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Sommario del 21/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco all’Angelus: Gesù bussa e non ce ne accorgiamo!

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Rispondere con “un sì personale e sincero” al dono prezioso del Natale, che porta la pace. L’invito di Francesco all’Angelus, nella quarta ed ultima domenica di Avvento. Quante volte Gesù passa nella nostra vita o manda un angelo e non ce ne accorgiamo, ha osservato il Papa rivolto alle decine di migliaia di fedeli, riuniti intorno al suggestivo presepe allestito in piazza San Pietro. “Liberi da ogni mondanità”, ha auspicato “apriamo le porte a Cristo”. Il servizio di Roberta Gisotti

Francesco ha chiesto anzitutto di meditare sul racconto dell’Annuncio a Maria dell’Angelo Gabriele. 

“Fissiamo lo sguardo su questa semplice fanciulla di Nazaret, nel momento in cui si rende disponibile al messaggio divino con il suo sì”.

Maria, ha spiegato il Papa, nella “fede” che mostra “è per noi modello di come prepararsi al Natale”, “con piena disponibilità di mente e di cuore” alla Parola di Dio:

“Nel suo ‘eccomi’ pieno di fede, Maria non sa per quali strade si dovrà avventurare, quali dolori dovrà patire, quali rischi affrontare. Ma è consapevole che è il Signore a chiedere e lei si fida totalmente di Lui e si abbandona al suo amore”.

Lei sa infatti “riconoscere il tempo di Dio”:

“Maria ci insegna a cogliere il momento favorevole in cui Gesù passa nella nostra vita e chiede una risposta pronta e generosa”.

Il Verbo, che trovò dimora nel grembo verginale di Maria, nella celebrazione del Natale “viene a bussare nuovamente al cuore di ogni cristiano”. 

"Ognuno di noi è chiamato a rispondere, come Maria, con un “sì” personale e sincero."

“Quante volte Gesù passa nella nostra vita”, ha domandato Francesco:

" ... e quante volte ci manda un angelo, e quante volte non ce ne rendiamo conto perché siamo tanto presi, immersi nei nostri pensieri, nei nostri affari e addirittura, in questi giorni, nei nostri preparativi del Natale, da non accorgerci di Lui che passa e bussa alla porta del nostro cuore, chiedendo accoglienza, chiedendo un 'sì', come quello di Maria".

E ancora:

"Quando noi sentiamo nel nostro cuore: 'Ma, io vorrei essere più buono, più buona … Ma, io sono pentito di questo che ho fatto …' : è il Signore che bussa, proprio. Ti fa sentire questo: la voglia di essere migliore, la voglia di rimanere più vicini agli altri, a Dio … Se tu senti questo, fermati. E’ il Signore lì! E vai alla preghiera, e forse alla confessione, a pulire un po’ con la sansa: quello fa bene. Ma ricordati bene, eh? Se tu senti quella voglia di migliorare, è Lui che bussa: non lasciarlo passare!".

“Nel mistero del Natale, accanto a Maria - ha ricordato il Papa - c’è la silenziosa presenza di San Giuseppe”:

“L’esempio di Maria e di Giuseppe è per tutti noi un invito ad accogliere con totale apertura d’animo Gesù, che per amore si è fatto nostro fratello”.

Gesù venuto per farci un dono, “come annunciarono in coro gli angeli ai pastori":

“Il dono prezioso del Natale è la pace, e Cristo è la nostra vera pace. E Cristo bussa ai nostri cuori per donarci la pace, la pace dell’anima. Apriamo le porte a Cristo!”.

Infine, l’affidamento i genitori di Gesù:

" ... per vivere un Natale veramente cristiano, liberi da ogni mondanità, pronti ad accogliere il Salvatore, il Dio per noi".

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Biblioteca Vaticana "in uscita": accordi con Cina, Cuba e Serbia

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Diplomazia vaticana, ecumenismo e nuova evangelizzazione passano anche attraverso la cultura, soprattutto quella legata al libro. Ne è sempre più convinto mons. Jean-Louis Bruguès, bibliotecario di Santa Romana Chiesa e archivista dell’Archivio Segreto Vaticano, reduce da importanti missioni in diversi Paesi del mondo per sancire intese ed accordi di cooperazione con numerose biblioteche di Stato, tra cui quelle di Cina e Cuba. Ultimo, in ordine di tempo, il protocollo firmato con la Biblioteca Nazionale Serba che prevede lo scambio di pubblicazioni, conoscenze e competenze nel campo della raccolta, memorizzazione, elaborazione e protezione dei materiali librari. Un’opportunità considerata storica anche per consolidare i rapporti tra governo serbo e Santa Sede e tra la Chiesa ortodossa e quella cattolica, minoranza nel Paese. L’intervista a mons. Jean-Louis Bruguès e di Federico Piana

R. – Il primo motivo: bisogna ricordarsi che durante la guerra Hitler ha comandato di bruciare la Biblioteca Nazionale e bruciare una biblioteca è come bruciare una memoria, cancellare una memoria. Dunque il Paese intero aveva perso la sua memoria! Hanno allora chiesto alla Biblioteca Vaticana di recuperare qualcosa, alcuni pezzi che noi avevamo del loro passato e quindi dell’identità propria del Paese. La Chiesa locale dominante è una Chiesa ortodossa e dunque noi abbiamo avuto un rapporto politico-umanistico con la biblioteca nazionale e un rapporto ecumenico con il Patriarcato. Questo è stato – secondo me – un fatto anche molto positivo per la piccolissima Chiesa cattolica che esiste in Serbia: abbiamo creato una vetrina per la Chiesa cattolica, dando a questa piccola Chiesa più credibilità, più visibilità.

D. – La Biblioteca può giocare un ruolo primario nella partita anche diplomatica ed ecumenica?

R. – La cultura, pian piano, sta giocando un ruolo centrale nella politica: non solo la politica tra gli Stati, ma anche la politica interna di una nazione. Il Papa Benedetto XVI aveva spiegato che la nuova evangelizzazione passa dalla cultura. Questa importante Biblioteca Nazionale ha chiesto alla nostra Biblioteca Vaticana un rapporto di patrocinio. Lo abbiamo fatto a Belgrado, ma anche in Bulgaria e da poco tempo con alcuni Paesi latinoamericani: Costa Rica, Cuba, Colombia e Cile. Questi Paesi, con motivi diversi, vogliono sviluppare una politica culturale nella quale la Biblioteca Nazionale potrebbe giocare un ruolo molto importante. Questi Paesi non hanno però una tradizione di cultura della memoria, non hanno potuto creare biblioteche o archivi ricchi e dunque chiedono alla Biblioteca del Vaticano un patrocino tale che la Biblioteca del Vaticano possa diventare per loro una madre della cultura.

D. – Per quanto riguarda la Cina, c’è questa grande possibilità: lei pensa che possa essere un modo per riuscire a normalizzare – tra virgolette – i rapporti tra Santa Sede e Cina?

R. – Con la Cina o meglio con tutta l’Asia bisogna procedere con una politica di piccoli passi, si direbbe in francese “des petits pas”: l’attuale governo cinese ha saputo che la Biblioteca del Vaticano aveva 1.200 manoscritti cinesi antichi, dell’ultima Dinastia. Dunque ci hanno chiesto di digitalizzare questi manoscritti e quando si sono presentati da me, ho messo due condizioni: la prima, che loro pagassero naturalmente il costo della digitalizzazione; e la seconda, che organizzassero a Pechino una mostra comune tra la Santa Sede e la Cina comunista, nonostante l’assenza di relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Mi hanno lasciato alcuni mesi senza risposta e adesso mi hanno detto che non solo possono organizzare una mostra a Pechino, ma anche nelle principali città universitarie del Paese. Questo accadrà nel 2017. Secondo me, queste mostre – adesso sono diverse mostre – potrebbero costituire una prima piccola tappa verso il mutuo riconoscimento diplomatico.

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Presentato il dizionario on line della Chiesa sudamericana

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È stato presentato qualche giorno fa dal presidente del dicastero vaticano, cardinale Gianfranco Ravasi, il dizionario on line della storia culturale della Chiesa in America Latina, a cura del Pontificio Consiglio della Cultura. L’opera, nata nel corso di una riunione dei rappresentanti di tutte le Conferenze episcopali dell’America Latina e dei Caraibi svoltasi a Lima nel lontano 2006,  vede la luce nelle due lingue parlate nel continente – e nel rispetto delle lingue dei diversi autori – lo spagnolo e il portoghese. Non si tratta di un generico dizionario di storia culturale del continente, bensì di quella storia inerente a temi, fatti e personaggi, che in una maniera o nell’altra hanno avuto a che fare con il cristianesimo e con la Chiesa cattolica. Un’opera di sintesi sul contributo del cristianesimo nella formazione del continente latinoamericano che mancava, nonostante la vasta bibliografia esistente sulla Chiesa in America Latina. Di facile consultazione e immediata comprensione, infine, il dizionario si pone come testimonianza viva nel campo della santità, della missione evangelizzatrice e della riflessione teologica. (R.B.)

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Oggi in Primo Piano



Tunisia: ballottaggio per eleggere il nuovo presidente

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Tunisia nuovamente alle urne questa domenica per eleggere il primo presidente della Repubblica del dopo Ben Alì, che rimarrà in carica 5 anni. A sfidarsi nel ballottaggio sono il capo di Stato uscente Marzouki e il leader del partito laico Nidaa Tounes, Essebsi, che al primo turno ha ottenuto il 39,46 per cento delle preferenze contro il 33,43 di Marzouki. Si tratta di un voto molto sentito dai tunisini perché dovrebbe concludere il processo di transizione, ma che si sta svolgendo in un'atmosfera di tensione: questa notte un uomo è morto e tre sono stati arrestati per aver tentato l'attacco a un seggio nella regione di Kairouane; l'episodio potrebbe essere legato al ferimento di un militare avvenuto ieri sera presso un altro seggio, nella stessa regione. Infine, sono state diffuse voci su un possibile attentato contro il candidato favorito, Essebsi, poi smentite dal ministero dell'Interno. Sulla fase che sta attraversando la Tunisia, Cecilia Seppia ha raccolto il commento di Leila El Houssì docente di Storia dei Paesi arabi all’Università di Firenze: 

R. – Il Paese è in una fase di transizione democratica già dal momento delle prime elezioni del 2011. Certamente questo appuntamento elettorale è un appuntamento importante. Io non azzarderei a dire che siamo in una fase di ritorno al passato, direi che il Paese si presenta, in questo momento, ancora in work in progress. Non ci si può certo aspettare che un Paese che ha vissuto comunque moltissimi anni di dittatura possa, nell’arco di poco tempo, trasformarsi immediatamente in una democrazia, ci vuole molto tempo. Sicuramente il processo elettorale è un processo importante, che è un primo passo, uno step - diciamo - verso la democrazia e non credo che la transizione termini con queste elezioni.

D. – Marzouki ed Essebsi sono i due sfidanti di questa tornata elettorale. Diciamo che i timori principali sono concentrati proprio su Essebsi: 88 anni, avvocato: viene considerato un po’ "l’uomo del vecchio regime", "traditore" della rivoluzione. Allora, che personalità sono queste due? Si possono mettere a confronto in qualche modo?

R. – Sono due personaggi molto diversi tra loro, comunque con alcune somiglianze. Innanzitutto, di fatto, nascono all’indomani della rivolta tunisina e, in un certo senso, portano il Paese ad una nuova era, sostanzialmente. Marzouki era un leader dei diritti umani, che è stato eletto presidente all’indomani delle elezioni del 2011, che ha transitato la Tunisia fino ad oggi; mentre Essebsi è un personaggio che nasce, comunque, durante l’epoca di Bourguiba, il primo presidente della Tunisia, ed è sostanzialmente assente nel periodo invece di Ben Alì e della dittatura di Ben Alì. Un anno e mezzo fa decide di fondare questo nuovo partito, che è il partito di Nidaa Tounes che ha avuto un grande successo alle ultime legislative. Marzouki è sicuramente appoggiato dal partito Ennahda, che era il partito islamico, mentre Essebsi è appoggiato appunto, oltre che dal suo partito, da quello che viene definito mediaticamente “fronte laico”. Entrambi, comunque, sono figure che rappresentano la polarizzazione della vita politica tunisina. Secondo la Costituzione è il primo ministro che concentra nelle sue mani il potere esecutivo e dato che, appunto, il popolo tunisino ha optato per un regime semi parlamentare, quindi in un certo senso il presidente della Repubblica non è che sia più responsabile della direzione del gioco politico, ha però tuttavia questo compito di rappresentare lo Stato.

D. – Quali sono le sfide che aspettano il nuovo presidente?

R. – La sfida, a mio avviso, più importante sarà quella dell’aspetto economico, perché comunque il Paese, all’indomani della rivolta, è cambiato, c’è stata una trasformazione, già prima, durante l’ultima fase di una crisi economica importante, e questa crisi economica non si è risolta. Quindi risollevare il Paese, far sì che il Paese diventi un Paese competitivo, anche all’interno dell’area. E poi la minaccia del terrorismo: la Tunisia non è stata particolarmente colpita da estremismo ma questo non vuol dire che ne sia immune. 

D. – Nella prima tornata c’è stato anche un segnale un po’ particolare, che è stato il forte astensionismo dei giovani, che poi ha provocato il risultato che abbiamo visto. Quindi forse i giovani prendono distanza da questi due candidati, non si riconoscono…

R. – Sì, sicuramente, questa è indubbiamente una questione che è emersa. Forse stanno vivendo anche un momento legato alla poca speranza di cambiamenti. Comunque, infatti, avevano creduto molto nel 2011 ad una trasformazione veloce. Sono state fatte molte cose in questi anni: la Costituzione, le elezioni. Sono dei passi, ma questo non significa che abbiamo risolto, significa che siamo sulla buona strada.

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Raid israeliano su Gaza dopo razzo Hamas, primo da agosto

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Hamas avrebbe arrestato i responsabili del lancio di un razzo che venerdì scorso ha fatto tornare a salire la tensione tra israeliani e palestinesi. Ad affermarlo è il ministro della Difesa di Tel Aviv, ma Israele continua comunque a considerare Hamas responsabile del rispetto o meno della tregua a Gaza. I particolari nel servizio di Roberta Barbi: 

Era dal cessate il fuoco di agosto che non accadeva, poi, venerdì scorso, dopo un colpo di mortaio diretto dalla Striscia di Gaza oltreconfine verso il Neghev – il terzo dalla fine delle ostilità, secondo Tel Aviv – gli aerei israeliani hanno eseguito un nuovo raid, fortunatamente senza vittime, che avrebbe colpito una fabbrica di cemento nel sud, che secondo Israele aveva lo scopo di ricostruire i “tunnel del terrore” di Hamas, contro i quali si sono concentrate le operazioni dell’estate scorsa. E ci sarebbe proprio Hamas dietro questi attacchi, secondo quanto affermato dal portavoce militare israeliano Peter Lerner, nonostante oggi il ministro della Difesa, Yaalon abbia riferito che proprio Hamas ha arrestato i responsabili, militanti “legati alla jihad internazionale”. Sale comunque la tensione e oggi militari israeliani hanno sparato per allontanare due “persone sospette” dal confine, mentre tra ieri e oggi almeno 200 palestinesi sono potuti rientrare a Gaza dopo la riapertura del valico egiziano di Rafah, aperto solo due volte negli ultimi due mesi. Secondo l’Onu erano 3500 i palestinesi bloccati dalla parte egiziana della frontiera.

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Campagna Caritas per l'Iraq. Soddu: cristiani senza diritti

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I cristiani fuggiti e in fuga ogni giorno dal Medio Oriente sollecitano solidarietà. Per questo la Chiesa italiana ha deciso di lanciare un’iniziativa di sostegno concreto per le comunità cristiane irachene. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana, che di recente ha potuto fare visita nei luoghi dove sono ospitati i profughi: 

“Non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani”: le parole di Papa Francesco, riecheggiano in questo Natale, attraverso la campagna di gemellaggi promossa dalla Cei attraverso la Caritas italiana in aiuto a circa 200mila cristiani riparati nel Kurdistan iracheno, a seguito dell’avanzata negli ultimi mesi delle milizie dello Stato islamico. Mons. Soddu, come possiamo aiutare dall’Italia?

R. – Possiamo aiutare certamente tenendo vivo il ricordo di queste persone, che hanno subito una grave lesione dei diritti umani e che in tutti i casi continuano ad essere bisognose in quanto si trovano lontane dalla loro terra, lontane dalla loro casa. Esse hanno praticamente perduto tutto e certamente queste notizie noi le abbiamo apprese, però è necessario sempre fare luce su quanto questi nostri fratelli e sorelle stanno subendo, soprattutto per quanto riguarda il loro essere cristiani. Non dimentichiamocelo, questo. Loro stanno soffrendo per la loro fede in Cristo e noi, loro fratelli e sorelle, siamo tutti chiamati ad avere una particolare simpatia, soprattutto in questo periodo in cui ci stiamo preparando al Natale del Signore. Sono un numero molto elevato, perché dalla città di Mosul e dalla Piana di Ninive si sono riversati praticamente tutti nella città di Erbil, raccolti in 26 centri di accoglienza, o nelle vicinanze della stessa città. Molti di questi centri sono veramente precari e le persone si trovano ad essere stipate in luoghi angusti.

D. - Quali sono i bisogni più urgenti di questi fratelli sofferenti?

R. - Il progetto che noi abbiamo lanciato si divide in tre parti: il piano case, il piano famiglie e il piano scuola. Il piano case, è per l’acquisto di alcuni container; il piano famiglie è per il sostegno delle famiglie e il piano scuola è per l’acquisto di alcuni scuolabus. Tutto è mirato perché queste persone non fuggano dalla loro terra ma abbiano il nostro sostegno.

Tutte le notizie sulla campagna di gemellaggi “Adotta una famiglia di profughi iracheni” sono reperibili sul sito della Caritas Italiana, www.cartas.it , dove sono indicate le modalità per partecipare direttamente o attraverso le parrocchie.

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Preghiera per Roma. Card. Vallini: reagire ad anemia spirituale

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La città di Roma vive un periodo difficile della sua storia, in particolare per la grave questione di Mafia Capitale, una vicenda di corruzione e malaffare pepretrata sfruttando il dramma dei più poveri. Lunedì 22 dicembre alle 19.00, la comunità ecclesiale si ritroverà a Santa Maria Maggiore per affidare la città alla Salus Populi Romani, icona mariana cara a Papa Francesco che la tradizione vuole sia stata dipinta dall’evangelista Luca. L’iniziativa di preghiera per Roma è stata voluta dal Vicario, cardinale Agostino Vallini, e dal Consiglio episcopale della diocesi con un invito rivolto a sacerdoti, laici e religiosi. Luca Collodi ne ha parlato con lo stesso cardinale Vallini: 

R. – Ho indetto questa preghiera perché mi pare che, in questa riflessione abbastanza sviluppata attraverso i media delle vicende di Roma capitale, sia necessario anche un approfondimento e una riflessione, soprattutto un’ invocazione. I fatti di cui si parla sono fatti seri, gravi, che portano dolore e inducono ad una profonda riflessione, perché non si tratta soltanto di reprimere gli abusi, ma di domandarci quale sia la cultura che oggi domina la mentalità corrente delle persone. Roma è una città profondamente cambiata: non c’è più un centro della città e – dicono i sociologi – i riferimenti unici sono le parrocchie. D’altra parte è una città multietnica, multireligiosa. Ci rendiamo conto che l’urgenza di una visione umano-cristiana sia quanto mai necessaria. I fatti, però, ci dicono che purtroppo c’è un degrado etico, morale e io penso che si fondi anche su una “anemia” o una debolezza spirituale. L’invito ai romani di unirsi a me, ai vescovi ausiliari e al clero, nell’invocare la Salus Populi Romani, la nostra Vergine protettrice, vuole essere proprio questo: il richiamo a guardare in alto, a stabilire con il Signore una luce, una strada quasi preferenziale per interpretare i fenomeni ed un invito anche alla conversione per questa città.

D. – Davanti a questi episodi di malaffare il popolo e la gente rischia di arrendersi alla sfiducia e al pessimismo già presenti per la crisi economica…

R. – No! Credo che il popolo ne soffra. La gente è addolorata, è amareggiata. Ma c’è come un sussulto di dignità, di rispetto, di giustizia, perché in fondo, poi, le radici di Roma sono queste. Però è anche vero che se c’è una debolezza, una fragilità dal punto di vista della visione della vita e quindi della spiritualità, della fede, siamo più deboli, siamo più fragili. Vorremmo chiedere al Signore e alla Madonna, affidando questa nostra città di Roma, di suscitare energie sane per lo sviluppo positivo del nostro popolo.

D. – Cardinale Vallini, pensa che episodi di questo genere possano favorire l’antipolitica?

R. – Sono convinto che tutto può aiutare e tutto può danneggiare. Certo, avremmo piacere di vedere una maggiore sollecitudine verso il bene comune. Talvolta si ha la sensazione che il bene comune sia come una bandiera proclamata, ma non sempre realizzata con pazienza, con lungimiranza e con onesta.

D. – Molte cooperative cercano le sovvenzioni statali: una delle caratteristiche della cooperazione cattolica è quella di prescindere dai soldi dello Stato…

R. – Sì, la cooperazione può avvenire a vari livelli: le iniziative di tanti, anche volontari, è certamente gratuita, dove invece le esigenze sono più emergenti - per esempio tutto il fenomeno degli immigrati – capisco che possano esistere delle iniziative anche sostenute da fondi pubblici. Il problema è di farlo nella rettitudine e nella onestà. Ecco, per questo è tanto necessario ritrovarsi come comunità cristiana a Santa Maria Maggiore, questo lunedì sera, alle 19.00, a pregare e intercedere la Vergine Maria Salus Populi Romani per la  città di Roma.

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"Emergenza sorrisi" in aiuto di bambini malati

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Sono migliaia i bambini affetti da malformazioni facciali, come il labbro leporino, che impediscono loro di sorridere e di alimentarsi normalmente. 316 sono i bambini operati da “Emergenza sorrisi” nel 2013, l’ong che realizza operazioni chirurgiche nei paesi più disagiati, come Iraq, Benin e Striscia di Gaza. grazie al loro intervento i bambini sono tornati a sorridere. In questi giorni e fino al 14 gennaio è in corso la campagna di raccolta fondi “Adotta un sorriso” tramite sms al 45502. Il dott. Fabio Massimo Abenavoli, presidente dell’associazione spiega al microfono di Maria Cristina Montagnaro, di cosa si tratta. 

R. – E’ un’iniziativa finalizzata a raccogliere i fondi per le prossime missioni, che avremo in particolar modo in Bangladesh, in Benin e in Iraq. Sono tre Paesi dove andiamo con una certa frequenza, per mantenere la nostra presenza e per aiutare i medici a ridare il sorriso ai bambini affetti da deformità del volto, labbro leporino, palatoschisi e altre malformazioni.

D. – Chi volesse partecipare alla vostra campagna di solidarietà, che cosa deve fare?

R. – E’ molto facile. Noi in questi giorni abbiamo proprio la possibilità di inviare un sms – gli sms solidali - al numero 45502. Noi, attraverso questo sms, raccogliamo i fondi che ci serviranno per queste missioni.

D. – Avete operato recentemente due bambini iracheni nelle strutture sanitarie italiane. Com’è andata?

R. – Questo è stato un bel Natale per noi perché, grazie ad una convenzione con il Policlinico Gemelli di chirurgia maxillo facciale, siamo riusciti a portare due bambini con gravissime deformità a labbro e palato, che non potevamo operare in Iraq per le loro condizioni cliniche. Siamo riusciti a portarli con i genitori, li abbiamo operati e in questi giorni sono nel decorso post operatorio. Ritorneranno poi in Iraq.

D. – In Iraq, qual è la situazione che avete trovato?

R. – Noi abbiamo una continuità con questo Paese, che amiamo molto, dove c’è gente – devo dire – meravigliosa, al di là di quello che è il terrorismo, che pure è bandito dalla popolazione irachena ed è sicuramente una fonte di ostacoli al progresso e alla stabilità in questo Paese. E’ un Paese molto orgoglioso, con persone molto disponibili verso gli altri; è un Paese che, in qualche modo, deve ritrovare la propria pace e il proprio sviluppo.

D. – Qual è l’insegnamento che avete raccolto nelle vostre missioni?

R. – E’ un po’ quello di Papa Francesco: la pace e la solidarietà sono due elementi che poi si ricreano all’interno di quella che è la famiglia, la famiglia del mondo, non solo quella di madre e padre. Il mondo infatti deve essere una famiglia all’interno del quale poter vivere, convivere e condividere quelli che sono i bisogni, ma anche le gioie. E’ questo quello che noi facciamo quando andiamo in questi Paesi: condividiamo le loro esigenze, le loro tristezze di avere dei bambini, di avere una società e una situazione sanitaria molto compromessa e viviamo la gioia di ritrovare il sorriso.

D. – Con quali risorse finanziate i vostri interventi?

R. – Con l’sms solidale, con vari eventi e poi ovviamente attraverso la solidarietà delle persone. Noi ovviamente ci mettiamo la faccia come medici, come volontari, che gratuitamente diamo il nostro contributo, la nostra professionalità. Mettendoci la faccia le persone capiscono che questi soldi sono ben investiti e vanno veramente a favore di questi bambini e di queste situazioni precarie.

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Presepe di S. Anna in Vaticano: un clochard tra i pastori

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Una natività ambientata nell’antica Palestina, dove scenografia e personaggi rievocano le narrazioni evangeliche ma richiamano anche a quanto significhi nella vita dell’uomo l’incarnazione di Gesù Cristo. L’originale presepe è allestito nella Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano e tra i pastori è posto in primo piano un clochard, per ricordare l’esortazione di Papa Francesco a non dimenticare mai gli ultimi. Il servizio di Tiziana Campisi: 

Il giorno che si alterna alla notte, i pastori nella loro vita quotidiana: è un paesino dell’antica Palestina quello riprodotto nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano per raccontare la natività, suggestivo nei particolari riprodotti, che riporta indietro nel tempo ma che cela un messaggio.

Maria, Giuseppe e il Bambino Gesù hanno trovato riparo sotto un loggiato di un antico palazzo pericolante e al di là della strada un clochard - icona di tutti i senzatetto, rifugiati, profughi ed emarginati del mondo - chiede l’elemosina. Da una parte la miseria dell’uomo, dall’altra, l’umiltà di Dio che si incarna per rendere ricca l’umanità. Come spiega il parroco, padre Bruno Silvestrini:

R. - Il presepe di Sant’Anna in Vaticano quest’anno ha dato un accento tutto particolare alla sollecitazione che il Santo Padre ha dato a ciascuno di noi: l’attenzione alle persone in difficoltà ai poveri, non solamente persone che sono in una povertà di denaro ma anche povertà che sono a livello personale, spirituale, la tanta solitudine che si vive nel cercare una verità che possa dare senso alla loro vita.

D. – Qual è il messaggio che vuole dare questo presepe?

R. – Il messaggio è che nella povertà che vive l’uomo nella situazione di grande dolore e sofferenza c’è proprio l’incarnazione del Figlio di Dio che ha preso su di sé la povertà dell’uomo e l’ha voluta portare vicino a sé.

D. – Il clochard che nel presepe della parrocchia di Sant’Anna, ricorda anche tanti indigenti che vengono a bussare alla vostra porta e i particolare uno di loro…

R. – Ecco, sì, la nostra parrocchia è proprio al confine del Vaticano e al confine con l’Italia. Tutti possono entrare, tutti entrano. Entrano persone che chiedono, entrano i poveri, entrano le persone indigenti ma anche clochard che non hanno fissa dimora. Per oltre 25 anni ha frequentato la Messa delle 7.00 un clochard. Era una persona molto, molto aperta, che aveva fatto tante amicizie; parlava con i giovani, parlava del Signore, parlava loro del Papa, invitava alla celebrazione eucaristica. Era una persona ricca, grande di fede. Recentemente si è ammalato e già nella sua assenza molte persone venivano a chiedermi cosa fosse successo, come mai non lo vedevano… C’erano monsignori che gli portavano da mangiare in certi giorni. Poi, non si è più visto; poi mi hanno detto che il clochard era morto. Non ho mai visto tanta gente bussare alla mia porta e chiedere quando si faceva il funerale, come si poteva ricordare… E noi in questo clochard che abbiamo messo nel presepe vogliamo ricordare lui: non chiedeva mai, ma era colui che ti parlava e ti suscitava, attraverso domande della fede, un cammino spirituale.

Il mare di Tiberiade, il cielo con le sue stelle, le abitazioni, le strade e i ciottoli, la vegetazione e gli animali. E’ un paesaggio che incanta quello che ricorda la nascita di Gesù. E’ qui che, come ha detto Sant’Agostino “La fortezza si è fatta debole, affinché la debolezza divenisse forte”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sri Lanka. I vescovi: gioia e fede nell’attesa del Papa

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“Attendiamo la visita del Papa in Sri Lanka con gioia e fede”: con queste parole mons. Rayappu Joseph, vescovo di Mannar, racconta – in un’intervista a “Eglise d’Asie” – i preparativi per la visita del Pontefice nel Paese, in programma dal 12 al 15 gennaio prossimi. “Una visita papale – dice il presule – è sempre una manifestazione dell’amore del Vicario di Cristo per il suo popolo, è una benedizione di Dio”. “Papa Francesco – continua mons. Joseph – viene in Sri Lanka per due motivi: per portare un messaggio di pace fondata sulla verità e la riconciliazione e per canonizzare il Beato Joseph Vaz” e per questo “la sua visita sarà segno di immensa speranza l’intera nazione”.

Elezioni libere e trasparenti
Guardando, poi, alle elezioni presidenziali, in programma per l’8 gennaio, quindi a ridosso dell’arrivo di Papa Francesco nel Paese, il vescovo di Mannar auspica che esse si svolgano “in pace, onestamente e in libertà”, anche per dare la possibilità, alle generazioni future, di “costruire il loro avvenire in Sri Lanka”, senza essere costrette ad emigrare “in cerca di fortuna”. Infine, mons. Joseph si sofferma sul ruolo cruciale della Chiesa nella società: essa deve mostrarsi “fedele alla verità ed alla giustizia”, dice, “come Gesù ci chiede di fare”, “dando voce a chi non ha voce”, perché “è solo in questo modo che si potrà pervenire ad una pace duratura”.

No a ingerenze internazionali
Sulla stessa linea si pone anche mons. Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale locale: “Le elezioni siano un catalizzatore verso l’unità del Paese!”, è l’appello lanciato nella sua intervista con “Eglise d’Asie”. Lo Sri Lanka è una nazione “ricca di una civilizzazione antica e prestigiosa” ed è per questo che “le elezioni non devono dar luogo ad esplosioni di violenza”. Guardando, quindi, al futuro del Paese, mons. Ranjith punta il dito contro quei politici che guardano ai propri interessi, invece che al bene comune, e lancia un appello affinché lo Sri Lanka “viva e prosperi”, grazie all’impegno della popolazione locale, lontano dalle ingerenze della comunità internazionale. (I.P.)

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Perù. I vescovi: a Natale, vincere egoismo e avidità

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“Il Natale è il tempo privilegiato per condividere con tenerezza e generosità, un tempo per seminare la pace e il perdono”. Con queste parole i vescovi peruviani, nel loro messaggio di Natale, esortano “a vincere l’oscurità dell’egoismo e l’avidità per pensare ai bisogni degli altri e al bene comune al di sopra dei nostri interessi personali”. 

Difendere i bambini
Il messaggio, a firma del presidente della Conferenza episcopale del Perù, mons. Salvador Piñeiro, arcivescovo di Ayacucho, a nome di tutto l’episcopato, mette l’accento sulla crisi della famiglia, una delle principali preoccupazioni del magistero di Papa Francesco, il quale sostiene che il problema più grande è la mancanza di amore che si riflette in ogni componente della famiglia, dagli anziani ai bambini e agli adolescenti. “Avvertiamo con dolore – si legge nella nota - che ci sono bambini che non possono nascere perché viene negato loro il diritto alla vita; ci strappa il cuore la morte di bambini crivellati dalle armi dell’odio e della vendetta; ci affligge la sofferenza dei bambini che vivono in famiglie distrutte dal divorzio; alziamo la nostra voce per i bambini e le bambine vittime della tratta di persone, di atti indegni e disumani, vittime innocenti che riflettono il volto di Gesù Bambino e che dobbiamo aiutare, custodire, difendere e amare”. 

Nessuno sia escluso
Le migliaia di peruviani che vivono al estero alla ricerca di una vita migliore per i loro cari, i lavoratori, gli studenti, i politici e tutte le persone di buona volontà sono ricordati nel messaggio dell’episcopato che chiede a tutti i peruviani di costruire una Patria grande, pacifica e attenta ai bisogni dei più deboli e dimenticati. “Pace agli uomini che il Signore ama” è l’augurio dei vescovi perché nessuno sia escluso dalla salvezza che Gesù ci dona e perché nessuno manchi al “Banchetto della Vita”, alla mensa del progresso e dell’amore fraterno. (A. T.)

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Is. Curdi liberano Sinjar, trovata fossa comune con 70 corpi

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Dopo mesi di azione coordinata tra le milizie curde irachene sul terreno e i raid aerei della coalizione, si vedono i primi risultati della lotta contro il sedicente Stato Islamico (Is) in Iraq. Stando a fonti curde, i Peshmerga avrebbero liberato la città di Sinjar, abitata prevalentemente dagli yazidi che, assediati dall’agosto scorso, hanno subito ingenti perdite. I militari, infatti, hanno ritrovato nel villaggio di Hardan una fossa comune con almeno 70 corpi – molti quelli di donne e bambini – e secondo le testimonianze, nella zona ce ne sarebbero almeno altre tre. I miliziani dell’Is starebbero, dunque, battendo la ritirata verso la Siria, dove sembra che nei dintorni di Raqqa abbiano ucciso oltre cento combattenti di origini straniere – tra cui anche alcuni europei – accusati di diserzione. Oggi, però, avrebbero lanciato anche una nuova offensiva in Iraq per riconquistare la raffineria di Baiji, la più grande del Paese situata 40 km a nord di Tikrit, tornata da novembre sotto il controllo dell’esercito iracheno. (R.B.)

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Nigeria. Operazione esercito contro Boko Haram, vittime

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Stavano preparando un attacco contro squadre di tecnici che erano al lavoro per ripristinare l’energia elettrica in un’area compresa tra Maiduguri e Damboa, nel nord-est della Nigeria, i terroristi di Boko Haram che sono stati uccisi questa notte in un’operazione dell’esercito nigeriano. Il numero delle vittime è in corso di accertamento, ma cresce l’allarme sul fenomeno di “regionalizzazione” degli attacchi del gruppo estremista islamico nigeriano. Il capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, infatti, ha più volte espresso le proprie ambizioni internazionali sull’islamizzazione del mondo intero. Solo pochi giorni fa i fondamentalisti hanno lanciato attacchi simultanei in diverse città al confine con il Camerun; in Ciad sono molto attivi con il reclutamento, mentre il Niger ha dichiarato lo stato di “crisi umanitaria” per le decine di migliaia di profughi nigeriani che si spingono oltre confine. In cinque anni di lotte, infatti, oltre alle migliaia di persone che sono state uccise, circa un milione e mezzo è stata cacciata dalle proprie case. A tutto questo si aggiunge la scarsa collaborazione tra Paesi vicini, che rende a Boko Haram il terreno per attecchire ancora più fertile. (R.B.)

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Oggi in Giordania 11 esecuzioni: non accadeva dal 2006

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Undici condanne a morte per impiccagione sono state eseguite questa mattina all’alba ad Amman, capitale della Giordania. Sono le prime esecuzioni applicate dal 2006 - dopo una sorta di moratoria non annunciata della durata di otto anni – ma da allora, nonostante non venissero eseguite, le sentenze di condanna alla pena capitale comminate sono state ben 122 nel Paese mediorientale. Le persone uccise oggi, invece, erano state condannate tra il 2005 e il 2006 per omicidi comuni, non legati alla politica né al terrorismo. A diffondere la notizia è stato il ministro dell’Interno giordano, Hussein Majali, che recentemente aveva dichiarato che l’opinione pubblica giordana attribuirebbe alla scarsa applicazione della pena capitale il consistente aumento dei reati nel Paese. (R.B.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 355

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.