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Sommario del 18/02/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: le tentazioni, un contagio che uccide. La Parola di Gesù la cura che salva
  • Consiglio di cardinali. Tre ore di incontro con la Commissione referente per lo Ior
  • Tweet del Papa: Impariamo da Gesù a pregare, perdonare, essere vicini a chi ha bisogno
  • Simposio sulla "Sacrosanctum Concilium". Mons Ferrer: liturgia è scuola di comunione
  • 450 anni fa moriva Michelangelo. Paolucci: costante in lui il tema del rapporto madre-figlio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Gli Usa accelerano sul piano di pace israelo-palestinese
  • Denuncia dell'Onu: "decenni" di gravissimi crimini contro l’umanità in Corea del Nord
  • Thailandia, proteste antigovernative, 4 morti e una sessantina di feriti a Bangkok
  • Italia, consultazioni di Renzi. Galli Della Loggia: molto impegnativo fare le riforme annunciate
  • Bologna. Il prof. Dalla Torre: matrimonio si sgretola, la Chiesa continua a custodirlo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: leader islamico dell'opposizione chiede il rilascio di tutti i cristiani rapiti
  • Egitto: riunione a Il Cairo del Consiglio nazionale delle Chiese
  • Sud Sudan. Violata la tregua: ripresi i combattimenti a Malakal, importante centro petrolifero
  • Centrafrica: i missionari condannano le violenze degli Anti Balaka
  • Card. Ruini: pressioni e condizionamenti sociali sui credenti
  • Chiesa anglicana: per la dottrina cristiana il matrimonio è solo tra "uomo e donna"
  • Vietnam: confermata in appello la condanna dell’avvocato cattolico Le Quoc Quan
  • Regno Unito. L'arcivescovo Nichols: i tagli alla spesa sociale una vergogna per il Paese
  • Terra Santa: Fondazione vaticana "Centro Famiglia di Nazareth" incontra le famiglie in vista della visita del Papa
  • Venezuela: celebrati i funerali dei due Salesiani uccisi
  • Brasile: al via i lavori di restauro del Redentore a Rio de Janeiro
  • Filippine. La Chiesa alle università cattoliche: ricercare la verità dell'umanità
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: le tentazioni, un contagio che uccide. La Parola di Gesù la cura che salva

    ◊   Resistere alla seduzione delle tentazioni è possibile solo “quando si ascolta la Parola di Gesù”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina in Casa S. Marta. Nonostante le nostre debolezze, ha ripetuto il Papa, Cristo ci dà sempre “fiducia” e ci schiude un orizzonte più ampio dei nostri limiti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La tentazione si manifesta come un'innocua attrattiva e finisce per trasformarsi in una gabbia, della quale spesso più che cercare scampo si tenta di minimizzarne la schiavitù, sordi alla Parola di Dio. All’omelia, Papa Francesco riafferma una verità e una sequenza descritte da San Giacomo in un passo della sua Lettera, proposta dalla liturgia. La verità è che non è mai Dio a tentare l’uomo, bensì le sue passioni. La sequenza è quella prodotta dalle passioni stesse le quali, dice l'Apostolo, “concepiscono e generano il peccato. E il peccato, una volta commesso, produce la morte”:

    “La tentazione, da dove viene? Come agisce dentro di noi? L’apostolo ci dice che non viene da Dio, ma dalle nostre passioni, dalle nostre debolezze interiori, dalle ferite che ha lasciato in noi il peccato originale: da lì vengono, le tentazioni, da queste passioni. E’ curioso, la tentazione ha tre caratteristiche: cresce, contagia e si giustifica. Cresce: incomincia con un’aria tranquilla, e cresce… Lo stesso Gesù diceva questo, quando ha parlato della parabola del grano e della zizzania: il grano cresceva, ma anche la zizzania seminata dal nemico. E la tentazione cresce: cresce, cresce… E se uno non la ferma, occupa tutto”.

    Inoltre, prosegue Papa Francesco, la tentazione “cerca un altro per farsi compagnia, contagia” e “in questo crescere e contagiare, la tentazione ci chiude in un ambiente da dove non si può uscire con facilità”. È l’esperienza degli Apostoli narrata nel Vangelo del giorno, che vede i Dodici incolparsi a vicenda sotto gli occhi del Maestro per non aver portato del pane a bordo della barca. Gesù, ricorda il Papa, forse sorridendo a quel bisticcio, li invita a guardarsi “dal lievito dei farisei, di Erode”. Ma gli Apostoli per un po’ insistono, senza ascoltarLo, “tanto chiusi nel problema di chi avesse la colpa di non aver portato il pane, che – commenta Papa Francesco – non avevano spazio, non avevano tempo, non avevano luce per la Parola di Dio”:

    “E così, quando noi siamo in tentazione, non sentiamo la Parola di Dio: non sentiamo. Non capiamo. E Gesù ha dovuto ricordare la moltiplicazione dei pani per farli uscire da quell’ambiente, perché la tentazione ci chiude, ci toglie ogni capacità di lungimiranza, ci chiude ogni orizzonte, e così ci porta al peccato. Quando noi siamo in tentazione, soltanto la Parola di Dio, la Parola di Gesù ci salva. Sentire quella Parola che ci apre l’orizzonte… Lui sempre è disposto a insegnarci come uscire dalla tentazione. E Gesù è grande perché non solo ci fa uscire dalla tentazione, ma ci da più fiducia”.

    Questa fiducia, afferma il Papa, è “una forza grande, quando siamo in tentazione: il Signore ci aspetta”, “si fida di noi così tentati, peccatori”, “apre sempre orizzonti”. Viceversa, ripete Papa Francesco, il diavolo con “la tentazione, chiude, chiude, chiude” e fa “crescere” un ambiente simile alla barca degli Apostoli. E non lasciarsi “imprigionare” da questo tipo di ambiente, conclude, è possibile soltanto “quando si ascolta la Parola di Gesù”:

    “Chiediamo al Signore che sempre, come ha fatto con i discepoli, con la sua pazienza, quando siamo in tentazione ci dica: ‘Fermati, stai tranquillo. Ricordati cosa ho fatto con te in quel momento, in quel tempo: ricordati. Alza gli occhi, guarda l’orizzonte, non chiudere, non chiuderti, vai avanti’. E questa Parola ci salverà dal cadere in peccato nel momento della tentazione”.

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    Consiglio di cardinali. Tre ore di incontro con la Commissione referente per lo Ior

    ◊   Seconda giornata oggi in Vaticano della riunione di Papa Francesco con il “Consiglio di Cardinali” creato il 13 aprile scorso, per coadiuvarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana. Al centro della riunione odierna l’Istituto per le Opere di Religione (Ior). A conclusione, l’incontro con i giornalisti del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Dopo la concelebrazione nella Casa di Santa Mara, dalle ore 9.30 la Commissione di cardinali, alla presenza del Papa e del segretario di Stato vaticano, mons. Parolin, per tre ore ha ascoltato la Commissione referente sull’Istituto per le Opere di Religione (Ior) quasi al completo, guidata dal presidente, il cardinale Farina. Innanzitutto sono stati evidenziati – ha riferito padre Lombardi – quelli che sono gli scopi dell’Istituto:

    “Uno dei punti su cui la Commissione ha lavorato, e su cui anche i cardinali riflettono molto, è anche quello della missione dell’Istituto per le Opere di Religione. Quindi, vedere le questioni che riguardano le istituzioni della Santa Sede in rapporto con la missione della Chiesa, la missione del servizio della Chiesa nel mondo, e non semplicemente da un punto di vista di operatività economiche di orizzonte limitato”.

    Più in generale, la Commissione sullo Ior ha riferito ampiamente sulla realtà dell’Istituto, sui problemi e sulla lettura delle cause delle questioni passate e attuali da risolvere. E poi – ha detto il direttore della Sala Stampa – sono stati indicati alcuni orientamenti relativi al possibile rinnovamento e all’impostazione futura dell’Istituto stesso. E’ questa – ha sottolineato padre Lombardi – tuttavia una fase ancora di studio e di analisi e non è stata adottata alcuna decisione in merito. Rispondendo alle domande dei giornalisti, a proposito di un’ipotetica difficoltà dell’attività dell’Autorità di Informazione Finanziaria – notizia apparsa oggi sulla stampa italiana – in rapporto a quella dello Ior, padre Lombardi ha sottolineato il differente ruolo delle due istituzioni:

    “Bisogna fare una distinzione molto netta tra lo Ior, che esiste da tot, e l’Aif, che esiste da relativamente poco, che è un’istituzione completamente nuova che non esisteva. L’Aif sappiamo che è anche uno degli argomenti su cui si parla molto nei rapporti Moneyval, perché ha un suo ruolo all’interno di questo sistema di controlli e così via. Anche se l’Aif ha competenze che riguardano lo Ior, ha competenze che riguardano anche tante altre istituzioni. Quindi, sono due cose veramente distinte”.

    Infine, sui tempi di una nuova Costituzione apostolica, padre Lombardi ha detto che è ancora prematuro pensare al licenziamento imminente di un documento del genere poiché, anche se i lavori vanno avanti in modo intenso, c’è ancora molto materiale da prendere in esame. In particolare, non c’è ancora nessuna anticipazione su quella che potrà essere una possibile riforma dello Ior.

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    Tweet del Papa: Impariamo da Gesù a pregare, perdonare, essere vicini a chi ha bisogno

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Impariamo da Gesù a pregare, a perdonare, a seminare pace, ad essere vicini a chi è nel bisogno”.

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    Simposio sulla "Sacrosanctum Concilium". Mons Ferrer: liturgia è scuola di comunione

    ◊   Si è aperto questa mattina, presso la Pontificia Università Lateranense, il Simposio "Sacrosanctum Concilium: gratitudine e impegno per un grande movimento di comunione ecclesiale”, organizzato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nel 50.mo anniversario della prima Costituzione apostolica del Vaticano II, dedicata alla Sacra Liturgia. Sugli obiettivi del convegno Fabio Colagrande ha sentito mons. Juan Miguel Ferrer Grenesche, sottosegretario del dicastero promotore:

    R. - È necessario ringraziare Dio perché il rinnovamento liturgico è stato un vero dono per la Chiesa, un’esperienza di avvicinamento della liturgia a tutto il popolo di Dio e per l’importanza che ha avuto nel rinvigorire le spiritualità dei cristiani nelle fonti della Parola di Dio e della liturgia della Chiesa. Inoltre, per ringraziare anche i padri del Concilio e tutti coloro che hanno reso possibile questa costituzione e la sua applicazione. C’è poi l’impegno a capire cosa dobbiamo fare oggi, perché i Papi del dopo Concilio - Paolo VI ma anche Giovanni Paolo II - ci hanno esortato a continuare, lavorando sul campo, ad approfondire gli insegnamenti della Sacrosanctum Concilium e del Motu Proprio di Benedetto XVI, Quaerit semper. Ci hanno esortato anche a lavorare specialmente per aiutare tutto il popolo di Dio a penetrare nello spirito dell’insegnamento liturgico della Sacrosanctum Concilium.

    D. - Quale grande movimento ecclesiale può scaturire dalla riflessione sulla Sacrosanctum Concilium?

    R. - Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, il progetto pastorale per la Chiesa del nuovo millennio, segnalava che non era possibile vivere uno degli elementi fondamentali dell’ecclesiologia del Concilio, “l’ecclesiologia di comunione”, senza anche una spiritualità di comunione. La liturgia è la scuola di questa spiritualità di comunione, la liturgia ci fa apprendere che Dio è al centro di tutto e che la comunione si stabilizza nell’incontro di tutti coloro che ricevono i doni di Dio: il dono della sua Parola, il dono del suo Sacramento, il dono che Lui fa di sé stesso tramite queste realtà sacramentali. Allora, penso che il grande movimento sia movimento di una Chiesa intesa come un solo corpo con il Cristo e che capisce, ogni volta di più, che deve continuare l’opera di Cristo sulla terra.

    D. - Eppure, in contraddizione con questa spinta alla comunione ecclesiale, la liturgia diventa a volte in ambito cattolico anche argomento di discussione, di divisione…

    R. - Va bene discutere per cercare la verità, ma rispettando sempre la natura delle cose. Evidentemente, se si approfondisce la liturgia nella sua natura, allora uno capisce come tante discussione ecclesiali riguardino cose che sono di libera opinione, dove entrano in gioco le sensibilità, i diversi atteggiamenti spirituali e la Chiesa ha sempre rispettato, nell’unità del mistero celebrato, una diversità di forme. Bisogna però che tutti sappiano che dietro la forma - che loro praticano come strada per arrivare al Signore - devono trovarsi principalmente con quello, il Mistero, il Signore che ci offre la sua vita. Penso che si potrà lavorare sul senso di questo Simposio approfondendo sempre la verità teologica, spirituale e pastorale del mistero della liturgia. Questo ci porterà a rispettare le diverse opzioni legittime, sentendoci sempre profondamente uniti in un’unica liturgia cristiana.

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    450 anni fa moriva Michelangelo. Paolucci: costante in lui il tema del rapporto madre-figlio

    ◊   Artista a tutto tondo e uomo di grande passione nel lavoro e nell’amicizia. Il 18 febbraio del 1564, 450 anni fa, moriva a Roma Michelangelo Buonarroti. Nato nel 1475 a Caprese, vicino ad Arezzo, è stato un uomo dalla personalità complessa, uomo di fede dalle mille sfaccettature artistiche: scultore, pittore, architetto e poeta, protagonista del Rinascimento italiano. Debora Donnini ha chiesto ad Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e uno dei massimi esperti di Michelangelo, quale opera del Genio rinascimentale lo colpisca di più:

    R. – L’opera di Michelangelo che mi colpisce di più, anche perché legata alle ultime ore della sua vita, è la Pietà Rondanini che si trova nel Museo del Castello Sforzesco, a Milano. Quando Michelangelo muore - il 18 febbraio 1564 - le ultime ore di vita cosciente, prima di ammalarsi, entrare in coma e morire, le dedica a quella scultura. Lo racconta il suo allievo Daniele da Volterra: Michelangelo passò l’ultima notte – vigilia della domenica di Carnevale, mentre tutta Roma faceva festa – solo, nella sua casa-studio di Macel de’ Corvi, pensando e lavorando intorno a quella scultura. Questo ci fa capire tutto su Michelangelo: la sua idea dell’arte come duello, quasi come un corpo a corpo con l’idea e la sua capacità di sperimentazione, di continua meditazione sui problemi artistici.

    D. – Le tre Pietà – dalla Pietà di San Pietro, a quella di Firenze, alla Pietà Rondanini – testimoniano in qualche modo il rapporto tra la madre e il figlio: questo abbraccio rappresentato in modo diverso ma sempre molto toccante da Michelangelo. Secondo lei, qual è il significato religioso di quest’opera per Michelangelo?

    R. – Si può dire che è il problema che ha ossessionato Michelangelo, fin dalla giovinezza. La Pietà di San Pietro è datata al 1499, Michelangelo è un ragazzo di appena 24 anni. La Pietà di Firenze è degli anni della piena maturità, Michelangelo ha più di 50 anni quando scolpisce, e infine negli ultimi anni della vita la Pietà Rondanini. Il tema è sempre quello: il figlio morto e la madre che lo abbraccia, lo sostiene e quasi se ne riappropria. Il tema è, in un certo senso, quello del figlio che rientra nel grembo che lo ha generato. E’ un tema grande e terribile, che è opera di un uomo che non ha mai avuto una famiglia e tuttavia il rapporto con la madre era di un’intensità profonda e straordinaria. Questo è stato il tema costante della sua arte, il tema del rapporto del figlio con la madre.

    D. – Michelangelo è stato centrale per Roma…

    R. – Quando Michelangelo muore aveva lasciato molte cose a Roma: gli affreschi della Cappella Sistina – una parte li aveva dipinti quando ancora era un giovane uomo di circa 35 anni – la Volta, inaugurata al tempo di Giulio II della Rovere, e poi ormai in età avanzata – aveva tra i 60 ed i 65 anni – aveva dipinto il Giudizio Universale sempre nella Cappella Sistina. Regnando Papa Paolo III Farnese, nella sua lunga vita aveva fatto in tempo a vedere, impostata fino al tamburo, la Cupola di San Pietro da lui concepita, capolavoro di progettazione architettonica. Morì senza vederla conclusa: furono Giacomo della Porta e Domenico Fontana a terminarla parecchi anni dopo. Tante grandi cose di Roma le ha ideate Michelangelo, sono opera sua: la Cappella Sistina, la Cupola di San Pietro, la Piazza del Campidoglio…

    D. – A 450 anni alla morte di Michelangelo, la Cappella Sistina rimane uno dei capolavori più visitati al mondo. Qual è l’aspetto che secondo lei rappresenta meglio proprio lo spirito religioso di Michelangelo, che ha avuto una vita irrequieta ma anche una vita di fede?

    R. – Certamente sì. La Cappella Sistina per i cinque milioni e mezzo di persone che ogni anno la visitano, gente di ogni cultura, è un’attrazione formidabile di tipo spirituale. Intanto, chi entra capisce che quello è in un certo senso il luogo identitario della Chiesa cattolica, perché qui viene eletto il Papa, qui si celebrano le grandi liturgie. Poi, guardandosi intorno, si capisce che quegli affreschi – non solo quelli di Michelangelo ma anche quelli di Botticelli, del Ghirlandaio, del Perugino che si trovano sulle pareti – tutti insieme, quei duemila e passa metri quadrati di grande pittura rinascimentale fanno il catechismo in figura più completo e più affascinante che mai sia stato messo in figura.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina. Sviluppo e sicurezza: nasce l’organismo permanente di cooperazione tra Paesi del Sahel. La riunione del Papa con il Consiglio di cardinali. Matrimonio in carcere: Francesco Ventorino sulla sua esperienza di cappellano.

    Nell’informazione internazionale. Riprendono gli scontri a Kiev tra polizia e manifestanti.

    Nell’informazione vaticana. Roma parrocchia aperta: Giampaolo Mattei sull’impegno per tradurre in prassi pastorale le indicazioni della Evangelii gaudium di Papa Francesco.

    Nelle pagine culturali. Non esiste una realtà asettica: stralci dal libro “l progetto di Francesco. Dove vuole portare la Chiesa” una conversazione fra il teologo argentino Víctor Manuel Fernández e il giornalista Paolo Rodari. Ama il lontano tuo: sulla riapertura al pubblico della Collezione Paolo VI di Concesio intervista di Silvia Guidi al direttore Paolo Bolpagni. Tutte le fatiche di un pedinatore di italiani: Carlo Verdone spiega come raccontare (con un sorriso) le emergenze e le debolezze della nostra epoca.

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    Oggi in Primo Piano



    Gli Usa accelerano sul piano di pace israelo-palestinese

    ◊   Il segretario di stato Usa, John Kerry, incontrerà domani a Parigi il presidente dell'Anp, Abu Mazen. Il capo della diplomazia di Washington, scrive la stampa israeliana, coglierà l'occasione per esaminare con lui il contenuto di un accordo quadro che si appresta a sottoporre alle parti. Da parte sua, il premier israeliano Netanyahu sarà ricevuto fra due settimane a Washington dal presidente, Barack Obama. Come definire questa accelerata di Washington? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università della Calabria:

    R. – L’accelerazione dal punto di vista tattico, quindi degli interessi momentanei, si spiega secondo me con la situazione di incertezza, degli squilibri che si stanno creando nella regione e che chiaramente gli Stati Uniti vorrebbero in qualche modo provare a governare. Per quanto riguarda il piano più di lunga durata, io credo che non ci siano al momento elementi che possano far supporre che questa iniziativa, più di altre realizzate in passato in condizioni assai più favorevoli, possa avere qualche risultato positivo.

    D. – Da parte palestinese, ci sono due punti fermi: si deve risolvere il problema dei ritorno dei rifugiati – intere famiglie costrette a lasciare le proprie case nel ’48 e mai più riammesse nella loro terra – e la questione annosa di Gerusalemme, una città che, secondo i palestinesi, non va divisa. Punti, questi, assolutamente caldissimi…

    R. – Punti caldi che riguardano un problema duplice, in un certo senso. Ho letto che le reazioni di Netanyahu a questo possibile incontro tra palestinesi e amministrazione americana sono state piuttosto scettiche e secondo me, molto giustamente, Netanyahu divide il problema in due parti: da una parte, c’è la questione dei Territori occupati e quindi anche tutto ciò che, dal punto di vista pratico, riguarda la questione dei rifugiati. Dall’altro, c’è un problema più di fondo, più culturale, se vogliamo, che riguarda la stessa convivenza di uno Stato ebraico in mezzo ad una serie di Stati a maggioranza musulmana.

    D. – E quali potrebbero essere, a questo punto, i problemi legati proprio a una Palestina per la prima volta indipendente ai confini di Israele? Cioè, quali sono le preoccupazioni reali dello Stato ebraico?

    R. – Le preoccupazioni dello Stato ebraico sono dovute al fatto che non si sente assolutamente garantito, non sente come partner affidabili i palestinesi e altri Stati arabi che potrebbero intervenire in questa questione. La storia ci ha dimostrato che in effetti questa convivenza è piuttosto difficile perché nasce ormai tanti, tanti anni fa su un problema di grave caratura internazionale, ma anche culturale che ha provocato, nel corso dei decenni, talmente tanti risentimenti, talmente tanti odi che non è facile risolverla in maniera burocratica, tecnica, con degli accordi che riguardino rientri di coloni o cessazione di attività di colonizzazione da parte di Israele. E’ un problema più profondo che riguarda l’accettazione, da parte degli arabi, di uno Stato ebraico nel Medio Oriente. E’ un problema culturale, direi, di politica culturale più che di politica in senso ristretto.

    D. – Su una cosa non ci sono dubbi: una soluzione – una possibile soluzione – della questione israelo-palestinese avrebbe comunque delle conseguenze sull’intera area mediorientale. Ma, secondo lei, sarebbero più positive o negative, come sostengono molti studiosi?

    R. – Dipende da cosa si intende, innanzitutto, per positive o negative, quali possano essere le ripercussioni che si prevedono. Il problema veramente nuovo, in questa situazione, secondo me è la posizione dell’Egitto, in questo momento, che finora aveva garantito – bene o male – un determinato equilibrio, dopo la guerra del ’73, dopo l’avvicinamento dell’Egitto di Sadat a Israele sul piano internazionale – gli Accordi di Camp David – e che ora in sostanza ha rimesso in discussione tutto. In un certo senso, il disimpegno dell’Egitto dalle questioni del Medio Oriente, che mi sembra ormai piuttosto evidente, sta creando queste preoccupazioni di risolvere in qualche modo, almeno di trovare il "modus" di coabitazione temporaneo, nell’incertezza che la mancanza di un protagonista come l’Egitto possa provocare ulteriori frammentazioni e polverizzazioni di una situazione già esplosiva.

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    Denuncia dell'Onu: "decenni" di gravissimi crimini contro l’umanità in Corea del Nord

    ◊   Numerosi e gravissimi crimini contro l'umanità avvengono in Corea del Nord: è quanto denuncia il rapporto della Commissione d'inchiesta dell'Onu sulle violazioni dei diritti umani a Pyongyang. E’ un pesante atto di accusa contro il regime di Kim Jong-un. Si legge di “uno Stato che non ha alcun paragone nel mondo contemporaneo", al punto da giustificare il deferimento alla Corte penale internazionale dell'Aja o l'istituzione di un tribunale dell'Onu ad hoc. Le quasi 400 pagine del documento raccontano campi di prigionia (o lavoro), "scomparse forzate" anche all'estero, politiche di indottrinamento da parte del regime e uso del cibo come arma di ricatto nei confronti della popolazione. Fausta Speranza ne ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – Il fatto che sicuramente all’interno della Corea del Nord si applicasse da decenni ormai un tentativo di soppressione violenta delle opposizioni era sotto gli occhi di tutti. Ora, certo, c’è questo corposo rapporto delle Nazioni Unite che mette su carta quanto noi prevedevamo o comunque pensavamo si stesse verificando in quel Paese.

    D. – Il rapporto, peraltro, parla di decenni …

    R. – Sì, perché l’idea è sicuramente di Kim-Il Sung, cioè il primo leader maximo della Corea del Nord, e poi suo figlio, e poi suo nipote, sono andati dietro alle decisioni di Kim-Il Sung. Non meraviglia tanto perché è un regime assolutamente totalitario e che fa della paura, del terrore, della denuncia, delle torture alcuni degli strumenti fondamentali per poter detenere il potere. E, se si va a leggere il Rapporto, si trova che, in caso di guerra, in caso di rivoluzione interna, Kim-Il Sung – e anche questo è un ordine poi seguito dai suoi successori – avesse dato già la disposizione per l’eliminazione fisica di tutti coloro i quali si trovavano, per esempio, nei campi di concentramento, perché naturalmente testimoni di quello che stava avvenendo. La cosa che mi colpisce è che è come tornare indietro a 70 anni fa, cioè nel momento in cui si aprivano i campi di concentramento e di sterminio nazisti: il primo ordine era quello dell’eliminazione fisica di coloro i quali erano dentro, in quanto testimoni. C’è un’immagine molto forte e molto significativa di quel Paese, e sono i funerali di Kim Jong Il, che non è morto nel ’52, ’53 ma solo poco tempo fa. Eppure, quasi tutto il popolo era schierato lungo la strada con scene di isteria collettiva che veramente non si vedevano da anni. Sì, tutto questo è possibile: possibile in società estremamente – estremamente – chiuse, come lo è quella nordcoreana.

    D. – Ma la comunità internazionale, a questo punto, con un Rapporto così dettagliato, è anche chiamata in causa: che cosa si può fare di fronte a eccidi di questo tipo?

    R. – Come al solito, teoricamente, sì. Teoricamente, la comunità internazionale dovrebbe fermarsi, mettere un punto fermo e dire alla Corea del Nord: “Bisogna intervenire. Smettete con quello che state facendo”. Ripeto e sottolineo ancora una volta la parola “teoricamente”: non è così semplice, non è così automatico. C’è un problema ed è un problema assolutamente serio, che non si può scavalcare: è il problema della Cina. Cioè, anche quest’anno in cui i commissari dell’Onu hanno investigato su quanto avveniva nella Corea del Nord, la Cina non ha favorito l’investigazione. E la Cina continua a rispedire in Corea del Nord coloro i quali fuggono dalla Corea del Nord, ben sapendo quale sarà la punizione che spetterà a queste persone che tentano di ottenere asilo in Cina. E’ vero, c’è una condanna chiara da parte dell’Onu, questa questione potrebbe anche essere portata alla Corte penale internazionale, ma poi non so dove potremmo arrivare. Ed è chiaro che la voce della Cina, non solo nell’area ma a livello internazionale, in questo momento è molto ascoltata.

    D. – Potrebbe però arrivare il momento in cui persino la Cina abbia interesse a “scaricare” Pyongyang?

    R. – Sarebbe bello vederlo, quel momento, ma il momento ancora non è arrivato. E faccio fatica a prevedere un momento di rottura nei rapporti tra i due Paesi.

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    Thailandia, proteste antigovernative, 4 morti e una sessantina di feriti a Bangkok

    ◊   Da tre mesi, la Thailandia è sotto pressione per le proteste antigovernative, specie per le strade di Bangkok, dove da venerdì scorso si registrano nuovi, accesi scontri tra polizia e migliaia di manifestanti che assediano o occupano sedi e palazzi istituzionali. Scontri che si sono intensificati questa mattina, causando la morte di un poliziotto e di tre civili. In tutto, sono 13 le vittime, oltre 650 i feriti e centinaia gli arresti dall’inizio dell’insurrezione Intanto, la premier Shinawatra è incappata oggi nelle maglie dell’Agenzia anticorruzione per un controverso piano di sussidi ai produttori di riso, che ha creato una "voragine" nel bilancio statale. Una situazione davvero critica, come ci conferma da Bangkok il collega Stefano Vecchia, al microfono di Roberta Gisotti:

    R. – La situazione è molto tesa e molto incerta. Io mi trovo in uno dei presidi della protesta, quello presso il ponte di Pan Pha, dove ci sono stati duri scontri tra polizia in assetto antisommossa, anche armata e manifestanti. La polizia si è ritirata verso il palazzo del governo. La situazione resta tesa in questa zona. C’è stata una intensa sparatoria, probabilmente poliziotti che hanno sparato proiettili ricoperti di gomma, ma forse anche proiettili veri. Continuano a passare ambulanze per portare i feriti in ospedale. In altre aree attorno al Palazzo del governo, c’è una forte tensione: ci sono circa 1.500 poliziotti pronti a entrare in azione per liberare il palazzo bloccato ieri dai manifestanti – da migliaia di manifestanti – che sono cresciuti di numero questa mattina con l’arrivo di altri loro compagni, guidati dal leader della protesta, Suthep Thaugsauban.

    D. – Possiamo spiegare qual è la protesta?

    R. – Sì, la protesta è composta in realtà da molte, molte anime – decine di anime, in realtà. C’è l’opposizione politica, storica, quella del partito dei democratici contro il governo attuale, un governo ad interim guidato da Yingluck Shinawatra, di cui vogliono le dimissioni. Ci sono però, dicevo, molte altre componenti: ci sono buddisti radicali, ci sono nazionalisti, ci sono le élite culturali ed economiche di questo Paese. C’è una buona fetta della popolazione della capitale e del sud del Paese. Quindi, è una situazione molto complessa. Diciamo che la protesta, i manifestanti giocano in casa, mentre i governativi sono in realtà sostenuti in maggioranza dalle popolazioni rurali del nord e dell’est, che periodicamente arrivano a Bangkok a dare loro manforte. Al momento, non sono arrivati ancora in modo massiccio, perché questo vorrebbe dire veramente un cambio di situazione e si andrebbe incontro a una guerra civile.

    D. – Sappiamo ci sono state elezioni anticipate, il 2 febbraio scorso, che sono state contestate e sono ancora incomplete perché non si è votato in tutto il Paese. Sappiamo anche che le elezioni suppletive sono state fissate in aprile. Ma il precipitare della situazione fa temere che si possano davvero svolgere?

    R. – In realtà, c’è una grandissima incertezza anche su questo. La Commissione elettorale ha fissato le elezioni il 20 e il 27 aprile, in due tornate, ma il governo stesso non le ha accettate, e ha chiesto di anticiparle al 2 marzo. Questa mattina, la Commissione elettorale ha detto il suo "no". Quindi, è una situazione molto complessa. Un governo ad interim che non ha capacità di manovra, ma può gestire l’ordine pubblico e sta cercando di fare in modo di spingere la protesta o a un atto estremo – e quindi ad azioni di forza, anche violente, che potrebbero giustificare una repressione dura, magari con l’intervento dei militari – oppure semplicemente di fiaccare gli antigovernativi e convincerli a lasciar perdere. Ipotesi questa estremamente improbabile. Il Paese è dunque estremamente diviso, non c’è alcuna possibilità di dialogo e, purtroppo, se uno dovesse guardare alla realtà, al passato degli ultimi dieci anni in questo Paese, e alle prospettive che sono assolutamente incerte, la violenza potrebbe essere in realtà l’ago della bilancia della situazione.

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    Italia, consultazioni di Renzi. Galli Della Loggia: molto impegnativo fare le riforme annunciate

    ◊   Sono giorni di fermento per la politica italiana. Questa mattina sono cominciate le consultazioni per formare il nuovo governo. L’incarico è stato conferito ieri dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Matteo Renzi che ha accettato con riserva. Nel pomeriggio sarà il turno, tra gli altri, del Nuovo Centrodestra e della Lega Nord. Quali sono, in questa fase, le insidie e le opportunità per il segretario del Pd? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto allo storico ed editorialista, Ernesto Galli della Loggia:

    R. – Le opportunità risiedono nel fatto che ha una grande credibilità. La sua candidatura, come primo ministro, è stata accolta dal Paese, in grande maggioranza, con favore. Rimane il fatto, però, che il suo governo fondato su un’alleanza con il centrodestra non sembra, per molti, avere possibilità di fare grandi cose. Mettere insieme due forze così diverse, come il centrodestra e il centrosinistra, già in passato non è stato produttivo di grandi capacità di governo. E’ un’alleanza che ha qualcosa di fortemente innaturale, come del resto aveva anche qualcosa di innaturale il governo delle larghe intese.

    D. – Quali le analogie e le differenze tra il prossimo esecutivo e il governo Letta?

    R. – La maggioranza parlamentare è la medesima. Naturalmente, cambia la guida del governo. Renzi è una personalità completamente diversa. Tutte le speranze di una diversità tra i due governi si riscontrano proprio nella personalità di Renzi, che è una personalità molto attiva, dinamica, energetica. Bisogna, naturalmente, vederlo alla prova e vedere la sua capacità di imporsi alle resistenze che sempre una politica dinamica incontra. Direi che è proprio qui, nella personalità del premier, la vera differenza fra le due coalizioni.

    D. – Intanto, Renzi ha già delineato il programma, un programma serrato: oltre alla legge elettorale, ha annunciato riforme nei prossimi mesi anche su lavoro, burocrazia e fisco. Saranno questi i passaggi cruciali per la tenuta della legislatura…

    R. – Sì, ma sappiamo bene che in Italia annunciare riforme, portarle perfino all’approvazione del parlamento, è relativamente facile. Relativamente perché c’è il bicameralismo e ci sono le procedure che ogni regolamento delle due Camere prevede. E sono procedure molto lunghe. C’è poi la possibilità di emendamenti a raffica su ogni proposta di legge del governo… Ma il problema è tramutare le leggi in regolamenti attuativi, nel farle applicare. Si è visto con il governo Letta. Ci sono alcune centinaia di provvedimenti che non hanno attuazione perché mancano del regolamento, delle ultime fasi attuative. Forse Renzi, più che promettere in tempi peraltro rapidissimi – veramente troppo rapidi rispetto alla prassi italiana – avrebbe fatto bene a dire qualcosa, a promettere l’attuazione dei provvedimenti precedenti. Mi rendo conto che questo all’opinione pubblica non dice molto e non ha un aspetto molto attraente, però qualche parola, in questo senso, avrebbe potuta dirla. Questo, infatti, è uno dei veri punti della paralisi del Paese: il fatto che esista una burocrazia, un insieme di procedure che immobilizzano anche la volontà più riformatrice del governo più riformatore. E’ proprio il problema di una macchina dello Stato che non risponde più al comando politico. Questo è uno dei grandi problemi del governare il Paese.

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    Bologna. Il prof. Dalla Torre: matrimonio si sgretola, la Chiesa continua a custodirlo

    ◊   Dal libro di Rut allo Sposalizio della Vergine di Raffaello, dal Concilio di Trento ai teologi medioevali, fino al moderno diritto civile. E’ un viaggio nella storia per riflettere sul matrimonio tra diritto e legge quello presentato questa mattina a Bologna dal prof. Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e rettore della Libera Università Maria Assunta in Roma (Lumsa). Luca Tentori lo ha sentito a margine della prolusione che ha tenuto per l’apertura dell’Anno giudiziario del locale tribunale ecclesiastico:

    Non do giudizi morali, ma da giurista vengo a osservare che siamo dinanzi a un mutamento radicale dell’istituto. Potrebbe darsi che in un futuro il matrimonio rimanga soltanto quello custodito dalla Chiesa e dalle altre comunità religiose”.

    E’ la convinzione del prof. Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale della Città del Vaticano, intervenuto questa mattina nel capoluogo emiliano di fronte al personale del Tribunale ecclesiastico Flaminio e al suo moderatore, il cardinale Carlo Caffarra. Una rilettura della storia del diritto matrimoniale che ha portato a un’analisi del presente, a come stia cambiando il matrimonio introdotto e garantito dalle leggi civili:

    “Due secoli fa, lo Stato ha creato il suo matrimonio quasi in contraltare al matrimonio canonico. Dopo due secoli, debbo constatare che questo istituto si va scolorando, cioè sta perdendo i caratteri non solo originari del matrimonio civile, ma originari del matrimonio in tutte le culture e in tutta la storia umana. Potrebbe domani verificarsi il caso che sotto l’etichetta matrimonio passino i rapporti più diversi”.

    Punti nodali nella riflessione ecclesiale il Concilio di Trento, grande legislatore del matrimonio, e il Vaticano II con la Gaudium et spes. Ma anche la teologia e l’arte hanno parlato di questo in due millenni di cultura cristiana. Una ricchezza che oggi sembra essere andata perduta:

    “Una cultura che tende a mettere in evidenza il rapporto piuttosto che l’atto, mentre la concezione canonistica di sempre è che è l’atto che costituisce il matrimonio, e nell’atto c’è tutto il vissuto che verrà. Io vedo questo fenomeno con preoccupazione, perché porta a una precarietà delle situazioni, a una incertezza degli status, a una non-garanzia. Teniamo conto che l’accordo, il patto, il contratto matrimoniale tra un uomo e una donna, che è un atto pubblico, è tale perché da quel rapporto scaturiscono non solo diritti e doveri reciproci nei confronti delle due persone - non solo diritti e doveri, soprattutto, nei confronti degli ascendenti e discendenti - ma anche nei confronti della società. E quindi, la società ha interesse a che l’istituzione nasca, siano chiare le responsabilità e siano chiari i diritti e i doveri di quelli che fanno parte di questo gruppo”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: leader islamico dell'opposizione chiede il rilascio di tutti i cristiani rapiti

    ◊   Lo sheikh Mohammad Abdel-Hady al-Yaaqubi, studioso islamico e membro dell'opposizione siriana presente ai colloqui di Ginevra 2, ha richiamato “tutti i militanti islamici a liberare immediatamente tutti coloro che sono ingiustamente detenuti contro la loro volontà, e specialmente i vescovi, le suore e i religiosi innocenti”. Al Yaaqubi ha sottolineato con forza che gli atti di violenza e le prevaricazioni contro persone innocenti “non si accordano con i principi dell'Islam”. Le dichiarazioni sono state rilasciate nei giorni scorsi dallo studioso durante una conferenza stampa seguita all'incontro che alcuni membri dell'opposizione siriana anti-Assad avevano avuto a Ginevra con il pastore e teologo luterano norvegese Olav Fykse Tveit, Segretario generale del World Council of Churches (Wcc), nella sede ginevrina dell'organismo ecumenico. Durante i colloqui con gli ospiti siriani, il dottor Tveit ha invocato preghiere per la pace in Siria. “Noi, come leader religiosi, dobbiamo mantenere viva la speranza che i miracoli sono possibili e che verrà la pace. Se non lo facciamo noi, chi lo farà?”, ha detto tra l'altro il Segretario generale del Wcc. (R.P.)

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    Egitto: riunione a Il Cairo del Consiglio nazionale delle Chiese

    ◊   I capi e molti alti esponenti delle preminenti confessioni cristiane presenti in Egitto - compreso il patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak - si riuniscono oggi in Assemblea presso la cattedrale cairota copto-ortodossa di San Marco, alla presenza del patriarca copto ortodosso Tawadros II, per celebrare il primo anniversario dell'istituzione del Consiglio nazionale delle Chiese cristiane. Un anno fa, il 18 febbraio 2013, i massimi rappresentanti di cinque Chiese - copta ortodossa, copta cattolica, greco ortodossa, protestante e anglicana – avevano sottoscritto presso la stessa cattedrale copta ortodossa l'atto di nascita dell'istituzione a forte valenza ecumenica. A giudizio del vescovo copto cattolico di Assiut, Kyrillos William, “l'istituzione del Consiglio nazionale delle Chiese è stata un fatto importante per tutti noi, e ne possiamo già misurare gli effetti a livello locale: durante la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, si è visto che il popolo dei fedeli è contento di vedere i capi delle Chiese cristiane pregare insieme. Quest'anno, per la prima volta” riferisce Anba Kyrillos all'agenzia Fides “un vescovo copto cattolico, il vicario patriarcale Hanna Golta, ha predicato in una Chiesa copta ortodossa. Non era mai successo”. Secondo il vescovo copto cattolico di Assiut, il nuovo clima nei rapporti tra gli appartenenti alle diverse confessioni cristiane è in buona parte dovuto alla buona volontà e all'apertura mostrata sul terreno ecumenico da Tawadros. Il Consiglio nazionale delle Chiese in Egitto ha un comitato di presidenza (che riunisce i cinque capi delle Chiese coinvolte), una segreteria generale (composta da 5 rappresentanti delle diverse chiese e attualmente presieduta dal sacerdote copto ortodosso Bishoy Helmy) e un comitato esecutivo formato da 15 membri. Al Consiglio fanno capo 15 commissioni dedicate a questioni e campi specifici, che si stanno a poco a poco attivando. Tra esse figura anche una commissione teologica, che potrebbe col tempo affrontare anche a livello locale temi controversi come il battesimo che i copti ortodossi amministrano a cristiani di altre confessioni che entrano a far parte della loro Chiesa. Padre Bishoy Elmy ha dichiarato di recente che tra copti ortodossi e copti cattolici esistono 15 questioni dottrinali e teologiche controverse su cui si può aprire il confronto. Riguardo alle questioni politiche – ricorda il vescovo Kyrillos - “gli statuti chiariscono che il Consiglio non se ne occupa direttamente, e non vuole condizionare i cristiani nella maturazione libera delle loro opinioni. Ma certo tutti, in quanto cittadini, hanno il dovere di esprimersi quando è in gioco il bene del Paese”. (R.P.)

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    Sud Sudan. Violata la tregua: ripresi i combattimenti a Malakal, importante centro petrolifero

    ◊   I ribelli sud sudanesi fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar hanno annunciato di aver conquistato Malakal, capitale dello Stato dell’Alto Nilo, dopo aver cacciato le truppe governative del Presidente Salva Kiir. Le autorità di Juba hanno smentito la conquista della città ma hanno confermato la ripresa dei combattimenti nell’area, in quella che appare come la più grave violazione del cessate il fuoco concordato il 23 gennaio tra le due fazioni rivali dell’Splm (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese). Malakal è un centro strategico perché situata nei pressi di importanti strutture petrolifere. La situazione rimane incerta mentre si è in attesa di una tornata dei colloqui di pace ad Addis Abeba, in Etiopia. Il conflitto scoppiato il 15 dicembre rischia di far sprofondare il giovane Stato (il Sud Sudan è indipendente dal luglio 2011) nella spirale degli scontri tribali, perché ciascun attore politico tende a far ricorso agli uomini della propria tribù di appartenenza. Secondo il SudannCatholic Radio Network, alcuni parlamentari hanno affermato che circa il 70% dei militari dell’Spla (il braccio armato dell’Splm, divenuto l’esercito nazionale) è passato nelle file di Machar. Per compensare questa pesante defezione il Presidente Kiir, come da lui stesso ammesso in un recente intervento pubblico, ha fatto ricorso ad un suo esercito personale, reclutato tra i Dinka, la sua tribù di provenienza. Inoltre truppe ugandesi sono intervenute a fianco di quelle di Machar, facendo ricorso anche ad aerei da combattimento per colpire le posizioni ribelli. (R.P.)

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    Centrafrica: i missionari condannano le violenze degli Anti Balaka

    ◊   “Gli Anti Balaka stanno facendo più danni della Seleka” dice all’agenzia Fides padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano che opera a Bozoum nell’ovest della Repubblica Centrafricana . “Questo perché in tali milizie si sono inserite persone che hanno colto l’occasione per rubare e saccheggiare impunemente. Le milizie che si fregiano della qualifica ‘Anti Balaka’ sono molto numerose e non hanno una vera dirigenza comune. È quindi difficile trovare degli interlocutori con cui trattare” spiega padre Aurelio. “Il comportamento degli Anti Balaka varia da zona a zona. Nelle province dove sono state dispiegate le forze internazionali (quella africana Misca e la missione francese Sangaris), come qui a Bozoum, c’è un po’ più calma, ma la situazione è da seguire giorno per giorno perché la tensione può salire all’improvviso” continua il missionario. Gli Anti Balaka sono responsabili delle violenze contro la popolazione musulmana, considerata complice degli ex ribelli Seleka, che però non sembrano essere stati del tutto sconfitti. “È un fatto preoccupante la forte concentrazione di Seleka a Kaga-Bandoro, dove si sono riscontrati dei tentativi di divisione del Paese” dice infatti padre Aurelio. Il missionario riferisce inoltre che la situazione alimentare è a rischio. “Prima di partire da Bozoum - racconta il missionario - la Seleka ha distrutto i depositi di sementi, per cui ci saranno problemi enormi per avviare il prossimo raccolto. Inoltre sono stati stornati i fondi donati da organizzazioni internazionali per la sicurezza alimentare. I prodotti provenienti dall’estero (come olio e sapone) erano commercializzati soprattutto dai musulmani, che sono stati costretti alla fuga, i prezzi di questi prodotti sono saliti mentre è calato il potere d’acquisto della popolazione. È stato organizzato un ponte aereo per far arrivare aiuti alimentari al Paese, ma questo dimostra che non è stata messa in sicurezza la strada che collega il Centrafrica al Camerun, che sarebbe il modo migliore per risolvere la questione, anche perché l’uso degli aerei è molto costoso” conclude padre Aurelio. (R.P.)

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    Card. Ruini: pressioni e condizionamenti sociali sui credenti

    ◊   “In questi anni i credenti subiscono una forte pressione ambientale, ossia socio-culturale, che presenta la concezione cristiana come ormai superata e insostenibile e che li fa sentire come dei sopravvissuti di un’epoca passata che non ritornerà. Perciò abbiamo bisogno di tempi e di spazi diversi, nei quali respirare un’altra atmosfera, quella della fede”: lo ha detto ieri a Roma, tenendo la prolusione ai lavori del convegno teologico-pastorale per gli 80 anni dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp), il card. Camillo Ruini, che della stessa Orp è stato presidente quando era Vicario del Papa per la diocesi di Roma. Il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ha parlato di “un bisogno di tempi e di spazi diversi, nei quali respirare un’altra atmosfera, quella della fede e il pellegrinaggio è uno di questi spazi, un’esperienza breve ma intensa e proponibile a tante persone, anche tra coloro che non frequentano regolarmente la Chiesa”. “Tipico del pellegrinaggio - ha proseguito - è che può raccogliere e mettere insieme persone giovani e non praticanti con persone anziane e devote”. Tra i “segreti” di un buon pellegrinaggio ha in particolare sottolineato “la disponibilità delle guide non solo a parlare e predicare bene, ma anche ad ascoltare le persone, e ad ascoltare a lungo”. Oltre alla confessione, si è riferito alla “discussione in piccoli gruppi sulle problematiche odierne della pressione e dei condizionamenti che la società esercita oggi sui credenti”. Sempre riflettendo sulla natura del pellegrinaggio, il card. Ruini ha notato che “dentro al processo di secolarizzazione, sta crescendo un altro fenomeno: quello dell’individualismo religioso. Tante persone credono in Dio, e spesso anche in Gesù, e magari pregano, ma preferiscono farlo da soli senza sentirsi e collocarsi all’interno della comunità cristiana”. Cercando le cause dell’individualismo, ha indicato anche la “reazione a una certa invadenza clericale”, parlando di slogan quali “Cristo sì, Chiesa no”. Proprio di fronte a questa realtà, ha proseguito, “il pellegrinaggio può essere una felice occasione per far riscoprire, in maniera esperienziale, il senso di comunità di fede e di preghiera, che è poi l’essenza profonda della Chiesa, al di là degli aspetti profani, economici, politici e di potere, e degli scandali, veri o montati artificialmente, sui quali sempre insistono i media”. Secondo il cardinale, “il pellegrinaggio è una buona occasione per cercare di superare quella dicotomia o falsa alternativa che sembra talvolta separare preghiera personale e preghiera comunitaria”. “Le celebrazioni durante i pellegrinaggi - ha sottolineato - possono promuovere questa unità in maniera più agevole di quel che è possibile fare nelle normali messe domenicali celebrate nelle parrocchie”. Nella parte conclusiva della sua prolusione il card. Ruini ha toccato un tema molto sentito a livello culturale: l’odierna mancanza del “senso del peccato”. “Tocchiamo qui un nervo scoperto della cultura e della mentalità contemporanea, per la quale la coscienza o il senso del peccato sarebbe solo una patologia dalla quale curarsi e liberarsi”, ha detto. Secondo il cardinale, la riscoperta del “senso del peccato” che può avvenire coi pellegrinaggi, “rappresenta una ritrovata ragione di vita per molti, che magari sono stati a lungo lontani dalla Chiesa”. (R.P.)

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    Chiesa anglicana: per la dottrina cristiana il matrimonio è solo tra "uomo e donna"

    ◊   Dopo mesi di discussioni, la Chiesa anglicana di Inghilterra ribadisce che secondo “la comprensione cristiana e la dottrina”, il matrimonio “è una unione per tutta la vita tra un uomo e una donna” e che nonostante il progresso delle legislazioni di un Paese in materia di unioni e matrimoni gay, questa dottrina “rimane invariata”. È quanto si legge nel comunicato diffuso sabato scorso da Londra. A firmarlo - riferisce l'agenzia Sir - sono l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e l’arcivescovo di York John Sentamu, le due più alte autorità della Chiesa inglese. La loro posizione era molto attesa anche alla luce delle possibilità che si sono progressivamente aperte sul fronte legislativo per le coppie gay. Nel 2005 la legge ha riconosciuto una forma di partenariato civile alle coppie omosessuali; poi nel luglio del 2013 ha legalizzato il matrimonio omosessuale per arrivare poi al 29 marzo di quest’anno data in cui in Gran Bretagna si potranno celebrare i primi matrimoni gay. “Siamo consapevoli - scrivono gli arcivescovi Welby e Sentamu - che ci saranno una serie di risposte in tutta la Chiesa d‘Inghilterra all‘introduzione del matrimonio tra le persone dello stesso sesso. Come vescovi abbiamo riflettuto e pregato insieme di questi sviluppi”. “Non siamo tutti d‘accordo su ogni aspetto della risposta da dare come Chiesa. Comunque siamo tutti d‘accordo che la comprensione cristiana e la dottrina del matrimonio come unione per tutta la vita tra un uomo e una donna rimane invariato”. Pertanto almeno per il momento è chiaro che “non sarà possibile celebrare matrimoni dello stesso sesso in Chiesa”. Ciò ribadito, i vescovi affermano tutto il loro impegno sia nella cura pastorale di queste coppie sia per la loro partecipazione ai sacramenti. (R.P.)

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    Vietnam: confermata in appello la condanna dell’avvocato cattolico Le Quoc Quan

    ◊   La Corte di appello di Hanoi ha confermato in secondo grado la condanna a 30 mesi di carcere per l'avvocato e attivista cattolico Le Quoc Quan; la sentenza è arrivata oggi, al termine di un'udienza durata meno di mezza giornata. All'esterno del tribunale - riferisce l'agenzia AsiaNews - almeno un centinaio di sostenitori hanno invocato a gran voce la sua scarcerazione, con decine di poliziotti intenti a formare un cordone per isolare l'area. Le Quoc Quan è finito a processo con l'accusa di frode fiscale, un'incriminazione che associazioni pro diritti umani e governi internazionali hanno bollato come "politicamente motivata". Il tribunale ha respinto l'appello dei suoi legali che, peraltro, nelle scorse settimane non hanno nemmeno potuto incontrare l'assistito in carcere a causa del rifiuto opposto dalle autorità. Leggendo il verdetto, i giudici della Corte di Hanoi hanno stabilito che "non vi sono nuove prove" che dimostrano l'innocenza del 43enne avvocato cattolico, il quale dovrà scontare sino al termine, i 30 mesi di condanna di primo grado, comminati nell'ottobre del 2013. Insieme al carcere, la Corte ha decretato il pagamento di una multa pari a 57mila dollari. L'imputato, pallido e provato dallo sciopero della fame giunto al 17mo giorno per protesta contro il regime carcerario cui è sottoposto, ha preso per un breve momento la parola affermando di essere "vittima di una congiura politica". Il fratello minore Le Quoc Quyet, all'esterno del tribunale assieme a circa 150 manifestanti, ha dichiarato all'Afp che la famiglia non ha ottenuto il permesso di assistere all'udienza in aula. Fermato e rilasciato dopo brevi periodi in passato, il legale e blogger cattolico è stato arrestato da funzionari del governo vietnamita il 27 dicembre 2012, con la presunta accusa di "frode fiscale". Un atto condannato con forza da moltissime associazioni pro-diritti umani di tutto il mondo. (R.P.)

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    Regno Unito. L'arcivescovo Nichols: i tagli alla spesa sociale una vergogna per il Paese

    ◊   “Una vergogna”. È netta la bocciatura che il cardinale designato Vincent Gerard Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, fa della riforma del welfare voluta dal governo Cameron. In un’intervista rilasciata al “Daily Telegraph”, l’arcivescovo di Westminster stigmatizza i drastici tagli alla spesa sociale, definiti appunto “una vergogna” che rischia di aggravare le conseguenze della crisi economica, lasciando le persone nella miseria e nell’indigenza. Con la riforma, ha denunciato il presule, stanno accadendo due cose: “La prima è che la rete di sicurezza, che dovrebbe fare in modo che la gente non sia lasciata nella fame e nella miseria, è stata distrutta. Non esiste più – dice - e questa è una crisi veramente drammatica. La seconda è che, in questo contesto, l’amministrazione dell’assistenza sociale è diventata sempre più punitiva”. Il Governo ha infatti tagliato miliardi di spesa pubblica nel tentativo di ridurre il deficit. Ma in molti sostengono che la riduzione delle spese sociali per disoccupati, la casa e gli invalidi sono sproporzionate, perché colpiscono chi è già povero. Parole che – riporta L’Osservatore Romano - si aggiungono a quelle dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, che più volte ha criticato le misure di austerità dell’esecutivo. Già nel marzo dell’anno scorso infatti, più di quaranta presuli anglicani hanno severamente condannato le allora solo annunciate modifiche ai parametri per l’accesso a servizi e benefit, sottolineando che ciò sarebbe andato a scapito delle famiglie, in particolare di quelle più bisognose e dei loro bambini. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Terra Santa: Fondazione vaticana "Centro Famiglia di Nazareth" incontra le famiglie in vista della visita del Papa

    ◊   La Fondazione vaticana “Centro Internazionale Famiglia di Nazareth”, voluta da Benedetto XVI per dare corso alla costruzione a Nazareth di una “Casa del Papa” per le famiglie di tutto il mondo, d’intesa con il Patriarcato Latino di Gerusalemme e con il Pontificio Consiglio per la famiglia, ha promosso una tre giorni dedicata alle famiglie in vista della visita di Papa Francesco prevista alla fine del mese di maggio. A partire da oggi - riferisce l'agenzia Sir - il presidente della Fondazione, Salvatore Martinez, con una delegazione, sarà a Betlemme, Nazareth e Amman per realizzare incontri di evangelizzazione e di formazione aperti a tutte le famiglie o riservati a coppie già coinvolte in attività di animazione pastorale. Con loro anche il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, e i suoi vicari, mons. William Shomali, mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo e mons. Maroun Elias Lahham, quest’ultimo delegato per la pastorale familiare in Terra Santa. “Le famiglie - commenta Martinez - possono rappresentare un importante stabilizzatore sociale e un efficace antidoto ai fondamentalismi religiosi. Il tema della famiglia è caro alle tre religioni monoteiste sfidate dalla modernità e spesso impreparate sul piano educativo e della trasmissione della fede alle nuove generazioni”. (R.P.)

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    Venezuela: celebrati i funerali dei due Salesiani uccisi

    ◊   Con due celebrazioni eucaristiche, la comunità cattolica di Valencia ha salutato ieri i due religiosi Salesiani uccisi sabato 15 febbraio nel corso di una rapina. La prima Messa, celebrata nella chiesa di Maria Ausiliatrice, è stata presieduta dall’ex-direttore della Scuola salesiana Don Bosco con la partecipazione di ex-alunni, genitori e molti giovani della scuola. Padre Johnny Reyes ha detto nell'omelia che, come cattolico, deve pensare al perdono cristiano degli assassini, ma come membro della comunità cattolica di Valencia non può permettere che siano messi in dubbio la vita e il lavoro dei religiosi uccisi, perché tutta la comunità è testimone dell'esempio della loro vita, totalmente impegnata a favore dei ragazzi. Padre Reyes ha sottolineato che i religiosi assassinati erano da più di 50 anni al servizio della comunità salesiana nel Paese. La nota inviata all'agenzia Fides riferisce anche che la seconda Messa è stata celebrata da mons. Reinaldo Del Prette, arcivescovo di Valencia, concelebrata da numerosi sacerdoti. Era presente anche il sindaco della città di Valencia, Miguel Cocchiola, e altre autorità, oltre a tantissimi fedeli. Alla fine della Messa la folla è esplosa in un lungo applauso mentre molti piangevano. Fratel Luis Sánchez è stato sepolto nel Santuario di Maria Ausiliatrice, mentre padre Jesús Plaza è stato portato nello stato di Mérida, di cui era originario. (R.P.)

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    Brasile: al via i lavori di restauro del Redentore a Rio de Janeiro

    ◊   Sono stati avviati i lavori di restauro del Cristo Redentore di Rio de Janeiro. Se ne sta occupando un gruppo di operai specializzati in interventi ad alta quota che, dopo la benedizione dell’arcivescovo, mons. Orani João Tempesta (prossimo cardinale il 20 febbraio), hanno cominciato la loro salita verso la cima del Corcovado. Ci vorranno almeno quattro mesi per rimettere a nuovo il pollice della mano destra della statua colpito il 17 gennaio scorso da un fulmine durante una violentissima tempesta abbattutasi su Rio. La scultura, situata a 710 metri di altezza, è il simbolo della città e della nazione. Alta 28 metri, pesante 700 chili, è stata proclamata nel 2007 una delle sette meraviglie del mondo. Realizzata nel 1931, è patrimonio storico del Brasile ed è visitata ogni anno da 700mila turisti. I lavori di restauro verranno finanziati interamente dall’arcidiocesi e da imprese private. Si prevede una spesa complessiva di 833mila dollari. Nei 120 giorni di intervento, che verrà circoscritto alle mani e alla testa, l’opera non verrà chiusa al pubblico. (A cura di Davide Dionisi)

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    Filippine. La Chiesa alle università cattoliche: ricercare la verità dell'umanità

    ◊   Cercare la verità, obbedire ad essa, viverla quotidianamente: sono gli obiettivi che devono perseguire le Istituzioni per l’educazione cattolica nelle Filippine. A sottolinearli, nei giorni scorsi, è stato il presidente della Conferenza episcopale locale, l’arcivescovo Socrates Villegas, che ha tenuto una lectio magistralis presso l’Università De La Salle, a Manila. In un Paese in cui la Chiesa gestisce 47 atenei, 241 college, 17 facoltà di Teologia e 60 seminari, il presule ha esortato docenti e studenti a cercare “la verità dell’umanità”, il che significa tutto ciò che riguarda le complesse relazioni dell’uomo nella società. Da ciò deriva – ha spiegato mons. Villegas – che le Istituzioni per l’educazione cattolica devono riflettere “sul bene comune”, soprattutto considerando che “quasi i due terzi della popolazione filippina vive al di sotto della soglia di povertà e milioni di persone sono vittime di emarginazioni e ingiustizie”. Compito primario degli atenei cattolici, allora – ha rimarcato il presidente dei vescovi di Manila – non sarà solo quello di “concentrarsi sulla creazione di opportunità lavorative, ma anche sul perseguimento del bene comune per tutta la popolazione”. Gli strumenti per raggiungere tali obiettivi vengono identificati da mons. Villegas in una maggiore cooperazione tra i settori del pubblico e del privato, tra il governo e le ong, tra i diversi mass-media, così da lavorare ad “un nuovo ordine economico e politico” che contrasti “la cultura della corruzione”, ormai endemica nel Paese. Altro punto essenziale messo in luce dal presule è stato l’impegno per il dialogo e per la pace che le istituzioni formative cattoliche possono assumere: “Una funzione-chiave delle Università cattoliche – ha detto mons. Villegas – dovrebbe essere quella di spiegare e valutare i processi di pace, inclusi i vari documenti che tali processi producono, e ben consapevoli che tale documentazione scritta, da sola, non porta alla riconciliazione”. E ancora: il presidente dei vescovi filippini ha ribadito la necessità, per i Centri educativi cattolici, di salvaguardare l’ambiente dagli abusi che spesso l’uomo vi commette: “In quest’ambito – ha detto – gli atenei cattolici hanno una missione importante, ovvero educare e formare futuri leader che si preoccupino costantemente dell’ambiente”, sia perché “la salvaguardia del Creato non è un’opzione, bensì un imperativo”, sia perché “il patrimonio nazionale di foreste, risorse minerarie, acqua ed aria appartiene a tutti”. Infine, mons. Villegas ha invitato le istituzioni per l’educazione cattolica a “ritornare al cuore della Chiesa”, lavorando “con umiltà, ma senza paura, con saggezza, ma senza arroganza” nell’ottica della verità. (A cura di Isabella Piro)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 49

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.