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Sommario del 30/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: menzogna dire che ci sono vite non degne di essere vissute

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E’ una grande menzogna far credere che certe vite non sono degne di essere vissute: è quanto scrive Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato, che sarà celebrata l’11 febbraio 2015 sul tema "Sapientia cordis. «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo»”, tratto dal Libro di Giobbe (Gb 29,15). Ce ne parla Sergio Centofanti

Tempo santo quello dedicato ai malati
“Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo” - afferma Papa Francesco – “è lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio, il quale “non è venuto per farsi servire, ma per servire”. Il Pontefice, inquadrando il tema nella prospettiva della sapienza del cuore, parla del “valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo” ai malati che, “grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece – esclama il Papa - si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!”.

Farsi carico dell’altro
“Il nostro mondo – sottolinea - dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo – osserva - dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40)”.

Uscire da sé verso il fratello
Per questo, il Papa ricorda ancora una volta “l’assoluta priorità dell’uscita da sé verso il fratello come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 179)”.

Condividere, non giudicare
La carità, dunque, prosegue il Messaggio, “ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli”. Ma occorre non diventare come gli amici di Giobbe, che “nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui”, pensando che “la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto”.

Il mistero della sofferenza
L’esperienza della sofferenza – scrive il Pontefice – “trova la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede (cfr Omelia per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014)”. Allora – prosegue il Papa – “anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo”.

Cammino di santificazione
Papa Francesco ricorda, quindi, i tanti cristiani che “anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere ‘occhi per il cieco’ e ‘piedi per lo zoppo’!. Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia” – afferma – è un “grande cammino di santificazione”.

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Giovagnoli: Papa Francesco punta a riforma dei cuori

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Dai viaggi apostolici all’impegno per la pace, dalla difesa dei cristiani perseguitati alla cultura dell’incontro: sono tanti i temi sottolineati da Francesco nel 2014. Un anno che ha visto confermata una straordinaria popolarità del Papa argentino che aiuta il Successore di Pietro a farsi ascoltare anche da “mondi lontani”. Alessandro Gisotti ne ha parlato con lo storico Agostino Giovagnoli, docente all’Università Cattolica di Milano: 

R. - Indubbiamente la capacità trainante di questo Papa si impone con evidenza. Se il 2013 è stato l’anno della “novità” rappresentata appunto da Papa Francesco, vediamo che nel 2014 questa novità non finisce ma, anzi, questa capacità attrattiva si esprime in molti modi. Vorrei fare un esempio che è apparentemente secondario: la capacità di fare notizia anche con le omelie della mattina, quelle che pronuncia a Santa Marta e che spesso vengono rilanciate e commentate. Evidentemente è un Papa che riesce a toccare contemporaneamente molte corde che riguardano sia la vita della gente comune sia i grandi problemi del mondo contemporaneo, collocando la Chiesa che egli esprime al centro della vita, in qualche modo, di tutto il mondo.

D. - Secondo lei quali sono le risposte più significative che la comunità cristiana sta dando alle sollecitazioni, a volte diciamo, alle vere e proprie scosse che Francesco sta offrendo?

R. - Forse la più significativa è anche quella meno evidente: Francesco punta ad una riforma che non è una riforma strutturale in primo luogo, ma è una riforma dei cuori. Dunque evidentemente il risultato vero della sua azione è molto difficile da misurare. Ma talvolta questo cambiamento, che egli sta inducendo con grande forza, emerge in passaggi significativi; penso tra l’altro al Sinodo, alla ricchezza del dibattito, quella parresìa sollecitata da Papa Francesco e, in effetti, manifestata dai padri sinodali..

D. - Un altro dei temi forti del Pontificato è la “cultura dell’incontro”; qualcosa che abbiamo visto concretamente in opera con l’accordo tra Stati Uniti e Cuba, ma anche nell’impegno per la pace in Medio Oriente, in altri contesti sicuramente …

R. - Sì, la cultura dell’incontro e anche questa diplomazia personale del Papa di cui il cardinal Parolin è un intelligente ed efficace collaboratore, ma che vede proprio il Papa stesso, in prima persona, spendersi su scenari diversi e con notevole efficacia. Il caso di Cuba è certamente il più interessante e più importante; tra l’altro la riconciliazione tra Stati Uniti e Cuba – favorita appunto da Papa Francesco – ha un grande valore storico, perché in qualche modo è simbolica di una frattura tra America del Nord ed America del Sud che costituisce un problema ormai dalla metà del secolo scorso e che ha anche avuto dei riflessi sulla vita interna della Chiesa: pensiamo ai conflitti di cui Cuba è stata un po’ il simbolo, alla teologia della rivoluzione prima, alla teologia della liberazione poi … Tutto questo ha avuto nella capacità di Papa Francesco, di indurre ad un dialogo e ad una conciliazione, un superamento: è come se avesse aperto una stagione nuova nella storia delle due Americhe che non è soltanto relativa alle vicende interne della Chiesa ma riguarda tutto il popolo americano.

D. - Dalla Siria all’Iraq, dalla Nigeria al Pakistan: i cristiani purtroppo sono sempre più vittime di persecuzioni. Il Papa ha più volte denunciato anche l’indifferenza che accompagna queste tragedie …

R. - L’indifferenza, in particolare del mondo occidentale, verso i cristiani perseguitati in altre parti del globo è un segnale negativo non solo per i cristiani perseguitati naturalmente, ma in qualche modo anche per l’Occidente e per l’Europa stessa. È come se attraverso questa indifferenza si manifestasse una sorta di “congedo dalla storia” per usare parole del predecessore di Francesco, Benedetto XVI.

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Padre Spadaro: Francesco autorevole perché vicino alla gente

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Secondo un sondaggio Demos, realizzato per conto di un quotidiano italiano, Papa Francesco è il personaggio pubblico in cui gli italiani ripongono più fiducia. Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, parte da questo dato per tracciare una riflessione sul magistero del Papa nell'anno che sta per chiudersi. L'intervista è di Fabio Colagrande

R. – Oggi c’è bisogno di una fiducia diffusa e raramente altre istituzioni – vediamo, per esempio, la politica – riescono a dare questa fiducia. Il Papa certamente ha impostato un rapporto di autorevolezza molto particolare: è stato cioè in grado di realizzare un rapporto diretto con le persone, quindi di prossimità, di vicinanza e tanto più è vicino, tanto più è autorevole; mentre noi sappiamo che in generale le forme di autorità si distinguono per la loro capacità di distanza e quindi divisione – come dire – divisione generale e distante dai singoli casi. Quindi direi che il Papa riscuote tanta fiducia perché c’è bisogno di spiritualità e il Papa risponde a questo bisogno in una maniera diretta, immediata, vicina, prossima. Questa, secondo me, è la chiave di fondo.

D. – Eppure il Natale 2014 è stato anche caratterizzato, a livello giornalistico, da un articolo di uno dei più noti scrittori cattolici, Vittorio Messori, che ha espresso dubbi sulla svolta di Papa Francesco…

R. – I dubbi, le difficoltà e direi le resistenze, in realtà, nei confronti del Papa ci sono, ma non vedrei in queste resistenze un problema. Anzi direi che forse sono l’evidenza dell’efficacia dell’azione di Francesco. Soprattutto un aspetto, che mi sembra quello più significativo: l’appello di Francesco a vivere un cristianesimo maturo, libero, che non ha problemi a confrontarsi anche in maniera conflittiva con le difficoltà di fronte a questo modello di cristianesimo ripiegato su se stesso, timoroso, impaurito, ossequioso: ecco, queste forme di cristianesimo reagiscono, ma indubbiamente la strada segnata – direi – non solo dal Papa, ma da tutto il processo che la Chiesa ha vissuto in questi anni, dal Concilio Vaticano II, spinge nella direzione verso cui Francesco sta andando.

D. – Alcuni rimproverano a Papa Francesco l’abitudine – tra virgolette – di bastonare i cattolici e sottolineano come, invece, il Papa sia molto apprezzato in ambienti distanti dalla Chiesa e sia molto considerato e molto apprezzato anche da molti non credenti. Cosa significa tutto ciò, secondo lei?

R. – Sono due cose differenti. La prima: direi che il Papa non “bastona” i credenti, semmai rivolge a loro un appello, un esame di coscienza e un esercizio spirituale. Anche il famoso discorso alla Curia, per gli auguri natalizi, è stato un discorso molto denso, molto forte, che ha avuto il suo nucleo in un appello a fare memoria del rapporto con Cristo: “evitare l’Alzheimer spirituale”, come lui lo ha definito. Quindi fare memoria dell’incontro con Cristo per andare avanti. Chiaramente, facendo memoria, ci si rende conto come è la vita che noi viviamo: è una vita segnata da miserie, da peccati. E quindi il Papa fa appello ad una coscienza nuova, soprattutto perché il peccato non finisca per essere corruzione. Quindi il Papa diventa molto duro, molto forte, perché vuole che la Chiesa testimoni Cristo e non testimoni una serie di pratiche, di idee, di ideologie in cui rischia di cadere il cristianesimo. D’altra parte questo messaggio è molto accolto da ambienti anche distanti, perché in fondo il messaggio che predica Francesco è un Vangelo puro: non è tanto il Papa che colpisce, quando il messaggio che lui poi riesce a comunicare con la sua persona, con assoluta semplicità e coerenza. Quindi arriva direttamente: se una volta c’era bisogno di grandi interpretazioni - a volte il messaggio del Papa nella sua purezza è stato poi chiuso e ingabbiato in interpretazioni e visioni - qui il Papa comunica direttamente. Il messaggio arriva nel momento in cui parte, possiamo dire… Questa è una grande forza: è il fascino del Vangelo, alla fine.

D. – Enzo Bianchi, priore di Bose, ha scritto che “più il Papa proseguirà nella strada dell’aderenza al Vangelo, sine glossa, più scatenerà le forze demoniache”. Cosa significa, secondo lei, questa lettura?

R. – A volte si intende Papa Francesco come un Papa dolce, buono e lui effettivamente è così, è molto buono, è molto dolce; ma è la dolcezza evangelica, che spesso poi diventa lotta, diventa conflitto. Nei suoi testi, anche nei testi che ha scritto prima di diventare Papa, la parola “lotta” ricorre tantissime volte. Direi che il Vangelo - in realtà – unisce, ma anche divide, perché svela i cuori. Certamente – ma lo stiamo vivendo e stiamo anche assistendo anche a quello che avviene in certi circoli – la parola del Papa viene strumentalizzata, viene abusata; il Papa stesso viene criticato e attaccato. Tutto questo fa parte del processo, il Papa ne è consapevole e quindi il conflitto, in qualche modo, è inevitabile. E’ vero c’è questa potenza di male che emerge e che diventa conflittiva nei confronti – diciamo - di un bene, che però è molto diffuso, capillare e che avanza. 

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Tweet del Papa: “Oggi si soffre per indigenza, ma anche per mancanza di amore”

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“Oggi si soffre per indigenza, ma anche per mancanza di amore”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, in 9 lingue.

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Nomina episcopale in Myanmar

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Papa Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Yangon, in Myanmar, il rev.do  John  Saw Yaw Han, rettore del Seminario Maggiore di Yangon, assegnandogli la sede titolare vescovile di Buffada.

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Fides: 26 operatori pastorali uccisi nel 2014, 17 sono preti

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Sono stati 26 gli operatori pastorali, 17 dei quali sacerdoti, uccisi nell’arco del 2014, tre in più rispetto all’anno scorso. Il dato è contenuto nel Rapporto che l’agenzia Fides dedica ogni anno ai membri della Chiesa cattolica vittime in larga parte di atti di violenza subiti nell’esercizio del loro ministero. Per il sesto anno consecutivo, rileva il Rapporto, il numero più alto di operatori pastorali uccisi si registra nel continente americano. Il servizio di Alessandro De Carolis

Forse sarà per l’eroismo del loro gesto impagabile – tanto più grande perché “normale” e non celebrato – che a spiccare su una lista che ogni volta addolora sono quest’anno quei religiosi, quelle suore, quei laici che hanno guardato in faccia il virus Ebola, e soprattutto il viso di chi ne era stato colpito, per poi decidere che giocarsi la vita per aiutare chi era a un passo dalla morte aveva più senso che defilarsi da loro capezzale e dare ascolto all’istinto di sopravvivenza.

Ai quattro confratelli, alla religiosa e ai 13 operatori pastorali dei Fatebenefratelli morti in Sierra Leone e Liberia il Rapporto Fides dedica un paragrafo a parte. Ebola ha letteralmente decimato il loro Ordine in quei Paesi e la memoria corre alle missionarie delle Suore Poverelle di Bergamo che Ebola uccise nel ’95 in Congo e per le quali nel 2013 è stato avviato il processo di Canonizzazione.

Delle 26 vittime censite dal Rapporto, a perire di morte violenta sono stati 17 sacerdoti, 1 religioso, 6 religiose, un seminarista e un laico. Oltre la metà di loro, 14, sono stati assassinati in America – tra cui ben 12 sacerdoti. Altri 7 operatori, 2 preti e 5 religiose, hanno trovato la morte in Africa, i restanti in Asia (1 sacerdote, 1 religiosa), in Oceania (1 sacerdote, 1 laico) e in Europa, dove a perdere la vita è stato un sacerdote.

Il Rapporto Fides, nel ricordare che nel fare memoria di queste persone “non viene usato di proposito il termine ‘martiri’, se non nel suo significato etimologico di ‘testimoni’” – e questo “per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro” – sottolinea che “ancora una volta la maggior parte degli operatori pastorali uccisi nel 2014 ha trovato la morte in seguito a tentativi di rapina o di furto”, e che in diversi casi l’aggressione è avvenuta con “efferatezza e ferocia, segno del clima di degrado morale, di povertà economica e culturale, di intolleranza in cui vivevano”.

Qualcuno, prosegue la nota, “è stato ucciso dalle stesse persone che aiutava, altri hanno aperto la porta a chi chiedeva soccorso e sono stati aggrediti, altri ancora hanno perso la vita durante una rapina, mentre rimane incerto il movente per tante altre aggressioni e rapimenti conclusisi tragicamente, di cui forse non si conosceranno mai le vere cause”. In ogni caso si chiarisce che “nessuno di loro ha compiuto azioni o gesti eclatanti, ma ha vissuto con perseveranza e umiltà l’impegno quotidiano di testimoniare Cristo e il suo Vangelo in tali complesse situazioni”.

Il Rapporto riferisce anche della condanna dei mandanti dell’omicidio del Vescovo di La Rioja (Argentina), mons. Enrique Angelelli, avvenuta a 38 anni dall’assassinio del presule, sulle prime “camuffato da incidente stradale”. E condannati sono stati pure i mandanti e gli esecutori dell’assassinio di mons. Luigi Locati, vicario apostolico di Isiolo in Kenya), ucciso nel 2005, mentre in manette sono finiti i responsabili dell’uccisione nel 2013 di padre Thomas, rettore del Seminario di Bangalore, in India. A confessare, nei mesi scorsi, era stato anche l'assassino di Lucia Pulici, Olga Raschietti e Bernadetta Boggian, le tre anziane suore uccise lo scorso settembre in Burundi.

Le ultime righe sono quelle di una speranza che per quanto flebile non vuole arrendersi anzitempo: la speranza per la sorte di quegli operatori pastorali sequestrati o scomparsi, di cui non si hanno più notizie, come i tre sacerdoti congolesi Agostiniani dell’Assunzione, rapiti nel nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo nell’ottobre 2012. O come il gesuita italiano padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria l’anno scorso, o come padre Alexis Prem Kumar, rapito il 2 giugno scorso ad Herat, in Afghanistan. “Agli elenchi provvisori stilati annualmente dall’Agenzia Fides, deve sempre essere aggiunta – è la considerazione che chiude il rapporto – la lunga lista dei tanti, di cui forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà neppure il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Occhi per il cieco, piedi per lo zoppo: messaggio di Papa Francesco per la ventitreesima giornata mondiale del malato.

Triplice ideogramma: Francesco Scoppola sul sorprendente presepe di Gregorio Botta.

Quei panneggi di Arnolfo: Fabrizio Bisconti sulla natività di Santa Maria Maggiore.

Dir messa in trincea: un volume sull'eroica testimonianza dei cappellani militari d'Italia nella prima guerra mondiale.

Sempre sul filo del rasoio: Giovanni Preziosi ricorda l'opera del francescano Marie-Benoit a favore degli ebrei.

Dalla montagna in sù: Gabriele Nicolò sulla raffigurazione artistica impegnata a esprimere l'aspirazione dell'uomo ad abbracciare il divino.

Fondamento di ogni libertà: fratel Alois spiega quello che dona la fede cristiana.

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Oggi in Primo Piano



Grecia si prepara ad eleggere Tsipras contro diktat dell'Ue

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La Grecia tornerà alle urne il prossimo 25 gennaio, dopo il terzo tentativo mancato del Parlamento di eleggere il capo di Stato. Tante le incognite politiche ed economiche. La notizia ieri ha gettato scompiglio nei mercati finanziari, con ribassi a fine giornata nella Borsa di Atene di quasi il 4 per cento e cali più contenuti a Milano -1,1 di Milano, e Madrid -0,84. Roberta Gisotti ha intervistato Dimitri Deliolanes, collega della tv pubblica greca: 

D. – Anzitutto, cosa ha impedito al Parlamento di accordarsi e di rischiare di nuovo la messa all’indice in Europa?

R. – C’è stato un calcolo politico da parte dell’opposizione, la quale da tempo chiede un ricorso anticipato alle urne, nella convinzione di vincere e quindi di assumere il governo del Paese e cambiare anche indirizzo in termini di politica economica e di rapporti con l’Europa.

D. – Vincitore su tutti è apparso, almeno nelle cronache della stampa internazionale, il carismatico leader Tsipras. Il suo commento ha avuto già i toni di campagna elettorale per il partito Syriza…

R. – Sì, Syriza viene dato per sicuro vincitore delle elezioni. E’ un partito della sinistra radicale che, quattro anni fa quando scoppiò la crisi, era su posizioni massimaliste, in qualche accenno estremista, adesso è un partito di ampia austerità, della sinistra keynesiana, e su questa base intende rapportarsi con l’Europa, dopo l’esito delle elezioni.

D. – Quali rischi corre la Grecia nella posizione "dura", che sicuramente assumerà Tsipras, contro i diktat delle istituzioni finanziarie europee e del Fondo monetario internazionale?   

R. – Io direi che più che un rischio per la Grecia sia un rischio per l’Europa. La nuova situazione che si determinerà la sera del 25 gennaio, cioè con l’esito delle elezioni, sarà che per la prima volta un governo dell’eurozona dirà alle istituzioni europee e alla forza egemone nell’eurozona, che è la Germania, un chiaro “no”, e lo dirà con la forza di un fallimento, che è quello dell’applicazione delle politiche di austerità in Grecia per quattro anni, con risultati assolutamente catastrofici per quel che riguarda noi greci. Per cui, su questa impostazione strategica, che non riguarda la Grecia, ma riguarda tutta l’eurozona e tutta l’Europa, ci sarà un dibattito, ci sarà probabilmente anche un conflitto di tipo politico, in cui o si otterrà un risultato soddisfacente, sia per i popoli europei che per le forze che rappresentano il capitale finanziario, o altrimenti si arriverà allo scontro aperto e lì veramente saremo tutti sconfitti.

D. – Una riflessione merita anche il fatto che il temuto effetto domino sui mercati borsistici europei è stato infine molto contenuto rispetto ai segnali di panico di inizio giornata…

R. – Sì, da una parte io capisco che chi campa di speculazione finanziaria, non veda di buon occhio evidentemente la vittoria della sinistra radicale in Grecia. D’altra parte anche loro certo poi alla fine saranno costretti – gli operatori di borsa – a scendere a compromessi con la nuova situazione che si sta delineando. Sono sempre, comunque, dell’opinione che sia meglio il voto dei cittadini del voto delle Borse.

D. –  Ecco, i cittadini: quale clima si respira tra il popolo, per le strade?

R. – Queste sono elezioni fortemente volute da chi si oppone alla politica di austerità, portata avanti dall’attuale governo. C’è un clima preelettorale, un clima molto combattivo, come sempre succede in Grecia, forse particolarmente combattivo perché i due schieramenti – pro austerità o contro l’austerità – sono davvero agguerriti in vista di questo scontro. I greci solitamente sono un popolo particolarmente politicizzato. Il problema delle elezioni ormai domina ogni aspetto della vita civile, della quotidianità dei greci. L’argomento all’ordine del giorno è appunto cosa succederà all’indomani della vittoria di Alexis Tsipras.   

D. – Possiamo dire che c’è un sentimento di ripresa sovranità del popolo greco rispetto a politiche decise in luoghi ‘altri’?

R. – Sì, è esatto dirlo. C’è un sentimento di riscatto, di sfida, di dire: beh, se dobbiamo morire tutti quanti, almeno moriamo combattendo eroicamente contro questi centri di potere oscuri, antidemocratici, non eletti da nessuno, come sono le Borse, le agenzie di valutazione, questo ambiente finanziario che determina la politica economica per milioni di persone. Sì, effettivamente c’è questo spirito e sarà probabilmente questo spirito che poi determinerà anche la vittoria elettorale, data per scontata, delle forze anti austerità.

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Naufragio. Procuratore: forse cadaveri di clandestini nel relitto

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Continuano ancora, dopo due giorni, le ricerche dei dispersi del naufragio del traghetto "Norman Atlantic", avvenuto al largo delle coste greche all’alba di domenica scorsa, dopo lo scoppio di un incendio a bordo. Il bilancio finora è di 10 morti, tra cui tre italiani, e di 427 sopravvissuti, ma si temono molti dispersi. La nave posta sotto sequestro in queste ore viene trasportata verso il Porto di Valona, in Albania, Paese che oggi attende il premier Renzi. Intanto, in Italia sono tre le inchieste aperte e due gli indagati. Il servizio di Gabriella Ceraso

Restano 10 i morti accertati nel rogo del "Norman Atlantic" che sta rientrando trainato in Albania, ma il dubbio che la cifra possa aumentare è reale. A parte infatti i due marittimi albanesi morti durante il rimorchio, perché colpiti da un cavo, come ha detto il procuratore competente di Bari, Volpe, il dubbio riguarda il numero effettivo dei passeggeri del Norman: 478 quelli ufficiali, ma probabilmente sulla nave ce n’erano almeno 499. Sicuramente, ha detto Volpe, c’erano clandestini - di cui tre sono sbarcati a Bari - e i loro corpi potrebbero affiorare sul relitto. Poi, c’erano 18 persone con prenotazioni in eccesso. Infine, almeno 179 persone mancanti dovrebbero trovarsi a bordo dei mercantili diretti in queste ore in Grecia. Dunque, tutto da confermare. Per i sopravvissuti, intanto, è il momento degli interrogatori. La procura di Bari ha iscritto nel registro degli indagati il comandante Giacomazzi e l'armatore Visentini, con l’ipotesi di naufragio e lesioni colposi, e omicidio colposo plurimo. Ma sarà la perizia tecnica la base di ogni passo nella direzione delle responsabilità, come ci ha spiegato Sergio Prete, docente di Diritto della navigazione all’Università di Bari e presidente dell’Autorità portuale di Taranto. Con lui l'esame dei possibili errori alla base di questa tragedia:

R. – Il traghetto è stato sottoposto a sequestro e immediatamente saranno avviate delle perizie, elemento chiave per risolvere la questione. Consentirà, infatti, di individuare la ragione tanto dell’incendio, quanto della gestione dello stesso e quindi individuerà i soggetti e le relative responsabilità.

D. – In questa situazione, lei a chi guarda, pensando ai responsabili?

R. – Normalmente, i due soggetti coinvolti nei sinistri marittimi sono in particolare l’armatore e il vettore. All’armatore è imputabile ogni tipo di responsabilità legata alla conduzione della nave, mentre al vettore è imputabile la cosiddetta responsabilità commerciale, che riguarda invece il trasferimento e la custodia delle persone e delle cose.

D. – Lei si è fatto un’idea di quelli che potrebbero essere gli errori che stanno dietro questa tragedia?

R. – Potrebbe essere un cosiddetto caso fortuito o potrebbe esserci un problema di stivaggio o  mancata precauzione relativa allo stivaggio; e poi il non funzionamento degli impianti antincendio e così via... E' chiaro che in quest'ultimo caso si aprirebbe un’altra ipotesi anche di mancato controllo.

D. – Se una nave non è giudicata idonea alla navigazione, non può partire neanche con l’ipotesi di fare controlli, verifiche e aggiustamenti in corso di navigazione?

R. – Per fare gli interventi di manutenzione, bisogna recarsi presso bacini, officine, comunque con operai a bordo e con la nave ormeggiata e non certo in navigazione.

D. – Il problema della clandestinità, il problema di liste passeggeri fasulle, quanto pesa sui trasporti in mare? 

R. – Sono questioni che non hanno una rilevanza relativa nell’evento occorso, nel senso che comunque rientrano sempre nella questione dei controlli e quindi sulla necessità di effettuare dei controlli molto severi in caso di imbarco e sbarco di passeggeri. Mi auguro che nel porto di imbarco esista una lista certa e definita di quelli che sono le persone imbarcate.

D. – E comunque esiste questo problema a livello di trasporti, voi ve lo ponete?

R. – Devo dire la verità, molti porti sono dotati anche di nuovi sistemi informatici. Sono problematiche che investono soprattutto i porti che hanno una intensa attività di collegamento, ad esempio nel mare Adriatico. Però, i porti italiani sono ben attrezzati per eseguire in maniera capillare i controlli tanto sulle persone che sulle cose.

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A fine 2014 a confronto le diverse economie del mondo

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A sei anni dall’inizio della crisi finanziaria negli Stati Uniti, che si è presto ripercossa pesantemente sull’Europa e a diverso livello su altre parti del mondo, il quadro della situazione economica mondiale, alla vigilia del 2015, si presenta in miglioramento ad esclusione dell’area dell’Euro, ancora in stagnazione. Per tracciare un bilancio, Fausta Speranza ha intervistato Leonardo Becchetti, docente di Economia politica a Tor Vergata: 

R. – La zona più in difficoltà quest’anno è quella dell’Europa, perché il Pil mondiale cresce e tante zone sono in espansione: l’Asia, l’Africa, l’America Latina e gli Stati Uniti. Si è pensato nell’Eurozona che con il rigore si sarebbe potuto far ripartire l’economia, ma questo era assolutamente impossibile. Una crisi finanziaria vuol dire distruzione di moneta e di domanda e quindi c’è bisogno di interventi che facciano ripartire la domanda. Gli Stati Uniti hanno avuto il coraggio di farlo: hanno spinto sull’acceleratore degli investimenti pubblici, accettando anche in un primo momento un aumento del rapporto Deficit-Pil molto alto, ben oltre i parametri di Maastricht, oltre il 10 per cento. Adesso la crescita economica gli sta dando ragione e rapidamente il deficit è sceso sotto il 3 per cento. Poi hanno saputo stampare moneta, cosa molto importante, perché nella globalizzazione stampare moneta non vuol dire creare inflazione. Prova ne è il fatto che loro hanno stampato una quantità enorme di moneta, che hanno immesso nell’economia, e il loro tasso di inflazione è ancora bassissimo e pari all’1,5 per cento.

D. – Parliamo di Asia?  

R. – L’Asia è una zona in fortissima crescita, dove si sta verificando quello che noi economisti chiamiamo il fenomeno della convergenza, cioè i Paesi più poveri mettendo a posto tutte quelle condizioni che favoriscono l’afflusso di capitali stranieri - quindi capitale umano, buone regole e così via - riescono a crescere più rapidamente dei Paesi più avanzati dal punto di vista economico e quindi recuperano il terreno perduto. Questo sta accadendo molto rapidamente, anche se la Cina sta un pochino rallentando, come è normale che sia. I progressi che sono stati fatti in quest’area, dal punto di vista della crescita economica, sono spettacolari. Ovviamente la crescita economica non sempre si accompagna ad una sostenibilità sociale ed ambientale ed è proprio su questo punto che l’Asia deve fare passi avanti e soprattutto la Cina: sui diritti democratici, ma anche sul problema gravissimo dell’ambiente, che è il problema numero uno in questo momento in Cina, con decine di migliaia di morti per inquinamento, per tumori, ogni anno. E’ diventato veramente un problema di ordine pubblico. E’ sicuramente un bilancio positivo dal punto di vista della capacità di combattere contro la povertà e di creare valore economico, non tanto per quanto riguarda la sostenibilità sociale ed ambientale ed i diritti democratici.

D. – Il continente africano, tra mille contraddizioni, è un continente in crescita che dipende sotto certi punti di vista dagli equilibri internazionali, e che per altri versi invece risponde  a logiche sue particolari…

R. – Si dice che l’Africa sarà l’Asia del futuro. Le aspettative sullo sviluppo sono enormi, anche perché si parte da livelli di sviluppo molto più bassi. Anche qui la regola è semplice: se si mettono a posto le condizioni interne - quindi una buona qualità delle istituzioni, bassa corruzione, stabilità politica - la strada per l’afflusso dei capitali esteri per lo sviluppo delle infrastrutture è abbastanza tracciata, anche aiutata dal fatto che oggi la Rete ha consentito all’Africa di "saltare" molte fasi dell’infrastrutturazione e l’Africa gode di una diffusione dei telefonini molto, molto vasta, che è importante. Ci sono, quindi, alcuni Paesi in particolare che sono all’avanguardia in questo momento, dal punto di vista della stabilità politica, della crescita. Sono sicuramente il Ghana, ma anche la Tanzania e l’Etiopia. L’Africa, quindi, potrà fare dei grandissimi passi avanti, a patto che sappia superare quelle condizioni terribili di guerre interne, conflitti civili, di corruzione, che ovviamente frenano lo sviluppo di una buona economia.

D. – Ebola ovviamente preoccupa dal punto di vista umanitario, che è quello che più ci sta a cuore, ma c’è un discorso anche economico da fare: alcuni Paesi sono stati veramente colpiti, anche nell’economia…

 R. – L’impegno, anche internazionale, per migliorare le condizioni di salute in Africa c’è, ma il problema di fondo è quello che purtroppo alcune malattie, molto diffuse in Africa, come la malaria, non solo ebola, non sono particolarmente “appetibili” dal punto di vista dei profitti, per le grandi compagnie farmaceutiche internazionali che dovrebbero investire per trovare vaccini. E, quindi, bisogna trovare delle soluzioni come quella della cosiddetta "Alleanza dei vaccini", cioè raccogliere una grande quantità di fondi, che poi possano premiare chi nella ricerca riesce a conseguire il vaccino, creando gli incentivi anche per l’investimento in ricerca in queste situazioni.

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Mons. Perego: Ue crei reti di accoglienza per immigrati

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“E' estremamente urgente che, a partire dall'Italia, si riesca finalmente a organizzare un piano nazionale di asilo che abbia i numeri necessari per la prima e la seconda accoglienza dei migranti”. Mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione “Migrantes”, traccia un bilancio dei flussi migratori verso l’Italia nel 2014, invitando di nuovo i governi europei a considerare “strutturale la questione della migrazione forzata. L’intervista è di Antonella Palermo

R. – Già da tempo, si dice come non si possa leggere l’immigrazione forzata che oggi sta avvenendo dall’Asia, dall’Africa, dal Medio Oriente verso l’Europa, semplicemente come una emergenza. È un dato strutturale di Paesi che sono in condizioni gravi sia per la guerra, sia per il sottosviluppo. Quindi, credo sia veramente necessario che a partire dall’Italia, che è confine dell’Europa, si riesca finalmente a organizzare un Piano nazionale di asilo che abbia effettivamente i numeri necessari per la prima accoglienza e per la seconda accoglienza. Abbiamo visto che le 170 mila persone che sono arrivate quest’anno in Italia sono state accolte soprattutto attraverso una rete di solidarietà che il mondo ecclesiale, il mondo del volontariato e anche il mondo degli albergatori hanno messo come risorsa. Non dimentichiamo che anche dall’Ucraina, quest’anno, si sono avute oltre mille persone che hanno chiesto asilo, rispetto alle 38, alle 40 o alle 50 degli anni precedenti: questo sta a dire che laddove cresce una situazione di guerra, di instabilità, cresce anche nel contesto europeo la necessità di creare canali e, al tempo stesso, risorse per l’accoglienza.

D. – Quindi, l’appello di Papa Francesco ad aprire conventi vuoti per accogliere i migranti è stato recepito in maniera consistente, secondo lei?

R. – Certamente. L’appello che è venuto nell’incontro che il Papa aveva fatto con i rifugiati al Centro Astalli, nella Chiesa del Gesù, ha fatto sì che effettivamente anche dentro la realtà ecclesiale ci fosse un’attenzione nuova di apertura di luoghi e di istituti religiosi. Da subito, dopo l’incontro col Papa, circa 2.000 posti si sono resi disponibili da parte delle parrocchie, degli Istituti religiosi, che si sono aggiunti agli altri 12 mila posti. E proprio nei giorni scorsi, poco prima di Natale, ancora una volta gli Istituti religiosi hanno dato la disponibilità di oltre 40 case per quasi 400 posti. E’ una risposta certamente significativa di una Chiesa che è attenta non solo agli appelli del Papa, ma anche a questa realtà nuova dell’immigrazione, che ha bisogno di essere letta anche con gli occhi della fede.

D. – Il presidente del Veneto, Zaia, torna a dire: il governo e l’Unione Europea dovrebbero chiudere l’operazione “Triton” e usare le risorse per aiutare questa povera gente disperata a casa propria…

R. – Quest’anno sono stati 3.500 i morti nel Mediterraneo… Se volessimo che questo Mediterraneo ancora di più diventasse un cimitero o una tomba, dopo aver chiuso “Mare Nostrum”, chiudere anche “Triton” significherebbe effettivamente dimenticare un dramma – e non affrontarlo – di chi è in fuga da situazioni che abbiamo creato anche con una politica europea e di cooperazione assolutamente insufficiente. Forse bisognerebbe, anziché chiudere “Triton”, ritornare a “Mare Nostrum” e rafforzare in contesto europeo non solo il Mediterraneo, e quindi la capacità di farlo diventare un canale effettivamente umanitario, ma rafforzare anche la nostra capacità di accoglienza. In Italia sono arrivati a 170 mila persone, ne sono rimaste poco meno di 60 mila. Questo significa una piccola città in un’Italia che sta diventando sempre più Paese di anziani e di un’Italia in cui lo sviluppo nasce solo dalla capacità di lavoro e di nuovi lavoratori. Chiudere gli occhi su questa realtà significa non avere senso politico e non avere la capacità di leggere di cosa abbiano bisogno l’Italia e l’Europa.

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Carceri meno affollate, in calo i reati. Antigone: segno di civiltà

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Nella conferenza stampa di fine anno il premier Matteo Renzi si è soffermato su vari temi e, in particolare, sulle risposte date dal governo per affrontare la crisi del sistema penitenziario. Renzi ha ricordato alcuni dati, tra cui la riduzione del 20% dell’affollamento nelle carceri, l’aumento del 10% dei posti nelle celle e il calo del 7,7% dei reati. Sono questi miglioramenti sufficienti? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Patrizio Gonnella presidente dell’Associazione Antigone, impegnata nel tutelare i diritti nel sistema penale: 

R. – Dei miglioramenti ci sono: nell’ultimo anno sono calati di 10 mila i detenuti. E questo è il segno di una condanna europea che è avvenuta anche perché – lo ricordo – molte associazioni come “Antigone” hanno presentato centinaia di ricorsi per trattamento inumano e degradante. Avevamo un tasso di affollamento in Europa elevatissimo. Ci superava solo la Serbia! Questo non significa che i problemi siano risolti. Abbiamo ancora più detenuti rispetto ai posti letto regolamentari, c’è la questione dell’umanizzazione della vita detentiva, c’è la questione dei diritti, tra cui quelli della salute. La salute va assicurata, tantissimi detenuti ci scrivono perché sono in stato di abbandono terapeutico … C’è ancora un carcere che è organizzato in modo antico. C’è un dato positivo che rassicura l’opinione pubblica: diminuiscono i detenuti e non crescono i reati. Vuol dire che le politiche che vanno nel segno di una maggiore apertura non producono questioni che ci devono allarmare dal punto di vista della sicurezza.

D. – Questo nonostante la crisi che, invece, potrebbe alimentare i reati …

R. – E questo è segno di una grandissima civiltà. Tutti fanno grande fatica, ma non c’è la tentazione di superare la crisi facendo del male agli altri, rubando agli altri. Io penso – non lo dico perché sono su Radio Vaticana – che un grande contributo sicuramente è di Papa Francesco, perché ha dato un messaggio di solidarietà che è arrivato alle persone. C’è un nesso causale evidente nel messaggio pubblico di quelli che possiamo riconoscere come i grandi opinionisti di massa. E sicuramente, tra questi, c’è il Pontefice. Ci sono anche i massimi vertici dello Stato e ha avuto un grandissimo ruolo in questo senso il presidente Giorgio Napolitano che noi rimpiangeremo: non è frequente che un capo dello Stato, per vari anni, abbia posto il tema della giustizia, del carcere, degli ospedali psichiatrici giudiziari al centro della sua agenda pubblica. L’unico messaggio alle Camere, in dieci anni, è stato su questo terreno, rivolto agli ultimi. Noi dobbiamo evitare, invece, che chi - come nella politica - per prendere quattro voti di più, parli alla pancia delle persone alimentando intolleranza, paura, violenza. Quei discorsi li dobbiamo bandire dal nostro discorso pubblico.

D. – Il premier Renzi ha anche fatto capire che l’amnistia e l’indulto non sono le riposte più adeguate al sovraffollamento nelle carceri …

R. – Noi dobbiamo non emettere provvedimenti emergenziali “una tantum” che poi, tutto sommato, non sono delle vere soluzioni. E noi lo sappiamo. Però, penso che effettivamente un po’ sia vero che dobbiamo guardare al sistema nella sua complessità. Ad esempio, ha fatto molto bene al sistema l’abrogazione del reato in ottemperanza all’obbligo di espulsione del questore, per quanto riguarda gli immigrati irregolari. Andare a finire in carcere solo perché non avevi il documento a posto, era un eccesso punitivo e violento nei confronti di chi già proveniva da un percorso di vita fatto di sofferenze. Nel 2011 erano entrate 15 mila persone con questo titolo di reato, nel corso dell’intero anno. Fortunatamente, ora questo titolo di reato non c’è più: quella persona, solo per questo “reato” andava in carcere e conosceva un mondo di criminalità che di certo lo aiutava ad entrare in circuiti di illegalità ben più significativi. E’ proprio un errore, anche dal punto di vista economico …

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Leggere a voce alta sviluppa capacità cognitive nascituro

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Leggere ad alta voce durante la gestazione potenzia le capacità cognitive del bambino. La lettura a voce alta produce un suono rilassante che concilia il riposo del nascituro e aiuta lo sviluppo del linguaggio. La dott.ssa Sara De Carolis, ginecologa del Policlinico “Gemelli”, ne parla nell'intervista di Elisa Sartarelli

R. – Il bambino ha già gli organi di senso, in questo caso l’udito completo, a partire dalla 26.ma settimana. Tenendo presente che una gravidanza dura 40 settimane, si tratta della seconda parte della gravidanza e il nascituro avverte non solo i suoni della madre ma registra, grazie alla completezza di tutto il sistema nervoso centrale, anche emozioni e suoni che passano anche mediante variazioni ormonali che giungono a lui attraverso la placenta.

D. – Quali sono i benefici durante la gestazione?

R. – Una gestazione, una gravidanza, in cui la comunicazione tra la mamma e il bimbo, oppure tra il padre e il bimbo, passi anche attraverso i suoni potrà portare questo bambino ad avere una sensibilità, un imprinting, un addestramento, una stimolazione, che lo aiuteranno a essere sicuramente più pronto sia dal punto di vista affettivo che dal punto di vista biologico, e quindi nell’ascoltare e nel capire il significato delle parole. I bambini poi sono più portati allo studio, alla conoscenza, a nuovi stimoli, se durante la gravidanza hanno avuto una serie di input. Ci sono stati studi molto interessanti che hanno messo in evidenza come i bimbi nati da mamme che parlano lingue diverse piangano con suoni che aderiscono un po’ ai suoni della lingua appresa durante la vita intrauterina. Si parla infatti di un bambino prenatale, di un bambino gestazionale, di un bimbo che già inizia il suo apprendistato durante la vita intrauterina.

D. – Leggere in una lingua diversa da quella della madre già in gravidanza potrebbe aiutare il bambino in un futuro apprendimento delle lingue straniere?

R. – Questa sicuramente potrebbe essere una finestra degli studi futuri. Il bimbo riconosce i suoni della madre, riconosce soprattutto parole con vocali. Quindi, la vocale sicuramente è il suono che passa più facilmente e registra. E sicuramente registrare anche sonorità con lingue diverse potrebbe aprire già l’apprendimento con cui poi il bambino potrebbe accingersi a parlare lingue, idiomi, che non sono soltanto quelli della terra in cui è nato.

D.  – Quali sono le letture più adatte?

R. – Ci sono letture che vengono oggi consigliate e consideriamo il tono, il ritmo e la reazione emotiva. Una lettura anche per noi adulti fatta a voce alta, può trasmettere più di una lettura silenziosa, perché il suono agisce mediante vie di comunicazione a livello del sistema nervoso centrale che fa passare anche le emozioni, quindi induce il rilassamento, la tranquillità. Come letture vengono consigliate fiabe e filastrocche. Ci sono studi che hanno visto che il bambino riconosce le stesse letture che ha sentito durante la gestazione nel periodo postnatale  – si è visto con degli studi che hanno registrato l’attività elettroencefalografica e il battito cardiaco. Quindi, il bimbo in utero ha già molto da imparare per quello che riguarda i suoni, che possono passare attraverso la voce della mamma. Addirittura, si è visto che il bambino riconosce il battito cardiaco della propria mamma da altri battiti cardiaci di altre donne, quindi ha una conoscenza raffinata dei suoni.

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"American Sniper": il cecchino di Eastwood né martire né eroe

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Arriva sugli schermi italiani giovedì prossimo il nuovo film di Clint Eastwood “American Sniper”, che racconta le esperienze di vita e di morte del cecchino Chris Kyle, interpretato da Bradley Cooper, gettato nell’abisso della guerra iraqena e tragicamente assassinato nel 2013 da una recluta che cercava di aiutare dopo il suo definitivo ritorno in patria e in famiglia. Il servizio di Luca Pellegrini

Distesi a terra, imbracciato il loro fucile, ascoltano le istruzioni dell’ufficiale di addestramento: "Sentite il vostro respiro riempire ogni singola cellula del vostro corpo. Dobbiamo avere il controllo del nostro respiro e della nostra mente". Sono ragazzi americani che dovranno ricordare questo dominio del corpo e della mente quando si ritroveranno gettati nella sanguinaria follia di una guerra spaventosa, quella che si è combattuta in Iraq, Paese senza pace. Tra questi c'era Chris Kyle, un ragazzone nato in Texas nel 1974, educato in una famiglia dai rigidi principi religiosi e con una dote naturale: la mira infallibile.

Famiglia e fucile
E’ il motivo per cui negli annali dell'esercito e nella vulgata dei media è stato descritto come "il più letale cecchino della storia militare degli Stati Uniti" e a lui Clint Eastwood dedica il suo trentaquattresimo film, narrandolo come un tragico personaggio che cova e poi fa esplodere le ferite irreparabili - psicologiche, fisiche, morali e materiali - che la guerra apre nella sua normale esistenza, divisa tra patria e famiglia, entrambe con i loro valori di riferimento. Nel film, più che la dimensione del militare, è quella umana di Kyle ad attrarre il celebre regista, che ha dichiarato come interessante fosse capire perché un ragazzo della provincia americana potesse essere spinto dall'andare a combattere in Iraq ben quattro volte, per un totale di oltre milleduecento giorni, mettendosi il fardello sulle spalle di oltre centosessanta uccisioni di potenziali kamikaze e nemici, avvenute durante le sue missioni a Ramadi, Fallujah e Sadr City. I viaggi nella guerra di Kyle sono alternati ai suoi ritorni a casa, segnati dagli effetti sempre più devastanti di quelle tragiche esperienze.

Né martire né eroe
E’ un personaggio complesso e in fondo vulnerabile, che lotta, come ha affermato il produttore Robert Lorenz, con i suoi demoni interiori e cerca di sorreggersi aggrappandosi a ciò che diventa la cosa più importante della sua vita, la famiglia. Kyle è diviso a metà, sa di fare la cosa giusta per salvare i compagni e la cosa sbagliata quando deve sparare anche ai bambini, gettati in quell'incubo con le bombe tra le mani e l'odio nel cuore. Ma il film di Eastwood non indugia sul sangue e sulla violenza, ma su ciò che scorre di umano e terribile nelle vene di Kyle e della società americana segnata dal terrorismo, nelle famiglie arabe stritolate dal terrore, nella disperazione della moglie, nell'innocenza dei figli. Facendo del cecchino né un martire e nemmeno un eroe, ma un soldato insieme sicuro di sé e fragile, quasi costretto a credere, per amore del suo Paese, in ciò che fa: una guerra completamente sbagliata e inutile, le cui terribili conseguenze subiamo tragicamente ancora oggi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Aereo malese: recuperati in mare più di 40 corpi

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Più di quaranta corpi sono stati ritrovati nel Mar di Java durante le ricerche del velivolo della compagnia ‘Air Asia’, scomparso domenica con 162 persone a bordo. Lo ha reso noto un portavoce della Marina indonesiana precisando che i corpi non indossavano giubbotti di salvataggio. Nella zona delle ricerche è stata anche rilevata “un’ombra” in fondo al mare con la forma di un aereo. In un tweet l’amministratore delegato di Air Asia, Tony Fernandes, esprime le sue condoglianze alle famiglie delle 162 persone che erano a bordo dell’aereo. Ancora da chiarire le dinamiche della sciagura. L’aereo è sparito improvvisamente dai radar senza aver lanciato un segnale di avaria, pochi minuti dopo aver fatto richiesta di salire in quota per evitare una tempesta. La richiesta - ha reso noto il direttore dell’azienda indonesiana che gestisce il traffico aereo - è stata negata perché nella zona c’erano altri jet. (A.L.)

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Filippine. Villegas: viaggio di Francesco, momento di grazia

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Il viaggio del Papa nelle Filippine il prossimo gennaio “sarà un momento straordinario di grazia” per il Paese: è quanto afferma il presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp), mons. Socrates B. Villegas, nel messaggio per il Nuovo Anno. Il presule esprime l’auspicio che il 2015 sia per i filippini l’Anno del Signore. “Il 2015 sarà un anno del Signore come tutti gli altri, ma facciamo in modo che esso lo sia veramente lodandolo, pregandolo, amandolo e seguendolo per sempre”, scrive l’arcivescovo di Lingayen Dagupan. “Se riempiremo ogni giorno dell’anno di amore; se affronteremo con speranza ogni difficoltà che incontreremo; se condivideremo senza timori con tutti la nostra fede gioiosa in Dio che ci ama, l’anno che verrà sarà sì normale, ma anche memorabile per l’amore, la fede e la speranza che metteremo in ogni suo giorno”.

2015 Anno della Vita Consacrata
Nel messaggio mons. Villegas  ricorda che il 2015 sarà per la Chiesa universale anche l’Anno della Vita Consacrata, “un invito – afferma - a ringraziare il Signore per il dono dei religiosi e delle religiose che ci ricorda, mentre siamo in terra il divino che è nei cieli. La loro vita di castità, povertà e obbedienza sono segni che Dio è tra i Suoi popoli”.

L’Anno dei poveri nelle Filippine
Nella Chiesa filippina poi si celebrerà “l’Anno dei Poveri”, indetto dai vescovi nell’ambito dei preparativi per il 500.mo anniversario dell’evangelizzazione delle Filippine che sarà celebrato nel 2021. Per 12 mesi in tutte le diocesi del Paese si susseguiranno eventi e celebrazioni assieme a progetti speciali e a iniziative per lo sviluppo a favore dei poveri. Un’occasione dunque per rivolgere lo sguardo a Cristo, il povero per eccellenza: “Nella nostra povertà il Signore è il nostro tesoro”, sottolinea mons. Villegas. (H. N. – L.Z.)

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Chiesa Usa dedica Settimana migrazioni ai ricongiungimenti familiari

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“Siamo una famiglia al cospetto di Dio”: sarà questo il tema prossima della Settimana nazionale sulla migrazione che sarà celebrata dal 4 al 10 gennaio dalla Chiesa degli Stati Uniti. L’iniziativa viene promossa ogni anno dalla Conferenza episcopale (Usccb) con l’obiettivo di incoraggiare l’impegno dei cattolici a costruire comunità solidali e inclusive verso coloro che entrano nel Paese alla ricerca di un futuro migliore.

Il dramma dei ricongiungimenti familiari negli Usa
Da tempo i vescovi svolgono un’intensa opera di pressione per chiedere più tutele per gli immigrati e in particolare la riforma dell’immigrazione, sostenendo un nuovo sistema che bilanci il rispetto dello stato di diritto con l’accoglienza e la solidarietà. Il tema scelto per questa edizione vuole sensibilizzare i fedeli su particolare aspetto del fenomeno: il dramma delle tante famiglie separate dall’immigrazione.

I sussidi
Come ogni anno il sito web della Usccb ha messo a disposizione una serie di sussidi e materiale informativo. Tra questi la preghiera “Siamo una famiglia al cospetto di Dio”e una per il Bambino Migrante che vuole richiamare l’attenzione sulla sorte dei minori immigrati non accompagnati che nell’ultimo anno ha registrato un drammatico aumento negli Stati Uniti, come altrove, diventando una vera e propria emergenza umanitaria.

La lotta contro la tratta e la schavitù
Nel sito sono state pubblicate anche alcune informazioni sul traffico di esseri umani e sulle moderne forme di schiavitù e sull’impegno della Chiesa per contrastare questa piaga che coinvolge oggi più di 35 milioni di persone nel mondo.  La scheda informativa richiama gli insegnamenti della Chiesa contro la tratta e la schiavitù in tutte le sue forme, ricordando in particolare la “Gaudium et Spes”, i fermi interventi di San Giovanni Paolo II e la “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. Un altro aspetto sul quale si soffermano i sussidi sono i sistemi di reclutamento della manodopera straniera che non sempre operano nella legalità, alimentando la tratta e lo sfruttamento. Anche su questo fronte la Chiesa degli Stati Uniti è attivamente impegnata con iniziative concrete in difesa della dignità dei lavoratori immigrati, i più vulnerabili, e anche per chiedere la riforma di questi sistemi di reclutamento.

L’emergenza dei minori non accompagnati
All’attenzione dell’Episcopato è anche la situazione decine di migliaia di minori non accompagnati che varcano il confine, un’emergenza sulla quale i vescovi statunitensi sono intervenuti  a più riprese negli ultimi mesi insieme ai vescovi dei Paesi centro-americani.

Il dramma dei rifugiati in fuga dall’Isis
Ampio spazio viene infine dedicato all’emergenza rifugiati in fuga dall’Isis. Il sito riporta un resoconto della visita compiuta dal 19 settembre al 4 ottobre scorso da una delegazione del Servizio per i migranti e i rifugiati dell’Episcopato  in Grecia, Turchia e Bulgaria, dove hanno cercato rifugio tantissimi siriani e iracheni, ma anche rifugiati da altri Paesi in conflitto. (A cura di Lisa Zengarini)

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Regno Unito: sussidio per il prossimo Sinodo sulla famiglia

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Un invito a riflettere sul dono del matrimonio e della famiglia. Lo ha rivolto dalla Conferenza episcopale inglese e gallese che, in occasione della Festa della Santa Famiglia celebrata ieri, ha pubblicato un sussidio pastorale dal titolo “La vocazione, il viaggio, la missione” (“The Call, the Journey and the Mission ), concepito per aiutare i fedeli ad approfondire gli insegnamenti della Chiesa su questo tema e quindi a prepararsi alla XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi del 2015.

Una risposta all’invito del Papa ad un “vero discernimento spirituale”
L’iniziativa scaturisce dall’esortazione rivolta lo scorso 18 ottobre da Papa Francesco a maturare le proposte e le idee scaturite dal recente Sinodo straordinario e a trovare soluzioni concrete alle tante difficoltà e sfide che le famiglie devono affrontare oggi, con un “vero discernimento spirituale”. I vescovi inglesi e gallesi invitano quindi i fedeli a pregare perché lo Spirito Santo aiuti la Chiesa in questo cammino di discernimento, ma anche a riflettere individualmente e in gruppo su queste sfide e su come rafforzare la famiglia oggi.

Il contenuto del sussidio
Il sussidio propone come primi spunti di riflessione sette storie esemplari raccontate dalla Bibbia: da quella sulla fede di Abramo e Sara nella Genesi , all’Annunciazione raccontata nel Vangelo di Luca, alle Nozze di Cana, all’incontro dei discepoli sulla strada verso Emmaus.

Domande su cui riflettere
Dopo avere passato in rassegna gli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio cristiano quale unione sacramentale di amore fedele e per sempre tra un uomo e una donna, ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e sulla famiglia quale cellula fondamentale della società, il sussidio propone una lista di domande su cui riflettere, prendendo spunto dalle parole del Santo Padre: quali sono le gioie e le speranze delle nostre famiglie oggi? Quali le nostre difficoltà e paure? Quale è la vocazione della famiglia? Come arricchisce ognuno di noi e chi ci circonda? In che modo le nostre famiglie, con la presenza costante di Dio, sono “sale della terra e luce del mondo”?

In conclusione, il sussidio ripropone il testo della preghiera pronunciata da Papa Francesco al termine della Messa celebrata il 27 ottobre 2013 in occasione della “Giornata della Famiglia”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Germania. I Cantori della Stella per i bambini del mondo

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Per la 57.ma volta, nei giorni precedenti l’Epifania, i “Cantori della Stella” (Sternsinger) dell’Infanzia Missionaria tedesca, sfileranno per le strade della Germania con i loro canti natalizi. “Portare la benedizione, essere benedizione. Una nutrizione sana per i bambini delle Filippine e di tutto il mondo!” è il motto della Campagna di quest’anno, secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides.

Contro la fame nel mondo
Circa 842 milioni di persone in tutto il mondo soffrono la fame o non hanno a disposizione cibo a sufficienza per condurre una vita sana; 2,6 milioni di ragazzi e ragazze sotto ai cinque anni muoiono ogni anno per le conseguenze della malnutrizione. Più di 162 milioni di bambini sono troppo piccoli per la loro età e 50 milioni pesano troppo poco per la loro altezza: entrambi segni di una malnutrizione.

Aiuti ai bambini del mondo
Ma non sono solo i bambini malnutriti ad essere i destinatari dell’impegno dei ragazzi dell’Infanzia Missionaria tedesca. Bambini di strada, orfani dell’Aids, bambini che non possono frequentare la scuola o che non hanno accesso all’acqua pulita – in più di 100 Paesi di tutto il mondo - ricevono aiuto dai fondi raccolti con la Campagna dei Cantori della Stella.

500mila Cantori della stella
Indossando i vestiti dei Re Magi, con la stella cometa ed i loro canti, nel tempo natalizio e nei primi giorni dell’anno nuovo i “Cantori della Stella“ bussano alle porte delle case tedesche. Circa mezzo milione di bambini nelle parrocchie cattoliche della Germania porteranno la benedizione “C+M+B” (“Christus mansionem benedicat - Cristo benedica questa casa”) alle famiglie, raccogliendo offerte per i loro coetanei che soffrono in tutto il mondo. La raccolta dei “Cantori della Stella” tedeschi è diventata la più grande iniziativa di solidarietà in tutto il mondo, che vede i bambini impegnarsi per i loro coetanei bisognosi. (M.S.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 364

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.