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Sommario del 04/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Tweet del Papa: cari giovani, trasmettete dappertutto la gioia dell'amicizia con Gesù
  • 50 anni fa, Paolo VI in Terra Santa. Giovagnoli: gesto straordinario nello spirito del Concilio
  • Mons. Toso: serve “democrazia samaritana” che non escluda nessuno e sostenga i deboli
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto: nuovi scontri tra forze di sicurezza e seguaci del deposto presidente Morsi
  • Centrafrica. Un milione gli sfollati, ancora violenze. Una suora: la Chiesa lavora per la pace
  • Rifiuti tossici campani. I vescovi: dramma umanitario. Don Patriciello: il dl va migliorato
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica. I Salesiani: a Bangui aumenta la violenza, 370 mila gli sfollati
  • Sud Sudan: il dramma di sfollati interni e rifugiati sudanesi prime vittime del conflitto
  • Siria. Il vescovo caldeo di Aleppo: “A Ginevra 2 si prenda atto che la Siria non è la Libia”
  • Usa. Gelo e neve della tempesta Hercules causano 16 morti nel nordest
  • Myanmar. L’arcivescovo di Yangon: speranze di pace e democrazia, ma la strada è ancora lunga
  • I Cantori della Stella raccolgono fondi per i bambini del Malawi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Tweet del Papa: cari giovani, trasmettete dappertutto la gioia dell'amicizia con Gesù

    ◊   Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Cari giovani – afferma - Gesù vuole essere vostro amico, e vuole che trasmettiate la gioia di questa amicizia dappertutto”.

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    50 anni fa, Paolo VI in Terra Santa. Giovagnoli: gesto straordinario nello spirito del Concilio

    ◊   Il 4 gennaio di 50 anni fa, iniziava la storica visita di Paolo VI in Terra Santa, primo viaggio internazionale di un Papa nell’era contemporanea. Papa Montini, eletto da soli sei mesi, decise di compiere questo pellegrinaggio in profonda consonanza con il Concilio Vaticano II che si sarebbe concluso l’anno dopo. Sull’importanza di questo anniversario e la sua attualità, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea alla “Cattolica” di Milano:

    R. - Per certi versi in questo gesto sembra di vedere quasi un’anticipazione di quell’invito che abbiamo sentito recentemente da Papa Francesco, cioè l’invito ad uscire, ad una Chiesa che non sia più autoreferenziale ma che vada incontro agli altri. Certamente, il viaggio di Paolo VI si colloca profondamente dentro lo spirito conciliare, che era proprio questo: lo spirito dell’apertura, dell’incontro. Soprattutto, è una Chiesa che va nel mondo, attraverso la figura del suo massimo rappresentante, il Papa, e non attende dentro la realtà di Roma ma si muove verso il mondo e soprattutto ritorna alle origini, alle radici rappresentate da Gerusalemme. Era la prima volta che un Papa si recava in Terra Santa.

    D. – Ormai siamo abituati a Papi che viaggiano per il mondo dopo il “Pontificato itinerante” - come è stato detto per Karol Wojtyla – però all’epoca fu veramente qualcosa di straordinario…

    R. – Fu un evento assolutamente clamoroso. Per molti anni il Papa non era uscito dal Vaticano: Giovanni XXIII aveva compiuto due brevi viaggi ad Assisi e Loreto; il primo Papa che esce dall’Italia e che compirà poi nove viaggi altamente simbolici in tutto il mondo è stato proprio Paolo VI. L’evento, non a caso, è stato di grande impatto anche sull’opinione pubblica, trasmesso e seguito dalla televisione in un modo straordinario suscitò per Paolo VI una grande popolarità. Quando è tornato a Roma, i romani gli fecero spontaneamente una calorosissima accoglienza, una cosa piuttosto inusuale in una città “abituata” al Papa. Certamente, tutti avevano avvertito l’emozione di quella grande novità rappresentata da questa sua uscita da Roma, dall’Italia e questo suo portare la Chiesa nel mondo.

    D. – L’evento che lasciò un po’ il segno del viaggio, di questa visita fu l’abbraccio con il Patriarca Atenagora, proprio in quel senso di fraternità di cui parla il messaggio di Papa Francesco per la Giornata della Pace…

    R. – Sì, non c’è dubbio. Il viaggio avviene mentre al Concilio Vaticano II si discute delle religioni non cristiane; la Palestina – che visita Paolo VI – è terra di molte religioni. Quindi, c’è anche questo sullo sfondo. Ma il cuore del viaggio è certamente l’incontro con il Patriarca Atenagora, un incontro anche umanamente molto intenso e l’immagine dell’abbraccio fra Paolo VI ed Atenagora ebbe un effetto sconvolgente: il mondo cattolico non era abituato ad un rappresentante di un’altra confessione cristiana messo quasi sullo stesso piano del Papa, dal Papa stesso, che in quell’abbraccio esprimeva rispetto, venerazione, amicizia e molto altro. Questo gesto è stato così intenso proprio perché avveniva dopo nove secoli di divisione e dopo che le due Chiese si erano scomunicate a vicenda. Dunque, direi che è stato uno dei gesti principali, il più importante nella storia dell’ecumenismo contemporaneo, perché ha rotto questo muro - che durava appunto da nove secoli – ed ha aperto orizzonti assolutamente nuovi ed impensabili fino a pochi anni prima.

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    Mons. Toso: serve “democrazia samaritana” che non escluda nessuno e sostenga i deboli

    ◊   Si tiene in questi giorni, a Roma, la Scuola di pace promossa dalla Casa Frate Jacopa sul tema “Fraternità, fondamento e via per la pace”. L’evento si collega idealmente al Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace, incentrato proprio sul tema della fraternità. All’incontro è intervenuto oggi mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Nell’intervista di Alessandro Gisotti, mons. Toso si sofferma sui punti che più l’hanno colpito del Messaggio del Papa per la Giornata della pace:

    R. - Lo sguardo in profondità, che legge la realtà complessa odierna specie nei suoi aspetti positivi, ossia nella sua struttura di fraternità, punto archimedico su cui far leva per un futuro di speranza. E, poi, il vigore prospettico: la fraternità è presentata non solo come criterio interpretativo ma anche come principio architettonico della realtà sociale. Infine, l’ansia missionaria: per Papa Francesco il cristianesimo, con l’annuncio del Vangelo della fraternità, offre un apporto specifico, unico, nella costruzione di una società giusta e pacifica.

    D. - Una parte importante del Messaggio è dedicata alla crisi socio-economica. Qui il Papa sottolinea che la crisi ha radici ben più profonde del mero dato economico. Una sua riflessione…

    R. - La fraternità, assunta e vissuta come dimensione dell’essere e della relazionalità umani, può senza dubbio contribuire a strutturare l’economia e la finanza come attività “amiche dell’uomo”, di ogni uomo e di ogni popolo; può farle ritornare – dopo periodi di idolatria del profitto a breve termine -, ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza e allo sviluppo, come auspicava d’altronde Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate, ossia a porsi decisamente al servizio delle persone, dell’economia reale, del lavoro, delle imprese, delle comunità locali. La fraternità potrà sostenere - secondo il pensiero di Papa Francesco - nello smascheramento delle false ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati, che negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune; nonché nello smontare quelle teorie della “ricaduta favorevole” alle quali si accenna nell’Esortazione Evangelii gaudium, e che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggior equità e inclusione sociale nel mondo.

    D. - Come la dimensione della fraternità può essere concretizzata dai cristiani nella vita sociale, nell’impegno per il bene comune?

    R. - La fraternità oggi può svolgere, in particolare, un ruolo decisivo nel rifondare la democrazia rappresentativa, partecipativa, sempre più aperta al sociale. Il concetto di democrazia oggi prevalente appare subordinato a mentalità neoutilitaristiche e neoindividualistiche che lo configurano come un progetto sociale e politico che non include tutti i cittadini e che non persegue coerentemente il bene comune. Il neoutilitarismo punta, infatti, a realizzare il bene per la maggioranza. Il neoindividualismo, che riduce il bene comune al bene dei singoli, finisce per promuovere il bene di pochi, dei più forti. I poveri, secondo un certo neoliberalismo, ci debbono essere sempre, perché senza di essi l’economia di mercato non può funzionare al meglio... La fraternità, che evidenzia l’eguaglianza di dignità tra le persone e che spinge a farsi “prossimo” nei confronti di chi è nel bisogno, comanda di scegliere tra una democrazia “a bassa intensità”, che produce esclusi e prevede anche alti livelli di povertà, e una democrazia “ad alta intensità”, inclusiva di tutti e che si ripropone di sconfiggere la povertà; tra una democrazia che si mostra indifferente nei confronti dei cittadini che sono caduti e feriti a causa di crisi che colpiscono i più deboli e una democrazia costantemente “samaritana” - si rammenti la parabola evangelica del Buon Samaritano -, ossia una democrazia che non passa oltre ma si fa carico delle fragilità dei cittadini più sfortunati, spogliati da eventi superiori alle loro forze, che li conducono alla disoccupazione e all’emarginazione sociale. La rifondazione della democrazia non è compito di qualcuno, ma di tutti. Non si tratta di articolare solo un nuovo programma economico e sociale ma soprattutto un progetto politico e un tipo di società in cui c’è posto per tutti e in cui tutti sono chiamati a collaborare alla realizzazione del bene comune! Non si tratta solo di cambiare dirigenti e volti, occorre che i rappresentanti siano preparati e dediti al bene comune, in sinergia con i cittadini rappresentati.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nelle acque della misericordia: in prima pagina, Manuel Nin sull'Epifania del Signore in un'omelia siriaca del sesto secolo.

    In un'intervista di Mario Ponzi, il segretario monsignor Giampietro Dal Toso traccia un bilancio dell'attività di Cor Unum nel 2013.

    Antonio Spadaro sul colloquio di Papa Francesco con i superiori generali degli istituti di vita religiosa maschili.

    Nell'informazione internazionale, la missione del segretario di Stato statunitense in Vicino Oriente e le nuove violenze nelle piazze egiziane.

    Nell'informazione religiosa, un articolo sul pastore, l'imam e l'arcivescovo, ovvero i santi di Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, dove infuria la guerra civile.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto: nuovi scontri tra forze di sicurezza e seguaci del deposto presidente Morsi

    ◊   Ancora scontri in Egitto tra forze di sicurezza e seguaci dei Fratelli Musulmani. Sono avvenuti questa mattina all’università al Azhar, al Cairo, all’indomani delle violenze che ieri hanno provocato almeno 16 morti e oltre 120 arresti in tutto il Paese. E si prevedono nuove tensioni visto che gli islamisti hanno annunciato manifestazioni ad oltranza. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Valentina Colombo, ricercatrice di storia dei Paesi islamici all’Università Europea di Roma:

    R. - Quanto sta accadendo ci fa capire, ci conferma, per l’ennesima volta, che i Fratelli Musulmani qualora non accettassero il potere centrale o non accettassero una persona in generale, potrebbero arrivare tranquillamente all'uso della forza. Perché in questo momento definendo “un colpo di Stato” quello avvenuto nei mesi scorsi, definendo “terrorista” il regime militare, si trovano in una posizione di resistenza, che è la stessa posizione - per fare un parallelo - di Hamas nei confronti di Israele.

    D. - I Fratelli Musulmani protestano anche contro i processi che riguardano il deposto presidente Morsi …

    R. - Assolutamente sì. E loro non si fermeranno, non hanno nulla da perdere in questo momento, ma - purtroppo - possono ancora contare su tutta una serie di istituzioni, di associazioni a loro legate e radicate sul territorio. Per cui, quello che io auspico è che il governo possa agire su educazione, ospedali, scuole, università e migliorare la condizione economica e sociale alla base. Allora, in quel caso il governo potrà veramente sradicare i Fratelli musulmani, perché troverà quel popolo, quei 25 milioni di persone che hanno firmato le petizioni anti Morsi, veramente dalla propria parte.

    D. - Gli islamisti hanno annunciato proteste ad oltranza; i prossimi non saranno giorni facili per l’Egitto …

    R. - Non sarà una sorpresa - purtroppo - quello che accadrà, però il popolo egiziano oggi ha capito che forse i Fratelli Musulmani non sono la soluzione, non lo sono mai stata! Ovviamente il regime militare non dovrà incorrere nello stesso errore dei Fratelli Musulmani, cioè attaccare per attaccare, e in una situazione di questo genere tutto è possibile. Però, credo che la maggior parte degli egiziani, oggi, sia decisamente schierata, con varie sfumature, dalla parte del governo. Quindi, qualora ci saranno attentati, attacchi, scontri, il popolo saprà perché accadono e saprà da che parte stare.

    D. - Secondo lei quali dovrebbero essere le scelte del governo egiziano nel breve periodo?

    R. - Credo che si dovranno concentrare fondamentalmente sulla sicurezza interna, un aspetto che va di pari passo con il riavvio di quella che è l’entrata principale della nazione egiziana: il turismo. Quello che poi mi auguro è anche l’avvio di politiche a lungo termine che devono andare assolutamente a favore di un popolo che da anni è un popolo sfinito, che non è ovviamente il popolo delle grandi città; ricordiamoci che la maggior parte della popolazione egiziana vive nelle campagne e le campagne egiziane non hanno niente a che vedere con quello che vive il Cairo, Alessandria o Port Said. Lì, la povertà regna sovrana, e quelle sono anche le enclave dei Fratelli Musulmani e degli estremisti islamici. Non dimentichiamoci dei salafiti, che adesso stanno cercando di parteggiare per il governo, che poi alla fine sono l’altra faccia della medaglia dei Fratelli Musulmani. Ecco, allora, forse potremo iniziare a parlare di un futuro migliore per gli egiziani.

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    Centrafrica. Un milione gli sfollati, ancora violenze. Una suora: la Chiesa lavora per la pace

    ◊   Nella Repubblica Centrafricana, continuano le violenze che contrappongono i miliziani ribelli della Seleka e i gruppi armati detti anti-Balaka, malgrado la presenza di truppe francesi e di una missione internazionale dell’Unione Africana. E Le Nazioni Unite lanciano l’allarme umanitario. Sono ormai quasi un milione gli sfollati interni. Il servizio di Davide Maggiore:

    Un centrafricano su cinque ha dovuto abbandonare la sua casa e nella capitale Bangui il 60% delle persone in fuga dagli scontri sono bambini. Chi può chiede accoglienza a famiglie di amici o parenti, altri cercano riparo vicino ai luoghi presidiati dalle truppe internazionali, come l’aeroporto della capitale. In più, 240 mila centrafricani sono ufficialmente rifugiati negli Stati confinanti. Le Nazioni Unite pensano ad un piano del valore di 152 milioni di dollari, per affrontare in cento giorni l’emergenza umanitaria all’interno del Paese, ma far arrivare operatori e aiuti nei territori più distanti dalla capitale è in alcuni casi praticamente impossibile, viste le condizioni di sicurezza. L’organizzazione non governativa Medici Senza Frontiere ha annunciato che ridurrà il suo personale presente a Bangui, perché il rischio è troppo alto. Anche a Berberati, seconda città del Paese, la situazione è drammatica, come racconta una missionaria cattolica, suor Elvira Tutolo, delle Suore della carità di Santa Giovanna Antida:

    “Noi siamo sommersi da persone che vengono dai luoghi dove questa ribellione è passata. Molte persone sono venute qui a Berberati, soprattutto da Bangui. Berberati si trova sprovvista di tutto: l’ospedale non ha più nemmeno i reattivi, mancano le medicine e la possibilità di accogliere a livello sanitario. Dobbiamo dire grazie perché qui a Berberati accolgono questi loro fratelli che arrivano. Ma la difficoltà è tanta, perché in una famiglia in cui ci sono già circa 13 persone e ne arrivano altre 5 o 10, la situazione è veramente di sopravvivenza”.

    Le tensioni nel Paese stanno coinvolgendo anche migliaia di persone di nazionalità ciadiana che si trovano in Centrafrica: 12 mila di loro sono stati rimpatriati negli scorsi giorni. Chi viene dal Ciad, infatti, rischia di essere identificato come un ribelle. Ancora suor Elvira:

    “Quando i Seleka sono arrivati – ed erano ciadiani - chiaramente è stata fatta questa identificazione 'Seleka uguale ciadiani', perché effettivamente si trattava di ciadiani e sudanesi. Certo, la popolazione civile ciadiana non ha nessuna colpa. E’ un problema che è stato creato con l’arrivo dei Seleka. Sono soltanto dei mercenari, dei violenti”.

    In questo contesto, i leader delle diverse comunità religiose continuano a lanciare appelli alla pace, alla tolleranza e al dialogo, come già avvenuto negli scorsi mesi. Ecco la testimonianza di suor Elvira:

    “Il vescovo sta lavorando moltissimo nel fare tutta una serie di riunioni tra i capi musulmani ed i responsabili della Chiesa, proprio per invitare tutti, nell’eventualità di uno scontro, a non reagire”.

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    Rifiuti tossici campani. I vescovi: dramma umanitario. Don Patriciello: il dl va migliorato

    ◊   "L'attenzione resta altissima, e il presidente Napolitano segue costantemente la problematica della Terra dei fuochi''. A dirlo è il capo della task force del Viminale per l'emergenza rifiuti tossici in Campania. Ieri, la lettera del capo dello Stato, a don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano attivo nel contrasto al fenomeno che sta devastando l’economia e colpendo la salute di molta della popolazione campana. "Un vero dramma umanitario, occorre fare presto", ribadiscono oggi in una lettera-appello il cardinale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, e i vescovi delle diocesi della "Terra dei fuochi". Martedì prossimo, alla Camera, il Coordinamento del Comitato dei Fuochi riferirà sul decreto approvato il mese scorso.Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Il presidente Napolitano scrive a don Maurizio Patriciello parole importanti come il decreto varato a inizio dicembre dall’esecutivo: sono i primi passi che sottolineano la necessità di vigilare e di impegnarsi costantemente su un problema - più che trentennale - che non è solo campano, ma nazionale e che non riguarda lo smaltimento dei rifiuti quotidiani, ma bensì quello illegale dei rifiuti industriali. E’ questa la prima distinzione da fare e da ribadire, per centrare il problema, dice il parroco di Caivano, e su questo il decreto è carente. Don Maurizio Patriciello:

    “Che vadano ad arrestare chi appicca il fuoco in campagna è una grande cosa, visto che fino a poco tempo fa c’era solo una piccola multa da pagare. Ma se non si chiedono cosa stia appiccando questa persona e da dove venga… E’ là allora che arriviamo a un sistema industriale che vive e opera in regime di evasione fiscale. Bisogna allora andare incontro e non rovinare certamente quel poco che c’è. La camorra nostrana ha le sue colpe: quelli non vogliono bene a nessuno, non amano nessuno. Ma la camorra nostrana ha lavorato in questo modo di fare industria”.

    Il Quirinale dice di volere essere informato sulle esigenze e le istanze della popolazione, che lo stesso don Maurizio sta raccogliendo, ma che non sono positive:

    “Sfiducia. Persone che non credono più a niente e a nessuno. Io questo l’ho detto mille volte al Senato, alla Camera e anche a Bruxelles: fate attenzione, perché non c’è niente di peggio di un popolo che ormai non crede più a nessuno. E la cosa è veramente complessa, perché riguarda l’economia, riguarda l’ambiente, riguarda la politica, riguarda la coscienza, riguarda la mafia, la camorra, che ancora fa tanta paura. E’ facile dire, come qualcuno ogni tanto si ricorda di dire: 'Siete stati anche voi omertosi'. Guardate che non è omertà: è paura. Proprio paura. Più lo Stato è distante e più la camorra diventa forte”.

    Intanto, martedì alla Camera proprio il Coordinamento del Comitato dei fuochi e altre rappresentanze civili campane in audizione presenteranno spunti e richieste sul testo legislativo. Primo punto, la richiesta di un nuovo regime fiscale e più attenzione al mondo del lavoro, per evitare risparmi sullo smaltimento dei rifiuti industriali. Poi, un monitoraggio serio delle conseguenze sulla salute del fenomeno "rifiuti tossici" e nessun risarcimento, bensì giustizia regionale, come ci spiega Antonio Marfella del Coordinamento fuochi:

    “La Campania è la regione più giovane d’Italia e quella più colpita da questo disastro ambientale, che per una impropria e fuorilegge ripartizione del fondo sanitario nazionale è quella che ha a testa 70 euro in meno di ripartizione del fondo. E’ veramente vergognoso”.

    Ma la gente campana, nonostante tutto sta riuscendo a trasformare il dolore in ricchezza e testimonianza. Tante le campagne nelle scuole, tra i medici, e poi l’azione delle donne campane, anche quelle che hanno poco ancora da vivere, ma che non si arrendono all’idea che cambiare si può. Ancora Antonio Marfella:

    “Abbiamo al Pascale le nostre giovani ammalate di cancro, che si sono esposte, non certo per volontà estetica, ma per sottolineare il problema, all’interno di un calendario, che le ritrae bellissime. Il tutto è finalizzato alla consapevolezza del danno ambientale. Stanno dando un grande esempio di civiltà e di coraggio”.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella seconda Domenica dopo Natale, la liturgia ci propone il celebre prologo del Vangelo di Giovanni:

    “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”.

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    In questa Domenica la Chiesa ci presenta una sintesi di tutto quello che abbiamo celebrato, ricevuto e vissuto durante il tempo di Natale: il dono che Dio ci ha fatto della sua Sapienza, il suo Figlio Gesù Cristo, che è venuto a mettere la sua tenda tra di noi, per farci il dono della “divinizzazione”, per farci diventare come Dio, “familiari” (= della famiglia) di Dio (cf Ef 2,19). Il Verbo, la Parola di Dio, è il “divinizzatore” di quanti lo accolgono, perché dona loro lo Spirito Santo, tutta la Grazia di Dio. Davanti a questa “manifestazione di Dio” (epifania), davanti a questo dono di Dio noi restiamo liberi. Davvero possiamo accoglierlo e ci si spalanca davanti il cielo, la vita eterna, oppure rifiutarlo e restare con i nostri piccoli o grandi sogni e progetti, frustrati tutti dalla morte che ci attende. La libertà, essere liberi, è il vero principio divino dentro di noi, ma deve essere intesa bene: non solo come capacità di scegliere tra bene e male, ma come capacità di amare, di donarsi agli altri, come Dio si dona a noi e dona tutto a noi: Cristo sulla Croce. Ecco l’uomo libero, perché interamente donato. Come osserva bene il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi. Non c’è vera libertà se non al servizio del bene e della giustizia. La scelta della disobbedienza e del male è un abuso della libertà e conduce alla schiavitù del peccato” (n. 1733). Possiamo chiederci: Ma io sono cosciente di “essere stato fatto figlio di Dio”, di avere la natura di Dio? Chi vive con me percepisce che io sono “figlio di Dio”?

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica. I Salesiani: a Bangui aumenta la violenza, 370 mila gli sfollati

    ◊   Civili in fuga, rappresaglie, paura. E nel mezzo le missioni e le parrocchie, spesso utilizzate come luoghi di riparo dalle violenze. E' lo scenario attuale della Repubblica Centrafricana raccontato dai Salesiani che vi lavorano. “Con l’arrivo delle truppe straniere - racconta ad Ans, l’agenzia di informazione della Congregazione, un confratello che lavora in Bangui - si ha l’impressione di una certa sicurezza, però i soldati proteggono solamente lo spazio del centro città, i quartieri periferici al momento non godono di nessuna sicurezza”. Nei due campi di Bangui presso i salesiani - riferisce l'agenzia Sir - che ospitano 60 mila sfollati, le persone aumentano sempre di più, mentre la violenza crescente rallenta o impedisce la consegna di cibo, acqua, medicinali e l’assistenza sanitaria. “Ieri ci sono stati combattimenti con morti e molti feriti - racconta un salesiano - di questi ultimi ne abbiamo potuto accogliere solo tre. Uno molto grave e non so se sopravvivrà. Ieri si è dovuto evacuare l’ospedale comunitario. L’evacuazione è un rischio perché si incontrano persone armate sulle strade”. Vi sono “giovani con machete e armi pronti al combattimento - prosegue - Si avverte la bestialità umana. Si vede sui loro volti quanto violento può essere l’uomo. Viviamo in un tasso di insicurezza inspiegabile. Tutto può essere motivo di malinteso. Soprattutto per la gente semplice”. Secondo dati dell'Onu le persone sfollate all'interno del Paese ha ormai superato quota 935 mila. (R.P.)

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    Sud Sudan: il dramma di sfollati interni e rifugiati sudanesi prime vittime del conflitto

    ◊   Gli scontri tra militari fedeli al Presidente Salva Kiir e quelli affiliati all’ex Vice Presidente Riek Machar, hanno creato una grave emergenza umanitaria in diverse aree del Sud Sudan. Tra i più colpiti vi sono gli oltre 200.000 rifugiati sudanesi accolti nei campi di Yida e Ajuong Thok nello Stato di Unità. Queste persone si trovano di fronte alla drammatica scelta di rimanere nei campi profughi privi di assistenza oppure di tornare nelle Montagne Nuba, nel Sud Kordofan, lo Stato del Sudan, sconvolto dai combattimenti tra l’esercito di Khartoum e i ribelli dell’Splm-N (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese-Nord). Anche la popolazione del Sud Sudan sta soffrendo a causa della crisi politico-militare del Paese. Una delle situazione più drammatiche si registra ad Awerial, nello Stato dei Laghi (nel centro del Sud Sudan) dove oltre 70.000 sfollati, un maggioranza donne e bambini, sono privi di assistenza. Gli sfollati sono provenienti da Bor, capitale dello Stato di Jonglei, al centro dei combattimenti tra le truppe di Kiir e di Machar. Secondo stime delle organizzazioni umanitarie, le tre settimane di scontri tra le fazioni rivali hanno costretto alla fuga oltre 200.000 civili. (R.P.)

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    Siria. Il vescovo caldeo di Aleppo: “A Ginevra 2 si prenda atto che la Siria non è la Libia”

    ◊   “I partecipanti alla Conferenza di Ginevra 2 dovranno partire rispettando i connotati propri della Nazione siriana”. Così il vescovo di Aleppo dei caldei Antoine Audo descrive l'unico approccio che può assicurare risultati concreti alla prossima Conferenza internazionale di Pace sulla Siria in programma a Montreux, in Svizzera, il prossimo 22 gennaio. “Noi riteniamo che si deve rispettare il Paese con i suoi problemi, sostenerlo nel suo cammino progressivo verso la giustizia e la libertà” aggiunge il vescovo caldeo “piuttosto che approfittare delle sue debolezze per tentare di annientarlo. Come uomini di Chiesa, è questa la prospettiva con cui guardiamo al presente e al futuro della Siria. E ci chiediamo a cosa e a chi serve il tentativo di distruggere un Paese che era stabile e custodiva anche tesori di civiltà. Forse qualcuno pensava che la Siria fosse come la Libia, che fosse facile cambiare il regime dall'esterno, magari per interessi economici. Come si è visto, si trattava di congetture fallaci”. Il vescovo Audo - riporta l'agenzia Fides - esprime riconoscenza “per quello che sta facendo Papa Francesco in favore della pace. Ho saputo che nei prossimi giorni ci sarà in Vaticano una giornata di studio sulla tragedia del popolo siriano. Anche da lì verranno elementi di riflessione che potranno essere utili alla Conferenza di Ginevra 2”. (R.P.)

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    Usa. Gelo e neve della tempesta Hercules causano 16 morti nel nordest

    ◊   Meno 38 gradi. A tanto è scesa la colonnina di mercurio a Embarras, località del Minnesota al confine con il Canada. È la più bassa delle temperature registrate nella notte negli Stati Uniti e la più emblematica della situazione creata sulla costa nordorientale del Paese dall’imperversare della tempesta “Hercules”. Una tempesta dalle conseguenze drammatiche, che ha già causato 16 morti, disagi a catena, scuole chiuse, collegamenti paralizzati, compresi quelli aerei, con la cancellazione di circa 3.500 voli. Per la maggior parte delle vittime, almeno nove, fatali sono stati gli incidenti stradali accaduti sulle strade ghiacciate, negli Stati di Michigan, Kentucky, Indiana e Illinois. La neve continua a cadere senza sosta e il nordest è ormai sotto una coltre di 60 cm. di neve, mentre 45 sono quelli caduti sulla sola città di Boston. Anche Washington e New York fanno i conti con la tempesta, e tra le morti per assideramento di queste ore trapela la storia di un’anziana 71.enne malata di Alzheimer, smarritasi fuori di casa e incapace ritrovare la strada per tornare nelle campagne dello Stato di New York. Il neo sindaco della Grande mela, Bill De Blasio, ha lanciato dalla City Hall un messaggio ai suoi concittadini, anche in lingua spagnola, invitandoli a uscire di casa solo per stretta necessità e a stare lontano dalle strade per non intralciare il lavoro degli spalatori. Chiuse anche alcune autostrade, mentre sono stati rafforzati gli interventi per garantire un rifugio ai senza fissa dimora. (A.D.C.)

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    Myanmar. L’arcivescovo di Yangon: speranze di pace e democrazia, ma la strada è ancora lunga

    ◊   La pace, la fraternità, la democrazia in Myanmar sono “una comune speranza per tutti i cittadini”: all'alba di un nuovo anno, “in Myanmar si prepara l’alba di una nuova era, fatta di libertà, giustizia, pace”. Lo afferma mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, tracciando, in una nota inviata all’Agenzia Fides, “una road map” per la nazione, che delinea le prospettive per il 2014. L’arcivescovo ricorda i molti progressi compiuti negli ultimi due anni dalla nazione che “ha aperto le porte al mondo”. Tuttavia, afferma, si è ancora all’inizio: “Molti detenuti politici restano in carcere e, mentre parla di pace, continuano attacchi militari contro i civili nello Stato Kachin. Mentre si gode di maggiore libertà di parola, alcuni l’hanno usata per incitare alla violenza contro fratelli e sorelle musulmani. La strada da percorrere è lunga, e ci sono molte sfide gravi da affrontare”. Le riforme democratiche non sono garanzia della fine dei conflitti, ammonisce. “La pace si ottiene, è vero, con un lento e costate processo di dialogo, che comporta una soluzione politica per le minoranze etniche del Myanmar”. Tuttavia, nota mons. Bo, “la vera pace può essere raggiunta solo attraverso una rivoluzione del cuore, un rinnovamento delle menti e una riscoperta del valore della fraternità”. Mons. Bo il messaggio di Papa Francesco per la “Giornata Mondiale della Pace”, ricordando “l’insopprimibile anelito di fraternità” presente nel cuore di ogni uomo. E stigmatizza l'ondata di odio e di violenza, scatenatasi negli ultimi 18 mesi verso i cittadini birmani musulmani in diverse aree del Paese, atti che, afferma, “portano alla morte della fraternità”. Per questo il popolo birmano “ha il compito di ricostruire non solo gli edifici distrutti, ma le relazioni interpersonali e intercomunitarie, e di ricostruire il suo cuore”: nella diversità di etnie, società, religioni e culture, spiega il messaggio, “vi sono i semi di una vocazione a formare una comunità composta da fratelli e sorelle che si accettano e si prendono cura l'un l'altro”. La road map per il futuro del Paese – conclude – passa per la costruzione di una “nazione arcobaleno”, in cui tutti, soprattutto le minoranze, sono trattate con uguale rispetto e parità di diritti: un nazione prospera perché scevra da guerre e conflitti religiosi, dalla povertà, definita “una ferita all’anima della nazione”, e dalle violazione dei diritti umani fondamentali.

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    I Cantori della Stella raccolgono fondi per i bambini del Malawi

    ◊   Una campagna per raccogliere fondi per i bambini del Malawi. A condurre l’iniziativa in Germania e in Austria sono i Cantori della Stella, quattromila bimbi, che nei giorni scorsi, come riporta l'agenzia Sir, hanno raggiunto Colonia da tutto il Paese. Ad accoglierli il cardinale Joachim Meisner, ai quali ha detto: “Siete una grande benedizione per i bambini dei Paesi poveri. Perciò è così importante che voi ci siate”. In Germania e Austria, in questi giorni i bambini che partecipano all’iniziativa, vestiti da Re Magi, passano di casa in casa per ottenere offerte. E il loro pensiero è rivolto proprio al Malawi, perché lì affluiscono molti piccoli profughi che fuggono da conflitti. Non mancano le visite alle autorità: il 6 gennaio, una delegazione di Cantori della Stella verrà ricevuta a Berlino dal presidente tedesco, Joachim Gauck, e l’indomani dalla Cancelliera, Angela Merkel. In Austria, il 30 dicembre scorso i Cantori della Stella sono stati ricevuti dal Presidente federale, Heinz Fischer, per inaugurare la 60ma edizione della raccolta nel Paese e poi sono stati accolti dal presidente del Nationalrat, la Camera dei rappresentanti del Parlamento austriaco, Barbara Prammer. (F.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 4

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