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Sommario del 27/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il cordoglio del Papa per la morte di p. Pittau, apostolo del Giappone

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Papa Francesco ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa dell’arcivescovo Giuseppe Pittau, spentosi ieri a Tokyo: grande apostolo gesuita del Giappone, aveva 86 anni. In un messaggio al  preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás, il Papa lo definisce “esemplare ministro di Dio vissuto per la causa del Vangelo”, ricorda “il suo generoso apostolato missionario in Giappone” e il suo impegno come rettore dell’Università Sophia di Tokyo e dell’Università Gregoriana a Roma e come segretario della Congregazione per l'Educazione cattolica dal 1998 al 2003. Sulla figura di padre Pittau, ascoltiamo il ricordo del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi

Grande missionario
Padre Pittau è stato un grande missionario, un grande gesuita e un grande servitore della Chiesa. Era nato in Sardegna nel 1928: è entrato giovanissimo nella Compagnia di Gesù alimentando, fin dall’inizio, un grande desiderio missionario. Egli chiese di andare in Giappone come missionario quando era ancora molto giovane; a 24 anni fu effettivamente inviato in Giappone. E lì, dimostrò una capacità di inserirsi, di imparare la lingua, di entrare nella cultura e nella società giapponese assolutamente eccezionale; direi che è stato un grande erede, nel nostro tempo, della tradizione dei gesuiti che si inculturavano nelle culture orientali e ottenevano la capacità di un rapporto estremamente positivo con la società circostante. Padre Pittau ha insegnato scienze politiche nell’Università Sophia - una grande università gestita dai gesuiti a Tokyo - e ne è stato rettore poi per molti anni, anche in tempi di agitazioni studentesche nelle università giapponesi. Quindi guadagnò una grande autorevolezza proprio per il modo in cui seppe gestire questa sua responsabilità di rettore dell’università.

L’incontro con Giovanni Paolo II
Fu anche nominato provinciale dei gesuiti giapponesi e quando era al vertice della sua esperienza in Giappone, molto apprezzato nella società di quel Paese, ci fu il viaggio di Giovanni Paolo II in Giappone. Pittau fu, in qualche modo, l’interprete e la guida del Pontefice durante questo viaggio. Questo permise al Papa di stabilire con lui un rapporto profondo e di fiducia, così che quando Giovanni Paolo II, dopo la malattia di padre Arrupe, nominò padre Dezza come suo delegato per il governo della Compagnia di Gesù, volle che padre Pittau fosse il suo braccio destro e quindi lo chiamò dal Giappone per questo incarico. Quindi nella storia recente della Compagnia di Gesù, padre Pittau oltre ad essere stato un grande missionario è stato anche, insieme a padre Dezza, una persona di cui noi abbiamo grande gratitudine, perché aiutò in questo passaggio dopo la malattia di padre Arrupe all’elezione del nuovo padre generale, padre Kolvenbach, quindi rientrando nella piena normalità della conduzione della Cumpagnia di Gesù. Padre Kolvenbach lo volle anche come uno dei suoi consiglieri generali ed assistenti – era quindi assistente per l’Italia -, ed io ebbi un rapporto piuttosto profondo con Pittau perché a quel tempo ero provinciale dell’Italia, quindi lui era il mio interlocutore sul versante del governo della Compagnia di Gesù. Fu anche nominato rettore della Gregoriana, perché aveva una grande esperienza accademica che portava con sé dal Giappone, e poi fu voluto da Giovanni Paolo II come segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica che è competente un po’ per tutte le università cattoliche nel mondo, e fu fatto arcivescovo. Rimase in questa funzione fino ai 75 anni.

La personalità di padre Pittau
Quando nel 2003 compì 75 anni, egli volle assolutamente ritornare in Giappone. Era così ritornato nella sua patria di elezione a cui era rimasto sempre estremamente legato e lì fece dei ministeri sacerdotali semplici e visse così gli ultimi anni della sua vita diventando poi infermo fino alla morte. Pittau è una persona dotata di grandissime capacità di governo, ma era sempre un apostolo e un missionario. Io ricordo quante volte, anche qui a Roma, amministrava dei battesimi a persone giapponesi che si convertivano alla fede cristiana; ha conservato un rapporto molto vivo con il popolo giapponese. Ha ricevuto la più alta onorificenza dell’Impero giapponese con l’Ordine del Crisantemo per i suoi meriti nel campo della cultura. La sua è stata nei decenni recenti certamente una delle personalità della Chiesa cattolica più apprezzate, anche pubblicamente, nella società giapponese. Abbiamo un grande dovere di gratitudine verso di lui per quello che ha fatto, non solo qui a Roma negli anni in cui è stato qui, ma in particolare nella missione in Giappone. Padre Pittau era una persona di una spontaneità e di una facilità di rapporti con gli altri, affascinante, sempre sorridente, sempre cordiale. Questa fu anche una delle chiavi del suo successo – così possiamo dire – nel rapporto con il mondo giapponese ma anche con tutte le persone che ha incontrato. Ne abbiamo tutti un ricordo estremamente piacevole e affettuoso da un punto di vista spirituale e umano.

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Lombardi: il 2014 di Papa Francesco all'insegna dell'incontro

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Il 2014 è stato un altro anno molto intenso per Papa Francesco: tanti gli eventi importanti, ma ciò che resta più impresso nei cuori sono forse le immagini quotidiane del Papa in mezzo alla gente, i suoi abbracci alle persone, in particolare ai bambini e ai malati. Per un bilancio di quest’anno di Pontificato, a partire dai cinque viaggi internazionali, Terra Santa, Corea, Albania, Strasburgo e Turchia, ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti

Viaggi internazionali
R. – Ci sono moltissime cose che si potrebbero dire. Io vorrei ricordare anzitutto che è bello che anche Papa Francesco abbia potuto fare un viaggio in Terra Santa, come i suoi predecessori, perché è sempre un po’ tornare alle radici della nostra fede, alle radici del cristianesimo, ai luoghi della Storia della Salvezza, e questo ha un potere simbolico e spirituale formidabile. Ricordo i momenti in cui il Papa, commosso, era sulle rive del Giordano, sui luoghi del Battesimo, naturalmente nel Santo Sepolcro, e così via. Quindi, sono cose fondamentali per la nostra fede ed è giusto che il Papa possa anche, a nome di tutti noi, tornare su quei luoghi per ricordarci da dove veniamo, il mistero dell’incontro di Cristo con l’umanità. Però, ci sono tanti altri aspetti che questi viaggi hanno toccato. Vorrei ricordare l’aspetto dell’ecumenismo: sia l’incontro a Gerusalemme, sia l’incontro poi a Costantinopoli con il Patriarca Bartolomeo, dice come è intensa questa amicizia, questo rapporto personale che Papa Francesco ha stabilito con il primo dei Patriarchi dell’ortodossia, e come questo sia un segno di speranza per il nostro futuro cammino ecumenico. Importantissima è la frontiera dell’Asia: il Papa in questo anno ha viaggiato verso la Corea e tra poche settimane viaggia verso lo Sri Lanka e le Filippine. Il suo predecessore non aveva potuto recarsi in Asia. Questi grandi viaggi di Papa Francesco dicono una rinnovata attenzione della Chiesa verso questa porzione predominante dell’umanità di oggi e di domani, da un punto di vista anche demografico, di presenza umana impressionante dal punto di vista delle sue dimensioni e della sua dinamica e, per la Chiesa, un terreno sconfinato di evangelizzazione, di annuncio del Vangelo in situazioni culturali, sociali, politiche molto varie, spesso molto difficili. Quindi, è una delle grandi frontiere della Chiesa del nostro tempo, e Papa Francesco ce la indica con questi suoi viaggi entusiasmanti. Da non trascurare anche la dimensione europea: c’è stato un brevissimo viaggio in Albania, però significativo anche questo del fatto che il Papa desidera partire forse più dalle periferie per arrivare al cuore di un continente. Ma poi, il Papa è andato anche a Strasburgo: viaggio brevissimo ma fondamentale, perché ha dato – vorrei dire finalmente, forse – l’occasione al Papa di fare un discorso per l’Europa, per i Paesi europei e per il continente, un discorso ampio, un discorso articolato, completo di tante prospettive, che in qualche modo – per il Papa che viene da fuori dell’Europa – era molto atteso. E adesso rimane un punto di riferimento per tanti altri interventi che egli potrà fare per popoli singoli o in tante situazioni che riguardano il nostro Continente. Un piccolo particolare che vorrei ricordare di questi viaggi è la dimensione del martirio: sia in Corea, dove la Storia della Chiesa è caratterizzata dal martirio, sia in Albania, dove il martirio nei tempi recenti, sotto il comunismo, è stato fortissimo, sia nel Medio Oriente dove il martirio è anche realtà attuale per i tanti problemi che vi avvengono, il Papa incontra questa realtà e ci ricorda l’attualità di questa dimensione nella vita della Chiesa di tutti i tempi e anche del nostro.

Dialogo interreligioso
D. – Per quanto riguarda la Turchia, c’è stato anche l’aspetto interreligioso, molto importante …

R. – Sì. Tra le dimensioni del Pontificato di quest’anno, quella del dialogo interreligioso è stata pure importante, e in Turchia ha trovato una sua attuazione che è continuata, per esempio, anche nel viaggio in Albania e in altre occasioni. Mi pare che il Papa sia molto consapevole anche della situazione dell’islam nel mondo moderno e cerchi di trovare le vie per un rapporto costruttivo, anche nel dialogo, in quanto questo sia possibile, evitando naturalmente gli eccessi e condannando tutti gli eccessi, invece, dell’uso violento della fede religiosa.

Canonizzazione Papi
D. – Non possiamo dimenticare i grandi eventi della canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII e della beatificazione di Paolo VI …

R. – Sì: credo che il denominatore comune di questi grandi eventi sia l’attualità del Concilio Vaticano II, che è stato al centro della vita e del ministero di questi tre Papi, perché Giovanni XXIII lo ha convocato, Paolo VI lo ha condotto in porto e concluso e ne ha cominciato l’attuazione, e Giovanni Paolo II ha dedicato il suo sconfinato Pontificato proprio all’attuazione del Concilio Vaticano II. Quindi, queste tre figure di Papi, a parte il valore straordinario della loro testimonianza cristiana e umana, sono collegati a questo evento del rinnovamento della Chiesa nel nostro tempo, del suo dialogo con il nostro tempo e la cultura contemporanea, all’evangelizzazione del nostro tempo fatta da una Chiesa rinnovata secondo lo spirito del Concilio Vaticano II. Quindi, mi pare che questi due eventi – canonizzazione e beatificazione – segnino anche l’impostazione del Pontificato di Francesco sulla scia dei suoi predecessori, nel grande quadro del Concilio Vaticano II e della sua attuazione nel nostro tempo.

Sinodo famiglia
D. – E quest’anno c’è stato il Sinodo sulla famiglia, che ha suscitato vivaci dibattiti anche nello stesso mondo cattolico …

R. – Sì. Io credo che l’impresa – perché mi sembra di poterla definire una grande impresa pastorale – del Sinodo dedicato alla famiglia, con questo cammino articolato in diverse tappe, dal Concistoro dei cardinali all’assemblea straordinaria all’assemblea ordinaria che ancora aspettiamo, al coinvolgimento della comunità della Chiesa, sia una delle principali imprese pastorali ed ecclesiali messe in cammino da Papa Francesco. Forse la principale, nel senso che tocca veramente la vita di tutti: la vita dei fedeli ma anche la vita di tutte le persone umane del nostro tempo, perché un discorso sulla famiglia, sulla evangelizzazione della realtà familiare, è qualcosa che riguarda proprio il bene, il centro della vita di ognuno, uomini e donne del nostro tempo. E’ una impresa molto coraggiosa, perché il Papa ha messo sul tavolo temi anche difficili, anche delicati; però, è qualcosa di cui c’era veramente bisogno. E’ stato giustamente ricordato che anche gli altri Papi, all’inizio dei loro Pontificati, avevano scelto il tema della famiglia come tema di lavoro dei Sinodi e  tema importante per il loro ministero pastorale. Quindi, si vede che proprio andare al cuore, al mondo della vita per cercare di annunciare il Vangelo e di dare una via buona per la vita spirituale e umana dei nostri contemporanei, sia qualcosa di estremamente urgente. E noi auguriamo con tutto il cuore a Papa Francesco che riesca a condurre la Chiesa verso una riflessione sui temi veramente fondamentali, che riguardano la famiglia, senza rimanere, magari, distratti da temi per quanto importanti, però di carattere marginale oppure che possono prestarsi a polemiche senza cogliere però quali sono i punti più fondamentali perché più importanti per tutti, della tematica familiare e del vivere come cristiani questa dimensione fondamentale della vita.

Giustizia, pace, perseguitati
D. – Pensiamo anche ad altri temi cari al Papa: la pace, la giustizia, i poveri, le persone sfruttate, la schiavitù, i cristiani perseguitati …

R. – Il Papa, fin dall’inizio del suo Pontificato, ci ha detto che voleva ricordarsi dei poveri e delle periferie, di tutte le persone che soffrono perché hanno diritto alla nostra attenzione, alla nostra solidarietà, alla condivisione dei loro problemi. E questo noi lo vediamo effettivamente tornare continuamente. Quest’anno abbiamo questa situazione assolutamente drammatica nel Medio Oriente, con tante persone – cristiani e non solo – che sono dovute fuggire, abbandonare le loro case e vivono con estrema sofferenza la condizione di rifugiati; oppure vivono proprio delle persecuzioni, sono vittime di violenza diretta. Questo è tornato continuamente negli appelli, nell’attenzione del Papa, anche nella Lettera che proprio due giorni prima di Natale ha mandato ai cristiani nel Medio Oriente. Ma ci sono altri temi che sono tornati frequentemente e su cui si è concentrata una maggiore attenzione della Chiesa: prendiamo i temi del Messaggio del Papa per la Giornata della Pace di quest’anno, contro le nuove schiavitù, e si sono moltiplicate le iniziative presso l’Accademia delle Scienze, da parte delle religiose, contro la tratta, il traffico di esseri umani, contro tante altre forme di violenza e di schiavitù del nostro tempo … Direi che il Papa ha fatto proprio una mobilitazione della Chiesa, delle persone di buona volontà, su queste frontiere.

Riforma
D. – Qual è il senso della riforma che vuole il Papa? Pensiamo anche al discorso importante che ha fatto recentemente alla Curia …

R. – Il Papa ha messo in moto, già dall’inizio del suo Pontificato, un progetto di riforma della Curia Romana che però va inteso bene, perché è semplicemente una parte di un progetto di rinnovamento della Chiesa molto più ampio che lui ha formulato nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”: questo della Chiesa in uscita, della Chiesa missionaria, della Chiesa tutta impegnata sull’evangelizzazione, di cui poi anche la Curia Romana è una servitrice, uno strumento per aiutare la Chiesa nella sua missione. Il lavoro di riflessione in vista di questa riforma anche di carattere organizzativo, della Curia, continua, con una sua regolarità, con i suoi tempi che sono naturalmente tempi abbastanza lunghi, di riflessione e di consultazione. Ma quello che mi sembra molto importante notare è che per il Papa il cuore di ogni riforma è interiore: le riforme partono dal cuore. Ricordiamo anche Gesù, che dice: “Le cose buone o le cose cattive vengono dal cuore”: è da lì che bisogna partire per rinnovare o per guarire quando ci sono degli inconvenienti. Allora anche i discorsi che ha fatto prima del Natale, sia alla Curia sia ai dipendenti vaticani, il discorso che egli ha fatto al termine del Sinodo, ci dicono molto chiaramente come egli governi la Chiesa anche con il discernimento spirituale per guarire in profondità i nostri atteggiamenti, renderci più radicalmente fedeli al Vangelo; e con questo, poi, potremo anche esercitare meglio tutto il nostro servizio, tutta la nostra attività di evangelizzazione o di servizio ecclesiale. Ecco: la riforma è un tema perenne della vita cristiana – il tema della conversione del cristiano – e deve essere qualcosa di non superficiale, non puramente organizzativo. Il Papa ha detto molte volte che i problemi non sono di carattere anzitutto logistico e organizzativo – anche se questi possono aiutare – ma sono quelli interiori e più profondi. Allora, questi grandi discorsi secondo me hanno messo molto bene in rilievo nel loro genere, nella loro impostazione, questa attenzione prioritaria del Papa a guarire in profondità il cuore: tutti i problemi o gli inconvenienti che noi possiamo vivere hanno, a volte, non solo una dimensione di carattere organizzativo ma anche una dimensione di atteggiamenti: di atteggiamenti appropriati, di capacità di ascoltare, di capacità di dialogare, di disponibilità al servizio, di purificazione interiore … ecco, queste sono dimensioni che stanno profondamente a cuore al Papa, e sono dimensioni su cui noi lo sentiamo parlare anche ogni mattina nelle omelie di Santa Marta, in cui lui manifesta il suo carattere di maestro spirituale, di guida dello spirito secondo la tradizione degli Esercizi spirituali ignaziani. Quindi, io credo che sia molto importante capire questo: che ogni vera riforma che è un problema perenne nella vita della Chiesa, deve trovare il suo vero punto di partenza, che è la profondità del cuore, rinnovato alla luce del Vangelo. Questo ci dice il Papa e ce lo ricorda continuamente.

Cultura dell'incontro
D. – Infine, c’è una parola che meglio caratterizza questo 2014 di Papa Francesco?

R. – Le parole che usa Papa Francesco e che colpiscono, sono moltissime, quindi se ne potrebbero scegliere tante. Una che con il tempo credo di comprendere sempre meglio e di vederne sempre più il significato cruciale, è quello della cultura dell’incontro. Cioè, Papa Francesco ha proprio un atteggiamento, un modo di rapportarsi agli altri come persona che incontra persone e che mette in gioco profondamente la sua vita e il suo essere e cerca che l’altro, il suo interlocutore, metta in gioco se stesso. E allora ci si può incontrare profondamente e si possono anche mettere in cammino iniziative e dialoghi nuovi che magari erano rimaste bloccate, con un rapporto che era ad un livello più superficiale o formale. Mi viene in mente questo anche per quanto riguarda un po’ il metodo dei rapporti del Papa con le grandi personalità. Abbiamo evocato già l’incontro con il Patriarca Bartolomeo: è un incontro personale, è una vera amicizia, e questo fa pensare che anche nell’ecumenismo si possano forse fare dei passi avanti in cui l’incontro delle persone spinge e aiuta a progredire anche la dimensione necessaria, ma non del tutto esauriente, del dialogo teologico, dell’incontro delle idee, degli studi storici … Ci vuole anche l’incontro delle persone nella fede e nella volontà di far procedere secondo la volontà di Cristo il cammino dell’unità della Chiesa. E, in un certo senso, anche questo recente segno di speranza che è dato dai nuovi rapporti tra Stati Uniti e Cuba e in cui i due leader politici hanno ringraziato Papa Francesco per la lettera che egli ha mandato loro, dice che anche in questa dimensione dei rapporti internazionali con le grandi personalità del mondo – anche con i leader non solo religiosi, ma dei popoli – il Papa ha un suo approccio che è molto personale ma coinvolgente, manifesta un suo carisma, una sua capacità di andare al cuore dell’altro e invitarlo a fare dei passi, a mettersi in cammino per il bene dell’umanità. Ecco, questo mi sembra qualcosa di molto prezioso, di molto importante e anche di piuttosto caratteristico di Papa Francesco. Dietro alla parola “cultura dell’incontro”, che io all’inizio avevo un po’ sottovalutato, trovo invece questa impostazione dell’andare verso l’altro – in tante dimensioni: quella religiosa, quella spirituale e così via – ma anche quella di carattere ecumenico o politico, che dice una caratteristica di questo Pontificato.

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Francesco incontra le famiglie numerose. Butturini: segno di speranza

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Un’occasione di gioia e speranza per ribadire che senza la famiglia non c’è futuro. E’ questa la cifra dell’incontro tra Papa Francesco e le famiglie numerose che si terrà questa domenica alle 11.30 in Aula Paolo VI. L’evento che coinvolgerà circa 7 mila persone sarà preceduto dalla celebrazione della Messa presieduta da mons. Vincenzo Paglia, presidente del dicastero per la Famiglia. Per una testimonianza sull’attesa di questo incontro, Alessandro Gisotti ha intervistato Giuseppe Butturini che, assieme alla moglie Raffaella, presiede l’associazione italiana delle Famiglie Numerose: 

R. – Sono 3.500 tutte le persone, ci sono bambini, ci sono grembi pieni, perché c’è tanta attesa, perché vogliono e desiderano una carezza dal Papa, perché le famiglie devono sentirsi veramente il cuore pulsante della società: se non si riparte dalla famiglia non si arriva da nessuna parte! E questo le famiglie lo devono sempre più sentire, perché la sensazione che provano molte è quella di essere lasciate sole. La politica, quando non le ignora, le penalizza. C’è questo gap tra il conoscere i problemi e il non prenderli in reale considerazione, quindi ingannando. Ci affidiamo ad una parola, la parola del Papa. Mi vengono in mente le parole di Wojtyla, quando si rivolgeva alle famiglie numerose delle parrocchie romane, diceva due cose: “Voi siete una spina e una speranza. Una spina perché qualche volta interrogate qualcuno e magari poi, in un secondo momento, si apre; siete una speranza perché qualcuno poi si apre e perché ci si rende conto che senza di voi non c’è futuro”. Lo diceva poi Papa Benedetto rivolgendosi il 1° novembre del 2004 alle famiglie numerose riunite in piazza San Pietro: “Voi siete il futuro della società”.

D. – Uno dei messaggi più forti che Papa Francesco sta ripetendo nel suo Pontificato è “Non lasciatevi rubare la speranza”. In fondo le famiglie numerose, proprio nel fatto che non perdano la speranza nel generare nuovi figli e nuova vita, rappresentano bene questo messaggio?

R. – Sono l’incarnazione di questo messaggio. Accarezzando i grembi di tante nostre mamme qui presenti che aspettano un bimbo, questa è la speranza, questo è il domani. E Papa Francesco, che io chiamo “un ciclone dello Spirito Santo”, veramente una grazia per la Chiesa e per la società, saprà dare quel tocco, saprà fare quella carezza alle mamme e ai bimbini, quella carezza che dice “il Signore sta sorridendo su di voi. Voi veramente siete il domani”.

D. – Ultimamente Papa Francesco ha anche sottolineato che la famiglia è la famiglia e deve rimanere fuori ogni deriva ideologica, che vuole trasformare la famiglia in qualche altra cosa…

R. – Certo, questo è indispensabile. Le prime parole del nostro statuto, fatte dieci anni fa, non risentivano della storia attuale del gender, e dicono: “La famiglia è una società naturale, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna". Se si toglie ad una famiglia il papà e la mamma, si toglie la differenza, cioè si toglie la vita. Se mancano le differenze, manca la vita; se la famiglia non è famiglia, cioè incontro di una donna e di un uomo, di un papà e di una mamma, tutto è a rischio. Questo deve essere scoperto nella sua bellezza, non nei suoi limiti, perché i limiti ci sono. L’importante è che mamma e papà ogni giorno si dicano “ti amo”, “ci amiamo”. Si ricomincia da capo: si passa ogni giorno dal primo amore, che tutto sommato è stupendo ma è romantico, al secondo amore per cui il papà e la mamma si accettano non per quello che sognano di essere, ma per quello che sono. Noi diciamo sempre: “la società sta bene, se la famiglia sta bene. La famiglia sta bene, se la coppia sta bene. Quando la coppia sta bene? Quando ogni giorno si scambiano gli anelli e si accettano così come sono, non come l’uno vorrebbe che l’altro fosse.

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Nomina episcopale in Spagna

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In Spagna, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Barbastro-Monzón, presentata da mons. Alfonso Milián Sorribas, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Barbastro-Monzón il rev.do Ángel Javier Pérez Pueyo, finora Rettore del Pontificio Collegio Spagnolo "San José" di Roma.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il potere di Cristo è servizio: nel messaggio natalizio alla città e al mondo Papa Francesco rilancia il grido dei bambini uccisi anche oggi.

Con la tenerezza di Dio: il Papa invita ad accogliere le situazioni più difficili.

Quell'ecumenismo del sangue: Manuel Nin sulla lettera del Papa ai cristiani del Medio oriente.

Il cordoglio del Pontefice per la morte dell'arcivescovo Giuseppe Pittau.

Verso l'essenziale: Taizé raccontata dal suo priore.

Semi che sbocceranno nel futuro: in un articolo di Abraham Skorka su Gesù nelle visioni di Benedetto e Francesco.

Come Anchise sulle spalle di Enera: Silvina Pérez sui profughi in fuga dall'inferno della città di Kobane assediata dai terroristi dell'Is e ridotta in macerie.

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Oggi in Primo Piano



Poroshenko accoglie i prigionieri scambiati con i filo-russi

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Circa 370 prigionieri sono stati scambiati tra le forze di Kiev e i ribelli separatisti filorussi alle porte di Donetsk. Sul fronte politico però si registra la cancellazione di un nuovo round di colloqui tra il gruppo di contatto Ucraina, Russia e Osce. Il servizio di Marco Guerra: 

All’alba il presidente ucraino Poroshenko ha accolto personalmente all’aeroporto di Kiev 145 militari ucraini scambiati ieri sera con 222 ribelli filorussi a Nord di Donestk. Lo scambio, il più corposo dall’inizio del conflitto, dovrebbe concludersi oggi con la consegna all'Ucraina di altri quattro militari detenuti nella repubblica separatista di Lugansk. Ma questo gesto di distensione non trova seguito sul fronte politico-diplomatico: nelle stesse ore a Minsk venivano annullati i colloqui di pace del gruppo di contatto Kiev, Mosca e Osce. Il governo ucraino intanto ha sospeso - adducendo ragioni di sicurezza - tutti i transiti ferroviari e su strada diretti alla Crimea, mentre Putin ha approvato la nuova dottrina militare russa nella quale si sottolinea che la Nato è una minaccia primaria per la sicurezza del Paese. Infine, secondo fonti diplomatiche europee, l'Ue potrebbe varare nuove sanzioni contro la Russia già dalla prossima settimana. Ma sullo scambio di prigionieri e le prospettive sul terreno il commento di Paolo Calzini, docente di studi europei all'Università John HopKins di Bologna:

R. – Il rilascio dei prigionieri è indubbiamente sintomatico dell’interesse di ambedue le parti a sostenere sul terreno la tregua: per il governo di Kiev si tratta delle spese della guerra, che incidono sul progetto di riforme, di sviluppo del Paese; e anche per le forze ribelli, sostenute da Mosca, continuare nel conflitto implica un costo oneroso, molto alto, di materiali e di uomini. Si tratta, d’altra parte, di un atto umanitario che non incide sui rapporti di forza sul terreno, che ha un valore in qualche modo simbolico. Resta però che le posizioni, in merito ad una soluzione del conflitto nell’Est dell’Ucraina, fra il governo di Kiev – che vorrebbe riprendere la sovranità su questa regione – e le repubbliche cosiddette popolari di Lugansk e Donetsk, restano irriconciliabili. Le parti non sembrano assolutamente disposte a cedere su questo punto. Le prospettive quindi di una soluzione politica restano molto lontane.

D. – Infatti, sul terreno, la pace sembra ancora lontana. Il portavoce dell’esercito ucraino ha detto che gli attacchi da parte dei filorussi negli ultimi giorni si sono intensificati. Insomma, la tregua continua a vacillare…

R. – Qui bisogna poi tener conto che c’è il gioco della comunicazione, la volontà di esasperare il confronto da una parte e dall’altra. La mia impressione è, comunque, che la tregua, per le ragioni che le dicevo, di fondo, regga. Resta, d’altra parte, che ci possano essere da una parte e dall’altra, non essendo tutte forze militari inquadrate in eserciti regolari, delle rotture della tregua, episodi. Diciamo che il fronte è frammentato e quindi è possibile che azioni individuali o di gruppo intervengano nella tregua.

D. – Intanto un nuovo round di colloqui a Minsk in Bielorussia, che si sarebbe dovuto tenere in coincidenza dello scambio di prigionieri, è stato annullato. Perché sul fronte diplomatico si assiste ad un nuovo stallo tra Mosca e Kiev e i ribelli filorussi?

R. – La situazione è molto ambigua, perché da una parte e dall’altra c’è anche il gioco tattico di aprire e di chiudere alle trattative. Quindi, secondo me, questo è un episodio, in un processo che, a mio parere, comunque, è destinato a durare.

D. – Putin, dal canto suo, ha provato la nuova dottrina militare della Russia nella quale si sottolinea che la Nato è una minaccia primaria per la sicurezza del Paese...

R. – La decisione di Putin conferma che, da parte russa, si opta per una posizione, come dire, affermativa, molto ferma, per tutto quello che riguarda la sua posizione in quella che è effettivamente o che vuole essere la loro sfera di influenza. Vuole essere anche questa una scelta – come dire - una presa di posizione dimostrativa. Sostenere e confermare che in particolare la Nato, che è lo strumento militare dell’Occidente, è il principale avversario, l’attore di maggiore ostilità che si vuole tenere fuori da questa sfera di influenza. Non a caso questa presa di posizione viene dopo la scelta che era stata fatta dal Parlamento ucraino qualche giorno fa di aderire alla Nato e quindi mettere fine a quella che era stata la posizione di non allineamento dell’Ucraina. C’è da dire, d’altra parte, però, che questa scelta dell’Ucraina è una scelta di principio, è una dichiarazione di intenzione, considerato che nella pratica l’adesione dell’Ucraina alla Nato resta di là da venire. C’è da mettere molto in chiaro, infatti, che un’adesione dell’Ucraina alla Nato porterebbe il livello di tensione nei rapporti fra Occidente e Russia a livelli molto alti, con conseguenze imprevedibili.

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Il miracolo della nascita sulla nave che salva i migranti

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Nel Canale di Sicilia, approdo per chi scappa dalle guerre e dalla disperazione, continuano le operazioni di soccorso da parte della Marina Militare. Stamani più di 90 migranti sono arrivati ad Augusta dopo essere stati salvati mentre la loro imbarcazione stava colando a picco. In pochi giorni più di mille persone sono state aiutate, in 5 non ce l’hanno fatta. In mezzo a tanta disperazione c’è anche la storia di Salvatore, un bimbo nigeriano nato nel giorno di Natale a bordo della nave Etna. Il servizio di  Benedetta Capelli:

Sorprende sempre una vita che nasce. Lo è ancora di più se avviene a Natale, se la mangiatoia è una nave – la nave Etna della Marina Militare -  se Maria e Giuseppe sono due nigeriani in fuga dalle violenze e da un futuro incerto. Testimony Salvatore è nato grazie al tenente di vascello Serena Petriucciolo, la sua madrina di battesimo: 

R. – La mamma del bambino è arrivata a bordo in giornata, trasbordata da un’altra unità navale della Marina. Verso le 22.00 ha cominciato ad avere delle contrazioni, per cui tutta l’equipe sanitaria ha cominciato a darle assistenza; lei era alla quarta gravidanza e infatti era preparatissima e bravissima… Ci ha fornito un ausilio non indifferente. Il bambino è nato alle 23.41, tra la gioia di tutti, il giorno di Natale: lo ha chiamato Testimony, mentre il nome italiano è stato Salvatore. Il giorno dopo con il sacerdote di bordo lo abbiamo battezzato.

D. – Che cosa significa passare il Natale a bordo di una nave e assistere alla nascita di un bambino: sembra un miracolo che si ripete proprio in un giorno speciale…

R. – Eh sì! Praticamente lo è stato perché, in mezzo a tanta sofferenza e tante persone che cercano di porre in salvo la propria vita, vedere la speranza di questa donna, vedere la nascita di un bambino ci ha dato tanto orgoglio, forza, coraggio e una gioia infinita. Veramente ….

D. – Qual è la storia di questa mamma?

R. – Questo è il quarto bambino. E’ fuggita dalla Nigeria con il marito… Lei a me ha detto di essere stata in Marocco, di aver trascorso due mesi lì…Aveva con sé anche una bimba, che è la sua terza figlia; gli altri due bambini – uno di 10 anni e uno di 6 anni – sono ancora in Nigeria.

D. – Per lei, che cosa significa fare il medico su una nave adibita al soccorso delle persone? Spesso in Italia c’è molta reticenza nei confronti degli immigrati, invece aiutarli e stare a contatto con loro fa cambiare la prospettiva su questo dramma?

R. – Io l’ho vissuto soltanto dalla parte di chi li ha aiutati. Dal primo momento, vivere le emozioni di scappa dall’Africa o di chi scappa dalla guerra ancora di più, non lascia spazio a nient’altro! Soltanto alle forti emozioni che si provano, quando si vedono arrivare a bordo queste persone che necessitano di aiuto. Francamente tutto il resto è niente per noi!

In mezzo alla disperazione di persone terrorizzate dal domani, spaventate da un viaggio lungo e spesso dall’esito drammatico, la nascita di un bimbo è la speranza che non muore. Il cappellano della nave, don Paolo Solidoro, racconta così l’emozione di quel momento: 

R. - Per un sacerdote la nascita di un bambino in qualsiasi circostanza porta sempre della gioia nel proprio cuore, ma soprattutto porta un arricchimento nel ministero presbiterale al servizio del popolo di Dio e, in questo clima natalizio, per la situazione che tutta la Marina militare italiana sta vivendo in questi due anni con il fenomeno dell’immigrazione. Avere a bordo gente, popoli di diversa cultura, tradizione, religione è come avere la famiglia di Dio in pienezza, senza distinzione di lingua, di razza, di cultura perché tutti abbiamo un unico Dio, un’unica fede. E questo mi ha portato a vivere intensamente il Santo Natale con la gioia di poter dare l’inizio a una vita per questo bambino, una vita nuova, quindi una rinascita ringraziando Gesù Bambino che, anche quest’anno, ci ha portato il dono più bello: quello della vita.

D. - Tra l’altro non è il primo battesimo che lei fa su una nave. Il 16 dicembre ha battezzato un bambino eritreo …

R. - Sì, un bambino eritreo, la cui mamma ha deciso di dargli un nome che significa “disceso dal cielo”. Come sacerdote, come equipaggio, gli abbiamo dato il nome di Mosè, perché significa “salvato dalle acque”, dunque mandato dal cielo e salvato dalle acque.

D. - Mosè e poi è arrivato Salvatore …

R. - La mamma tra tanti nomi ha scelto Salvatore: quindi Salvatore giustamente è il nostro Signore, poi il giorno di Natale è stata la gioia più bella.

D. - Qual è il suo contributo come cappellano all’interno di questa nave che vive momenti di felicità come è stata appunto la nascita di Salvatore, ma anche momenti di una drammaticità forte?

R. – Stando su una nave che poi è la casa, la famiglia dei militari della Marina militare italiana quando si guarda - nonostante le difficoltà e la lontananza dei propri cari soprattutto in questo periodo natalizio -, negli occhi questa gente disperata che lascia la propria terra per trovare un’accoglienza, un gesto di solidarietà, un pizzico di conforto, di pace interiore, non diventa un gesto di carità cristiana, ma diventa un gesto di carità umana. C’è questo toccare con la propria mano la mano di quella persona che sta soffrendo, quindi in quel momento, in quell’attimo, in quell’istante, si percepisce e ci si fa carico della sofferenza altrui. Abbiamo avuto anche dei casi di cadaveri di giovani, che magari hanno lasciato la loro terra con la speranza di trovare una serenità, ma questa speranza si è spezzata nel Mar Mediterraneo. Come sacerdote, sapendo anche che sono fratelli di un’altra religione – musulmani, copti o anglicani -, dinanzi al mistero della morte che giustamente colpisce tutti,  ti fa anche sentire una persona provata. Allo stesso tempo però spinge ad andare avanti  - perché poi la morte di quella persona è speranza per chi lavora, per questi ragazzi militari della Marina, per tutto l’equipaggio, per i comandanti - non è altro che un darsi da fare e cercare di regalare il dono della vita. Ora, questa situazione, questa emergenza, questo farsi carico anche economicamente, culturalmente lo si può comprendere solo e soltanto se la persona vive su una nave e vede con i propri occhi quello che succede, perché raccontarlo è facile, viverlo invece rimane un ricordo vivente.

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Ondata di gelo. La Caritas: aprire le porte ai senzatetto

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Con la forte ondata di maltempo che si sta abbattendo sull’Italia, si ripropone l’emergenza freddo per i senza fissa dimora e si rafforza l’azione delle Caritas diocesane nelle diverse città, per offrire coperte e pasti caldi. A Roma presidi notturni dei volontari nelle zone in cui i senza dimora rischiano di restare emarginati. Al microfono di Elvira Ragosta, mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana: 

R. – Questa emergenza assomiglia a tutte le altre emergenze. Pertanto le Caritas diocesane sono sempre in prima linea per lenire quelle che sono le necessità, le sofferenze dei più bisognosi.  E’ importante ricordarlo soprattutto in questo periodo in cui noi abbiamo celebrato la beatificazione di Paolo VI, il fondatore di Caritas italiana, che ci ricorda proprio l’anima di questo organismo, che è un organismo pastorale, che ha come dna l’animazione della comunità. Non è, quindi, semplicemente l’azione della Caritas quella di raccogliere quelle che sono le emergenze, ma di fare quasi da specchio alla comunità, che è il vero soggetto della azione pastorale. La Caritas, dunque, non ha la delega della comunità, ma è in funzione dell’animazione della comunità e attraverso queste opere, che sono  segno della comunità, si ripropone alla comunità come animazione; ricorda alla comunità che è la comunità ecclesiale, che sono – come ci ricorda Papa Francesco – i conventi e le case religiose, ma in modo particolare le famiglie e anche i singoli, affinché si rendano essi stessi interpreti di quelle che sono le necessità dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi.

D. – Che tipo di aiuto può dare la popolazione, che tipo di aiuto chiede la Caritas in questo momento per la difficoltà, per l’emergenza freddo?

R. – Quello di non avere paura dei nostri fratelli bisognosi, ricordando quello che ci disse già dai primi giorni del suo Pontificato il Santo Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura di aprire le porte a Cristo”, di aprire le porte alla carne viva di Cristo, come ci ricorda Papa Francesco. L’azione della Caritas sarà bella nella misura in cui si scioglierà all’interno e in mezzo alla comunità che essa anima, attraverso un’accoglienza fatta di un pasto caldo, ma fatta soprattutto di un’accoglienza che dice che Gesù Cristo è accolto nella mia casa dove io ripropongo immagini del presepio, come in questi giorni abbondantemente ci è stato ricordato e che progressivamente dovremo sempre di più imparare ad incarnare.

D. – Lei ricordava un pasto caldo, una coperta, l’accoglienza… Chi si rivolge alla Caritas in questi giorni di particolare freddo che tipo di aiuto chiede e che tipo di aiuto riceve?

R. – Il passaggio dalle cose alla casa, cioè da quello che noi possiamo dare, che si esaurisce in un piccolo gesto, ma ciò che invece vogliamo costruire, che è il tessuto familiare, il tessuto comunitario. Questo ancora non si intravede molto. Dovremo sempre di più cercare di costruirlo, dicendo queste cose e sostenendo anche la comunità e la famiglia, affinché avvenga, possa avvenire.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Questa domenica, in cui la Chiesa celebra la Santa Famiglia, il Vangelo ci propone la Presentazione di Gesù al tempio. Maria e Giuseppe, quando hanno adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fanno ritorno alla loro città di Nazaret:

“Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti

La pagina del Vangelo di questa domenica è conosciuta come “Presentazione di Gesù al tempio” e narra i momenti relativi a questo gesto che la Legge mosaica prescriveva per ogni primogenito, a memoria dell’uscita dalla schiavitù d’Egitto: la purificazione della madre e il riscatto del primogenito; a questi due gesti l’evangelista Luca aggiunge l’incontro con Simeone, la sua benedizione e la sua parola profetica, con l’esultanza della profetessa Anna. Ciò che qui viene messo in risalto è proprio il cuore di una famiglia che compie con amore quanto è prescritto dalla Legge del Signore e accoglie dalla sua volontà la storia concreta che Egli ha preparato per la salvezza del suo popolo, “luce per illuminare le genti”. La luce e il calore, che accompagnano fortemente il tempo di Natale, vengono ad illuminare in modo speciale il mistero della famiglia umana e cristiana, così fortemente attaccata e minacciata oggi. San Giovannni Paolo II, una volta (30 dicembre 1988) ebbe quasi a gridare: “Dovete, con tutte le vostre preghiere, con la vostra testimonianza, con la vostra forza, dovete aiutare la famiglia, dovete proteggerla contro ogni distruzione”. E il Beato Paolo VI, proprio da Nazaret, ricordava: “Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Inondazioni in Malaysia: 8 morti, 160 mila sfollati

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Inondazioni di proporzioni che non si vedevano da decenni hanno colpito pesantemente, con la stagione delle piogge monsoniche e l'aggiunta di forti venti, le regioni costiere orientali della Malaysia, causando almeno 8 morti e l'evacuazione di oltre 160 mila persone. In alcune aree - rileva il sito della Bbc - intere cittadine si trovano sommerse dall'acqua. I soccorritori stanno cercando di portare cibo e acqua all'esercito di sfollati ospitati nei contri improvvisati di accoglienza. Il disastro ha indotto il premier Najib Razak a rientrare in anticipo da una visita negli Usa, dove aveva giocato a golf con Barack Obama alle Hawaii. (A.G.)

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Ali Ağca porta dei fiori sulla tomba di Giovanni Paolo II

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Mehmet Ali Ağca si è recato stamani nella Basilica di San Pietro dove ha depositato due mazzi di rose bianche nella cappella dove si trova la tomba di San Giovanni Paolo II. L’ex “lupo grigio” turco, che il 13 maggio 1981 aveva sparato contro il Papa polacco in Piazza San Pietro, ha voluto compiere il gesto nel giorno del 31.mo anniversario del suo incontro nel carcere di Rebibbia con Wojtyla, che in quell’occasione – era il 27 dicembre 1983 - ribadì di averlo perdonato.

Ali Agca – ha detto il vicedirettore della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini – è potuto entrare nella Basilica senza nessun problema, in quanto non ha nessuna pendenza aperta con il Vaticano. La sua permanenza nella Basilica è stata brevissima. 

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Promotore di Giustizia vaticano rimette in libertà attivista “Femen”

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Il Promotore di Giustizia vaticano, informa il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi, ha incontrato “questa mattina la signora Iana Azhdanova”, attivista “Femen” che nel giorno di Natale è stata bloccata mentre tentava di trafugare la statua del Bambinello dal Presepe in Piazza San Pietro. Il Promotore di Giustizia “ha convalidato l’arresto eseguito dalla Gendarmeria nel giorno di Natale per i reati che le erano stati contestati”. Quindi, aggiunge padre Lombardi, “ha disposto la remissione in libertà, intimando il divieto di accesso nello Stato della Città del Vaticano, nella Basilica e negli altri luoghi extraterritoriali”.

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Card. Scola e fedeli milanesi in Terra Santa su orme Paolo VI

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Inizia oggi il pellegrinaggio diocesano in Terra Santa guidato dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola. Il porporato, in serata, celebrerà a Betlemme la Santa Messa presso l’Istituto dei Salesiani. Qui - riferisce l'agenzia Sir - consegnerà al custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, una reliquia del Beato Paolo VI, risalente all’episcopato milanese del cardinale Montini. Domenica 28 dicembre, raggiunta Gerusalemme, il cardinale Scola presiederà la Messa nella basilica del Getsemani alle ore 11. In serata, alle 18, incontrerà insieme ai fedeli ambrosiani il Patriarca di Gerusalemme e dei Latini, Fouad Twal, al quale farà dono di una seconda reliquia del Beato Paolo VI, sempre risalente al periodo milanese. Lunedì 29 dicembre, alle 6.30, l’arcivescovo celebrerà la Santa Messa al Santo Sepolcro. Questa sarà anche l’ultima giornata del cardinale Scola in Terra Santa. Il pellegrinaggio è stato organizzato dalla diocesi di Milano per ricordare lo storico viaggio in Terra Santa di Paolo VI di 50 anni fa. Hanno aderito al pellegrinaggio 350 fedeli. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 361

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.