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Sommario del 26/02/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: l’Unzione degli infermi dà forza e speranza ai malati, sfatare i tabù
  • Il Papa prega per il Venezuela scosso da violenze: cessate gli scontri e riconciliatevi
  • Sinodo dei vescovi: urgente dare nuovo slancio al Vangelo della famiglia
  • Nomina episcopale in Brasile
  • Benedetto XVI: assurdo speculare sulla mia rinuncia al ministero petrino
  • "Povera per i poveri-La missione della Chiesa": il volume con i testi del card. Müller e di padre Gutiérrez
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina: stasera verrà presentato il nuovo governo. Tensioni separatiste in Crimea
  • Attacco Boko Haram ad un liceo nigeriano: il cardinale Onaiyekan, violenza indiscriminata
  • Egitto. Si lavora alla squadra di governo. La priorità è la lotta al terrorismo
  • Policlinico Gemelli, struttura contro il cyberbullismo: offrirà aiuto a vittime e autori di violenze
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: iniziative della Chiesa per i profughi musulmani vittime degli anti-balaka
  • Mali: 50mila bambini rischiano di morire di fame
  • Congo: l’Onu annuncia un rafforzamento dei Caschi Blu nel Katanga
  • Iraq: i vescovi contro la violenza che "distrugge il Paese"
  • Libia. Mons. Martinelli condanna gli attacchi dei fondamentalilsti islamici
  • Sri Lanka: il vescovo di Mannar chiede al governo verità sulle fosse comuni
  • Pakistan. I politici a mons. Shaw: “Lo Stato rispetterà i diritti delle Chiese”
  • India: sotto la lente dell’Onu i massacri del 2002 e la libertà religiosa in Gujarat
  • Repubblica Dominicana: Messaggio dei vescovi per la Festa dell'indipendenza
  • Mons. Celli al congresso Signis: costruttori di una "cultura dell'incontro"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: l’Unzione degli infermi dà forza e speranza ai malati, sfatare i tabù

    ◊   Il Signore affida ogni giorno alla Chiesa quanti sono afflitti nel corpo e nello spirito. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza generale di stamani in Piazza San Pietro dedicata al Sacramento dell’Unzione degli Infermi. Il Papa ha messo in guardia dalla ricerca ossessiva del miracolo nella pretesa di ottenere sempre la guarigione. Al momento dei saluti ai pellegrini, un pensiero speciale è andato dunque alle persone affette da malattie rare. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Il Sacramento dell’Unzione degli infermi “ci permette di toccare con mano la compassione di Dio per l’uomo”. Papa Francesco ha iniziato così la sua catechesi, sottolineando che l’unzione dei malati richiama immediatamente alla parabola del Buon Samaritano che si prende cura dell’uomo sofferente, versando sulle ferite olio e vino, per poi affidarlo all’albergatore:

    “Ora, chi è questo albergatore? È la Chiesa, la comunità cristiana, siamo noi, ai quali ogni giorno il Signore Gesù affida coloro che sono afflitti, nel corpo e nello spirito, perché possiamo continuare a riversare su di loro, senza misura, tutta la sua misericordia e la sua salvezza”.

    Il Papa ha soggiunto quindi che, fin dai tempi degli Apostoli, c’era questa prassi di pregare per i malati, ungendoli con olio nel nome del Signore:

    “Gesù ha insegnato ai suoi discepoli ad avere la sua stessa predilezione per i malati e per i sofferenti e ha trasmesso loro la capacità e il compito di continuare ad elargire nel suo nome e secondo il suo cuore sollievo e pace, attraverso la grazia speciale di tale Sacramento. Questo però non ci deve fare scadere nella ricerca ossessiva del miracolo o nella presunzione di poter ottenere sempre e comunque la guarigione”.

    Il Papa ha ribadito l’importanza della vicinanza di Gesù al malato, anche all’anziano, “perché ogni anziano, ogni persona di oltre 65 anni - ha rammentato - può ricevere questo Sacramento, è Gesù che si avvicina”:

    “... quando uno è malato, si pensa: ‘Ma, chiamiamo il prete, il sacerdote perché venga’ – ‘No, no, ma poi porta mala fortuna, poi, no, non lo chiamiamo’, o ‘Poi si spaventerà, l’ammalato’… Perché? Perché c’è un po’ l’idea che, quando c’è un ammalato e viene il sacerdote, dopo di lui arrivano le pompe funebri: e quello non è vero! Il sacerdote viene per aiutare il malato o l’anziano: per questo è tanto importante la visita dei sacerdoti ai malati”.

    Ecco perché il sacerdote deve essere chiamato dal malato, “perché è Gesù che arriva per sollevarlo, per dargli forza, per dargli speranza, per aiutarlo. Anche per perdonargli i peccati”. “E questo – ha detto – è bellissimo!”:

    “E non pensiate che questo sia un tabù, perché sempre è bello sapere che nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’Unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico corpo, con Gesù, si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno”.

    Il conforto più grande, ha detto ancora, “deriva dal fatto che a rendersi presente nel Sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per mano, ci accarezza come faceva con i malati”. Dopo la catechesi il Papa ha rivolto un pensiero speciale proprio alle persone affette da malattie rare in vista della Giornata a loro dedicata:

    “…auspico che i pazienti e le loro famiglie siano adeguatamente sostenuti nel loro non facile percorso, sia a livello medico che legislativo”.

    In Piazza San Pietro, gremita da 50 mila fedeli, anche tanti bambini che indossavano le maschere per Carnevale. Francesco ne ha baciati alcuni, tra cui uno con l’abito da Guardia Svizzera e perfino un piccolo vestito da Papa. Al momento dei saluti, il Pontefice ha dunque rivolto un pensieroo speciale ai comunicatori cattolici che partecipano al Congresso Signis, ai direttori delle radio cattoliche in Polonia giunti a Roma per gli esercizi spirituali. E ancora, alle delegazioni di Confedilizia, Confagricoltura e Associazione stampa romana.

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    Il Papa prega per il Venezuela scosso da violenze: cessate gli scontri e riconciliatevi

    ◊   “Seguo con particolare apprensione quanto sta accadendo in questi giorni in Venezuela”. Papa Francesco ha voluto concludere l’udienza generale di oggi con uno sguardo al Paese latinoamericano, che da tre settimane è scosso da un’ondata di violenza antigovernativa. Mobilitati anche i vescovi venezuelani, che in un lungo comunicato chiedono di rispettare il diritto a manifestare il dissenso e condannano l’eccesso di forza usato in diverse circostanze contro i manifestanti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Una quindicina di persone senza vita, 140 feriti e ancora nessuna certezza su come evolverà la protesta di massa che da 14 giorni ha investito il governo del presidente venezuelano, Maduro, il quale tenta una mediazione attraverso la Conferenza nazionale per la pace indetta per oggi. Preoccupato da questo scenario, Papa Francesco è intervenuto alla fine dell’udienza generale con un appello, indirizzato soprattutto ai leader del Paese sudamericano:

    “Auspico vivamente che cessino quanto prima le violenze e le ostilità e che tutto il popolo venezuelano, a partire dai responsabili politici e istituzionali, si adoperi per favorire la riconciliazione, attraverso il perdono reciproco e un dialogo sincero, rispettoso della verità e della giustizia, capace di affrontare temi concreti per il bene comune”.

    L’appello di Papa Francesco termina con la preghiera a Dio per le vittime degli scontri e le loro famiglie, per intercessione della Vergine di Coromoto, Patrona del Venezuela. Ma assieme al Papa anche i vescovi del Paese hanno levato la voce denunciando la brutalità usata dalle forze dell’ordine in alcuni casi contro i dimostranti. “Gli studenti e il popolo – si legge in un loro comunicato – hanno il diritto di protestare secondo le disposizioni della Costituzione, ma si deve sempre evitare che la protesta degeneri in violenza. Le autorità di polizia e i militari sono tenuti a rispettare i diritti umani (...) La Costituzione venezuelana garantisce le condizioni di una società pluralistica”. In sintonia con Papa Francesco, i presuli venezuelani ribadiscono che la Chiesa del Paese “è favorevole al dialogo ed invita tutti gli uomini e le donne del Venezuela a mostrare al mondo che l'insegnamento di Gesù, il Signore, ci guida per diventare costruttori di una pace autentica.”

    E nel segno della riconciliazione – e di buon auspicio per la Conferenza nazionale convocata da Maduro – va intesa anche la “Messa per la pace”, di sapore ecumenico, che verrà celebrata oggi alle 18, ora locale, davanti alla cattedrale di Ciudad Guayana. A promuoverla il vescovo della diocesi, Mariano José Parra Sandoval, e il pastore della Chiesa cristiana di Gesù Cristo, Christian Sebastia.

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    Sinodo dei vescovi: urgente dare nuovo slancio al Vangelo della famiglia

    ◊   Il Consiglio Ordinario del Sinodo dei Vescovi si è riunito, ieri e lunedì, per discutere i risultati dell’inchiesta avviata nel novembre 2013 con l’invio di un questionario sui temi relativi alla famiglia alle Conferenze episcopali di tutto il mondo. La percentuale delle risposte, informa un comunicato pubblicato dalla Sala Stampa Vaticana, “è stata altissima”. Si sono inoltre aggiunte osservazioni pervenute da singoli e gruppi da ogni parte del mondo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Il Consiglio del Sinodo – informa il comunicato – è stato presieduto nel pomeriggio del 24 febbraio da Papa Francesco, “che ha evidenziato anche così l’importanza che attribuisce alla struttura del Sinodo come espressione della collegialità episcopale e al tema di cui si occuperanno la prossima Assemblea straordinaria del 2014 e quella ordinaria del 2015”. “La bozza di sintesi delle risposte pervenute – prosegue la nota – è stata unanimemente apprezzata”. Da essa, “si ricava la voce della Chiesa in tutte le sue componenti e nella varietà delle situazioni contestuali sia riguardo all’urgenza di annunciare con nuovo slancio e modalità il vangelo della famiglia, sia circa le sfide e le difficoltà connesse con la vita familiare e le sue eventuali crisi”.

    Le osservazioni fatte durante la discussione, si legge ancora nella nota, “saranno tenute presenti per elaborare la bozza di sintesi l’Instrumentum laboris a partire dal quale si svolgeranno i lavori sinodali”. Si è sottolineata, infine, “l’unitarietà delle due tappe previste per la riflessione sinodale sulla famiglia, finalizzata a presentare” al Papa “solo al termine del Sinodo ordinario proposte a partire dalle quali egli potrà elaborare la Sua esortazione apostolica”. Alla riunione erano presenti il relatore generale del Sinodo, il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, e il segretario speciale, mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto. Nell’occasione, il Papa ha benedetto la nuova ala della sede della Segreteria Generale con la Cappella e i nuovi uffici.

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    Nomina episcopale in Brasile

    ◊   In Brasile, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Divinópolis il sacerdote Carlos de Souza Campos, finora parroco della Cattedrale e amministratore diocesano di Divinópolis. Mons. de Souza Campos è nato il 3 marzo 1968 a Itaúna, nella diocesi di Divinópolis. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 30 maggio 1993. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso la Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais a Belo Horizonte (1986-1988) e quello di Teologia presso il Seminario Provinciale “Coração Eucarístico de Jesus” della Provincia Ecclesiastica di Belo Horizonte (1989-1992). Inoltre, ha ottenuto la Licenza in Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana (2000-2002). Nel corso del ministero sacerdotale, ha ricoperto le seguenti funzioni: Coordinatore diocesano della Pastorale Catechetica (1992-1997); Parroco della Parrocchia “Senhor Bom Jesus” a Pedra do Indaiá (1993-1994); Vicario parrocchiale della Parrocchia “Nossa Senhora da Guia” a Divinópolis (1993-1994); Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora Aparecida” a Divinópolis (1994-1998); Cancelliere (1996-1998); Coordinatore del progetto “Rumo ao Novo Milênio” (1997-2000); Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora de Fátima” a Itaúna (1998-2000); Professore di Filosofia nel Seminario Diocesano “São José” (2003-2008); Parroco della Parrocchia “Sant’Ana” a Itaúna (2003-2004); Amministratore della Parrocchia “São Judas Tadeu” a Divinópolis (2004-2011); Parroco della Cattedrale di Divinópolis (dal 2011); Vicario Generale della diocesi di Divinópolis (2009-2012). Dal 6 novembre 2012 è l’Amministratore della diocesi di Divinópolis. Inoltre è stato Rappresentante dei Sacerdoti, Membro del Consiglio di Formatori, del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori, e Professore di Antropologia Religiosa e di Teologia Fondamentale in vari centri di studi.

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    Benedetto XVI: assurdo speculare sulla mia rinuncia al ministero petrino

    ◊   “Non c'è il minimo dubbio sulla validità della rinuncia al ministero petrino, è assurdo speculare su tale decisione”. Così il Papa emerito Benedetto XVI risponde con una lettera pubblicata in prima pagina ad alcune domande postegli dal quotidiano La Stampa, dopo alcuni commenti e interpretazioni del suo gesto su media italiani e internazionali. Massimiliano Menichetti:

    Il Papa emerito torna a parlare della sua rinuncia al ministero petrino avvenuta l’11 febbraio di un anno fa. Sceglie brevi ma intense risposte, scritte con carta e penna. Dopo le speculazioni, degli ultimi giorni, della stampa italiana ed internazionale ribadisce che “non c’è il minimo dubbio circa la validità della” “rinuncia”. E precisa: “unica condizione della validità è la piena libertà della decisione”. Papa Ratzinger sottolinea poi che le “speculazioni circa la invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde”. Rispondendo poi a domande relative al significato del “mantenimento dell’abito bianco” e del nome di Benedetto risponde che “è una cosa semplicemente pratica”. Nel momento della rinuncia – spiega - non c’erano a disposizione altri vestiti”. “Del resto – afferma - porto l’abito bianco in modo chiaramente distinto da quello del Papa”. Anche qui – ha concluso - si tratta di speculazioni senza il minimo fondamento.

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    "Povera per i poveri-La missione della Chiesa": il volume con i testi del card. Müller e di padre Gutiérrez

    ◊   “Povera per i poveri-La missione della Chiesa”: è il titolo del libro del cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che raccoglie alcuni suoi interventi assieme ai contributi di padre Gustavo Gutiérrez, considerato il padre della teologia della liberazione, e Josef Sayer. Il volume, edito dalla Libreria Editrice Vaticana e presentato ieri pomeriggio a Roma, contiene la prefazione di Papa Francesco che esorta a praticare con coraggio la solidarietà. Il servizio di Debora Donnini:

    Parte dall’amicizia nata in Perù con padre Gustavo Gutiérrez, considerato il padre della teologia della liberazione, la riflessione del card. Ludwig Gerhard Müller che proprio lì ha fatto esperienza di una Chiesa povera per i poveri. “Proprio a partire dall’esperienza concreta della vicinanza con gli uomini per i quali era stata da Gutiérrez sviluppata la teologia della liberazione, si imponeva sempre più chiaramente ai miei occhi quello che ne rappresentava il cuore: il suo cuore – scrive il porporato nel libro – è l’incontro con Gesù”, che non è “l’annunciatore di una mistica staccata da ogni riferimento con il mondo”, ma nel suo insegnamento c’è unità fra dimensione trascendente e immanente. “L’autentica teologia della liberazione dimostra che in verità solo Dio, Gesù e il Vangelo possono avere un ruolo autentico e duraturo per l’umanizzazione del mondo”. Abbiamo chiesto al card. Müller di parlarci della sua conoscenza con padre Gutiérrez:

    R. - Sono stato in Perù nel 1988. Durante un seminario abbiamo parlato insieme della teologia della liberazione, della situazione dei Paesi in America Latina, che è molto diversa dalla nostra. Apparteniamo alla Chiesa universale, per questo è molto importante uno scambio delle diverse esperienze, delle diverse biografie che esistono nella Chiesa. L’umanità forma una sola famiglia umana, soprattutto la Chiesa e per questo motivo è estremamente necessario questo scambio di idee e di esperienze per perseguire l’unico obiettivo che esiste per tutti gli uomini, ovvero, la vocazione divina: tutti gli uomini sono chiamati ad essere figli di Dio.

    D. - Lei dice che il significato autentico della teologia della liberazione è diverso dal marxismo, così come da un liberismo. In che senso?

    R. - La teologia non è un’ideologia, un pensiero fatto solo dall’idea umana ma la teologia reagisce alla Parola di Dio. Dio con la sua Parola ci dà la salvezza; solo Dio può salvare gli uomini. Per questo, tali ideologie politiche - della sinistra e della destra, del comunismo, del nazionalsocialismo, del fascismo - non potevano salvare gli uomini; al contrario hanno causato tante guerre e persecuzioni. Questo dà quasi la prova che le ideologie non possono aggiungere niente ma solo la Parola di Dio può salvare gli uomini. Quindi, la teologia della liberazione è una teo-logia della Parola di Dio e non un’ideologia.

    A presentare il libro anche padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana e il card. Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, in Honduras, che ha messo in luce come la Chiesa debba essere “samaritana”. Tema che è stato ripreso anche dallo stesso padre Gustavo Gutiérrez, fondatore della teologia della liberazione, che con i suoi 85 anni era presente all’incontro. La missione della Chiesa è l’annuncio del Vangelo e c’è anche la parte del servizio, ha sottolineato padre Gutiérrez evidenziando l’importanza dell’uscire da sé per fare “prossimi” gli altri, specialmente i poveri.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Pace e concordia per il Venezuela: il Papa chiede di porre fine alle violenze e di favorire il dialogo.

    La questione educativa in America Latina: plenaria della Pontificia Commissione.

    La carezza di Gesù sulle ferite dell’uomo: all’udienza generale Papa Francesco parla del Sacramento dell’Unzione degli infermi.

    E Paolo VI chiese concretezza: Vicente Carcel Orti sull’assemblea congiunta tra vescovi e sacerdoti del 1971 a Madrid.

    Silvia Guidi sulla presentazione del volume del cardinale Gerhard Ludwig Müller “Povera per i poveri. La missione della Chiesa”.

    Un articolo di Adam Smulevich dal titolo “Il coraggio e la coerenza”: Elia Dalla Costa, giusto tra le nazioni.

    A proposito della riunione di bibliotecari di tutto il mondo in Vaticano, Jean-Louis Bruguès si chiede se ha ancora senso catalogare.

    Il paradiso secondo Pico: Alessandro Scafi su un’idea rinascimentale della perfezione umana.

    Il 2013 l’anno più violento dopo la Seconda Guerra Mondiale.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina: stasera verrà presentato il nuovo governo. Tensioni separatiste in Crimea

    ◊   Il nuovo governo ucraino di unità nazionale sarà presentato questa sera in Piazza Indipendenza nel centro di Kiev, "cuore" di questi tre mesi di protesta antigovernativa. Ad annunciarlo un deputato vicino all'ex pugile, Vitali Klitschko. Un esecutivo che dovrà, di fatto, guidare la transizione dell’Ucraina, con il pericolo concreto che si vada verso una frammentazione del Paese. Da una parte, quello filo-russo, dall’altra quello filo-europeo. In questo contesto, si inseriscono le crescenti tensioni in Crimea, dove circa cinquemila sostenitori della protesta antigovernativa si sono riuniti davanti al Consiglio supremo di Simferopoli per manifestare contro una possibile secessione della penisola. Ma quanto è concreta la possibilità che il Paese si divida? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vice-direttore di Famiglia Cristiana ed esperto di area ex sovietica:

    R. - Quello che è sotto gli occhi di tutti è che in questo momento c’è una trattativa a livello internazionale - ovviamente non aperta, ma piuttosto evidente - sul futuro dell’Ucraina. Questo riporta il problema a quello che si diceva sin dalle origini: è impossibile risolvere decentemente una questione ucraina, qualunque essa sia, senza in qualche modo parlare con la Russia. Il rischio di disgregazione del Paese - e per dirla più esplicitamente, il rischio di secessione della parte orientale - è uno dei fattori di questa trattativa. Bisognerà vedere se la Russia in questa trattativa otterrà quello che crede di dover ottenere per vedere se il rischio da tale che sia diventerà una tragica realtà.

    D. - Una trattativa abbastanza secretata, però. Evidentemente Washington e Londra sono determinate ad aiutare la transizione che è stata avviata nel Paese. C’è il pericolo di una pericolosa contrapposizione tra l’Occidente e Mosca?

    R. - Questa contrapposizione è nei fatti e lo si è visto per le strade di Kiev ma lo si è visto già anni fa nel 2004, quando la “Rivoluzione arancione” - che ebbe come protagonista la Timoshenko e l’economista Yushenko - fu abbondantemente sostenuta e finanziata dagli Stati Uniti. Quello che è successo negli ultimi mesi è sotto gli occhi di tutti: abbiamo visto le pressioni europee ed americane a favore della ribellione contro il regime di Yanukovich, quindi questa contrapposizione è assolutamente evidente.

    D. - Da non sottovalutare sono gli enormi interessi legati agli oleodotti e ai gasdotti che percorrono l’Ucraina, permettendo il transito verso l’Europa degli idrocarburi russi. C’è chi parla di un’Europa sotto “scacco” di Mosca. È davvero così?

    R. - No. Non è così perché semmai è uno “scacco” reciproco, è uno stallo. È vero che la Russia da sola provvede al 25% del fabbisogno energetico dell’Europa, ma è anche vero che l’Europa pagando contribuisce in maniera formidabile agli introiti dello Stato russo, il quale non potrebbe assolutamente fare a meno. Quindi, diciamo che da quel punto di vista non è che l’Europa domani po’ trovarsi al buio: è l’Ucraina che può trovarsi al buio perché basterebbe che Mosca facesse pagare all’Ucraina, per gas e petrolio, i prezzi di mercato, o decidesse di ridiscutere le forniture di combustibile nucleare - perché l’Ucraina ha le centrali nucleari funzionanti e il combustibile nucleare che usano viene al 100% dalla Russia. Allora, lì per l’Ucraina sarebbero guai seri.

    D. - Storia a parte, in fine la vicenda della Crimea, molto vicina a Mosca. C’è il pericolo che scoppino tensioni anche su questo fronte?

    R. - Il pericolo c’è ma dipende da quanto le varie tendenze alla frammentazione verranno usate dai diversi protagonisti - in questo caso per la Crimea, ovviamente, in primo luogo dalla Russia - per ottenere vantaggi su questa specie di trattativa internazionale che si sta svolgendo sul tema dell’Ucraina.

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    Attacco Boko Haram ad un liceo nigeriano: il cardinale Onaiyekan, violenza indiscriminata

    ◊   Un atto “efferato, brutale e insensato”. Con queste parole il presidente della Nigeria Goodluck Jonathan ha condannato l’ennesima azione degli estremisti islamici di Boko Haram che ieri notte hanno attaccato il liceo federale di Bani Yadi, nello Stato nord orientale di Yobe, uccidendo brutalmente 43 studenti, quasi tutti maschi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni. Poi hanno dato alle fiamme l'edificio scolastico e si sono dileguati nel buio. Nonostante lo stato d’emergenza proclamato a maggio dalle autorità federali, sono dunque stati presi di mira ancora una volta dei giovani inermi, ritenuti “colpevoli” dai Boko Haram di volere una educazione “all'occidentale”. Dall'inizio dell'insurrezione contro il governo, nel 2009, i miliziani hanno già compiuto eccidi di questo genere in numerose scuole e luoghi di culto, soprattutto cristiani. Ce ne parla il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Hanno colpito i ragazzi e risparmiato le ragazze, alle quali hanno detto di andare a casa a sposarsi e di non perdere tempo con la scuola. La loro idea è che la scuola “all’occidentale” non solo non sia utile, ma sia anche dannosa. Secondo il loro modo di pensare, l’unica maniera per formarsi sarebbe quella islamica. Abbiamo visto che oggigiorno la formazione dei giovani a livello scientifico è uguale dappertutto, in tutto il mondo. Questa gente invece rifiuta l’insegnamento moderno.

    D. – Perché i Boko Haram agiscono con tanta violenza?

    R. – Non saprei dirlo. Anche per noi nigeriani è qualcosa di incomprensibile. Cosa ci può essere nella testa di questa gente, che circonda il dormitorio di una scuola con ragazzi e ragazze, che non hanno fatto niente, che dà loro fuoco e che - a coloro che cercavano di scappare - taglia la gola? Questo per noi nigeriani è una crudeltà, una violenza che non ha senso. Qui non si tratta di un attacco contro una chiesa o contro una scuola cattolica: la religione qui non c’entra! Uccidono così anche i musulmani.

    D. – Anche i musulmani, cioè, che non sono allineati con le loro idee vengono uccisi?

    R. – Il che vuol dire la grande maggioranza dei musulmani nigeriani. Allora si tratta di una violenza indiscriminata. Ho provato tanta pena, tanto dolore, come tutti i nigeriani, sia musulmani, sia cristiani.

    D. – Allora perché molta stampa internazionale, quando si evoca la Nigeria, parla di violenze a sfondo religioso?

    R. – Sembra che sia quasi diventato un dogma. Ogni volta che c’è un disordine, la stampa parla di cristiani e musulmani. E’ lo stesso problema che ha adesso la Chiesa del Centrafrica. La stampa internazionale, infatti, parla sempre di milizie cristiane e la Chiesa centrafricana ha detto: “Non abbiamo organizzato alcuna milizia”. Anzi, la leadership dei cristiani e dei musulmani in Centrafrica ha fatto dei tentativi per agire insieme, per calmare le acque e risolvere i problemi.

    D. – Nel suo primo messaggio Urbi et Orbi, Papa Francesco ha ricordato la Nigeria e ha pregato per convertire il cuore dei violenti, affinché prevalgano il dialogo e la pace. Ecco: per dove passano in Nigeria il dialogo e la pace oggi?

    R. – Preghiamo sempre, come dice il Santo Padre: preghiamo affinché Dio cambi il cuore dei violenti. Dobbiamo credere anche che Dio può, quando vuole, come vuole, agire nel cuore di questa gente. Un’altra cosa poi è il dialogo: dialogare vuol dire che le parti si mettono insieme, sono d’accordo per parlare. Ma quando non c’è la volontà di parlare, né il forum per parlare, come si può dialogare? Questo è il problema che abbiamo adesso in Nigeria. Credo, però, che il governo potrebbe fare di più: se ci fossero dei musulmani che nelle loro moschee, nelle loro comunità, parlassero con Boko Haram e poi venissero a dare dei riscontri al resto del Paese, forse si potrebbero compiere dei progressi.

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    Egitto. Si lavora alla squadra di governo. La priorità è la lotta al terrorismo

    ◊   In Egitto. Il premier incaricato, Ibrahim Mahlab, lavora alla composizione del nuovo esecutivo, dopo le recenti dimissioni di quello guidato da Hazem Beblawi. Secondo indiscrezioni di stampa, sono stati riconfermati diversi ministri, compreso quello degli interni, Mohamed Ibrahim, il capo dicastero del petrolio, Sherif Ismail, e quello della pianificazione, Ashraf al-Arabi. Ancora nessuna nomina è stata fatta per il Ministero della difesa, tenuto finora dal capo dell’esercito, il maresciallo Abdel Fattah al-Sisi. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con la prof.ssa Valentina Colombo della European Foundation for Democracy e ricercatrice di storia dei Paesi islamici all’Università Europea di Roma:

    R. – Non sarà un governo molto diverso dal precedente. Probabilmente cambieranno dei nomi: non è ancora stato fatto il nome di al-Sisi, ma teniamo presente che si sa già che al-Sisi concorrerà per la presidenza, per cui potrebbe essere una mossa anche quella di non rinominarlo, proprio per dargli il tempo di organizzarsi per il futuro, che è un futuro molto più importante. Nell’immaginario delle persone, al-Sisi è già presidente in pectore.

    D. – Che cosa ha in più questo esecutivo, rispetto al precedente che si è dimesso, secondo alcuni, a sorpresa?

    R. – Io credo si tratti semplicemente di una questione interna: con molta probabilità, Beblawi aveva chiesto qualcosa che non gli era stato dato e ha abbandonato. O addirittura, non possiamo neanche escludere che lui non si sentisse l’"uomo forte" di cui l’Egitto ha bisogno. Bisogna avere anche coraggio per prendere certe misure contro il terrorismo, in Egitto si rischia la vita. Comunque, la mia convinzione è che sia cambiato un nome, un personaggio, ma non cambierà la sostanza di questo governo.

    D. – Ma chi è, secondo lei, Ibrahim Mahlab?

    R. – E’ un uomo forte, conosciuto. Forse, è l’uomo giusto per compiere delle azioni decise. D’altronde, lui ha dichiarato proprio nelle ultime ore che il suo scopo è quello di combattere al fianco del popolo egiziano e questo credo sia un messaggio che ai 90 milioni di egiziani sia decisamente utile.

    D. – Lui dice: “Combattere il terrorismo servirà per rilanciare il turismo”, ovvero l’economia: strategie essenziali?

    R. – Diciamo che senza il turismo l’Egitto è a terra. L’escalation di attentati terroristici degli ultimi mesi: dal momento in cui i Fratelli musulmani stessi sono stati dichiarati organizzazione terroristica, hanno iniziato a fare agire le loro falangi. Se non loro in prima persona, sicuramente tutte quelle realtà armate, che sono organizzazioni palesemente terroristiche, ideologicamente legate ai Fratelli musulmani. Quindi, oggi come oggi lotta al terrorismo interno è una questione di sicurezza per gli egiziani ma soprattutto di sicurezza economica: infatti, se il Paese dovesse fare un ulteriore passo verso il baratro, rischia davvero di non risollevarsi mai più.

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    Policlinico Gemelli, struttura contro il cyberbullismo: offrirà aiuto a vittime e autori di violenze

    ◊   Inaugurato al Policlinico Gemelli di Roma un Centro dedicato al bullismo via web, ovvero il cyberbullismo. Fatto di violenze psicologiche, insulti, offese e rivelazione di segreti online, il cyberbullismo è un fenomeno in continua crescita. Ricerche evidenziano che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei percepiti diversi per aspetto fisico, orientamento sessuale o perché stranieri. Nella capitale, un minore su tre che dichiara di aver subito traumi fisici o emozionali. L’ambulatorio che nasce al Gemelli sarà a disposizione sia delle vittime, sia degli autori delle violenze virtuali. Adriana Masotti ne ha chiesto il perché al dott. Federico Tonioni, ricercatore dell’Istituto di Psicologia e Psichiatria dell’Università Cattolica di Roma:

    R. - E’ ovvio che vittime e bulli fanno parte della stessa "operazione", che chiamiamo cyberbullismo e che riguarda la gestione dell’aggressività, degli istinti e dell’impulsività tra gli adolescenti, da due prospettive diametralmente opposte. Dobbiamo considerare che le vittime del bullismo hanno bisogno - oltre che di un sostegno psicologico - anche di lavorare sulla propria aggressività. E’ stato visto che l’aggressività di chi è potenzialmente vittima, delle volte, è molto trattenuta, è come ripiegata su se stessa: ovvero, una vittima può rendersi disponibile inconsapevolmente alla persecutorietà ancor prima di aver incontrato il primo bullo. Per aggressività io intendo l’accezione positiva di questo termine, quindi la tendenza o l’istinto che ognuno di noi mette in atto per avere uno spazio nella realtà, nel mondo. Per cui è una accezione assolutamente positiva e costruttiva dell’aggressività quella che sto sottolineando. A differenza dei bulli, quindi, che invece faranno un lavoro che come focus avrà l’empatia e la possibilità di evocare e di generare dentro di loro un abbozzo di senso di colpa. Fatto questo, un bullo riesce a mettersi nei panni dell’altro. Abbiamo pensato di considerare ovviamente anche i bulli, perché nessun bambino in origine nasce tale, nasce bullo. Per cui sia nelle vittime, sia nei bulli contiamo di lavorare sull’affettività.

    D. - Questo fenomeno del cyberbullismo è in continua crescita. Addirittura, si dice sia una fonte primaria di angoscia per gli adolescenti oggi…

    R. - Perché dietro al cyberbullismo ci sono le relazioni tra gruppi di pari negli adolescenti. Gli adolescenti vivono di relazioni, vivono di immagine. Il cyberbullismo è un qualcosa che, attraverso l’aggressività, distrugge l’immagine delle persone e compromette la loro identità in fieri. Tant’ è che gli episodi ultimi di cronaca sono stati drammatici, ma dietro a quelli ci sono tutta un’altra serie di disagi che scaturiscono proprio da questo, anche perché online gli istinti sono esacerbati proprio perché manca il contatto dal vivo, il contatto fisico. Perché online mancano gli adulti, nei social network e nelle chat, e gli adulti in ogni caso costituiscono un limite, anche solo con la loro presenza. Un altro motivo molto importante è che c’è un grandissimo numero di spettatori online: lo spettatore ha un ruolo fondamentale sia per interrompere l’atto di bullismo, sia per alimentarlo, più o meno inconsapevolmente. E pensate online quanti spettatori ci sono…

    D. - Non c’è solo il computer però, c’è anche il cellulare: ancora più pericoloso nelle mani dei più giovani...

    R. – Sì, perché a differenza del computer, del computer classicamente inteso, con il telefonino uno può fare una ripresa estemporanea - come sappiamo bene tutti - e mandarlo immediatamente online in tempo reale.

    D. - Voi sottolineate anche il ruolo delle famiglie e della scuola per far fronte a questo fenomeno…

    R. - Assolutamente sì. E’ fondamentale, sia le famiglie che la scuola, tant’è che abbiamo in animo - e sono stati iniziati anche dei contatti informali - proprio per collaborare nelle scuole, attraverso l’Associazione nazionale presidi e con la Polizia Postale, che da ormai tanti anni fa questo lavoro egregiamente.

    D. - Al Gemelli, però, che cosa si potrà trovare?

    R. - Delle persone in grado di sostenere psicologicamente, colloquiare individualmente con le persone - sia bulli che vittime che vengono a trovarci - e di formare piccoli gruppi per lenire gli atti di bullismo e prendersi cura dei danni reali del bullismo e riabilitare i bulli, qualora ci venissero a trovare… Insomma, questa è la mia speranza. C’è uno spazio anche per i genitori. Cerchiamo, quindi, di offrire quello che è stato fatto nel nostro lavoro precedente sulla dipendenza da Internet o comunque sulle relazioni online degli adolescenti, ampliandolo a questa che è, secondo me e non solo secondo me, una tragedia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: iniziative della Chiesa per i profughi musulmani vittime degli anti-balaka

    ◊   Mentre resta alta la tensione in Centrafrica, la Chiesa nel Paese si sta adoperando per accogliere e proteggere i migliaia di profughi musulmani dalle milizie di autodifesa anti-balaka (anti-machete). A Baoro nel nord-ovest del Paese – riportano le agenzie Cisa e Apic - una parrocchia cattolica ha accolto circa 2mila musulmani che non sono riusciti a fuggire dalla città, mentre altri 650 sono ospitati in una chiesa a Boali, una località vicina. Nella stessa regione un gruppo di religiose assistono altri 500 musulmani con cibo, acqua e medicine. Anche l’arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga e l’Imam Omar Kobine Layama, impegnati insieme da settimane a fermare le violenze e soprattutto ad evitare ogni strumentalizzazione religiosa, stanno dando il loro sostegno personale ai civili nella capitale. In un comunicato diffuso dalla Caritas locale, mons. Nzapalainga ha esortato tutti i fedeli ad aiutare i loro concittadini musulmani in difficoltà : ”L’amore è al centro della fede cristiana: non potete dirvi cristiani se uccidete il vostro fratello , o quando cacciate le persone”, ha ammonito il presule. A sostenere la martoriata popolazione centrafricana rimangono i missionari presenti nel Paese, affiancati dalle organizzazioni cattoliche straniere. Tra queste i Catholic Relief Services, la Caritas degli Stati Uniti che con l’appoggio di quella francese (Secours Catholique), ha avviato un programma a favore di Bossangoa, città nel nord del Paese, dove dall’inizio dei combattimenti decine di migliaia persone si sono rifugiate nei pressi della missione cattolica. Il programma, che durerà fino ad agosto, prevede anche la distribuzione di aiuti ad un altro sito, dove la maggior parte degli sfollati sono musulmani. In settimana ai missionari nella Repubblica Centrafricana arriveranno anche i primi aiuti a favore delle persone bisognose raccolti dalla fondazione Redemptoris Missio di Poznan, in Polonia. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Mali: 50mila bambini rischiano di morire di fame

    ◊   In Mali circa 136 mila bambini soffrono di denutrizione severa acuta, patologia che fa registrare un elevato tasso di mortalità, e altri 360 mila soffrono di denutrizione moderata. Secondo gli ultimi dati raccolti dal Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite, se non riceveranno l’alimentazione adeguata, nel corso del 2014 nel Paese africano potrebbero morire di fame circa 50 mila bambini. Per prevenire e limitare questa tragedia umanitaria, è stato recentemente presentato un piano di assistenza delle Nazioni Unite che prevede la distribuzione di un concentrato di alimenti nutritivi che rianimano un bambino malnutrito in modo rapido ed efficace. Obiettivo del piano umanitario è migliorare l’accesso ai servizi sociali di base nel settore sanitario, dell’istruzione, dell’alimentazione, dell’igiene. E’ anche previsto un incremento delle attività che tutelano le fasce più vulnerabili della popolazione, come gli sfollati interni, le comunità di accoglienza, i rimpatriati, e limitare le conseguenze della crisi alimentare attraverso l’agricoltura. Sono complessivamente oltre 3 milioni le persone che soffrono di insicurezza alimentare, la maggior parte nel nord del Paese, a causa del conflitto interno e dell’occupazione di questa zona da parte di gruppi armati irregolari. Il conflitto ha provocato lo sfollamento di oltre mezzo milione di persone sia all’interno che verso Paesi limitrofi, ampliando la crisi nel centro e nel sud del Mali. (R.P.)

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    Congo: l’Onu annuncia un rafforzamento dei Caschi Blu nel Katanga

    ◊   È stato accolto con sollievo dalla popolazione del Katanga l’annuncio da parte del comando della Monusco (Missione Onu nella Repubblica Democratica del Congo) del rafforzamento del contingente di Caschi Blu dispiegato nella provincia meridionale congolese, sconvolta dalle violenze del gruppo “Bakata-Katanga”. I soldati dell’Onu - riferisce l'agenzia Fides - verranno dispiegati a Pweto, una delle località comprese nel cosiddetto “triangolo della morte”, formato da Pweto, Mitwaba e Manono, a causa delle violenze commesse dai gruppi Mai-Mai che chiedono una migliore ripartizione delle rendite tra il nord e il sud del Katanga, e dai “Bakata-Katanga”, che lottano per l’indipendenza della provincia. Secondo dati dell’Onu, nel Katanga circa 400.000 persone sono sfollate a causa dell’insicurezza. La situazione della provincia era stata denunciata di recente in una Lettera pastorale dell’Assemblea episcopale della Provincia ecclesiastica di Lubumbashi. Il Katanga è considerata la provincia potenzialmente più prospera della Repubblica Democratica del Congo, soprattutto per la presenza di importanti miniere di rame, che sono però sfruttate pienamente solo nella parte meridionale. Questo fatto sta generando tensioni tra il nord e il sud della provincia, alle quali si aggiungono quelle legate alla politica nazionale. La Monusco è formata da circa 20.000 militari, dei quali al momento solo 400 sono dispiegati nel Katanga. (R.P.)

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    Iraq: i vescovi contro la violenza che "distrugge il Paese"

    ◊   La situazione drammatica vissuta dall'Iraq ha spinto i vescovi cattolici iracheni a riunirsi in Assemblea per richiamare i cristiani e tutti i connazionali a reagire davanti alle violenze settarie e agli scontri tra fazioni politiche che stanno di nuovo precipitando il Paese nel caos. Dall'incontro, svoltosi a Baghdad ieri mattina presso la cattedrale caldea di san Giuseppe, è venuto un appello finale inviato anche a tutte le forze politiche e ai rappresentanti del governo e delle istituzioni irachene. Nell'appello, pervenuto all'agenzia Fides, sono formulate alcune raccomandazioni urgenti. A tutti i cristiani si chiede di pregare nel tempo di Quaresima per impetrare il dono della pace e della sicurezza per tutto il Paese. Alle forze politiche e sociali si chiede di dialogare e trovare soluzioni politiche urgenti alla crisi della nazione, per porre un freno al dilagare della violenza. I vescovi si rivolgono anche a quanti sono fuggiti dall'Iraq negli ultimi anni a causa dell'instabilità e dei conflitti, chiedendo agli emigrati di fare ritorno in Patria. Viene anche presa in considerazione la situazione della Siria, e si torna a auspicare la rapida liberazione dei due vescovi e delle suore di Maalula rapiti nel contesto del conflitto siriano. Si esprime anche viva gratitudine per quanto Papa Francesco sta facendo per la Chiesa, per il mondo e per la pace in tutte le aree sconvolte da guerre e violenze, ripetendo per tutti i cristiani l'incoraggiamento a rimanere nel proprio Paese per dare testimonianza della propria fede anche in contesti e momenti difficili. Per la prima volta, all'Assemblea dei vescovi cattolici iracheni hanno preso parte anche i superiori degli ordini e delle congregazioni religiose. L'organismo ha anche eletto il nuovo segretario nella persona di Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei. A coadiuvarlo sarà Yousef Abba, arcivescovo di Baghdad dei siro-cattolici. (R.P.)

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    Libia. Mons. Martinelli condanna gli attacchi dei fondamentalilsti islamici

    ◊   “Non si capisce bene cosa vogliano questi fondamentalisti. Sicuramente vogliono mettersi in evidenza spargendo il sangue di vittime innocenti. I copti ortodossi sono da tempo il loro bersaglio, soprattutto in Cirenaica” dice all’agenzia Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, in Libia, commentando l’uccisione di sette lavoratori egiziani di confessione copto ortodossa avvenuta a Bengasi, in Cirenaica. Secondo fonti di agenzia, domenica scorsa i sette egiziani erano stati prelevati nelle loro abitazioni da uomini armati. I loro corpi sono stati ritrovati il giorno successivo in una località alla periferia della città. Le vittime sono state uccise da colpi d’arma da fuoco al petto e alla testa. “Non sappiano altro se non quello già riportato dalla stampa. Posso solo aggiungere che il vicario apostolico di Bengasi è stato invitato a recuperare le salme delle vittime per poi consegnarle alla comunità copta” dice mons. Martinelli. Il vicario apostolico di Tripoli esclude che vi siano motivazione politiche o economiche alla base della strage. “Questa è opera dei fondamentalisti che vogliono mettersi in evidenza”. “Siamo nelle mani di Dio, in queste situazioni incerte e insicure” conclude mons. Martinelli. (R.P.)

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    Sri Lanka: il vescovo di Mannar chiede al governo verità sulle fosse comuni

    ◊   Il vescovo di Mannar, mons. Rayappu Joseph, ha celebrato una Messa speciale di suffragio per le anime di 80 sconosciuti, i cui cadaveri sono stati rinvenuti nei giorni scorsi in una fossa comune vicino al tempio Thirukketheeswaram (Northern Province). "Vogliamo sapere cosa è accaduto a queste persone - ha sottolineato il presule nell'omelia - e vogliamo risposte. Non abbiamo bisogno di cibo, ma di verità. Il governo non può distribuire a forza certificati di morte alle famiglie di persone sparite nel nulla". Alla liturgia - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno partecipato numerosi sacerdoti e suore diocesani, oltre a tutti gli abitanti della zona, molti dei quali hanno perso le tracce dei loro cari da anni e che sperano di trovare una risposta con il ritrovamento di questa fossa comune. Per quasi 30 anni il nordest dello Sri Lanka è stato teatro di una sanguinosa guerra civile, combattuta dalle Tigri Tamil e dalle forze armate. I ribelli rivendicavano la creazione di uno Stato separato in quelle zone, abitate per lo più da tamil (secondo gruppo etno-linguistico del Paese). Dal 1990 al 2009 (quando il conflitto è ripreso con maggiore intensità) molte persone sono scomparse, in particolare uomini e padri di famiglia. Anche a guerra finita, di loro non si è saputo più nulla e tante famiglie continuano a chiedere alle autorità di fare luce sulla sorte dei loro cari. La fossa comune è stata scoperta nel dicembre scorso, con il ritrovamento di 36 scheletri. Tuttavia, quando sono riprese le ricerche sono stati rivenuti molti più cadaveri. Dhananjaya Waidyaratne, medico legale incaricato delle indagini, ha spiegato: "Questa è la prima fossa comune scoperta nella zona da quando le truppe hanno sconfitto i ribelli Tamil. Per il momento abbiamo rinvenuto gli scheletri di 80 persone. Adesso dovremo condurre altri esami per stabilire come e quando sono morte. Tra i resti si contano anche quelli di donne e bambini". Il governo ha subito cercato di allontanare le preoccupazioni che i militari possano essere coinvolti, ricordando che l'area di Mannar è stata per lungo tempo una roccaforte delle Tigri Tamil. Tuttavia nel 2008 l'esercito ha riconquistato la zona, ed è proprio durante l'ultimo anno di guerra che si sarebbero consumate le violenze più atroci sui civili, per mano di entrambe le parti. "Dobbiamo cercare informazioni - ha aggiunto mons. Joseph nell'omelia - sulle persone scomparse. Si devono fare indagini trasparenti, perché vogliamo sapere cosa è successo a questi morti. Dobbiamo alzare la voce per chi è sparito nel nulla: abbiamo il diritto di combattere per la giustizia. Preghiamo per tutti, per chi è morto durante la guerra e per chi è scomparso". Lo scorso anno alcuni operai hanno scoperto un'altra fossa comune nel distretto di Matale (Central Province), a centinaia di chilometri dalle zone "calde" del conflitto. Lì sono stati identificati gli scheletri di almeno 155 persone, frutto di uno scontro antigovernativo avvenuto tra il 1987 e il 1990, non legato alla guerra civile. (R.P.)

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    Pakistan. I politici a mons. Shaw: “Lo Stato rispetterà i diritti delle Chiese”

    ◊   I leader politici del Pakistan assicurano che lo Stato rispetterà i diritti, le proprietà e lo status della Chiese cristiane in Pakistan: come appreso da Fides, è quanto hanno promesso al nuovo arcivescovo di Lahore, mons. Sebastian Francis Shaw, appena insediatosi nella diocesi. Fra i politici che si sono rivolti al nuovo arcivescovo, vi è Saradr Ayaz Sadiq, musulmano, presidente dell'Assemblea Nazionale, che ha studiato nella St. Anthony High School di Lahore, gestita dalla Chiesa cattolica. Sadiq, ricordando che “l’istruzione ricevuta mi ha aiutato a guadagnare fiducia e a sviluppare la disciplina e la personalità”, ha fatto riferimento, in particolare, alla questione della avvenuta confisca , da parte dello Stato, del terreno e della demolizione dell’ostello Caritas “Gosha-e-Aman” (“Casa per stranieri”), un caso che ha scosso la Chiesa di Lahore. Sadiq ha svelato che dietro la vicenda vi erano manovre di approfittatori che volevano appropriarsi e vendere il terreno, ribadendo che le indagini in corso chiariranno la vicenda. Il presidente ha garantito il suo impegno per promuovere l’armonia sociale, ricordando che “la Costituzione del Pakistan assicura uguali diritti per tutti i cittadini del Paese”, inclusi quelli che aderiscono a religioni di minoranza. Khalil Tahir Sindhu, ministro per i diritti umani e per le minoranze nella provincia del Punjab, di cui Lahore è capitale, è un politico cattolico. All’arcivescovo Shaw ha confermato il suo impegno “per i problemi delle minoranze, in particolare dei cristiani”. Sindhu ha annunciato che, risolto il caso, il terreno e la struttura della “Gosh-e-Aman” saranno utilizzati per un liceo femminile sotto l'amministrazione della Chiesa. Da risolvere c’è ora la questione della “San Francis High School” nella zona di Anarkali, a Lahore, nazionalizzata nel 1972 dal governo, che va riconsegnata alla Chiesa cattolica, legittima proprietaria. (R.P.)

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    India: sotto la lente dell’Onu i massacri del 2002 e la libertà religiosa in Gujarat

    ◊   Le Nazioni Unite faranno di tutto per garantire che la libertà di religione, sancita dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, venga pienamente rispettata nella vita della popolazione del Gujarat e in altre parti di India: è quanto ha dichiarato, a conclusione di una visita nello stato indiano di Gujarat, compiuta il 23 e 24 febbraio, l’Osservatore speciale Onu per libertà di religione, Heiner Bielefeldt. Come riferisce all'agenzia Fides padre Cedric Prakash, direttore del Centro per i diritti umani “Prashant”, in Gujarat, la visita è stata utile “a squarciare un velo di silenzio sui massacri del passato e sulla condizione del presente”: il relatore Onu, infatti, ha incontrato e interagito con numerosi esponenti delle comunità di minoranza, con gruppi della società civile, accademici, studiosi , teologi e giornalisti. Bielefeldt ha ascoltato i resoconti di sopravvissuti e testimoni dei massacri anti-musulmani avvenuti in Gujarat nel 2002 e degli attacchi contro i cristiani registrati nel 1998-99 e negli anni successivi. Sulla situazione attuale, le relazioni presentate all’inviato Onu hanno toccato anche la cosiddetta “Legge anti-conversione” in vigore nello Stato dal 2003, “stranamente chiamata ‘Legge sulla libertà di religione’, una delle leggi più draconiane nella storia del Paese”, nota a Fides padre Prakash. Infatti “i programmi di riconversione religiosa intrapresi da gruppi fondamentalisti e nazionalisti, con il pieno patrocinio del governo del Gujarat, dimostrano come le minoranze del Gujarat siano costantemente discriminate e penalizzate”. Tra le organizzazioni della società civile che hanno avuto colloqui con il Relatore delle Nazioni Unite, vi erano diverse associazioni ed enti espressione delle comunità cristiane, alcune nate dai Gesuiti, come il Centro “Prashant”. (R.P.)

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    Repubblica Dominicana: Messaggio dei vescovi per la Festa dell'indipendenza

    ◊   “Il valore della vita politica” è il titolo del tradizionale messaggio annuale della Conferenza episcopale dominicana per la 170.ma festa dell’Indipendenza che i celebra il 27 febbraio e in vista delle elezioni legislative e municipali del prossimo 25 maggio. “Oggi più che mai abbiamo bisogno di politici che restituiscano alla politica il suo ruolo autentico di scienza del bene comune e che pensino più al benessere della Nazione che al potere e ai benefici che esso può dare”, sottolinea il documento che esorta i fedeli a partecipare alla costruzione di una società fondata sui valori della libertà, della giustizia, della vita, della dignità e dei diritti della persona. “Per i cristiani, la politica è un modo per praticare la virtù della carità e parteciparvi non è solo un diritto, ma un dovere”, affermano i presuli ricordando che un cristiano deve impegnarsi per il bene della società senza dimenticare che la fede trascende la politica, e che il Vangelo offre i criteri e l’ispirazione per lavorare per la giustizia sociale e la dignità, soprattutto per i più poveri e bisognosi. I presuli ricordano che, purtroppo, la cattiva gestione di tanti politici interessati solo al potere e all’arricchimento personale, in tutto il mondo, ha corrotto la vera natura della politica, diventata oggi sinonimo di “menzogna, inganno, corruzione, demagogia e sporcizia”. Nel documento i presuli dominicani criticano poi i sostenitori del neo-liberismo e di un’economia di mercato che ha escluso la maggioranza e ha diffuso una mentalità edonista, consumista e individualista, “senza avere il coraggio di dire la verità: un popolo si salva con l’ordine, l’onestà, la disciplina e il lavoro”. In questo contesto, i vescovi sottolineano l’urgenza di approvare una legge che sconfigga il clientelismo nei partiti; la necessità di una educazione politica e civica dei cittadini e nelle scuole, di una vera separazione dei poteri dello Stato; di combattere ogni forma di corruzione, delinquenza e insicurezza. Essi chiedono, in conclusione, di sostituire la cultura permissiva dello spettacolo con una fondata sui principi etici della responsabilità, del servizio e della fratellanza, dello sviluppo e della pace sociale. (A cura di Alina Tufani)

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    Mons. Celli al congresso Signis: costruttori di una "cultura dell'incontro"

    ◊   Costruttori di una “cultura dell’incontro”, ossia di collegamento con persone diverse da noi, ma soprattutto di condivisione di un percorso e dell’impegno a costruire qualcosa insieme. Aprendo ieri a Roma il congresso mondiale di Signis, “Media for a culture of peace. Creating images with the new generation”, che riunisce oltre 300 comunicatori cattolici di 80 Paesi, mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha definito così i comunicatori. Il presidente del dicastero vaticano - riferisce l'agenzia Sir - ha richiamato le parole di Papa Francesco per la 48a Giornata mondiale, e ha chiesto ai partecipanti: “Come discepoli di Gesù, che cosa stiamo trasmettendo ai giovani e che cosa stiamo imparando con loro’”. Quindi l’invito ai i membri di Signis a “essere parte di una Chiesa che mostra simpatia per gli uomini e le donne del nostro tempo, e apre le sue porte sia per dare loro il benvenuto, sia per uscire ad incontrarli nel mondo”. “Essere cittadini di un mondo digitale, come discepoli e comunicatori, significa prendere parte al dialogo e donarsi per raggiungere un bene comune e, pertanto, costruire la pace”. Il dialogo e la ricerca della pace sono stati evidenziati anche da Agostino Loorthusamy, presidente di Signis, che ha sottolineato il ruolo centrale dei giovani, “nel presente e nel futuro della Chiesa cattolica”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 57

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.