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Sommario del 13/02/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Scuole cattoliche, il Papa: far incontrare l'identità con le diverse anime del mondo
  • Il Papa ai vescovi bulgari: la Chiesa sia missionaria e in dialogo con gli ortodossi
  • Papa Francesco: ebrei e cristiani agiscano insieme per un mondo più giusto e fraterno
  • Il Papa: credenti trasformati in pagani dalla vanità e pagani che giungono alla fede dall'umiltà
  • Il dramma dei profughi al centro del colloquio del Papa con due fratelli argentini a Santa Marta
  • Tweet del Papa: preghiamo per i seminaristi, perché seguano il Signore con coraggio e con gioia
  • Convegno a Roma a 30 anni dal nuovo Concordato Santa Sede-Italia: l'intervento di mons. Parolin
  • Mons. Chullikatt: cresce la persecuzione religiosa nel mondo, anche occidentale
  • Simposio alla Lateranense fa il punto sulla Liturgia, a 50 anni dalla "Sacrosanctum Concilium"
  • Il Papa ha ricevuto mons. Galantino, segretario generale ad interim della Cei
  • Provvedimenti nella Chiesa arcivescovile maggiore greco-cattolica ucraina
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Centrafrica: arcivescovo di Bangui, non è cristiano chi uccide i propri fratelli
  • Crisi siriana. Altri tre giorni per evacuare Homs. Pesanti combattimenti al confine con il Libano
  • Venezuela: scontri tra oppositori e sostenitori di Maduro, 3 morti
  • Coree: annunciato un nuovo incontro. Si riaccendono le speranze di dialogo
  • Immigrati, cresce l'impegno dei comuni italiani per i rifugiati
  • Giornata mondiale della Radio dedicato alle donne. Alla Radio Vaticana più giornaliste che giornalisti
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Card. Filoni: mettersi alla scuola di Cristo facendosi piccoli e ascoltando il Maestro
  • Belgio. Eutanasia ai minori: oggi alla Camera dei deputati il voto finale
  • Sudafrica. 20 anni di democrazia: per i vescovi servono trasparenza e responsabilità
  • Pakistan. Il vescovo anglicano di Karachi: cristiani sempre nel mirino
  • Filippine: in Quaresima un giorno di digiuno per sfamare 250mila bambini malnutriti
  • Myanmar: l'opera della Caritas per i poveri e gli esclusi
  • Don Benzi: al via il processo di Beatificazione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Scuole cattoliche, il Papa: far incontrare l'identità con le diverse anime del mondo

    ◊   L’educazione è una delle sfide più importanti per la Chiesa. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco, nell’udienza di stamani, alla Congregazione per l’Educazione Cattolica in occasione della plenaria del dicastero. Il Papa ha messo l’accento sul valore del dialogo nelle istituzioni educative cattoliche ed ha ribadito che i giovani hanno bisogno di valori “non solo enunciati, ma testimoniati”. “Educare – ha detto – è un atto d’amore”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Un grande cantiere aperto”, “una delle sfide più importanti della Chiesa”. Papa Francesco ha sintetizzato, così, la centralità dell’educazione in “un contesto storico e culturale – ha rilevato – in costante trasformazione”. Quindi, dopo aver messo l’accento sul binomio educazione-evangelizzazione, si è soffermato su tre aspetti a partire dal “valore del dialogo nell’educazione”, anche considerando che le scuole cattoliche sono frequentate da studenti non cristiani e anche non credenti:

    “A tutti le istituzioni educative cattoliche offrono una proposta educativa che mira allo sviluppo integrale della persona e che risponde al diritto di tutti di accedere al sapere e alla conoscenza. Ma a tutti ugualmente sono chiamate ad offrire, con pieno rispetto della libertà di ciascuno e dei metodi propri dell’ambiente scolastico, la proposta cristiana, cioè Gesù Cristo come senso della vita, del cosmo e della storia”.

    Il Papa ha rammentato che Gesù annunciò la buona novella nella “Galilea delle genti”, “crocevia di persone diverse per razza, cultura e religione”. Un contesto, ha osservato, che “assomiglia per certi versi al mondo di oggi”. Al tempo stesso, ha affermato che gli attuali “profondi cambiamenti” domandano agli educatori di confrontarsi e dialogare “con una fedeltà coraggiosa e innovativa che sappia far incontrare l’identità cattolica con le diverse anime della società multiculturale”. Il secondo aspetto evidenziato è stata la “preparazione qualificata dei formatori” annotando a braccio che su questo "non si può improvvisare". Papa Francesco ha affermato che “l’educazione è rivolta ad una generazione che cambia, e che quindi ogni educatore – e tutta la Chiesa che è madre educatrice – è chiamato a cambiare, nel senso di saper comunicare con i giovani che ha di fronte”:

    “Educare è un atto d’amore, è dare vita. E l’amore è esigente, chiede di impegnare le migliori risorse, di risvegliare la passione e mettersi in cammino con pazienza insieme ai giovani. L’educatore nelle scuole cattoliche dev’essere anzitutto molto competente, qualificato, e al tempo stesso ricco di umanità, capace di stare in mezzo ai giovani con stile pedagogico, per promuovere la loro crescita umana e spirituale”.

    “I giovani – ha detto ancora – hanno bisogno di qualità dell’insegnamento e insieme di valori, non solo enunciati, ma testimoniati”. “La coerenza – ha ammonito – è un fattore indispensabile nell’educazione dei giovani”. “Non si può far crescere, non si può educare senza coerenza”, servono, ha detto, “coerenza, testimonianza”. Per questo, ha affermato, “l’educatore ha bisogno egli stesso di una formazione permanente”. Occorre, è stata la sua esortazione, “investire affinché docenti e dirigenti possano mantenere alta la loro professionalità e anche la loro fede e la forza delle loro motivazioni spirituali”. Il Papa ha così suggerito “la necessità dei ritiri e degli esercizi spirituali per gli educatori”:

    “E’ bello fare corsi di questo, di quello, ma anche è necessario fare questi corsi di esercizi spirituali, ritiri per pregare! Perché la coerenza è uno sforzo, ma soprattutto è un dono e una grazia. E dobbiamo chiederla!”.

    Infine, il Pontefice si è soffermato sulle “istituzioni educative”, cioè scuole e Università cattoliche ed ecclesiastiche. Sparse in tutto il mondo, queste istituzioni, ha detto, hanno la “responsabilità di esprimere una presenza viva del Vangelo nel campo dell’educazione, della scienza e della cultura”:

    “Occorre che le istituzioni accademiche cattoliche non si isolino dal mondo, ma sappiano entrare con coraggio nell’areopago delle culture attuali e porsi in dialogo, consapevoli del dono che hanno da offrire a tutti”.

    In questo cantiere aperto, ha concluso il Papa, “occorre incentivare ulteriormente” l’impegno educativo della Chiesa cattolica “a tutti i livelli e rinnovare il compito di tutti i soggetti che vi sono impegnati, nella prospettiva della nuova evangelizzazione”.

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    Il Papa ai vescovi bulgari: la Chiesa sia missionaria e in dialogo con gli ortodossi

    ◊   Un popolo che “nel mezzo delle vicissitudini della storia ha mantenuto viva la fiamma della fede in Cristo”. È la Bulgaria nelle parole di Papa Francesco ai vescovi del Paese est europeo, ricevuti in visita ad Limina. Nel discorso consegnato ai presuli, il Pontefice ha ripercorso le tappe della più recente storia bulgara, invitando pure a proseguire nel cammino ecumenico con la Chiesa ortodossa. Il servizio di Giada Aquilino:

    In una società segnata “dai tanti vuoti spirituali lasciati dietro di sé dal passato regime ateo” come pure “dalla ricezione acritica di modelli culturali in cui prevalgono le suggestioni di un certo materialismo pratico”, le comunità cattoliche della Bulgaria, sia di rito latino sia di rito orientale, “portano avanti con impegno la loro missione di testimonianza” dei valori morali naturali e del Vangelo di Cristo. Papa Francesco ha tracciato un quadro della Bulgaria in cui, ha sottolineato, “si assiste ad un risveglio di attività e di iniziative che dimostrano la vitalità della fede cattolica”, nonostante sotto il profilo numerico si tratti di una “minoranza nel Paese”. L’auspicio del Santo Padre è stato dunque quello a “camminare con coraggio su questa strada”, cercando di attuare anche in Bulgaria “quella trasformazione missionaria che la Chiesa è chiamata a realizzare nel mondo intero”:

    “Questo richiede una conversione spirituale e pastorale, che comincia dalla presa di coscienza che, in forza del Battesimo, siamo tutti discepoli missionari, inviati dal Signore ad evangelizzare con gioia e con spirito, valorizzando anche il prezioso tesoro della pietà popolare. Tale rinnovato impegno missionario possiede anche una dimensione sociale, che ha come punto di riferimento la dottrina sociale della Chiesa e le cui priorità sono l’inclusione sociale dei poveri e l’impegno per il bene comune e la pace sociale”.

    È “molto significativo”, ha aggiunto il Papa, che le istituzioni civili riconoscano il ruolo della Santa Sede “quale autorità spirituale e morale in seno alla comunità internazionale” e valutino “in modo positivo” la presenza e il contributo della Chiesa cattolica in Bulgaria:

    “Le tante coraggiose testimonianze di fedeltà a Cristo e alla Chiesa rese in periodi drammatici e il cammino intrapreso in questi due decenni di recuperata libertà, vi colmino di gratitudine verso il Signore e vi infondano fiducia nella sua provvidente azione nella storia”.

    L’esortazione del Pontefice è stata “ad un rinnovato e concorde impegno nella formazione dei fedeli”, promuovendo un’adeguata catechesi, una particolare cura nei confronti della pastorale giovanile e vocazionale e della fraternità sacerdotale. Papa Francesco, inviando poi il proprio “cordiale saluto” al Patriarca Neofit, del quale ricorre tra pochi giorni il primo anniversario dell’elezione canonica, ha sollecitato “caldamente a proseguire negli sforzi per promuovere un dialogo sempre più intenso e fraterno con la Chiesa ortodossa”:

    “Nel comune e orante ascolto della Parola di Dio, auspico che si aprano i cuori e le menti di tutti affinché diventi sempre più concreta la speranza di giungere a celebrare uniti il Sacrificio eucaristico”.

    In vista dell’ormai prossima canonizzazione dei beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, il Papa – oltre a rallegrarsi per la presenza alla celebrazione del 27 aprile di “qualificate delegazioni” cattoliche bulgare, tra cui quella di rito bizantino-slavo – ha sottolineato come i suoi predecessori abbiano lasciato un’impronta indelebile in Bulgaria:

    “È questo un segno eloquente di quanto abbia inciso nell’anima e nella vita della Comunità cattolica bulgara la testimonianza del primo Papa slavo, in particolare la sua visita che egli compì nella vostra Patria nel maggio del 2002; ed è segno ugualmente di quanto sia vivo il ricordo lasciato dall’arcivescovo Angelo Giuseppe Roncalli nei nove anni durante i quali operò in Bulgaria come Delegato Apostolico”.

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    Papa Francesco: ebrei e cristiani agiscano insieme per un mondo più giusto e fraterno

    ◊   Il patrimonio di conoscenza reciproca e di amicizia fra ebrei e cattolici sia trasmesso alle nuove generazioni. E’ quanto auspica Papa Francesco che stamani ha incontrato, nella Sala del Concistoro in Vaticano, 55 membri della delegazione dell’American Jewsih Committee, il Comitato ebraico americano. Il servizio di Debora Donnini:

    E’ la Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II che ancora oggi per la Chiesa costituisce “il punto di riferimento imprescindibile” per i rapporti con “i nostri fratelli maggiori”. Ed è proprio a partire da quel Documento, di cui il prossimo anno si commemora il 50.mo anniversario, che si è sviluppata con rinnovato vigore la riflessione sul patrimonio spirituale “che costituisce il fondamento del nostro dialogo”. Lo ricorda Papa Francesco nell’incontrare il Comitato ebraico americano al quale si dice “grato” per aver fornito negli anni “un qualificato contributo” alla fraternità fra ebrei e cristiani:

    “Questo fondamento è teologico, e non semplicemente espressione del nostro desiderio di rispetto e stima reciproci, pertanto è importante che il nostro dialogo sia sempre profondamente segnato dalla consapevolezza della nostra relazione con Dio”.

    Accanto al dialogo c’è l’azione e Papa Francesco sottolinea che ebrei e cristiani possono agire insieme “per la costruzione di un mondo più giusto e fraterno”, facendo riferimento in particolare a poveri e sofferenti e, come ricorda l’Esodo, alla protezione della vedova, dell’orfano, dello straniero. “È un compito affidatoci da Dio”, dice, “un autentico dovere religioso”.

    Quindi Papa Francesco ricorda che bisogna “trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio di conoscenza reciproca, di stima e di amicizia costruito in questi anni grazie anche all’impegno –afferma – di associazioni come la vostra”:

    “Auspico pertanto che il tema delle relazioni con l’ebraismo rimanga vivo nei seminari e nei centri di formazione dei laici cattolici, così come confido che anche presso le comunità ebraiche e i giovani rabbini si accresca l’interesse per la conoscenza del cristianesimo”.

    In conclusione il pensiero del Papa va all’ormai prossimo pellegrinaggio in Terra Santa, dal 24 al 26 maggio. “Tra qualche mese – afferma - avrò la gioia di recarmi a Gerusalemme là dove – dice il Salmo – tutti noi siamo nati e dove tutti i popoli un giorno convergeranno”:

    “Accompagnatemi per favore con la vostra preghiera, affinché questo pellegrinaggio porti frutti di comunione, di speranza e di pace. Shalom!”

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    Il Papa: credenti trasformati in pagani dalla vanità e pagani che giungono alla fede dall'umiltà

    ◊   Un credente può perdere la fede a causa delle sue passioni e vanità, mentre un pagano può diventare credente attraverso la sua umiltà: questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa stamani durante la Messa presieduta a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Le letture del giorno fanno riflettere su un duplice cammino: “dall’idolatria al Dio vivente” e, al contrario, “dal Dio vivente verso l’idolatria”. La meditazione del Papa parte dal Vangelo, in cui una “donna coraggiosa”, una cananea, cioè una pagana, chiede a Gesù di liberare la figlia dal demonio. E’ una madre “disperata” – commenta Papa Francesco – “e una madre, davanti alla salute di un figlio, fa di tutto”. “Gesù le spiega che lui è venuto prima per le pecore della casa d’Israele, ma glielo spiega con un linguaggio duro: ‘Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini’. Questa donna, che certamente non era andata all’università, sapeva come rispondere”. E risponde – sottolinea il Papa – “non con la sua intelligenza, ma con le sue viscere di madre, con il suo amore: ‘Ma anche i cagnolini mangiano quello che cade dalla mensa; dà a me, queste briciole a me!’”. Questa donna – spiega il Papa – “non ha avuto vergogna” e per la sua fede Gesù “le ha fatto il miracolo”:

    “Si era esposta al rischio di fare una brutta figura, ma ha insistito, e dal paganesimo e dall’idolatria ha trovato la salute per sua figlia e per lei ha trovato il Dio vivente. Questo è il cammino di una persona di buona volontà, che cerca Dio e lo trova. Il Signore la benedice. Quanta gente fa questo cammino e il Signore l’aspetta! Ma è lo stesso Spirito Santo che li porta avanti per fare questo cammino. Ogni giorno nella Chiesa del Signore ci sono persone che fanno questo cammino, silenziosamente, per trovare il Signore, perché si lasciano portare avanti dallo Spirito Santo”.

    “Ma c’è anche il cammino contrario” – osserva il Papa - quello di Salomone, come riportato dalla prima lettura. Salomone era “l’uomo più saggio della terra”, aveva ricevuto da Dio grandi benedizioni, aveva “una fama universale, tutto il potere”, era “un credente in Dio, ma cosa è successo?”. Gli piacevano le donne e aveva tante concubine pagane che gli hanno fatto “deviare il cuore per seguire altri dei”: così ha introdotto gli idoli in Israele. “E queste donne hanno indebolito il cuore di Salomone lentamente, lentamente. Il suo cuore non restò integro con il Signore, come il cuore di Davide, suo padre”:

    “Il suo cuore si indebolì, si è indebolito così e ha perso la fede. Ha perso la fede. L’uomo più saggio del mondo si è lasciato portare avanti per un amore indiscreto, senza discrezione; si è lasciato andare avanti per le sue passioni. ‘Ma padre, Salomone non ha perso la fede, lui credeva in Dio ed era capace di recitare la Bibbia!’. Sì, è vero, ma avere fede non significa essere capaci di recitare il Credo. Ma tu puoi recitare il Credo e avere perso la fede”.

    Salomone – ha proseguito il Papa – “era peccatore, come suo padre Davide. Ma poi è andato avanti e da peccatore si è convertito in corrotto. Il suo cuore era corrotto, per questa idolatria. Suo padre era peccatore, ma il Signore aveva perdonato tutti i peccati, perché lui era umile e chiedeva perdono”. Salomone, invece, era “tanto saggio”, ma la vanità e le sue passioni lo hanno portato alla corruzione. E’ proprio nel cuore, dove si perde la fede”:

    “Il seme maligno delle sue passioni è cresciuto nel cuore di Salomone e lo ha portato all’idolatria. E abbiamo sentito, dopo la prima Lettura, nell’Alleluja, questo bel consiglio: ‘Accogliete con docilità la Parola’ - con docilità – ‘la Parola che è stata piantata in voi può portarvi alla salvezza’. Facciamo la strada di quella donna cananea, di quella donna pagana, accogliendo la Parola di Dio, che è stata piantata in noi e che ci porterà alla salvezza. Che la Parola di Dio, potente, ci custodisca in questa strada e non permetta che noi finiamo nella corruzione e questa ci porti all’idolatria”.

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    Il dramma dei profughi al centro del colloquio del Papa con due fratelli argentini a Santa Marta

    ◊   Ieri pomeriggio Papa Francesco ha ricevuto a Santa Marta due fratelli argentini, Carlos e Rodolfo Luna, fuggiti in Svezia nel 1970 come rifugiati politici. Un incontro molto cordiale durato un’ora in cui si è parlato in modo particolare della drammatica situazione dei profughi nel mondo. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il mondo deve essere più solidale con i profughi: è quanto ha affermato Papa Francesco durante l’incontro con i due fratelli Carlos e Rodolfo Luna, fuggiti dall’Argentina durante la dittatura. Il Papa ha lodato l’accoglienza della Svezia che ha aperto le frontiere agli immigrati integrandoli nella propria società.

    I rifugiati oggi – ha proseguito – sono come una ‘parolaccia’: ce ne sono tanti, ma nessuno li vuole. Ci sono Paesi che chiudono le frontiere,e questo non va bene. Eppure anche Gesù è stato un rifugiato.

    Il Papa risponde anche ad una domanda sui tanti immigrati che arrivano a Lampedusa e sul ruolo della comunità internazionale: la globalizzazione dell’indifferenza – ha detto - ci porta a dire “Ci sono tanti rifugiati. Che ci pensino loro a Lampedusa!”. E a Lampedusa il popolo ha sentito la necessità di accoglierli. E accolgono. Il popolo di Lampedusa, insieme al sindaco che è una donna forte e coraggiosa, - ha affermato - ha capito che la sua missione è accogliere.

    Di seguito pubblichiamo una sintesi ampia del colloquio del Papa con i due fratelli argentini, curata da Maria Fernanda Bernasconi:

    Il colloquio inizia con dei ricordi personali del Papa che ha conosciuto la moglie di uno dei due fratelli, ora morta. All’epoca, Jorge Mario Bergoglio lavorava in un laboratorio chimico con la madre di questa donna, Eshter - cioè la suocera di uno dei due fratelli argentini - che era stata anche il suo capo, “alquanto severo” – dice – e alla quale il Pontefice è rimasto molto affezionato. Il Papa ricorda di aver nascosto nel Collegio Massimo di Buenos Aires tutta la loro biblioteca, nel periodo in cui erano sotto sorveglianza da parte della dittatura.

    Poi ha ricordato l’amicizia con un pastore luterano, Anders Gutt, grande uomo, con il quale ha condiviso a Buenos Aires la cattedra di Teologia spirituale. “Eravamo un gesuita e un luterano – dice – e ci capivamo molto bene”. Il pastore Gutt insegnava la spiritualità della riforma e padre Bergoglio la spiritualità cattolica. Gutt è ormai deceduto e ha un figlio che vive a Copenaghen e un altro che risiede in Francia.

    Parlando dell’esperienza dei due fratelli argentini e della situazione di tanti immigrati, il Papa ringrazia la Svezia per essere un Paese molto solidale:

    “¡Qué lindo encontrar un pueblo con un corazón así!...
    Che bello trovare un popolo con un cuore così! E la Svezia ha avuto grandi santi: Santa Brigida e anche tra i luterani… Grandi uomini e donne luterani!”.

    I fratelli Luna domandano cosa possono fare loro, che sono delle persone semplici, perché in quest’epoca bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare insieme per un mondo migliore. Il Papa risponde:

    “Tenemos tantos refugiados pero nadie los quiere. Son ‘mala palabra’…
    Abbiamo tanti rifugiati, ma nessuno li vuole. Oggi sono una ‘parolaccia’. Forse il messaggio è che la salvezza di un popolo sta nell’essere fratelli di quelli che stanno patendo l’esilio dalla loro patria. Perché Dio benedice questo. Questo è essere fratelli! E noi, nella nostra fede cristiana, sappiamo bene che anche Gesù è stato un rifugiato quando volevano ucciderlo da bambino… E’ uno dei primi messaggi dei Vangeli. Gesù un rifugiato. Non un turista. Non è fuggito per motivi di lavoro. E’ fuggito dalla morte. Come un rifugiato”.

    Il Papa ricorda che ci sono Paesi che chiudono le frontiere e che questo non va bene. I due fratelli gli parlano del sistema di accoglienza della Svezia. “Voi avete questa tradizione”, dice il Papa: “La Svezia apre le frontiere, organizza corsi linguistici” riservati ai migranti, “li aiuta economicamente, li guida ad inserirsi nella società. Non hanno rinchiuso nessuno in una sorta di ‘campo di concentramento’ e in luoghi orribili simili. Questo è un esempio che possiamo presentare al mondo”. Il Papa sottolinea che è proprio questo il messaggio che deve passare:

    “Ese es el mensaje. Abren el corazón al hermano ….
    Questo è il messaggio che la Svezia dà. Gli svedesi aprono il loro cuore al fratello, alla sorella, che non hanno dove vivere, dove lavorare, dove dormire tranquilli”.

    Ad una domanda sugli immigrati che arrivano a Lampedusa e sulle reazioni della comunità internazionale, il Papa risponde:

    “Globalización de la indiferencia…
    La globalizzazione dell’indifferenza ci porta a dire: ‘Arrivano i rifugiati. Che ci pensino loro!’. A Lampedusa il popolo ha sentito la necessità di accoglierli. E accolgono! Il popolo di Lampedusa - insieme al sindaco, che è una donna, una donna forte, coraggiosa - ha capito che la sua missione è accogliere”.

    E poi il Papa aggiunge che a Lampedusa si sta lavorando bene, anche se non c’è posto per accogliere tutti i migranti che sbarcano sull’isola.

    Per quanto riguarda altri Paesi dell’Europa, invece il Papa dice che spesso i rifugiati non sono accolti bene e rischiano di finire per strada, a rubare o a prostituirsi. Ricorda il lavoro dei Gesuiti, con l’intuizione di padre Arrupe di fondare il Centro Astalli per i rifugiati, ma dice che tutto questo non è sufficiente, è una piccola goccia nell’oceano. Cita poi il convegno promosso a dicembre dall’Accademia Pontificia delle Scienze sul tema del lavoro schiavo, affermando che prossimamente ne farà un altro sulle organizzazioni del lavoro. Ribadisce quindi che bisogna ricostruire la coscienza dell’uomo, contro la globalizzazione dell’indifferenza.

    Parlando, infine, dei quattro milioni di immigrati in Argentina, tra i quali i paraguaiani e i boliviani sono la maggioranza, il Papa si riferisce in particolare al ruolo delle donne paraguaiane:

    “A mi juicio la mujer paraguaya es la mujer más heroica de América …
    Secondo me la donna paraguaiana è la più eroica dell’America. Dopo la guerra, su dieci persone, otto erano donne. E queste donne scelsero di avere figli, per salvare la patria, la lingua, la cultura e la fede. Io desidererei che un giorno il Comitato del Premio Nobel desse il Premio alla donna paraguaiana. Per avere salvato la cultura, la patria… E’ stata eroica!”.

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    Tweet del Papa: preghiamo per i seminaristi, perché seguano il Signore con coraggio e con gioia

    ◊   Il Papa ha lanciato questo nuovo tweet sull’account @Pontifex: “Preghiamo per i seminaristi, perché ascoltino la voce del Signore e la seguano con coraggio e con gioia”.

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    Convegno a Roma a 30 anni dal nuovo Concordato Santa Sede-Italia: l'intervento di mons. Parolin

    ◊   “Fu una pagina nuova che sancì un modo nuovo di guardarsi reciprocamente e di collaborare per il bene del Paese”. Così il segretario di Stato vaticano, mons. Pietro Parolin, sulla Revisione del Concordato tra Stato e Chiesa sancito trent’anni fa a Villa Madama. L’occasione è stata un convegno organizzato ieri al Senato, nell’anniversario di quella storica firma tra l’allora capo del governo Bettino Craxi e il cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    30 anni di collaborazione che non confonde ordini, ma ribadisce un principio di laicità positiva. Il segretario di Stato vaticano riassume così il tempo intercorso da quel lontano 1984 tra Stato e Chiesa, ciascuno – come dettava il Concordato – nel proprio ordine indipendente e sovrano e impegnato nella collaborazione reciproca per la promozione dell’uomo e del bene del Paese. E’ quello spirito, sottolinea mons. Piero Parolin, quell’approccio ai problemi, quel rapporto leale e aperto allora innovativo, che resta e deve costituire anche oggi un fattore di crescita:

    “La percezione era che con l’accordo di Villa Madama si voltava decisamente pagina rispetto ai concordati del passato; in particolare, ci si allontanava sensibilmente dalla tradizione novecentesca, che era stata profondamente segnata dal confronto della Chiesa con Stati totalitari autoritari e dal ricorso allo strumento 'pattizio' al fine di conquistare spazi di libertà all’azione ecclesiastica”.

    Nuova la struttura complessiva dell’accordo, ma soprattutto – spiega mons. Parolin – nuova la filosofia:

    “Non più espressione dello ius habendi, non più visto nella reciproca preoccupazione di porre in essere un actio finium regundorum, ma inteso come strumento, espressione di libertà e collaborazione per il bene comune. Con gli occhi della storia si può certamente dire che l’accordo di Villa Madama costituì il prototipo delle convenzioni concordatarie post conciliari”.

    Mons. Parolin sottolinea i presupposti condivisi dalla Chiesa e dalla Repubblica italiana, sanciti dal Concordato, e spiega quanto in esso il mondo cattolico allora percepì l’eco evidente degli insegnamenti conciliari, specie rispetto al diritto di libertà religiosa, matrice di ogni altro diritto di libertà:

    “Al riguardo si deve considerare che i compiti di benessere materiale sono propri della Chiesa, così come delle altre confessioni religiose; mentre i compiti di benessere temporale sono propri dello Stato. Ma a quest’ultimo compete creare le condizioni normative e materiali perché le istituzioni ecclesiastiche possano effettivamente rispondere, secondo quanto ad esse compete, ai bisogni spirituali della persona. Detto in altre parole: spetta allo Stato rimuovere gli ostacoli giuridici o fattuali, che limitino o addirittura impediscano l’esercizio del diritto di libertà religiosa. E sull’impegno in questo senso è la vera misura dell’autentica laicità. D’altra parte, è sempre più evidente che il moderno Stato pluralista e democratico, che necessariamente non può non essere laico, ha necessità di presupposti che non è in grado di forgiare e garantire”.

    Il Convegno ha messo in luce anche il percorso difficile che portò al Concordato, il ruolo di ponte tra Stato e Chiesa svolto dalla Conferenza episcopale italiana, come ha sottolineato il segretario, mons. Nunzio Galantino:

    “La Cei, la Conferenza episcopale italiana, si propone come figura concreta dell’unità della Chiesa, che concorre a suo modo a far crescere quella del popolo italiano nel rispetto delle legittime diversità e nel rispetto anche delle sacrosante autonomie”.

    Fondamentale allora fu anche il ruolo svolto da Bettino Craxi, che intuì quanto il tessuto italiano non potesse reggere senza l’apporto del cristianesimo, tuttora necessario, ha sottolineato anche il presidente del Senato Pietro Grasso, auspicando che si possa guardare quanto accaduto 30 anni fa come antecedente virtuoso per superare ogni conflitto:

    “Esponenti politici, provenienti da culture ed esperienze profondamente diverse, compresero l’urgenza di affrontare temi così delicati e concorsero ad individuare un punto di sintesi, superando anche le pregiudiziali ideologiche”.

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    Mons. Chullikatt: cresce la persecuzione religiosa nel mondo, anche occidentale

    ◊   Le minacce alla libertà religiosa si manifestano non solo sotto regimi autoritari ma anche nelle grandi democrazie del mondo. Lo ha messo in evidenza mons. Francis Chullikatt, nunzio apostolico presso le Nazione Unite a New York invitato, martedì scorso, 11 febbraio, a prendere parte in un dibattito pubblico sulla libertà religiosa presso il Campidoglio a Washington. La libertà religiosa che comprende anche il diritto di manifestare le proprie convinzioni in pubblico, è per la Santa Sede un diritto umano fondamentale dal quale sgorgano gli altri diritti. E deve essere protetto. Oggi però, rileva mons. Chullikatt, la persecuzione religiosa, più o meno palese, “sta emergendo con una crescente frequenza in tutto il mondo”, anche nelle democrazie occidentali, compreso con il divieto legale di esporre simboli e immagini cristiane e questo rende evidente una profonda crisi al cuore di queste grandi democrazie che devono al loro incontro con il cristianesimo la loro origine e cultura dei diritti umani. Quindi il nunzio apostolico presso l’Onu a New York si sofferma sulle violazioni alla libertà religiosa in Medio Oriente, in particolare per i cristiani. Nessun cristiano è esente, dice, ricordando che gli arabi cristiani sono una piccola ma significativa comunità e si trovano bersaglio di vessazioni per nessun'altra ragione che la loro fede. Una tragedia ancora più grande se si considera che queste persone sono cittadini a pieno titolo e hanno vissuto in pace con i vicini per innumerevoli generazioni. Mons. Chullikatt si riferisce ad esempio agli attacchi agli edifici di culto cattolici e di altre confessioni cristiane alla Viglia di Natale, che va avanti da anni. Ed è evidente che i governi non stanno garantendo la libertà religiosa in modo consistente e, nel peggiore dei casi, le violazioni prendono forma di una persecuzione da parte di attori statali. Viene anche citato il numero di 100mila cristiani uccisi per cause legate alla fede ogni anno. Molti atti di violenza sono compiuti in Medio Oriente, Africa e Asia, ricorda mons. Chullikatt, ma in alcuni Paesi occidentali emerge una tendenza a emarginare il cristianesimo dalla vita pubblica. Nel suo discorso, il nunzio apostolico cita quanto affermato da Papa Francesco e da Benedetto XVI sulle persecuzioni ai cristiani. Un riferimento viene, poi, fatto anche all’obiezione di coscienza che la legge deve proteggere. “La persecuzione dei cristiani in Medio Oriente incombe in questo teatro di sofferenza”, rileva mons. Chullikatt, e “l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha affrontato la questione in alcune risoluzioni, che noi abbiamo aiutato a negoziare”. Ma questi sforzi non riescono a ricevere il profilo che meritano sulla scena mondiale e gli “Stati membri, specialmente quelli con profili di leader come gli Stati Uniti, possono prendere misure decisive” per assicurare che il diritto alla libertà religiosa venga più protetto nel mondo.

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    Simposio alla Lateranense fa il punto sulla Liturgia, a 50 anni dalla "Sacrosanctum Concilium"

    ◊   “Gratitudine e impegno per un grande movimento ecclesiale”: è il tema del Simposio dedicato alla Costituzione Sacrosanctum Concilium, promulgata da Paolo VI il 4 dicembre 1963. L’incontro - che sarà ospitato dalla Pontificia Università Lateranense dal 18 al 20 febbraio - è organizzato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in collaborazione con l’Ateneo Pontificio. A presentare l’evento - stamane nella Sala stampa vaticana - è stato mons. Arthur Roche, segretario del dicastero promotore. Il servizio di Roberta Gisotti:

    50 anni dalla prima Costituzione del Concilio Vaticano II, che iniziò i suoi lavori proprio dalla riforma della liturgia, per affermare il primato di Dio nella vita della Chiesa; una Chiesa “rinnovata e santificata”, solidale “con l’umanità nelle sue speranze e inquietudini”. Così il cardinale Antonio Canizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nel suo intervento letto ai giornalisti, durante la conferenza stampa, essendo il porporato in questi giorni inviato del Papa a Panama. Un Simposio organizzato - osserva il cardinale Canizares – per esprimere gratitudine per questo primo frutto del Concilio e per continuare ad approfondire il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio II. “Ma molto resta ancora da fare”, aggiunge il porporato, richiamando “la responsabilità” che “è di tutti”.

    Nelle grandi prospettive del Vaticano II “non si può infatti pensare alla liturgia senza pensare alla Chiesa intera”, ha spiegato poi mons. Arthur Roche, segretario del dicastero:

    “Certo , i 50 anni dalla Sacrosanctum Concilium invitano anche a fare esame di coscienza”.

    Da qui l’invito al Simposio che è stato esteso – ha detto mons. Roche - a Conferenze episcopali, responsabili di commissioni liturgiche, centri di studio teologico e pastorale, curatori e animatori della liturgia. Universale la presenza dei relatori sacerdoti, religiosi, laici da ogni continente, arricchita da voci di Riti liturgici non romani:

    “L’auspicio è di poter offrire nei giorni del Simposio, attraverso l’ascolto, il dialogo, la preghiera comune, una esperienza di comunione colma di grata memoria e di profetico impegno”.

    Tra gli argomenti evidenziati dai giornalisti, riguardo i contenuti nel Simposio, sono stati: la liturgia ordinaria e straordinaria, che non è di competenza - è stato chiarito - della Congregazione per il Culto Divino ma della Congregazione per la Dottrina della Fede; poi la presenza dei laici nella liturgia, che non avrà un approfondimento specifico nei lavori e la rappresentazione mediale della liturgia, che sempre deve favorire l’incontro con Dio e la comunione ecclesiale.

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    Il Papa ha ricevuto mons. Galantino, segretario generale ad interim della Cei

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto ieri in udienza mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio, segretario generale ad interim della Conferenza Episcopale Italiana.

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    Provvedimenti nella Chiesa arcivescovile maggiore greco-cattolica ucraina

    ◊   Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyč, con il consenso del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina e dopo aver consultato la Sede Apostolica, ha eretto a norma del can. 85 § 3 del CCEO l’Esarcato Arcivescovile di Krym degli Ucraini (Ucraina), con territorio dismembrato dall’attuale Esarcato Arcivescovile di Odessa-Krym, e ha trasferito S.E. Mons. Vasyl Ivasyuk dall’ufficio di Esarca Arcivescovile di Odessa-Krym alla sede eparchiale di Kolomya-Chernivtsi degli Ucraini.

    Il Papa ha preso atto del trasferimento comunicato e ha concesso il Suo assenso all’elezione canonicamente fatta dal medesimo Sinodo del Rev.do P. Mykhaylo Bubniy, C.SS.R., attualmente Superiore dei Padri Redentoristi di Ivano-Frankivsk e Parroco della parrocchia della Beata Vergine Maria del Perpetuo Soccorso nella medesima città, a primo Esarca dell’Esarcato Arcivescovile di Odessa, assegnandogli la sede titolare di Tubursico-Bure.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un cantiere aperto nel mondo: alla Congregazione per l’educazione cattolica il Papa raccomanda l’incontro con la società multiculturale.

    In dialogo fraterno con la Chiesa ortodossa: ai vescovi della Bulgaria in “visita ad limina” il Pontefice ricorda Roncalli e Wojtyla.

    Oltre i pitex e i bixel: l’arcivescovo Gerhard L. Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, illustra le sfide per la teologia contemporanea.

    Sottaceto: Jorge Milia spiega come parla Jorge Mario Bergoglio.

    In ascolto dell’anima del popolo: Diego Fares sull’antropologia politica di Papa Francesco.

    Tra le carte del Vaticano II: l’arcivescovo Agostino Marchetto ricorda monsignor Vincenzo Carbone.

    Governo Letta tra rilancio e incertezze: alla vigilia della direzione del Pd presentato Impegno Italia.

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    Oggi in Primo Piano



    Centrafrica: arcivescovo di Bangui, non è cristiano chi uccide i propri fratelli

    ◊   Parte da Mbaïki, 80 km a sud ovest di Bangui, la risposta della presidente della Repubblica Centrafricana, Catherine Samba Panza, alle violenze contro i musulmani perpetrate dalle milizie anti-Balaka nelle ultime settimane. In visita col ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, la presidente ha detto che ci si trova di fronte a un grave “problema di insicurezza” nel Paese: “facciamo in modo - ha aggiunto - che questo problema non continui”. Proprio delle ultime violenze in Centrafrica, precedute dalle sanguinose azioni dei ribelli Seleka, parla l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, che con l’imam Oumar Kobine Layama, presidente della Comunità islamica centrafricana, ha recentemente compiuto un viaggio nelle capitali europee per chiedere aiuto e sostegno al Centrafrica. L’intervista è di Xavier Sartre:

    D. – Qual è la sua analisi della situazione attuale in Centrafrica?

    R. – Autant que je sache, il y a un groupe qui a décidé de prendre sa revanche. …
    Per quanto ne sappia, c’è un gruppo che ha deciso di vendicarsi. Sono sostanzialmente giovani che hanno visto i loro villaggi bruciati e saccheggiati e che hanno assistito a omicidi e ad abusi, a violazioni dei diritti umani che alcuni elementi del Seleka hanno fatto subire a villaggi interi. Ora, quando io ho incontrato questi giovani, loro dicevano di voler combattere il Seleka. E’ evidente che non è questo quello che sta succedendo. Oggi queste persone se la prendono con le comunità musulmane. Ci avevano sempre detto che i musulmani non sono il Seleka, né tutti i membri del Seleka sono musulmani. Allo stesso modo, noi avevamo detto che non tutti gli anti-Balaka sono cristiani e non tutti i cristiani sono anti-Balaka. Se le persone hanno preso di mira questo gruppo è per saccheggiare, per vendicarsi, per manifestare un odio profondo. E questi sono sentimenti molto umani. Penso che dietro a tutto quello che sta accadendo ci siano persone che ho definito “uomini politici loschi”, manipolatori. Prova ne è che ci sono persone che si pongono come “sponsor” di questi gruppi. In alcun caso, nessun prete, nessun pastore si è pronunciato in favore di questa ideologia. Io denuncio, io condanno gli abusi e denuncio anche il miscuglio che si è fatto in questa situazione: infatti, l’imam, il pastore ed io stesso parliamo la stessa lingua e abbiamo fatto la “diagnosi” fin dall’inizio di questa situazione. Oggi, si continua a giocare con la definizione di un conflitto religioso, ma noi ci rifiutiamo di lasciarci trascinare su questa strada.

    D. – Cosa si può fare affinché i principali responsabili diano ascolto?

    R. – Nous avons refusé de faire l’amalgame e nous demandons à ceux qui …
    Ci siamo rifiutati a prestarci a questa confusione e per questo chiediamo a coloro che sfruttano, che manipolano i giovani una responsabilità a livello nazionale e internazionale. Quello che ci ha portati a questa situazione è l’impunità. Ci sono persone che uccidono e nessuno dice loro niente. Ci sono persone che saccheggiano e incendiano e continuano ad andare in giro. Sarà necessario che quelli che hanno ucciso rispondano delle loro azioni e questo significa dare una riparazione. Noi pensiamo che sia tempo che la giustizia centrafricana rinasca dalle sue ceneri: solo così sarà possibile restituire fiducia ai poveri che aspettano che sia presentata una soluzione, che sia avanzata una proposta perché si possa tornare alla tranquillità.

    D. – Ma lei si è rivolto direttamente agli anti-Balaka?

    R. – Les anti-Balaka ont lancé une attaque et deux jours plus tard, j’ai écrit une …
    Gli anti-Balaka hanno lanciato un attacco e due giorni dopo ho scritto una lettera nella quale sono stato molto chiaro: io condanno gli abusi o il ricorso alla forza come mezzi per arrivare al potere. Il mezzo che io conosco si chiama dialogo. Io insisto perché si faccia uso di questo mezzo per risolvere le controversie nella società. Oggi lancio un appello per dire a tutti quelli che si definiscono cristiani, ma che sono parte di questo gruppo, che non credano di essere coerenti con la loro fede! Non ci si può definire cristiani e uccidere il fratello, bruciarlo, distruggerlo. Non ci si può definire cristiano e cacciare il fratello. Il fratello è l’altro. Io stesso ho accolto qui il responsabile della comunità musulmana. Vivo con lui e chiedo che i cristiani facciano altrettanto. L’amore deve essere il carattere distintivo dei cristiani. Invece, oggi assistiamo a divisioni, odio, vendetta, rappresaglie e comportamenti che sono agli antipodi dei valori evangelici.

    D. – Lei ha parlato di politici “loschi” che soffiano sulle braci. Chi sono questi politici?

    R. – Actuellement, la violence ne connaît plus de limites. …
    In questo momento, la violenza non ha più limiti. Contrariamente a quello che vorrebbero farci credere, anche i cristiani subiscono saccheggi da parte degli anti-Balaka. Ho incontrato una famiglia a cui avevano portato via tutto! Questo significa che c’è un’altra gang o un altro capo che istiga quelle persone. E’ la sete di potere: e bisogna avere il coraggio di dirlo. Non si combatte per essere più vicini a Dio e nemmeno per difendere la propria fede. Si combatte per raggiungere il potere. Si lotta per dimostrare di essere il più forte.

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    Crisi siriana. Altri tre giorni per evacuare Homs. Pesanti combattimenti al confine con il Libano

    ◊   E' stato prorogato di altri tre giorni il cessate-il-fuoco umanitario in vigore da venerdì scorso a Homs, in Siria, per consentire l'evacuazione dei civili e la consegna di aiuti di emergenza. In questo scenario, la Russia ha presentato al Consiglio di Sicurezza Onu una controproposta di risoluzione sulla crisi dopo aver respinto nei giorni scorsi quella sulla situazione umanitaria elaborata da Lussemburgo, Australia e Giordania. Intanto, alla conferenza di pace di Ginevra rimane lo stallo tra la delegazione del regime e quella dei gruppi di opposizione, mentre continuano gli scontri in varie parti della Siria: pesanti bombardamenti si registrano al confine con il Libano, dove domani ricorre il nono anniversario dell’uccisione dell’ex premier Rafīq al-Hariri. Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente a Tripoli, in Libano, Misbah al Ahdab, presidente del movimento "Moderazione Civile":

    R. – Sicuramente, l’assassinio del presidente Hariri è stato un momento cruciale nella nuova politica libanese, perché in questi nove anni c’è stata una serie di assassinii e Hezbollah è stato maggiormente capace di riempire il vuoto lasciato dopo l’assassinio di Hariri. E poi, con quello che è incominciato nella regione – in Siria – tre anni fa, tutta la gestione delle istituzioni libanesi è controllata ed usata per appoggiare il regime in Siria: e questo è normale perché per 40 anni i servizi siriani sono stati capaci di introdurre in tutti i posti importanti dell’amministrazione libanese persone fedeli ad essi.

    D. – Spesso si dice: il problema in Libano è che ci sono scontri tra alawiti e sunniti. Però, così non è?

    R. – No, sicuramente non è. Viviamo un problema del controllo delle istituzioni libanesi, per appoggiare il regime in Siria. Da una parte c’è un fronte con Iran, Hezbollah e regime siriano, dall’altra parte c’è uno scontro tra Iran e Paesi del Golfo, sicuramente. Adesso si parla di fare un intervento da parte dello Stato, distruggendo intere zone del Libano: un po’ quello che abbiamo visto fare a Quseir. Sotto l’alibi che c’erano gruppi armati, hanno distrutto una città intera …

    D. – In Libano, non si trova un accordo per il nuovo governo: perché?

    R. – Un accordo per il nuovo governo non si fa perché un accordo su come gestire il Paese non esiste ancora.

    D. – E in più, per Hezbollah bisogna accettare questa dichiarazione in cui, di fatto, si riconoscono i propri combattenti, mentre gli altri sono terroristi …

    R. – Hezbollah cerca di imporre questa dichiarazione a tutti i gruppi politici. La dichiarazione è la seguente: qualsiasi persona riconosciuta resistente, dunque un paramilitare riconosciuto dalla parte di Hezbollah, non può essere arrestato, e qualsiasi altra persona che venga trovata con una pistola, se non è riconosciuta dalla parte di Hezbollah come resistente, diventa terrorista. Hezbollah vuole quello che qui chiamano "il popolo, l’esercito e la resistenza". La domanda è la seguente: vogliamo uno Stato che vieta le armi che non sono legali, o vogliamo accettare gruppi paramilitari?

    D. – Come vive la popolazione libanese il conflitto in Siria?

    R. – Pensiamo sinceramente che ci sia la possibilità di poter dissociare il Libano da quello che sta succedendo in Siria, però Hezbollah cerca di usare tutte le istituzioni per appoggiare il proprio intervento in Siria, e questo lo fa per salvare Assad.

    D. – A fronte di questa situazione, la pace è possibile?

    R. – Ma sicuramente! Dopo il caos c’è sempre un compromesso: bisogna solamente sapere se il compromesso sarà un compromesso intelligente, che potrà proteggere tutte le minoranze, tutti i civili in questa parte del mondo, o se vogliamo fare un compromesso per cercare di creare una radicalizzazione a lungo termine, che non esiste adesso perché – sinceramente – non c’è il tessuto sociale pronto a farlo. La storia islamica di questa parte del mondo è “sufi”, non è “salafita” …

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    Venezuela: scontri tra oppositori e sostenitori di Maduro, 3 morti

    ◊   E' salito a tre morti il bilancio delle vittime dei disordini scoppiati ieri a Caracas, a margine di una manifestazione dell'opposizione. Oltre a Juan Montoya, dirigente di un 'colectivo' (gruppo progovernativo), sono morti anche due studenti che partecipavano alla protesta. In occasione della Giornata dedicata alla Gioventù, che si celebra ogni 12 febbraio nel Paese sudamericano, i giovani hanno sfilato contro il governo del presidente Nicolas Maduro, ma altri gruppi hanno organizzato invece un corteo per sostenere l’erede di Chavez. Fausta Speranza ha parlato di quanto sta succedendo in Venezuela con Giuseppe Dentice, esperto dell’Ispi, Istituto di studi politici internazionali:

    R. - E’ in atto uno scontro tra opposizione e governo non tanto sull’eredità del chavismo, ma sulle prospettive del chavismo, ossia ci si chiede: il Venezuela può avere un suo futuro anche fuori dal chavismo? Come sostengono appunto le opposizioni, perché ritengono che il sistema chavista non possa esistere senza il suo leader e fondatore, scomparso ormai da quasi un anno. Dall’altra, invece, abbiamo il governo stesso che ritiene che l’unica strada maestra sia quella del chavismo. Il problema è che all’interno del governo sono sempre più marcate le distanze tra l’ala militare, che può essere identificata come una sorta di ‘falchi’ dell’amministrazione, che ritengono che la strada maestra sia quella tracciata da Chavez; e, dall’altra, l’ala ‘civilista’, per così dire, rappresentata dallo stesso presidente Maduro che, da un lato, deve mediare con le istanze che vengono dalla società e, dall’altro, cerca di mediare con le prerogative e soprattutto la difesa degli interessi che vogliono perpetuare i militari. Si trova, quindi, nella difficile condizione di capire come indirizzare l’azione del chavismo.

    D. – Si parla di diritti civili, ma c’è anche una situazione sociale, con difficoltà economica e disoccupazione da raccontare...

    R. – Certamente. Sì, c’è una fortissima disoccupazione e c’è una forte inflazione. Ci sono dati, addirittura, che parlano di un’inflazione al di sopra del 38 per cento. La situazione è dettata anche da politiche economiche e sociali molto distorte, e in un certo senso folli, perché hanno creato delle forti distorsioni all’interno del sistema venezuelano. Oggi il governo cosa fa? Cerca di introdurre, come ha già fatto, con una legge sul calmieramento dei prezzi, una specie di paniere dei prezzi sui beni di prima necessità, in modo da evitare un mercato nero che è sempre più dilagante nel Paese. Basti pensare, appunto, al mercato nero dell’elettricità, del petrolio. Un Paese ricco di petrolio - forse uno tra i più ricchi al mondo - ha creato al suo interno un mercato nero dell’energia. Queste politiche, soprattutto sbagliate dal punto di vista della moneta, che hanno creato questa inflazione sempre più dilagante, hanno portato veramente ad una situazione di parziale default. E se non si interviene con delle riforme o con dei tentativi di legge che cerchino quantomeno di contenere queste distorsioni, il Paese rischia un’instabilità totale.

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    Coree: annunciato un nuovo incontro. Si riaccendono le speranze di dialogo

    ◊   Si riaccendono le speranze di dialogo tra le due Coree. Domani è in programma un nuovo incontro tra le delegazioni dei due Paesi che segue quello di ieri chiesto d’urgenza da Pyongyang. Diversi i temi al centro del confronto, il cui annuncio arriva durante la breve visita di oggi a Seul del segretario di stato americano Kerry. Sulla valenza di questa iniziativa voluta dalla Corea del Nord, Eugenio Bonanata ha intervistato Rossella Ideo, docente di Storia politica e diplomatica dell'Asia Orientale:

    R. – Direi che non ci sono speranze di grossissimo rilievo, nel senso che i rapporti tra le due Coree sono molto tesi. E’ chiaro che questo, però, è il primo dialogo bilaterale di alto livello in sette anni. Ha quindi una sua importanza, che, secondo me, è legata molto anche alle questioni interne della Corea del Nord.

    D. – A cosa fa riferimento?

    R. – Faccio riferimento al fatto che c’è stata, appunto, recentemente, in dicembre, l’esecuzione spettacolare dello zio del leader nord coreano Kim Jong-un e dei suoi alleati, dei suoi parenti prossimi, cosa che ha indicato veramente una sorta di frattura all’interno dell’elite nordcoreana. Quindi, Kim Jong-un deve recuperare, in un certo senso, l’immagine di un leader forte, rispetto alla popolazione nordcoreana e quindi indicare la sua capacità di gestire anche le questioni internazionali in modo adeguato, malgrado la sua giovane età.

    D. – E’ possibile che questo incontro si possa, in qualche maniera, inserire nella propaganda usata altre volte anche da Pyongyang?

    R. – Sicuramente. Non dimentichiamoci, tra l’altro, che tra il 20 e il 25 di questo mese dovrebbe svolgersi la famosa riunione dei familiari divisi dalla guerra di Corea. Ora, la tempistica ci indica che in un certo senso questi familiari divisi sono un po’ ostaggio nelle mani di Pyongyang, perché il 24 cominceranno le esercitazioni militari congiunte tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud, quelle esercitazioni che Pyongyang vorrebbe fossero sospese. Ora è chiaro che è una domanda irricevibile sia da parte della Corea del Sud sia da parte di Washington. Quindi c’è una situazione estremamente complicata, sempre accesa in Asia Orientale, che può sfuggire di mano: c’è tensione tra il Giappone e la Cina, tra la Corea del Sud e la Cina sia per questioni territoriali che storiche. Quindi gli Stati Uniti stanno appunto cercando di affrontare tutti questi nodi complicati sullo stesso tavolo, in un certo senso.

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    Immigrati, cresce l'impegno dei comuni italiani per i rifugiati

    ◊   Sono quasi 20 mila i posti per rifugiati e richiedenti asilo che i comuni italiani pensano di attivare da qui al 2016. Lo ha comunicato l’Anci, l’associazione delle autonomie locali, che oggi ha presentato i risultati del programma di assistenza Sprar. Per il presidente dell'associazione Piero Fassino, però, il sistema ha bisogno di sempre maggiori risorse. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    L’esplodere di disordini e conflitti, soprattutto nel Mediterraneo, ha visto aumentare le richieste di protezione in Europa. In Italia, sono state quasi 30 mila nel 2012, e il 73.5% è stato accolto. I comuni sono in prima fila nel dare assistenza a chi è stato riconosciuto rifugiato o comunque necessita di una forma di protezione perché fugge da guerre o persecuzioni. Si tratta di fornire un tetto, istruzione, cure mediche, sostegno psicologico. Nel 2013 erano più di 9300 i posti disponibili. Da qui al 2016, invece, sarà possibile mettere in campo quasi 20 mila posti. Lazio e Sicilia le regioni più coinvolte. Il presidente dell’Anci, Piero Fassino:

    “In questi anni, un salto di qualità c’è stato: io devo dire che la cooperazione tra i comuni e il ministero degli Interni, in particolare attraverso lo strumento dello ‘Sprar’ (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati ndr), è cresciuta; si tratta di rafforzare sempre di più meccanismi e strumenti per far sì che ogni qual volta si produca un’emergenza, il nostro Paese non sia colto alla sprovvista ma possa gestire quel fenomeno senza che questo comporti alcuni rischio, né per chi viene ospitato né per i cittadini del nostro Paese”.

    Nel complesso per i tre anni a venire saranno coinvolti 375 comuni.

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    Giornata mondiale della Radio dedicato alle donne. Alla Radio Vaticana più giornaliste che giornalisti

    ◊   Ricorre oggi il World Radio Day, la Giornata mondiale della Radio, promossa dall'Unesco. Quest'anno l'evento punta l'attenzione sul ruolo delle donne. In continua evoluzione, la radio resta anche oggi il mezzo che riesce a raggiungere il pubblico più vasto a livello mondiale. Da qui il suo ruolo cruciale nella promozione delle comunità e delle persone favorendo l'accesso all'informazione, la libertà di espressione e le pari opportunità. Alla Radio Vaticana tra l'altro, il numero delle giornaliste supera quello dei giornalisti. Sull'odierna Giornata, Adriana Masotti ha sentito il presidente della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, prof. Giovanni Puglisi:

    R. - Certamente la radio è uno strumento importante per vivere in collegamento con il resto del mondo. Prescindo dalla letteratura più banale, che la radio ha salvato tante vite umane che correvano il rischio di finire nella solitudine, oppure nella dispersione in contesti tragici. Ma la radio è anche una compagna di molte situazioni. Ricordo ancora una trasmissione, “Si fa sera, ascolta sorella radio”: cioè, in qualche maniera, è uno strumento di solidarietà e di comunicazione, discreta ma assolutamente capillare.

    D. - Quest’anno l’Unesco ha pensato di dedicare la Giornata mondiale della radio alle donne, perché?

    R. - Perché la donna è quella che generalmente ha la maggiore responsabilità nella conduzione della vita famigliare, nella conduzione delle situazioni più delicate, è quella che spesso sente maggiormente il bisogno di tenersi collegata al mondo per poter dare una ragione alla propria vita, ma anche per potere dare al mondo un segno di delicatezza e di solidarietà. La radio è uno strumento che secondo me aiuta maggiormente la donna a poter essere più presente da un lato, e meno sola dall’altro.

    D. - La radio può promuovere anche momenti di incontro, di consapevolezza, sto pensando soprattutto ai Paesi più in difficoltà ma non solo…

    R. - La radio, in qualche modo, raggiunge anche le fasce più lontane, con minori necessità di hardware e software. Credo che la radio sia uno strumento molto più semplice e più utilizzabile anche nelle situazioni più complesse.

    E' caporedattore a Radio 24 e si occupa da oltre 20 anni di giornalismo radiofonico. Alessandra Scaglioni parla così, al microfono di Adriana Masotti, della radio:

    R. - Noi pensiamo spesso a cosa sia la radio in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, ma pensiamo anche a cosa sia la radio nei Paesi dove c’è bisogno di promuovere di più i diritti e dove c’è bisogno di far crescere, in qualche modo, le donne. La radio in questo senso può rappresentare moltissimo perché è un mezzo semplice, un mezzo poco costoso, serve alle relazioni tra le comunità, penso alle radio rurali in Africa. Serve, inoltre, a far crescere la consapevolezza. In Paesi dove la scolarizzazione femminile è bassissima, la radio dà modo alle donne che la ascoltano di crescere e di apprendere. Quindi, in questo senso, la radio può rappresentare molto in tutto il mondo.

    D. - Spesso in tv le figure femminili sono scelte in base a fattori esterni, estetici. La radio non ha questo limite, ma anche alla radio si sentono poche voci femminili, qual è la sua esperienza dopo tanti anni di lavoro in Radio 24?

    R. - E’ vero che in radio non c’è possibilità di puntare su minigonne e scollature o lustrini, per cui una donna vale per quello che sa, per quello che dice, per il modo che ha di dirlo, per la sua capacità, che poi è una cosa molto femminile, di mettersi in relazione con gli ascoltatori, grazie a una sorta di empatia che, poi, noi spesso abbiamo. Nel mondo della radio ci sono molte voci femminili, che spesso conducono programmi assolutamente dignitosi ma più lievi e di intrattenimento. Ci sono però anche voci femminili, e in questo senso posso citare la mia storia dentro Radio 24, che conducono gli stessi programmi sulle stesse tematiche rispetto alle voci maschili. Noi abbiamo donne che conducono programmi di economia, donne che fanno le inviate, che sono in giro in tutto il mondo anche in zone e luoghi molto pericolosi, donne in posizioni di responsabilità e credo che nel mondo della radio ci sia oggettivamente la possibilità di valorizzare le potenzialità femminili sia dalla parte del microfono che dall’altra, cioè nella parte della gestione. Credo che su questo la radio abbia fatto abbastanza e forse potrà fare ancora qualche passo avanti.

    D. – Sì, può fare ancora qualche passo avanti perché pesa ancora un po’ l’idea che su alcuni temi si debba chiamare un uomo. Oppure ci sono anche tante giornaliste che denunciano umiliazioni o comunque emarginazione nel proprio lavoro…

    R. – Sì, tutti e due sono temi molto forti. E’ vero che quando si pensa ad un ospite, a una persona di peso da chiamare nei programmi viene un po’ più difficile pensare a una donna. E’ meno facile che sia una donna a fare il grande commento di politica. E’ un discorso culturale più generale su cui sicuramente noi possiamo fare qualcosa e magari cogliere l’occasione di questa giornata per pensarci un po’ di più. Devo dire che l’altro tema lo vedo un po’ legato al tema della maternità: cioè, non mi pare che nel mondo della radio ci sia davvero emarginazione o un qualche tipo di mobbing legato al genere. Vedo, però, che quando le donne diventano madri, ci sono meccanismi che diventano più difficili perché a volte le disponibilità sono minori o a volte invece non lo sono e si tende a vedere la donna che è madre come quella che può dare meno disponibilità. Anche questo è un discorso culturale. Io penso sempre ad alcuni Paesi del nord Europa dove non esiste fissare una riunione di lavoro dopo le 18 perché comunque si pensa che tutti abbiano una vita sociale. In Italia e non solo nelle radio si deve essere sempre presenti. Io trovo che sia un punto di forza di qualunque donna, alzarsi a un certo punto da una riunione e dire: io me ne vado perché vado a prendere mio figlio. Questo deve essere vissuto come un elemento positivo, perché credo che lo sia per la società, per noi che lavoriamo e per tutti, anche quelli che la radio la ascoltano.

    Hidden Women: questo il nome del progetto nato dalla collaborazione tra la Radio Vaticana e Fondazione Donna finalizzata alla promozione umana e al reinserimento sociale di donne che hanno sofferto nei loro Paesi a causa di tensioni sociali, disordini, guerre, povertà o che hanno subito violenze. Giornaliste della nostra emittente hanno lavorato in questi anni per dare voce a donne del Mozambico, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Medio Oriente, recandosi sul posto e visitando comunità, organizzazioni locali e progetti. Questa iniziativa, amplificata dalle onde della Radio Vaticana, accanto all'impegno delle diocesi e di varie associazioni locali, ha offerto a queste donne la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita e di diventare promotrici di cambiamento per l'intera comunità di appartenenza.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Card. Filoni: mettersi alla scuola di Cristo facendosi piccoli e ascoltando il Maestro

    ◊   “Quanto è sapienziale e salutare sarebbe mettersi alla scuola di Cristo, farsi ancora una volta piccoli alunni e ascoltare il Maestro. Lui che, con il suo dire, ci fa star bene, perché parla dritto al cuore e alla mente, che ci tira fuori dall’inganno, che ci fa conoscere dove alberga la radice del male”. L’auspicio - riporta l'agenzia Fides - è stato espresso dal card. Fernando Filoni, che ieri sera ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica nella cappella del Pontificio Collegio Urbano, in qualità di Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, membro della Congregazione per l’Educazione cattolica e Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. La Congregazione per l’Educazione cattolica sta tenendo la sua Assemblea plenaria dal 12 al 14 febbraio. “Raccolti in questa Cappella dove migliaia di giovani si sono preparati al sacerdozio, alla vita pastorale e missionaria, nonché alla propria formazione intellettuale presso la nostra Pontificia Università Urbaniana – ha detto il card.Filoni nell’omelia -, noi ci ritroviamo per un momento di preghiera, rinnovando la nostra fede nell’Eucaristia, appunto cuore della Chiesa”. Soffermandosi sulle Letture proclamate, il prefetto del Dicastero Missionario ha messo in rilievo la dimensione sapienziale dal punto di vista biblico-spirituale, collegandola all’oggi: “L’immagine di Salomone che costruisce la casa dalle sette colonne in cui la Sapienza ha dimora è eloquente e suggestiva, e, direi, ben si potrebbe addire, per analogia, alla missione della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ossia di permettere che chiunque lo desideri possa accedere alla conoscenza della Sapienza divina, cioè Cristo, via, verità e vita e apprendere il valore della sapienza attorno all’uomo”. Nel brano evangelico del giorno, il Maestro distingue chiaramente tra “Parola di Dio” e “tradizione umana”. “Una distinzione attuale allora, così, se non di più, oggi - ha commentato il cardinale -, se pensiamo al nostro intendere post-moderno, dove non di rado la ‘Parola di Dio’ è negata e la ‘tradizione umana’ è sostituita da un relativismo etico-filosofico, che mette al centro soggettivamente il proprio modo di vedere, il proprio io e quanto gli aggrada, piegando a volte nel nostro mondo ecclesiale anche la ‘Parola di Dio’. Così, l’interrogativo di Gesù ai suoi ascoltatori, è ben forte e diretto: con tutto il sapere post-moderno, scientifico e culturale, ‘neanche voi siete capaci di comprendere?’". (R.P.)

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    Belgio. Eutanasia ai minori: oggi alla Camera dei deputati il voto finale

    ◊   Veglie di preghiera in molte chiese del Belgio, raccolta di firme, manifestazioni di piazza, l'appello per il 'no' di cristiani, ebrei e musulmani non sono serviti per fermare la legge che legalizza l’ampliamento dell’eutanasia ai minori: dopo essere passata con una grande maggioranza di voti in Senato e alla Commissione Giustizia della Camera, il testo è stato discusso ieri pomeriggio in seduta plenaria alla Camera dei deputati ed oggi sarà votato verso le 19. Se il testo di modifica alla legge sull’eutanasia in vigore dal 2002 dovesse essere approvato - riferisce l'agenzia Sir - il Belgio diventerebbe il secondo Paese europeo, dopo i Paesi Bassi, ad autorizzare l’eutanasia ai minori. Mentre però in Olanda si fissa a 12 anni l’età limite per richiedere l’eutanasia, in Belgio il legislatore non ha indicato alcuna età minima del bambino. I minori che stanno vivendo “sofferenze fisiche insopportabili e inguaribili, in fase terminale”, sono ritenuti dal testo di legge in grado di “discernimento” e dunque capaci di chiedere per sé l’eutanasia. Sull’approvazione del testo di legge da mesi in Belgio si sta discutendo: l’ampliamento della legalizzazione dell’eutanasia ai minori ha suscitato una nota di sdegno anche da parte di un gruppo misto di parlamentari del Consiglio d’Europa. Si sono espressi contrari un gruppo di pediatri definendola “inutile” per mancanza di richieste effettive. La Chiesa belga guidata dall'arcivescovo di Malines-Bruxelles mons. Leonard, è scesa in campo contro l'iniziativa denunciando il rischio di una "banalizzazione" dell'eutanasia. Esponenti delle tre religioni monoteiste, cristiani, ebrei e musulmani hanno lanciato un forte appello contro la legge. (R.P.)

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    Sudafrica. 20 anni di democrazia: per i vescovi servono trasparenza e responsabilità

    ◊   Il Sudafrica si prepara a celebrare, oggi, il 20.mo anniversario dell’istituzione della democrazia. Una giornata che verrà marcata dal discorso del presidente Zuma sullo stato dell’unione e che si inserisce tra due date importanti: la morte dell’ex presidente Nelson Mandela, leader della lotta all’apartheid, scomparso il 5 dicembre, e le elezioni generali programmate per il 7 maggio prossimo. In questo contesto, la Chiesa non manca di far sentire la propria voce: la Conferenza episcopale ha infatti diffuso un messaggio, scritto insieme ai responsabili per la Vita consacrata. Il documento, intitolato “20 anni di democrazia. Il popolo di Dio e tutti gli uomini di buona volontà”, sottolinea il valore del processo democratico, definito “un tesoro”, grazie al quale si sono potuti promuovere “i diritti di tutti”, e restaurare “la dignità della maggioranza della popolazione, negata dall’apartheid”. I presuli, inoltre, elogiano “il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione apportato dalla democrazia” e riscontrabile nello sviluppo delle infrastrutture e dei servizi forniti dallo Stato, così come nell’attenzione alla situazione sociale. Tuttavia, a due decenni dall’inizio del processo democratico, il Sudafrica – notano i vescovi – non conta solo le luci, ma anche le ombre: “Molte persone vivono ancora in condizioni intollerabili”, scrivono i presuli, denunciando lo scarso valore che viene dato alla vita umana, la presenza di atteggiamenti e comportamenti razzisti, “l’orrore degli abusi su minori e anziani, i rapimenti e le violenze domestiche”. Di qui, l’esortazione a “ricostruire il Paese secondo i valori del Vangelo”, lavorando “tutti insieme allo sradicamento dei crimini, del traffico di droga e della tratta di esseri umani” per rendere il Sud Africa “ospitale e bandire così la xenofobia ed il razzismo”. Due i principi ai quali fare riferimento, affermano ancora i vescovi sudafricani, ovvero “trasparenza e responsabilità”. “Dobbiamo essere in grado – scrivono – di considerarci responsabili gli uni con gli altri della nostra libertà e dell’uso delle risorse del nostro Paese”. Altrettanto senso di responsabilità viene richiesto alle forze dell’ordine, affinché “combattano il crimine”; agli insegnanti “perché formino i loro alunni”; ai genitori “così che amino e abbiano cura dei loro figli”, e ai sacerdoti e religiosi affinché provvedano “alla crescita spirituale della popolazione”. Il tutto nell’ottica “della dignità e del rispetto reciproco”. Il processo democratico, ribadisce ancora la Conferenza episcopale, non riguarda solo i leader politici, ma “richiede il coinvolgimento di ciascuno affinché dia il suo contributo, anche grazie alle associazioni civili ed ecclesiali”. Infine, i vescovi invitano a rendere grazie a Dio “per il prezioso dono della democrazia” ed a pregare per il Paese. (A cura di Isabella Piro)

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    Pakistan. Il vescovo anglicano di Karachi: cristiani sempre nel mirino

    ◊   “Le minoranze religiose in Pakistan, e in particolare i cristiani, sono diventati bersaglio costante di masse di estremisti”: lo afferma, in una nota inviata all'agenzia Fides, Ijaz Inayat Masih, vescovo anglicano di Karachi, lanciando un allarme sul deteriorarsi della condizione delle minoranze religiose nel Paese. “Negli ultimi anni – afferma – le minoranze religiose sono state prese di mira, i loro villaggi dati alle fiamme, accusate in falsi casi di blasfemia, vittime di intimidazioni, matrimoni forzati e conversioni forzate. Anche avvocati, giudici e membri di Ong che difendono le vittime sono malmenati e perseguitati”. Il vescovo ricorda il caso del giudice dell’Alta Corte di Lahore, Iqbal Bhatti, che aveva assolto il cristiano Salamat Masih in un processo per blasfemia: il giudice è stato ucciso fuori dal palazzo di giustizia nel 1996. La blasfemia è un punto dolente: “Quando un cristiano è accusato di blasfemia, si raduna la gente di un quartiere per punire l'imputato, bruciandolo vivo o linciandolo. La polizia e il governo non hanno mai punito atti del genere. Il vescovo cita la responsabilità delle istituzioni, parlando di “atteggiamento letargico di Polizia, Procura e magistratura”. Dopo l'uccisione del giudice Iqbal Bhatti, la Polizia spesso fa propria la necessità di difendere l'islam, prendendo le parti degli estremisti o cedendo alle loro pressioni. Il risultato, spiega il vescovo, è un gran numero persone in carcere, in base ad accuse false o a processi sommari. Il vescovo rende nota una nuova, sottile forma di pressione psicologica: gli estremisti prendono di mira dei cristiani e cercano di estorcere loro denaro, minacciando una fatwa contro di loro, usando la religione islamica per ricattarli. Diversi casi del genere, nota, sono avvenuti a Karachi, definita “una roccaforte degli estremisti islamici”. Il vescovo Ijaz Inayat Masih conclude lasciando aperto l’interrogativo se il Paese vuole continuare a tenere in vigore lo stato di diritto. (R.P.)

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    Filippine: in Quaresima un giorno di digiuno per sfamare 250mila bambini malnutriti

    ◊   Nel primo giorno di Quaresima Pondo ng Pinoy, ente caritativo fondato dal card. Gaudencio Rosales, rilancia la campagna di raccolta fondi, con l'obiettivo di raccogliere denaro sufficiente per sfamare almeno 250mila bambini malnutriti in tutto l'arcipelago filippino. Soprannominata "Fast2Feed" (digiunare per nutrire), l'iniziativa si rivolge ai fedeli chiedendo loro di donare il denaro risparmiato per l'acquisto di cibo il prossimo 5 marzo, mercoledì delle Ceneri e giornata di digiuno per i cattolici. In prima fila a promuovere il progetto - riferisce l'agenzia AsiaNews - vi è l'arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, che invita la comunità a donare fondi a favore dei bambini malnutriti. Particolare attenzione è dedicata ai minori che vivono nelle aree colpite da terremoti o dal passaggio del tifone Yolanda nel novembre scorso. Il card. Tagle, che presiede la fondazione Pondo ng Pinoy, chiamata a verificare l'attuazione del programma di aiuti Hapag Asa, ha sottolineato che almeno 50mila dei 250mila bambini sfamati con i fondi raccolti "provengono da aree segnate dalle calamità naturali" nell'arco dello scorso anno. Fra le tante, le diocesi di Bohol e Cebu colpite dal terremoto, l'arcidiocesi di Zamboanga teatro di una decennale guerra islamica e separatista, e anche la regione delle Visayas centrali devastate dal passaggio del super-tifone. Per alleviare le sofferenze dei bambini malnutriti, Hapag Asa cerca di intensificare le campagne di raccolta fondi coinvolgendo le diocesi interessate. Il progetto riguarda bambini di età compresa fra i sei mesi e i 12 anni; essi ricevono una volta al giorno, per cinque giorni a settimana, generi alimentari e di conforto, per un totale di almeno sei mesi. Il costo semestrale è di 1200 pesos (poco più di 26 dollari) per bambino. Oltre al cibo per i bambini, il programma fornisce anche nozioni e corsi ai genitori, per insegnare loro come nutrire al meglio i loro figli. Essi ricevono pure informazioni e competenze di base per poter ottenere un impiego o avviare un'attività propria. Istituito nel 2004 dall'allora acrivescovo di Manila, il Pondo ng Pinoy ha dato ai filippini l'opportunità di mettersi a disposizione nel modo più semplice possibile. Secondo gli ultimi rapporti, nell'anno fiscale 2012-13, il programma ha raccolto un totale di 15,8 milioni di pesos, circa 280mila euro. La maggior parte delle donazioni, una somma pari a 7,9 milioni di Php, è giunta dalle parrocchie dell'area metropolitana di Manila, seguita da quelle di Malolos e Antipolos, con 972mila Php ciascuna. L'iniziativa della Chiesa incoraggia la gente a donare 25 centesimi al giorno nelle varie parrocchie e scuole, ed è una prova continua della propensione alla solidarietà. Un detto filippino recita: "Anumang maliit, basta malimit ay patungong langit (Un bel gesto, anche piccolo, spesso se fatto può condurre in cielo)". (R.P.)

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    Myanmar: l'opera della Caritas per i poveri e gli esclusi

    ◊   La Caritas in Myanmar, detta in lingua locale “Karuna” (che significa “compassione”) “è al servizio dei poveri e degli esclusi fin dai tempi bui della dittatura e dell’oppressione, quando fare del bene era considerata attività sovversiva”: lo ha detto mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, intervenuto alla riunione, in corso nella città birmana, che raccoglie membri di tutta la “famiglia della Caritas” da tutte le diocesi del Paese. Nell’incontro, come riferito all'agenzia Fides, “Karuna” fa il punto del suo impegno e programma il futuro. “Vorrei che questo ‘esercito di compassione’ consegua una grande vittoria contro la povertà e la sofferenza umana” ha detto mons. Bo, esortando i delegati presenti ed elogiando il processo di registrazione e il riconoscimento ufficiale dell’organizzazione, quasi concluso con esito positivo. Nella nota inviata dall’arcivescovo a Fides, si ricordano i tempi in cui “i cristiani erano trattati come criminali perchè aiutavano i poveri”. L’arcivescovo parla ora di “luminosa speranza” per le prospettive future, in un Paese in rapido cambiamento. Mons. Bo rimarca che, nella nuova fase che vive il Paese, il rischio è che non tutti possano godere della prosperità: “Per questo occorre continuare ad alzare la voce contro l'ingiustizia, la povertà, contro l'accaparramento delle terre, gli abusi compiuti sulle minoranze” nota. “Questo Paese nel 1950 era fra i Paesi più ricchi del sudest asiatico. Ora siamo uno dei Paesi meno sviluppati, con il più alto tasso di mortalità materna e di abbandono scolastico nel sudest asiatico”, afferma, aggiungendo: “Siamo un Paese che scarseggia non di risorse ma di giustizia”. L’arcivescovo cita milioni di poveri, esclusi, emarginati, sfollati interni, vittime di mafia e droga. “Sono tutti fratelli in cui Cristo si fa presente, che Karuna è chiamata a raggiungere, soccorrere, confortare, sostenere. Senza paura e, in sintonia con Papa Francesco, invitando ogni cristiano a ‘farsi prossimo’ per tutte le persone ferite”. (R.P.)

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    Don Benzi: al via il processo di Beatificazione

    ◊   Può iniziare il processo di beatificazione di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. La Congregazione per le Cause dei santi - riporta l'agenzia Sir - ha trasmesso al vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, il nulla osta a firma del cardinale prefetto Angelo Amato, che dà il via al processo di beatificazione. “Abbiamo il cuore pieno di gioia - dichiara Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII -. Un importante riconoscimento della Chiesa che ci spinge ad impegnarci ancora di più nel vivere quell’amore a Gesù e ai poveri che don Oreste ci ha trasmesso con l’insegnamento ma soprattutto con la vita”. Era il 24 ottobre 2013 quando la teologa Elisabetta Casadei, postulatrice della causa, aveva consegnato al vescovo di Rimini la richiesta formale, dopo un anno di ricerche circa la “fama di santità” di don Benzi, sostenuta da molte lettere tra cui quelle di 9 cardinali, 41 vescovi italiani e 11 vescovi e arcivescovi stranieri, oltre a vari movimenti ecclesiali e, naturalmente, della stessa Comunità Papa Giovanni XXIII. Il parere positivo della Congregazione delle cause dei santi autorizza a procedere. Sentito il parere della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, il vescovo potrà attivarsi per la prima fase del processo di beatificazione, quella diocesana. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 44

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