 - dice - ha segnato il record del 44,3% e non calerà per quest’anno, serve più coraggio per riavviare la crescita”. Di uno scossone necessario per l’Italia parla anche Luigi Campiglio, docente di Economia politica alla Cattolica di Milano:

    “Lo scossone ha una sola parola: ripresa economica e lavoro! Se noi alcune grandezze macroeconomiche le mettiamo davanti al lavoro, il risultato finale - e ce lo hanno dimostrato questi ultimi tre anni - è che noi abbiamo meno consumi, meno occupazione… Allora senza uno scossone di ripresa, noi non abbiamo i soldi per pagare”.

    Intanto, ci si aggroviglia ancora sulla questione casa e tasse ed è un vero rebus. Entro il 24 gennaio andrebbero versate la maggiorazione sulla Tares 2013 e la Mini Imu. Dovrebbe, invece, slittare a giugno la prima rata della Iuc, cioè Tari e Tasi. Su quest’ultima si attende l’aggravio delle aliquote da parte dei Comuni per riuscire a ripristinare le detrazioni per famiglie numerose e redditi bassi. Sono ancora queste, infatti, le fasce penalizzate in un sistema fiscale che non va, come sostiene ancora Luigi Campiglio:

    “Per quanto riguarda le famiglie ci sono stati aumenti con uno scarso, quasi nullo, criterio di equità. Quando si chiedono sacrifici, soprattutto in una economia in forte crisi come la nostra, l’equità è il criterio di base. Oramai le imposte sulla casa sono quasi sull’ordine del 2 per cento del Pil. E qui la questione dell’equità diventa ancora più forte, perché se io tasso un patrimonio, il criterio può essere anche accettabile se il patrimonio si accompagna ad un reddito; se le imposte su un patrimonio non si accompagnano al reddito, allora la questione diventa molto più delicata!”.

    Se non ci sarà un vero adeguamento del sistema alle esigenze territoriali, il Paese - su cui grava ala spada di Damocle anche del Fiscal Compact, aggiunge Campiglio - rischia il tracollo.

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    Scuola “Sentinelle di Pasqua”: incontri e preghiera per aiutare altri giovani

    ◊   Era l’estate del 2000, quando dal palco della Gmg di Roma, Giovanni Paolo II, esortò i giovani a essere “sentinelle” e testimoni di fede tra i propri coetanei. Sulla scia di quello storico appello nacque, a Firenze, la scuola di evangelizzazione delle “Sentinelle del Mattino di Pasqua”. Cecilia Sabelli ha intervistato il fondatore don Gianni Castorani, che prepara i giovani a portare la Parola di Dio tra i loro coetanei, incontrandoli in strada o invitandoli a dialogare in "chiese di fortuna", anche fino a tarda notte:

    R. - Questa "scuola" nasce da quella fondata da Daniel Ange, in Francia, che si chiama Jeunesse Lumière. In Italia, invece, ha preso il nome di “Sentinelle del Mattino di Pasqua”. In questa scuola i giovani dai 18 ai 30 anni dedicano un anno della loro vita all’evangelizzazione di altri giovani. Qual è, infatti, il migliore strumento per evangelizzare i giovani oggi? Un altro giovane. Il Concilio, Giovanni Paolo II, e molti altri, hanno sempre insistito su questa dimensione importante. Nella scuola vengono offerti corsi di formazione; c’è una vita comunitaria, in cui questi giovani fanno delle promesse, una vita di preghiera e poi questi periodi dedicati all’evangelizzazione alternati a momenti di contemplazione e missione; un po’ come Caterina da Siena che chiamava questa “bella brigata” con cui andava per le strade, per le piazze della Toscana, e della Francia.

    D. - Quanti sono i ragazzi che si uniscono a questa “brigata”, e che accettano di farsi guidare da altri ragazzi?

    R. - Ad esempio a Santa Croce, a Firenze, facciamo l’evangelizzazione di strada una volta al mese; ogni volta arrivano circa 400 giovani accompagnati da missionari. A Riccione, invece, nell’evangelizzazione che abbiamo fatto in questi anni c’erano cento missionari dalle 10 di sera fino alle 2 di notte e potevano arrivare anche mille giovani in una serata sola, mentre circa 12 sacerdoti confessavano ininterrottamente.

    D. - Il termine “sentinella” usato da Giovanni Paolo II, fa pensare anche a una guardia, a un bisogno di protezione dei giovani…

    R. - Mi trovavo sul palco di Tor Vergata quando il Papa pronunciò quella parola che mi colpì profondamente. Il nome “sentinella” viene dal profeta Ezechiele. Nella Bibbia la sentinella è il profeta: colui che vede sempre quali sono le difficoltà e i rischi di ogni epoca e interviene, legge la storia e nello stesso tempo dona la Parola di Dio. Per quanto ci riguarda il nostro essere sentinelle significa andare verso i giovani che sono addormentati, immersi in una vita lontana da questo amore di Dio. Questi giovani attraversano una vita di sesso, successo, alcol… Hanno tutto quello che cercano, ma alla fine si trovano soli. Nell’evangelizzazione di strada, quando mi metto ad ascoltare o a confessare questi ragazzi, la loro solitudine è la cosa che mi colpisce di più.

    D. - Ma come si fa nei giovani di cui stiamo parlando – per usare un’espressione di Daniel Ange - a “provocare la sete di Dio”?

    R. - Penso che, come ci dice Papa Francesco, sia necessario uscire dalle nostre chiese, dalla nostre parrocchie; una “Chiesa in uscita”, come ha scritto nell’ultimo documento, Evangelii Gaudium. Penso che Papa Francesco dia una bellissima testimonianza; anche nelle udienze, offre una breve catechesi e poi sta un’ora in mezzo alle persone. Penso che questa sia una chiave molto importante per noi: l’esserci. C’è un grande deserto e quando tu sei in mezzo a questi giovani, automaticamente nasce in loro questa sete. E poi un modo per suscitare questa sete è attraverso l’esperienza che noi chiamiamo “la luce nella notte”: la chiesa aperta di notte in cui c’è l’Adorazione, la possibilità di confessarsi. È una provocazione, è un risvegliare in loro quel desiderio di Dio che c’è in ogni cuore. Come diceva sant’Agostino: “Il mio cuore, Dio, non ha pace finché non riposa in te”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Cina: Papa Francesco eletto tra i 10 “uomini-chiave del 2013”

    ◊   Papa Francesco è stato eletto nel gruppo dei 10 “uomini-chiave dell’anno 2013” da 50 rappresentanti dei mass media, delle associazioni giornalistiche e diplomatiche tra le più importanti della Cina continentale. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, la scelta, con voto palese, è avvenuta durante il XV “China International Press Forum” che si è svolto il 15 dicembre a Hainan. La notizia è stata resa pubblica il 24 dicembre e riportata da tutti i mass media cinesi. Papa Francesco occupa il terzo posto tra i 10 uomini più importanti del mondo nell’anno 2013, tra cui figurano il Presidente iraniano Rohani, il Presidente russo Putin, l’ex Presidente egiziano Morsi, l’ex Presidente sudafricano Nelson Mandela. Finora nessuna personalità religiosa, tantomeno il Papa, era mai apparsa nella classifica annuale stilata dal “China International Press Forum”. (R.P.)


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    Egitto: i copti ortodossi festeggiano un Natale "blindato", ma senza violenze

    ◊   I copti ortodossi egiziani festeggiano il Natale fra la speranza "di una nuova vita" data dalla nascita di Gesù e la paura di attacchi da parte degli estremisti islamici. Ieri sera migliaia di persone hanno partecipato alla tradizionale veglia nella cattedrale di Abasseya (Il Cairo), presieduta dal patriarca Tawadros II. Dopo gli scontri di ieri fra polizia e Fratelli Musulmani costati la vita a 13 persone e l'arresto di alcuni terroristi che stavano preparando un serie di attacchi contro le chiese cristiane, l'esercito - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha aumentato le misure di sicurezza rispetto agli scorsi anni. Al Cairo le strade intorno agli edifici religiosi sono chiuse e la polizia controlla l'afflusso di fedeli con posti di blocco e metal detector. Secondo molti fedeli l'impegno delle autorità per la sicurezza dei cristiani ha creato un clima diverso rispetto agli anni passati. Nel suo messaggio di Natale il patriarca della Chiesa copta-ortodossa ha ricordato il significato della visita dei magi a Gesù che venuti dall'oriente hanno offerto al Bambino doni da re. Per il patriarca questi doni rappresentano la vita dell'uomo "caratterizzata dall'oro, dall'incenso e dalla mirra". "Questo - ha spiegato - vuol dire che ognuno di noi, nella sua vita ha giorni d'oro, giorni d'incenso e giorni di mirra". Ringraziando vescovi, sacerdoti, diaconi e laici per il loro impegno per la Chiesa Tawadros ha affermato che la "nascita del nostro Signore Gesù Cristo dona a noi, speranza, coraggio e una nuova vita". La calma vigile del Cairo nel resto del Paese è però oscurata da alcuni attacchi contro i cristiani nell'Alto Egitto. Ieri a Ezbet Treks, nella provincia di Qena (Alto Egitto), un gruppo di estremisti ha lanciato pietre contro le case copti e bruciato uno dei loro negozi. A scatenare l'assalto è stata una controversia sull'affitto di un locale. Mons. Kyrillos, vescovo di Nag Hammadi sottolinea che le forze di sicurezza sono riuscite a contenere le tensioni e il commissario di polizia Nag Hammadi Mahmoud Moawad ha convocato una riunione con i musulmani del villaggio, per raccogliere informazioni sui fatti e arrestare i colpevoli. (R.P.)

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    Egitto. Natale copto ortodosso: il presidente Adli Mansour visita il patriarca Tawadros

    ◊   Dopo le preoccupazioni della vigilia, i cristiani copti dell'Egitto stanno celebrando un Natale segnato dal consistente dispiego di mezzi di protezione messi in campo dall'esercito e dalle forze di polizia. Dal punto di vista politico, le celebrazioni natalizie di quest'anno sono state anticipate dal gesto eloquente del Presidente ad interim, Adli Mansour, che domenica scorsa, in vista delle celebrazioni natalizie ha reso visita al patriarca copto ortodosso Tawadros II. L'incontro - riporta l'agenzia Fides - è avvenuto nella cattedrale di San Marco al Cairo e nel momento presente assume un forte valore simbolico: era dai tempi del Presidente Gamal Abd el- Nasser che un Presidente egiziano non si recava personalmente a visitare il patriarca in occasione del Natale. I successori di Nasser si erano limitati a inviare al capo della Chiesa copta gli auguri per telefono o attraverso dei rappresentanti. (R.P.)

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    Natale ortodosso. Il Patriarca Kirill: "Dio non è più lontano ma in mezzo a noi"

    ◊   Milioni di fedeli ortodossi celebrano oggi la festa della nascita di Gesù. Il Natale ortodosso viene festeggiato dalle Chiese ortodosse il giorno 7 di Gennaio anziché il 25 di Dicembre. Questo slittamento di data è dovuto al fatto che la chiesa ortodossa continua ad utilizzare il calendario giuliano e non quello gregoriano. È dunque festa oggi in quei Paesi dove è stato conservato il calendario giuliano. In Russia, in Ucraina, nella Chiesa serba e georgiana, nella Chiesa di Gerusalemme e sul Santo Monte Athos. Nella cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca - riporta l'agenzia Sir - la Messa di mezzanotte è stata officiata dal patriarca Kirill, alla presenza del primo ministro Dmitry Medvedev. Il presidente Putin ha invece assistito alla funzione religiosa nella nuova cattedrale di Sotchi, dove il mese prossimo inizieranno le Olimpiadi invernali. “Oggi festeggiamo - scrive il patriarca Kirill nel suo messaggio natalizio - un avvenimento che ha radicalmente cambiato il corso della storia umana. Dio entra nel profondo della vita umana, diventa uno di noi, prende su di sé il peso dei nostri peccati, della fragilità e delle debolezze e umane, e lo porta sul Golgotha, per liberare noi uomini da questo peso insostenibile. Da allora Dio non è più lontano, nella sommità inaccessibile dei cieli, ma è qui, con noi, è in mezzo a noi!”. (R.P.)

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    Mons. Lazzarotto e mons. Twal sul Papa in Terra Santa: un appello alla pace e al dialogo

    ◊   “Sarà per tutti un grande momento di speranza”: così l’arcivescovo Giuseppe Lazzarotto, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina, ha commentato all'agenzia Sir la prossima visita di Papa Francesco in Terra Santa (24-26 maggio). Riferendosi all’annuncio dato domenica dallo stesso Pontefice, mons. Lazzarotto ha ricordato che “Papa Bergoglio vuole fare in questo viaggio memoria dell’incontro, 50 anni fa, tra Paolo VI e il patriarca Atenagora. Lo stesso Paolo VI definì quell’abbraccio un ‘colpo di aratro’ che seppe dissodare il terreno, allora duro, del dialogo. E’ bene ricordare, infatti, che quell’incontro portò - un anno dopo - alla dichiarazione comune che cancellava le scomuniche reciproche risalenti a quasi mille anni prima, quelle che avevano aperto il Grande Scisma tra Chiesa d‘Oriente e Chiesa d‘Occidente”. Per il rappresentante pontificio “questa visita aprirà ulteriori nuovi solchi, sperando che il terreno lavorato in maniera nuova e diversa, possa produrre un raccolto più abbondante”. “Il Santo Padre - è stata la conclusione - vuole rinnovare quell’impegno. L’aratro del dialogo deve continuare a lavorare. I frutti saranno anche di giustizia e di pace. Dobbiamo essere seminatori di speranza. E’ ciò che il Papa vuole fare. Sperare e dialogare è l’unico modo per raggiungere l’obiettivo della pace”. Dal canto suo, il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha detto - sempre al Sir - che il pellegrinaggio papale “sarà una visita di preghiera ma una dimensione un po’ sociale e politica è innegabile soprattutto per quel che riguarda la riflessione sul Medio Oriente e sulla vita delle comunità ecclesiali locali. Gli sforzi di Papa Francesco per donare la pace a questa regione, uniti a quelli di sovrani come il re giordano Abdallah, sono evidenti e continui” spiega il patriarca ricordando anche le centinaia di migliaia di sfollati e rifugiati siriani che si trovano in Giordania e nei Paesi vicini. “Speriamo - aggiunge - anche che dopo 65 anni di violenza e di occupazione, israeliani e palestinesi possano trovare vie di giustizia e vivere in pace. La presenza del Papa, la profondità delle sue parole, l’impatto mondiale che avrà la visita, credo, potranno smuovere le coscienze. Lo abbiamo già visto per la giornata di digiuno e preghiera per la Siria. Saranno tre giorni in cui risuonerà forte e alto l’appello alla pace e al dialogo”. (R.P.)

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    Terra Santa: la visita annuale del Coordinamento dei vescovi di Usa ed Europa

    ◊   All’indomani del gioioso annuncio di Papa Francesco sulla sua prossima visita apostolica in Terra Santa è iniziata ieri la consueta missione annuale dei vescovi del Coordinamento per la Terra Santa la quale valuterà la situazione attuale dei fedeli delle chiese cristiane e cattoliche della regione. Una delegazione di vescovi e di esperti d’Europa e del Nord America a sostegno della Terra Santa, si riunirà in Israele e Palestina, per aggiornarsi sulle realtà sociali, politiche e ecclesiali della zona; per discutere sulle vie per sostenere più efficacemente iniziative di giustizia e di pace, per analizzare i diversi lavori e progetti della Chiesa locale e delle agenzie cattoliche, e per manifestare un concreto supporto alla missione della Nunziatura Apostolica per quanto riguarda gli accordi fondamentali e di base. Seguendo i diversi appelli di Papa Francesco per la pace nella martoriata regione, la delegazione avrà un attenzione particolare sulla grave situazione delle popolazioni della Siria, della Repubblica Centroafricana e del Sud Sudan, dove l'insidia della guerra e della morte non sembra svanire. Certamente in vista delle prossime tappe del viaggio annunciato da Papa Francesco, dal 24 al 26 maggio, ad Amman, Betlemme e Gerusalemme, i vescovi incontreranno le comunità cattoliche locali insieme a mons. Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, il nunzio apostolico mons. Giuseppe Lazzarotto e il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa. Le giornate saranno scandite da numerosi momenti di preghiera, dalla celebrazione quotidiana dell’eucaristia e da incontri con le comunità locali. La visita si concluderà venerdì 17 gennaio a Gerusalemme con una celebrazione al Santo Sepolcro e con una conferenza stampa alle ore 10.00, presso il patriarcato latino a Gerusalemme. (A cura di Alina Tufani)

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    Sud Sudan: appello di pace del leader cristiani

    ◊   “Condanniamo l’uccisione insensata di civili e facciamo appello al Presidente Salva Kiir Mayardit e all’ex vice Presidente Riek Machar di fermare i combattimenti e di negoziare pacificamente invece di ricorrere alle armi” affermano i leader cristiani del Sud Sudan in un appello lanciato attraverso il quotidiano “Sudan Tribune”. Dal 15 dicembre i combattimenti tra i combattenti di Kiir e quelli Machar, hanno causato la morte di più di 1.000 persone e 200mila sfollati. “Siamo stanchi della guerra, abbiamo bisogno della pace e la pace sud sudanese è una pace africana” affermano i leader cristiano chiedendo la mediazione del governo keniano, dell’Onu, dell’Autorità Inter-Governativa di Sviluppo (Igad della quale fa parte il Sud Sudan), della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. La dichiarazione prosegue sottolineando la necessità che la divergenza tra i due leader politici (Kiir è un Dinka mentre Machar è un Nuer) non si trasformi in un conflitto etnico-tribale. “Raccomandiamo vivamente che tutte le tribù che siano Dinka, Nuer, Shiluk, Lotuko, eccetera non siano coinvolte nella violenza. Il conflitto scoppiato da poco a Juba non deve essere confuso come un conflitto Nuer-Dinka ma deve essere visto come uno scontro tra politici”. Secondo una fonte della Chiesa locale a Malakal, la capitale dello Stato sud-sudanese dell'Alto Nilo, “i combattimenti nella città proseguono fin dal 24 dicembre. I fedeli non hanno potuto celebrare la Messa di Natale. La popolazione si nasconde sotto i letti ed è ormai priva di cibo, acqua, medicine e di altri generi di prima necessità” dice la fonte di Fides. Questo perché “le forze di Machar hanno saccheggiato e incendiato il mercato della città di Malakal. Non c’è quindi più cibo disponibile”. L’esercito sud sudanese sta cercando di riconquistare la città e nei combattimenti degli ultimi giorni diversi civili hanno perso la vita. “Le bombe hanno colpito numerose abitazioni. Tra le vittime vi sono diversi bambini uccisi dalle pallottole e dalle bombe. L’unico medico rimasto fa quel che può per curare il gran numero di feriti che continuano ad arrivare nel nosocomio. La situazione è disperata” conclude la fonte di Fides. (R.P.)

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    Centrafrica: per l'Onu il Paese è "sull'orlo della catastrofe"

    ◊   Il Centrafrica è “sull’orlo della catastrofe”, con metà della sua popolazione sfollata e 2,2 milioni di persone che necessitano di “aiuti immediati”: è il quadro tracciato e a tempo stesso l’appello rivolto dal capo degli Affari politici dell’Onu Jeffrey Feltman ai 15 Stati membri del Consiglio di sicurezza, nel corso di una sessione dedicata alla crisi nel Paese dell’Africa centrale. Dallo scorso 24 dicembre - riporta l'agenzia Misna - il numero degli sfollati a Bangui, la capitale, è aumentato del 40% con in tutto circa 513.000 persone costrette a lasciare la propria casa dopo un’ondata di violenza senza precedenti tra esponenti dell’ex coalizione ribelle Seleka e uomini delle milizie di autodifesa Anti Balaka. “Le uccisioni a Bangui e nel resto del Paese si verificano ogni giorno e la popolazione è divisa su base confessionale” ha sottolineato Feltman, vice del segretario generale Ban Ki-moon. Intervenuto al Consiglio di sicurezza, il ministro degli Esteri di Bangui, Léonie Banga-Bothy, ha chiesto il “sostegno” della comunità internazionale per “far fronte a una crisi sempre più complessa” e a una situazione umanitaria “sempre più critica”. Dure le parole pronunciate dal rappresentante dell’Unione Africana all’Onu, Tété Antonio, secondo cui “tocca alle autorità di transizione al potere prendere le proprie responsabilità nella crisi”, auspicando un potenziamento della Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca), a comando africano. Il rappresentante del Ciad – Paese vicino in prima linea nell’intervento militare, sospettato di responsabilità politiche dirette nella crisi – alle Nazioni Unite, Chérif Mahamat Zene, ha invece lanciato l’allarme per violenze “sempre più a sfondo religioso tra milizie musulmane e cristiane”, difendendo però l’operato delle truppe africane dispiegate a Bangui nell’ambito della Misca, costituita da quasi 4.000 soldati. Nelle ultime settimane il contingente di N’Djamena – mal visto dai centrafricani che accusano i soldati ciadiani di violenze ma anche di complicità con la Seleka – è finito al centro di critiche dopo uno scambio armato con ‘colleghi’ burundesi della Misca, in quello che è sembrato una lotta per il controllo del territorio. Nelle prossime settimane, come suggerito da Ban, il Consiglio di sicurezza potrebbe dare il via libera al dispiegamento di Caschi blu in Centrafrica, ma per ora l’urgenza riguarda la raccolta dei fondi destinati all’intervento umanitario. Intanto il 9 gennaio a N’Djamena è stato convocato un vertice straordinario sulla crisi centrafricana su iniziativa della Comunità economica dell’Africa centrale (Ceac), con la partecipazione di tutti i partner internazionali per valutare la situazione sul piano della sicurezza e la transizione politica in corso a Bangui. Il 1° febbraio ad Addis Abeba si terrà invece una conferenza dei donatori per far fronte all’emergenza umanitaria del Centrafrica, dove gli sfollati interni sono almeno un milione secondo l’Onu. (R.P.)

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    Senegal: per Casamance segnali di pace

    ◊   “I negoziati proseguono e con l’avvento del nuovo anno la speranza di una pace definitiva si rafforza. Allo stesso tempo sta per partire il progetto Polo di sviluppo della Casamance, finanziato dallo Stato e dalla Banca mondiale, con una linea di credito di 20 miliardi di franchi Cfa (circa 30,4 milioni di euro)”: lo ha annunciato il presidente senegalese Macky Sall nel suo ultimo discorso alla nazione, sottolineando che “con il sostegno di tutti i nostri partner rimangono in vigore tutte quelle misure di reinserimento per quanti accettano di deporre le armi”. La regione meridionale della Casamance, costituita dalle tre aree di Kolda, Sédhiou e Ziguinchor - riferisce l'agenzia Misna - è il teatro di un conflitto armato cominciato nel 1982 per mano della ribellione indipendentista del Movimento delle Forze democratiche di Casamance (Mfdc). Un ottimismo, quello espresso dal presidente Sall, condiviso da osservatori, stampa e parte della società civile anche alla luce di una tregua sul terreno tra miliziani e soldati regolari. Dopo anni di pesanti scontri, nell’ultimo periodo le due parti rivali hanno alimentato l’instabilità della regione dal forte potenziale agricolo e turistico con attacchi mirati, imboscate e scaramucce. “La calma relativa ha portato con sé maggiore fiducia in un esito felice dei negoziati. La pace è il frutto degli atti e dei comportamenti di ciascuno. La pace non è solo l’appannaggio del governo e dell’Mfdc. E’ l’affare di tutta la popolazione” ha dichiarato il governatore della Casamance, Cheikh Tidiane Dieng, durante la cerimonia di inaugurazione del nuovo anno alla diocesi di Ziguinchor. Dal canto suo mons. Paul Abel Mamba ha esordito i contendenti a “bandire ogni violenza inutile per privilegiare il dialogo teso a una soluzione politica durevole e definitiva” del conflitto. Il vescovo di Ziguinchor ha insistito sulla necessità di coinvolgere tutti i cittadini senegalesi, chiamati ad essere “artefici della pace e della riconciliazione”, ma anche i Paesi vicini, Gambia e Guinea Bissau, per trovare un accordo “rispettoso della sovranità di tutti” e in grado di assicurare “sviluppo solidario tra tutti i popoli della regione”. In questa prospettiva ha visto la luce nel capoluogo regionale di Ziguinchor il “Villaggio della pace”: un luogo di ritrovo e di confronto per la partecipazione di tutti al processo di pace, a cominciare dei giovani, spesso esclusi dal progetto sul futuro della regione. Pochi giorni fa proprio al “Villaggio della pace”, su iniziativa di ong locali, si sono radunati centinaia di giovani senegalesi, gambiani e delle due Guinee. “I giovani vanno coinvolti in quanto primi protagonisti ma a tempo stesso vittime del conflitto” ha detto Henry Ndecky, coordinatore della Rete di Dinamica della pace in Casamance. Sull’importanza della “sinergia” tra tutte le parti coinvolte nel processo di pace e sulla “trasparenza nella risoluzione della crisi” ha invece insistito Katy Cops, responsabile del Servizio civile per la pace in Casamance. Al termine dell’incontro al “Villaggio della pace” i giovani hanno stilato un elenco di proposte trasmesse al presidente Sall. Il mese scorso sono stati invece le varie fazioni dell’Mfdc ad incontrarsi nella confinante Guinea Bissau: per la prima volta attorno allo stesso tavolo le diverse correnti ribelli hanno trovato punti di accordo, dando vita a un Comitato di riconciliazione interna. (R.P.)

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    Bangladesh: dopo le elezioni cristiani e indù vivono nella paura

    ◊   Le minoranze religiose del Bangladesh hanno vissuto con paura le elezioni generali del 5 gennaio scorso, che hanno visto vincere con ampio margine il Partito dell'Awami League già al governo. Il risultato era scontato, dato che le opposizioni e il Bangladesh National Party avevano annunciato di voler boicottare le urne. Al voto ha partecipato circa il 20 % della popolazione, contro il 70 % delle parlamentari del 2008. Negli ultimi tre giorni, almeno 25 persone sono morte durante gli scontri fra sostenitori di diverse posizioni. Le minoranze, soprattutto cristiani e indù, sono state costrette a non esercitare il proprio diritto di voto a causa delle minacce degli integralisti. Samor Gomas, cattolico del distretto di Natore, spiega: "Non ci hanno permesso di fare nulla, ci hanno minacciato di morte in caso di voto". La polizia è rimasta a guardare: un indù di Jessore dice di aver chiamato degli agenti per garantire la loro sicurezza, ma "nessuno è venuto a darci una mano". A Sindurmoti, dove vive una comunità composta da 4mila persone di cui il 90 % di fede induista, non ha votato nessuno. I leader politici non sembrano in grado di trovare a breve termine una soluzione alla situazione. Il premier Sheikh Hasina ha dichiarato che "le elezioni sono state corrette e noi abbiamo vinto. Se il Bnp sceglie il dialogo potremo discutere, ma prima devono finire le violenze". Da parte sua, l'opposizione sceglie la linea dura: "Continuiamo a tutti i costi il movimento contro il governo - dice il vice presidente del Bnp Rahman - unendo il popolo e discutendo, rafforzando la base del Partito e entrando in azione". (R.P.)

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    Sri Lanka: il vescovo di Mannar chiede inchiesta internazionale sui crimini di guerra

    ◊   “Urge una inchiesta internazionale, per accertare la verità sui presunti crimini di guerra, dato che la maggior parte dei tamil nel Nord e nell’Est del Paese non hanno più fiducia in un processo interno. Ciò contribuirà alla riconciliazione”: è quanto chiede, in una nota inviata all'agenzia Fides, il vescovo di Mannar, mons. Rayappu Joseph, ricordando che molti sacerdoti, avvocati, giornalisti e attivisti che hanno cercato di collaborare con le istituzioni sul tema dei “crimini di guerra” sono stati minacciati e intimiditi. “In molte occasioni, la polizia e la Commissione per i diritti umani si sono perfino rifiutati di accettare le denunce”, afferma. “Migliaia di casi di violazioni dei diritti umani, abusi sessuali, omicidi, sparizioni, esecuzioni extragiudiziali restano impunite”. Per questa sua posizione – mentre il governo srilankese rifiuta categoricamente l’idea di una inchiesta internazionale – il vescovo è stato ingiustamente bollato come “attivista politico”, ma mons. Rayappu replica: “Ci sono troppe questioni controverse in Sri Lanka: persone che scompaiono, altre arrestate e detenute illegalmente, torturate o uccise in carcere. Io abbraccio, parlo e affronto le aspirazioni dei fedeli che vivono nella mia diocesi e, più in generale, in tutto lo Sri Lanka. Per me è una missione umana, spirituale e religiosa”. Il vescovo spiega: “La gente del Nord e dell'Est ancora vive nel terrore . Le donne vivono nel terrore di essere stuprate. Altri vivono nella paura che i militari sequestrino le loro terre. Quanti sono in carcere vivono nella paura di essere torturati. La gente comune teme l'elevato livello di presenza militare. E tutti coloro che criticano il governo, inclusi molti rappresentanti delle Chiese, vivono nella paura e nell’insicurezza”. Il vescovo chiede: “Qual è la necessità di mantenere un così alto numero di forze armate del Nord e nell'Est dell’isola? Perché in quelle aree non si può restaurare del tutto l'amministrazione civile, come avvenuto nel resto del Paese?”. Mons. Rayppu denuncia “la colonizzazione promossa dallo Stato nei territori tamil”, per creare uno squilibrio elettorale ed eliminare progressivamente la lingua, la cultura e i costumi di un popolo. Secondo il vescovo, “in Sri Lanka abbiamo molto da imparare dal Sud Africa. Lì la maggioranza veniva dominata dalla minoranza; in Sri Lanka c’è una maggioranza che domina una minoranza. In Sri Lanka, il governo, accusato di crimini di guerra e massicce violazioni dei diritti umani, è ancora al potere, ed è riluttante a impegnarsi in un dialogo autentico”. (R.P.)


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    Myanmar. Giornalisti in piazza per protestare contro la condanna al carcere di una collega

    ◊   Questa mattina dozzine di giornalisti birmani hanno organizzato una manifestazione pubblica a Yangon, la più grande città del Myanmar, per protestare contro la condanna al carcere inflitta a una loro collega che stava lavorando a una storia di corruzione. Le dimostrazioni di piazza, ancor più se si tratta di media e stampa - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono un evento raro nella ex Birmania, nazione retta per oltre 50 anni da una feroce dittatura militare e, dal 2011, impegnata in un lungo cammino di riforme in chiave democratica. I giornalisti - oltre 60, secondo fonti locali - hanno mostrato cartelli e bandiere per le vie della capitale commerciale del Myanmar, bollando come illegittima e contraria ai diritti umani la condanna di Ma Khine, collega del quotidiano Daily Eleven, a tre mesi di prigione. Ad emettere la controversa sentenza, un tribunale dello Stato Karenni, nella parte orientale del Paese. Il mese scorso la donna è stata incriminata per violazione di domicilio, linguaggio offensivo e diffamazione. I dimostranti indossavano magliette nere e cantavano slogan fra cui: "Non vogliamo minacce alla libertà di stampa". Fra i cartelli mostrati, uno recitava: "Il diritto all'informazione è vitale per una democrazia". Ma Khine è la prima giornalista condannata sotto la presidenza di Thein Sein; la donna è stata denunciata da un avvocato, dopo aver visitato la sua abitazione per una intervista fissata da tempo e legata a una vicenda di corruzione. La legale si è mostrata infastidita dalle domande della reporter e l'ha invitata a lasciare l'appartamento; qualche giorno più tardi ha intentato una causa nei suoi confronti. Il giudice avrebbe potuto comminare una multa, spiega il direttore di Daily Eleven Wai Phyo, ma le ha "deliberatamente comminato una condanna al carcere per minacciare non solo i reporter, ma anche il principio stesso della libertà di stampa". Negli ultimi anni giornali e giornalisti in Myanmar hanno acquisito una maggiore libertà rispetto al passato, durante la dittatura militare, grazie anche a un cammino di riforme impresso dal presidente Thein Sein nel campo economico, sociale e politico. Egli ha abolito gran parte della censura e concesso la pubblicazione di organi di informazione privati, per la prima volta in oltre 50 anni. In precedenza i reporter erano costretti a lavorare in mezzo a divieti e imposizioni fra i più restrittivi al mondo, sorveglianza quotidiana, controllo del telefono e delle comunicazioni, verifica preventiva del materiale. Tuttavia, ancora oggi alcune pubblicazioni sono soggette a controlli, verifiche e denunce, promosse in particolare da agenzie governative in base al (presunto) reato di "diffamazione". Myint Kyaw, segretario generale della Stampa birmana, ha collaborato all'organizzazione della protesta perché - spiega - "non vogliamo che la condanna di un collega si trasformi in un precedente pericoloso". (R.P.)

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    Cile: la Chiesa sul conflitto in Araucania chiede di ascoltare il popolo Mapuche

    ◊   La prima cosa urgente da fare per risolvere definitivamente il conflitto in Araucanía è ascoltare il popolo Mapuche: lo ha evidenziato, parlando alla stampa locale, il vescovo della diocesi di Temuco, mons. Héctor Eduardo Vargas Bastidas, commentando quanto accaduto nei giorni scorsi. “Il clima è piuttosto teso – ha detto il vescovo -, abbiamo avuto episodi di violenza già nel giorno di Natale, per diverse circostanze e in diverse parti della regione. Tutto questo purtroppo provoca molto disagio, senso di impotenza, così le persone sono tentate di farsi giustizia con le proprie mani, ma così facendo, la causa giusta e legittima del popolo Mapuche perde il sostegno che merita". Nell'Araucanía cilena, circa 700 km a sud della capitale, il cosìddetto “Conflitto Mapuche” contrappone dagli anni 90 il più grande e importante gruppo etnico del Paese agli agricoltori e agli imprenditori a causa della proprietà delle terre. I Mapuche infatti hanno sempre considerato queste terre come loro patrimonio ancestrale. "Prima di tutto si dovrebbe ascoltare il popolo Mapuche – ha sottolineato il vescovo -. Dispiace che questo lavoro non sia stato fatto. Sono stati preparati degli incontri per il dialogo, ma hanno avuto una durata molto breve". La nota inviata all’agenzia Fides riporta le parole del vescovo di Temuco: "Il governo cileno è troppo in ritardo su questa faccenda, così non si raggiungono gli accordi essenziali, le politiche statali per la regione su questo problema. Quelli che vivono qui, più noi come Chiesa che siamo al servizio di oltre 1.300 comunità Mapuche, ci rendiamo conto che il problema è molto grave, è una cosa seria. Abbiamo un intero popolo in attesa e vediamo che le soluzioni non arrivano". "Si parla di questioni essenziali che devono essere risolte: territorialità, multiculturalismo, riconoscimento costituzionale. Qui nell'Araucanía la volontà di dialogo c'è - ha concluso mons. Vargas Bastidas - tutti vogliono collaborare perché il popolo Mapuche riesca ad avere delle risposte, ma dall'altra parte si muove molto poco, in questo momento sento addirittura che tutto è completamente fermo". (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 7

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