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Sommario del 25/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Bambini vittime degli Erode di oggi: il Papa Urbi et Orbi

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Gesù trasformi l’indifferenza in vicinanza, il rifiuto in accoglienza: è la preghiera di Papa Francesco al saluto Urbi et Orbi, in cui ricorda le lacrime di tanti nel mondo: vittime di “guerre, persecuzioni, schiavitù”. In particolare parla dei bambini, "vittime degli Erode di oggi". Torna a denunciare il silenzio complice di tanti e la globalizzazione dell'indifferenza.  Il figlio di Dio è la salvezza, dice Francesco, pregando perché “tolga la durezza dai cuori di tanti uomini e donne”. Il Papa parla a oltre 80.000 persone raccolte in Piazza San Pietro. Il servizio di Fausta Speranza: 

“Gesù è la salvezza per ogni persona e per ogni popolo”: la speranza del Natale è forte nelle parole di Francesco che però ricorda che “tante lacrime ci sono in questo Natale insieme con le lacrime di Gesù”. Papa Francesco, ricordando la gioia della nascita del Figlio di Dio, Salvatore del mondo, ricorda che “sono le persone umili, piene di speranza nella bontà di Dio, che accolgono Gesù e lo riconoscono”. In tante situazioni sembra prevalere “l’indifferenza, il rifiuto”, l’odio, la violenza. Il cuore del Papa Francesco è vicino innanzitutto ai bambini:

"Gesù Bambino. Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i  bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato".

La denuncia di Papa Francesco è forte e chiara, e ribadita: 

"Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode". 

L'invocazione e la preghiera: 

 “Gesù salvi i troppi fanciulli vittime di violenza, fatti oggetto di mercimonio e della tratta delle persone, oppure costretti a diventare soldati;bambini, tanti bambini abusati. Dia conforto alle famiglie dei bambini uccisi in Pakistan la settimana scorsa”.

L’attenzione del Papa è per tutti quelli che soffrono: nomina l’Iraq, la Siria, il Medio Oriente, la Nigeria e altri focolai di conflitto nel continente africano, l'Ucraina. E poi “i gruppi etnici e religiosi che patiscono una brutale persecuzione”, i malati e in particolare le vittime di ebola.  

“Il potere di Cristo, che è liberazione e servizio, si faccia sentire in tanti cuori che soffrono guerre, persecuzioni, schiavitù”.

E’ l’appello affinchè le persone sofferenti siano raggiunte dall’amore di Dio. Ma c’è poi la preghiera accorata a Dio perché tocchi i cuori di tanti distratti osservatori o responsabili:

“Che con la sua mansuetudine questo potere divino tolga la durezza dai cuori di tanti uomini e donne immersi nella mondanità e nell’indifferenza, nella globalizzazione dell’indifferenza. Che la sua forza redentrice trasformi le armi in aratri, la distruzione in creatività, l’odio in amore e tenerezza”.

Dunque il pensiero preciso a diverse situazioni, innanzitutto Iraq e Siria:

“A Lui Salvatore del mondo domando oggi che guardi i nostri fratelli e sorelle dell’Iraq e della Siria che da troppo tempo soffrono gli effetti del conflitto in corso e, insieme con gli appartenenti ad altri gruppi etnici e religiosi, patiscono una brutale persecuzione”.

“Il Natale porti loro speranza – dice Francesco - , come ai numerosi sfollati, profughi e rifugiati”.

“Quanti sono ora nella prova possano ricevere i necessari aiuti umanitari per sopravvivere, alla rigidità dell’inverno, fare ritorno nei loro Paesi e vivere con dignità.

E dunque l’appello perché le cose in Medio Oriente cambino:

“Possa il Signore aprire alla fiducia i cuori e donare la sua pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra benedetta dalla sua nascita, sostenendo gli sforzi di coloro che si impegnano fattivamente per il dialogo fra Israeliani e Palestinesi”.

Poi il pensiero alla martoriata Nigeria:

“Cristo Salvatore doni pace alla Nigeria, dove altro sangue viene versato e troppe persone sono ingiustamente sottratte ai propri affetti e tenute in ostaggio o massacrate. Pace invoco anche per altre parti del continente africano”.

E il Papa nomina anche la Libia, il Sud Sudan, la Repubblica Centroafricana e varie regioni della Repubblica Democratica del Congo. Anche qui l’appello concreto: “chiedo a quanti hanno responsabilità politiche – dice Francesco - di impegnarsi attraverso il dialogo a superare i contrasti e a costruire una duratura convivenza fraterna”.

E la speranza per l'Ucraina perchè "Gesù conceda a quell’amata terra di superare le tensioni, vincere l’odio e la violenza e intraprendere un nuovo cammino di fraternità e riconciliazione". 

Nella preghiera per le vittime di ebola, in particolare in Liberia, Sierra Leone, Guinea, c’è l’appello perché “siano assicurate l’assistenza e le terapie necessarie” ma anche un ringraziamento sentito per quanti si stanno adoperando coraggiosamente”.

Davvero per tutti, la preghiera di Francesco: “che lo Spirito Santo illumini i nostri cuori perché possiamo riconoscere nel Bambino Gesù, la salvezza donata da Dio a ogni uomo”.

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Al mondo serve tenerezza: così il Papa alla Messa di Natale

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La tenerezza di Dio, la sua umiltà e la sua pazienza verso gli uomini: al centro delle parole di Papa Francesco alla Santa Messa della notte di Natalenella Basilica Vaticana. Il Papa ha sottolineato che arroganti e superbi sono incapaci di accogliere il Signore. Il servizio di Isabella Piro: 

Gesù è il “bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto”: è questo il miracolo che si contempla nella notte di Natale. Ma per vederlo, dobbiamo aprire il nostro cuore. Così il Papa apre la sua omelia, in una Basilica Vaticana gremita di fedeli, mentre altrettanto numerosi sono quelli che seguono la celebrazione all’esterno, attraverso i maxi-schermi allestiti in Piazza San Pietro. Ricorda, il Pontefice, che luce di Dio “penetra e dissolve la più densa oscurità”, “cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù e instaura la gioia e la letizia”.

La pazienza di Dio nei confronti degli uomini
Violenze, guerre, odio e sopraffazione – continua il Papa – non hanno portato Dio a rinunciare all’uomo. Il Signore ha continuato ad aspettare, con pazienza:

“Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto. E tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio”.

Dio umile, innamorato delle nostre piccolezze
Ma c’è anche un altro segno che connota Dio: è la sua umiltà, “l’amore con cui ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri ed i nostri limiti”:

“Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza”.

Il mondo ha bisogno di tenerezza, bontà e mansuetudine
Ed è allora che il Papa pone al cuore dell’uomo un interrogativo: come accogliamo la tenerezza di Dio? Ci lasciamo raggiungere da Lui o gli impediamo di avvicinarsi? “La cosa più importante – ribadisce il Pontefice – è lasciare che sia Lui a trovarci, ad accarezzarci con amorevolezza”.

“Permetto a Dio di volermi bene? E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine”.

Arroganti e superbi incapaci di accogliere Dio
Tenerezza, prossimità, mitezza: questa la preghiera che dobbiamo rivolgere al Signore, continua Papa Francesco, così che possiamo vedere la sua “grande luce”, quella stessa che videro, duemila anni fa, i puri di cuore:

“La vide la gente semplice, disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura”.

Eseguito l’Et incarnatus est di Mozart
Durante la celebrazione, per desiderio del Pontefice,  al momento del “Credo” è stato eseguito l’ “Et incarnatus est” della Messa in Do minore di Mozart. Ad eseguirlo è stata l’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh guidata dal direttore austriaco, Manfred Honeck. La voce solista è stata Chen Reiss, soprano di origini israeliane. Un canto struggente, che il Papa ha ascoltato in ginocchio, raccolto in preghiera.

Al termine della Messa, invece, il Pontefice ha preso tra le braccia la statua del Bambinello posta davanti all’Altare della Confessione e, in processione, l’ha portata fino al Presepe allestito in Basilica, nella Cappella della Presentazione. Ad accompagnarlo, anche dieci bambini in abiti tradizionali, provenienti da diversi Paesi del mondo: Corea, Filippine, Italia, Belgio, Libano e Siria.

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Il Papa telefona ai profughi in Iraq: siete come Gesù

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Nella vigilia di Natale, pensando in particolare ai profughi, Papa Francesco ha voluto raggiungere, grazie a un collegamento satellitare attraverso Sat 2000, il campo di Ankawa, nei pressi di Erbil, in Iraq. Le parole del Papa, diffuse dall'emittente, sono state tradotte in arabo da un sacerdote locale: 

"Buona sera - ha detto il Papa - saluto tutti voi in questa serata di Natale. Buona sera e che voi siete pronti a celebrare la messa e io mi unisco a tutti voi in questa celebrazione. Abbraccio tutti voi e auguro a tutti voi un santo Natale". "Voi siete come Gesù la notte del suo Natale: per lui non c'era posto e lui è stato cacciato via ed è dovuto fuggire in Egitto per salvarsi. Voi siete come Gesù questa sera e io vi benedico tanto e sono vicino a voi. Pensate che siete come Gesù in questa situazione e questo a me fa pregare di più per voi".

Quindi il Papa ha aggiunto: "Cari fratelli e sorelle vi sto vicino, molto vicino questa sera. Sono vicino a voi con tutto il cuore e chiedo a Gesù che vi carezzi con la sua tenerezza e alla Madonna che vi dia tanto amore. Sono molto vicino a voi".

Successivamente, è caduto il collegamento via satellite ed allora il Papa ha continuato il dialogo con il conduttore in studio di TV2000 che ha poi riassunto ai profughi le parole del Pontefice: "Vicinanza e tenerezza: pensi che il Natale è la festa della vicinanza di Dio con noi e la tenerezza e' ciò che Dio fa per manifestare, la tenerezza di un bambino e di una mamma. Gesù lo ha detto in due brani del Vangelo, dove c'e' tutta la vita cristiana: nelle Beatitudini e poi nel brano di Matteo 25: Tu vai a trovare gli ammalati, i carcerati, quelli che hanno bisogno, curati delle vedove, di chi non ha da mangiare e da visitare, curati dei bisognosi, che sono la carne di Cristo. Questo si chiama tenerezza".

Il Papa ha concluso: “Questa sera viene Gesù, viene come un bambino, tenero, innocente. I bambini che sono tra voi i bambini morti i bambini sfruttati. Pensiamo ai bambini: Gesù Bambino viene tra noi, è l'amore e la tenerezza di Dio. Che il Signore ci dia la grazia di riceverlo con tanto amore. E anche penso ai nonni agli anziani, che hanno vissuto tutta la vita e adesso soffrono questa croce. Che gli anziani ci diano a tutti noi la saggezza della vita. Nel mio cuore questa notte ci sono i bambini e gli anziani. E adesso a tutti voi, specialmente bambini e anziani, vi benedico di cuore".

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Con Gesù c’è la vera gioia: il tweet di Francesco a Natale

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Nel giorno di Natale, Papa Francesco via Twitter scrive: “Con Gesù c’è la vera gioia”.

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Oggi in Primo Piano



Natale in Iraq. Il nunzio: cristiani certi che Dio non abbandona

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E' un Natale di sofferenza ma anche di speranza quello delle comunità cristiane presenti in Iraq, terra sconvolta dalla furia dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Per le famiglie che sono rimaste nella loro terra è difficile credere ancora nel futuro ma “il Natale rinnova in ciascuno la certezza che Dio non ci abbandona mai”. Lo testimonia - al microfono di Gabriella Ceraso - mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq e Giordania: 

R. – La prima cosa che mi viene in mente, pensando al Natale in Iraq, quest’anno, è la frase del Vangelo che dice: “Non c’era posto per loro nell’albergo”. Purtroppo, tante famiglie si trovano di fronte a questa realtà: non c’è posto per loro in una casa, in una struttura, in un villaggio, addirittura in un Paese che era il loro. Quindi, fanno l’esperienza della famiglia di Nazaret che si vede chiudere le porte in faccia. Dall’altra parte, mi sembra che facciano anche l’esperienza dei pastori che vanno a trovarli, che portano dei doni … e anche dei Re Magi … tutta questa solidarietà internazionale infatti la vedo un po’ come i Magi che vanno incontro a questo Gesù Bambino che sta soffrendo, che è piccolo, che è debole, però non è dimenticato da tutti.

D. – Il Natale, il farsi uomo di Gesù che nasce per l’umanità intera e per salvarla: quindi, c’è speranza, c’è gioia. Qual è il suo augurio e anche, quali sono le parole per i cristiani iracheni in questo senso?

R. – Abbiamo scelto quest’anno, come immagine natalizia degli auguri che facciamo come nunziatura, un bambino rifugiato iracheno che sta dormendo per la strada con la testa sulle pietre, e l’abbiamo messa in una mano, che rappresenta Dio che non lo lascia solo, e una Madonna, come se lui la stesse sognando: lui è forse ignaro, ma la Madonna sta proteggendo questo bambino in cui vede suo figlio, oggi. Ecco. Mi sembra che il Natale sia la festa che ci ricorda che Dio non ci abbandona.

D. – E quindi, a maggior ragione, dirlo, ripeterlo e farlo arrivare ai cuori dei cristiani iracheni …

R. – Sì, queste persone sono radicate nella loro fede; sanno che Dio è con loro, nonostante tutto.

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Zambia. Padre Moroni: Natale in un clima elettorale

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Assaporare la gioia di una rinascita sia spirituale che concreta e celebrare la pace che ha sempre accompagnato il Paese: è con questa attitudine che lo Zambia vive quest’anno il Natale. A testimoniare questa realtà, dalla capitale Lusaka, è padre Giambattista Moroni, missionario comboniano, al microfono di Davide Maggiore

R. – Il tempo del Natale qui in Zambia, innanzitutto, colpisce perché da voi si canta al freddo al gelo e qui invece fa caldo e piove. Quindi c’è un clima di gioia perché finalmente è tornata la pioggia e riprende la vita, quasi che il Natale del Signore corrisponda alla rinascita della vita. Nel giro di 15 giorni tutta la campagna, tutta la terra diventano verdi. Quindi c’è un clima di gioia, di festa e in generale, come in tutto il resto della Chiesa universale, di preparazione alla venuta del Signore cercando di cambiare la propria vita, alzare le strade, abbassare i colli, riempire la valli dei nostri peccati.

D. – Qui l’aspetto spirituale del Natale ancora riesce a essere più sentito di quello commerciale?

R. – Sì, in genere l’aspetto commerciale non è ancora così visibile e prevalente, se non nelle città, nei centri commerciali. Comunque nelle parrocchie, nelle comunità cristiane, si vive per la gioia di questo evento della nascita di Cristo in maniera spirituale.

D. – Dal punto di vista invece della società, quest’anno è anche il 50.mo anniversario dell’indipendenza dello Zambia; quindi la festa religiosa del Natale si sovrappone un po’ alle celebrazioni che sono andate aventi per tutto l’anno della festa civile dell’indipendenza …

R. – Sì, quest’anno per lo Zambia è stato un momento bello di celebrazione per ricordare i 50 anni del cammino fatto nella pace. Lo Zambia è uno dei pochi Paesi dell’Africa che non ha mai conosciuto una vera guerra civile all’interno; solo scaramucce nei momenti un po’ caldi delle elezioni, che tra l’altro stiamo per rivivere ancora una volta per la morte improvvisa del presidente dello Stato Michael Sata; il 20 gennaio ci saranno nuove elezioni. Quindi, questo clima del Natale è un po’ ombrato dal clima politico, purtroppo, che si è creato. È in pieno corso la campagna politica.

D. – Allargando ulteriormente lo sguardo alla società, quali sono le sfide?

R. – Penso che la sfida più grande sia quella di continuare a costruire il futuro di questo Paese in unità. La coesione sociale è sempre stata la ricchezza di questo Paese e deve continuare ad esserlo nonostante gli individualismi che ci sono, legati soprattutto alla povertà, alla distribuzione della ricchezza che purtroppo non è equa.

D. – Un pensiero, una preghiera, un auspicio della Chiesa dello Zambia per chi ci ascolta attraverso la Radio Vaticana …

R. – In occasione del 50.mo dell’indipendenza, la Conferenza episcopale ha emanato un documento in cui viene evidenziato questo desiderio di giustizia, di verità, di pace, di fraternità, di equità, che la Chiesa si augura per la nazione. La Chiesa cattolica insieme alle altre Chiese, hanno, da questo punto di vista, coordinamento e comunione di intenti. E questo è di buon auspicio, affinché siano il modello di questo progetto di famiglia e unità che tutta la comunità possa seguire.

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Appello di pace da Betlemme, migliaia i pellegrini in Terra Santa

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Un accorato appello di pace si è levato dalla Basilica della Natività a Betlemme, dove il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha celebrato la Messa della Notte di Natale.  Monsignor Twal ha auspicato che ebrei, musulmani e cristiani ''vivano in eguaglianza, nel rispetto reciproco''. Migliaia i pellegrini giunti in Terra Santa per queste festività. Betlemme è ancora circondata da mura, eppure i cristiani e i musulmani vivono assieme questo Natale, così come assieme vivono ogni giorno le difficoltà imposte dalle condizioni di vita simili a una prigionia. Quest’anno nella città culla di Gesù si sono riuniti anche i cristiani di Gaza, 700 i permessi rilasciati loro dalle autorità israeliane, oltre 25mila quelli concessi ai cristiani di Cisgiordania. Sono molti più degli altri anni, ha spiegato mons. Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina. Francesca Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente a Betlemme padre Vincent Bosco, vicario della Casa Salesiana: 

R. – Tutti noi sappiamo cosa sia successo in questo anno, la guerra e tante altre cose, quindi il 25 dicembre ci porta davvero la speranza per le genti che vivono qui. E’ un’occasione celebrare così il Natale, essere insieme ha un valore importante. Vedere le persone che vengono da ogni parte del mondo ci porta una gioia diversa rispetto ad altri giorni. Betlemme vuol dire “casa del pane” e quindi la “casa del pane” accoglie sempre tutti noi, insieme, nel nome di Gesù siamo radunati tutti. Le persone qui soffrono e il cristianesimo sta ormai diminuendo, però questo Natale ci porta anche la speranza e la “speranza”, per noi come cristiani, è un’attesa. Io prego come sacerdote, prego per tutti e non solo per i cristiani, prego per tutti affinché si sia tutti uniti e ci si possa accettare gli uni gli altri, e che si possa portare un sorriso agli altri. Questa mattina sono andato sul luogo dove è nato Gesù ed ho visto che c’erano anche musulmani, vogliono condividere anche loro la gioia con noi.

D. – Padre Vincent, i salesiani di Betlemme danno il pane a tutti i poveri, cristiani e musulmani, e accolgono a scuola studenti cristiani e non. Avete poi un rapporto privilegiato con le famiglie cristiane, qual è la richiesta forte che arriva da loro?

R. – I giovani chiedono di essere attenti alla loro identità, non sempre si rendono conto di chi sono, e cercano di scappare da qua. La nostra scuola accoglie anche musulmani, e sono l’80 per cento, quindici anni fa i numeri erano invertiti. Ma noi continuiamo a lavorare, continuiamo a portare avanti la missione di Don Bosco. Certamente il nostro forno aiuta cristiani e musulmani, tutti noi abbiamo fame. Non c’è una differenza tra le religioni, non è che una ha fame e l’altra no e dobbiamo dare a chi non ha.

D. – Anche se il muro continua ad esserci, anche se il muro continua a crescere, non toglie a questo Natale la speranza, vero?

R. – Che cosa può offrire il cristianesimo ad una società che soffre così? La gioia e la speranza! Ecco, Natale ci porta quello. Certamente il muro esiste però anche noi, come cristiani, rischiamo di costruire muri, ognuno di noi nel proprio cuore. Ecco, dobbiamo togliere il muro costruito nel nostro cuore, dobbiamo essere aperti e accogliente verso gli altri. Io prego affinché i popoli, qui a Betlemme, sentano la pace, un po’ di speranza e respirino un po’ di gioia. Questo è il mio desiderio: auguro a tutti i popoli, non solo qui a Betlemme, ma in tutto il mondo, che sia davvero un Natale che di speranza e gioia.

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Filippine: Natale di speranza, in attesa del Papa

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“Misericordia e compassione”. Questo il motto del viaggio di Papa Francesco nelle Filippine, dal 15 al 19 gennaio prossimi. Nell’ottica della visita del Pontefice, il Paese asiatico, a maggioranza cattolica, celebra il Natale con uno sguardo di speranza, dopo anni di tribolazioni per le conseguenze del tifone Haiyan - o Yolanda com’è stato chiamato nell’arcipelago - che nel novembre 2013 ha causato oltre 6 mila morti accertati e più di mille dispersi o dei violenti attacchi indipendentisti, soprattutto sull’isola meridionale di Mindanao. Ce ne parla padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime che da trent’anni a Zamboanga porta avanti il dialogo tra cristiani e musulmani col movimento Silsilah. L’intervista è di Giada Aquilino

R. - È un Natale di speranza, perché nonostante i grandi problemi che ci sono stati, le calamità, le guerre ed altro, la gente si aspetta molto da questa visita del Papa. Anche sui giornali, quasi ogni giorno, c’è qualcosa in relazione alla visita del Papa e tutti, pure i musulmani, parlano con gioia di questa visita del Papa. E questo è positivo. Poi questo Natale ha una sua caratteristica speciale, perché ogni anno - fino al 2021, quando si celebreranno i 500 anni della presenza del cristianesimo nelle Filippine - la Chiesa ci propone un tema particolare: quest’anno è l’anno dei poveri. Quindi il Natale, col pensiero e l’attenzione ai poveri, ha molto significato. In più il Papa che viene nelle Filippine è un Papa che ama i poveri. Tutte queste cose ci portano nel clima del Natale. Certamente, non si ignorano le difficoltà. Noi - come movimento Silsilah - ogni anno facciamo un calendario speciale, mettendo insieme sia il gregoriano, sia quello dei musulmani. Abbiamo scelto come tema “Human rights”, cioè i diritti umani, perché in questo momento particolare non soltanto nelle Filippine ma anche nel mondo c’è tanta violenza.

D. - Che realtà sono i poveri nelle Filippine?

R. - I ricchi diventano più ricchi e i poveri aumentano. Ci sono 12 milioni di filippini all’estero e questo è anche motivo di povertà. Da una parte, dal punto di vista economico, quello che i filippini dall’estero mandano in Patria è la risorsa più grande del Paese; dall’altra parte, ci sono i vari impatti, sia negativi sia positivi. Tra gli impatti negativi troviamo le famiglie che si dividono, quindi le varie situazioni di distanza; tra quelli positivi, c’è la speranza che la nostra gente possa portare un messaggio di pace nel mondo.

D. - Il tifone Haiyan o Yolanda che segno ha lasciato nel Paese? Com’è cambiato il Paese dal novembre 2013?

R. - Il Paese sta cercando di superare quel problema, ma qualche settimana fa abbiamo avuto un altro tifone molto grave. Quindi il Paese si deve abituare, purtroppo, con difficoltà, a questa realtà del clima che cambia. Celebrando il Natale si pensa dunque all’incarnazione del Signore in questo momento storico e in questa realtà particolare della povertà e della violenza che c’è nelle Filippine, ma diremo anche nel mondo.

D. - Lei è a Zamboanga, che è stata più volte attaccata dai ribelli del Fronte di liberazione nazionale Moro. A che punto è il dialogo?

R. - Delicato, perché il governo vorrebbe concludere un accordo che va avanti da anni con un gruppo d’insurrezione. Speriamo che arrivi a destinazione nel mondo giusto, però ci sono anche segnali di opposizione. Da parte nostra, cerchiamo in tutti i modi di creare un atteggiamento positivo. Qui a Zamboanga abbiamo avuto una guerra nel settembre del 2013, avvenuta purtroppo in un contesto in cui gli animi tra i cristiani e i musulmani si stanno dividendo. Il nostro lavoro è intenso, ci sono risultati, però c’è da lavorare con tanta fede e coraggio. Ci sono molti pregiudizi che vengono alimentati da questo clima internazionale, caratterizzato dall’avanzata dell’Is, del radicalismo islamico, che si sente anche qui da noi.

D. - Tra pochi giorni- dal 15 al 19 gennaio - il Papa sarà nelle Filippine. L’arcivescovo di Manila, il cardinale Tagle, ha detto che l’arrivo di Papa Francesco sarà come “un tifone di rinnovamento spirituale” per il Paese. Di cosa hanno bisogno oggi le Filippine?

R. - Questo cosiddetto “tifone” della presenza del Papa sicuramente porterà un grande segno di speranza. Quello che mi auguro che accada è che, dopo l’entusiasmo della visita, la comunità cristiana e cattolica in particolare veramente prenda sul serio l’impegno per i poveri e poi per la pace e la speranza. E che questa speranza non sia soltanto un fatalismo, ma un atto di fede vissuto ogni giorno nell’amore.

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Centrafrica. Mons. Coppola: Natale più sereno dopo violenze

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La Repubblica Centrafricana vive un altro Natale nell’incertezza ma con la speranza che la guerra civile possa essere sempre di più un ricordo del passato: oggi la situazione è più tranquilla, anche grazie alla presenza dei 10mila caschi blu della missione Onu ‘Minusca’. Il bilancio di due anni di violenze è di oltre 5mila morti e 800mila sfollati: tante sono le ferite da rimarginare, in particolare tra le varie componenti religiose del Paese. La riconciliazione nazionale è sostenuta da un forte impegno della Chiesa cattolica. Marco Guerra ne ha parlato con mons. Franco Coppola, nunzio apostolico a Bangui: 

R. – Questo Natale è un Natale che si vive con grande speranza per la prima volta da tre anni a questa parte: due anni fa, il Natale 2012, fu segnato dall’inizio della rivolta della Seleka e quindi dall’invasione di questa milizia in tutto il Paese; e il Natale dello scorso anno – il Natale del 2013 – segnò l’inizio della rivolta degli anti-Balaka, che giusto qualche giorno prima di Natale cominciavano questi scontri e questo ha impedito di fatto di poter celebrare serenamente il Natale negli anni scorsi. Quest’anno certamente la situazione è molto migliorata rispetto agli ultimi due anni: sicuramente la popolazione è stanca di questi scontri, di queste fazioni; la gente vuole voltare pagina e vuole riprendere la vita normale. E’ in corso di dispiegamento una forza importante delle Nazioni Unite - a fine marzo dovrebbero essere 12 mila soldati che assumeranno il controllo del territorio - che sta accompagnando anche le forze politiche e le autorità ad intavolare un dialogo, che veda intorno allo stesso tavolo tutte le persone che hanno qualcosa da dire sul futuro del Centrafrica, quindi i politici ma anche le milizie e le forze che hanno preso le armi per combattere. Una volta fatto questo dialogo nazionale, tra giugno e luglio dell’anno prossimo ci dovrebbero essere le elezioni presidenziali e legislative, nelle quali si eleggerebbero delle persone di consenso, delle persone che possano cioè godere della fiducia della popolazione e che potrebbero far uscire il Centrafrica da questa transizione che è durata già troppo.

D. – Cosa impedisce di imboccare la via della pace?

R. – Il fatto che le due comunità sono state pesantemente ferite: ci sono delle ferite vite! La comunità non musulmana, sia i cristiani che gli adepti delle religioni tradizionali, hanno subito pesanti esazioni e atrocità durante tutto il 2013; mentre la comunità musulmana è stata pesantemente colpita durante tutto questo 2014. Non è stato uno scontro di eserciti, sono state violenze nei confronti dei civili e le persone sono ferite. Se da un lato, a livello di popolazione, c’è certamente il desiderio di girare pagina, è vero pure che a livello di capi, a livello di responsabili, a livello di politici, questo sentimento di giustizia che arriva delle volte ad un desiderio di vendetta viene sfruttato per alimentare questo scontro. Però si guarda al futuro con più speranza! Un cammino difficile ancora ci aspetta, però credo che il sentiero imboccato sia decisamente quello che porterà alla pacificazione del Paese. E la Chiesa in questo sta dando un contributo molto importante. Proprio nelle settimane precedenti al Natale, l’arcivescovo della capitale ha guidato dei gruppi della Caritas a rendere visita nei campi dei miliziani delle due parti: hanno visitato dei campi di miliziani anti-Balaka, hanno visitato dei campi dei miliziani Seleka, portando aiuti concreti e cibo, medici ed infermieri che hanno curato le persone malate e ferite… la Chiesa sta mostrando la mano della riconciliazione per quel Paese.

D. – Il Natale è anche un’occasione per vivere nella propria comunità la propria fede: questo può aiutare anche la riconciliazione?

R. – Certamente ed è quello che speriamo tutti: festeggiarlo come si conviene e anche fermarsi a riflettere sul bene ricevuto attraverso questa festa, attraverso quello che significa. Speriamo proprio che una certa serenità – che esiste in grande parte del Paese in questi giorni e in queste settimane – possa permettere di vivere queste feste ed avere il cuore abbastanza libero per poter ricevere il messaggio che viene da queste feste, ricevere il Signore che arriva in questo Natale.

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Natale speciale a Cuba dopo l'accordo con gli Usa

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“I presidenti Castro e Obama ci hanno fatto un bel regalo. Questo sarà un Natale speciale per Cuba”. Le parole al quotidiano Avvenire dell’arcivescovo di Santiago, mons. Dioniso Garcia Ibanez, mostrano, come il clima nell’isola caraibica, soprattutto per la folta comunità cattolica, sia decisamente cambiato  dopo l’annuncio statunitense di voler riprendere i rapporti dopo oltre 50 anni. Su questa storica svolta tra Washington e L’Avana, che dà a questo Natale un sapore particolare, Giancarlo La Vella ha intervistato Ivana Borsotto, vicepresidente del Movimento Laici per l’America Latina (Mlal): 

R. – E’ un accordo – quello tra Obama e Raul Castro – che va a sanare una ferita che avvelenava i rapporti tra Nord America e i Paesi dell’America Latina, e avvelenava anche le relazioni tra gli stessi Paesi dell’America Latina e anche all’interno degli stessi Paesi. Credo che sia una prova di maturità, che hanno dato i due presidenti, nel senso che questa contrapposizione era in qualche modo già superata dalla storia.

D. – Che sapore avrà quest’anno, il Natale, per la popolazione cubana?

R. – Sicuramente questo accordo è un accordo di speranza, nel senso che laddove si afferma il dialogo si aprono porte che noi speriamo favoriscano tutti, tutti i Paesi dell’America Latina, non solo Cuba e anche gli Stati Uniti; sono dialoghi che possono rafforzare le democrazie, e sono dialoghi che possono in qualche modo riaprire anche riflessioni sulla politica economica, ma anche sulla politica sociale. Allora, noi speriamo anche che si aprano riflessioni che permettano di migliorare le politiche di promozione dei diritti umani. L’altra speranza, vista più in generale per tutta l’America Latina, è che togliendo questo elemento di contrapposizione, l’America Latina possa sentirsi più unita. E questi sono tutti argomenti che, visti da un punto di vista di chi ci lavora come organizzazioni non governative e collabora con i partner e gli amici latinoamericani che abbiamo, devo dire che è un Natale di speranza.

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Nella Chiesa e nel mondo



MO: appelli per la liberazione del pilota giordano catturato dall'IS

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“Spero che Dio riempia il vostro cuore di pietà, liberatelo”. Questo l’appello del padre del pilota giordano imprigionato ieri dai terroristi dello Stato Islamico in Siria. Il militare 27enne era stato preso dopo la caduta del suo aereo e le immagini della sua cattura erano state diffuse nei canali web dei jihadisti.  Per i miliziani l’F-16 sarebbe stato abbattuto da un missile terra-aria, circostanza invece smentita da Wasinghton e da Amman, che parlano invece di un guasto tecnico. Il re giordano Abdullah II ha intanto creato un’unità di crisi  e ha detto di stare seguendo “da vicino e con grande attenzione” tutta la vicenda. Intervenuto anche il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che ha chiesto agli islamisti di “trattare il pilota secondo il diritto umanitario internazionale”. Secondo alcune fonti locali i terroristi sarebbero infatti divisi sulla sorte da riservare al prigioniero: la parte “cecena” vorrebbe giustiziarlo mentre altri vorrebbero lasciarlo in vita. Si tratta del primo soldato della coalizione internazionale caduto nelle mani dell’Is dall’inizio dei raid contro gli islamisti. Intanto secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani oggi 30 miliziani dello Stato Islamico sarebbero stati uccisi durante gli sconti con le forze curde nel nord-est della Siria. (M.R.)

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Mauritania: giovane musulmano condannato per blasfemia

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Un giovane è stato condannato a morte per blasfemia in Mauritania. Lo scorso gennaio aveva pubblicato un articolo sul web in cui, secondo i giudici, parlava di Maometto “con leggerezza”. Il condannato - appartenente al gruppo sociale dei “lemaalmine” (i fabbri), tradizionalmente marginalizzato in Mauritania – aveva paragonato le ingiustizie subite dal suo gruppo a quelle subite dal profeta dell’Islam durante la sua vita. La decisione è stata presa dopo oltre sette ore di dibattito da un tribunale di prima istanza a Nuadibyu, nel nord-ovest del Paese, ed è stata accolta con grida di gioia da chi partecipava all’udienza. Il ragazzo, Mohamed Cheik uld Mjaitir, si era difeso sostenendo di "non voler compromettere il profeta, ma di voler difendere uno nstrato della popolazione mal considerato e maltrattato". Sebbene il codice penale mauritano preveda la pena di morte per “tutti i musulmani che si fanno gioco di Allah, dei suoi angeli, dei suoi libri o dei suoi profeti”, l’ultima esecuzione risale al 1987. (M.R.)

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Pakistan: tribunali militari speciali per terrorismo

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Il premier pakistano Nawaz Sharif ha annunciato la creazione di tribunali speciali militari per i reati di terrorismo. La decisione, che ha ricevuto il sostegno delle principali forze politica, arriva dopo l’attentato di Peshawar della scorsa settimana, in cui 150 bambini sono stati massacrati dai talebani. “Si chiede un’azione forte per sradicare alla radice la minaccia estremista nella nostra società, ha detto Sharif. (M.R.)

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Hong Kong: Dodici persone arrestate dalla polizia

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Dodici persone sono state arrestate a Hong Kong durante alcuni scontri tra manifestanti e polizia. Centinaia di persone sono infatti scese in strada per chiedere “un verso suffragio universale”. Si tratta della prima protesta in città dopo lo smantellamento dei sit-in del “movimento degli ombrelli”, cominciati a fine settembre e terminati la scorsa settimana. Le forze dell’ordine hanno caricato con manganelli e spray urticanti. Due i poliziotti feriti. (M.R)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 359

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.