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Sommario del 26/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all’Angelus: libertà religiosa, diritto inalienabile

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I cristiani perseguitati ancora oggi sono “nel cuore di Cristo e della Chiesa”. Lo ha detto Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro, nella festa di Santo Stefano, primo martire. Il Pontefice ha quindi invitato alla coerenza cristiana in ogni circostanza. Il servizio di Giada Aquilino

Nel giorno in cui la liturgia ricorda la testimonianza di Santo Stefano, che “con il suo martirio” onora “la venuta nel mondo del Re dei re, offrendogli in dono la sua stessa vita, come faceva nel servizio per i più bisognosi”, Papa Francesco ha voluto rivolgere nuovamente il proprio pensiero ai cristiani perseguitati ancora oggi:

“Preghiamo in modo particolare per quanti sono discriminati, perseguitati e uccisi per la testimonianza resa a Cristo. Vorrei dire a ciascuno di loro: se portate questa croce con amore, siete entrati nel mistero del Natale, siete nel cuore di Cristo e della Chiesa”.

Quindi, con la mente rivolta a tanti Paesi in cui continuano le persecuzioni, il Papa ha pregato:

“Grazie anche al sacrificio di questi martiri di oggi - ne sono tanti, tantissimi - si rafforzi in ogni parte del mondo l’impegno per riconoscere e assicurare concretamente la libertà religiosa, che è un diritto inalienabile di ogni persona umana”.

Prendendo spunto dal Vangelo odierno di Matteo, in cui Gesù invia in missione i discepoli, avvertendoli che saranno odiati a causa del Suo nome, “ma chi avrà perseverato fino alla fine - dice il Signore - sarà salvato”, il Pontefice ha spiegato che tali parole “non turbano la celebrazione del Natale, ma la spogliano di quel falso rivestimento dolciastro che non le appartiene”:

“Nelle prove accettate a causa della fede, la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita. E per accogliere veramente Gesù nella nostra esistenza e prolungare la gioia della Notte Santa, la strada è proprio quella indicata da questo Vangelo, cioè dare testimonianza a Gesù nell’umiltà, nel servizio silenzioso, senza paura di andare controcorrente e di pagare di persona”.

E se non tutti sono chiamati, come Santo Stefano, a versare il proprio sangue, ha aggiunto il Papa, “ad ogni cristiano però è chiesto di essere coerente in ogni circostanza con la fede che professa”, quindi di “pensare, sentire e vivere come cristiano”:

“La coerenza cristiana è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore. Essere coerenti, vivere come cristiani e non dire: ‘sono cristiano’ e vivere come pagano. La coerenza è una grazia da chiedere oggi”.

Seguire il Vangelo, ha proseguito il Santo Padre, è un cammino esigente, ma “bellissimo” e “chi lo percorre con fedeltà e coraggio riceve il dono promesso dal Signore agli uomini e alle donne di buona volontà”, la pace:

“Questa pace donata da Dio è in grado di rasserenare la coscienza di coloro che, attraverso le prove della vita, sanno accogliere la Parola di Dio e si impegnano ad osservarla con perseveranza sino alla fine”.

Dopo la recita dell’Angelus, nella gioia del Natale, il Papa ha rinnovato l’auspicio di pace ai presenti in Piazza San Pietro, alle famiglie, alle comunità parrocchiali e religiose, ai movimenti e alle associazioni, ed ha augurato buon onomastico a quanti si chiamano Stefano o Stefania. Anche i fedeli hanno risposto con un coro di “auguri”. Infine un ringraziamento:

“In queste settimane ho ricevuto tanti messaggi augurali da Roma e da altre parti del mondo. Non essendomi possibile rispondere a ciascuno, esprimo oggi a tutti il mio sentito ringraziamento, specialmente per il dono della preghiera”.

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Tweet del Papa: preghiamo per i cristiani perseguitati

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Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet dal suo account @Pontifex: “Oggi preghiamo per tutti coloro che sono perseguitati a causa della fede cristiana”.

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Oggi in Primo Piano



Santo Stefano: don Maspero, la sua forza è quella di Gesù

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La Chiesa ricorda oggi Santo Stefano, il primo martire, che morì lapidato chiedendo a Dio di non imputare questo peccato ai suoi assassini. Come in passato, ancora oggi tanti cristiani vengono uccisi a causa della fede. Sul significato della ricorrenza, Federico Piana ha intervistato don Giulio Maspero, docente di Teologia alla Pontificia Università della Santa Croce: 

R. – E’ forse sconcertante! Noi ieri eravamo a fare festa, tutt’ora questo è un periodo di festa, ma allo stesso tempo e da tempo immemorabile - le prime testimonianze sono del V secolo - subito dopo Natale c’è Santo Stefano e poi fra un paio di giorni festeggeremo i Santi Innocenti e quindi altri martiri. E’ come se la Liturgia ci mettesse vicino a Gesù subito le persone che lo hanno seguito. Forse anche San Giovanni Evangelista può essere considerato un martire del cuore insieme alla Madonna, però questa è già una finezza. Sicuramente c’è una intenzione della Chiesa, nella sua sapienza, di farci vedere che Gesù è venuto, ma che questa non è una favola: lo stesso freddo e il gelo della grotta, lo stesso modo della nascita di Gesù hanno un senso e Gesù non è che viene, nasce e poi muore perché è nato come noi uomini, c’è una grande differenza rispetto a noi: Gesù in un certo senso nasce per morire, nasce per salvarci. E in questo senso il martire, le persone che gli stanno vicino, che seguono Gesù molto da vicino sono persone disposte a morire, perché amano perfino i nemici, perché sanno che Gesù ha portato la vita e quindi sono disposte perfino a morire volontariamente, quando vengono messe alle strette, per essere fedeli a Gesù: tra Gesù che è la vita - questo Bambinello che abbiamo davanti agli occhi - e il tradimento, loro scelgono Gesù. E il caso di Stefano è particolarmente bello: lui è il primo, quindi è il Protodiacono nel senso proprio che è il primo diacono; ed è il primo martire, il Protomartire. E’ particolarmente bello perché nel suo martirio, che è narrato dalla Parola di Dio stesso - nella Sacra Scrittura sono il capitolo 6 e 7 degli Atti degli Apostoli - si vede proprio come lui ripercorra la morte di Gesù. In greco il martire è il “testimone”; rende testimonianza alla presenza di Cristo nella vita. Gesù è venuto per non scomparire più. Non è che viene e se ne va, ma viene e rimane tra di noi: “Io sarò con voi per sempre”, dice Gesù alla fine del Vangelo di Matteo. Quindi la forza di Santo Stefano è la forza di Gesù, quello che dice Santo Stefano, in qualche modo, ricalca quello che dice Gesù ed è molto evidente anche da ciò che scatena l’ira degli ebrei che non capiscono la predicazione di Stefano, perché in primo luogo quello che fa Stefano è parlare del Tempio: lui fa uno dei discorsi più lunghi, forse il più lungo degli Atti, dove parte da Abramo e arriva a dimostrare che sostanzialmente Gesù è il Tempio.

D. – Ovviamente il Signore non chiede quel tipo di martirio a noi cristiani. Però il martirio che noi abbiamo quotidianamente, la piccola Croce delle cose quotidiane, dobbiamo imparare a prenderlo. Forse quello è il nostro piccolo martirio…

R. – Un sorriso può essere un piccolo martirio: sorridere ad una persona che magari ti è molesta o con la quale non ci si è capiti. Anche tra marito e moglie, molte volte, ci sono piccoli martiri: l’amore va avanti grazie a piccoli martiri. Il Signore, a volte, chiede il martirio: Papa Francesco sta sottolineando come dobbiamo renderci conto che i martiri ci sono oggi e che ci sono più martiri oggi di prima. Stefano non è un fatto del passato, ma è un fatto del presente: le notizie di cronaca purtroppo ce ne parlano. Però il martirio riguarda ogni cristiano e passa attraverso le cose piccole: se uno è capace di appoggiarsi al Signore per perdonare nella propria vita familiare, per affrontare il proprio lavoro e farlo bene, è un piccolo martirio.

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Cristiani vittime di persecuzioni ma anche di ateismo e laicismo

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Cristiani perseguitati: sporadiche notizie stampa da ogni angolo del Pianeta ne rilanciano sofferenze e drammi, dall’esilio volontario, alla fuga precipitosa, al sacrificio della vita. Cresce il loro numero, in un contesto globale di diminuita libertà religiosa, come documenta l’osservatorio della Fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, che registra violazioni e abusi subiti dai fedeli di ogni credo nel mondo. Roberta Gisotti ha intervistato la portavoce Marta Petrosillo

R. – Sicuramente, al momento l’Asia e il Medio Oriente, ma anche l’Africa, sono le regioni in cui i cristiani si trovano in maggiore difficoltà e si confermano come il gruppo maggiormente perseguitato e discriminato, soprattutto perché si trovano ad essere una piccola minoranza in molti Paesi, che oggi vivono dei conflitti e delle tensioni, anche interreligiose. Penso al Medio Oriente, un caso su tutti, quello dell’Iraq dove davvero i cristiani rischiano di scomparire per sempre. In generale, sia in Medio Oriente sia in alcune aree dell'Asia, abbiamo notato una tendenza dei gruppi religiosi di maggioranza a prevaricare, non soltanto attraverso la violenza, come quella, ad esempio, dello Stato islamico (Is), ma anche attraverso l’applicazione della Sharìa, la legge coranica, o di altri tipi di leggi, come ad esempio la legge anti-blasfemia in Pakistan.

D. – Quindi, le cause sono sostanzialmente l’affermarsi dell’estremismo islamico ma anche l’affermarsi di regimi autoritari dove non c’è rispetto dei diritti…

R. – Sì, ma vediamo una crescita anche del fondamentalismo indù e buddista. Però, tra i 20 Paesi più critici, effettivamente 14 sono a maggioranza islamica mentre sei sono governati da regimi totalitari che, attraverso uno stretto controllo, discriminano e perseguitano le minoranze. Un caso è la Corea del Nord, dove i cristiani sono i più perseguitati nel mondo; ma anche in Cina abbiamo visto recentemente molte distruzioni di chiese, abbiamo testimonianze di sacerdoti e seminaristi addirittura costretti a vivere una doppia vita. Sappiamo che in Cina c’è questa Chiesa, l’Alleanza patriottica, che è la Chiesa governativa; e molto spesso, chi si rifiuta di aderire per restare in comunione con Roma entra a far parte di una Chiesa ‘sotterranea’.

D. – Quali sono gli altri Paesi più critici?

R. – Myanmar, Azerbaigian, Uzbekistan; nell’Asia centrale vediamo anche un aumento di controlli governativi in seguito alle ‘Primavere arabe’, dove per timore di un’ascesa del fondamentalismo si sono applicate leggi sempre più dure; anche in Tagikistan e in Kazakhistan, alcune leggi che regolano le attività religiose di fatto sono fortemente discriminatorie. Un altro Paese, non a caso noto come la ‘Corea del Nord dell’Africa’, è l’Eritrea, dove tra le 2 e le 3 mila persone sono detenute per motivi religiosi in prigioni che sono sostanzialmente dei lager, dove subiscono torture per convincerle a convertirsi.

D. – Nel vostro rapporto sulla libertà religiosa si parla pure di “ateismo aggressivo e laicismo liberale”, che riguardano alcuni Paesi del mondo occidentale e anche alcuni Paesi dell’America Latina…

R. – L’Europa oggi ha a che fare con un consistente fenomeno migratorio e quindi ci si trova ad avere e a che fare con una maggiore interreligiosità; al tempo stesso, si denunciano numerosi episodi di intolleranza contro i cristiani che vanno dalla profanazione dei cimiteri, agli atti vandalici nelle Chiese, a discriminazioni varie e si rileva, inoltre, all’interno delle società quasi un tentativo di marginalizzare il fattore religioso e di confinarlo nell’ambito privato: questo possiamo notarlo anche nel divieto dell’esposizione di simboli religiosi come ad esempio il Crocifisso nelle scuole. Un altro problema è quello dell’obiezione di coscienza, per quanto riguarda sia i farmacisti, sia i medici che, ad esempio, non vogliano praticare l’aborto o somministrare medicinali abortivi. Allargandosi anche ad altri fenomeni: un esempio è quello delle agenzie cattoliche di adozione che in Gran Bretagna non possono rifiutarsi di dare in adozione bambini a coppie omosessuali.

D. – Si nota pure un certo fastidio, proprio nell’ascoltare la ‘voce’ dei cristiani su temi sensibili dai risvolti etici, che implicano poi delle scelte sociali…

R. – Senza dubbio! Come se l’espressione del punto di vista dei cristiani non potesse essere espresso nello spazio pubblico, come se non avesse il diritto ad esprimere un proprio parere, qualora questo possa entrare in conflitto con quello di altri gruppi.

D. – In generale, c’è poco sentore anche nei media di questa persecuzione dei cristiani, segno - possiamo dire - di un mondo che arretra nel rispetto dei diritti fondamentali della persona…

R. – Sì, come diceva Giovanni Paolo II, la libertà religiosa è la cartina di tornasole del rispetto dei diritti in un Paese, perché laddove non è rispettata e tutelata, probabilmente non lo saranno neanche gli altri diritti umani. Fortunatamente, c’è un interesse crescente da parte dell’opinione pubblica, ma purtroppo i media rispondono a delle logiche, per cui spesso, magari, ne parlano, ma si focalizzano su un Paese in particolare, in corrispondenza di determinati avvenimenti, e poi quel Paese viene dimenticato.

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Tsunami, 10 anni dopo: il Sud Est asiatico ricorda e riparte

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Sono passati 10 anni dallo tsunami che il 26 dicembre del 2004 colpì il Sud Est Asiatico, provocando la morte di 230 mila persone e distruggendo le coste di 14 Paesi affacciati sull’Oceano Indiano. Le commemorazioni hanno preso il via con un grande raduno nella provincia di Aceh, in Indonesia, dove sopravvissuti, soccorritori e gente comune si sono ritrovati per pregare ma anche per visitare le tombe delle vittime. Il servizio di Elvira Ragosta

L’epicentro fu nei pressi dell’isola indonesiana di Sumatra, poi il maremoto si spostò, colpendo e seminando morte in Thailandia, India, Sri Lanka, Maldive, fino ad arrivare alle coste dell’Africa orientale. 230mila vittime, oltre un milione e mezzo i senza tetto. Davanti a tanta devastazione, la macchina dei soccorsi si mise subito in moto. Ma cosa è cambiato nella geopolitica del sud est asiatico a 10 anni dallo tsunami? Padre Bernando Cervellera, direttore di AsiaNews:

R. – E’ cambiato molto. Da una parte, il Vietnam si è aperto sempre di più verso la comunità internazionale, ma soprattutto il Myanmar - che era uno dei Paesi colpiti e dove si rifiutavano gli aiuti esterni, durante il periodo dello tsunami - è diventato invece un Paese che sta cercando di entrare nel concerto della comunità internazionale. L’altro elemento che è cambiato molto è stata l’islamizzazione di Aceh, che è andata molto più a fondo: è una regione dell’Indonesia dove è stata attuata la sharia. La Thailandia, che è stata un’altra delle grandi vittime dello tsunami, è rimasta un Paese sempre molto aperto, anche se ha tantissimi problemi interni, problemi di democrazia e, forse, in prospettiva, un problema di futuro della monarchia thailandese.

D. – Dopo la tragedia, si attivò una macchina di soccorsi internazionali senza precedenti: qual è stato il contributo della Chiesa per l’emergenza e per la ricostruzione?

R. – La Chiesa ha lavorato - trovo - su due aspetti: da una parte, l’emergenza proprio per portare aiuti in modo immediato e diretto alle persone - aiuti di emergenza vuol dire medicinali, vuol dire tende, vuol dire cibo e così via - ma poi c’è stato da subito anche un lavoro più profondo, dal punto di vista psicologico, dal punto di vista di sostegno spirituale alla gente, che in un attimo ha perso tutto, cioè ha perso non soltanto le sue proprietà, ma molto spesso ha perso tutti i membri della famiglia. Ci sono persone orfane, persone che sono rimaste sole. Quindi questo è stato un altro grande impegno della Chiesa, che dura ancora adesso con una evangelizzazione e anche un tentativo di umanizzare lo sviluppo economico, venuto fuori da questa tragedia.

D. – La zona resta una delle più ambite del turismo internazionale. Quanto ha contribuito questo fattore per l’economia dei Paesi colpiti?

R. – Certo, questa zona e soprattutto la zona del Sud Est asiatico. Non dobbiamo dimenticare alcune parti dell’India e dello Sri Lanka che sono state colpite e che sono importantissime dal punto di vista del turismo e anche dal punto di vista del basso costo della manodopera. Quindi, naturalmente, questo accresce moltissimo le potenzialità economiche. Queste potenzialità economiche, però, talvolta, si scontrano con progetti faraonici dal punto di vista turistico, che non portano al benessere di tutta la popolazione. Pensiamo, per esempio, allo Sri Lanka, dove ci sono progetti turistici enormi, resort bellissimi, che però eliminano tutti i pescatori della zona, che rimangono disoccupati, perché impossibilitati a svolgere il loro lavoro. 

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Nuovi raid su Iraq e Siria contro postazioni dell'Is

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Continua la guerra contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria: nelle ultime ore diversi raid della coalizione internazionale hanno ucciso numerosi jihadisti. Morto anche il leader dell’Is a Mosul. Grave la situazione in territorio siriano, dove le bombe del regime hanno colpito oltre ai miliziani più di 40 civili, tra cui sette bambini. Proprio ieri, nel messaggio Urbi et Orbi, il Papa aveva parlato di “tutti quegli Erode” che provocano con le loro spade vittime innocenti. Cecilia Seppia

Gli aerei della coalizione internazionale a guida americana continuano a sganciare le loro bombe contro le aree e i villaggi occupati dai jihadisti dello Stato Islamico (Is) che sembrano perdere terreno dopo i successi delle milizie curde, soprattutto nell’enclave di Kobane sotto assedio dallo scorso 16 settembre. In Iraq in particolare sarebbero oltre 20 i miliziani uccisi, 33 quelli feriti dai bombardamenti nella provincia di Ninive, piena di covi dei terroristi. Un duro colpo all’Is è arrivato sempre oggi con la morte di uno dei suoi leader, Saleh Hamid, considerato il “governatore jihadista di Mosul”: la notizia è stata confermata dalla Cnn che cita fonti della polizia irachena. Altre vittime si contano a Sinjar, nel Kurdistan iracheno, con 6 peshmerga rimasti uccisi e altri 11 feriti per i colpi di mortaio sparati dai guerriglieri. Drammatica la situazione in Siria, dove gli attacchi dell’aviazione di Assad su due villaggi del Nord controllati dai jihadisti hanno invece portato alla morte 40 civili, tra i quali sette bambini. A dirlo è l’Osservatorio siriano per i diritti umani con base a Londra, secondo cui tra le decine di feriti “molti sono in gravi condizioni”. Intanto mentre si ricompongono le alleanze per fronteggiare la minaccia dello Stato islamico, con la Turchia, disposta a sostenere Baghdad, il numero dei profughi tra Siria e Iraq aumenta a dismisura: a loro ieri è andato il pensiero del Papa che nell’Urbi et Orbi ha pregato perché ricevano gli aiuti umanitari necessari per sopravvivere alle rigidità dell’inverno. Da Francesco anche il monito perché sia messa fine ad ogni brutale persecuzione, subita in queste aree del mondo, da gruppi e minoranze religiose; infine il grido per i bambini “prime vittime del conflitto”, “massacrati sotto i bombardamenti”, “uccisi dalla spada di tanti Erode”.

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Afghanistan: mons. Marcianò prega per vittime innocenti

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Un pensiero “ai tanti bambini che muoiono e a tutte le morti dimenticate”, tra gli afghani come tra i cristiani in Siria e in Iraq, è stato rivolto nell'omelia di Natale dall'arcivescovo ordinario militare per l'Italia, mons. Santo Marcianò, ad Herat per una visita al contingente italiano in Afghanistan. Così come Papa Francesco, anche mons. Marcianò, ha pregato per le vittime innocenti delle violenze. Luca Collodi gli ha questo quale sia il senso della sua visita ad Herat: 

R. – E’ il saluto del vescovo di questi militari, tenendo presente che le missioni sono a supporto della pace, anche se si esplicitano in diversi ambiti e con particolari compiti, ma il fine resta sempre la pace. La pace che è sicurezza, la pace che è promozione sociale, la pace che è promozione culturale. Ed è quello che fanno i nostri militari. So che i militari, soprattutto nei teatri operativi, vivono il Natale con una sensibilità particolare, che non è – mi permetto di dire – quella dell’Italia: in Italia lo si vive con le proprie famiglie, si vivono quelle emozioni che sono legate a tradizioni e ad affetti. Qui la sensibilità religiosa viene acuita paradossalmente proprio dalla mancanza di quegli affetti. Il Natale lo si vive in modo più autentico: lo si vive come accoglienza di quel Cristo che si fa uomo e accoglie l’umanità per salvarla.

D. – Mons. Marcianò, l’elemento religioso, questo incontro tra religioni, quale risultato può portare sul mantenimento della pace?

R. – Io mi sento di ribadire quanto il Papa ha scritto, l’altro giorno, ai cristiani del Medio Oriente: c’è una dimensione dell’Islam che punta alla pace, che promuove la pace, che crede nella pace. Questa dimensione è vissuta dalla maggior parte dei musulmani: qui questo si tocca con mano ed è quello che i militari possono verificare. Ed è con questa gente che i cristiani - e i cristiani che sono militari - entrano in dialogo. Debbo dire che questo dialogo diventa quanto mai costruttivo, perché la collaborazione della gente locale è fondamentale per l’opera che i militari svolgono e non solo a livello di addestramento di quello che deve essere l’esercito per poi assicurare la sicurezza del Paese, ma anche per quanto riguarda la promozione civile, la promozione culturale, la promozione dell’uomo. Mi verrebbe di dire che questa missione in Afghanistan non è stata e non è per nulla vana per ciò che io ho potuto costatare, vedere e verificare proprio da tutti questi punti di vista e credo che ancora debba, in qualche modo, continuare: sarà una decisione che verrà presa dalla Nato, però certamente è una missione che deve ancora sopportare questo Paese.

D. – Un pensiero anche a un’altra realtà, quella indiana, per la vicenda dei due militari italiani, i marò…

R. – Io sono in continuo contatto con i due fucilieri, Massimiliano e Salvatore. E’ una situazione che indigna tutti, anche come cittadini italiani. E’ ovvio, siamo a Natale e non possiamo non accendere ancora di più e alimentare la virtù della speranza. Comunque io mi auguro che il governo italiano - che ringrazio per quanto sta facendo e da ordinario militare mi rendo conto degli sforzi dell’esecutivo - attraverso tutti i mezzi e tutte le vie lecite possa al più presto risolvere un problema che è certamente dei due fucilieri, ma che diventa un problema ancora più ampio perché riguarda il Paese Italia. Massimiliano sta attraversando un momento difficile per via della salute, che credo non si potrà risolvere nel breve periodo e quindi probabilmente avrà bisogno di fermarsi ancora in Italia. Salvatore vive una esperienza che diventa sempre più difficile, sia per il modo di vivere, per il tenore di vita, per lo stile di vita che conduce lì, all’interno dell’ambasciata, ma soprattutto per la lontananza dalla famiglia e per quella vita normale che ogni persona umana ha diritto di vivere. 

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Area euro: economia incerta, presidenza di turno alla Lettonia

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Ancora un Natale di crisi in Europa, anche se ci sono diverse velocità tra Paesi del Sud e quelli del Nord Europa. Delle prospettive e della presidenza di turno Ue che dal 1 gennaio spetterà alla Lettonia, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri

R. – Certamente è un altro Natale in cui la situazione economica dell’area europea, ma in particolare dell’area dell’euro, resta molto incerta, nel senso che quella modestissima ripresa - che si era verificata circa all’inizio dell’anno che sta per chiudersi - si è poi gradualmente attenuata e oggi torna l’incertezza. Quindi, al meglio, ci si aspetta una modestissima fase di espansione, ma che cambierà poco, ad esempio circa la disoccupazione e circa dati come questi. Quello che preoccupa di più è che i divari all’interno dell’area dell’euro continuano a consolidarsi e in qualche modo anche ad ampliarsi. Questo naturalmente è molto preoccupante.

D. – C’è il passaggio a livello istituzionale di presidenza di turno tra l’Italia e la Lettonia a fine anno. Che dire di questo Paese simbolo dell’Est europeo che prende la guida?

R. – Un Paese entrato insieme alla Lituania e all’Estonia nell’Unione Europea nel 2004; è un Paese che ha aderito quest’anno all’euro, quindi in qualche modo in controtendenza rispetto a molti che pensano addirittura di uscire dall’euro; è un piccolo Paese ma rappresenta certamente, per la sua vicinanza geografica con la Russia e per essere stato come sappiamo molti anni sotto l’influenza di Mosca, un Paese emblematico dal punto di vista della geopolitica. In parte anche dell’economia, perché, come sappiamo, è uno Stato che tiene molto alla linea del rigore, quindi ha anche sofferto una fase recessiva molto forte insieme ad altri. Da questo punto di vista, dunque, può rappresentare un Paese emblematico. Certamente, dobbiamo poi ridimensionare questa presidenza di turno semestrale. I poteri del presidente di turno sono limitati dal momento che sono state create nuove figure istituzionali, come il presidente del Consiglio europeo stabile. Queste cariche di turno insomma possono incidere in maniera molto marginale.

D. – Ma pur nel limitato ruolo di presidenza di turno, la Lettonia può in qualche modo contribuire nel rapporto di equilibri difficili tra Europa e Russia e quindi nella crisi ucraina?

R. – Certamente giocherà un ruolo in qualche maniera di sollecitazione per l’Unione Europea: perché prosegua a questo punto quella che poi è stata la cosiddetta politica delle sanzioni. E sappiamo che ci sono Paesi all’interno dell’Unione Europea – in testa la Francia – che spingono per un’attenuazione. La Russia di Putin, infatti, non ha per ora mostrato alcun ravvedimento vero e proprio. La Russia ha una crisi molto forte, ma questo non necessariamente può essere in qualche modo la condizione per sperare in un cambiamento di politica aggressiva da parte della Russia di Putin. Quindi, vedremo in qualche maniera una sollecitazione forte, perché si mantenga la politica delle sanzioni, la politica quindi di un confronto anche duro, aspro, verso la Russia da parte dell’Unione Europea. Le difficoltà sono molto forti, perché le divisioni all’interno dell’Europa – lo abbiamo visto nell’ultimo Consiglio Europeo – si sono già manifestate e quindi un piccolo Paese naturalmente potrà poco, ma potrà soprattutto agire in quello che poi è il Paese capofila di questa linea, che come sappiamo è soprattutto la Germania e la cancelliera Angela Merkel.

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Dopo l'alluvione, Genova riparte anche dagli aiuti Caritas

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E' stato un Natale di difficoltà quello appena trascorso a Genova, dove la popolazione sta ancora soffrendo per le conseguenze dell’alluvione di ottobre. Ma non mancano i segnali di speranza, grazie agli aiuti portati dalla Caritas locale. Isabella Piro  ha intervistato il direttore dell’organismo, don Marino Poggi

R. – Dal punto di vista operativo, cioè di una presenza attenta - che ha voluto caldamente anche il nostro arcivescovo, il cardinale Angelo Bagnasco - stiamo andando avanti, nel senso che il milione di euro stanziato dalla Cei, proveniente dall’8x1000, lo stiamo distribuendo attentamente, dividendo in tre settori le nostre offerte: subito alle famiglie; poi ai piccoli esercenti ed artigiani che si sono rivolti a noi, perché ne sono stati colpiti centinaia e centinaia; e quindi alle strutture comunitarie, in grande parte della Chiesa, ma anche non ecclesiastiche, perché era giusto che riprendessero immediatamente a vivere.

D. – Quanto è importante il lavoro di rete sul territorio per portare aiuto alle famiglie, alle persone più disagiate?

R. – Enormemente importante, perché non si può valutare dal di fuori. E più sono responsabili della distribuzione le persone del territorio e meglio si fanno le cose: laddove i parroci si sono messi in prima linea è stato tutto molto più semplice. Il lavoro dei Centri di ascolto, che capillarmente erano presenti sul territorio, in certe zone, è stato bellissimo, perché in fondo è stata una coralità di impegno.

D. – In questi giorni di Natale, a Genova che atmosfera si respira?

R. – Credo che sia diffuso il desiderio non tanto di dimenticare il male, quanto piuttosto di aprire gli occhi al bene. Naturalmente la tentazione del bene economico c’è, una giusta tentazione nel senso che è un bene anche questo. Il bene spirituale filtra con più difficoltà, ma insomma: Dio opera!

D. – Nonostante le difficoltà, la gente di Genova non dimentica gli altri sofferenti, tanto che la Caritas locale, assieme alla Caritas nazionale, ha aderito al progetto di solidarietà per la Giordania…

R. – Personalmente, conoscendo abbastanza bene la Giordania, ho detto: “È indispensabile allargare lo sguardo. Guai a ripiegarci sui nostri guai”! In Giordania si sta operando un soccorso internazionale forse poco conosciuto e non troppo aiutato, perché sono centinaia di migliaia le persone che arrivano in questo Paese, provenendo dalla Siria: i campi profughi sono affollatissimi! E la Giordania è un piccolo Paese. Guai a non essere presenti! La Caritas giordana è forte e quindi, attraverso di essa, speriamo di offrire un contributo anche noi proprio per queste famiglie profughe.

D. – Col Natale appena celebrato, come spera che il cuore dell’uomo venga rinnovato?

R. – Abbiamo bisogno di godere della presenza di Dio. Lo abbiamo un po’ dimenticato… Se godessimo di più del suo sguardo, del suo volto, come ci insegna a pregare la Liturgia “Mostraci il tuo volto”! E in Gesù il volto di Dio è brillato, anche nel segno bello che gli angeli hanno proposto, cioè un bambino deposto sul fieno.

D. – Questa è l’immagine della carità che l’uomo deve avere davanti nella sua azione quotidiana…

R. – Credo proprio di sì! Aprire gli occhi e prendere a cuore.

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Puglia: tesori artistici e di culto della diocesi di Andria

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Apertura straordinaria oggi nella diocesi di Andria, in Puglia, della chiesa rupestre di Santa Croce. Visite guidate e momenti musicali accompagnano in un percorso che illustra la storia del luogo di culto e i suoi preziosi cicli pittorici. L’iniziativa è stata avviata a novembre e vuole far conoscere il patrimonio culturale e religioso della diocesi di Andria. Tiziana Campisi ha chiesto a don Giuseppe Agresti, curatore dell’iniziativa, di spiegare com’è articolata la visita alla chiesa rupestre di Santa Croce: 

R. – Prevede in modo particolare la visita guidata di un percorso anche musicale ispirato al ciclo pittorico presente in questa chiesa rupestre di Santa Croce. Il percorso musicale è stato ideato dal maestro Michele Carretta ed è eseguito dal corso ‘Vox et anima’, è intitolato per Sancta Crucem ed è ripreso dalla terza antifona dei Vespri della Festa dell’Esaltazione della Croce. Per cui, abbiamo voluto mettere in risalto la musica e anche questo programma pittorico iconografico che è presente all’interno della Chiesa perché ci sono dipinti straordinari, unici per il loro genere e non solo nella Puglia ma, mi dicono gli storici e la sovrintendenza, unici al mondo.

D. – Nel clima delle festività natalizie, la visita a questa chiesa che cosa dice?

R. – Dice in modo particolare questo connubio tra l’incarnazione e la Risurrezione. Significa ancora di più prendere una particolare coscienza di ciò che il Signore ha fatto per ciascuno di noi e ciò che ha rappresentato nel tempo storico. Il tema della Croce, che è presente nella chiesa rupestre eretta verso il 14.mo - 15.mo secolo, ha una caratteristica di sensibilità umana e religiosa: questa spiritualità che gli uomini del tempo hanno tirato fuori, accentuando anche verità teologiche, hanno sempre una matrice pure antropologica di una determinata visione della vita del tempo. Infatti, dal 14.mo - 15.mo secolo ci sono gravi difficoltà: il trasferimento della sede papale ad Avignone, il cosiddetto scisma d’Occidente, la condizione anche poco felice del Regno di Napoli che era lacerato da una ventennale guerra e poi anche tutte le guerre di successione che ci sono state. Tutti questi fattori hanno inciso sul carattere tragico della vita dell’uomo del tempo, che è intesa essenzialmente come un cammino anche di preparazione alla morte. E quindi l’angoscia del peccato, l’ossessione della morte, l’idea che possa arrivare inaspettatamente la paura del giudizio e dell’inferno portano il fedele a credere che la salvezza possa esserci solo nel Cristo redentore e quindi a fissare lo sguardo su Cristo crocifisso come uomo sofferente. Dunque si sottolinea all’interno di questa chiesetta, attraverso questo programma iconografico, il ruolo salvifico della Croce come arma per la lotta contro il demonio e al contempo si rafforza anche la convinzione che la sofferenza umana è un segno di amicizia divina. Questo periodo natalizio vuole essere una riconciliazione con se stessi ma anche nella storia, nel vedere come i tempi si ripetono ma ci fanno riflettere tantissimo in questo deposito anche dell’uomo, che pone su dei muri il suo cammino di sofferenza e insieme di gioia.

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Le vite messe in moto da don Puglisi nel nuovo romanzo di D'Avenia

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E’ la Palermo del 1993 quella in cui si snoda “Ciò che inferno non è”, il nuovo romanzo di Alessandro D’Avenia, arrivato in libreria ed edito da Mondadori. Federico è uno studente di 17 anni con un professore di religione speciale: padre Pino Puglisi, chiamato “3 P”. Sarà proprio lui a chiedere a Federico di dargli una mano con i bambini del quartiere Brancaccio, dove forte è la presenza di Cosa Nostra, cambiando così la sua vita. D’Avenia è noto al grande pubblico per i suoi romanzi: “Bianca come il latte, rossa come il sangue” e “Cose che nessuno sa”. Debora Donnini lo ha intervistato: 

R.  – La cosa interessante del romanzo era non tanto scrivere una pagina di cronaca che tutti conoscono ma riuscire a raccontare le vite messe in movimento, quelle dei bambini, dei mafiosi, dei ragazzi, da questo lavoro silenzioso e costante che don Pino faceva a Brancaccio e nella scuola dove io l’ho conosciuto, che era il Liceo Vittorio Emanuele di Palermo. Quindi, poi, quello che mi interessava era - da scrittore - capire come queste vite messe in movimento potessero diventare, attraverso la lettura, le vite dei lettori stessi e, quindi, che quello che per me era stato decisivo per decidere cosa avrei fatto della mia vita potesse succedere anche ai lettori di questo romanzo, in particolare i ragazzi, visto che poi la via di accesso è Federico che ha 17 anni quando succedono questi fatti.

D. – Questo romanzo si può definire un’epica del quotidiano, nel senso che i ragazzi che vengono a contatto, nel libro, con don Pino Puglisi hanno la possibilità di abbracciare una strada diversa rispetto a quella della mafia…

R. – Il discorso è che a Palermo se nasci in un quartiere come quello di Brancaccio non hai possibilità di scelta, perché vieni educato sin da bambino a comportarti, a vedere il mondo in un certo modo. La battaglia più grossa che faceva “3P”, padre Pino Puglisi, in quel quartiere era quella per la costruzione della scuola media. Eravamo in un quartiere in cui i bambini in quinta elementare abbandonavano la scuola e rimanevano per strada. E quello che accade in quelle strade è che si impara un codice che è quello della sopraffazione, dell’abbassare lo sguardo di fronte a certe persone. Lui invitava questi bambini ad alzare la testa. Diceva spesso questa cosa: dovete andare a testa alta perché la dignità che avete è la dignità che vi ha dato Dio. Quindi questa è la cosa fondamentale di quegli anni e che lui, poi, ha pagato con la vita, proprio per rendere liberi quei ragazzini. Io sono stato a Brancaccio un mese fa e a Brancaccio non è cambiato niente. Hanno arrestato 18 mafiosi, qualche settimana fa, però ho visto che quello che faceva lui si è tramutato nella vita di tanti ragazzi, perché c’erano liceali e universitari, che adesso fanno i volontari nel centro “Padre Nostro” che lui aveva costituito: hanno preso il testimone di don Pino.

D. - Nei suoi romanzi centrale è sempre la figura del professore, a volte più forte come nel primo, a volte un po’ più in crisi come nel secondo romanzo. In questo caso molto, molto forte perché il professore è don Pino Puglisi. Lei di mestiere fa l’insegnante. Quanto pensa sia importante oggi recuperare a tutti i livelli, in tutti i settori, nel lavoro, nella famiglia, la figura del maestro?

R. – Questo è il tema fondamentale e, probabilmente, anche il motivo per cui in tutti e tre i romanzi c’è questa figura di Virgilio, declinata poi in maniera diversa, a seconda del tipo di romanzo, perché siamo in un momento in cui - io lo vedo soprattutto stando in classe con i ragazzi - ci si sente orfani di padri che aprano la strada. Siccome mi rendo conto che siamo in un momento di grande disperazione - e forse anch’io stavo perdendo un po’ la speranza - mi sono detto: ma perché quello che è accaduto a me a quell'età non può diventare qualcosa che accade, attraverso la finzione letteraria, anche a tanti altri lettori? Questa era la sfida.

D. – Possiamo dire che “Ciò che inferno non è” è quello che fa sì che lo stesso don Pino Puglisi, come ogni persona, possa non disperare, ma anche nel quotidiano fare scelte che vanno verso la luce e non verso le tenebre?

R. – Il tema del sacrificio di “3P”, padre Pino Puglisi, per me non è tanto la sua morte, ma è quello che la parola sacrificio dice nella sua etimologia: il rendere sacro ciò che c’è già. E lui sapeva che questo erano i bambini del quartiere e i ragazzi del Liceo dove insegnava, ma non con facili idealismi di chi pensa che i bambini e i ragazzi siano buoni, ma portarli a dover decidere cosa fare della loro vita. Fino a che non porti un segno di discontinuità in un quartiere come quello in cui non si può neanche decidere.

D. – Questo veniva a don Pino Puglisi anche dal suo rapporto con Dio...

R. – Sì, è inevitabile, perché non riesci a scorgere il sacro nella vita di un altro se non percepisci quello sguardo su di te.

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Nella Chiesa e nel mondo



Messico: ucciso un altro sacerdote nello Stato di Guerrero

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La polizia dello Stato messicano di Guerrero ha confermato di aver ritrovato il cadavere di padre Gregorio López Gorostieta, sequestrato lunedì scorso mentre si trovava nella sua stanza nel seminario di Ciudad Altamirano. La terribile scoperta è avvenuta nel municipio di Tlapehuala, che conta appena 9 mila abitanti, non molto distante dal luogo in cui, settimane fa, in una fossa comune, era stato trovato il corpo senza vita di un missionario dell’Uganda, padre John Ssenyondo, anch'egli sequestrato lo scorso 30 aprile da un gruppo armato. A nulla sono serviti i forti appelli lanciati in questi giorni dai vescovi, dai fedeli, anche attraverso la stampa locale per chiedere la liberazione di padre Gregorio. Con il suo omicidio, i sacerdoti uccisi in Messico nel 2014 salgono a 3 e nel Continente americano a 12. In Perù, mercoledì scorso, nel corso di una violenta rapina era stato ucciso padre Alfonso Comina Zevallos di 56 anni. (C.S.)

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Natale: Patriarca Kirill, auguri a capi Chiese non ortodosse

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Il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Kirill, ha rivolto i suoi auguri ai capi delle Chiese non ortodosse in occasione del Santo Natale. Il suo pensiero va quindi anche a Papa Francesco, a Karekin II, Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, al vescovo Heinrich Bedford-Strohm, presidente del Consiglio EKD, e ai capi delle altre Chiese non ortodosse. “Vi invio i miei auguri di cuore nella luminosa festività della natività del Signore”, scrive il Patriarca Kirill. “Questo mistero - prosegue - ha colmato l’universo con la grande gioia con la quale glorifichiamo il nostro Salvatore, cantando a lui 'Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama'.  Vi auguro - ha concluso - forza nello spirito e aiuto dalla Sorgente che sempre sgorga" per tutta la grazia nel vostro nobile ministero. (C.S.)

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Cisgiordania: molotov contro auto coloni, grave una bambina

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Una bambina israeliana di 11 anni è rimasta ustionata in modo molto grave ieri quando l’automobile su cui viaggiava insieme alla sua famiglia presso la colonia cisgiordana di Maale’ Shomron è stata centrata da due bottiglie molotov scagliate da palestinesi. Il veicolo è stato subito avvolto dalle fiamme e la bambina e il padre sono stati estratti con difficoltà dai soccorritori, mentre gli attentatori sono fuggiti. Già settimane fa l’automobile della famiglia Shapira era stata colpita da una bottiglia incendiaria in Cisgiordania. La piccola Ayala, affermano i medici, ha riportato ustioni su quasi il 50 per cento del corpo, in particolare alla testa e al collo. Nella zona dell’attentato è giunto in sopralluogo il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon. Dodici palestinesi di un villaggio vicino sono stati fermati per accertamenti. Intanto al termine di una battaglia legale protrattasi per sette anni, la Corte Suprema di Gerusalemme ha ieri ordinato lo sgombero dell’avamposto Amona (Ramallah) dove si sono insediate una quarantina di famiglie di coloni ebrei. Il presidente della Corte Suprema, giudice Asher Grunis, ha spiegato che l’avamposto si trova in buona parte su terre private palestinesi e va dunque rimosso. I coloni hanno comunque due anni di tempo per trovare un’altra sistemazione. Sempre ieri invece Israele ha dato il via libera preliminare alla costruzione di 243 nuove case di coloni nelle terre cisgiordane annesse a Gerusalemme e ha fatto progredire i progetti per altri 270 abitazioni nella stessa area. (C.S.)

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Libia: attacco islamista ad un deposito di greggio, 22 morti

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Libia ancora nel caos. E’ salito ad almeno 22 soldati uccisi il bilancio dell’attacco degli islamisti della “Coalizione dell’alba” (Fajr) contro un deposito petrolifero nel porto di Es Sider, nei combattimenti per il controllo del principale terminal per l’export del Paese e di quello adiacente di Ras Lanuf. Un razzo ha anche centrato una cisterna di greggio che si è incendiata ferendo alcune persone. Gli scontri hanno già ridotto la produzione di petrolio nel Paese a 352 mila barili al giorno, ha riferito un portavoce della compagnia petrolifera nazionale Noc, spiegando che al momento sono operativi solo i pozzi di Brega, Sarir, Messla e le piattaforme offshore. I due terminal di Es Sider e Ras Lanuf, al confine fra Tripolitania e Cirenaica, sono entrambi chiusi da circa una settimana, quando è scattata l’offensiva dei miliziani alleati della coalizione Misurata-islamisti che da agosto controlla Tripoli. (C.S.)

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Somalia: Shebab contro Amisom, 4 soldati uccisi

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In Somalia tornano a colpire gli Shebab, il gruppo integralista legato ad Al Qaeda. L’attentato è avvenuto contro il quartier generale dell’Unione africana, che ospita anche diverse ambasciate, e ha provocato la morte di 4 caschi verdi della missione Amisom oltre ad un contractor civile. I soldati hanno reagito uccidendo a loro volta 21 terroristi islamici, dopo 3 ore di scontro a fuoco. Il fatto che i guerriglieri siano riusciti a penetrare in un’area così protetta è motivo di preoccupazione per la forza Amisom che, schierata nel 2007 e forte di 22 mila uomini da vari Paesi africani, ha contribuito a cacciare gli Shebab dalla capitale Mogadiscio. L'attentato è avvenuto all’indomani della fiducia votata dal Parlamento somalo al nuovo premier, il 54enne Omar Abdirashid Ali Sharmarke, nominato la settimana scorsa dopo che il suo predecessore, Abdiweli Sheikh Ahmed, si era scontrato con il presidente Hassan Sheikh Mohamud. (C.S.)

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Naufragio nel fiume Congo, 30 morti, molti i dispersi

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Almeno trenta persone sono morte nel naufragio di un’imbarcazione sovraccarica sul fiume Congo, nel nordest della Repubblica Democratica del Congo. I sopravvissuti sarebbero 105 ma i soccorritori sono ancora alla ricerca dei numerosi dispersi. Lo ha annunciato Monulphe Bosso, portavoce del governatore della provincia orientale. Per protestare contro l’incidente, i familiari delle vittime hanno dato alle fiamme alcune imbarcazioni e gli uffici del commissariato fluviale di Isangi, la località dove era previsto l’arrivo della barca. I naufragi nella Repubblica Democratica del Congo sono purtroppo frequenti, sia nei laghi sia nei fiumi. L’ultimo risale al 14 dicembre scorso, quando un battello carico di persone e merci è affondato nel Lago Tanganica, causando la morte di 129 passeggeri. All’origine spesso il sovraffollamento di queste imbarcazioni. (C.S.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 360

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.