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Sommario del 24/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Comastri: per nascere Gesù ha chiesto non potere ma un padre e una madre

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La Chiesa vive in queste ore la vigilia della Natività, pronta questa sera a mettersi in ascolto di Papa Francesco, il quale alle 21.30 darà inizio, in San Pietro, alla Messa solenne della Notte del Natale, portando personalmente l'immagine del Bambino al presepe in Basilica. La celebrazione sarà trasmessa in diretta mondovisione e tra le molte emittenti a collegarsi per la prima volta per una radiocronaca sarà anche la Radio nazionale del Paese più popoloso a maggioranza musulmana, l'Indonesia. Al microfono di Alessandro De Carolis, il cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano, riflette sul Natale dando particolare risalto alla dimensione familiare della venuta di Gesù nel mondo: 

R. – Quando si avvicina il Natale, a me vengono sempre in mente due fatti che poi sono nel Vangelo. Il primo fatto è questo: l’Annunciazione avviene in una casa. Noi ci aspetteremmo che il grande evento avvenisse nel Tempio di Gerusalemme, che avvenisse in un luogo di culto… E invece, avvenne in una casa. Indubbiamente, Dio vuole sottolineare l’importanza della casa nella vita delle persone. E oggi si sta smarrendo, l’importanza della casa. Secondo fatto: la scena del Natale – non dimentichiamolo – è una famiglia. Non è solo il Bambino: è un padre – un padre giusto, come venne chiamato Giuseppe – una madre immacolata, come viene chiamata Maria, e il bambino sotto lo sguardo di Maria e di Giuseppe. Perché? Perché nel Natale il Figlio di Dio non ha voluto ricchezze?  Non è un incidente: è una scelta di Dio. Non ha voluto neanche potere umano, ma ha voluto una famiglia, e soltanto una famiglia ha chiesto venendo in questo mondo. Chiaramente, per ricordarci l’importanza della famiglia. Se non capiamo questo, noi rischiamo di fare bei canti di Natale, accendere luminarie di Natale, ma di non cogliere il messaggio.

D. – Questo messaggio della famiglia che viene dalla Grotta di Betlemme si collega ovviamente a quello che la Chiesa sta vivendo in questa fase…

R. – Esatto. E proprio per questo, voglio sottolinearlo. Pensi che Santa Teresa di Lisieux, quando inizia il racconto della sua vita, dice: “A me sembra di essere nata in una terra santa”, e la “terra santa” erano il papà e la mamma. Lo dovrebbe dire ogni figlio: “Sono nato in una terra santa”. Papa Giovanni XXIII, quando iniziò a recitare l’Angelus alla finestra –  era il 9 novembre 1958 – non dimentichiamo che è stato lui ad iniziare. Ma sapete perché? Lui ha detto: “Perché mi sta tanto a cuore, questa preghiera dell’Angelus, e non l’ho imparata in parrocchia, non l’ho imparata neanche in Seminario”, disse. “L’ho imparata dalla viva voce della mia mamma, e noi 13 figli rispondevamo alla preghiera della mamma. Dormivamo su pagliericci di foglie di grano turco, ma nella mia casa si iniziava con la preghiera e si terminava con la preghiera”. E aggiunse: “Eravamo poveri, la polenta quasi tutti i giorni, le scarpe solo per le feste, altrimenti scalzi o con gli zoccoli… Però, la mia casa era piena di Dio”. Chi lo può dire, oggi? Quanti figli possono ripetere la stessa cosa? Le faccio una confidenza. Nel 1970, io ero aiuto cappellano al carcere di Regina Coeli e ricordo che qualche giorno prima di Natale venne a trovarmi nella celletta dove ricevevo i detenuti, uno ad uno, un giovane che mi disse: “Quando si avvicina il Natale, io divento una bestia”. “E come mai?”. “Perché mi irrita, questa festa. E’ la festa della famiglia, ma io non ho avuto una famiglia!”. E mi disse: “Sono figlio di una prostituta, non conosco neanche chi è mio padre: che è il Natale, per me? Come posso celebrare il Natale? Io non ho neanche i connotati di una persona normale – ‘figlio di…, figlio di…’”. Disse: “La sera, quando mi addormento, io dico sempre alla Madonna: ‘Madonnina, se mi vuoi bene, portami via con te, tanto nessuno se ne accorgerà perché io non esisto’”. Perché gli è mancata la famiglia.

D. – E allora, vorrei chiederle un ultimo pensiero, dedicato proprio a quelle famiglie che, come dice lei, oggi non hanno più i connotati della famiglia. Quali sono i suoi auguri di Natale per loro?

R. – Io auguro loro di buttar via un po’ di orgoglio e un po’ di egoismo e sicuramente riemergeranno i connotati della famiglia – o per lo meno si recupera qualcosa. Madre Teresa di Calcutta, una donna che aveva un amore straordinario per la famiglia, soprattutto una gratitudine verso la sua famiglia, diceva: “Se buttiamo via una briciola di orgoglio, una briciola di egoismo, quello spazio l’occupa subito Gesù, ed è Natale”. Perché, se non facciamo spazio togliendo orgoglio ed egoismo, Dio non entra. La culla è sempre quella: l’umiltà e la generosità.

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Papa Francesco invia ai coreani i suoi auguri di Natale

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Non si è spenta la vasta eco della visita di Papa Francesco in Corea, lo scorso agosto. Il Santo Padre è tornato a parlare delle sue cento ore trascorse nel Paese asiatico nel videomessaggio per gli auguri natalizi indirizzato a tutti i coreani e trasmesso dalla Tv pubblica sudcoreana Kbs. Ce ne parla Davide Dionisi: 

Papa Francesco: “Cari fratelli e sorelle coreani! Con grande piacere vi rivolgo gli auguri per il Santo Natale, ricordando con gioia e gratitudine il viaggio che ho compiuto nel vostro Paese nello scorso mese di agosto. La grande celebrazione in onore dei Martiri, gli incontri con i giovani, ma anche gli altri momenti della visita rimangono vivi nella mia memoria”.

La Corea, la terra del mattino calmo, ad agosto ha parlato una sola lingua: quella della pace e della speranza. Il viaggio di Papa Francesco ha consentito di guardare al di là del 38.mo parallelo e di sperare in un Paese finalmente unito. In occasione del Santo Natale, il Pontefice ha voluto ricordare con un videomessaggio indirizzato ai coreani tutte le tappe più significative delle 100 ore trascorse nel Paese asiatico. Cento ore di preghiera, di incontri, di ascolto e di silenziosa semina che oggi sta portando alla luce abbondanti frutti. Il governo coreano ha designato il Santuario di Solmoe come Tesoro Nazionale e il luogo dove fu posta la tenda per l’incontro del Santo Padre con i giovani è diventato il “Parco di Papa Francesco”. Perfino la Compagnia coreana dei treni ad alta velocità ha deciso che il costo di ogni prenotazione del medesimo posto usato dal Papa in treno sarà devoluto per aiutare le persone bisognose. Nel plurisecolare tronco storico della Chiesa locale, il viaggio di Papa Francesco si è inserito a pieno titolo tra i rami che hanno già vigorosi e promettenti germogli. Sta ai giovani, quelli a cui ha detto di svegliarsi e di non aver paura di portare la sapienza della fede in ogni ambito della vita sociale, coglierne e valorizzarne i frutti per rendere la Corea un giardino fertile, modello di pace.

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Papa, tweet: in silenzio per fare spazio a bellezza di Dio

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Cerchiamo di ascoltare e di fare silenzio per lasciare spazio alla bellezza di Dio”.

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Gli auguri al Papa dalle famiglie del Dispensario Santa Marta

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Sono tantissimi da ogni parte del mondo, in questi giorni, a rivolgere gli auguri di Natale a Papa Francesco. Un pensiero affettuoso che hanno voluto condividere anche alcune famiglie dei bambini curati e seguiti dal Dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano che il 14 dicembre dell'anno scorso erano stati ricevuti dal Pontefice in Aula Paolo VI. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Se dici “Santa Marta”, ormai in tutto il mondo, il pensiero correrà subito alla residenza in Vaticano dove abita Papa Francesco. Ma a pochi metri dalla Domus, voluta da Giovanni Paolo II e ora assurta a fama mondiale, si trova anche un’altra “istituzione”, molto meno conosciuta ma anch’essa importante, che porta questo nome: il Dispensario pediatrico “Santa Marta”. Un’opera di bene affidata da oltre 90 anni alle suore vincenziane, le Figlie della Carità. Ogni giorno, decine di volontari – medici e non – si prodigano per i bambini bisognosi di Roma, senza distinzione di nazionalità, etnia o religione. In occasione del Natale, alcune famiglie dei “bimbi di Santa Marta” hanno voluto rivolgere gli auguri a Francesco attraverso delle lettere, pubblicate sul periodico del Dispensario - “Ditelo a tutti” - che è stato portato al Santo Padre a Casa Santa Marta.

“Che Dio la protegga Papa Francesco per tutto l’amore che ci dà”, si legge in una di queste lettere scritte tutte a mano, “gli auguriamo buone feste di Natale con tanta felicità”. La mamma di due bambine seguite dal Dispensario, nel formulare gli auguri di Natale e buon Anno Nuovo, confida a Francesco il dramma della sua famiglia, comune a tanti purtroppo in questo periodo in Italia: “Io e la mia famiglia – scrive – riceviamo aiuto dal Dispensario dopo che sia io che mio marito abbiamo perso il lavoro. Le tue parole con la loro semplicità riescono sempre ad arrivare ai nostri cuori donandoci forza e coraggio”.

Non mancano le lettere di famiglie di origine latinoamericana, seguite con i loro bimbi dal Dispensario che, naturalmente, scrivono a Francesco in spagnolo, la loro lingua comune. “Un santo Natale – è l’augurio in una lettera – e tanta forza per continuare la grande missione di amore che Dio ha posto nelle sue mani e che sta svolgendo con grandissimo valore e umiltà”. Un’altra mamma ringrazia Francesco per l’opera del Dispensario e gli augura che il Signore continui a donargli “saggezza e tanta salute” per guidarci tutti nel Regno di Dio.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Zenari: Natale è la speranza di uscire dall'inferno

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Per il quarto anno consecutivo, i siriani celebrano il Natale in un clima di guerra. In tante zone non è nemmeno possibile manifestare pubblicamente la nascita di Gesù. Corinna Spirito ne ha parlato con il nunzio a Damasco, mons. Mario Zenari: 

R. – Il Natale viene celebrato con la solita gioia, però, ecco, in alcune zone con restrizioni particolari: ho presente qualche parrocchia che è in zone sotto il controllo dei fondamentalisti, e lì non si può celebrare con segni esterni, come il suono delle campane, addobbi esterni… E poi, anche in tante altre comunità è un Natale in cui si notano, quest’anno, dei posti vuoti: tanta gente che ha dovuto emigrare perché la situazione non permetteva di vivere per mancanza di lavoro, insicurezza…

D. – Quali saranno le celebrazioni?

R. – Le celebrazioni della Vigilia saranno anticipate: anziché la Messa com’era prima del conflitto, a mezzanotte, sarà alle cinque del pomeriggio, cioè in ore più convenienti e meno esposte a rischi. Si celebra qui, a Damasco, nelle cattedrali sia cattoliche sia ortodosse, e nelle diverse parrocchie: un po’ dappertutto c’è questa preparazione. Anche quest’anno si celebrerà con gioia, anche se non con segni esterni, ma con una gioia profonda. E quello che si nota è che la gente partecipa sempre di più, con molta fede. È già il quarto Natale – purtroppo – che si vive in questa situazione, e si spera che sia l’ultimo.

D. – Il messaggio di Gesù Bambino che nasce in una situazione di povertà, di guerra, forse è ancora più forte…

R. – Direi che qui il Natale veramente è un Natale vivente: pensiamo a bambini che nascono al freddo e al gelo, qui, in diverse famiglie, che non hanno panni per coprirsi, fuoco per riscaldare perché manca il combustibile. Poi, nei giorni seguenti, quando celebreremo la Santa Famiglia che deve fuggire in Egitto, ecco, questa è un’altra immagine natalizia che viviamo con persone concrete: non è una messa in scena per rievocare, ma è un’immagine concreta di quello che ha vissuto la Santa Famiglia. Tanti rifugiati nei Paesi qui vicini, finanche in Egitto …

D. – Quando le condizioni sono queste, è ancora possibile provare la speranza e la gioia del Natale?

R. – La speranza non manca mai. Io sempre, alla fine, ho fiducia che il Signore non ci abbandoni, che non abbandoni questa gente. Si spera che prima o poi possa essere trovata la strada per una soluzione pacifica di questo lungo conflitto, anche perché il Signore ha dotato la persona umana della ragione. Anche la comunità internazionale è convinta che sia necessario uscire da questo inferno: la ragione dice che non si può più continuare. E speriamo che oltre alla ragione ci sia anche la volontà. Ci sono tanti tentativi che la comunità internazionale, anche ultimamente, sta elaborando. Speriamo che possano avere frutti.

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Ucraina più vicina alla Nato, sale tensione con Mosca

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Rischia di salire la tensione tra Russia e Ucraina. La Rada, il parlamento di Kiev, ha espresso, a maggioranza qualificata, parere favorevole all’adesione del Paese alla Nato. Un atto - ha detto Mosca – palesemente ostile. Sentiamo Giuseppe D’Amato: 

L’iniziatore di questo progetto, visto come necessario per la difesa dell’indipendenza, è stato il presidente Petro Poroshenko. Kiev è adesso pronta per aderire all’Alleanza atlantica. Il segretario della Nato Stoltenberg ha però affermato che prima devono essere fatte le riforme. Tre i campi interessati: quello militare, quello riguardante la lotta alla corruzione, ed in ultimo serve la creazione di un miglior apparato statale. Secondo il ministro degli Esteri russo Lavrov questa scelta ucraina non farà altro che “esacerbare lo scontro”. Per Mosca la semplice approvazione di leggi non è sufficiente per “risolvere la grave crisi interna”. Oggi a Minsk dovrebbero riprendere i lavori del Gruppo di contatto sul cessate il fuoco in Donbass e Lugansk. In Russia, intanto, il rublo ha recuperato posizioni dopo le recenti perdite, ma adesso preoccupa la situazione debitoria di molte aziende.

Sull'iniziativa di avvicinamento dell'Ucraina alla Nato, Giancarlo La Vella ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – Questa decisione era nell’aria da parecchio, anzi direi che, tutto sommato, proprio questo processo di avvicinamento dell’Ucraina alla Nato è la vera ragione per cui poi è successo tutto quello che è successo: la Nato, fin dal primo momento della crisi ucraina – ma intendo dire anche prima che ci fosse questa guerra guerreggiata – si è inserita con decisione nelle vicende ucraine, anche a livello politico. Quindi ci sono molte considerazioni che fanno pensare che, prima o poi, l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sia abbastanza scontato.

 D. – Dopo questa decisione possiamo pensare che la secessione di Crimea e dell’Est potrà diventare definitiva?

 R. – La Crimea è persa per l’Ucraina! Le altre regioni dell’est, bisognerà vedere… Certamente questa decisione dell’Ucraina rafforzerà la convinzione russa che ci sia la Nato e ci siano soprattutto gli Stati Uniti dietro tutto quello che è successo. Quindi rafforzerà anche la decisione del Cremlino di continuare a insistere nel mantenere vivo il focolaio indipendentista dell’Est. Ma io credo che la decisione dell’Ucraina di proiettarsi verso la Nato arrivi in questo momento, perché, con il calo del petrolio e con le incertezze del rublo, la Russia è indebolita ed è certamente in crisi: quindi è una maniera come un’altra per incalzare il Cremlino.

 D. – Avvicinarsi alla Nato potrebbe voler dire, in un futuro più o meno prossimo, basi occidentali praticamente vicinissime a Mosca…

 R. – Noi dobbiamo sempre ricordare che ci sono basi Nato a 120 chilometri da San Pietroburgo. Per tutti gli anni ‘90 e anche oltre la Nato non ha fatto che espandersi verso Est a spese di quella che una volta era la cosiddetta “zona di influenza russa”: i Paesi Baltici sono entrati nella Nato; la Polonia ha deciso di ospitare uno scudo stellare che è oggettivamente un’arma offensiva nei confronti della Russia… Insomma ci sono dei fatti oggettivi che noi tendiamo a descrivere in una maniera – secondo me – molto soggettiva.

D. – Quale in questo momento il ruolo dell’Unione Europea, che è strettamente coinvolta nella vicenda, ma sembra muoversi poco?

R. – L’Unione Europea si è molto battuta per la causa dell’Ucraina nell’Unione Europea, della democratizzazione dell’Ucraina, ma per il momento il suo ruolo – sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista più generale – è quello di pagare i conti: l’Unione Europea si è fatta garante dell’accordo per le forniture di gas russo all’Ucraina e se l’Ucraina non ce la farà a pagare – e non ce la farà a pagare! – sarà l’Europa a provvedere. Ma per il resto, come si vede dalle vicende legate alla Nato, sono gli Stati Uniti a dettare il passo e sono gli Stati Uniti ad avere l’oggettiva influenza sulla politica ucraina.

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Pil Usa: +5% nel terzo trimestre, consumi in salita

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La ripresa degli Stati Uniti prende slancio. Il Pil, il prodotto interno lordo, vola e sale nel terzo trimestre del 5%, il risultato migliore da 11 anni. Il Dipartimento del commercio ha rivisto al rialzo la precedente stima del +3,9% per il periodo tra luglio e settembre. Si tratta del tasso di crescita più veloce dal terzo trimestre 2003, quando il dato crebbe del 6,9%. La forte revisione è legata ai consumi, saliti del 3,2%, ma anche al calo dei prezzi del petrolio che, riducendo il costo della benzina, lascia nei portafogli degli americani una media di 100 dollari al mese. A tirare sono pure le imprese, che aumentano gli investimenti. Ce ne parla l’economista Francesco Carlà, presidente di "Finanza World", sito di informazione finanziaria, intervistato da Giada Aquilino

R. – A incidere sono senz’altro questi fattori e quindi è molto probabile che il 5% possa essere confermato anche nel prossimo trimestre e magari pure nei seguenti. Per gli Stati Uniti – dove sul prezzo della benzina, del petrolio in generale, non pesano le accise e le tasse che pesano da noi – un’iniezione di liquidità, di maggiore disponibilità sottratta alle spese per i consumi di carburanti e per l’energia significa immediatamente la possibilità di consumare di più, di investire di più e quindi anche, dal punto di vista degli imprenditori, di occupare più persone, di aver più voglia di investire e di assumere.

D. – Consumi, calo dei prezzi del petrolio, più posti di lavoro: possiamo dire che sono fattori tutti collegati tra loro?

R. – Sono assolutamente tutti fattori collegati tra loro e naturalmente sul quadro generale pesa la mentalità americana di avere ben in mente che l’economia è in cicli e che questo è un ciclo positivo in cui tutte le leve dell’economia vanno verso quella direzione. Infatti, poi anche Wall Street, che è un po’ il "sismografo" di questo tipo di tendenze, dopo un periodo di flessione degli inizi di dicembre è riscattata verso l’alto in queste ultime sedute.

D. – E a tirare sono anche le imprese che aumentano gli investimenti. A cosa è dovuto?

R. – La psicologia pesa molto, conta molto nei "trend" imprenditoriali. Quindi, in questo momento la visione degli imprenditori americani è che sia possibile investire di più perché in futuro ci può essere un periodo di sviluppo ulteriore.

D. – La Casa Bianca preallerta sulla crescita che sta rallentando in molti partner commerciali: il riferimento è anche all’area euro?

R. – È essenzialmente all’area euro. E in particolare, all’interno di questa, ai Paesi mediterranei come l’Italia, la Francia, la Spagna che pesano nel bilancio dell’Unione Europea. Sarà molto importante vedere quanto la Commissione europea insediatasi di recente abbia intenzione di raggiungere la locomotiva americana, cioè di infilarsi in questo "trend", o quanto piuttosto continui con l’idea dell’austerity a tutti i costi, che anche la Germania e i suoi partner dovrebbero cominciare a vedere come un profilo assolutamente inadeguato per il momento in cui ci troviamo adesso.

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Amnesty denuncia le violenze jihadiste sulle donne yazide

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Alcune donne appartenenti alla minoranza yazida ridotte in stato di schiavitù e stuprate dai militanti del sedicente Stato islamico, piuttosto che sopportarne le violenze, si sono suicidate. A riferirlo è un rapporto di Amnesty International in cui si riportano le testimonianze di oltre 40 ex giovani sequestrate nel nord dell’Iraq, riuscite a fuggire dai loro rapitori. Le uccisioni, le torture e i rapimenti commessi dai jihadisti sugli yazidi a cui hanno sottratto anche i terreni, avrebbero tutte le caratteristiche, secondo Amnesty, di una pulizia etnica. Ma sulla nota diffusa oggi sentiamo, al microfono di Adriana Masotti, il portavoce dell’organizzazione umanitaria, Riccardo Noury

R. – Centinaia, se non migliaia, sono state le donne, le ragazze minorenni – alcune di 14-15 anni, e persino più giovani – che hanno vissuto l’esperienza terribile del rapimento e poi della prigionia e, durante questa, l’esperienza di essere vendute o date in regalo a combattenti e sostenitori dello Stato islamico, ridotte in schiavitù sessuale, stuprate e purtroppo - in molti casi - uccise. Questo è quello che Amnesty International ha riscontrato durante una missione di ricerca nel Nord dell’Iraq. Abbiamo ricevuto molte testimonianze da parte di ex prigioniere che non erano trattenute in luoghi impervi, grotte, luoghi nascosti … vivevano catturate, prigioniere, violentate dagli uomini che le avevano rapite nell’abitazione di famiglia; quindi convivendo con le mogli e i figli dei loro rapitori. Questa normalità assurda, credo che contribuisca ancora di più a descrivere l’orrore da un lato di questa vicenda eccezionale, e dall’altro il fatto che per lo Stato islamico evidentemente questa è una normale tattica di guerra.

D. – Alcune di queste donne si sono addirittura tolte la vita pur di non subire l’umiliazione e la violenza che immaginavano poi avrebbero subito …

R. – Sì, sono testimonianze agghiaccianti, quelle contenute nel rapporto di Amnesty International, per l’orrore dello stupro subito o di quello che si palesava di lì a breve. Molte ragazze, soprattutto minorenni, che si sono tolte la vita; decine di altre ci hanno provato. Una di loro, Jilan - una delle storie raccontate in questo rapporto - appena maggiorenne – 19 anni - si è suicidata durante la prigionia a Mosul. Erano state distribuite a lei e ad un’altra ventina di ragazze dei costumi da danza; i sequestratori avevano detto di indossarli dopo essersi lavate bene. Con ogni probabilità, era il preludio a quella che sarebbe stata una violenza di gruppo. Jilan si è uccisa poco prima.

D. – C’è una spiegazione del perché di questa crudeltà sulle donne?

R. – Che lo stupro sia un’arma di guerra, ce lo raccontano le cronache di tanti conflitti; basta pensare al Darfur o alla Bosnia. In queste situazioni ci si accanisce nei confronti delle donne perché sono più vulnerabili o per punire i loro mariti e le loro famiglie; si approfitta anche dello stigma che circonda l’esperienza terribile dello stupro: si immagina che una donna sopravvissuta allo stupro debba essere curata, accolta, protetta … e invece viene isolata dalla sua famiglia, dalla sua comunità. Questo è il motivo per cui l’esperienza dello stupro si accompagna, nel caso delle donne yazide, anche l’orrore di aver perso decine di famigliari durante la pulizia etnica dello Stato islamico, e il terzo successivo orrore quello di essere isolate dalla loro comunità in quanto  - poiché vittime di stupro - hanno disonorato la comunità stessa e la famiglia.

D. – Che cosa si sta facendo da parte delle organizzazioni umanitarie per aiutare quelle poche ragazze che comunque sono riuscite a fuggire?

R. – Il governo della regione curda irachena, le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, le organizzazioni non governative, stanno fornendo cure mediche e anche forme di aiuto psicologico, però questo è insufficiente. Non tutte le sopravvissute allo stupro sono raggiunte, anche perché in alcuni casi si tratta di zone molto impervie, come la regione del Sinjar, e in alcuni casi neanche sanno di avere a disposizione questo tipo di  assistenza. È fondamentale che la comunità internazionale si occupi di loro, perché altrimenti la loro vita rischia di essere segnata per sempre.

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Decreto Ilva. Mons. Santoro: mi aspetto la difesa dell'uomo

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Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto su Taranto, che prevede il passaggio del gruppo Ilva all'amministrazione straordinaria. Per la città di Taranto sono previsti fondi per le bonifiche, risorse per il Porto e per il Museo. Nel suo messaggio di Natale, l’arcivescovo della città, mons. Filippo Santoro, si augura che “non si perda mai di vista la minaccia ambientale e i pericoli per la salute”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – Mi aspetto, innanzitutto, che si apra il cammino per un nuovo modello di sviluppo che metta al centro non il guadagno e il lucro, ma la persona umana, la difesa della vita, la difesa dell’ambiente e quindi la famiglia, la difesa della persona, la difesa del lavoro. Sarebbe un bellissimo segno se non fosse solo un intervento "ad hoc" e basta, ma che avesse chiara la prospettiva: che sviluppo vogliamo non solo per Taranto, ma per l’Italia? Perché con l’Ilva è presa tutta la produzione dell’acciaio in Italia e quindi lo sviluppo industriale. Quindi, prima di tutto questo: che si difenda la dignità della persona e quindi la salute, perché sulla minaccia ambientale noi non dobbiamo transigere. Allo stesso tempo, io vedo che le persone mi chiedono cosa fare. Chi più si sente in bilico e ferito in questa situazione non sono i lavoratori dell’Ilva – certo, anche loro – ma soprattutto quelli delle fabbriche dell’indotto, perché questi hanno grossi debiti. Il decreto dovrebbe dare una risposta anche a loro e quindi una risposta che indichi la prospettiva di un cambiamento forte e deciso.

D. – Nel suo messaggio di Natale, lei ha sottolineato il dolore, lo scoramento delle persone che lei incontra ogni giorno. Si è passati, quindi, negli ultimi tempi dalla rabbia alla rassegnazione: è un brutto segnale…

R. – E’ un brutto segnale. Però, dice lo stato d’animo soprattutto delle persone, ferite per la questione della salute, quindi dell’inquinamento: persone in bilico, soprattutto per la questione del lavoro. Però, io sono convintissimo che si ci fosse qualcosa che peggiora la situazione ambientale o riduce e mette in crisi l’occupazione, questa rabbia e rassegnazione diventerebbero un tumulto. E questo nei due casi, sia se si abbassa la guardia sull’inquinamento ambientale, sia se non si dà una risposta ai lavoratori. Quindi, diciamo così, è una attesa, è un pochino sfiduciata, però è sempre un’attesa, pronta a esplodere, pronta ad indicare un cammino positivo. Quando io, prima del Natale, visito le scuole sento nei nostri giovani un impeto positivo, una speranza, il desiderio di una vita degna, di una famiglia degna, di una cultura, di una formazione, che non debbano emigrare e andare fuori Taranto o fuori Puglia per trovar lavoro. C’è un desiderio di costruzione che nei giovani è evidentissimo e, secondo me, bisogna proprio intercettare questa attesa e dare una risposta positiva. Quindi, da un lato c’è, sì, questa situazione di rassegnazione, ma la cenere della speranza non si è spenta.

D. – Cosa dirà ai suoi parrocchiani stasera e domani?

R. – Certo, mi rifaccio proprio al cuore del messaggio cristiano, che è il fatto dell’Incarnazione: il Signore che sceglie il cammino della fragilità per manifestarsi. E perché non dovrebbe manifestarsi in mezzo a noi, nelle fragilità che noi abbiamo, nel dolore per la salute ferita, nel dolore per il lavoro precario? Mai c’è stata una disoccupazione giovanile così alta, ma perché proprio in questo non dovrebbe manifestarsi ancora? Certo, non dando una risposta meccanico-tecnica, che non è compito suo e nemmeno della Chiesa, però sostenendo la speranza e sollecitando la solidarietà da parte nostra e la responsabilità per chi ha il dovere di indicarci. Quindi, il Signore ha scelto la fragilità per manifestarsi e manifesta la sua potenza. Il mio messaggio è quindi proprio un messaggio di speranza non vana, superficiale, infondata, ma una speranza solida. E poi, soprattutto, un messaggio di invito a tutti quanti a fare la propria parte, perché di qui ci dobbiamo muovere, chi ha responsabilità ci deve indicare il cammino. La fede ci sostiene e ci fa corresponsabili solidali con tutti in questa notte, che è di attesa e speriamo proprio, come ha fatto il Signore, ci dia una risposta positiva. 

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Conventi aperti ai profughi dopo l'invito di Francesco

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Sono decine di migliaia in Italia i posti messi a disposizione di rifugiati da parte di strutture religiose. L’accoglienza di profughi, già radicata in molte comunità, è cresciuta dopo l’appello all’accoglienza dei più bisognosi levato da Papa Francesco, nel settembre 2013 durante la visita al Centro Astalli:  “I conventi vuoti – ha detto in quell’occasione – non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi, ma sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati”. Lo conferma l’esperienza delle Suore di San Giuseppe di Chambery, raccontata al microfono di Paolo Ondarza dalla superiora provinciale, suor Maria Cristina Gavazzi

R. – Noi siamo presenti in cinque continenti, quindi può ben immaginare l’estensione della Congregazione. Già il Capitolo generale del 2009 aveva deciso di aprire le porte delle nostre comunità religiose ai migranti e ai rifugiati. Questo lavoro, quindi, lo stiamo facendo in Italia, lo stiamo facendo negli Stati Uniti d’America, lo stiamo facendo in Papua Nuova Guinea e lo stiamo facendo in India. Le parole di Papa Francesco per noi sono risuonate come un ulteriore incoraggiamento.

D. – Le parole del Papa sono state raccolte da diverse comunità religiose, che disponevano di strutture vuote anche in ragione del calo delle vocazioni…

R. – Direi che questo è un segno decisivo. Sono consapevole che abbiamo semplicemente aggiunto una goccia nel mare, aprendo le porte della nostra struttura a Roma. Nel complesso della Casa provinciale abbiamo accolto tre rifugiati, che ci ha inviato il Centro Astalli. Sono tre giovani, provenienti dal Ghana. Siamo coscienti che sia semplicemente una goccia, ma sono più che convinta che questo sia un inizio. I rifugiati sono stati accolti nella casa di campagna, dove un tempo risiedeva una famiglia di contadini. Le parlo di cose che risalgono a oltre 20 anni fa.

D. – Quindi, avete ristrutturato questa casa…

R. – Abbiamo ristrutturato e abbiamo offerto questa casa, munita di tutti i comfort, a questi tre rifugiati.

D. – Questa vostra iniziativa è nata dopo le parole di Papa Francesco?

R. – Questa iniziativa specifica, sì, è nata dopo le parole di Papa Francesco. Ci siamo chiesti infatti come potevamo mettere a disposizione qualcuna delle nostre strutture e chiaramente, essendo noi una Congregazione di spiritualità ignaziana, ci siamo rivolte alla Fondazione Astalli.

D. – Per la vita della vostra comunità, l’accoglienza di tre rifugiati che cosa ha significato?

R. – Incrocio questi giovani quando vanno o ritornano dal lavoro e vedo che le suore che vivono lì – una comunità di anziane sostanzialmente – hanno un buon rapporto con loro. Uno di loro, che fa il panettiere, per esempio, di tanto in tanto porta loro il pane, porta le focacce. C’è, quindi, una relazione abbastanza frequente con questi giovani. Dormono in una nostra struttura, ma anche per cucinare sono completamente autonomi.

D. – Parla di suore anziane: la presenza di questi tre rifugiati ha rivoluzionato un po’ la loro vita...

R. – La comunità continua ad avere tranquillamente i suoi ritmi, anche perché i giovani non sono dentro la struttura comunitaria, hanno una totale loro indipendenza. Questo non significa, però, che non ci siano delle interazioni positive tra quella che è la comunità religiosa e questi tre giovani. Noi abbiamo messo a disposizione della Fondazione Astalli – e quindi anche altri rifugiati verranno a lavorare – il nostro terreno, perché attualmente è incolto, non avendo più suore che come un tempo coltivavano la campagna. La Fondazione Astalli si è fatta promotrice di inviare, attraverso una cooperativa di servizi, alcuni giovani che verranno a lavorare la terra e quindi produrranno prodotti agricoli che poi rivenderanno sui mercati.

D. – Ospitate giovani di fede non cristiana: qual è la loro risposta alla vostra accoglienza?

R. – Questi tre ragazzi sono musulmani. Le faccio semplicemente un esempio: questi tre giovani stasera saranno ospiti della nostra comunità del noviziato per la cena di Natale. Loro sono arrivati, se non ricordo male, ad aprile-maggio di quest’anno e quindi è la prima grande festività a cui li abbiamo invitati e alla quale loro hanno detto sì, pur essendo di religione diversa dalla nostra.

D. – I poveri sono maestri privilegati della nostra conoscenza di Dio, ha detto il Papa…

R. – Noi facciamo costantemente esperienza di quanto i poveri ci evangelizzino.

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S. Egidio, migliaia di poveri ai pranzi di Natale nel mondo

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Da molti anni, per la Comunità di Sant’Egidio sparsa nel mondo Natale fa rima con solidarietà. Così anche stasera e domani in moltissime città d’Italia e all’estero, migliaia di poveri, immigrati, rom, persone messe in ginocchio dalla crisi parteciperanno alle cene della vigilia o ai pranzi di Natale itineranti, allestiti dalla Comunità. Al microfono di Federico Piana, ne parla Augusto D’Angelo, responsabile per i senza fissa dimora di Sant’Egidio: 

R. – Nelle famiglie si sta preparando il cenone. In fondo, lo stiamo facendo anche noi, soltanto che la famiglia che ci siamo scelti o che ci ha scelto è una famiglia un po’ più grande: nel senso che noi contiamo di incontrare questa sera tra le duemila e le tremila persone in questo cenone itinerante che organizziamo ormai da tanti anni. Porteremo a tutte le persone che vivono nelle stazioni – nei luoghi dove generalmente le persone che non hanno una casa o una dimora dormono – un pasto completo caldo e un regalo per ciascuno, per invitare poi, perché la festa non finisce, tutti quanti domani ai grandi pranzi di Natale che faremo un po’ in tutta la città. Questo riguarda soltanto Roma, ma il nostro pranzo si è un po’ allargato negli ultimi anni, nel senso che, come direbbe Francesco, abbiamo riscoperto e incrementato la parola “solidarietà”. Per questo, negli ultimi anni questo pranzo è cresciuto in Italia – perché ormai domani ci saranno 220 pranzi in tutto il Paese – ma è cresciuto anche nel mondo perché abbiamo fatto un conto preparandoci a questo evento: abbiamo visto che lo scorso anno più di 600 città nel mondo hanno avuto i pranzi di Natale della Comunità di Sant’Egidio, con 160 mila ospiti.

D. – Chi sono questi ospiti?

R. – È un mondo molto vario, perché ci sono persone che vivono in strada, ci sono molti anziani soli che ci telefonano e ci dicono: “Quest’anno passo il Natale da solo. Posso venire?”. Naturalmente sono i benvenuti e da lì inizia una nuova amicizia. Ci sono i rom, tanti immigrati, persone che hanno cominciato ad arrivare nei nostri centri, senza saper la lingua, hanno studiato con noi l’italiano, hanno trovato con noi un lavoro e adesso mangiano con noi alla festa di Natale ma durante l’anno ci aiutano nelle nostre attività. Poi, i tanti italiani che con la crisi si trovano in difficoltà, perché diciamoci la verità, in Europa, in Italia questo è un momento abbastanza segnato dalla crisi; ci sono ancora cattivi segnali di intolleranza… Di fronte a tutto questo, noi abbiamo scelto di allargare ancora di più la tavola, perché ci sembra che questa solidarietà globale e questa misericordia e tenerezza da far provare a tanti per consolarli sia una cosa importante che deve fare la comunità di Sant’Egidio, ma che naturalmente è chiamato a fare ciascuno.

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Nella Chiesa e nel mondo



Bartolomeo: chi disprezza l'uomo non ha incontrato Dio

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“Non è possibile che esista alcuna forma di vera e autentica religiosità o spiritualità senza amore per la persona umana. Qualsivoglia formazione ideologica, sociale o religiosa disprezzi l’uomo creato a immagine di Dio e insegni o permetta la morte di un nostro prossimo e soprattutto in modo brutale e primitivo, non ha certamente alcuna relazione col Dio dell’amore”. A ribadirlo – come riferisce L’Osservatore Romano - è il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, nel messaggio di Natale, quest’anno dedicato al valore inalienabile della persona umana. La Chiesa ortodossa segue giorno per giorno “queste onde crescenti di violenza e di barbarie, che continuano a devastare diverse aree del nostro pianeta, particolarmente il Medio Oriente, e specialmente i cristiani nativi del posto, nel nome spesso della religione”.

Il valore inalienabile della persona umana
Gli uomini di oggi — prosegue il Patriarca — vivono una condizione mutevole, “secondo la quale giornalmente constatiamo che “sono tutti traviati, tutti corrotti; non c’è chi agisca bene, neppure uno” (Salmo 13, 3 e Romani, 3, 12). “Prima dell’incarnazione di Cristo, l’uomo non poteva immaginare il valore inalienabile della persona umana, poiché dopo la caduta si era ammalato e si era deturpato. Solo gli uomini assai illuminati avevano intuito, anche prima di Cristo, il valore della persona umana”.

La forza dell’amore vince la violenza
Nonostante la proclamazione dei diritti umani da parte della comunità internazionale, osserva Bartolomeo, “ai nostri tempi vediamo quotidianamente la più infima degradazione della persona umana, l’oltraggio e la sua umiliazione. C’è bisogno dunque, se vogliamo essere degni della gloria e dell’onore con cui il Creatore ‘fatto per noi attraverso di noi’ ha circondato la persona umana, di fare tutto il possibile per far cessare il comportamento degradante ultimamente aumentato verso la persona umana”. L’invito del Patriarca è a distogliere “il nostro volto dai fatti penosi di intolleranza e inimicizia che devastano l’umanità e arrivano oltre, attraverso gli attuali mezzi di comunicazione di massa che provocano un più facile spavento alle orecchie e alla nostra vista, attraverso gli orrori che accadono”, e a opporre “come valido antidoto alla attuale violenza la ‘povertà estrema’ di Dio, che ha stupito i magi e il mondo, e che sempre agisce come amore”. Questa – ha detto - è “la forza segreta della stirpe dei cristiani. La forza che vince e supera con l’amore ogni sorta di violenza e di malvagità”. L’augurio è che “tutti possano vivere la grazia del rispetto assoluto del valore della persona, del prossimo, e la cessazione della violenza sotto qualsiasi forma”.

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India. Card. Gracias: no a leggi contro libertà religiosa

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La Chiesa in India "si oppone con forza" a qualsiasi legge contro la libertà religiosa e userà "qualsiasi mezzo possibile", fra cui il "ricorso alla giustizia" per ottenerne la cancellazione. È quanto sottolinea in un'intervista all'agenzia AsiaNews il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, "preoccupato e coinvolto in prima persona" dalle recenti mosse del governo di New Delhi e dei ripetuti attacchi contro le minoranze, in particolare cristiani e musulmani in India. Il presidente della Federazione dei vescovi dell'Asia (Fabc) aggiunge inoltre che "le norme esistenti sono adeguate per contenere gli abusi legati alle conversioni", così come il diritto alla libertà di coscienza e di religione "è parte dei diritti di base di ogni cittadino indiano".

Attacchi contro la libertà religiosa
Nelle ultime settimane in India si sono verificati attacchi alla libertà religiosa e minacce da parte di movimenti fondamentalisti indù, che hanno annunciato riconversioni di massa e aggressioni a gruppi cristiani intenti a preparare canti di Natale. Per questo di recente leader e movimenti cristiani hanno firmato un documento congiunto in cui si denunciano attacchi alla Costituzione dell'India e alla libertà religiosa.

No ad un legge anti-conversione
Il porporato auspica una piena "applicazione" della Costituzione e dei diritti da essa sanciti. Tuttavia, commenta il card. Gracias, queste riconversioni "non sono un fenomeno recente", perché si sono già verificate in passato, sotto diversi governi. Dietro, aggiunge, "temo vi sia il progetto di introdurre una Legge anti-conversione nel Paese".

Rivendicata la centenaria presenza cristiana
Egli ricorda gli anni in cui era vescovo di Agra, alla guida di una piccola comunità cristiana, e giudica "allarmanti e orchestrati" i recenti attacchi. Il presule rivendica la centenaria presenza cristiana nella regione, così come quella dei siro-cristiani del Kerala e a Goa. A riprova dell'inutilità della legge anti-conversione, egli ricorda che i cristiani in India sono il 2,3% e per questo "non possono certo essere tacciati di conversioni forzate".

La difesa di scuole e istituti cattolici
Infine, il porporato difende il ruolo delle scuole e degli istituti cattolici, che hanno sempre garantito un alto livello di istruzione senza imporre una particolare fede, soprattutto il cristianesimo; questo vale per gli indù di ceto elevato, così come per i più poveri. "Quasi il 90% dei beneficiari degli istituti educativi cristiani sono fratelli e sorelle non cristiani - conclude il card. Gracias - e questi laici indù sono la prova migliore che non vi siano stati tentativi o pressioni per ottenere conversioni". (R.P.)

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Benin: Francescani premiati per aver salvato decine di neonati

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Nei giorni scorsi, in occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’uomo, l’ambasciata francese in Bénin ha consegnato alla ong “Franciscains Bénin”, il Premio per la difesa dei diritti dell’uomo 2014. La cerimonia si è svolta presso l’Istituto francese di Cotonou, sede dell’ambasciata che, dal 2012, organizza ogni anno una Giornata internazionale dei diritti dell’uomo per conoscere le attività umanitarie che si svolgono nel Paese, e meritevoli di un sostegno e di un incoraggiamento per proseguire un lavoro così impegnativo. Il tema dell’edizione di quest’anno era: “Il diritto alla vita”, contro l’infanticidio rituale. E’ in questo contesto che il Premio è stato attribuito alla ong “Franciscains Bénin” (un’organizzazione composta da una dozzina di Istituti religiosi maschili e femminili di ispirazione francescana) che da una decina d’anni si interessa e si batte per eliminare l’uccisione di bambini ritenuti portatori di malefici per qualche difetto fisico scoperto al momento della nascita.

Oltre ad aver salvato alcune decine di tali bambini, l’ong ha parlato e denunciato il problema all’Ufficio Onu di Ginevra nel 2008; ha organizzato un Forum (2012) a cui hanno partecipato l’ambasciatore francese, alcuni re locali e molti capi-villaggio che hanno ascoltato per la prima volta un denuncia pubblica di un fatto aberrante, sconosciuto o sottovalutato  fuori dell’ambito in cui avviene, anche se ha radici lontane e contrarie alla mentalità béninese. (A cura di padre Egidio Picucci)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 358

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.